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Title: L'arte di far debiti
Author: Ghislanzoni, Antonio
Language: Italian
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*** Start of this LibraryBlog Digital Book "L'arte di far debiti" ***


generously made available by Biblioteca Sormani - Milano)



                         NOTE DEL TRASCRITTORE:

 —Corretti gli ovvii errori di stampa e di punteggiatura.

 —Il testo in grassetto è indicato come =testo grassetto=.



                             A. GHISLANZONI.



                         =L'ARTE DI FAR DEBITI=

                                   DI

                           _ROBOAMO PUFFISTA_

                          COGLI ULTIMI COMMENTI

                                   DI

                           =ZEFFIRINO BINDOLO=



                                 MILANO
                         EMILIO QUADRIO, EDITORE
                                  1881



RAGIONE DELL'OPERA


_Io, Roboamo Puffista, barone senza stemma, cavaliere di tutte le
industrie, gran croce dell'ordine dei Nullatenenti, dottore di scienza
occulta, nato a Londra, battezzato a Parigi, educato a Costantinopoli,
assente da tutte le città del globo e inquilino perpetuo della ignota
dimora;_

_Trovandomi oggimai ridotto all'estrema passo della vita, e sapendo per
certi dati di dover tirare l'ultimo fiato innanzi alla scadenza delle
mie ottocento ventiquattro cambiali girovaghe, firmate per la massima
parte con nomi di fantasia; Non possedendo, pel momento, altri fondi
per soddisfare a miei impegni cambiarii che quattro marche da giuoco e
dodici bottoni del mio_ quondam _cappotto da guarnazionale;_

_E volendo, d'altra, parte, chiudere gli occhi senza rimorsi, e
lasciare, in mancanza di altri capitali, un nome onorato e benedetto,
sicchè la maggioranza della umanità mi protegga, dopo morte, dalla
malevolenza e dalla calunnia dei miei vili creditori, i quali, come
risulta dalle recenti statistiche della popolazione del globo, non
cessano di rappresentare una minoranza impercettibile:_

_Ho risoluto, come risolvo, di tramandare ai posteri un breve opuscolo
che si intitola_ l'Arte di far Debiti, _già ideato a Parigi nei miei
primi ozii di Clichy, abbozzato a Milano durante la mia involontaria
permanenza in un piccolo appartamento della via di Sant'Antonio, e
ridotto a purgata lezione in questi ultimi giorni di domicilio coatto
impostomi dalla malattia._

_Questo_ opuscolo _è la sintesi di tutta la mia vita, il riepilogo
di tutte la mie grandi esperienze; è un immenso patrimonio che io
trasmetto alla umanità tutta intera--Quand'anche i miei creditori
(gente di dura cervice!) non volessero, o fingessero di non riconoscere
l'importanza del mio libro,--io mi tengo certo che la parte meno
pregiudicata dal mio sistema economico gli farà buon viso._

_Io muoio in un'epoca di grande progresso--io scomparisco, dal mondo
mentre è già prossima la _maturità dei tempi_, in cui l'universo non
rappresenterà che una immensa gabbia di... debitori._

_La sentenza è paradossale--ma io tengo per fermo che fra una diecina
d'anni, la specie dei creditori avrà cessato di esistere, e al mondo
non vi saranno che debitori._

_Una chiaroveggenza divina irradia lo spirito dei morenti--io leggo
nell'avvenire... io prevedo la grande epoca del deluto universale._

_Sulle piazze si erigono delle cataste.... Da quelle cataste.....
sporgono dei volti umani... dei ceffi raggrinzati e defformi... dei
nasi cogli occhiali... delle bocche immani da usurai che digrignano i
denti..._

_Sapete cosa sono quelle cataste?--sono a milioni di migliaia le
cambiali in protesto del genere umano--sono cartelle del debito
pubblico, cartelle di prestiti municipali, azioni di strade di ferro e
di canali--libri mastri di caffettieri e di sarti--note di brugnoni e
di modiste..._

_Qualcuno ha messo il fuoco a quelle cataste.., Vedete le orribili
fiamme! udite le strida feroci!..._

_Copritevi gli ocelli! turatevi gli orecchi!--è il credito che
brucia--sono gli ultimi creditori che spariscono dalla faccia. del
mondo..._

_Frattanto--in attesa che i tempi maturino--vediamo, o_ puffisti
_fratelli, di di scongiurare, per quanto è da noi, le calamità
presenti._

_Questo libricciuolo, che ben a ragione potrebbe intitolarsi il_
libro d'oro_, in quanto esso insegni a cavar il prezioso minerale
da quella silice dura che è il credito moderno, incontrerà senza
dubbio l'universale favore e raccomanderà il mio nome alla perpetua
riconoscenza dei posteri._

_Dopo ciò lettori puffisti, non mi resta che ad invocare il genio del_
puff _e pregarlo acciò vi tenga sempre nella sua santa custodia._

  =Roboamo Puffista.=



CAPITOLO PRIMO.

=Massime generali.=


Per intenderci senza spreco di parole, innanzi tutto convien adottare
un vocabolo pel quale si rappresenti con esattezza matematica quel
personaggio singolarmente favorito dalla natura e completato dalla
scienza e dalla pratica sociale, che si propone di passare lietamente
la vita a spese del credito pubblico e privato.

Il mio cognome può servire a tal uopo. L'uomo che intende vivere per il
debito, che si sente chiamato a questa sublime missione di rigenerare
l'umanità col sistema delle imposte involontarie, si chiami dunque
_puffista_. Accordando il nome di _puffisti_ a questa grande e nobile
specialità della razza umana che fra poco avrà cessato di essere una
specialità per divenire una imponente maggioranza, io sono certo di
raccomandare me stesso ad una fama imperitura!

Ho emesso, senza avvedermene, un grandioso concetto, che esige una
pronta spiegazione per farsi comprendere agli intelletti meno arguti.
Ho detto che il _puffista_ è chiamato a rigenerare l'umanità col
sistema delle _imposte involontarie_.

Non è mestieri che io vi faccia notare quanto sia orribile, assurda,
contraria agli intendimenti della natura quella legge che obbliga
l'uomo a pagare il diritto dell'esistenza coi più vili metalli,
coll'oro, coll'argento, col rame coniato.

L'uomo!.... questo re del creato, questa nobile personificazione della
intelligenza, fatto ad immagine e similitudine del creatore--questo
padrone di tutta la natura animata ed inanimata--questo Dio della
terra e dell'Oceano--eccolo ridotto, per una vicenda di false ed
abusate teorie, a doversi privare di tutte le cose più necessarie
alla esistenza, a dover perire dal freddo e dall'inedia per mancanza
di pochi baiocchi!--La società è oggimai organizzata di tal guisa
che al libero abitatore del globo non è più permesso di staccare un
pomo da un albero, di cogliere una spica di frumento, di succhiare
un grappolo d'uva se prima non abbia trovato qualche spicciolo in
fondo del suo portamonete!--A tale noi siamo giunti--povera razza
umana!--che nel centro più popoloso del globo, a Londra, a Parigi,
laddove concorrono tutti i prodotti dell'universo, laddove fanno mostra
dalle vetrine tutte le squisitezze e le ghiottornie della sapienza
culinaria, un uomo--un re della creazione che non abbia due soldi nel
taschino del _gilet_, è costretto a morir di fame... o a rischiare la
galera--rubando!

Morire... o rubare! Tale è l'orribile dilemma che la esosa politica
della società impone inesorabilmente a questo animale fatto ad imagine
e similitudine di Dio, ridotto a non avere moneta spicciola!

Morire o rubare!--No, perdio!--abbiamo gridato noi.--Giuraddio! mi
rispondete voi col fremito di una coscienza indignata:--Nè morire,
nè rubare!--Un temperamento ci deve essere--se non c'è, bisogna
trovarlo--chè in verità, se non ci fosse modo di eludere il tremendo
dilemma, sarebbe ad invocarsi il diluvio universale o la pioggia
sulfurea per cui ebbero a perire Sodoma e Gomorra.

Via! respiri la umanità desolata!... Non provochiamola collera di Dio
colle bestemmie della disperazione! Il temperamento fu trovato--fu
trovato da secoli--e questa provvidenziale invenzione noi la dobbiamo
ai... _puffisti_.

Io non voglio morire--io non voglio rubare--ha detto il primo
_puffista_--io ho diritto di vivere--e le leggi non hanno diritto di
condannarmi perchè io mi prevalgo del mio diritto.--Dunque?...

Dunque... si viva col debito!--od anche col credito--che è lo stesso.[1]

Ma i _puffisti_ si ingannarono! mi grida qualcuno--perocchè tutti
sappiamo che le leggi condannano i debitori, nè più nè meno dei ladri;
chè se il debito può prolungare di qualche tempo l'impunità, non riesce
però a sottrarci completamente agli inumani rigori della legge![2]

Questa osservazione non può partire--scusatemi!--che da un _puffista_
di terza classe--da un _puffista_ esordiente--da un _puffista_ che
non ha ancora studiato la grand'arte.--Un vero _puffista_ vi risponde
che queste pene del Codice detto civile non rappresentano che uno
spauracchio od un pericolo più immaginario che reale pei poveri
pesciolini di acqua dolce. Noi grossi pesci di alto mare, noi sfidiamo
la gracile reticella ordita di rattoppi, noi squarciamo le maglie e
passiamo oltre... _puffando_!

Ritenete questa massima: in prigione per debiti non vanno che pochi
imbecilli i quali si posero in carriera senza conoscere i primi
rudimenti dell'arte.

Ma di ciò sarà discorso più tardi e non ci mancheranno, a sostegno
delle nostre teorie, esempli notevolissimi.



CAPITOLO II.

=Delle disposizioni naturali del PUFFISTA=.


Non è poeta chi vuole, e così non può riuscire _puffista_ chi non abbia
sortito delle disposizioni naturali convenienti all'alta missione.

Con questa sentenza non intendo disanimare i meno favoriti della
natura. Quando si dice _poeta_ o _puffista_, si vogliono designare i
tipi elevati delle due specie--noi sappiamo che collo studio e colla
pratica molti individui dolati di mediocre talento riescono a fare dei
buoni versi ed anche dei debiti di qualche rilievo.

Ma per divenire _puffista_ di prima classe, _puffista_ di alta società,
_puffista_ mondiale, si richiedono delle doti non comuni, e noi
brevemente le accenneremo.

Il _puffista_ di prima classe esce ordinariamente da una famiglia
agiata. Se questa famiglia, oltre ad essere agiata, è anche onesta,
tanto meglio per lui. La buona riputazione dei parenti potrà
agevolargli il successo delle prime intraprese _puffistiche_.

Una certa avvenenza personale può riuscire vantaggiosa. Giova la
statura elevata quando si colleglli ad una certa rotondità di forme.
Gli uomini lunghi e macilenti ispirano ordinariamente meno fiducia
che non i tarchiati e pienotti. Il vero _puffista_ deve aver sortito
dalla natura quella impronta di _distinzione_ che non ha tipo fisso,
ma che può, aiutata dall'artifizio, soccorrere di fallaci apparenze i
caratteri più viziati e più ignobili.

Requisito indispensabile è la poca trasparenza della epidermide. Vi
hanno dei momenti nella vita, per il _puffista_ come per l'uomo di
Stato, dei momenti nei quali un rossore importuno delle guancie,
un menomo turbamento della fronte può compromettere tutto un piano
finanziario abilmente immaginato e tradire i più ingegnosi divisamenti.
I muscoli della faccia vogliono esser tenaci, tali da poter reagire
contro le interne commozioni dell'animo, sieno pur queste il sussulto
della gioia o il brivido qualche volta inevitabile della paura. Per
finirla coll'accenno delle doti fisiche, diremo che lingua sciolta,
corpo elastico e gambe snelle rappresentano altrettante condizioni
favorevoli per l'individuo che intende avventurarsi alla grande
carriera.

Quanto alle doti dello spirito non è mestieri avvertire che senza
un ricco corredo di intelligenza non è lecito aspirare a meta
sublime--sebbene, come vedremo più innanzi, in un _puffista_ di seconda
e terza classe, alla deficienza dello spirito possa supplire un
acutissimo istinto di furberia.

Il grande _puffista_, il _puffista_ di primo ordine, dev'essere ad
un tempo grande matematico e grande poeta.--Il genio poetico deve
ispirargli i sublimi concetti, il genio matematico deve fornirgli i
mezzi strategici per tradurli in atto e condurli a buon fine.

È un istinto di divinazione quello che ispira e conduce i predestinati
nel campo tante volte esplorato e non mai abbastanza mietuto del
credito _senza base_--è un istinto di divinazione quello che ci
addita le fonti vitali dove a noi sarà permesso di abbeverarci e di
inebbrìarci dell'altrui, senza pericolo e senza rimorso. La poesia
fiuta da lontano il bosco degli agrumi; noi accorriamo con gioia, noi
stendiamo la mano a cogliere il frutto. Una volta che il limone sia in
nostra mano, la matematica ci suggerirà i meccanismi per ispremerne il
maggior sugo possibile.

(Che i miei creditori superstiti non si offendano se io li ho
paragonati a dei limoni. Dopo l'ananasso ed il cedro, non vegeta sulla
superficie della terra un più nobile frutto!)

Il genio poetico non può bastare da solo a creare il perfetto
_puffista_--ove a questo non soccorra il talento matematico, si avranno
delle concezioni sublimi, degli intendimenti elevatissimi, non mai dei
risultati sicuri. La biografia di molti poeti è là per attestare ciò
che io asserisco. Omero non sarebbe morto di farne se alla grandiosità
delle sue concezioni _puffistiche_ avesse accoppiato il talento più
positivo e la pazienza di realizzarle! Dante, il divino Dante, con
tutta la sua buona volontà di _puffare_ il mondo, non riuscì che un
mediocrissimo _puffista_, perchè altero, disdegnoso, impaziente, non
seppe mai realizzare sul terreno finanziario le proprie ispirazioni.
Dante, per difetto di senso pratico, non seppe cavare un quattrino
nemmeno dagli uomini del suo partito--e fa compassione il pensare come
quella mente immaginosa non abbia trovato altro modo per vendicarsi
dei Guelfi che quello di relegarli ancora viventi nelle bolgie
dell'inferno.--Oh quanto più solenni, e più tremende, e più meritevoli
di fama sarebbero riuscite le vendette del divino poeta, se oltre ad
aver anatemizzati i proprii avversari politici cogli irosi suoi carmi,
li avesse anche... _puffati_!...

Ma questo talento del _puffare_ per un'idea elevata, del _puffare_ per
ispirto di parte, del _puffare_ ad onore ed incremento delle lettere, a
benefizio della politica e delle arti, a maggior gloria della patria,
nell'interesse della libertà, della democrazia, per la redenzione di
tutto il genere umano--rendiamo giustizia al secolo--questo talento
è proprio dell'epoca nostra. I poeti, i pensatori dell'antichità,
sotto questo aspetto, impallidiscono al nostro confronto!--Rari, nei
secoli trascorsi appariscono gli uomini, nei quali si riunissero in
uguale misura queste due doti, lo spirito creatore e il talento del
calcolo.--Oggigiorno la fantasia e la speculazione si sono dati la
mano; oggidì nessuno può esser grande nella letteratura e nelle arti,
che non congiunga ad una vivace e forte immaginazione anche il genio
più positivo delle matematiche. Epperò sono rari i poeti e i letterati,
che non sieno al tempo istesso abilissimi _puffisti_. E dove per
poeti si intendano anche quegli spiriti ardenti che esalano il loro
patriottissimo in declamazioni o in flebili elegie, mentre _calcolano_
sulla dabbennaggine dei _credenti_ per ridurli alla condizione di
_creditori_, si vedrà la ragione per cui _l'arte del puffare_ abbia
raggiunto ai tempi nostri così prodigioso sviluppo.

Per finirla colle doti morali del _puffista_, eccovi in abbozzo
il suo ritratto psicologico.--Mente immaginosa e guardinga;
fecondità di concezioni e prudenza di fatti; arditezza somma e
somma cautela--tenacità di propositi e disinvoltura di mezzi. La
frenologia non ha mancato di esaminare diversi cranii di individui
vissuti nelle più alte regioni del _puff_--in tutti questi cranii si
notarono prodigiosamente sviluppati gli organi della _acquisività_,
della _immaginazione_, del _calcolo_, e perfino--ciò che recherà
meraviglia--gli organi della _prodigalità_ e della _filantropia_.

Che il _puffista_ sia prodigo... della roba altrui, è cosa
naturalissima--noi dimostreremo più tardi con esempii desunti dalla
cronaca contemporanea, come, senza elidersi o contraddirsi, possano
svilupparsi nel medesimo individuo e agire di pieno consenso i due
organi della _acquisività_ e della _filantropia_.--Il _puffista_, in
rapporto alla società, è una pompa che aspira le acque stagnanti per
projettarle sui campi insterili a produrvi la vegetazione.

Non accennerò alle disposizioni naturali che ordinariamente si
riscontrano nei _puffisti_ di seconda e di terza classe.--Tenete per
fermo questa massima che: tutti _gli individui forniti di ragione
possono qual più qual meno puffare il loro prossimo_. Tutto sta a non
prendere errore nella designazione della _vittima_, e a persistere con
tutte le pratiche suggerite dall'arte perchè questa dia tosto o tardi
il suo prodotto.



CAPITOLO III.

=La vittima=.


Cosa si intende per _vittima_ nel linguaggio _puffistisco_?

La _vittima_ è quell'ente individuale o collettivo destinato a
rappresentare, in un _contratto puffistico_, la parte passiva, quella
parte che più tardi gli accorderà il nobile titolo di creditore.

Tutto gli individui della specie umana possono in date circostanze
divenir _vittima_ di un contratto puffistico--ad eccezione di quei
nullatenenti che non danno veruna promessa di _tenere_ in un avvenire
prossimo o lontano.

Il grande _puffista_, il _puffista_ di _prima classe_ non può umiliare
il suo vasto talento alla designazione di una _vittima_ individuale.
Il _puffista_ di prima classe non può esercitare il suo genio che
sopra una _vittima_ collettiva. Il mondo è tutto per lui. Egli non ha
bisogno di studiare la società e le persone che lo circondano--egli
segna i suoi piani sulla carta geografica--egli invade i territorii,
le provincie, le città. Egli sa che dappertutto c'è pastura pei
suoi denti. Simile all'avoltoio si lascia cadere a piombo dalle
regioni nuvolose--il suo istinto gli dice che la terra è popolata di
_pecore_--e che dove ci sono pecore, c'è lana da tondere, ci sono
_costolette_ da friggere.--La _vittima_ del _puffista_ di prima classe
non può essere che un ente collettivo!

Non a caso vi ho detto che questo avoltoio si lascia cadere a piombo
delle _regioni nuvolose_. Quando un _puffista_ di prima classe
incomincia ad esercitare la sua missione in una città, è assai
difficile che alcuno sappia dire da qual porta egli vi sia entrato,
e in qual giorno vi abbia preso dimora.--È un _russo_, è un lord
_inglese_, è un _ex-pari di Francia_, è un _segretario del Bey di
Tunisi_, è un _cavaliere della Guadaluppa_... Donde viene? a che
viene? Non importa si sappia. Gli è appunto sull'_incognito_, sul
_misterioso_, che deve basarsi il grande edifizio.... Vedete quei
volti estatici e balordi? quelle bocche spalancate? quegli occhi ebeti
di meraviglia? Sono le _vittime_ in germoglio.--Aspettate! fra una
settimana... fra un mese... voi mi darete le nuove del vostro incognito!

Perchè vi formiate un concetto del _puffista_ di prima classe, perchè
vediate di un solo tratto com'egli possa riuscire a mistificare in
un giorno una intera popolazione; voglio rammentarvi una storiella
avvenuta a Como or fanno quarant'anni circa--una storia di cui molti
non avranno perduto il sovvenire, coloro in specie che ebbero la
fortuna di rappresentare in quella occasione la parte di vittime.

Nel settembre dell'anno 1836, verso l'ora di mezzodì, un elegante
giovinetto bizzarramente vestito usciva dall'albergo dell'_Angelo_ col
portamento di un nobile e brioso puledro che fiuti la carriera per
slanciarvisi di galoppo--era alto, di struttura quasi atletica, di viso
rubicondo; e il bruno dei suoi capelli, il fuoco dello sguardo, la
pienezza delle gote, la rotondità della sua corporatura porgevano il
tipo di un meridionale puro sangue. Ma era convenuto che quel signore
eccentricamente abbigliato di un soprabito a scacchi verde-pavonazzo
dovesse chiamarsi l'_inglese_--e il nostro _puffista_ (affrettiamoci a
designarlo col suo titolo più competente) si lasciava chiamar inglese
col miglior garbo del mondo.

A quell'epoca tutti gli inglesi erano ritenuti milionari come più tardi
lo furono i russi. Oggigiorno queste due razze hanno alquanto perduto
del loro credito proverbiale--e un _puffista_ che sappia il suo conto
non oserebbe in Italia avventurarsi ad una impresa _gagliarda_ senza
assumere il titolo di indiano o di brasiliano.

Il nostro _puffista_ si trattenne alcuni minuti sulla porta
dell'albergo ad esplorare la piazza... di Como. A quell'ora molti
cittadini e villeggianti accorrevano verso il porto--era imminente
l'arrivo del battello a vapore.--L'_inglese_ non era uomo da
compromettere con degli indugi la riuscita delle sue concezioni
strategiche.--Egli adocchia a poca distanza dall'albergo una carretta
di melaranci--muove diffilato a quell'indirizzo--e cerca colle sue
maniere di attirarsi d'intorno la folla dei curiosi, in cattivo
italiano si fa ad interrogare il fruttivendolo:--_quanto per pomo
giallo_?--Cinque soldi l'uno, _milord_!--Quanto per dozzina?--Due
svanziche, signor milord!--Quanto per tutti... pomi gialli? Saranno
venti dozzine circa... per fare una sola parola... trattandosi di
servire milord... sarei disposto a venderli tutti per un marengo...!

La folla dei curiosi va sempre ingrossando... e intorno a _milord_ si
forma una corona di occhi spalancati, di bocche aperte che stillano
meraviglia.

Presto, il colpo di grazia, _milord_--il salto degli uomini, la tripla
carambola,... e siamo vincitori!--Il nostro _puffista_, dopo una breve
pausa che raddoppia l'attenzione dei circostanti, con voce montata di
due toni e coll'accento più inglese domanda al fruttivendolo: «e quanti
per tutti palli oranzi con piccola carretta...?

--Milord...?

--Dico... quanto domandare... per tutta carretta... con tutti palli
oranzi di dentro...?

Il fruttivendolo esita un poco--egli non sa risolversi a vendere la
carriuola che è la sua bottega, il magazzeno mobile delle sue merci.

Ma alla fine incoraggiato dagli astanti che gli accennavano coll'occhio
di non lasciarsi sfuggire la buona occasione, e comprendendo che
l'_inglese_ è disposto a comperare la carretta pel doppio del
suo valore--con voce fioca e tremante profferisce la domanda:
centocinquanta svanziche per cedere tutto!

L'inglese non replica. Egli accenna al fruttivendolo di seguirlo colla
carretta--attraversa la città--sale per le contrade più popolate, fin
oltre la porta delle _due torri_, e venuto al largo del sobborgo,
incomincia a lanciare i melaranci in questa e in quella direzione,
dimostrando la più matta gioia nel vedere uno stuolo di ragazzi e di
adulti i quali si accapigliano e ruzzolano nel fango per contendersi i
frutti--L'inglese frattanto calcolava mentalmente: «questi frutti io me
li farò pagare più tardi _dalle vittime_ al prezzo approssimativo di
duemila franchi cadauno!

Alla sera, tutta la città di Como, tutte le ville del Lario narravano
la eccentricità dispendiosa del giovane milord, il quale, dopo aver
pagato al fruttivendolo le centocinquanta svanziche patuite, gli aveva
anche lasciato la carretta.

Dopo quell'avvenimento, milord per circa una settimana si rese
invisibile.--Egli stette chiuso nel suo piccolo appartamento
all'albergo dell'_Angelo_, non d'altro occupato che di mandare in giro
a tutti i villeggianti del lago le sue carte di visita, che portavano
il nome di _Lord Boldegrits_--Tutta la alta aristocrazia del lago,
tutte le donne, tutte le fanciulle sospiravano il momento di vedere
e di conoscere personalmente quel ricco figlio di Albione che aveva
destato tanto rumore colle sue prodigalità.

Ma lord Boldegrits, prima di mietere nel gran campo delle _vittime_,
voleva assicurarsi il successo con un prologo più completo. Dopo una
settimana di reclusione volontaria, il nostro _puffista_ discende
inaspettatamente sul porto, sceglie coll'occhio un battello, vi si
slancia colla snellezza di un cerbiatto, e ai barcajuoli che sorpresi
e beati attendono i suoi cenni, ordina di vogare verso una spiaggia
deserta.

--Milord... preferirebbe...?

--Luogo... qualunque... dove bagnarsi... avete capito?

I due barcajuoli invidiati, danno di mano ai remi e vogano con impeto
miracoloso.

Approdati ad un spiaggia deserta, milord balza dalla barca, si spoglia
rapidamente, si tuffa nelle acque e guizza come un luccio per oltre
mezz'ora.

Finito il bagno, eccolo sulla riva tutto grondante e
assiderato--_Goddem_...! non portato lingeria per seccarmi!... qui
morir di umido... di ghiaccio...!

I barcajuoli si guardano l'un l'altro--non sanno suggerire alcun
espediente--non osano offrire le loro camicie di tela grossolana per
asciugare le membra del nobile milionario.

Ma l'inglese si batte la fronte come un uomo colpito da una improvvisa
ispirazione: e volgendosi ai barcajuoli: «quanto costare questa
barca... se io voglio comperare...?

Dopo aver scambiato col compagno alcuni gesti insignificanti, uno dei
barcajuoli risponde: «trattandosi di far piacere a milord, noi saremmo
disposti a cedere la nostra barca per mille svanziche.»

--Ebbene! io prendo la barca!... a patto che la tiriate fuori
dell'acqua... e bruciate subito grande incendio per asciugami....

I due barcajuoli, sbalorditi da quella proposta, esitano alquanto ad
obbedire--ma dietro insistenza del _lord_, che già manovra di pugni e
minaccia di voler _bozzare_ risolutamente per ridurli al suo volere,
essi tirano in secco la navicella, spezzano i remi ed il timone,
affastellano gli attrezzi combustibili, e finalmente risolvono di dare
il fuoco alla catasta. Mezz'ora dopo, immensi globi di fumo si elevano
dalla spiaggia--la barca prende fuoco crepitando, e l'inglese, tutto
nudo, si abbrustolisce dinanzi a quell'incendio, e applaudendosi del
suo trovato, già enumera le _vittime_ che dovranno pagargli la spese.

Questo secondo stratagemma infiammò di entusiasmo tutti i
villeggianti--di là ad una settimana, _Lord Boldegrits_ era l'argomento
di tutte le conversazioni, il _lion_ della società più aristocratica,
l'idolo delle signore. Per un sorriso, per una stretta di mano di _Lord
Boldegrits_, i più doviziosi ed orgogliosi proprietari delle ville
comensi si sarebbero rovinati.

