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Title: Della scienza militare
Author: Blanch, Luigi
Language: Italian
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*** Start of this LibraryBlog Digital Book "Della scienza militare" ***


generously made available by Editore Laterza and the
Biblioteca Italiana at
http://www.bibliotecaitaliana.it/ScrittoriItalia)



                              LUIGI BLANCH


                         DELLA SCIENZA MILITARE

                                 A CURA
                                   DI
                            AMEDEO GIANNINI



                                  BARI
                         GIUS. LATERZA & FIGLI
                        TIPOGRAFI-EDITORI-LIBRAI
                                  1910



                          PROPRIETÀ LETTERARIA
                         NOVEMBRE MCMX — 26149



                         DELLA SCIENZA MILITARE

                     CONSIDERATA NE' SUOI RAPPORTI
               COLLE ALTRE SCIENZE E COL SISTEMA SOCIALE

                             DISCORSI NOVE



PREFAZIONE A QUESTA SECONDA EDIZIONE


Se a questa seconda edizione aggiungiamo una prefazione invece di
un avvertimento, come facemmo prima, crediamo necessario dar conto
ai nostri lettori delle ragioni che ci hanno ciò consigliato, e dire
che cosa in essa ci siamo proposti. La ragione principale che ci ha
determinato a mettere una prefazione innanzi al nostro lavoro, deriva
particolarmente dai giudizi dei giornali militari stranieri, da
alcune opere e da alcune opinioni di celebri personaggi e competenti
giudici, i quali ci hanno spinto a modificare, per effettuarlo quando
che fosse, il disegno che indicammo nell'avvertimento pubblicato in
testa della prima edizione, e che è di dare un piú largo sviluppo
al nostro lavoro, trasformandolo in una storia della bellica scienza
considerata sotto l'aspetto da noi prescelto. Ancora indicammo quali
subbietti meritavano di essere piú svolti e piú completamente posti
in luce di quello che erano nei _Discorsi_. Dicemmo infine che per
imprendere questo nuovo lavoro avremmo aspettato la critica per trarne
profitto, ed alcun incoraggiamento per istabilire fermamente il nostro
proposito. L'indulgenza benevolente con che hanno trattato il nostro
lavoro i vari giornali italiani, lo _Spettatore francese_, il _Giornale
militare_ di Prussia, i generali Jomini e Oudinot, lo Zambelli ed
altri autori e giornali di cui abbiamo mediate e non dirette notizie,
fa che profittando anche delle critiche urbanissime e limitate
che ci si sono fatte, ci siamo determinati a continuare il lavoro
intrapreso. Ma due metodi ci si offrivano; e in prima quello enunciato
nell'avvertimento, cioè di servirci del lavoro fatto per prima bozza
e dargli un tale sviluppo che ogni discorso divenisse un libro, e
l'opera tutta non un saggio sulla storia della scienza ma la storia
della scienza nel suo senso compiuto. Questo modo però di trattare
il subbietto ci parve che avesse un difetto essenziale, che sorgeva
dall'aspetto sotto cui consideravamo la storia militare. Infatti noi
la consideriamo come espressione della societá, e perciò credemmo
dover in essa e per essa scovrire le condizioni della societá e lo
stato del suo scibile, cioè tutto ciò che il grado di civiltá di un
popolo costituisce. Ora niun dubbio vi è che per tesserla come storia
sotto questo aspetto, bisognava far conoscere lo stato delle scienze
esatte e naturali. Era anche piú necessario di dare alle scienze
morali, come la legislazione, l'economia pubblica, la filosofia e la
letteratura, uno sviluppo corrispondente alla loro importanza, per la
tesi che sosteniamo e per il nesso e le moltiplici relazioni che sono
tra esse e la scienza della guerra; perché un esercito è una societá
compiuta, meno la famiglia, ond'è piú artificiale e piú difficile ad
esser diretta nelle sue operazioni. Per tutto ciò trovammo che non
si poteva che indicar solo e non mostrare come queste scienze tutte
avevano seguíto quasiché parallelamente le stesse fasi che le militari,
e che avevano tutte conferito di spontaneo concerto ad operare tutte
quelle successive modificazioni che hanno finito per trasformare la
societá antica in quella del medio evo e questa nella moderna. Fatto
che per i suoi caratteri, per la costanza del risultamento finale,
malgrado le lagune e le apparenti contraddizioni, si mostra come
un avvenimento determinato in una piú alta regione, per modo che
l'umanitá vi ha operato come istrumento senza aver avuto coscienza
del suo fine. Penetrati da questa veritá, che senza sviluppo per le
scienze morali poteva essere contraddetto il principio che imprendemmo
a svolgere, sentimmo la necessitá di far precedere la composizione
della storia, aggiornandola indefinitamente, da una serie di lavori
parziali, ma rannodati dal loro scopo finale e dal nesso che in esso
vi era, giacché questi offrivano sui vari rami dello scibile e sulle
scienze belliche una larga ripruova di quanto nei _Discorsi_ avevamo
esposto; e cosí allora, se avevamo tempo, forza e vita, potevamo tesser
detta storia condensando tutti questi lavori, oppure lasciarli come
materiali a chi con maggior senno e sapere volesse questa impresa
condurre a fine. Perciò nel 1836 pubblicammo una _Miscellanea_, ove
riunimmo con una prefazione alcuni nostri discorsi pubblicati nel
_Progresso_ sull'economia pubblica e uno sulla filosofia, ch'erano o
memorie originali o analisi di opere sorte alla luce, e sette discorsi
sulla legislazione considerata sotto lo stesso aspetto che le scienze
belliche. Successivamente abbiamo in una serie d'articoli riguardato
dallo stesso lato la filosofia e la letteratura, e abbiamo cosí fatto
aumento a quelli giá pubblicati sull'economia e sulla legislazione.
Indipendentemente da questi lavori nel _Progresso_, abbiamo dall'anno
primo dell'_Antologia militare_ collaborato, e vi abbiamo scritto
parecchi articoli che sono stati trattati con eguale indulgenza dai
giornali di Francia, di Germania e d'Italia e ch'egualmente avevano
per fine principale di servire di sviluppo e dimostrazione alla tesi
primitiva e di dare una idea piú compiuta di alcune parti della scienza
bellica che prevenimmo dover essere piú estesamente trattate. Esposta
la ragione per la quale questa prefazione in testa alla nuova edizione
mettiamo, prenderemo ora, per darle tutta l'importanza che si lega al
suo titolo, a trattare qualche quistione che mette in luce il nostro
lavoro e fa piú che mai conoscere perché questo secondo metodo al
primo indicato preferiamo. Ecco appunto ciò che tratteremo prima di far
termine e conchiusione a questo discorso preliminare.