Inneggiate al glorioso _puffista!_--vedetelo signore di un'intera
provincia--divenuto arbitro dei milioni altrui per il tenue
sacrifizio di mille e centocinquanta svanziche?--E voi, eterni
incorreggibili allocchi della classe più elevata e, a dir vostro,
più intelligente, accorrete in massa a deporre i volontari tributi a
questo idolo abbagliante.--I banchieri di _Lord Boldegrits_ sono in
ritardo--presto!--offritegli una bagatella di trentamila lire tanto
ch'egli non rimanga, Lord Boldegrits, in diffetto di spiccioli!--Lord
Boldegrits ha perduto una somma enorme sulla parola--a voi, buoni
figli di S. Ambrogio!... prima che passino le ventiquattro ore pensate
a fornirgli l'occorrente--per adempiere a' suoi impegni d'onore....
Lord Boldegrits vi rimetterà una cambiale pagabile dappertutto a vista
d'orbo--e frattanto somministrerà degli a conti segreti a vostra
moglie... ed anche, se più vi piace, sposerà vostra figlia nel prossimo
mese che non ha mai da venire....

Come sia finita la storia di _Lord Boldegrits_ è assai facile
immaginarlo a qualunque sia mediocremente dotato di spirito
_puffustico_.--Lord Boldegvits, dopo la villeggiatura fu condotto a
Milano fra le ovazioni e le feste de' suoi ospiti milionarii--egli
rimase nella città di S. Ambrogio fino allo sparire del dicembre--e la
sera di Santo Stefano, dppo essersi accapparrato coll'ultimo _puff_ un
palco di prima fila per assistere alla solenne inaugurazione del teatro
alla Scala, parti durante il secondo atto dell'opera... per regioni
inesplorabili.--Due mesi dopo si diceva in Milano che _Lord Boldegrits_
aveva _puffato_ ai suoi numerosi ammiratori la somma complessiva di
lire duecentomila.--Non s'è ancora detto s'egli abbia fino ad ora
pagati gli interessi del cospicuo capitale.

Io vi ho dato un esempio di _vittima collettiva_; vi ho dimostrato
come la efficienza del _puffista_ di prima categoria possa esercitarsi
contemporaneamente sopra molti individui, e conquistare delle città,
delle intere provincie con poche mosse strategiche.

I puffisti di seconda e terza classe debbono andare più cauti nelle
loro operazioni. Concesso ai primi di attaccare contemporaneamente
quattro o cinque individui; ma al momento decisivo, al punto culminante
della lotta, io li consiglio a voler imitare il ben riuscito
stratagemma di quell'ultimo Orazio, il quale, rimasto solo a combattere
i tre avversarii Curiazii, trovò modo, l'uno dell'altro discostando, di
vincerli tutti.

Il _puffista_ di terza classe, quello che è chiamato a rappresentare
il partito moderato della specie, non deve mirare che ad un solo
individuo, e in quello concentrare tutte le facoltà della sua mente,
a quello dirigere tutti gli sforzi della sua volontà. Ai timidi, ai
prudenti, che si tengono paghi dei piccoli trionfi, noi daremo alcune
norme infallibili per la buona scelta della _vittima_, indicando al
tempo stesso le maniere più acconcie d'impadronirsene e di cavarne il
miglior vantaggio possibile.

Abbiamo detto più sopra che ogni individuo della specie umana, il quale
non appartenga alla categoria dei nullatenti, può divenire una vittima
del _puff_!

A tale proposito io vi esporrò delle massime generali, che a taluni, ai
meno versati nella gran scienza, sembreranno paradossi.

L'avaro più facilmente si lascia _puffare_ che non il prodigo--l'oblio
di questo principio produce ordinariamente dei crudeli disinganni negli
inesperti e mal consigliati _puffisti_!

Il fenomeno si spiega facilmente.--Al prodigo avviene di raro di
trovarsi in possesso di denaro superfluo--e quando ciò gli avvenga,
egli non è mai padrone dei proprii tesori, in quanto i suoi istinti
liberali lo traggano a permutarli inconsideratamente in gozzoviglie e
diletti.--Voi non avete tempo di scoprire le sue ricchezze, d'ideare il
vostro piano di attacco, che già il prodigo si trova all'asciutto, in
neccessità di dover _puffare_ anzichè in condizione da essere _puffato_!

Il caso contrario si verifica nell'avaro. Questi i suoi tesori accumula
ed accarezza--nel contemplare le proprie dovizie, nel moltiplicarle,
è riposto il segreto della sua felicità. Quando voi vi accingete a
scavare in codesta miniera, avete per voi la certezza ch'essa racchiude
dell'oro. Questo è un dato positivo sul quale potete contare. Che
importa se lo scrigno è serrato a doppio chiavistello, se l'oro è
sprofondato in una bolgia di ferro?--Quel medesimo istinto di cupidigia
pel quale fu indotto l'avaro ad ammassare, a seppellire tante dovizie,
quel medesimo istinto vi fornirà la chiave per aprire lo scrigno di
lui. Fatevi avaro coll'avaro, e i suoi tesori vi apparterranno.--Vi
narrerò, a tale proposito, una breve storiella. Essa varrà meglio
di qualsivoglia argomento a dimostrarvi quanto ci sia di vero nella
sentenza da me esposta.

Nell'anno 1849 io mi trovava a Parigi, dove esercitavo sopra amplissimo
campo la mia grande arte.

In sul finire di marzo, venne a trovarmi un antico collega di
università, un _puffista_ di terza categoria, ma dotato, per le piccole
guerriglie, di un acume infallibile e di una tenacità di propositi
degna di maggiori fortune.--Quel povero amico mi si presentò all'_Hôtel
des étrangers_, dov'ero alloggiato, in abito alquanto dimesso; mi narrò
d'aver consumato dietro una sottana un patrimonio di ottomila franchi
guadagnato a Lion colle sue piccole industrie (_puffistiche_).--Mi
chiese cinque lire, promettendomi la restituzione per una delle...
domeniche... prossime.--Ordinai al garzone dell'_Hôtel_ di
versare nelle mani dell'amico quell'atomo di moneta spicciola--e
poi--stringendogli la mano,--gli domandai con quali intenzioni si fosse
recato a Parigi.

--Per continuare il mio piccolo commercio, rispose quegli sorridendo.

--Già... c'intendiamo...! il commercio dei piccoli _puff_! E tu
briccone hai voluto incominciare da me...

--Dal mio primo maestro... dall'uomo, a cui debbo quelle prime
nozioni....

--Con quegli abiti indosso, con quel _redingot_ cascante e sbottonato,
con quegli scarponi da montanaro, a Parigi non riuscirai a nulla. Io ti
ho detto più volte che il primo anello della interminabile catena dei
_puff_ vuol essere battuto nella bottega di un sarto... Pensa dunque
ad abbigliarti un po' meglio... ovvero... senti, briccone! pensiamo
un poco...! voglio fare anch'io qualche piccolo sacrifizio per un
fratello.... Gli abiti non mi costano nulla; i _tailleurs_ delle loro
maestà gli imperatori d'Astria e del gran Mogol mi hanno fornito la
guardaroba a prezzo... di affezione.--Vuoi tu approfittare di un abito
completo da _soirée_ che ha implorato questa mattina gli onori della
mia anticamera...?

--Un'abito da _soirée_!--rispose con una smorfia sardonica il mio
piccolo _puffista_--ma ti pare?... questi non sono _istromenti_ da par
mio... Io lavoro assai meglio col mio _rèdingot_ sdruscito e i miei
grossi scarponi!

Io mi sentii umiliato da quella risposta, e da quel fare derisorio--e
collo sguardo sollecitavo una spiegazione.

--Tu devi sapere,--rispose l'amico indovinando la mia
curiosità--tu devi sapere che io ho già trovato a Parigi la mia
_vittima_--intendiamoci--la mia piccola _vittima!_--un vecchio usuraio
romagnolo, il quale, dopo aver servito per ventidue anni il governo
del papa in qualità di secondino, e poi in qualità di custode delle
carceri ad Ancona, essendo riuscito a metter assieme co' suoi risparmii
un capitale di circa quattordicimila lire, è venuto a Parigi tutto
solo onde intraprendere qualche speculazione _sicura_. Tu non puoi
immaginare quando taccagno e sordido colui sia. Da circa vent'anni
porta in capo un cilindro rossiccio ch'egli dice aver ereditato da
suo zio--la sua marsina è rasa come il mento d'un canonico, sudicia
e cascante come una vecchia ragnatela piovuta dal camino.--Non puoi
credere quanto io fossi desolato l'altro ieri nel dovermi presentare
a lui con questo _rèdingot_ che ai tuoi occhi apparisce cosi modesto!
Quante storie ho dovuto contargli... quante favole, perchè il mio
lusso non l'adombrasse! Memore delle tue lezioni, io so che il segreto
del mio successo deve consistere nel gareggiare di pitoccheria, di
sordidezza con quello sporco animale!

--_Mio bravo e degno scolaro!_... Ma sentiamo cosa hai fatto... e cosa
intendi fare?

--L'altro giorno, per esempio, l'ho invitato a pranzo...

--Cattivo principio!... Un avaro profitta volentieri dei pranzi altrui,
ma al tempo stesso concepisce il massimo disprezzo per chi usa la
cortesia di invitarlo.... Per ogni boccone ch'egli inghiotte, non
può che ripetere in cuor suo: questo imbecille mi fa le spese della
giornata... si può essere più bestia?... dar da mangiare ad un altro!

--Io sapeva che il mio romagnolo avrebbe avuto questo pensiero.... Ma
io aveva preparato il mio piano... io mi era preposto di regalargli
un tal pranzo, che egli, quel miserabile taccagno, avesse a rimanere
sorpreso de'miei talenti economici!

--Briccone!... Sentiamo... un poco...

--Lo condussi ad un piccolo _restaurant_ nella contrada della _Fontaine
Moliere_--un _restaurant_ molto celebre a Parigi dove si pranza per
sedici soldi.... Tu certo non conosci quel luogo....

--Ci sono stato qualche volta... nei giorni più _secchi_... ma non
me ne sovvengo...--Il mio romagnolo cominciò a far le meraviglie che
in una città quale Parigi si potesse per la modica somma di sedici
soldi avere un pranzo di due piatti, minestra, piccolo giardinetto, un
bicchiere di vino od una bottiglia di birra, e pane a _discrezione_...
Sopratutto egli rimase colpito del pane a _discrezione_!...--Vedi, io
gli diceva mettendomi a tavola, quando mi permetto uno di questi pranzi
di lusso, non dimentico mai di indossare il mio grande _rèdingot_ da
quattordici saccoccie? Io non esco mai dal _restaurant_ senza portar
meco una provvigione di pane che mi basti per tutta la settimana.
Di tal modo questo pranzo, che rappresenta un valore _nominativo_
di sedici soldi, non viene a costarmi che sedici centesimi!--Il mio
romagnolo, in udirmi, spalancò una bocca da ippopotamo... Da quella
foce bavosa io vidi colare ad un tempo la sorpresa e l'ammirazione.
Più tardi, mangiando, si venne a ragionare dei varii _restaurants_
di Parigi, ove si danno pranzi al massimo buon mercato--promisi di
condurlo il giorno seguente in una _gargotte_ dove al prezzo di sedici
soldi avremmo mangiato lautamente tutti e due. A tale annunzio il _mio
uomo_ divenne pallido dalla commozione--mi stese la mano come non aveva
mai fatto, e col pianto sugli occhi, come chi violentemente reagisca
contro la propria natura:--buon amico, mi disse, voi permetterete...
non vorrete farmi il torto... domani... cosi alla buona... insomma io
vi invito... a pranzo al _restaurant_... che ora avete nominato... a
patto... come voi dicevate... che la spesa non oltrepassi gli otto
soldi... per bocca!...»

Il racconto del mio piccolo _puffista_ mi destava il più vivo
interesse. Non avrei mai immaginato che a Parigi esistessero delle
_gargottes_ cotanto economiche da fornire un pranzo per otto soldi.
Io già cominciava a comprendere il piano strategico del mio povero
allievo; ma pure, ond'essere informato di tutto, lo pregai di
continuare la sua storia.

«Per dirtela in brevi parole--proseguì l'amico--all'indomani, verso
le ore quattro, io mi recai in compagnia del mio splendido anfitrione
nella _gargotte du Chat-gris_ in via dei _Mathurins_.--Scendemmo una
diecina di gradini--ci trovammo in una camera oscura, tutta ingombra
di piccoli tavoli che attendevano dei commensali.--Su quei tavoli
erano schierate delle catinelle ricolme di pane affettato--quel pane
non aveva colore--ciascuna fetta rappresentava una specialità del
prodotto.--Noi sedemmo ad uno dei tavoli coll'aria di due epuloni
decaduti--Il mio romagnolo mi faceva notare che la _sala_ era più che
decente, che dalle casseruole lontane esalava un profumo squisito, che
infine tutto era pel meglio nel migliore dei _restaurants_ possibili.

«Frattanto entravano degli altri commensali.--Il padrone della
_gargotte_ andava in giro a complimentare i suoi clienti, distinguendo
di una particolare attenzione alcuni individui della specie più vorace,
i quali, a giudicarne dallo sguardo, minacciavano d'inghiottire per
antipasto i cucchiari e le forchette di stagno.--Quando tutti i posti
furono occupati, il direttore dello stabilimento diede l'annunzio del
pasto.--Un'enorme caldaia di brodo fu portata nel mezzo della _sala_;
gli _abituati_ della _gargotte_ accorsero intorno a quella colle
loro zuppiere, e una donna di circa sessantanni, montata sovra una
seggiola, diede principio alla solenne distribuzione del brodo.--Questa
distribuzione si operava con un sistema tutt'affatto parigino.--La
_grande prètresse_ della cerimonia tuffava nella caldaia una lunga
canna da clistero, e dopo averla riempita di quell'onda senza, nome,
la schizzava, a discrezione degli affamati, nelle ampie scodelle che
stavano in giro.--Il mio romagnolo si levò in piedi come gli altri--io
balzai dietro lui, e, raccolta la nostra porzione di liquido, tornammo
a sedere presso la tavola per ruminare tranquillamente e a tutto
piacere la nostra zuppa. Dopo quel pasto, venne servita una frittura
di color tetro, bituminosa e salata, una frittura alla quale i più
nobili visceri di tutto il regno animalesco avevano portato il loro
tributo.--Quella frittura era abbondantissima--ragione per cui il mio
romagnolo la trovò eccellente!

«Durante quel pasto, cominciarono le intimità, le confidenze
reciproche. L'_amico_ mi pose al fatto dei suoi piccoli segreti che
in parte io già conosceva, si fece a discutere meco i suoi piani, mi
chiese dei consigli.... Era il varco a cui io lo attendeva.... Un uomo
che domanda consigli sul modo d'impiegare i suoi capitali... è una
vittima che si offre spontanea, è un piccione che vuoi essere spiumato
ad ogni costo.

«--II consiglio ch'io vi posso dare--gli risposi trangugiando un
morsello di frittura che forse il giorno innanzi era un turacciolo
di bottiglia--il consiglio che io vi posso dare è quello di non
accingervi in questo dannato paese a veruna speculazione, quando non
siate ben certo che al termine di un mese ogni vostro quattrino debba
moltiplicarsi nelle proporzioni che che ora sto per descrivervi.

«Ciò detto, io mi levai di tasca un portafogli, e colla matita gli
dimostrai a tutto rigore di cifre qualmente da un sol quattrino si
possa, in sedici giorni ricavare l'interesse di 325 lire, e in un mese
di oltre un milione, a patto che il prodotto di questo prodotto vada
ogni giorno raddoppiando.

«Il mio uomo era stordito dalla logica dei miei calcoli--egli fissava
le cifre coll'occhio del basilisco--il suo collo si era allungato di
due spanne. Malgrado la fiera tensione di tutte le membra, di tutti i
sensi, il mio romagnolo non sapeva capacitarsi.

«Io dovetti spiegargli il mio sistema col denaro alla mano.

«Vedete, gli dissi, questo è un centesimo: se nel termine di 24 ore voi
riuscite a raddoppiarlo, domani questo rappresenterà necessariamente
il valore di due. Or bene, come avete raddoppiato l'_uno_, colla
medesima facilità, voi otterrete che per l'indomani si raddoppi anche
il _due_--eccovi _quattro_ centesimi, che il dì seguente diverranno
_otto_, poi _sedici_, poi _trentadue_, poi _sessantaquattro_, e via
via....

«Provatevi a tirare innanzi con questo metodo, e al termine di due
anni, il vostro quattrino avrà prodotto una tal cifra di milioni da
imbarazzare tutti i calcoli umani.

«Io non posso descriverti l'effetto di questo mio piano... _puffistico_!

«Ti basti sapere che il mio romagnolo, dopo aver pagato quel lauto
pranzo di otto soldi per cadauno, volle anche costringermi ad accettare
un caffè da cinque centesimi. Quell'uomo è mio!.... Non mi lascia
più.... Ieri mattina è venuto a svegliarmi alle ore cinque.... Ha
voluto mostrarmi una parte de' suoi capitali--un portafoglio contenente
dodici mila franchi in biglietti di banca, e una cinta di cuoio
imbottita di napoleoni doppi....

«Due giorni ancora... e se il diavolo non ci mette la coda... la
_vittima_ farà spontaneamente la rassegna dei suoi beni nelle mani del
tuo umile ed indegno scolaro... del tuo piccolo _puffista_!...»

Questa istoria dell'amico mi diverti infinitamente, ed io non ho
cessato mai di applaudire a me stesso d'aver contribuito in quel
giorno, col mio obolo da cinque franchi, ad agevolargli la riuscita
di quell'ameno colpo _puffistico_. Due settimane dopo, il mio piccolo
allievo era divenuto socio e amministratore del romagnolo taccagno--il
quale, dopo avergli confidato tutto il suo patrimonio, lo aveva spinto
a partire per le Antille onde intraprendervi con sollecitudine la
coltivazione del _cafè-sucrè_. Il mio piccolo allievo era riuscito a
persuadere la sua vittima, che mettendo i semi del caffè comune ad
ammollirsi per ventiquattro ore in una infusione di melassa, questi
semi avrebbero prodotto un caffè perfettamente raddolcito e tale da
potersi servire senza zucchero.

Il romagnolo sta ancora attendendo i dispacci che gli annunzino dalle
Antille i primi risultati di questa grandiosa non meno che immaginosa
speculazione!



CAPITOLO IV.

=La corda sensibile=.


Tutto sta a trovare la _corda sensibile_. Il _puff_ è come
l'amore.--Volete farvi amare da una donna?--Convien toccare e
solleticare la sua _corda sensibile_.--Il medesimo processo si tiene
per spremere l'oro da una _vittima_.

L'aneddoto che più sopra ho riferito spiega in parte il meraviglioso
segreto. La _corda sensibile_ del vecchio romagnolo era l'avarizia, e
il mio piccolo allievo, fingendosi avaro a sua volta, raggiunse il suo
nobile intento.

Studiate attentamente le tendenze e le passioni della vostra _vittima_,
e innanzi tutto abbiate sempre in mente che la vanità costituisce il
principale elemento del carattere umano.--Da questa verità fisiologica
emerge necessariamente che l'adulazione vuol riputarsi uno degli
ausiliari più efficaci e potenti per bene iniziare e condurre a buon
fine una operazione _puffistica_.

A Firenze, anni sono, io piantai uno splendido _puff_ ad un ricco
banchiere, il quale aveva la debolezza di credersi poeta. Nulla
più detestabile de' suoi versi. Egli si piccava di improvvisare
sonetti a rime obbligate, e una volta lanciato nella carriera,
non vi era più modo di arrestarlo. Quell'uomo era il terrore dei
circoli--quand'egli apriva lo scartafaccio per leggere le sue
interminabili pappolate--quand'egli, annunziandosi invasato dall'estro,
domandava enfaticamente delle rime, il vuoto si faceva intorno a lui
e gli sfortunati ch'erano costretti ad ascoltarlo, si contorcevano
sulle seggiole come i gatti a temporale imminente.--Orbene: io mi
ebbi il coraggio di rimanere parecchie notti da solo a solo con lui
a proporgli dei temi e delle rime e ad ascoltare le sue narcotiche
stramberie. Quell'uomo in brevissimo tempo prese ad adorarmi.
Quand'egli declamava i suoi versi, io spalancava certi occhiacci da
mettere il brivido ai morti; io mi asciugava la fronte ad ogni tratto,
io piangeva, sospirava, io balzava tratto tratto dalla seggiola e mi
faceva a percorrere la sala come un invasato. Una volta questa commedia
durò dalle sei della sera fino alle quattro del mattino. Il banchiere
era spossato dalla lunga declamazione: dal mio canto io insisteva
perchè mi compiacesse di un ultimo sonetto.--No! non è possibile...
La mia vena è inaridita... le muse mi abbandonano...! rispondeva il
banchiere fissando le rime con occhio torbido e sonnolento.--Come
mai? questa sera vi siete stancato di buon'ora, gli dissi levando
di tasca l'orologio: si è appena finito di pranzare...!--Sono le
quattro del mattino! rispose il banchiere ingenuamente, dopo aver
consultato il suo cilindro d'oro sfavillante di brillanti.--Le quattro
del mattino! gridai io, balzando in piedi colla espressione del più
vivo disappunto--possibile!... ma io sono dunque rovinato!... Ah!
banchiere... il cuore me lo diceva che un giorno o l'altro, in grazia
dei vostri versi, avrei commesso qualche storditaggine!... Figuratevi
che si tratta...--Ebbene: si tratta?... domanda ansiosamente il
mio uomo spaventato dal mio atteggiamento--si tratta?--Via! non vi
allarmate, signor poeta! soggiungo io con voce più calma--il piacere
che mi hanno dato i vostri versi, le emozioni di questa dolce e troppo
breve serata valgon bene il sacrifizio di diecimila franchi....
Cosa sono finalmente, per un mio pari diecimila franchi?.... Una
bagatella,... una inezia.... D'altronde non è detto che siano
perduti...--Ma signore...se credete che io possa...--Non vi incomodate,
banchiere... non datevi pena per questo incidente.... Si trattava di
un amico... voi sapete... di quel Lord Midletton, al quale due sere
sono ho prestato una piccola somma sul giuoco.... Non ho mai conosciuto
un giuocatore più sfortunato di Lord Midletton... tanto è vero che in
poche settimane di soggiorno a Firenze egli si è dissestato.... Orbene,
questa notte alle undici agli doveva partire per Londra e si era
contenuto che io mi recassi da lui per ritirare la mia piccola somma.
Vi confesso che in questo momento quel denaro non mi avrebbe dato
incomodo.... Il mio corrispondente di Bruxelles è in ritardo... ed è
questa la prima volta che, per favorire un amico, mi accade di trovarmi
in imbarazzo.... Ma è probabile, anzi probabilissimo che lord Midletton
abbia incaricato qualcuno di trasmettermi la somma.... Domattina
farò delle indagini, e nel caso...--E nel caso che queste indagini
riuscissero a nulla, soggiunse la mia _vittima_ coll'accento solenne
del banchiere danaroso, io voglio ben sperare che non dimenticherete
esistere a Firenze un poeta eccezionale, nel cui scrigno vi è sempre
un _fondo_ di cinquecentomila franchi per far onore agli impegni della
banca e per favorire qualche amico.--Spero che non ci sia questo
bisogno, risposi, ma nel caso che lord Midletton mi avesse dimenticato
io mi guarderò bene dal ricorrere ad altri che a voi. Ma badate che
io sono più esigente di quello che voi forse immaginate. Io non mi
ridurrò mai ad accettare il vostro grazioso prestito se con quello non
mi accordate il favore che più volte vi ho dimandato, di pubblicare per
le stampe il vostro immortale poema sulla _Trasmigrazione delle anime_,
che io ritengo la più meravigliosa opera uscita dal cervello umano.

Il banchiere sorrise come un ebete, e stendendomi la mano, con voce
soffocata dalla beatitudine mi disse:--non mi tentate... non fatemi
violenza... non imponete dei patti impossibili.... Io posso bene
affidare qualche miliajo di lire ad un galantuomo pari vostro--ma
gettare le mie perle nel fango?--via! questo sarebbe troppo! Non vi
sona che due uomini nell'età presente che possano comprendere la mia
_Trasmigrazione_--questi due uomini siamo io e voi!

All'indomani verso le quattro, scrissi una lettera al banchiere per
fargli capire che io era assai ben disposto ad accogliere i dieci mila
franchi a titolo di prestito, ma al tempo stesso io insistevo per la
pubblizione del poema.

Il banchiere mi inviò tosto i dieci mila franchi in tanti biglietti
della banca francese e con quelli il manoscritto della _Trasmigrazione_
che egli mi dedicava coli'epigrafe: _all'uno dei due_.

Io chiusi la _Trasmigrazione delle anime_ nella valigia, e dopo
ventiquattro ore _trasmigrai_ corpo ed anima per regioni _ignote._

Troppo lungo sarebbe il narrarvi i grandi e molteplici risultati che io
ottenni solleticando la _corda sensibile_ di diversi individui.--Gli
esempi che ho riferiti in questo e nel capitolo precedente, a' miei
lettori perspicaci, dimostreranno l'importanza e l'efficacia del mio
metodo.



CAPITOLO V.

=Dell'ordine del PUFF=.


La prima vittima del _puffista_ che vuol slanciarsi nella brillante
carriera senza incontrare ostacoli, senza incorrere nei lacci che
insidiano ordinariamente i primi passi di tutte le carriere umane, vuol
essere il sarto.

Una volta che siate riuscito a _puffare_ un sarto, una volta che
abbiate indossato, senza pagarlo, un abito completo da gentiluomo alla
moda, eccovi padrone del campo, eccovi sollevato di un tratto nelle più
alte e fortunose regioni del _puff_.

Io prevedo le vostre objezioni.--Voi mi direte che il vestiario non
basta--ci vogliono, a completarlo, degli accessorj che il sarto non può
fornire--le lingerie, la scarpe, il cappello....

Objezioni da principiante!--È forse detto che a _puffare_ il calzolajo
ed il fabbricatore di cappelli si richiegga un sistema particolare, che
non sia quello da usarsi col sarto?[3]

Vi è un Dio per i _puffisti_.--Io credo anzi che nello stabilire le
grandi e immutabili leggi dell'ordine universale, Iddio abbia più che
altro pensato alle vaste e molteplici complicazioni che nel seno della
umanità dovevono insorgere a causa del _puff_.

Eppure questo Dio, nel creare gli uomini a sua imagine e similitudine,
ha fatto una eccezione pel sarto, e si è compiaciuto, nella sua
infinita bontà e sapienza, di dare a questa prima, indispensabile
vittima del _puffista_, degli istinti particolari di caponaggine.

Vi parrà un paradosso la definizione che io sto per darvi:--il sarto
è un animale creato da Dio per lasciarsi _puffare_ da' suoi proprii
abiti.[4]

Ah! voi credete dunque che il sarto vi faccia credito pei vostri
begli occhi, pei vostri baffi inannelati e profumati? Vi ingannate a
partito. Se il sarto non ardisce presentarvi il conto, se il sarto
non vi importuna, non vi molesta per ottenere il pagamento, tutto ciò
proviene dalla grande stima, dal grande rispetto che egli professa per
gli abiti che aveste da lui. Più questi abiti saranno ricchi e costosi,
e più imporranno al vostro sarto.--Voi non lo avete pagato, non lo
pagherete mai--che importa?--Il sarto vedendovi passare col _paletot_
che egli stesso vi ha fornito, non potrà a meno di levarsi il cappello
e di inchinarsi fino a terra. Come gli sta bene quel _paletot_! pensa
egli--un _paletot_ da quattrocento franchi...! queste robe non le
portano che i grandi signori.... Anche lui senza dubbio è un grande
signore!

Cosi ragiona il vostro sarto.--Il giorno in cui le maniche del vostro
_paletot_ comincieranno a spiumarsi, il giorno in cui i vostri
pantaloni avran perduto la primitiva freschezza--tenetevi ben in
guardia! Il sarto a sua volta comincierà a diffidare, e per poco che
voi non lo abbiate prevenuto, egli sarebbe ben capace di presentarvi
la nota!--Non permettete mai che le cose giungano a tale estremo.
Quando il sarto ha cessato di sorridervi dolcemente, quando ne' suoi
inchini si palesa qualche stento, quando i suoi occhi sembrano accusare
di sbieco lo sdencio delle vostre stoffe, non vi resta tempo da
perdere.--Bisogna andargli incontro, bisogna sorprenderlo, commettergli
delle nuove vesti che importino la doppia, la tripla somma di quelle
che indossate. Il giorno in cui vi avrà rivestito, il sarto vi ridonerà
la sua stima e non avrete più nulla a temere da lui.

Colpita la prima vittima, le altre cadono da sè ai vostri piedi. Un
uomo elegantemente e riccamente vestito diviene _pufffista_ senza
volerlo--egli non ha più bisogno di organizzare i suoi _puff_; egli
li trova belli e fatti ad ogni passo del suo cammino, nella sua
anticamera, a fianco del letto.

Puffato il sarto, puffato il calzolajo, puffato il cappellaio, puffata
la guantaia, convien darsi premura di puffare un orefice, il quale
fornisca a prezzo di _puff_ una bella catena d'oro per l'orologio,
quattro o cinque anelli e tutti quei ninnoli che figurano cosi bene sul
_gilet_ di un _puffista_ come su quello di uno strappadenti. L'orefice
sarà più duro degli altri--conviene abordarlo con qualche cautela e
combatterlo coll'astuzia. Non sarà male che prima di passare a ciò
che, in linguaggio puffistico, si chiama la consumazione dell'atto,
procacciate di conciliarvelo frequentando il suo negozio in qualità di
dilettante. Un pò di erudizione in materia di pietre preziose potrà
assai favorirvi nel puffare un orefice.

Eccovi completo--oramai, per procedere nella grande carriera, non vi
resta che a procacciarvi un alloggio--il quale alloggio dovrà essere
quindi innanzi il punto centrale delle vostre operazioni--il _roccolo_
di quelle infinite varietà di _merli_ che Dio ha creato a bella posta
per farsi spiumare dal _puffista_.

Intendete fissare dimora per alcun tempo in una città?--In tal caso
vi consiglio ad uscire dall'albergo per prendere in affitto un
grandioso appartamento. Badate però che l'albergo rappresenta il
transito più sicuro per giungere ad un appartamento sulle ali del
_puff_. Quanto più ingente sarà il _puff_ che voi saprete piantare
nell'albergo, tanto più facile vi riuscirà l'impossessarvi del
primo piano di un palazzo senza compromettere la vostra dignità di
_puffista_.--Voi avete quanto si domanda perchè un albergatore si
lasci _puffare_ da voi. Non dimenticate gli accessorii, che sono
quattro o cinque valigie nuove, piene o vuote non importa, ma tali
che col loro peso facciano bestemmiare i facchini della ferrovia
e i mozzi dell'albergo. Se le valigie, per un capriccio del caso,
sono piene di mattoni, non obliate di chiuderle con una ventina di
lucchetti. Oltre alle valigie è necessario che nel vostro equipaggio
figurino dei forzierini misteriosi, quattro o cinque ombrelli legati
a fascio, due o tre bastoni dal pomo brillante; alle quali cose
potreste anche aggiungere, per maggior effetto, un pappagallo ed
un piccolo pincio. Non sarà male se appena entrato nelle stanze
dell'albergo, vi darete premura di sciogliere due o tre borse da
viaggio, per lasciare in mostra sul tavolo qualcuno dei vostri oggetti
di toletta.--Io mi ricordo che a Milano, all'albergo della Ville,
una volta mi accadde di produrre una sensazione incredibile, poichè
i camerieri, annunziando al padrone il mio arrivo, gli avevano detto
che da una borsa da viaggio io aveva cavati fuori quattordici, tra
spazzole, spazzoletti e spazzolini.--Possa quel buono ed onestissimo
albergatore della Ville serbare eterna memoria delle mie quattordici
spazzole, come io, nel regno dei beati ove sarò fra poco, non scorderò
mai che gli sono tuttavia debitore di tremila ottantotto lire e
venticinque centesimi.--In ogni modo, entrando in un albergo (ed è
inutile avvertire che questo albergo deve essere necessariamente il
più rinomato della città) conviene che il _puffista_ spari il suo gran
colpo.--Questo gran colpo potrebbe consistere nella straordinaria
larghezza delle mancie distribuite al _bromista_ ed agli scaricatori
delle valigie--o meglio ancora (ma questo stratagemma non può riuscire
che ad un _puffista_ di altissima levatura) nell'ordinare al padrone
istesso dell'albergo di rimunerare col proprio denaro le persone che
vi hanno servito. Ne' miei tempi migliori, mi accadde una volta,
scendendo alla stazione di Firenze, di trovarmi faccia a faccia con un
mascalzone il quale ebbe la temerità di ricordarmi un miserabile _puff_
di duecento cinquanta lire che io gli avevo piantato sei anni prima. Io
non teneva nel mio portamonete che la nota dei miei _puff_--figuratevi
qual imbarazzo, e quale pericolo! Quel mascalzone mi avea abordato
con famigliarità cosi plebea, che io non poteva esimermi dal pagarlo,
a meno di subire una pubblica vergogna e di screditarmi al cospetto
dell'universo.--Ridotto a mal passo, feci avvicinare quattro vetture
da piazza, una per me, l'altra pel mio pappagallo, la terza per un mio
domestico negro, la quarta per i miei dodici bauli, E fatto salire
nella mia carrozza il vile aggressore, ordinai che il convoglio si
dirigesse all'albergo della Luna. Al rumore delle quattro carrozze,
tutti i camerieri uscirono in massa nel cortile, e il padrone, venuto
fuori cogli altri, si sprofondava nell'inchinarmi. Io diedi agio a
tutti quanti di ebetizzarsi completamente alla vista delle mie dodici
valigie, del mio pappagallo e dello schiavo nero--poi, quando tempo mi
parve, abordai il padrone con piglio risoluto, e parlandogli in quella
lingua cosmopolita che è sempre di massimo effetto:--monsieur, gli
dissi, oreste vous un poco di monneta piccola? Quanto le abbisogna,
signore? due... tre franchi?... comandi!--_Mi abbisogna moneta
piccola... tanto come cinquecento franchi... in tanti piccoli pezzi
di napollion d'oro_!--L'albergatore numerò ancora una volta i miei
bauli, diede una occhiata al mio pappagallo ed al mio negro, e quando
ricorse al cassetto del banco e venne a me per portarmi i venticinque
marenghi--_adesso a te bon omo!_--dissi al birbone che mi stava a lato
per rinfacciarmi il mio _puff_--_a te duecento franchi e cinquanta
per tua bona familia che mi aver salvata la vita, e non dir niente a
persone se non voler bastonar_.

L'assassino vedendo quell'oro, spiccò due salti dalla consolazione e
corse via che pareva invasato. Dopo ciò, pagai lautamente i bromisti
e salii col corteggio delle mie valigie, agli appartamenti superiori.
In quel momento un organetto era venuto a fermarsi sotto le finestre
dell'albergo. Mi affacciai ai balcone, e gettando un marengo nel
piattello del suonatore--_io vi prego d'aller vous en!_... gli gridai
dall'alto,--_domani si tornar, altro donar!_....

Quel povero suonatore, che forse nella giornata non avea raccolto un
quattrino, si fece allora a ringraziarmi con tali parole e tali gesti,
che la gente si agglomerò nella via--e, chi è? chi non è? donde è
venuto?--in meno di quattro ore io divenni il soggetto di tutte le
conversazioni di Firenze. Quel marengo gettato al suonatore mi valse la
gloria di avere, in due mesi, piantato nella futura capitale del Regno
un _puff_ di quarantacinque mila lire pochi centesimi.



CAPITOLO VI.

=Del prestito=.


Ma l'arte di scegliersi l'appartamento difficilmente si insegna. È
un'arte di ispirazione, è uno di quegli istinti ammirabili, che il
supremo creatore dell'universo ha concesso ai _pochi chiamati_.

E qui mi conviene avvertire il piccolo _puffista_, il _puffista_
di secondo e di terzo ordine, che l'appartamento, quando non non
richiegga una spesa straordinaria (nel qual caso solamente è permesso
_puffarlo_), vuoi essere qualche volta pagato scrupolosamente.--Pagare
l'affitto di casa con puntualità e sollecitudine, è misura finanziaria
della massima importanza per chi vuoi _puffare_ con sicurezza di causa.
Con tale misura conquisterete un eccellente alleato per le vostre
imprese _puffistiche_--questo alleato sarà il vostro padrone di casa, a
cui si unirà validamente il vostro portinajo, se saprete conciliarvelo
con delle mancie generose....

Ma ecco qualcuno sorge a dire: come si si fa quando non si hanno
denari, a sostenere queste grandi spese di _impianto_? Come si pagano i
viaggi? il trasporto dei bagagli? gli affitti? le mancie?

Sicuro che del denaro, o poco o molto, bisogna farne circolare; e
quand'uno non ne ha di proprio, deve necessariamente procacciarsene
attingendo alla borsa degli altri.

Un _puffista_ che si rispetta non deve trovarsi mai in condizione da
non poter far fronte ai pericoli della sua professione. Bisogna che
egli abbia sempre nelle tasche il denaro di _semenza_ e il denaro di
_partenza_--o in altri termini: il denaro di _ingresso_ e il denaro di
_recesso_. Non è mestieri che io spieghi il senso di questa rime agli
arguti miei lettori.

Come si fa per aver denaro? Ai _puffista_ non si offre altra risorsa
che quella di chiederne a prestito.

Guardiamo intorno--esploriamo le fisonomie, studiando i caratteri,
calcoliamo le probabilità.

Innanzi tutto, prima di chiedere un prestito, è necessario aver
stabilita la certezza che la persona, alla quale siete per ricorrere,
possegga la _somma_.--Domandare dieci mila franchi a chi appena ne
possiede mille è la massima delle stoltezze.

Bisogna che la persona alla quale avete intenzione di batter cassa,
non possa mai dire con verità: mi spiace tanto, ma non sono in grado
di servirvi! Pur troppo (la società è tanto corrotta!) questa risposta
vien profferita alcune volte da individui, che potrebbero dare il
doppio ed il triplo della somma che loro viene richiesta!

Dopo questo precetto, che ha da formare la base della vostra operazione
finanziaria, io vi consiglio di attenervi scrupolosamente alle poche
massime generali che qui sotto vi trascrivo.

Astenetevi sempre dal domandare denaro per lettera quando possiate
chiederlo a viva voce. C'è uno stolto proverbio che dice: _la carta
non vìen rossa_--imbecilli! forse che la faccia di un _puffista_ può
cambiar colore più presto che la carta? E vi è forse ragione perchè
un _puffista_ abbia ad arrossire nel chiedere dell'oro ad un suo
confratello?--Fosse argento, fosse rame, fosse la vile moneta che si
getta all'accattone! ma l'oro!....

E poi: qual maggior prova di amicizia e di stima si può dare ad un
uomo che quella, di domandargli in prestito parecchie miliaja di
lire?[5]--Non è lo stesso che dirgli: tu sei ricco, tu sei grande, tu
sei potente, tu sei generoso?--Chi avrebbe ragione di arrossire sarebbe
il miserabile che non potesse corrispondere degnamente a questa grande
prova di fiducia che voi gli avrete accordata--o il vigliacco che non
potendo favorirvi, mendicasse delle scuse, o tentasse eludere il vostro
nobile disegno colle scappatoje o colle menzogne![6]

In linguaggio _puffistico_, questa operazione finanziaria del
chiedere a prestito si chiama _stoccata_. Sublime parola, che oltre a
rappresentare precisamente la idea, rivela anche il modo di tradurla in
fatto!

Non si può essere grandi _puffisti_ senza essere ad un tempo grandi
_stoccatori_!

Potete voi concepire un colpo di _stocco_ ben aggiustato e micidiale,
se questo non sia stato preceduto da lunga meditazione ed eseguilo con
coraggio e risolutezza?

Di tal modo si debbono compiere le _stoccate puffistiche_.

Stabilita la vittima, convien fissare il momento ed il luogo--e una
volta premeditato il piano di attacco, slanciarsi come il falco sul
pulcino.

In generale, le _stoccate puffistiche_, meglio che nelle mattutine,
riescono nelle ore pomeridiane, dopo il pranzo, e dopo la digestione.
Un uomo che ha ben pranzato e che ha ben digerito versa ordinariamente
in una crisi di buon umore, e si riduce facilmente, pel benessere che
prova egli stesso, a favorire quello degli altri.

Lanciato il vostro colpo, badate bene che la _vittima_ non si parta
da voi collo stocco nelle viscere. Convien ghermirla strettamente,
impedirle qualunque movimento, o per lo meno inseguirla fino a tanto
che essa non abbia versato il suo contingente di sangue metallico. Una
volta che la _vittima_ sia fuggita collo _stocco_ nelle viscere, vi
tornerà assai difficile il ghermirla nuovamente. Guai allo _stoccatore
puffista_ se il primo colpo gli va fallito!

Le _stoccate_ per sorpresa riescono meglio delle altre, ed io potrei
fornirvi, di ciò numerose prove dedotte dalla mia stessa esperienza.
Ma per chiudere umoristicamente questo capitolo, vi narrerò di una
ingegnosissima _stoccata di sorpresa_ compiuta in Marsiglia da un
puffista di quarta classe, il quale pe' suoi talenti avrebbe potuto
aspirare ai primissimi ranghi dell'ordine se l'indolenza del suo
carattere non avesse paralizzate in lui le altissime doti dello spirito.

L'arguto _puffista_ si chiamava Napoleone S... e viveva, come si suoi
dire, alla giornata, _stoccando_ gli amici e i non amici, i conoscenti
e i non conoscenti. Per oltre quarant'anni egli aveva condotta questa
beatissima vita di levarsi ogni mattina senza sapere come avrebbe
pranzato e dove avrebbe dormito alla sera. I suoi _puff_ non si erano
mai elevati oltre le strette necessità della vita; egli _puffava_ a
centellini, _puffava_ a moneta spicciola, e non era meno grande per
questo.

Un giorno Napoleone passeggiava sul ponte di Marsiglia a poca distanza
da un caffè ove bazzicavano ordinariamente i suoi connazionali.
Napoleone era italiano. L'ora si faceva tarda; nel caffè non c'erano
persone sulle quali il nostro _puffista_ potesse vibrare con effetto la
sua stoccata quotidiana!

Che si fa? L'appetito si aguzza e con esso anche l'ingegno _puffistico_.

Ecco un signore sbarcato recentemente da un battello a vapore.
Napoleone lo vede per la prima volta, non sa chi sia, nè da qual parte
egli venga. Non importa. È un signore riccamente vestito, un signore
che, _stoccato_ con garbo, darà necessariamente il suo spruzzo.

Napoleone si fa innanzi, aborda risolutamente la sua vittima, e
toccando leggermente il cappello, lo apostrofa con fuoco:

--La senta un po', caro signore: si tratta di una scommessa, della
quale bramerei che ella si degnasse farsi arbitro. Se qualcuno... io
per esempio... avesse bisogno al momento di un miliardo in numerario;
crede lei che sarebbe possibile, raccogliendo tutto il denaro dei
banchieri di Marsiglia, mettere insieme questa somma?

--Io... crederei, risponde l'altro con un certo sussiego; crederei che
per raccogliere una somma così rilevante ci vorrebbero per lo meno
cinque o sei giornate e fors'anche...

--Ebbene: diffalchiamo...! diffalchiamo pure! Se non si trattasse che
di cinquecento milioni di franchi?..

--Anche cinquecento milioni di franchi in numerario sarebbe un
po'difficile trovarli...

--E se uno avesse bisogno di cento milioni?

--Cento milioni... a dir vero...

--Ma via! restringiamo la cosa ai minimi termini... Se non si trattasse
che di soli cinque franchi... crede lei che sarebbe difficile...
trovare chi li sborsasse prontamente e...?

--Cinque franchi! esclama il forastiero con ingenua meraviglia; ma
qual è il miserabile che non possegga cinque franchi? e qual'è il
disgraziato che non troverebbe cinque franchi...?

--Ah! lei mi consola! lei mi risuscita, da morte a vita! esclama a sua
volta il puffista mutando registro di voce. Io mi trovo appunto nel
caso di aver bisogno cinque franchi per pranzare quest'oggi, e poichè
lei è così bene disposto a favorirmeli, profitterò volentieri della sua
offerta e le sarò infinitamente obbligato.

Il forastiero, vedendosi preso alle strette, e ammirando d'altra parte
l'arguzia dello stratagemma, portò la mano al taschino del _gilet_,
e trattone un bel marengo fiammante, lo lasciò cadere nelle mani
dell'arguto _puffista_.

Da quel momento Napoleone S... divenne il compagno indivisibile del
forestiero, finchè questi si trattenne in Marsiglia; e più volte questi
due individui così stranamente collegati da un azzardo _puffistico_,
furono veduti pranzare assieme all'_Hotel des Empereurs_. Inutile
avvertire che il mio Napoleone non fece mai torto al suo nobile
carattere di _puffista_, assumendo, neanche in minima parte la spesa
del pranzo!



CAPITOLO VII.

=Dei Creditori.=


Quel poeta che lasciò scritto:

  Non è credibile
    Quanto è terribile
    La vista orribile
    D'un creditor

doveva appartenere, nella gerarchia del regno _puffisttco_, all'infima
classe.

È vero--la vista di un creditore non è molto aggradevole--val meglio
vedere una bella figura di donna, ed anche, per chi si diletta di
uniformi, un ussero di Piacenza. Ma il grande _puffista_, il _puffista_
di prima classe non può mai sgomentarsi dell'incontro dì un creditore,
e in ogni modo, quand'anche un tale incontro avesse a cagionargli
qualche leggiero turbamento, egli saprebbe dissimularlo in tal guisa da
non rimanere compromesso.

Fra un creditore ed un debitore che si veggono, la situazione del primo
è mille volte più grave e sconfortante di quella del secondo.

Se fosse dato di penetrare in fondo al cuore dell'uno e dell'altro, vi
si leggerebbero due voti affatto opposti, ma non ugualmente terribili.

Il creditore, alla vista del suo debitore, è necessariamente assalito
da un atroce dubbio:--chi sa se costui potrà pagarmi!

Il debitore, al contrario, pienamente consapevole dei propri mezzi e
dei propri intendimenti, può dire con piena sicurezza:--io non pagherò
mai!

Ora, chi oserà sostenere che la situazione del primo non sia mille
volte più tormentosa che quella del secondo?

Ciò premesso, vediamo brevemente come debba comportarsi un abile
_puffista_ a riguardo del suo creditore.

È inutile avvertire che questo ultimo, rappresentando la parte
dell'individuo compromesso, è costretto usare tutte le cautele, tutte
le arti per non compromettersi davantaggio.

Egli non ignora che, per ottenere e facilitare il pagamento, non gli
conviene irritare, nè pregiudicare in veruna guisa il suo debitore.--Un
abile _puffista_ non deve mai obliare questa circostanza favorevole.

Appoggiato ad una tale considerazione, io ho sempre preferito il
sistema di trattare il creditore colle maniere più brusche, ricorrendo
anche alle minaccie in caso di reazione troppo viva.--Quanto minori,
da parte del creditore, le speranze di risarcirsi, tanto più mansueto
e più cortese egli suole mostrarsi, nella paura che, ricorrendo a dei
mezzi troppo energici, il debitore si vendichi col non pagarlo.

L'uomo che ha un credito da riscuotere somiglia in qualche modo ad un
innamorato. Egli ha bisogno d'illudersi; egli ha bisogno di credere che
tosto o tardi incasserà il suo denaro. Non avviene forse lo stesso ad
un uomo perdutamente invaghito di qualche beltà capricciosa ed altera?
Più questa si mostra sprezzante e crudele, più l'altro diventa umile e
servile. Che sarebbe di lui, se quella donna s'irritasse a tal punto,
da togliergli il conforto di vederla, di parlarle qualche volta, e di
potersi illudere per una mezza promessa o per un mezzo sorriso?

Ai piccoli _puffisti_, più che ai modi burberi e minacciosi, riescono
le facezie e le piccole sorprese.

Anni sono, quando a Milano faceva furore il caffè San Carlo, diretto
dall'incomparabile Beruto, fra gli altri _puffisti_, che frequentavano
il grandioso stabilimento, ci era un tal Mezzocapo, giovane
elegantissimo e già consideratissimo, malgrado la sua età ancora
fresca, nel grande regno del _Puff!_--Era già un anno che il signor
Beruto teneva aperti i suoi libri di credito a quel bravo e giustamente
celeberrimo _puffista_.

Un bel giorno, il grande e generoso caffettiere, rivedendo le sue
addizioni, si accorge che la somma dovutagli dal Mezzocapo è divenuta
eccedente, ed ecco il signor Beruto spicca la sua nota, ed il nostro
avventuroso _puffista_ si trova in mano una lettera che lo invita al
pagamento.--Il giovine non si turba per questo--lancia un'occhiata
altrettanto sicura che sdegnosa alla cifra totale del suo debito--e
volto al padrone del caffè un sorrisetto di protezione, gli dice nel
tono più affabile: «Aspettate un istante..., io aveva già pensato
a voi.... a momenti ritorno.» Ciò detto, il mio _puffista_ esce
dalla bottega, rimane assente per alcuni minuti, e rientrando poco
dopo, si accosta nuovamente al Beruto con un piccolo involto nelle
mani.--Oh! non c'era premura! esclama il padrone del caffè, supponendo
bonariamente che l'altra gli portasse il denaro.--No! no! risponde
il Mezzacapo--a me piace che le cose procedano regolarmente... Io ho
bisogno che lei continui a tener nota del mio consumo per un altro
anno; ma siccome vedo che la nota è già lunga, e che lei potrebbe
aver bisogno di penne, così gliene ho procacciato io una piccola
scatoletta... Eccole! Sono cento penne in acciajo... della prima
qualità... Io credo che le basteranno... in caso diverso mi farò un
dovere di portargliene delle altre!»--L'argutissimo proprietario del
caffè San Carlo fu disarmato da questa facezia, e riaperse le sue
partite di credito al _puffista_ fino al giorno in cui questi ebbe ad
emigrare da Milano per cause... non politiche.

Sono rarissimi i casi di creditori i quali abbiano avuto la
sfrontatezza di aggredire i loro debitori in luogi pubblici e di
suscitare, colla loro brutalità, degli inutili scandali. Pure anche il
più abile dei _puffisti_ può incorrere un tale pericolo.

In tali casi non vi è che un solo mezzo per salvarsi--opporre
sfrontatezza a sfrontatezza, minaccie a minaccie, scandalo a scandalo.

Nell'anno 1848, allorquando, rientrati gli austriaci, Milano era
soggetta agli immani rigori dello stato di assedio, un tal Mauro
usurajo si avvisò un bel giorno di aggredire villanamente sotto il
Coperchio de' Figini un amico e discepolo mio distintissimo, certo
Angelo Soderini, grande fabbricatore di _puff_ e di cinti meccanici.

--Ah! vi trovo finalmente... Ora non mi scapperete!... grida l'usurajo
affrontando villanamente la sua vittima.

--Zitto!... vi prego... parlate sotto voce! mormora il Soderini con
accento supplichevole.

Ma vedendo che l'altro non era disposto a smettere il tono di minaccia,
e che c'era pericolo d'una brutta scena, il Soderini, pigliando
risolutamente il sopravvento e levando a sua volta la voce: «Io vi
dico, signore, di ritrattare le brutte parole che avete pronunziate,
gli grida--vergogna! insultare al capo dello Stato!... parlar male del
nostro augustissimo e clementissimo Imperatore!... del nostro caro ed
amato Francesco Giuseppe...»

--Cosa c'entra l'Imperatore? Cosa c'entra il governo? Chi si è mai
sognato di parlare di politica?... Io vi dico di pagarmi...

--Ed io vi dico di finirla! riprende il Soderini rinforzando la sua
voce di tre gradi--ah! voi siete uno di quelli che vorrebbero ancora i
Piemontesi!... voi volete la repubblica!... Io vi dico che se non la
finite di parlar male del governo...

Il tristo usurajo, non riuscendo a soperchiare la voce del suo
debitore, e vedendo d'altra parte che si avvicinavano due poliziotti,
i quali avrebbero potuto arrestarlo come un ribelle, non trovò miglior
partito che quello di darsela a gambe, nè mai più da quel giorno egli
osò ritentare la barbara prova di esigere i suoi crediti col sistema
degli scandali e delle pubbliche minaccie.

Uno dei migliori mezzi per ammansare la _belva_ (e in linguaggio
_puffistico_ chiamasi _belva_ il creditore dal giorno in cui questi
concepisce l'assurda idea di farsi pagare) è quello di rincarire la
somma del di lui credito, allettandolo colle attrattive di una grossa
commissione o sorprendendolo colla richiesta di un maggior prestito.

Mi spiego.--Il vostro creditore viene a farvi una visita--voi lo
incontrate per via. Ne' suoi sguardi, nel tono della sua voce,
nell'esitanza del suo contegno, voi leggete il feroce proposito di
presentarvi una nota o di domandarvi un rimborso. Non dategli tempo
di avvicinarsi--non permettete ch'egli profferisca una parola--prima
ch'egli si metta in posizione di vibrare il terribile colpo,
slanciatevi su lui, afferratelo a due mani per la gola, e sbalorditelo
con un colpo di testa.

È un sarto?--bravo; ben venuto! vi aspettava... ero sul punto di
recarmi da voi! ho bisogno di un paletot, di un soprabito, di tre o
quattro pantaloni di capriccio, di una mezza dozzina di _gilet_...
posso io contare sulla vostra sollecitudine?... e poi c'è un mio
amico... un barone... un marchese... un milionario... che vorrei
raccomandarvi. Badate che gli è buon pagatore... ma talvolta, come
tutti i grandi signori, fa attendere un poco il denaro... Noi altri non
si mette mano alla borsa per delle inezie--dunque: siamo intesi!...
patti chiari... amicizia lunga... e frattanto portatemi le stoffe e
servitemi a dovere!

Questo modo di sorprendere il creditore è di un effetto immancabile.

Se si tratta di un creditore che vi abbia prestato denaro, voi non
avete a far altro che domandargli una somma tre volte più grande di
quella che gli dovete.--Le persone che prestano il loro denaro ad un
_puffista_, sono quasi sempre di una ingenuità adorabile!

Vi narrerò un fatterello che forse potrà sembrarvi incredibile. Io
doveva, nei primordi della mia carriera _puffistica_, la miserabile
somma di lire duemila ad un dabben usurajo di droghiere, al quale avevo
rilasciata una cambiale.

Quattro o cinque giorni prima della scadenza, il buon uomo si recò a
trovarmi una mattina colla intenzione di ricordarmi il mio impegno.

--Voi giungete a proposito! mi affrettai a dirgli con voce
desolata,--io stava per recarmi da voi onde pregarvi di un piccolo
favore. Fra cinque o sei giorni io debbo pagare duemila franchi per una
cambiale da me accettata or faranno due mesi in favore di qualcuno...
di cui non mi ricordo il nome. Io so di dovere questa somma... ho
notato sul mio portafogli l'epoca della scadenza, ma per quanto io vi
abbia pensato, non sono riuscito a sovvenirmi della persona che mi ha
dato quel denaro..». Orbene, in seguito ad una grave perdita di giuoco,
io mi trovo sprovveduto pel momento.... e vi assicuro che se io non
potessi soddisfare al mio impegno per l'epoca fissa, ne morirei di
vergogna!... Figuratevi!... Disonorarmi!... perdere il credito per una
miseria di duemila franchi--un par mio!--un cavaliere di onore!... Alle
spiccie: potete voi prestarmi cinque o sei mila lire da restituirvi fra
una ventina di giorni?

--Ma la cambiale di cui parlate è forse quella che io tengo in mano...
e che avete accettato in mio favore or saranno sei mesi...

--Dite davvero?... Possibile!... Ah!... voi mi date la vita!... Ed
io che credeva... Ma sicuro!... Vedete se io sono uno smemorato...
Siete voi... proprio voi... che mi ha fatto avere quelle due mila
lire saranno appunto sei mesi... Non potete credere come io mi senta
sollevato da questa notizia!...

Così parlando mi gettai nelle braccia del mio droghiere, e lo baciai in
fronte più volte come fosse il mio angelo salvatore.

Dopo molte parole da una parte e dall'altra, insistendo io nel
chiedergli il nuovo prestito di cinquemila franchi, egli mi usci fuori
con questa ingenua domanda: «ma e la cambiale che scade il giorno
quindici, siete voi disposto a pagarla»?

--Se sono disposto!--credete voi che se non avessi intenzione
di pagarla, ricorrerei alla vostra gentilezza per la somma in
questione?... Ma è appunto per far onore alla mia firma, per mostrarmi,
quale fui sempre, uomo leale ed esatto, che ora chieggo questo piccolo
prestito di cinque mila franchi.

Il dabben uomo, credendo scorgere in questo tratto una prova
irrefragabile della mia onestà e puntualità commerciale, non si fece
altro pregare ad accordarmi il favore richiesto.

In quel giorno stesso io ebbi dal droghiere l'intera somma, della
quale una parte mi servì poi a pagare la cambiale che egli venne a
presentarmi dopo cinque giorni, e l'altra parte mi servì di base ad un
grande piano _puffistico_, del quale sarebbe troppo lungo il parlare.

Io chiuderò questo capitolo riportando tre versi, che un _puffista_
assennato deve sempre aver presenti ogni qualvolta gli venga sporta
una nota da pagare o chiesta la restituzione di un capitale tolto a
prestito:

  A pagar non sii corrente,
    Potrìa nascer l'accidente
    Che finissi col pagar niente.

Sono versi un po'volgari, ed anzi l'ultima cresce di un piede.

Questo piede che cresce, potreste all'occasione regalarlo alle natiche
dei vostri creditori.--A giudizio di molti pratici, questo è ancora il
miglior modo per sbarazzarsi della vile genia!
. . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . .



CAPITOLO ULTIMO.


Ciò che abbiamo stampato fin qui, è opera di Roboamo Puffista, di quel
grande e insuperabile _piantatore di puff_, che ha lasciato nelle più
vaste e popolose metropoli di Europa un'orma incancellabile del suo
passaggio.--L'esistenza di quest'uomo insigne fu pari a quella di
certi serpenti che, a dire dei naturalisti, dappertutto ove strisciano
abbruciano l'erbe.

È doloroso che questo filosofo profondo non abbia potuto compiere il
suo libro, rapito, com'egli fu, da morte immatura nell'ospedale dei
Frati _Fate-bene-fratelli_.

L'ultime parole ch'egli ebbe a profferire al termine di un'agonia
dolce e serena, come suol essere quella degli uomini giusti che hanno
impiegato degnamente la loro esistenza o che sono certi di lasciare
una indelebile ricordanza alla posterità, furono le due strofe che qui
riportiamo:

  Vissi _puffando_ il prossimo;
    Ora, a morir vicino,
    Vorrei _puffar_ le esequie
    Al prete ed al becchino:

  Genio del _puff_ assistimi!
    Che d'ogni impresa mia
    Questa è la più difficile,
    _Puffar_ la sagrestia!

Con questi versi sul labbro, moriva Roboamo Puffista. Come ognun vede,
fino agli ultimi istanti della vita, quest'uomo ammirabile si mantenne
fedele alla santa causa del _puff_!

Egli fu sepolto senza pompa, nel silenzio della notte. I suoi
correligionarii non seppero della sua morte che quando non erano
più in tempo a prestargli i dovuti onori. Se i fratelli fossero
stati avvertiti in tempo debito--noi avremmo veduto quanto vi ha di
meglio in Milano, nell'alta aristocrazia del blasone, del commercio,
dell'industria, delle scienze, delle lettere e delle arti, accompagnare
all'ultima dimora il confratello....._puffista!_

Povero Roboamo! che i creditori ti siano leggieri!

FINE.



=NOTE=

DI

ZEFFIRINO BINDOLO.


[1] Nel più ingenuo paese che prosperi in Europa sotto il sole della
civiltà, gli ottusi che leggono senza comprendere sono in numero
sterminato. Quando apparve per la prima volta nel poco ammirabile
paese l'opuscoletto di Roboamo Puffista, i volghi letterati urlarono
allo scandalo, e il clamore della indignazione esplose così impetuoso
e brutale, che i venditori girovaghi di stampati, atterriti dalle
invettive, riportarono all'editore le copie dello incriminato volumetto
protestando di non voler più oltre prestarsi allo spaccio della merce
abbominevole. Allarmarsi per un titolo, condannare un libro prima di
leggerlo e riprovarlo senza averlo compreso, son casi che avvengono
ogni giorno, laddove l'intelligenza umana, evirata dai gesuiti e
dai pedanti, è inevitabilmente condotta ad incaponire. Benedetta la
Francia! benedetta la nazione dello spirito e della tolleranza, dove si
possono scrivere e pubblicare dei libri intitolati: _L'arte di rendersi
antipatico,_ _L'arte di ingannare il prossimo_, _L'arte di rubare,_
ecc, ecc. senza incorrere la scomunica dei citrulli. Nell'opuscoletto
di Roboamo Puffista, che è da capo a fondo una satirica ironia,
diretta a smascherare la frode, si contengono delle osservazioni le
quali importerebbero un più serio sviluppo. Vi siete mai chiesti se
il debito sia un crimine, o in quali casi lo sia, e come avvenga che
nell'ordine delle moderne istituzioni, la condizione inesorabilmente
imposta a tutti gli enti individuali e collettivi, è quella di doversi
indebitare? Avete mai considerato che il debito, nell'abominevole
condizione creata dalla società a milliaja e milliaja di individui
diseredati, rappresenta l'unica valvola di salvezza fra la disperazione
e il delitto?

Credete voi che il _puffista_, se questa valvola si chiudesse, non
si darebbe al ladroneggio, fors'anco all'assasinio? Allorquando i
governi ed i popoli ignoravano la grand'arte di reggersi sul debito,
non avvenivano più frequenti le invasioni, le guerre di conquista
brutalmente coronate dalla rapina e del saccheggio? Provatevi un poco,
o citrulli, a procedere su questa via di considerazioni; vedrete
allora, capirete forse, ciò che in altri paesi meno gaglioffi fu capito
da un pezzo, che l'ironia e la satira vestite delle apparenze più
frivole, sono le lanterne magiche dalle quali si sprigiona la luce più
atta a porre in evidenza le verità meno apparenti o meno esplorate.

[2] Evidentemente, l'opuscolo dell'ottimo Roboamo fu scritto in
quell'epoca barbara, quando ancora esisteva, a frenare la baldanza
del _puffismo_ invadente, lo spauracchio dell'arresto personale. Noi
dobbiamo a Napoleone III, imperatore dei francesi, l'iniziativa della
provvida riforma che emancipò i debitori dalle antiche tirannidi del
codice commerciale. Quando le nuove franchigie vennero proclamate in
Francia, l'onorevole corpo accademico dei reclusi di Clichy improvisò
una splendida luminaria. La Bastiglia dei debitori era demolita, e il
santo diritto del libero _puff_ affermato all'umanità. La costituzione
del secondo impero era basata sul _puff_; fino a quando Napoleone III
tenne le redini dello Stato, i _puffisti_ ottennero protezioni, favori,
privilegi. Via! Non disconosciamo i benefizii resi da quel potente
sovrano alla causa dei diseredati! Sulla base del monumento che fra
poco vedremo erigersi in Milano alla memoria di Lui, proporrei che si
scolpisse l'epigrafe:


                                   A
                            =NAPOLEONE III=
                       I PUFFISTI RICONOSCENTI.


[3] Quand'io faceva il mio corso di studi all'università di Pavia, un
_puffista_ quasi imberbe, che ebbe poi a segnalarsi in Europa colle
sue grandiose strategie, esordiva nella carriera con una saporitissima
burla, della quale si parla ancora oggidì con ammirazione sotto i
portici dell'Ateneo torinese. Al nostro giovane eroe, testè laureato
nelle matematiche, occorreva, per ripatriare decorosamente, un pajo di
stivali. Gli mancavano pochi spiccioli per procacciarsi quel lusso di
calzatura, una miseria!--dodici.... quattordici lire. Che si fa? Si fa
così: sentite questa che è proprio bellina!--Si va da un calzolajo,
gli si ordina un bel pajo di stivali, a patto ch'ei debba recarveli
al domicilio, il tal giorno, alla tal'ora. Poi, si entra in un'altra
bottega e ad un altro calzolajo si replica la commissione. Al primo
si dice: sarò in casa ad attenderti alle dieci; all'altro si ingiunge
di venire alle dodici. Il giorno stabilito, allo scoccar delle dieci,
arriva cogli stivali il primo calzolajo. Lo studente li calza, encomia
la fattura, si mostra pienamente soddisfatto; ma poi, levandosi in
piedi e contrafacendo le grinze di un addolorato--vedi s'io fui bestia!
esclama battendosi la fronte: quando mi feci prendere la misura,
ho scordato di dirti che qui, sul piede sinistro, ho una maledetta
ingrossatura... Senti, figliuolo mio, se tu riportassi via lo stivale e
lo tenessi in forma sino a domani... non ti pare..?--La servo subito,
risponda il dabben Crispino; si metta a sedere, dia qua...! Dall'altro
piede non soffre? --Niente affatto! la calzatura mi va come un
guanto.--Tanto meglio! E il buon uomo se ne va collo stivale sinistro
sotto il braccio, promettendo di riportarlo l'indomani all'istess'ora.
A mezzodì arriva l'altro calzolajo. Da parte dello studente le stesse
grinze, le stesse contorsioni nel provarsi gli stivali; ma questa volta
la ingrossatura non è, come poco dianzi, al piede sinistro; lo stivale
che vuol essere allargato è quello che corrisponde al piede destro. Sta
bene! Lo terrò in forma fino a domani, e verrò a riportarglielo all'ora
che crede.--Alle dieci: ti pare?--Alle dieci! Viene il domani. I due
calzolaj all'ora fissata salgono le scale che conducono al domicilio
dello studente e si arrestano entrambi dinanzi alla stessa porta,
ciascuno col suo stivale sotto braccio.

--Chi cercano? domanda la signora della casa, presentandosi--lo
studente B..., rispondono ad una voce i due calzolaj.--Partito jeri
sera per Cremona.--Diamine! Io doveva portargli questo stivale...--E
anch'io...!--I due Crispini spalancano tanto d'occhi.--Quando tornerà
il signor B...?--Dio sa quando! forse mai, rispondo la signora; ha
compiuto i suoi studii, ha ottenuto la laurea, non occorre chʼegli
torni.

--Ma io....!--Ma io!--esclamano allʼunissono le due vittime,
sollevando lo stivale. Non ha lasciato il destro?--Non ha lasciato il
sinistro?...--Io ne so nulla, dice la signora, che ha già indovinata
la strana burletta perpetrata dal suo arguto inquilino; ciò che io
so, è chʼegli è partito con un bel pajo di stivaletti nuovi, così
nitidi e lucenti che abbagliavano a vederli.--Finalmente anche, i due
malcapitati calzolaj compresero ciò che era forza comprendere.

--Col mio stivale destro..., disse lʼuno.

--Col mio stivale sinistro..., soggiunse lʼaltro.

--Si può ancora formare il pajo.

--Verissimo... Non ci resta che ad accoppiarli... È quello appunto
che ha fatto il nostro birbo committente.--I due calzolaj eran stati
minchionati così bene, che passato il primo bruciore, risero insieme
più volte della mala ventura loro occorsa.

       *       *       *       *       *

Quantunque assai noto, perchè più recente, merita di passare ai posteri
il brillante episodio _puffistico_ dal quale ebbe origine il motto:
_el gha gamba bonna_; motto che a Milano suol ripetersi ogni volta
che sia in gioco la strategia di qualche matricolato furbacchione.
Anche in questo caso la vittima fu un calzolajo. Un giovanotto
decentemente vestito entra in una bottega sulla corsia del Broletto
e domanda un pajo di stivaletti.--Veda un poco se questi gli vanno!
disse il padrone di bottega.--Lʼaltro, si prova a calzarli, si leva
dal sedile, divincola il piede, fa qualche passo... ottimamente! non
cʼè che dire.--Dʼun tratto balza nella bottega, uno sconosciuto, si
slancia contro il giovane dagli stivaletti, gli applica alla guancia
un sonorissimo schiaffo, e via di corsa.--Aspetta che ti acconcio io
per le feste! grida lo schiaffeggiato, uscendo furioso dalla bottega
e dandosi ad inseguire lo sconosciuto. Il calzolajo ed i fattorini
accorrono in sulla porta per vedere come la vada a finire.--I due fanno
a chi più corre, e allo svolto di una contrada scompariscono.--Lo
raggiungerà! lo raggiungerà! esclama il dabben calzolajo; quel briccone
corre lesto, ma anche lʼaltro è di buona gamba!--Infatti i due sozii
corsero tanto e con lena siffatta, che nessuno ebbe più nuova di loro
nè degli stivaletti elegantissimi che lʼun dʼessi si era procacciati
con quellʼaudace stratagemma.

[4] Se la parca inesorabile non avesse troncato innanzi tempo il filo
deʼ suoi giorni e delle sue opere immortali, lʼautore del presente
opuscolo avrebbe indubbiamente dettato degli stupendi precetti ai
_puffisti_ sulla maniera di redigere il loro epistolario. Si vuole
unʼarte finissima, si vuole una rettorica speciale per intrattenere
coi creditori una profittevole corrispondenza epistolare, per
rispondere alle lettere, talvolta volgari e atrocemente irritanti
che ordinariamente accompagnano le note dei fornitori insubordinati.
Si tratta di ammansare una belva. Con poche linee di scritto,
contrapposto ad una grossolana intimazione di salumiere o di macellajo,
si riesce talvolta ad ottenere che un libro mastro, già saturo di
addizioni illiquidabili, si riapra per un credito illimitato. Questo
genere di eloquenza non si insegna nelle scuole, non trova esempi
nei trattati; è lʼeloquenza del genio _puffistico_. In certi casi,
si tratta semplicemente di indirizzarsi al cuore e di commuovere;
talvolta convien ostentare meraviglia e disdegno, opporre alla minaccia
il risentimento, allʼarroganza lʼinsulto. Gli argomenti derivati
dallʼidealismo umanitario, rilevati dalle più assurde astruserie, dalle
più stravaganti insensatezze, è ben raro che falliscano allo scopo.
Nullameno, io sono dʼavviso, che a meno di aver raggiunta la più alta
meta cui possa aspirare, un _puffista_ di prima classe, il sistema
epistolare da preferirsi sia quello che si indirizza al sentimento, che
mira ad ispirare una simpatica e generosa commozione. Con tal metodo
il mio giovane amico D. B. ottenne, durante la sua dimora a L..., dei
risultati ammirabili. Trascriverò, ad esempio del genere, la breve
lettera da lui indirizzata ad un salsamentario, il quale aveva osato
alla fine dʼanno mandargli una nota di lire trecento:

  «Pregiatissimo Signore,

 «Al capezzale della mia povera vecchia madre morente, ho ricevuto la
 vostra lettera, che mi ricorda un sacro dovere. Appena avrò un poʼdi
 testa... per esaminare... per confrontare... ecc. ecc... appena la santa
 donna, che mi vuol sempre vicino, sarà uscita di pericolo, io correrò da
 voi per regolare le partite. Frattanto, credete ai sensi ecc.»

  Vostro devotissimo
        D. B.

Una lettera quasi identica spedì a quella medesima epoca il nostro
_puffista_ esordiente agli altri suoi creditori. Questi non osarono
rinnovare le istanze, e attesero con giorno, lʼamico D. B. abbandonò
_insalutato hospite_ la città dove avea vissuto lautamente per un anno;
probabilmente la povera santa vecchia era guarita, ma i creditori non
ebbero motivo di rallegrarsene.

       *       *       *       *       *

Prima di ricorrere alla rettorica esacerbante delle insolenze, un
abile e prudente puffista deve aver esaurite tutte le pratiche
ammollienti. Lʼimpressione più istantanea e più naturale che deve
prodursi nellʼanimo cavalieresco di un _puffista_ al vedersi dinanzi
la nota impertinente di un creditore, è quella di un olimpico stupore.
Un personaggio alto locato, che si atteggia da principe, da barone, da
marchese, che si fa chiamare sua eccellenza il sig. commendatore ecc.
ecc., non può a meno, di atteggiarsi a meraviglia al vedere che un
miserabile subalterno osa importunarlo per una inezia. Mille, duemille,
ventimille lire, non rappresentano infatti, per un principe russo, per
un ammiraglio peruviano, altrettante cifre impercettibili? Qual vʼè
somma tanto ingente che passando pel lambicco aritmetico di un debitore
insolvibile, non si pareggi ad uno zero?

--_Tiens! Tiens!_ esclamava un francese puffista (sono famosi!) ogni,
volta che un creditore commetteva lʼirriverenza di presentargli una
nota. E quel monosillabo, profferito con accento di sorpresa, saldava
la partita.

Ordinariamente, nel rispondere alle sollecitazioni dei fornitori più
impertinenti, i grandi puffisti si appigliano al seguente formulario:

  «_Pregiatissimo Signore_,

 «Ho lʼonore di informarvi che la nota da Voi speditami in data...
 ecc. ecc. lʼho trasmessa oggi stesso al mio amministratore, perchè
 più sollecitamente che per lui si possa, come di ragione, provveda al
 pareggio. Tanto; per vostra norma, e mi dico

  «Barone di PUFFARDARA ecc. ecc.»

Naturalmente, il creditore si consola e lascia passare una quindicina
di giorni prima di ripetere lʼattacco. La risposta che i baroni di
Puffardara sogliono contrapporre alla seconda richiesta, è scritta su
per giù in questi termini:

 «Con mia somma meraviglia vengo ad apprendere dalla S. V. che il mio
 amministratore non ha finora provveduto a mettersi in regola con voi.
 Mi piace attribuire ad un obblìo questa irregolarità di condotta del
 mio uomo dʼaffari, anzichè sospettare in lui una negligenza colpevole.
 Questa sera lo farò chiamare nel mio gabinetto, e in ogni caso, gli
 ricorderò i suoi doveri. Aggradisca ecc. ecc.»

Ecco unʼaltra dilazione spontanea, ottenuta con quattro linee di
scritto. È raro il caso che un barone di Puffardara debba replicare
ad una terza lettera della vittima. Quando ciò avviene, la frase
dellʼesordio è sempre questa: «Ho dato al mio amministratore una
buona lavata di testa per la sua colpevole trascuranza ed ho
minacciato di licenziarlo se entro la settimana ecc. ecc.» Entro la
settimana, il barone si licenzia dalla città nelle ore mestissime del
crepuscolo--abbandonando ai numerosi clienti la cura di amministrare i
suoi _puff_ a tutto loro agio.

       *       *       *       *       *

Le frasi ad effetto, che intontiscono chi legge, rare volte falliscono
allʼintento. Recherò un solo esempio. Anni sono, quando io conduceva a
Milano la vita sbrigliata dello scapolo, un giovane poeta e romanziere,
dotato di molto accume puffistico mi pregò lo presentassi ad un sarto
acciò questi gli fornisse un abbigliamento completo da pagarsi in rate
mensili. Gli abiti in men di tre giorni furono allestiti e consegnati,
ma i mesi trascorsero, trascorse lʼanno, e il poeta romanziere, assorto
nella sue divine fantasticherie, sdruscì le stoffe prima di averle
pagate. Naturalmente, il sarto gli scrive. Il poeta, che per caso è
anche gentiluomo, risponde, e siccome la cortesia delle risposte non
è mai avvalorata di qualche spicciolo, lʼepistolario si prolunga per
parecchi mesi. Un giorno il dabben sarto si reca da me. Veda un poco,
mi dice, che razza di istorie mi vien contando quel signor poeta da
Lei raccomandato! Così parlando, mi presenta una lettera. Nelle prime
linee, lʼamico faceva le sue scuse, parlava di gravi e urgenti impegni
pei quali aveva dovuto sprovvedersi di ogni suo avere, chiedeva nuove
proroghe al pagamento. Ciò che aveva colpito il sarto--ed io pure,
lo confesso, ne rimasi colpito--era la chiusa della lettera--«Io vi
ho esposti, concludeva lʼamico poeta, con schiettezza da galantuomo
le tristi condizioni nelle quali verso attualmente; ma se questo non
bastasse ad impetrarmi grazia, se fosse intento vostro di continuare a
vessarmi con visite e con scritti impertinenti, allora sarò costretto a
rammentavi che _voi siete sarto, e che, una volta accettata la missione
di sarto, avete lʼobbligo di vestire lʼumanità_.» Non vi par questo uno
di quei motti sublimi di insensatezza che sfidano la dialettica più
ardita, che ottundono il cervello più arguto? Io mi dichiarai incapace
di confutare lʼamico, e il povero sarto non osò per alcun tempo
riprendere i suoi attacchi contro un uomo sì fortemente trincierato
negli argomenti del diritto naturale.

[5] Chieder denaro a prestito a mezzo di lettera non è tattica da
_puffista_ distinto, a meno che la domanda non sia stata preceduta da
abili strategie, le quali escludano ogni probabilità di un risultato
negativo. Un celebre artista da teatro, del quale sopprimo il nome, mi
narrò a tale proposito una graziosa storiella che amo qui riferire ad
edificazione di chi intende iniziarsi alla grandʼarte.--Ero giunto da
pochi giorni a Milano (ripeto testualmente le parole dellʼamico) per
dar principio ai concerti della mia nuova opera destinata alla Scala.
Un bel mattino, mentre stavo abbigliandomi, sento bussare allʼuscio
della mia camera.--Chi e là?--Era un garzonetto con una lettera alla
mano. Getto gli occhi sulla soprascritta--diamine! son caratteri
noti!... i caratteri del mio _quondam_ amico X. Diamine! Che vorrà
dire?--È dʼuopo sapere che con questo signor X, letterato e giornalista
di qualche fama, io mʼera due anni prima bisticciato a cagione di
non so quali sue polemiche. Dʼallora in poi era cessata ogni nostra
relazione; non ci eravamo più veduti, non ci eravamo più scritti.
Comprenderai la mia sorpresa al ricevere una sua lettera.

Ecco di che si trattava:

  «_Mio caro D._....,

 «Oggi ricorre lʼanniversario della mia nascita, è il giorno delle
 ricordanze soavi, il giorno delle dolci espansioni. Voglio, allʼora
 del pranzo, avere intorno alla mia mensa tutte le persone a me care.
 Ho invitato i parenti e gli amici--nessuno mancherà. Orbene: Che vuoi?
 Questa mattina appunto mi venne detto che tu eri a Milano. Ho provato
 una stretta al cuore. E il primo pensiero che mi sovvenne fu questo:
 anchʼegli... una volta... era deʼ nostri!... Non ho saputo resistere...
 Ho preso la penna e ti ho scritto..; Via! Ti stendo la mano... Confesso
 dʼaver avuto dei torti... Forse qualche torto... vi fu anche da parte
 tua... Ma dunque? Sʼha proprio da troncare una vecchia amicizia...!
 Qua la mano, mio buon Peppo; prometti che oggi alle quattro (alle
 quattro precise, bada bene--poichè i risi alla veneziana, che ti
 piacciono tanto, non mancheranno) tu sarai qui, seduto alla mia tavola
 al posto dʼonore... al fianco mio, al fianco di mia moglie, in mezzo
 ad una corona di amici che brinderanno alla nostra riconciliazione.
 Tu verrai... tu sarai dei nostri, non è vero?--Due soli motti al
 fattorino--ed io conterò questo fra i più lieti anniversarii della mia
 vita. «Col cuore, proprio col cuore:

  «Tuo affez. X.»

Una strana commozione si impossessò di me al leggere quello scritto--tu
sai come Dio mi ha fatto--ho proprio sentito una lacrima scorrermi
sulle guancie.--Il mio buon... X! Ma presto!... chʼegli non soffra...
nellʼincertezza!--Detti mano alla penna e vergai di fretta la risposta:

  «_Mio caro X._...,

 «Ma... figurati!... toccava a me...! tutti i torti eran miei... ti
 domando mille scuse... Non dubitare... Alle quattro sarò da te...
 Ah! sʼio sapessi di qual modo attestarti la mia gioja, la mia
 riconoscenza!.. Chiedi, domanda... Io sono ancora lʼamico di una
 volta!... Oggi... a tavola discorreremo... Non dubitare... sarò
 esatto... Hai pensato anche ai risi...! Bravo amicone! A ben vederci,
 fra poche ore... Intanto quattro baci grossi... grossi... di quelli che
 vanno in fondo dellʼanima dal

  «Tutto tuo G. B.»

Consegnai la risposta al fattorino, che partì come una freccia. Ero
proprio contento. Saltellavo per la stanza come avessi guadagnata
un terno al lotto--e già avevo divisato di spendere una trentina di
lire per un bel mazzo di fiori da inviare alla signora, quando il
fattorino mi comparve di nuovo nella stanza e mi porse unʼaltra lettera
dellʼamico:

  «_Mio amatissimo G. B._,

 Non puoi immaginare qual festa abbiamo fatto, mia moglie ed io, al
 leggere la tua amabile risposta! Sempre pari a te stesso!... Una gran
 mente e un gran cuore!--Vuoi subito una prova della fede che noi
 riponiamo nella tua schiettezza e nella tua generosità? Tu mi scrivi
 laconicamente: _chiedi, domanda_... Ed io, senza esitare un istante,
 _chiedo... domando_. Puoi tu farmi avere, dentro oggi, prima delle
 quattro, un biglietto da lire cinquecento? Tu lo puoi, senza dubbio, e
 quindi me li spedirai subito a mezzo del fattorino... Dopo questo, a
 rivederci alle quattro. Ti prepariamo una ovazione.

  «Il tutto tuo, ecc.»

Tutto caldo, comʼero, di entusiastica commozione, chiusi, senzʼaltro
riflettere, in un involto la piccola somma e la inviai allʼamico. Poi,
alle quattro, mi recai, come avevo promesso, a pranzare da lui. Dio!
quali feste! quale accoglienza da parte di tutti! Fui collocato al
posto dʼonore. Fui colmato di amorevolezze. Alla frutta, cominciarono i
brindisi e le declamazioni. Ma al momento, in cui lʼallegria generale,
fomentata dallo sciampagna, toccava il colmo, una cupa tristezza si
aggravò sul mio spirito, il sorriso si dileguò dal mio labbro, divenni
mutolo ed imbronciato. Non riuscivo di cavarmi dalla mente questa idea
fissa: Questo pranzo eccellente, questi vini squisitissimi, sei tu, o
minchione, che li ha pagati--e forse lʼamico si burla di te nel segreto
del cuore, e ride della tua dabbenaggine!

Ed ecco di qual maniera, un grande ed esperto _puffista_ può, anche
a mezzo dellʼepistolario, spostare le banconote a suo vantaggio ed a
gloria dellʼarte.

[6] Nellʼanno 1850 io accompagnava in qualità di segretario, un celebre
violoncellista che percorreva la Francia dando dei concerti. Nella
piccola città di C... le cose erano andate alla peggio. Allʼalbergo,
ove da oltre un mese eravamo alloggiati e nutriti lautamente, vi
era già un grosso conto a nostro carico. Lʼultimo concerto, sul
quale si era fatto assegnamento per soddisfare al nostro debito,
aveva fruttato a mala pena una diecina di scudi. Allʼindomani, il
mio violoncellista entra nella camera dove io stava abbigliandomi,
e mi dice: «Caro segretario, conviene prendere una risoluzione! Per
partire decorosamente da questa città ci occorrono cinquecento lire
allʼincirca--bisogna trovarle. Tu sai che il signor Roux, pel quale
ebbi una lettera commendatizia, mi accolse con molto affetto e mi
tiene in gran conto; sono andato più volte da lui, e siccome egli è
buon dilettante di musica e amantissimo dei classici, abbiamo suonato
insieme i duetti di Beethoven. Il signor Roux, per quanto dicono, è
assai ricco. Animo dunque! Prendi una penna. Scrivigli a mio nome
una bella lettera, esponigli schiettamente la nostra situazione, e
domandagli a prestito la somma che ci occorre.--Ma io...--Non pensare!
la lettera, naturalmente la firmerò io.» Non posi di mezzo altre
osservazioni, scrissi, e la lettera fu spedita a mezzo di un garzone
dellʼalbergo. Di lì a unʼora, mentre si faceva colazione nel salottino,
un domestico in livrea venne a portare la risposta. Il signor Roux con
frasi oltremodo cortesi ed amabili si scusava di non poter pel momento,
malgrado il suo vivo desiderio di favorire un artista tanto valente,
prestargli la piccola somma. E soggiungeva, tanto da ammorbidire il
rifiuto: «Se fosse lʼepoca del raccolto dei bozzoli, quando il denaro
affluisce nelle casse dei possidenti, vi assicuro che non esiterei
un istante a compiacervi, e sarei lietissimo di potervi dare anche
più di quanto richiedete.» II mio violoncellista punto sconcertato da
quella lettura, stette alcun tempo silenzioso cogli occhi affissati sul
foglio. Poi, colla maggior calma del mondo: «Sai tu dirmi in qual mese
dellʼanno si raccolgono i bozzoli?--Credo, ai primi di giugno.--Siamo
ora... agli ultimi di marzo... soggiunse pacatamente lʼamico.... Non
importa! Lʼalbergatore vorrà ben fidarsi della parola del signor Roux.
Prendi subito la penna, e scrivi al signor Roux che noi attenderemo i
suoi comodi.» Confesso che nel vergare questa seconda lettera io aveva
le vertigini nel cervello. Che fare? Nella mia qualità di segretario,
mi era forza di piegare il capo.--Scrissi ciò che lʼamico dettava, e la
lettera fu consegnata al domestico. Non starò a narrare per filo e per
segno di qual maniera io riuscii a distaccarmi da quellʼuomo singolare,
che stampò in ogni provincia dellʼEuropa delle orme incancellabili di
genio.

Egli rimase allʼalbergo di C... in attesa delle lire cinquecento, e
verso la metà di giugno io ricevetti a Lione una sua lettera dove mi
annunziava che lʼ_infame_ Roux, mancando alla data promessa, non gli
aveva ancora pagate le cinquecento lire, e chʼegli contava trascinare
quel _vile_ dinanzi ai tribunali, mettendo a suo carico gli interessi e
domandando il risarcimento dei danni materiali e morali a lui derivati
dal mancato pagamento. Più tardi mi venne riferito che il signor Roux,
per liberarsi da quella noja _pagò_ le cinquecento lire e a proprie
spese provvide a che il celebre suonatore di duetti classici partisse
per Marsiglia.

FINE DELLE NOTE.



      =TUTTI LADRI=

  COMMEDIA IN TRE ATTI.


AVVERTIMENTO DELLʼAUTORE.

_A nessun capocomico (giova sperarlo) verrà mai lʼaudace pensiero di
far rappresentare in teatro la presente commedia. Sarebbe un_ fiasco
_da far inorridire lʼEuropa._

_Per impedire un simile attentato, ho moltipliplicato i personaggi,
e interrompendo lo svolgimento drammatico con monologhi e dialoghi
ad arte prolissi ho profittato di parecchi episodii superflui per
sbizzarirmi nella dimostrazione di una tesi che i più indulgenti
chiameranno nefanda._

=Tutti Ladri!!!=--_Ma tu parli da burla? domanderà qualche
amico.--Mille volte perdono! io parlo del miglior senno_--Tutti ladri.

--_Nella tua commedia, vorrai dire._

--_Nella grande commedia della società umana_--_rispondo io, senza
punto esitare. E tu, mio ottimo amico, dovrai naturalmente soggiungere:
lapidiamolo!_

--_Lapidiamolo!_--_ecco signori capocomici, quale sarebbe il verdetto
del pubblico, se mai dovesse, per un vostro esiziale abberramento,
rappresentarsi la mia commedia davanti e quel consesso di ipocriti che
chiamasi il pubblico._

_Che volete? la parola mi è sfuggita, nè mi indurrei per tutto lʼoro
del mondo a cancellarla._

--_Il pubblico sarà davvero, come suoi chiamarsi un ente
rispettabilissimo e moralissimo; ma esso, mi ebbe sempre lʼaria di un
don Basilio, o per dirla più schietta, dʼun gesuita, anzichè di un
libero pensatore e di uno schietto galantuomo._

_Ciò si deve in buona parte alla pessima educazione che egli ricevette
pel corso di più secoli dagli autori drammatici e dai critici
dellʼarte._

_Allorquando, anni sono fu data a Trieste lʼopera_ Gli Avventurieri
(_e la presente commedia è in parte desunta da un mio libretto che
porta un tal titolo_), _i giornalisti di colà, fedelissimi interpreti
della pubblica opinione, levarono sì alte grida per la immoralità
della catastrofe, che io feci giuramento di non recarmi giammai in
quella città per paura di esservi arrestato come un manutengolo di_
ladri.--_Quale orrore!_--_Un libretto dʼopera, dove il protagonista,
dopo aver commesso parecchi furti, riesce ad imbarcarsi sur un legno
mercantile colla probabilità di approdare in Africa sano e salvo col
suo grosso bottino! Ciò è contrario a tutte le leggi della morale: non
è vero?_--_Ed ecco il delitto del librettista._

_In teatro ci vuol ben altro._--_In teatro, le duecento signore
che a lato dei becchi mariti assistono alla commedia, vogliono che
lʼadulterio sia punito dalla separazione, dallʼinfamia, o meglio, da
una palla di piombo._--_I duecento o trecento ladri arricchiti che
assisi nei palchi e nelle sedie fisse si arricciano i mustacchi col
guanto, impietrirebbero di raccapriccio se un meschino tagliaborse del
palco scenico non cadesse regolarmente allʼultimo atto nelle mani della
regia Procura. Si vuole ad ogni costo che nel mondo della luna_ (_parlo
del palco scenico_) _avvenga il contrario di ciò che ordinariamente si
verifica nel mondo reale._

_Tiriamo dunque innanzi...._

_Tiriamo innanzi?--signori no?--Per mio conto, ne arrossirei. Il teatro
appartiene ai mistificatori--chi vuoi fare della ipocrisia, sa dove
trovare degli ipocriti sempre disposti ad applaudire._

_Se qualcuno venisse a dirmi: opera il bene e rifuggi dal male,
perocchè o tosto o tardi la virtù trionfa e il vizio è punito; gli
risponderei a bruciapelo: tu sei un impudente che mentisci sapendo
di mentire. Orbene: questa gaglioffa e codarda menzogna la si vuoi
ripetuta ogni sera dal proscenio, sotto comminatoria, per chi ardisce
emanciparsi, di sentirsi fischiato e insultato come un pervertitore del
pubblico._

_Pensi ognuno come vuole; quanto a me, sono e sarò sempre dʼopinione
che il vero, il solo vero è morale; e fermo in questa massima, non
vorrò mai prestarmi alla sporca e ridicola ciurmeria che da secoli si
vien perpetrando sulle scene teatrali._

_La presente commedia è dunque un atto di ribellione contro il sistema.
Tutti i miei ladri (ne prevengo la questura) qui passeggeranno
impuniti, e la sola azione veramente onesta che vedrem compiersi nel
corso dei tre atti, sarà premiata... colla prigionia._

_Fischieranno i lettori, come indubbiamente fischierebbe la massa dei
ladri se vedesse riprodursi in teatro questo intreccio di ruberie?--È
ciò chʼio probabilmente non saprò mai. Ma se alcuno avesse la
sfrontatezza di venirmi a dire sulla faccia: la tua tesi è una menzogna
e la tua commedia è uno scandalo; mi terrei certo di non coglier in
fallo rispondendogli: e tu sei uno di quelli che han letto il mio
volume senza pagarlo, e mʼhai rubato una lira._

A. G.


=PERSONAGGI=

MARCO DUBOIS, _albergatore. È un uomo di buona pasta, di circa
sessantanni_.

GIACINTO, _suo figlio, bel ragazzo, di circa ventidue anni. Carattere
ingenuo; abbigliamenti e modi da provinciale facoltoso_.

TOMMASO, _ricco affittajuolo, fratello di Marco_.

CLEMENTINA, _figlia di Tommaso.--Beltà campagnuola; indole onesta_.

ROBERTO, _Cavaliere di industria.--Età, dai quarantacinque ai
cinquantanni. Bellezza logorata, molta vigoria di corpo; eleganza di
acconciatura e di abbigliamento, molta disinvoltura di maniere. Parla
con affettazione, ostentando una giovialità che è tutta nelle parole
e nella epidermide. Ingegno robusto, malizia profonda; vero e sentito
disprezzo della umanità_.

FRONTINO, _altro cavaliere di industria, meno audace di Roberto e
alquanto irresoluto. Costituzione gracile, temperamento linfatico.
Briccone per caso, nato ad esser complice, non mai iniziatore_.

DEIANIRA, _avventuriera da città capitale, che ha tutte le apparenze
della gran dama. Veste con eleganza alquanto caricata--è giovane, è
bella, audacissima_.

ARMELLINA, altra avventuriera, meno intraprendente, che vive di
riflesso_.

CAVILLO, _avvocato_.

Un sergente di città.--Soldati.--Un cocchiere.--Un garzone da
osteria.--Un guattero.--Viaggiatori.--Famigli di Marco--Signori e Dame
di Parigi.

_Lʼazione si svolge a Çette, città marittima della Francia nellʼatto
primo e terzo; nel secondo a Parigi._

_Vestiario dellʼepoca attuale._



ATTO PRIMO.


SCENA I.

La scena rappresenta un cortile da albergo. Nel mezzo, la porta
maggiore; ai due lati le porte che mettono nelle sale.

=Giacinto, Marco=, _Camerieri, più tardi, alcuni forestieri in abito da
viaggio_.


MARCO (_a Giacinto ed ai camerieri_) Spicciatevi!... Mezzogiorno è
suonato; a momenti avremo una invasione di forestieri.

GIAC. (_allʼorecchio di Marco_) Credi tu che lo zio arriverà con questa
corsa?

MARCO--Non ne dubito; e la tua amabile cugina sarà con lui. Si parlerà
del vostro matrimonio, e, ciò che più preme, Tommaso mi rimborserà il
denaro che ho speso per lui... Non dimenticarti che il calessino lʼho
pagato trenta marenghi...

GIAC.--Ti inganni, papà!... Quel pagamento lʼho fatto io, e so di aver
contate al fabbricatore Dubourg trecento sessanta lire in argento...

MARCO--Imbecille!

GIAC.--Papà?...

MARCO--Oh, che? temeresti di perdere lʼappetito o di malarti di
itterizia, se tuo padre in questo affare guadagnasse una dozzina di
napoleoni dʼoro?...

GIAC.--Io pensava che se lo zio venisse a sapere... se lo zio parlasse
col Dubourg...

MARCO--Tuo zio non saprà nulla... Quellʼasino di Dubourg è fallito da
due mesi e ha preso il largo per la California...

GIAC.--In tal caso, non ho più nulla che dire...

MARCO--Quel calesse vai bene quaranta marenghi--mi hai capito?

(_Entrano in scena alcuni forestieri giunti colla ferrovia_).

UN FOREST.--Ehi! padrone!... locandiere! vi sono camere in libertà?

UN ALTRO--Dovʼè la sala da pranzo?

MARCO--Signori... per di qua!... entrino pure!... Vi sono camere per
tutti.

(_I forestieri entrano nelle sale_).

UN BROMISTA--(_ad un forestiere_) Ehi! quel signore!... Se ne va senza
pagare la vettura?...

FOR.--(Maledetto!--sperava sfuggirgli tra la folla!) (_al cocchiere,
bruscamente_) Diamine! Mʼhai preso per un ladro? Eccoti cinque lire!...
Spicciati a darmi il resto!...

(_Il cocchiere gli conta le monete sulla mano, trattenendogli cinquanta
centesimi al di sopra della tariffa e si allontana rapidamente_).

FOR.--(_contando_) Cinquanta centesimi di meno! Son ladri questi
cocchieri! Non importa! Mi sono liberato di un vecchio scudo svizzero
che non ha corso... (_entra nella locanda_).


SCENA II.

=Tommaso. Clementina,= _indi_ =Roberto= _e_ =Frontino= _che si
trattengono in fondo al cortile_.

MARCO (_correndo ad abbracciare Tommaso e Clementina_) Fratello!
nipote! evviva!

TOMM.--Ebbene: qua un abbraccio! come va la salute?

GIAC.--(_a Clementina_) Come sta, signora Clementina?

CLEM. (_inchinandosi timidamente_) Signore... ho lʼonore... ho il
piacere...

MARCO--Via! Che razza di maniere! quale sussiego! abbraccia tua cugina!
E tu (_volgendosi a Tommaso_) consegna la tua borsa al garzone....

TOMM.--(_ritirando la borsa_) Adagio? Ci è della roba morta qui dentro,
mi capisci? Quando si viene alla fiera, si è provveduti.... E....
poi.... lo sai bene, abbiamo dei conti da regolare fra noi.

MARCO--Ah! vuoi parlare del calessino!... Abbiamo incontrato il tuo
genio...? Sei contento...?

TOMM.--Contentissimo....

MARCO--Solido... comodo: elegante... e a buon patto... (_alzando la
voce_) Con cinquanta marenghi, somma tonda, ti netti la coscienza...

TOMM.--Cinquanta marenghi! poca roba!... (Li aspetterai un bel pezzo).

MARCO--(_facendo lʼatto di togliergli il sacco dalle mani_) Consegna
a me i tuoi tesori... o piuttosto, vieni tu stesso a deporti nel mio
gabinetto; così lasceremo un poʼ soli questi due ragazzi... che forse
prenderanno coraggio...

TOMM.--(_a Clementina_) Attendimi qui... Tuo cugino ti terrà compagnia
per pochi istanti....

(_Tommaso e Marco entrano insieme nelle sale--Roberto e Frontino si
avanzano_).


SCENA III.

=Clementina, Giacinto=.

GIAC.--Dunque.... Clementina.... voi sapete.... che nostro padre....
cioè nostro zio.... cioè.... voleva dire.... A che ora siete partiti da
Montpellier?

CLEM.--Col convoglio delle undici e cinque!

GIAC.--Che bestia!... Le son domande? Poichè siete arrivati a
mezzogiorno.... Voi dovete esser stanca del viaggio.

CLEM.--Eh! niente affatto...! Al contrario.... il viaggio è tanto
breve...!

GIAC.--Sicuramente! Un viaggio di unʼora non può stancare.... (_da sè,
imbarazzato_) Quanto tardano a tornare...!

CLEM. (_da sè_) E non dice una parola del nostro matrimonio! A quanto
pare, signor Giacinto, voi non vi aspettavate la nostra visita.

GIAC.--Oh! che mai dite? già da tre giorni abbiamo apparecchiato le
camere....

CLEM.--Mio padre vi aveva dunque scritto di quel suo... progetto?....

GIAC.--Certamente! Dei progetti ve ne hanno parecchi, ed io spero, anzi
non dubito, che qualche cosa si combinerà....


SCENA IV.

=Marco, Tommaso= _e detti_.

MARCO--Non si perda altro tempo! Mentre là dentro si prepara il pranzo,
faremo insieme una passeggiata sulla fiera.

TOMM.--Andiamo!

MARCO (_offrendo il braccio a Clementina_) Qua...! il tuo braccio,
figliuola! Pur questa volta bisogna che ti contenti del vecchio papà.
Giacinto resterà qui a sorvegliare la locanda.

CLEM. (_a Giacinto_) A rivederci, signor cugino!

GIAC. (_a Clementina_) A rivederci?

MARCO--Fra unʼora saremo di ritorno.

(_Giacinto entra nelle sale_).

TOMM. (_a Marco, dopo essersi incontrato in Roberto e Frontino_) Tu
credi dunque che la mia borsa...?

MARCO--Fuori di Giacinto nessuno ha la chiave del mio gabinetto, e quel
ragazzo ha un odorato sì fino pei birboni e pei ladri....

TOMM.--Basta! poichè tu mi sei garante... Andiamo Clementina!....

(_escono_).


SCENA V.

=Roberto, Frontino,= _indi un cameriere_.

ROB.--Frontino! non farmi lʼasino! Hai tu letto mai nelle istorie
che qualcuno abbia compiuto delle imprese utili e grandi a stomaco
digiuno? (_battendo sulla tavola col bastone e gridando a tutta
voce_) Olà! famigli! garzoni! guatteri! bestie! In che mondo siamo?
(_sottovoce_) Senti, Frontino, come la mia bella voce da baritono si è
fatta rantolosa!... Gran segno di appetito!... Saresti tu abbastanza
compiacente, qualora io ti invitassi a far meco un buon pranzo, da
accettare senza obiezioni di sorta?....

FRONT.--Un buon pranzo! si fa presto a....

ROB. (_interrompendolo_) Silenzio, bestione! Ecco il cameriere....

CAM.--Hanno chiamato, signori?

ROB.--Dieci volte per lo meno.

CAM.--In che possiamo obbedirla?

FRONT.--Per mio conto... io direi....

ROB.--Avanzati, subalterno! Tu mʼhai un viso che promette.... Sentiamo
un poʼ cosa sapresti offrirci per stimolare il nostro appetito!
Rifletti bene che siamo arrivati a Montpellier collʼultimo convoglio,
e naturalmente, prima di metterci in viaggio, abbiamo consumato
una eccellente colazione allʼalbergo della Corona dʼOro.... Vero
figliuolo del mezzogiorno, tu già comprendi che se a noi piace di
rimetterci a tavola, lo facciamo al solo scopo di procurarci un
mezzo innocentissimo di distrazione, che non sia quello di sfidare
in sulla piazza gli spintoni dei villani e le pedate dei cavalli....
Aggiungi pure che, nella nostra qualità di individui privilegiati,
noi comprendiamo i doveri della nostra posizione, che son quelli di
favorire il commercio, consumando, in fatto di comestibili, quanto il
nostro stomaco può comportare di più squisito e quindi di più costoso.
Lode alla provvidenza, i nostri apparecchi organici a ciò destinati
rispondono alle alte e generose espansioni dei nostri appetiti.--Mi hai
tu compreso, o amabilissimo figlio del popolo?

CAM.--Signore: non credo esagerare affermandole che in questo albergo
vi è tutto che può desiderare un forastiero della vostra condizione....
Ella potrà trovar qui ciò che si ha di meglio nelle più rinomate
trattorie della centrale.

ROB.--Sentiamo!

CAM.--Vuol funghi? Trifole? Ragoste? Un pasticcio di Strasburgo?....

ROB.--A te, Frontino! Interpreta i miei desideri--ed emana
sollecitamente i tuoi ordini a questo bravo garzone!

FRONT.--Ma... io?....

ROB.--Coraggio, nobile amico!

FRONT.--Ebbene: un mezzo pollo dʼIndia... o qualche altra inezia...
tanto da snodare i denti.... Ho sempre inteso dire che lʼappetito viene
mangiando....

ROB.--A meraviglia... (_al garzone_) Tu hai capito... Vattene... fa di
sbrigarti... e bada di servirci in una sala riservata! Prendi (_gli dà
una moneta_) e se farai le cose a dovere....

CAM. (da sè) Due franchi! Ecco dei signori rispettabili!

FRONT. (_al garzone_) Dunque... vuoi servirci?

CAM.--(_esitando_) Vado e ritorno...! (_da sè riponendo la moneta nelle
tasche_) Sarei minchione se gettassi questo danaro nella cassetta delle
mancie!

(_esce_).

FRONT. (_a Roberto, sul davanti della scena_) Vedo che sei stanco di
respirare allʼaperto... Noi ci perderemo....

ROB.--Ecco una ipotesi di cattivo gusto.... Io mi arresto al concreto e
ti dico solennemente che... noi pranzeremo.

FRONT.--Sì... ma al momento di pagare....

ROB.--Pagheremo...!

FRONT. (_col massimo stupore_) Tu possiedi del denaro...!

ROB.--I miei ultimi spiccioli li ho immolati a quel bravo garzone....
Quante volte dovrò ripeterlo che gli uomini di genio, i grandi
speculatori, sono quelli che vivono col denaro degli altri...?

FRONT.--silenzio!

ROB. (_volgendosi_) Una dama!...

FRONT.--Una gran dama!...

ROB.--Possibile!... La nostra Deianira!....



SCENA VI.

=Deianira. Armellina.=

DEIAN. (_scendendo da un brougham_) Vieni, Armellina!... (_al
cocchiere_) Tornerai fra unʼora colla carrozza... Frattanto faremo
colazione in questa locanda....

ARM. (_al cocchiere_) Hai capito?... La signora baronessa ti ha
ordinato di tornare fra unʼora.... (_il veicolo parte_).

ROB.--Baronessa! caspita!... è salita..... (_inchinandosi con
affettazione_) Servo umilissimo della signora baronessa...!

DEIAN.--Roberto!!....

FRON.--Ai vostri ordini, signora baronessa....

DEIAN.--Fortunatissima del felice incontro....

ROB.--Qual buon vento vi ha portato alla fiera di Cette?...

DEIAN.--Un vento favorevolissimo senza dubbio. Allorquando quei due
pianeti luminosi che si chiamano Roberto De-Foy e Deianina De-Cristen
vengono ad incontrarsi e ad urtarsi...

ROB.--La terra risente una scossa... gli abissi si spalancano, e
lʼumanità imbecillita straluna gli occhi in attesa di un grande
miracolo...

DEIAN.--Ed è appunto un miracolo che ora sul momento convien operare...
(_sospirando_) Roberto!... La tua fedele e appassionata Deianira è...
al verde...!

ROB.--Bisogna metterla al giallo, non è vero?

DEIAN.--Sei un mostro di intelligenza!... Disponi fin dʼora di tutti i
miei talenti di donna--e tu sai che io ne ho di molti.

ROB.--Senza quelli che andrai acquistando colla pratica. Ma, fine alle
chiacchere--è tempo di agire...!--Deianira, ami tu i luigi dʼoro?...

DEIAN.--(_scherzando_).

Di quellʼamor che è palpito Dellʼuniverso intero....

Ma dove trovarne?...

ROB.--Non occorre andar lontano.--Un compiacentissimo convoglio di
ferrovia ne ha scaricati in buon numero....

DEIAN.--E sono?...

ROB. (_accennando il gabinetto_) Là...

DEIAN.--Vicinissimi...

ROB.--Non quanto basta per dirli nostri. La chiave del gabinetto è in
potere di un vile tiranno.....

DEIAN. E questo tiranno...?

ROB.--È il figlio del padrone della locanda....

DEIAN.--Dammi lʼuomo nelle mani, e in mezzʼora io ti darò la chiave...

ROB.--Sublime! (_abbracciandola_) E qualʼaltra missione ha sulla terra,
la donna fuor quella di svolgere a suo beneplacito le chiavi dei
cuori... e delle serrature?

DEIAN.--Zitto! Ecco lʼuomo della chiave! (_dopo aver lanciato a
Giacinto unʼocchiata rapidissima_) Un merlo di buona specie!...
Secondatemi!


SCENA VII.

=Giacinto= _e detti_.

GIAC.--Signori: il pranzo è servito (_vedendo Deianira_) Oh! la bella
dama!... Io veniva....

ROB.--Avanzati, Frontino...! Poichè la nostra eccellentissima padrona
lo permette....

DEIAN.--Un momento!... aspettate! (_volgendosi a Giacinto con
civetteria_) Vieni qua, gentil garzone!... tu sei dunque?....

GIAC.--Il figlio del padrone, per obbedirla!... (_da sè_) Una
baronessa!....

DEIAN.--II tuo aspetto geniale, i tuoi bei modi, mi ispirano fiducia.
Ascoltami bene (_cavando di tasca un portafoglio_). In questo
portafoglio si contengono circa ventimila franchi... Una inezia! Ma
vorrei fossero riposti in luogo sicuro....

GIAC.--Li porterò, se credete, nel gabinetto di mio padre....

DEIAN.--(_facendo lʼatto di consegnare il portafoglio a Giacinto e
guardandolo con espressione_) Basta! Mi fido di te... La tua fisonomia
non può ingannare (_sottovoce_) Tre volte merlo!....

GIAC.--Oh, troppo buona, sig. baronessa....!

DEIAN.--Ecco! (_trattenendosi_) Ma no... aspetta.... Se qualcun altro
volesse incaricarsi... (_accennando a Roberto_) se il mio segretario....

ROB. (_avvicinandosi_) Comandi, baronessa!

DEIAN. (_a Giacinto stringendogli la mano_) Avresti qualche garzone
fidato da mandare con lui?

GIAC. (_forte_) Ehi, di là! Giovanni! (_esce un cameriere_) Accompagna
questo signore nel gabinetto di mio padre.

DEIAN. (_consegnando a Roberto il portafoglio_) Bada che questa piccola
somma sia posta in luogo sicuro....

ROB.--Non la dubiti, baronessa!

FRONT.--La signora baronessa, non ha ordini per me?

DEIAN. (_fingendo impazientarsi_) Che noja lʼaver dei domestici!
Andate, andate tutti!

GIAC. (_inchinandosi per partire_) Signora baronessa....

DEIAN. (_con espressione_) Te ne vai?.... Se io ti pregassi di
rimanere?....

(_Roberto, Frontino e il cameriere entrano nellʼalbergo_).


SCENA VIII.

=Gacinto--Deianira=.

GIAC. (_tornando presso Deianira_) Che avete...?

DEIAN. (_appoggiandosi al braccio di Giacinto_) Nulla...! un
capogiro... una leggiera indisposizione a cui vado soggetta....

GIAC.--Venite, baronessa...! entriamo nelle sale...!

DEIAN.--No...! no!... Lʼaria aperta mi farà bene.... Ecco! mi sento
già meglio.... Va pure...! Tu hai da fare nella locanda... e sarebbe
indiscrezione lo intrattenerti....

GIAC.--Ma... io...

DEIAN.--Ti chiamerò se mi occorrerà qualche servigio--il tuo nome?...

GIAC.--Giacinto...

DEIAN.--Giacinto! Uno di quei nomi che non si obliano.... Va pure...!
richiamerò se abbisogna...

GIAC. (_scostandosi_) Come aggrada alla signora baronessa....

DEIAN.--Aspetta...! Qualche volta delle singolari fantasie
attraversano il nostro cervellino di donna.... Saresti abbastanza
amabile da soddisfare ad un mio capriccio... ad una mia curiosità
innocentissima?... (_riprendendolo a braccio con famigliare
civetteria_) Non si tratta che di rispondere a questa semplice domanda:
sei tu innamorato?...

GIAC. (_ingenuamente_) Perchè?...

DEIAN.--Tu mi interroghi in luogo di rispondere--ma il tuo rossore...
la tua esitanza mi dicono più che non amerei sapere... Tu sei
fidanzato, non è vero?...

GIAC.--Infatti... mio padre... mio zio... la cugina...

DEIAN. (_bruscamente_) Va... dunque!...

GIAC. (_da sè, guardandola sorpreso_) Sembra sdegnata!...

DEIAN. (_levando dalla borsa un biglietto_) Quando ti recherai a Parigi
pel tuo viaggio da nozze, non mi sarà discaro il rivederti... Non
verresti volentieri a Parigi?

GIAC.--Ah! baronessa!... Parigi è il mio sogno... Parigi!... Io non
invidio altra fortuna al mondo fuor quella di poter vivere nella grande
capitale...! (_In questo punto, una carrozza si arresta al di là del
cancello. Roberto si avanza col cameriere, mentre Frontino e Armellina
si accostano alla carrozza deponendovi un sacco da viaggio_).

DEIAN.--La mia carrozza...!



SCENA IX.

=Roberto--Frontino--Armellina=

_un Cameriere e detti_.

CAM. (_a Giacinto_) Ecco la chiave del gabinetto (_si inchina e parte_).

ROB. (_inchinandosi_) Gli ordini della signora baronessa vennero
eseguiti... Ed ora, se la signora baronessa volesse permetterci di
pranzare....

DEIAN.--Certamente... (_collʼaria di chi muta improvvisamente di
pensiero_) Ma poichè quel scimunito di cocchiere ha anticipato la sua
venuta--io credo che una breve scarozzata nei dintorni della città non
mi farà male... Pocʼanzi ho avuto un assalto della solita emicrania
(_volgendosi a Giacinto_) Se il nostro amabilissimo signor Giacinto
volesse darmi il braccio... fino alla carrozza....

GIAC. (_offrendole il braccio_) Di tutto cuore, signora baronessa....

DEIAN.--Vieni, Armellina!

FRONT.--E noi... altri?....

DEIAN. (_scherzosa_) Voi altri pranzate pure, poichè avete tanta
premura.

ROB.--No! no! ci fate torto, baronessa...! (_a Giacinto_) Si sospenda
il servizio del pranzo fino al nostro ritorno...!

GIAC.--Sta bene....

DEIAN.--Torneremo fra mezzʼora--non è vero?...

ROB. (_aprendo gli sportelli della carrozza_) Signora baronessa!...

DEIAN. (_staccandosi da Giacinto per salire nella vettura_) Questa
notte dormiremo qui... Vorrei che nella mia stanza mi aspettasse uno
di quei bei fiori, pieni di fraganza, che si chiamano giacinti....
(_sale nella carrozza dove tosto vanno a collocarsi Roberto, Frontino e
Armellina_).

ROB.--A rivederla, signor Giacinto!

FRONT.--Servo umilissimo del signor Giacinto!

GIAC. (_inchinandosi e salutando mentre la la carrozza si allontana_)
Felice ritorno, signor Giacinto.... cioè.... voleva dire... imbecille!


SCENA X.

=Giacinto=, _che sarà rimasto alcun tempo presso il cancello come
impietrito guardando verso la strada_.

Quali occhiate!... quali parole!... Ed io, bestia... impietrito...
mutolo... incapace... di ideare un complimento...! Ecco ciò che può
chiamarsi una donna.--E dicono che certi tipi non si trovano che sulle
fotografie e nei romanzi!--Una parigina! Ora comprendo come a Parigi si
commettono tanti delitti per amore...! E stassera verrà ad alloggiare
nellʼalbergo...! E mi ha pregato di collocare un giacinto nella sua
stanza...! Ho inteso dire... e credo anche di aver letto che queste
dame di alto rango hanno certi capricci... Ma no! Sarebbe troppo...!
Non ho avuto il coraggio di profferirle una galanteria.--Ah! siamo
pure imbecilli... noi altri della provincia!--Non ardirei toccarle una
mano. E perchè? Alla fine, io sono giovane... un bel giovane, tutti
lo dicono; e qui a Beaucarie ho già veduto molte ragazze spasimare
peʼ miei begli occhi... Ma qui non è il caso di spasimi... Con queste
parigine bisogna andar per le corte... Se bevessi dellʼassenzio!
È un liquore che esalta... che infonde coraggio... Poi... questa
sera... vado nella sua stanza da letto... depongo il candeliere sulla
tavola da notte... e se ella mi guarda, come faceva poco dianzi, col
bianco dellʼocchio--se mi fa capire con quel suo garbo assassino
che le abbisogna... un giacinto--eccomi! le grido, cadendole alle
ginocchia--se questo può bastarvi prendetelo.... laceratelo....
calpestatelo.... fatene lʼuso che vi piace--ma non dimenticate, o
baronessa, non dimenticate...--Che cosa?... No! Due bicchierini di
assenzio non basteranno... nè berrò tre... quattro.... tutta una
fiaschetta... Voglio farmi onore... altrimenti ella sarebbe ben capace
di cantarmi quella vecchia aria di _Vaudeville_:

Col nome di Giacinto Tʼhan battezzato invano, Ognuno per istinto Ti
chiama tulipano!

(_cantarellando_)

Giacinto... bel Giacinto Sei proprio un tulipano!


SCENA XI.

=Marco, Tommaso, Clementina=. _e detti_.

MARCO (_a Clementina_)--Lo senti? Senti come canta?... Il merlo è
innamorato.

GIAC. (_volgendosi_) Oh!... Ben tornati!

TOMM. (_a Marco_) Lasciamoli qui ad intendersela fra loro... Noi vecchi
pensiamo agli affari....

MARCO (_a Tommaso_) Eh via!... Cʼè tempo... Non sarebbe meglio andare a
tavola?

TOMM. Amerei si aggiustassero i nostri conti....

MARCO Che furia!... Li aggiusteremo a pancia piena....

TOMM. No... no... fratello; gli affari avanti tutto... Andiamo...!

(_Lo trascina nellʼalbergo_).


SCENA XII.

=Giacinto, Clementina=.

CLEM. (_timidamente in atto di allontanarsi_) Se vi disturbo, cugino....

GIAC. (_imbarazzato_) Oh! al contrario, signora cugina....

CLEM. Perchè avete cessato di cantare?...

GIAC. Ah!... Voi mi avete udito? (_osservando Clementina e parlando fra
sè_) Qual differenza collʼaltra!

CLEM. Sapete, cugino, chʼio vado pazza per la musica!... Tralascerei di
pranzare per poter andare allʼopera!... (_fra sè_) Come mi guarda!

GIAC. Davvero! (_fra sè, osservandola_) Vedi che maniera di
abbigliamento! Le nostre ragazze di provincia mancano affatto di gusto!

CLEM. (_fra sè_) Ma perchè mi guarda in quel modo?....

MARCO (_di dentro_) Giacinto!... Giacinto!...

TOMM. Al ladro!... Al ladro!...

GIAC. Quali grida!...

CLEM. Ah! Gesummaria!... (_correndo verso suo padre che entra con
Marco_) Papà! papà! cosʼè accaduto?


SCENA XIII.

=Marco, Tommaso= _e detti Garzoni dʼosteria, forestieri, guatteri_.

TOMM. (_gridando_) Al ladro!... Al ladro!...

CLEM. Insomma! si può sapere?...

TOMM. La, mia borsa da viaggio!... Cinque milla franchi perduti!...

TUTTI. Cinquemila franchi!!!

TOMM. (_fra sè_) Non erano che mille!... ma... tanto fa... mio fratello
ha garantito per la somma totale....

MARCO (_venendo in mezzo a tutti_) Giacinto!... disgraziato!

GIAC. Papà...!

MARCO Rispondi, imbecille! La chiave del gabinetto è uscita o non è
uscita dalle tue mani?

GIAC. Ma io... la baronessa... il segretario... il portafogli...

MARCO (_investendolo_) Ah!... Miserabile! Ah! ladro!....

CLEM. (_interponendosi_) Fermatevi!... calmatevi!...

GIAC. Oh! vedi un poʼ che invece di pigliarsela con quelli che hanno
rubato....

FORESTIERO.--È dunque vero?... Che fate qui? Il ladro non può essere
lontano!... convien far presto!... Con vostro permesso, io corro ad
avvertire i carabinieri...!

TOMM. (_al forestiero_) Grazie! obbligatissimo!... (_il forestiero esce
per la porta che dà sulla via_). E noi... vediamo di tenere la testa a
segno... (_a Marco_) Infine non si tratta che di seimila franchi... Me
ne duole per te... che hai garantito... ma in ogni modo ci accomoderemo.

MARCO--Seimila!... (senti, come crescono!...)

TOMM.--Siamo o non siamo fratelli? (_volgendosi a Giacinto e a
Clementina_) Questi poveri ragazzi hanno il viso bianco come un panno
lavato!... Vieni, Marco!... Te lo ripeto: fra noi ci intenderemo...
(_a voce alta_) Tutti conoscono la tua probità; tutti sanno che quando
ti fai mallevadore di una somma a te confidata, si può in ogni caso
contarci sopra, si trattasse di millioni! (_entrano nello studio_).


SCENA XIV.

_Un_ =Garzone=, _un_ =Guattero= _e un_ =Piccolo=.

IL GARZONE. (_correndo_) Quel signore che pranzava nel salottino?...

IL GUATTERO.--È uscito per andar in cerca dei carabinieri....

GARZ.--Vale a dire... ha profittato del parapiglia per svignarsela
senza pagare il conto....

IL PICCOLO. (_in disparte, dopo aver ascoltato_) Quandʼè così, posso in
tutta coscienza vuotare il quintino che quel signore mi avea ordinato
(_beve, ed entra nelle sale_).

GARZ.--Seimila franchi--che ne dici?...

GUATT.--Un bel colpo!...

GARZ.--Seimila franchi non fanno la fortuna di un uomo.

GUATT.--È vero.--Se si trattasse di ventimila...!

GARZ.--Poco ancora....

GUATT.--Ecco!... centomila! non ti pare? è una somma rotonda che
farebbe al caso nostro...

GARZ. (_allontanandosi_) Centomila!... A poterla far franca... una
volta tanto!...

(_entra nelle sale zuffolando_).

GUATT.--Oh, certo! tutto sta a poterla far franca!... Ma io, lo
confesso, mi accontenterei di assai meno... Non sono aristocratico...
io... (_entra nella locanda_).



SCENA XV.

_Un_ =Sergente= _e due carabinieri_.


SERGENTE--Tenete dʼocchio quanti escono dalle sale. Non fate caso degli
abiti o delle apparenze--sopratutto non dimenticate questo assioma di
polizia pratica: che lʼuomo nasce ladro e che gli istinti naturali
sono più forti in lui di ogni principio... acquisito dalla educazione
o imposto dal terrore della legge. Non vi disarmi rispetto di età, di
sesso, di condizione sociale o di riputazione illibata. La persona
sulla quale porrete le mani potrà essere innocentissima del reato che
costituisce pel momento lʼoggetto delle vostre indagini, ma in ogni
modo lʼarrestato sarà un deliquente. Non vi inganni quella che suol
chiamarsi la calma serena di una coscienza incolpevole. Diffidate
sempre. I più impassibili sono dʼordinario coloro che si tengono
certi di poter eludere la giustizia e uscir netti dalla procedura per
mancanza di prove. Se mai vi accadesse, dietro una assoluta evidenza di
incolpabilità, di dover rilasciare qualcheduno sul quale abbiate già
poste le mani o le manette, fategli, come dʼobbligo, le vostre scuse;
ma a fior di labbro, ondʼegli abbia a capire che la vostra deferenza è
momentanea, ed esclusivamente relativa allʼincidente da cui fu motivato
lʼarresto. Badate di esprimergli con un arguto sorrisetto: «se oggi
non hai rubato, non sei però men ladro degli altri, e bada che qualche
giorno ci ricadrai nelle ugne per davvero!» Tali avvertimenti non
sempre si perdono infruttosi. Poichè gli uomini son ladri, facciamo
chʼessi rubino il meno possibile. Tale è lʼalta missione che Dio ci ha
affidato. Ed ora, ciascuno ai suo posto!

(_Il sergente entra nelle sale, e i carabinieri si appostano in fazione
alle due porte del cortile_).

FINE DELLʼATTO PRIMO.



ATTO SECONDO.


SCENA I.

Appartamento sotterraneo in Parigi.--Nessuna porta visibile.--Scala
a chiocciola che comunica collʼappartamento superiore.--A destra,
sovra un rialzo, un tavolo con tappeto verde e grande seggiola
a bracciuoli.--In faccia al tavolo, più basso, doppia fila di
sedie.--Sulla parete di fondo, un cartello colla iscrizione: ALTA
SCUOLA DI COMMERCIO E DI INDUSTRIA.--Ai due lati, piccoli cartelli
colle epigrafi: _Emancipazione dal lavoro!--Guerra al capitale...
altrui!..._

=Roberto= _indi_ =Frontino=.

ROB. (_guardando verso la soffitta_) Ecco il segnale! (_va m fondo alla
scena, preme un bottone di ferro che sporge dalla parete; la soffitta
si apre dal lato che comunica colla sala_) Esattissimo, questo Frontino!

FRONT. (_che sarà sceso dalla scala dopo aver rinchiusa la porticela_)
Eccomi! (_tirando lʼorologio dal taschino del gilet_) Le quattto e due
minuti.

ROB.--Come andò la giornata?

FRONT.--A meraviglia!... (_mostrando lʼorologio_) Non ti sei accorto
del nuovo acquisto?...

ROB. (_osservando lʼorologio_) Stupendo! E lʼhai avuto?...

FRONT.--Dalla mia destrezza....

ROB.--Il tempo non è denaro, ma questo misuratore del tempo può valere
da trecento a quattrocento lire... Te ne faccio dono.

FRONT.--Tante grazie!...

ROB.--È venuta gente alla Agenzia?...

FRONT.--Nè troppa nè poca. Fra gli altri, un giovanetto della provincia
per chiedere lʼindirizzo della baronessa De-Cristen, al mondo Deianira.

ROB.--Lʼhai riconosciuto?

FRONT.--Il viso non mi era nuovo....

ROB.--Ebbene: senza averlo veduto, io ti dirò chi è. Quello era il
figlio dellʼalbergatore di Çette, dove abbiamo operato lo scorso
mese....

FRONT.--Verissimo... Ora mi sovvengo...! proprio lui in persona....

ROB.--E gli hai dato lʼindirizzo di... madama la baronessa?

FRONT.--Dopo averlo fatto tornare quattro volte, e dietro una tassa di
lire quaranta.

ROB.--Deianira saprà cavargli ben altro--A proposito: il sarto?

FRONT.--II sarto ha portato il magnifico abito da monsignore che gli
hai ordinato... Il temerario ha avuto lʼardire di domandarmi un a
conto....

ROB.--Era il caso di saldare.

FRONT.--È ciò che ho fatto. Ho riflettuto che quel ladro, partendo a
mani vuote, avrebbe potuto adombrarsi... della ordinazione bizzarra che
gli abbiamo fatta... e tirarne delle conseguenze poco omogenee.

ROB.--Riflessione giustissima.--Del resto, non temete, Frontino!.--La
casa che noi abbiamo scelta a teatro delle nostre grandi strategie
commerciali, non potrebbʼessere più acconcia e più sicura. Chi lʼha
fatta costruire devʼesser stato uno strategico di prima forza.
Lʼ_Agenzia_ e lʼ_Ufficio di indizii_ del piano terreno sono più che
sufficienti a tutelare lʼAlta Scuola di Commercio stabilita nel grembo
della gran madre. Tutte le religioni delle umanità han sempre dovuto,
al loro nascere, rifugiarsi nelle catacombe.--Ciò che importa è di star
sul chi vive, onde lʼocchio della vigile non oltrepassi mai quella
barriera (_addita la porticella attigua alla scala_).

FRONT. (_rabbrividisce_).

ROB.--Ancora delle paure?...

FRONT.--È da molto che non consulti.... lʼamico?

ROB.--Il codice?... Oramai lo so a mente.

FRONT.--Hai tu mai riflettuto che la nostra ultima _tratta_ di Çette,
unitamente a quella che andremo a stendere fra unʼora, ci verrebbe
scontata alla banca delle Assise in quattordici anni di lavori
forzati...?

ROB.--Ragione per cui bisogna assolutamente che i nostri titoli si
scontino altrove.

FRONT.--Eppure: la è una brutta prospettiva, quattordici anni di lavori
forzati!

ROB.--Converrai meco che quella dei lavori forzati a vita è una
prospettiva assai meno lusinghiera...

FRONT.--Ne convengo...

ROB.--Orbene: ad eccezione dei pochissimi a cui le ladrerie del
bisavolo o del padre han procacciato una rendita sufficiente a campare
la vita, tutti gli individui della famiglia umana non rappresentano che
altrettanti condannati al lavoro perpetuo. Frontino: vuoi tu smettere
di fare il ladro? Entra nella galera degli uomini onesti: lavora dieci
ore al giorno, e crepa inosservato e disprezzato sotto il tuo abito da
fatica.

FRONT.--Anche disprezzato...! e tu credi?...

ROB.--La società non accorda la sua stima al lavoratore, se non il
giorno in cui questi collʼopera sua abbia adunato tal patrimonio da
poter dire: io non ho più bisogno di lavorare per vivere.--Orbene:
credi tu che questa stima non sia comunemente accordata anche a
quelli che, dopo aver guizzato parecchi anni fra gli uscieri ed i
birri, ed aver scroccate ai procuratori delle assolutorie molto
equivoche, si adagiano trionfalmente sovra un bel trono di banconote,
guardando di alto in basso quelle milliaja di imbecilli che sudano
per morire di fame?--Non vi è per la società che una sola classe di
uomini disprezzabili--quelli che non hanno denaro. Il giorno in cui
tu, mio povero Frontino, uscissi nella strada cogli abiti logori e
le scarpe corrose per muovere al ricupero della tua patente di uomo
onesto, i ricchi ed i poveri, i superbi e i cortesi, quanti infine
ti occorreranno per via, si tireranno in disparte, lanciandoti una
occhiata di disprezzo e quasi di abbonimento.--Alla miseria non vʼè
alcuno che perdoni. Però ti consoli il pensiero, che allorquando ti
avverrà di dover attraversare una piazza sovra un sudicio carretto,
colle mani legate, in mezzo a due rappresentanti della _tirannide_;
tutti gli onesti esclameranno una parola di compassione pel povero
catturato, e qualcuno ti getterà una moneta mormorando: peccato!
lasciarsi prendere!...

FRONT. (_abbracciando Roberto_) Mi fai piangere di tenerezza....

ROB. (_cavandogli lʼorologio dai taschini del gilet_) Rasciugagli
occhi... e andiamo a pranzo!--questa notte il tuo genio ed il mio
saranno messi ad una gran prova....

FRONT.--Mi farò onore, te lo prometto!

ROB.--Sai dirmi che ora abbiamo?

FRONT. (_si tocca e non trova, lʼorologio_) Diamine!

ROB. (_riconsegnandogli lʼorologio) Prendi...! A tutto rigore di
diritto, sarebbe mio--ma voglio incoraggiarti--te lo dono una seconda
volta!

FRONT. (_con entusiasmo, prendendo lʼorologio_) Ammirabile!

(_salgono insieme per la scaletta_).


SCENA II

Gran sala splendidamente illuminata.--Quattro porte laterali.--Altre
due nel fondo.--In una delle sale attigue si vede un pianoforte.--In
altra sala un tavolino da giuoco.

=Armellina= _e_ =Giacinto=.

ARM. (_introducendo Giacinto_) Entrate, signore!

GIAC.--Grazie! (_fra sè, guardandosi intorno_) Che splendide sale!....

ARM. (_da sè, osservando Giacinto_) Questa figura non mi è nuova!...

GIAC. (_fra sè_) Quanto lusso!... (_timidamente in atto di andarsene_)
Quasi... quasi...

ARM.--Voi venite?...

GIAC.--Da Çette... una oscura città della provincia...

ARM. (_tra sè_) Ah! mi sovvengo di questo gaglioffo!--(_a Giacinto_)
Mio caro signore, non arrivate in buon punto...! La contessa... cioè
volevo dire... la baronessa...

GIAC.--Se non mʼinganno voi eravate a Çette in compagnia della signora
baronessa allʼapertura della fiera?...

ARM. (_da se_) Quale imbarazzo!... (_a Giacinto_) Perdonate! vado ad
annunziarvi alla mia nobile padrona.

(_esce dalla porta a sinistra_).


SCENA III.

=Giacinto= _solo_.

Non so più in che mondo io mi sia!... Quanta luce!... Quanti fiori!...
Cʼè da restarne abbagliati!... Sento che non avrò la forza di
articolare due monosillabi... È meglio che me ne vada...! (_fa per
andarsene, poi si ferma_) Vergogna, Giacinto! Manomettere il denaro di
tuo padre... fuggir di casa... venir a Parigi in cerca di una donna...
e adesso che lʼhai trovata, adesso che stai per vederla, fuggir via
come un imbecille!... Ma cosa hanno dunque, queste diavolesse, che più
le desiderate... più tremate di vederle!... (_depone il cappello su una
seggiola_) Eccola!... Sento il fruscio del suo abito di seta!... Come
mi batte il cuore...!


SCENA IV.

=Armellina, Deianira, Giacinto=.

DEIAN. (_entra in abito alla Pompadour--parla ad Armellina senza
volgersi a Giacinto_) Brava! e tu introduci e vieni ad annunziarmi dei
visitatori senza informarti dal loro nome e dei loro titoli!

ARM.--Al vederlo mi è sembrato di conoscerlo... e voi pure baronessa...

DEIAN. (_volgendosi a Giacinto_) Vediamo dunque!... Va pure, Armellina!

(_Armellina esce_).


SCENA V.

=Giacinto, Deianira.=

GIAC.--Signora baronessa....

DEIAN. (_inchinandosi_) Signore...! Mi sembra infatti....

GIAC.--Come?... Non mi conoscete più?...

DEIAN.--Perdonate!... (_guardandolo fissamente con civetteria_).

GIAC.--Io sono Giacinto... quel giovane di Çette... il figlio
dellʼalbergatore....

DEIAN. (_con trasporto_) Voi!... saria dunque possibile?....

GIAC.--Non mi avevate detto?... non vi aveva promesso?...

DEIAN.--Di venire a Parigi pel vostro viaggio da nozze? Hai dunque
preso moglie, scellerato!

GIAC.--No...! non ancora! non sono così bestia... come sembro....

DEIAN. (_con trasporto_) Giacinto!...

GIAC.--Vi sovvenite dei mio nome! mi riconoscete?

DEIAN. (_come sopra_) Se ti riconosco! Ingrato...! non ti ho sempre
portato nel mio cuore?...

GIAC.--Ah!... Baronessa!... Non posso credere....

DEIAN. (_con affettazione_) Tu non sai dunque cosa sia il cuore di una
donna!... Tutti così, questi ingrati! Ignorano o fingono ignorare che
nel nostro povero cuore tutto passa, tutto si cancella... tranne la
prima impressiome di un volto... di una voce... di uno sguardo...

GIAC.--Ah! baronessa...!

DEIAN. (_prendendogli la mano_) Continuerai tu sempre ad umiliarmi...
con questo fatuo titolo?

GIAC. (_tra sè_) Signora... perdonate... Noi altri di laggiù siamo
tanti... come si suol dire... minchioni... Si vorrebbe parlare!... si
vorrebbe fare... ma poi manca la voce, mancano le forze... Desiderava
tanto di vedervi...! e adesso... vedete!... mi tremano le gambe... e
tutto il resto... Basta...! a poco, a poco prenderò coraggio... Se
sapeste come mi fanno bene le vostre parole... Se sapeste cosa ho fatto
per rivedervi!... Il desiderio di venire a Parigi assorbiva tutti i
miei pensieri... Ma--che volete?--si hanno dei genitori--o questi sono
sempre un poʼ stitici, quando si tratta di metter fuori quattrini...
Ho dovuto...--vedete a che spinge lʼamore! ho dovuto, per aver del
denaro...

VOCI INTERNE--Vogliamo passare!...

UNA VOCE PIÙ FORTE--Ho già fatto la strada dieci volte!...

DEIAN. (_interrompendo Giacinto_) Scusate...! Che diavolo di baccano là
fuori?...

GIAC. (_tra sè_) Maledetti gli importuni!... Proprio adesso che la mia
lingua cominciava a snodarsi...


SCENA VI.

=Armellina= _e detti_.

ARM. (_accorrendo e parlando sottovoce a Deianira_) Signora!... Un gran
pericolo!... Cinque creditori ad un tratto!... La sarta, la modista, il
calzolaio...

DEIAN.--Mandali via colle buone!

ARM.--Impossibile!... Hanno giurato che se non vedono... mi capite...
faranno un chiasso del diavolo....

UNA VOCE--Entriamo! è tempo di finirla!

DEIAN. (_imbarazzata_) Qual contrattempo:

GIAC.--Che è stato?...

DEIAN. (_appoggiandosi al braccio di Giacinto e fingendosi estremamente
impaurita_) Mio Dio!...

GIAC.--Signora, che avete?... Ho inteso degli schiamazzi là fuori... Se
si trattasse di somministrar quattro pugni... vi assicuro che noi altri
della provincia... sappiamo tirarci dʼaffare per bene.

DEIAN.--Ah!... Giacinto.... Io sono perduta!...

GIAC.--Perduta?... Ma dunque...!

DEIAN.--Pare siano venuti espressamente a questʼora per farmi arrossire
davanti al solo uomo... che io....

GIAC.--Arrossire!... ma di che? Via! parlate, baronessa! vi ripeto che
se si tratta, di somministrare dei pugni...!

DEIAN. (_abbracciandolo_) Cuore ingenuo e sublime!...

GIAC.--Forse dei temerarii che pretendono... al vostro amore!

DEIAN.--Non insisterebbero tanto... Tutte il mondo che mi avvicina
sa che io mi son fatta inaccessibile... dacchè lʼanno scorso... in
una certa città in riva al mare... in un certo cortiletto da albergo
tutto pieno di fiori.... ho veduto... ho scambiato delle parole con
un certo.... Animo! Non vuoi proprio aiutarmi a trovare questo bel
nome?... (_gli getta al collo le braccia, Giacinto si permette di
esalare un sospiro, torcendo gli occhi verso la soffitta.--Al difuori
si rinnovano le grida.--Armellina, dietro le spalle di Giacinto,
accenna a Deianira che è tempo di parlar chiaro_).

GIAC. (_impazientito dalle grida_) Ma... insomma... è tempo di farla
finita! (_esce con Armellina_).

DEIAN.--No! fermati... tesoro!... (_gli tien dietro fingendo di
volerlo trattenere; poi torna sul davanti della scena, si guarda nello
specchio, riordina colla mano alcuni nodi, quindi si accosta in punta
di piedi alla porta donde sono usciti Armellina e Giacinto_).

DEIAN.--Benedetto! è la provvidenza che lo ha mandato... Lo
schiammazzo cessa... Non si odono che parole di ringraziamento... Se
ne vanno!... sono partiti...! (_correndo incontro a Giacinto_) Ci
sei dunque riuscito?... Se tu sapessi...! Vedi a che siamo esposte,
noi, povere donne, quando siamo sole, quando non si vuoi transigere
collʼonoratezza... col decoro... Vieni, Giacinto!... Dallʼapparato
che tu vedi, avrai già capito che questa sera dò nelle mie sale una
piccola festa in costume... Voglio metterti un bel abito alla Luigi
decimoterzo!... Quale sorpresa pei miei amici...! Ti presenterò sotto
il titolo di barone... e di mio cugino... In società è molto facile far
la parte di barone; ma saprai tu rappresentarla per bene, la parte di
cugino?....

GIAC. (_confuso_) Li ho mandati in pace con due biglietti da
cinquecento....

DEIAN. (_con civetteria_) Fra cugini non è di buon genere parlar di
affari... Converrà che io ti insegni a rappresentare la tua parte.
Vieni! faremo delle prove là dentro!... (_entrano insieme negli
appartamenti a destra_).


SCENA VII.

=Armellina=, _quattro domestici, signori e signore, un fanciullo_.

ARM. (_introducendo gli invitati_) Entrino pure! La signora baronessa
verrà a momenti!

(_gli invitati si disperdono nelle sale; i domestici si collocano agli
ingressi dei gabinetti_).

UN FANCIULLO (_ad uno degli invitati_) Vedi, papa, i bei lampadarii...
le magnifiche dorature!....

IL PADRE--Modera il tuo entusiasmo--e ficcati bene in mente questa
massima: che al ammirare ogni cosa si passa per imbecilli.

FANC.--Terrò calcolo del tuo avviso.

PADRE--Ed ora, va! gira... passeggia... divertiti come puoi!... E
quando si aprirà il buffet... non dimenticarti di tua madre e delle
tue piccole sorelline che sono rimaste in casa ad attenderti. Riempiti
quanto più puoi le tasche di ciambelle e di confetture....

FANC.--Oh!... lascia fare...! Anche la mamma me lʼha raccomandato....

PADRE--Segui sempre i consigli di quella santa donna e di chi ti vuoi
bene--te ne troverai contento!

(_si allontanano--altri invitati sì portano sul davanti della scena_).


SCENA VIII.

_Signori e signore_, =Frontino= _in disparte_.

UNA SIGNORA--È strano che la baronessa non si faccia vedere....

UN SIGNORE (_alla signora_) Si vuole che un suo ricco parente di
Bruxelles giungesse improvvisamente stassera... per saldare--_relata
refero_--certe partite....

SIGNORA--Che la baronessa sia dissestata?....

SIGNORE--Certo... le voci che corrono... sul di lei conto....

SIGNORA (_accennando a due invitati che passeggiano a poca distanza_)
Chi sono quei due decorati della legion dʼonore?

SIGNORE--II primo... quello dal volto bruno... coi favoriti
allʼamericana... è nientemeno che il cavaliere Dumonsail, il celebre
inventore della macchina per fare le addizioni.--Intendiamoci.--Si
vuole che il vero inventore fosse un povero maestro di calligrafia,
dotato di molto ingegno, ma povero affatto di mezzi pecuniarii.--Al
buon uomo, per tradurre in fatto la sua invenzione, abbisognava la mano
di un abile meccanico.--Va dal Dumonsail, che a quellʼepoca era un
mediocrissimo operaio in ferro bianco--gli svela il suo segreto, gli
commette di costruire la mecchina--e questi un bel giorno presenta alla
Esposizione il suo piccolo congegno, ottiene il brevetto di invenzione,
e in meno di quattro anni diventa millionario.

SIGNORA--Ma, bravo!... Ci vuol dellʼingegno e del coraggio a far di
questi colpi!... Ah! Ah!

SIGNORE--Voi ridete?...

SIGNORA--Chi non riderebbe, pensando a quellʼimbecille di calligrafo? E
quellʼaltro signore?

SIGNORE--Il signor Chezmoi--un usuraio che da trentʼanni presta al
cento per cinque....

SIGNORA--Di ragione... sarà ricchissimo....

SIGNORE--Circa dieci millioni di patrimonio....

SIGNORA--Non credeva di trovare nelle sale della baronessa De-Cristen
una società cosi eletta (_si allontanano_).

FRONT. (_avanzandosi tra una folla di invitati_) È vano scommettere!
perdereste...! Nessuno meglio di me conosce la vita o i miracoli
di questi amabilissimi e splendidissimi signori. Rosamunda Rosalez
De-Cristen dei Cid baronessa di Baltimora e dʼAlcazar è spagnuola di
origine come i suoi titoli ne fanno fede. Al cadere della dinastia
borbonica, i di lei beni vennero confiscati--ciò è positivo... ciò
è reale... ciò è incontrastabile--ma è positivissimo, realissimo,
incontrastabilissimo che ella ha avuto lʼaccortezza di far passare in
tempo utile alla banca di Francia un gruzzoletto di dieci millioni....

TUTTI--Dieci millioni....

SIGNORE (_sottovoce_) Bombe... e cannoni!....

UN ALTRO (_sottovoce vicino_) Dieci millioni... assicurati sulla banca
del Puff!...

IL VICINO--Questi dettagli non mi interessano.--La baronessa
dà dei buoni pranzi, delle cene magnifiche, delle splendide
feste--strilleranno i puffati; frattanto da noi si gode!....



SCENA IX

=Deianira, Giacinto, Armellina= _e detti_.

FRONT.--Ma eccola!... ecco la Dea dellʼoro e della bellezza!... (_Tutti
si inchinano.--Deianira si avanza a braccio di Giacinto vestito in
costume alla Luigi XIII_).

DEIAN.--Signore... signori... perdonate se mi sono fatta aspettare...
Ho lʼonore di presentarvi il barone Alonso Del-Cid, mio cugino, venuto
espressamente da Bruxelles per prender parte alla mia piccola festa
(_tutti si inchinano a Giacinto_).

--Ho lʼonore...

--Ho il piacere...

UN SIGNORE (_al vicino sottovoce_) Questi cugini!...

LʼALTRO (_sottovoce_) Questi baroni!...

GIAC. (_ai molti che gli si fanno dʼattorno_) Cugino... barone...
Del-Cid... da Bruxelles... troppe grazie!...

DEIAN. (_con disinvoltura_) Ed ora, smettiamo il sussiego!...
Frontino... _monsieur Frontin_... impareggiabile organizzatore e
direttore delle feste--mi pare che la società sia completa... Noi
attendiamo un vostro segno per slanciarci nei vortici del ballo o per
immergerci voluttuosamente in un bagno di melodie....

FRONT.--Prima di tutto, un poʼdi musica... non è vero?... Se il signor
Gallinini vuoi mettersi al pianoforte....

GALLININI--Eccomi!... Non mi farò pregare... Ardo dal desiderio di
offrire a queste darne e a questi signori una primizia--voglio dire una
breve romanza senza parole che io improvvisai la scorsa notte in riva
della Senna... al pallido chiarore della luna... fra il gorgoglio delle
acque... e lo stormire delle fronde....

PRONT. (_interrompendolo_) Da bravo!... la si metta al pianoforte,
signor Gallinini...!

DEIAN.--E noi, mettiamoci a sedere... ed ascoltiamo... Il signor
Gallinini non può darci che della musica di paradiso.

UN SIGNORE--Gallinini!... ai cognome devʼessere italiano... (_Gallinini
preludia sul pianoforte_) Deliziosa!... Alle prime battute si vedono le
stelle, la luna, le fronde, le acque della Senna...

UN SIGNORE (_al vicino accennando a Giacinto_) Mi pare che quel barone
debba avere del positivo... nel portafogli... Se lo invitassimo a
giuocare!

ALTRO--Ci pensava anchʼio... (_a Giacinto_). Se il signor barone
Del-Cid, col buon permesso della amabilissima signora baronessa,
volesse fare quattro colpi al lʼ_ecarté_....

DEIAN. (_sottovoce a Giacinto_) Non permetto...!

GIAC. (_al signore che lʼha invitato a giuocare_) la signora baronessa
non permette....

DEIAN. (_ai signori_). Un cugino che non rivedo da otto anni...!
Signori!... comprenderete....

SIGNORE--Naturalissimo...! Mille perdoni, baronessa (_sottovoce al
compare allontanandosi_) Fra tanta gente troveremo il nostro merlo
anche stassera!

DEIAN. (_a Giacinto_) No! non voglio che tu giuochi... Quei signori ti
spiumerebbero... Ed io ti voglio tutto per me, mio bel piccione!

GIAC.--Piccione...! Ne avete, voi altre parigine, delle parole per
muovere il sangue...!

(_Giacinto e Deianira si allontanano a braccio--la musica
finisce--grandi applausi_).


SCENA X.

_Alcuni Signori_.

I^o--Che ne dici di questa melodia?

II^o--Bella... ma non nuova--il signor Gallinini lʼha rubata a
Berlioz...

III^o--In tal caso, Berlioz lʼha rubata a Rossini.... Ciò che abbiamo
udito è un frammento netto e schietto della _Donna del lago_.

IV^o--II cui pensiero fu spiccato di pianta dalla _Nina pazza_ di
Paesiello...

V^o--II quale probabilmente lʼavrà rubato a Lulli od a Gluch--Sono
ladri, questi maestri!...

(_cominciano le danze interne_).

--Il ballo è cominciato! entriamo nelle sale!


SCENA XI.

=Frontino= _e_ =Deianira.=

FRONT. (_arrivando con Deianira sul davanti della scena e parlando a
bassa voce_) Fra poco egli sarà qui... Ha promesso di venire al punto
di mezzanotte...

DEIAN.--In abito da prete?...

FRONT.--Tu andrai ad incontrarlo nellʼanticamera... lo
introdurrai--sarà un colpo da stordire!... Oh!... ma ecco...
Armellina.... Certamente ella viene ad annunziarci la visita di
monsignore!


SCENA XII.

=Armellina=, _Signore, Signori e detti_.

ARM. (_affannata_) Baronessa... dame... signori...

DEIAN.--Che è stato?

ARM.--Cose da non credere!... Figuratevi....

FRONT.--Insomma?...

ARM.--Figuratevi che un prete... un monsignore... si è presentato
nellʼanticamera e domanda di entrare...

TUTTI--Un prete! un monsignore!

DEIAN.--In verità... una tal visita mi parrebbe per lo meno singolare a
questʼora...

UN SIGNORE--Sicuro...! convien sapere il nome.

UN ALTRO--Potrebʼessere qualche gabbamondo...

UN ALTRO--Qualche ladro, dico io...

DEIAN.--Io non conosco altri, reverendi fuori del rispettabile e
angelico direttore dellʼospizio dei bambini lattanti di Montpeilier...
quel monsignor Duvaneuil...

ARM.--Monsignor Duvaneuil... per lo appunto... Mi pare che egli abbia
profferito un tal nome.

DEIAN.--Possibile!--Signore, signori, col vostro permesso, io vado a
ricevere quel santo uomo. (_si allontana_).

FRONT.--Monsignor Duvaneuil...! (_ai circostanti_) lo scorso estate...
a Monpellier... quel venerabile prelato era il confessore della
baronessa...

GIAC. (_da sè_) Voglio ben sperare che questa sera... prima di
confessarsi... basta! non verrei che questo santo guastasse i fatti
miei...!


SCENA XIII.

=Roberto= _in abito da Monsignore_

=Deianira= _e detti_.

DEIAN. (_inchinandosi a Roberto_) Avanzatevi, monsignore...! Il
pensiero di carità che vi guidò fra noi, verrà apprezzato come lo
merita da tutti i miei conoscenti ed amici...

UN SIGNORE--Che aspetto venerando!...

UNA DONNA--Quanta dolcezza... nel suo viso...! (_tutti si
inchinano--alcuni baciano la mano a Roberto che si schermisce_).

ROB.--No!... non permetto, fratelli amatassimi... Vi prego di perdonare
se interrompo per un istante i vostri onesti ricreamenti... Non rimarrò
che pochi minuti; quindi voi riprendete le vostre danze, che forse...
anzi non ne dubito... vi riusciranno a mille doppi più gradite, come
lo saranno anche in un altro luogo (_stralunando gli occhi e guardando
al cielo_)... in quel luogo ove ogni allegrezza è benedetta quando sia
feconda di carità; _charitas in letitias_, come dice il salmista.

DEIAN.--Parlate... esponete senza esitazione il motivo della vostra
visita... Qui vi hanno dei cuori fatti per comprendervi.

ROB.--Mentre voi, o amabili e belle damine, mentre voi, gentili e
costumati cavalieri, qui, nelle sale calde, illuminate, olezzanti
di profumi, tra i fiori e le musiche, lecitamente e onestamente,
_licito oblectamento_ come direbbe lʼangelico, passate la notte
divertendovi; laggiù, nellʼOspizio che la carità dei fedeli mi ha
affidato, piangono cento e cento bambini, ammalati, sofferenti, mal
riparati dai geli e scarsamente nudriti... (_volgendosi a Deianira_)
La signora, baronessa, altra delle pie e forse la più benemerita delle
patronesse dellʼOspizio, non ignora qual largo margine ivi ancora
sia aperto alla carità dei cristiani... Le annate sono cattive, i
raccolti scarseggiano, e pare che per un insigne miracolo del grande
fattore, col diminuirsi degli altri prodotti, vada sempre aumentando
la popolazione--_fruges deficiunt, coetera tamen intumescunt_... Tutto
vi dirò in una parola: i miei lattanti hanno fame... (_con enfasi_).
E qui vi saranno delle madri... e qui vi saranno dei padri... e chi
non è madre, chi non è padre, da un giorno allʼaltro... che dico...?
da unʼora allʼaltra può divenirlo... _Ubi caro ibi caries_ come dice
il già citato dottore (_sensazione_). Ma io già comprendo dalla viva
commozione dei vostri volti che ogni mia parola, ogni mia preghiera
diverrebbe superflua. _Erubescit, sapientia mea in conspectum
charitatis_, esclamerò anchʼio col Da Compostella; e sporgendovi la
bisaccia dellʼorfano, mentre andrò raccogliendo a benefizio di tanti e
tanti miserelli lʼobolo della pietà e del sacrifizio, ripeterò col già
citato dottore: _qui mihi dat, sibi non abstulit, et qui sibi abstulit
vitam aeternam possidebit...!_

(_va in giro col bossolo_).

UN SIGN.--Eccovi cento lire; ma amerei che ad eccitamento degli altri
facoltosi, il mio nome colla cifra della oblazione venisse stampato in
qualche periodico della capitale.

(_consegna a Roberto il denaro e la sua carta da visita_).

UNA DAMA (_spogliandosi deʼsuoi adornamenti_) Eccovi i miei
braccialetti... le mie perle... tutti i miei gioielli più preziosi....

UN SIGN. (_al suo vicino sottovoce_) Pietre false pel valore di trenta
soldi....

ROB. (_che va in giro raccogliendo le oblazioni_) Date! date pure! che
Dio vi benedica!

UN SIGN.--Manderò una bella somma al vostro ospizio fra poche settimane.

ROB.--Il signore tiene conto delle buone intenzioni, ma lʼAngelico
dice: _intentio placet, pecunia verum tangitur et ponderatur_. E il
Signore è un galantuomo che a suo tempo dà il cento per uno.

UN USURAIO--II cento per uno! ecco un individuo col quale farei
volentieri degli affari se volesse onorarmi della sua clientela.
Prendete! (_gettando nella borsa due soldi incartocciati_) in via di
esperimento....

ROB. (_a Giacinto_) E lei... Bel cavaliere?

GIAC. (_mette mano al portafoglio_).

DEIAN. (_trattenendolo_) No... fermati, cugino!... Preferisco che
tu sottoscriva come già ho fatto io, una donazione annua di lire
cinquecento....


SCENA XIV.

=Armellina=, _un commissario di polizia in abito borghese_, e detti_.

ARM.--Entri pure signor comissario!... Ella troverà qui una società
elettissima.

DEIAN. (_vedendo il comiss_.) Che è stato?....

TUTTI.--Un comissario di polizia!....

COMISSARIO. (_avanzandosi e sbottonando il soprabito per mostrare le
insegne della sua carica_) Signori... e signore... non si incomodino...
ciascuno rimanga al suo posto... Dispiacentissimo di dover disturbare
per un istante una si bella ed elegante società, adempirò al mio
mandato con quella discrezione e quella prudenza che sono tradizionali
negli alti impiegati della polizia francese.

SIGN.--Entrare in una casa di oneste persone.

ALTRI.--Dopo mezza notte...!

ALTRO.--In casa di una signora!... di una dama per ogni titolo
rispettabile...!

ALTRO.--Ciò è inaudito!

COMISS.--Loro signori comprendono benissimo che io non sono che una
mano... un braccio... un istrumento qualunque dellʼautorità.--Orbene:
lʼautorità venne poco dianzi informata che nella festa da ballo
dellʼillustre baronessa De-Cristen (_si inchina a Deianira_),
questa sera, profittando della confusione e degli equivoci mai
sempre occasionati dalla troppa affluenza, verranno ad intrudersi,
e probabilmente già si sono intrusi, due ladri e barattieri della
peggior specie, che infino ad ora sfuggirono alle nostre ricerche, I
conotati fisici di questi due pregiudicati sono abbastanza impressi
nella mia mente, perchè il compito di riconoscerli mi riesca assai
facile.--Le porte sono guardate dai miei uomini di fiducia, onde non è
a supporre che qualcuno tenti di evadere prima che la perquisizione sia
esaurita....

FRONT.--Questa è una indignità!

DEIAN. (_sottovoce_) Impudente...!

COMISS. (_sottovoce_) Ecco uno dei due...!

DEIAN. (_al comìssario_) lo comprendo, o rispettabile esecutore
della legge, che ogni atto di opposizione tornerebbe vano... A suo
tempo presenterò le mie proteste al Ministero; al momento, chino il
capo allʼintegro rappresentante dellʼordine pubblico. Fermamente
convinta che questa. violazione del mio domicilio sia occasionata da
un equivoco, e che nessuno deʼ miei invitati sia persona sulla cui
onestà e dignità morale possa cadere alcun dubbio, io mi presterò di
buon grado ad agevolare il vostro compito onde si abbrevii per noi
tutti una situazione oltremodo penosa e starei per dire umiliante.
Solamente ardisco sperare che la signoria vostra, prima di procedere
alle misure che le pajono indispensabili, vorrà permettere (_accennando
a Roberto, che con faccia compunta e le braccie conserte al petto si
tiene in disparte_); vorrà, permettere a questo santo ministro di
Dio, di compiere la sua opera di carità, terminando di raccogliere le
oblazioni di queste dame e di questi signori a benefizio dei poveri
bimbi lattanti....

COMISS. (_con rispetto_) Monsignore... sarebbe dunque...?

ROB.--Uno dei più grandi peccatori ai cospetto di Dio, a cui queste
pie e devote persone hanno voluto affidare i tesori della loro carità
perchè sieno versati come rugiada benefica sugli orfanelli affidati
alla mia custodia (_scuotendo il bossolo e facendo suonare le monete_).
La voce che esce da questo bossolo è il gemito, la preghiera, la
benedizione di mille cuori innocenti... Se qualcun altro--se lei,
egregio signore--vorrà aggiungere il suo obolo... alla copiosa messe
qui raccolta....

COMISS. (_deponendo una moneta nel bossolo_) Prendete... e perdonate...
se nella mia qualità di impiegato governativo non posso offrire di più.

ROB.--Grazie! permettete che io esclami collʼEvangelista; _Et nunc
dimitte servum tuum in pace, quia mirabilia fecit Dominus!_--Signore...
signori... la mia missione è compiuta...! Se ho ben compreso
(_accennando al commissario_) questo integerrimo non meno che
caritatevole rappresentante dellʼautorità secolare deve compiere in
questa sala una delicata ma forse necessaria formalità. Persuaso che la
mia presenza potrebbe incagliare il regolare andamento della procedura,
io bramarei, col buon permesso dellʼegregio signor comissario, di
ritirarmi e tornare ai miei uffici.

COMISS.--Mi farò un onore di accompagnarla io stesso fino
allʼanticamera....

ROB.--Troppe grazie!... obbligatissimo! (_volgendosi ai circostanti_)
_Benedictio Dei patris_... (_sottovoce a Deianina_) Prudenza e
discrezione! (_forte_) _super vos et super filios vestros per omnia
sæcula sæculorum_! (_esce col comissario_).

UN SIGN. (_al vicino_) Qui cʼè del bujo....

DEIAN. (_sottovoce a Frontino_) In ogni caso, non comprometterci...!

FRONT.--Se potessi svignarmela...!

COMISS. (_tornando in scena con due guardie e indirizzandosi a
Frontino_) Signore, voi siete in arresto!....

FRONT.--Ma... io!... qui certo vi è un equivoco!

COMISS.--Meno ciarle! (_ad una guardia_) Assicuratevi di lui!
(_volgendosi ai circostanti_) La signora baronessa vorrà bene
introdurmi neʼ suoi appartamenti, onde io veda se per avventura vi si
nasconda qualche persona sospetta. Quanto agli altri la consegna è
levata; chi vuoi uscire è padrone.

(_Deianira e il comissario escono dalla porta a sinistra. Frontino
rimane nel fondo della scena, custodito da una guardia di polizia_).

GIAC. (_da sè_) Non so... se a me convenga seguirla....

UN SIGN. (_ad una signora_) Dammi il braccio, Fifina...! Usciamo prima
che avvenga di peggio. (_esce colla signora_).

UN ALTRO--Sarebbe imprudenza il rimanere più a lungo... Nella
confusione, spero pescare un cappello nuovo che quadri alla mia testa.

(_Tutti escono.--Alcuni si inchinano a Giacinto incaricandolo di
porgere i loro saluti e ringraziamenti alla baronessa.--Altri se ne
vanno senza dir parola.--Mentre Giacinto si avvia per entrare nelle
stanze di Deianira, due domestici si incontrano nel fondo della sala.
Lʼuno porta una guantiera con parecchi bicchieri colmi di vino_).

UN DOMESTICO (_arrestando quegli che porta la guantiera_) Permetti che
io mi inumidisca le labbra!

(_beve due bicchieri_).

LʼALTRO (_consegnando allʼaltro la guantiera e bevendo a sua volta_) Da
buoni colleghi! (_si allontanano_).

COMISS. (_uscendo dagli appartamenti di Deianira_) Tutti partiti!...
Quale risveglio di coscienza dinanzi alla mia ciarpa tricolore! (_a
Giacinto_) Il di lei nome?

GIAC.--Giacinto Dubois... per servirla....

COMISS. (_che avrà scritto il nome sovra il suo portafoglio_) Domani,
prima di mezzogiorno, ella avrà la compiacenza di presentarsi
allʼuffizio di polizia del primo circondario per subire un
interrgatorio. Credo dovere di gentiluomo lʼavvertirla, che la signora
baronessa è caduta in deliquio nelle sue stanze... (_a Frontino_) Ed
ella, signor Frontino Grossac, favorisca di seguirci!

(_Frontino esce atterrito fra le guardie. Il comissario lo segue_).

GIAC.--Che razza di scene in questa Parigi...! Ma la baronessa è caduta
in deliquio... Corriamo a soccorrerla... Purchè duri lo svenimento,
avrò forse il coraggio di dirle... di tentare....

DEIAN. (_presentandosi_) II comissario?....

GIAC.--Tutti partiti.--Ma voi?... Mi avevano detto... avevo quasi
sperato....

DEIAN. (_cadendo nelle braccia di Giacinto_) Ah!...

GIAC.--Un altro svenimento!... Quale fortuna!....

(_fa sedere Deianira sovra una seggiola e cade alle sue ginocchio_).

FINE DELLʼATTO SECONDO.



ATTO TERZO.


SCENA I.

Cortile di albergo come nellʼatto primo.

= Tommaso, Cavillo=. (_entrando dalla destra_).

TOMM.--E voi sareste tanto scortese da intentarmi un processo?

CAV.--Ve lʼho detto e ve lo ripeto.

TOMM.--Sarebbe un vero ricatto.

CAV.--Sarebbe la cosa più giusta del mondo, ovverosia la più legale,
giuridicamente parlando. Che diamine, signor Tommaso? non era io forse
il procuratore generale di quella buonʼanima di vostro fratello...
che Dio lʼabbia in gloria?... Ora, le carte che sono ancora in mia
mano parlano chiaro... Il signor Marco possedeva allʼepoca della sua
morte un capitale di L. 10000 in contanti, un albergo bene avviato,
e il valore nominale di L. 13500 in poderi censiti or sono due anni.
Nel suo testamento egli dichiarò erede universale il figlio Giacinto.
Quel pazzo ha preferito buttarsi alla vita di avventuriere anzichè
restarsene tranquillamente a casa sua a mangiare un pane sicuro...
Voi avete profittato dellʼassenza del nipote per prendere le redini
dellʼalbergo, e si vuole che abbiate ipotecati varii poderi... che
appartengono allʼassente di ignota dimora... Voi comprenderete che la
coscienza, il sentimento della giustizia e della onestà mi impongono di
agire....

TOMM.--Voi volete perdermi?....

CAV.--Al contrario... Se le mie intenzioni fossero ostili, a questʼora
il processo sarebbe già incoato, e il vostro nome, la vostra
riputazione di onestʼuomo avrebbero già subito qualche scalfitura.--Ho
creduto bene di prevenirvi... di mettervi in guardia, e ho sempre
atteso come attendo in questo punto, una vostra parola per gettare alle
fiamme i miei scartafacci, e per ridonarvi, con una buona stretta di
mano, la mia stima e la mia amicizia.

TOMM.--Ah! la vostra stima! la vostra amicizia! E chi vi ha detto,
signor Cavillo, che io ci tenga molto alla vostra stima ed alla vostra
amicizia?

CAV.--Signor Tommaso... cogli avvocati non si scherza!....

TOMM.--Signor arruffacause, mi si tolga dai piedi...!

CAV.--Se questa è la vostra ultima parola, a rivederci in tribunale!....

(_fa per andarsene_).

TOMM. (_fra sè_) È inutile!... Non cʼè che una via per uscirne!...
(_richiamandolo_) Signor Cavillo!....

CAV. (ritornando) Mʼavete chiamato?....

TOMM.--Perdonate!... Ho un maledetto carattere....

CAV.--Il mio, allʼincontro, è il carattere più dolce, più elastico che
si possa ideare.

TOMM.--Vediamo di intenderci, se è possibile....

CAV. (_da sè_) Lʼha capita! (_a Tommaso_) Sempre dispostissimo alle
transazioni...!

TOMM.--Alle corte!... Se io deponessi fiduciariamente nelle vostre
mani qualche cosa... come a dire... cinquecento franchi... a patto di
procrastinare....

CAV.--Voi parlate dʼoro... Se aveste cominciato su questo tono, a
questʼora saressimo dʼaccordo....

TOMM.--Allora... siamo intesi... Contate sulla mia parola....

CAV.--Preferirei contare le monete.

TOMM.--Fra mezzʼora... verrò io stesso al vostro studio col denaro. E
voi... desisterete da ogni querela...?

CAV.--_Vivere e lasciar vivere_--ecco la mia divisa. Comunque avvenga,
non farò un passo prima di avervi prevenuto.

TOMM. (_da sè_) Unʼaltra stoccata! (_forte_) Obbligatissimo!....

CAV.--Servo umilissimo! Per vostra norma, io rimarrò nel mio studio fin
verso le quattro. (_esce_).

TOMM.--Son ladri... questi avvocati!....

(_entra nellʼosteria_).


SCENA II.

=Roberto= _in abito da donna,_ =Deianira= _in abito da uomo._

DEIAN.--Quale imprudenza! Entrare nellʼalbergo ove pochi mesi sono
abbiamo _operato_... dove qualcuno potrebbe riconoscerci!

ROB.--Fidati di me. Uno strategico che conosce la sua arte preferisce
sempre di dar battaglia nelle località già esplorate. Sotto questo
travestimento, sfido io chi potrebbe riconoscerci!...

DEIAN.--Se Giacinto fosse qui... se mi vedesse...

ROB.--Ah! Ah!... Credi tu chʼio non abbia calcolata una tale
eventualità? Ebbene: quel tuo Giacinto, in caso di pericolo, potrà
divenire il nostro migliore alleato, il nostro salvatore.

DEIAN.--Egli!... mi fai trasecolare...

ROB.--Ti ama, ed è un imbecille--ecco due considerazioni che dovrebbero
rassicurarti.

DEIAN.--Ad ogni modo... non bramo di incontrarmi con lui... Roberto...
comincio ad avere dei rimorsi.

ROB.--Ho veduto dei cuori meno sensibili del tuo intenerirsi sulla
miseranda fine di un cappone, dopo averlo divorato.

DEIAN--Ma... i miei calcoli non possono sbagliare. Giacinto dieci
giorni or sono era ancora a Bruselles alla casa di salute....

ROB.--Ne saresti per avventura innamorata?... Hai bisogno di mutar
aria, Deianira... Infatti, questa nostra vecchia Europa infracidisce
a vista dʼocchio. Il sistema monarchico costituzionale può corrompere
anche le nature più forti... Io stesso comincio a muovermi con disagio
in questa melma. Entriamo nella locanda!--mettiamoci in regola coi
nostri appetiti più volgari; quindi, fra unʼora, ci imbarcheremo sul
_Telemaco_ per salpare ai liberi paesi dellʼAmerica.

DEIAN.--Eppure... questa cara Francia... questa bella Europa mi
piacevano tanto!

ROB.--Non dubitare... Se laggiù faremo fortuna, fra dieci o dodici anni
torneremo in patria. Quando si posseggono dei milioni, si può anche
adagiarsi nei paesi corrotti dal despotismo.

(_entrano nella locanda_)


SCENA III.

=Clementina=.


(_Uscendo dalla locanda, si incontra con Roberto e Deianira e
si inchina_) Dei forastieri!... Eppure il convoglio non è ancor
giunto!... Come sono lunghe queste giornate!... Tutte le mattine mi
alzo colla speranza chʼegli abbia a tornare, e tutte le sere mi corico
collʼamarezza del disinganno... (_traendo una lettera_) Eppure, nella
sua ultima lettera... Vediamo (_leggendo_) «Fra pochi giorni, mercè il
denaro che mi hai spedito, io verrò ad abbracciarti, o mio buon angelo.
La convalescenza fu lunga, ma sento dʼaver quasi ricuperate le forze,
se pur non mi illude lʼardente desiderio di rivederti, di abbracciarti,
di esprimerti a voce la mia gratitudine... e qualche altra cosa...»
Qualche altra cosa...!... Che vorrà dire!... Ah! queste parole mi
ravvivano il cuore!....


SCENA IV.

=Giacinto, Clementina=.

GIAC. (_osservando_) Una donna... una bella fanciulla....

CLEM.--Qualcuno... (_volgendosi_) Giacinto!....

GIAC.--Clementina! (_abbracciandola con spigliatezza_) La mia bella...
la mia cara... la mia adorata cuginetta....

CLEM.--Quai modi!... Se mio padre... se mio zio....

GIAC. Io ti adoro... io.... (_lʼabbraccia nuovamente_)

CLEM. (_sciogliendosi dalle braccia di Giacinto_) Dio! mi fai paura...
Corro da mia padre a recargli la buona notizia...

GIAC. (_trattenendola_) Va bene...! Dagli in anticipazione un bacio per
mio conto--dagli questo!

(_la bacia sul collo, Clementina mette un grido e corre nella locanda_).


SCENA V.

=Giacinto=.

Povera fanciulla! sempre buona, sempre timida, una vera figliuola della
provincia! Tre mesi fa, ero anchʼio un bamboccio come lei.--Ma ora...
dopo le istruzioni... dopo la pratica che ho fatto con quella vipera
parigina!... Ah! Deianira...! tu mi hai scorticato per bene, ma ora
posso dire di essere un uomo!....


SCENA VI.

=Tommaso, Clementina, Giacinto=.

TOMM.--È dunque vero!... Mio nipote!... Giacinto...!

GIAC. (_abbracciando Tommas_) Caro zio...!

CLEM. (_osservando_) Ha imparato ad abbracciare con una forza...!

TOMM.--Ah! era ben tempo che tu ritornassi...! Se tu sapessi... quante
crisi... quanti sacrifizii--non è vero, Clementina?--per assestare le
tue faccende...! Dopo la disgrazia... che tu sai, siamo accorsi qui,
Clementina ed io--abbiamo abbandonata la nostra casa in balìa di un
fattore... e tu sai quanto sien ladri i fattori!... Non importa, dicevo
a Clementina--corriamo a Çette!--vediamo di salvare quanto si può
delle sostanze di quel scavezza... di quel caro radazzo... Ti abbiamo
scritto--nessuna risposta... Più tardi sapemmo della tua malattìa...
Il mio primo pensiero--non è vero, Clementina?--fu di volare a
Bruxelles per recarti qualche soccorso--ma non eravamo ben certi...
non sapevamo--non è vero, Clementina?--non sapevamo se realmente ti
trovassi colà... Qualcuno voleva farci credere che tu avessi seguito in
America... quella caro... quella carovana... tu mi capisci... Basta!
Teniamo aperto lʼalbergo, ho detto io--vediamo di non pregiudicare
lʼavviamento... Conveniva spendere da cinque a sei mila lire in
riparazioni--non è vero, Clementina?--Quel briccone di Cavillo...
pretendeva immischiarsene... Bada, veh!... non è uomo da fidarsene...!
si vuole anzi che le molte posate, che i molti effetti preziosi spariti
dallʼalbergo alla morte del tuo povero padre, abbiano finito nelle sue
mani... Non si è trovata una sola posata dʼargento nei forzieri; ed
io ho dovuto far venire da Montpellier quelle poche che io possedevo,
tanto da supplire ai bisogni... È pur la brutta cosa il morire!--le ore
che passano fra lʼagonia e le esequie di un galantuomo, rappresentano,
anche nelle case più oneste, unʼorgia di ladri....

GIAC.--Ripareremo a tutto--voi mi consiglierete... mi aiuterete....

TOMM.--Troverai i registri in ordine. Posso dirti fin dʼora che con
dieci o dodici mille lire le nostre partite saranno pareggiate...
Tuo padre mi doveva ancora ottomila lire per la garanzia di quel
sacchetto--te ne sovvieni, Giacinto?... Ora, scontando le seicento
chʼei mi aveva anticipato... pel calessino!

GIAC. (_a Clementina_) Clementina! io muojo di fame!... Vuoi tenermi
compagnia mentre farò colazione...?

CLEM.--Volentieri, cugino!....

TOMM.--Bravi!... Andate là!... (_a Giacinto_) disponi come fossi in
casa tua.... Io esco per un momento; vado a regolare alcuni conti, e
torno subito. (_Giacinto a braccio di Clementina entra nella locanda_).
Converrà che io mi metta dʼaccordo con quel ladro di avvocato... (_cava
il portafoglio_) Non è il caso di lesinare... (_dopo aver contate le
banconote_) Sta bene! Ho promesso cinquecento lire; ma a buon conto,
qui ve ne hanno due mille.

(_ripone con fretta il portafoglio, ma questo gli scivola dalle vesti e
cade al suolo. Esce_).


SCENA VII.

=Frontino=, _cogli abiti sdrusciti, pallido, estenuato_.

FRONT. (_avanzandosi guardingo_) I ciottoli colmi di monete che si
esibiscono allo sguardo dalle vetrine dei banchieri, e le esalazioni
delle vivande che dalle finestre si avventano allʼolfatto dei
passanti--ecco le due cose più immorali chʼio mi conosca. Dal giorno
in cui venni rimandato dal carcere per insufficienza di prove, ho
sempre resistito alle seduzioni dellʼoro; ma ogniqualvolta mi avvenga
di urtare a stomaco digiuno in una corrente dʼaria che abbia baciato
una casseruola, i miei propositi di onestà vengono meno.--Perchè
sono entrato in questo cortile di albergo?... Per un buffo di fumo
impregnato di essenze aromatiche, le quali mi ridestarono nelle papille
nervee la reminiscenza di una eccellente colazione--(_pausa_) Ed ora,
che si fa?... Virtù teologali, assistetemi!... Il buono, il santo
catechista del carcere mi ha detto nel congedarmi: col lavoro e colla
fiducia in Dio tu riuscirai a procacciarti, ciò che la colpa non dà
mai, una esistenza agiata e tranquilla--(_pausa_) Lavorerò!... Qual
sarà il mio mestiere? Mi addatterò a fare il lustrascarpe--ma chi mi
dona cinque lire onde io mi proveda di uno sgabello e di una spazzola?
Piuttosto che rubare... via!... anderò per la città a raccogliere le
spazzatura--ma chi mi presta cinque soldi onde io comperi una scopa?...
E innanzi tutto, dopo quarantotto ore di digiuno, chi mi dà a credito
un pane perchè io mi rimetta in corpo un poʼdi rigore? (_vede il
portafoglio_) Un portafoglio!... (_raccogliendolo_) Il catechista non
mi ha ingannato;--la provvidenza viene in soccorso dellʼuomo onesto!...
No! io non scioglierò questo involto... Il denaro potrebbe tentarmi...
Depositerò il portafoglio al municipio, e a norma di legge mi verrà
sborsato il compenso che mi si addice.

(_fa per uscire_).



SCENA VIII.

=Tommaso, Frontino=.

TOMM. (_pallido e ansante_) Prima di uscire ho contato le monete...
(_guardando per terra_) Non posso averlo perduto che qui....

FRONT. (_avanzandosi_) Signore...!

TOMM.--Chi è là?....

FRONT.--Voi sembrate affannato... voi cercate qualche oggetto
smarrito....

TOMM.--Avresti per caso trovato in questo cortile...?

FRONT.--Che cosa?

TOMM.--Un portafoglio di bulgaro... contenente....

FRONT.--Non so cosa contenga, perchè mi ripugnava lʼaprirlo, ma il
portafoglio è in mia mano... e vi si legge il nome di....

TOMM.--Tommaso Dubois....

FRONT.--Per lo appunto...! Eccovi ciò che avete smarrito.

(_consegna il portafoglio_).

TOMM. (_da sè aprendo il portafoglio_) Questo pezzente è ben capace
di avermi sottratto il denaro... (_dopo aver contate le banconote_)
Duemila... Tutto è in regola--respiro!.... (_a Frontino_) Lʼonestà si
trova sempre nei figli del popolo. Grazie, signore!

(_fa per andarsene_).

FRONT.--Perdonate!... non sono un signore... Al contrario... non mi
offenderei... se accordandomi tutto, o in parte almeno, il compenso che
in simili casi promette la legge....

TOMM.--Non avevate detto di ignorare quali valori si contenessero qui
dentro?

FRONT.--In fede dʼonestʼuomo, vi giuro che lo ignoro tuttavia.

TOMM.--Ebbene: me ne duole per te; ma nel mio portafoglio non vi erano
che delle lettere insignificanti.--In ogni modo, la tua nobile azione
vuoi essere compensata (_dandogli una moneta_) Tieni!... Non sprecarla
in bagordi! (_esce_).

FRONT. (_osservando la moneta_) Un soldo!... La provvidenza è generosa!
(_volgendosi ad un garzone che attraversa il cortile_) Garzone!
Vorresti darti lʼincomodo di portarmi un pane da un soldo?...

GARZ.--Questa non è una bottega da fornaio... Beve, il signore?

FRONT.--Ho fame....

GARZ.--Desidera del vino....

FRONT.--Al mattino preferisco lʼacqua....

GARZ. Là, presso la stalla... cʼè una fontana. (_si allontana_).

FRONT. (_cadendo sopra un banco di pietra in fondo alla scena_) In
carcere si stava meglio!


SCENA IX.

=Deianira,= _sempre in abito virile_, =Giacinto= _indi_ =Roberto= _in
abito da donna_, =Clementina, Frontino= _in disparte_.

DEIAN. (_a Giacinto con famigliarità_) Tu dunque non mi serbi
rancore?...

GIAC.--No, Deianira; le tue lezioni mi costarono un poʼ caro, ma desse
mi gioveranno per tutta laʼvita. Prima di conoscerti, ero uno zotico,
un imbecille, qualche cosa di mezzo fra lʼuomo e la bestia. Da te ho
imparato, ciò che la famiglia e la scuola non insegnano mai, lʼarte di
saper vivere....

DEIAN.--Le donne della mia specie sono piccole università ambulanti
create dalla natura. Alla nostra scuola si diventa giganti o si
muore.--Giacinto, ora puoi prender moglie senza pericolo....

ROB. (_a Clementina_) Sì... lʼho conosciuto a Parigi... Era intimo
di mio figlio... Buon ragazzo... un poʼsventato... un poʼ largo di
cuore... del resto una pasta eccellente....

CLEM.--Mi consolate. Credete voi chʼegli diverrà un buon marito?....

ROB.--Questo dipenderà da voi, mia carina. Tutti i mariti sono buoni,
quando la moglie abbia il talento di renderli ciechi.


SCENA X.

_Un sergente, due carabinieri e detti_.

SERG. (_avanzandosi_) Il padrone della locanda?....

GIAC.--Son io.

ROB. (_a Deianira_) Niente paura!

SERG.--Avete forastieri in alloggio?

GIAC. (_additando Deianira e Roberto_) Questo signore che a momenti si
imbarcherà con sua madre per lʼAmerica.

SERG. (_a Deianira_) Favorisca il suo passaporto.

DEIAN.--Eccolo!....

SERG.--Vostra madre?

ROB. (_inchinandosi_) Per servirla.

SERG. (_da sè, osservando Deianira e Roberto_) Costui è troppo
giovane... questʼaltra è troppo vecchia (_forte, rendendo a Deianira
il passaporto_) Signore, la prego a perdonarmi... ella è libera di
andarsene ove le aggrada....

DEIAN.--Si parta! Siamo già in ritardo (_baciando Giacinto_) Addio,
compagno delle mie follie!--(_a Clementina_) Amatelo! egli nʼè degno...
Voi sarete felici....

ROB. (_a Clementina_) Al patto... mi intendete....

DEIAN.--Vieni, mamma!

(_dà il braccio a Roberto e partono insieme_).

FRONT. (_scorgendo Roberto e Deianira_) Che vedo!....

SERG. (_volgendosi_) Chi è colui?....

GIAC.--Non saprei--qualche mendicante....

SERG. (_ad una guardia_) Non lasciatelo uscire. (_a Giacinto_) Con
vostro permesso, vo a dare una occhiata allʼinterno.

(_entra nellʼalbergo_).


SCENA XI.

=Tommaso= _ansante, e detti_.

TOMM.--Ah.! siete qui...! Clementina...! va!... disponi...! A momenti
verrà da noi lʼavvocato Cavillo... Lʼho invitato a far colazione
(_dandole una chiave_) Metti in tavola le posate dʼargento e tutto il
mia ricco servizio di porcellane....

CLEM.--Tu... dici?....

TOMM.--Che hai? perchè tremi: sarebbe accaduta qualche disgrazia?

CLEM. (_gettandosi ai piedi di Tommaso_) Gli è che quelle posate....

GIAC.--Clementina...! Tu piangi!

TOMM.--Mi avrebbero rubata quella poca grazia di Dio?....

CLEM.--No... padre!... perdono! Io credeva che trattandosi di lui....

TOMM. (_con ira_) Sciagurata!... Vuoi tu dunque parlare...?

GIAC. (_trattenendo Tommaso_) Calmatevi!.... Sentiamo! (_con dolcezza a
Clementina_) Che è dunque avvenuto di quelle posate?

CLEM.--Sapendo che eri malato, che avevi bisogno di denaro... ho
creduto far opera buona portandole al Monte....

GIAC. (_con trasporto_) Tu... Clementina...!

TOMM.--Ah! lad....

GIAC. (_abbracciandola_) Angelo mio, sarebbe vero...? E il denaro che
mi hai mandato...?

CLEM.--Era appunto il ricavo netto... di quelle posate....

GIAC.--Nobile cuore!... anima generosa e sublime...!

TOMM. Ah! la... scia che io pure... mi congratoli, che io pure....



SCENA XII.

_Sergente e detti_.

SERG.--Nessuno! (_alle guardie, additando Frontino_) Fate avvicinare
quellʼuomo! (_a Frontino_) Il tuo nome?....

FRONT.--Frontino Grossac....

SERG.--Le tue carte?....

FRONT.--Eccole!....

SERG.--Pregiudicato! (_a Frontino_) Che facevate qui?

FRONT.--Attendeva....

SERG. (_a Tommaso ed agli altri_) Cʼè qui alcuno che conosca questʼuomo?

(_tutti tacciono_).

FRONT. (_additando Tommaso_) Quel signore può dire... può attestare....

TOMM.--Ah! mi sovvengo!... poco fa gli ho fatto lʼelemosina di un soldo
(_sottovoce al sergente_) Mi pare una schiuma!

SERG. (_a Frontino_) Favorite di seguirci!

(_Frontino viene preso in mezzo dalle guardie_).

FRONT.--Quel Signore (_accennando a Tommaso_) potrebbe soggiungere che
poco dianzi ho dato una prova solenne della mia onestà, rendendogli un
portafoglio....

SERG.--Se ciò è vero, avete compiuto il vostro dovere....

TOMM.--Bravo!

SERG.--La vostra buona azione la troverete un giorno registrata nei
libri di Dio.--Al momento, io debbo arrestarvi per delitto di mendicità
e di vagabondaggio.

(_Il sergente saluta_).

FRONT. (_uscendo fra le guardie_) Non si può divenire onesti con un
soldo di capitale.

TOMM. (_a Giacinto_) Figliuoli: prendete esempìo...--Tu Clementina
principalmente....

VOCI DI FUORI.--Molla! Molla!



SCENA ULTIMA.

=Cavillo= _e detti_.

CAV. (_osservando_) Qualche ladro di basso rango che non merita lʼonore
della mia difesa....

VOCI (_come sopra_) Molla! Molla!

GIAC.--Che voglion dire quelle grida?....

CAV. (_avanzandosi_) Un ladro condotto in prigione. La coscienza
pubblica si ribella sempre contro gli esecutori della legge. E in
verità, i ladri arrestati fanno proprio compassione, quando si paragoni
la loro sorte miseranda....

TOMM. (_abbracciando Cavillo_) A quella dei galantuomini nostri
pari--non è vero, avvocato?--(_dominando la piccola comitiva_)
Guardiamoci... dalle guardie di pubblica sicurezza!


                           FINE DELLA COMMEDIA.



                             VOLERE È POTERE.

                                 NOVELLA.


  Un tal Stucchi Tommaso
    Dei päesel di Arona
    Avea letto per caso
    Un libro del Lessona,
    Dove, con molti esempi,
    Dei vecchi e nuovi tempi,
    Chiaro si fa vedere
    Che _volere è potere_.

  --«_Volere_!... è presto fatto....
    Se tanto il voler giova,
    Converrebbe esser matto
    Per non tentar la prova....
    Io non domando onori....
    Non titoli o favori,
    Di gloria io non mi picco,
    Ma... _voglio_ farmi ricco.

  Or più non mi imbarazza
    La scelta del mestiere,
    Apro uno studio in piazza,
    Mi intitolo banchiere;
    Se ad iniziar la Banca.
    Il capitai mi manca,
    Poichè basta volerlo,
    Sò come posso averlo.

  Ciò detto, il buon Tommaso
    Si recò da un notaro,
    Franco gli espose il caso,
    Gli domandò il denaro;
    Ma quei, con faccia bieca:
    «Che mi dà in ipoteca?
    --Nulla--Nulla!... ho capito
    Non _posso!_... affar finito.»

  --Non _può_?... Lei mi canzona!
    Tal scusa più non va:
    Non ha letto il Lessona?
    Lo _voglia_ e lo _potrà_.
    Lʼaltro lo guarda in viso
    Con cinico sorriso,
    E per uscir di imbroglio,
    Conclude: ebben, non _voglio_!

  Ricorse lʼindomani
    Agli amici, ai parenti;
    Nʼebbe discorsi vani,
    Promesse, complimenti,
    Consigli che mordevano,
    Sorrisi che parevano
    Dirgli: qui tutto avrete
    Fuor quello che _volete_.

  E sorse un dubbio in lui:
    «Che della vita al gioco
    Anche il volere altrui
    Debba contare un poco?
    Dalle prove che ho fatto
    Parrebbe... Eh! via!... son matto!
    Che colpa ci ha il Lessona
    Sʼio son nato ad Arona?

  --Nei piccoli paesi
    Piccole le risorse....
    Qui gli uomini scortesi,
    Qui stitiche le borse;
    E poi, _nemo propheta
    In patria_--è storia vieta;
    Per ritentar le prove
    Convien chʼio vada altrove.»

  Solo, a piedi, di notte,
    Partì senza un quattrino,
    E colle scarpe rotte
    Un giorno entrò in Torino
    Sclamando: «qui ho _voluto_
    Venire, ed ho _potuto_;
    _Volendolo_, mi pare,
    Ora _potrò_ mangiare.»

  Infatti, appena scorta
    Lʼinsegna di un trattore,
    Maso varcò la porta
    Con passo da signore;
    Sedette, fu servito,
    E sazio lʼappetito,
    Pensò: _volevo_ un pranzo,
    Lʼottenni, e nʼho dʼavanzo.

  Ma quando il cameriere
    Venne a portargli il conto,
    Gli parve che al _volere_
    Fosse il _poter_ men pronto--
    Il garzonetto attese
    Alquanto, e poi gli chiese:
    Vuol altro?--Ora, mio caro,
    Vorrei...--Cosa?--Il denaro.

  --Denaro!--Certamente....
    Tu sai che le parole
    Oggi non valgon niente,
    E per pagar ci vuole
    Denaro; or, come averlo
    _Potrei_ senza _volerlo_?....
    --Mi paghi, faccia presto!
    --_Voglio_ il denar per questo!

  Ed ecco, mentre dura
    La strana discussione,
    Due guardie di questura
    Si avanzan col padrone
    --Sentiamo!... cosʼè stato?....
    Tommaso in tuon pacato
    Risponde: «del diverbio
    Fu origine un... proverbio.»

  «Tutto si _può_, _volendo_,
    Lo dice il testo, ed io
    Agli altri esempi intendo
    Unir lʼesempio mio--
    Venir _volli_ a Torino
    E feci a piè il cammino,
    Qui _volli_ entrar, entrai;
    _Volli_ pranzar, pranzai.»

  --Ed ora?--Or non avendo
    Denaro... è naturale....
    Chʼio voglia...--Intendo! intendo
    Ci segua!... Al Criminale
    Verrà stanotte a cena;
    La casa è tutta piena
    Di gente che ha _voluto_
    E mai non ha _potuto_.

  In carcere il tapino
    Fu trattenuto un mese;
    Quindi, lasciò Torino,
    Tornò nel suo päese,
    Dove il volere altrui
    Fu tanto avverso a lui,
    Che, stanco di soffrire,
    Gridò: _voglio_ morire!

  Ai gridi disperati
    Fortuna non è sorda;
    Tra ferri e cenci usati
    Trovò un chiodo e una corda;
    Confisse a un muro il chiodo,
    Fece alla corda un nodo,
    Pose nel cappio il collo,
    E diè lʼestremo crollo.

  Così dal mondo è uscito
    Il povero Tommaso;
    E forse egli è partito
    Convinto e persuaso
    Che quandʼun, per disfarsi
    Dai guai, _vuole_ appiccarsi,
    Non sempre, ma però
    Qualche volta lo _può_.



                                  INDICE


  PARTE Iª--_Lʼarte di far debiti_.

  Ragione dellʼopera                                       Pag.   1

  Cap.     I. Massime generali                              »     7
   »      II. Delle disposizioni naturali del _puffista_    »    12
   »     III. La Vittima                                    »    19
   »      IV. La corda sensibile                            »    43
   »       V. Dellʼordine del _puff_                        »    49
   »      VI. Del prestito                                  »    58
   »     VII. Dei Creditori                                 »    66
   »     Ultimo                                             »    78
   Note di Zeffirino Bindolo                                »    81


  PARTE IIª--_Tutti ladri_ (commedia).

    Avvertimento dellʼautore                               Pag. 105
    Personaggi                                              »   111
    Atto primo                                              »   113
    Atto secondo                                            »   142
    Atto terzo                                              »   179


  PARTE IIIª--_Volere è potere_ (novella).

    Volere è potere                                        Pag. 205





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