La genesi di questo lavoro venne dalla sua utilitá; il subbietto che
contiene si riduce a determinare l'origine della guerra come fatto
sociale, i suoi effetti nell'ordine generale e le sue relazioni con
esso: come si manifestò presso i popoli colti dell'antichitá e nel
medio evo, come contribuí a trasformar questo stato nella moderna
societá, quale fu l'azione ch'esercitò sullo scibile e sullo stato
sociale e quale influenza ebbero questi su di essa, tanto come scienza
che come fatto sociale, e come da ciò derivi che può esserne il simbolo
e l'espressione.

Cominciato avendo la carriera delle armi nel primo anno del presente
secolo, ci sforzammo di comprendere la scienza che al mestiero nostro
corrispondeva, e tosto vedemmo che tante piú difficoltá incontravamo
quanto piú alto ci innalzavamo nel suo studio, e scorgemmo che non
poteva essere ben compresa una scienza nel suo piú ampio significato
se non si acquistavano nozioni positive sulle scienze che con essa
avevano molteplici relazioni. E poiché la base della guerra è nel
suo principale agente ch'è l'uomo, e il suo teatro è il mondo, ne
deducemmo che le scienze morali, che riguardano l'uomo nella sua natura
e nelle sue manifestazioni e che fornivano le regole per facilitargli
il cammino nel mondo, erano quelle che solo potevano dare spiegazione
del grande fenomeno che le storiche composizioni e la piú alta parte
delle poetiche narravano e rappresentavano. Considerammo egualmente
che oltre a questi studi che l'agente riguardano, bisognava conoscere
ove operava, cioè il mondo, per potersi calcolare il valore dello
spazio, del tempo e dei locali accidenti, ed in ultimo tutte quelle
sostanze che contengono gli attributi necessari per divenire propri
istrumenti, cioè le armi di cui gli uomini dovevano far uso e tutto ciò
che per materiale di guerra è necessario. Da ciò conchiudemmo che le
scienze morali, le esatte e le naturali corrispondevano ai principali
elementi della guerra, cioè agli uomini, alle armi e agli ordini, con
la cognizione degli spazi ove quelli e questi operavano. Ciò fissato,
ci sembrò che una scienza la quale aveva sí estese relazioni e che
aveva servito di mezzo alle piú grandi trasformazioni sociali ed altre
ne aveva impedite, doveva rannodarsi alla destinazione di tutta quanta
la umanitá, e che doveva potentemente influire sulla fisionomia che
riveste ogni periodo importante della storia delle nazioni. La quantitá
degli avvenimenti che si passavano nel tempo, la loro potente azione
sulle sorti dei popoli, la rapiditá delle trasformazioni sociali,
tutto questo grandioso spettacolo richiamava la nostra attenzione
e ci confermava nelle nostre prime idee, le quali per lo spazio di
trentacinque anni acquistarono maggior valore cosí per i fatti come per
le scientifiche produzioni. Per cui, osservando che l'organizzazione
della forza pubblica, le somme che assorbiva, che piú o meno
equivalgono ad un terzo della pubblica rendita degli Stati; dippiú che
tutte le determinazioni di politica esterna, come trattati di pace, di
alleanza e anche di commercio dai quali le guerre potevano derivare,
erano tutti fondati sulla forza delle diverse potenze, e che questa si
misurava sul suo sistema militare strettamente rannodato al finanziario
che lo alimenta; e finalmente che siffatte quistioni erano quelle
che naturalmente preoccupavano tutt'i corpi consultivi o deliberanti
dei diversi Stati di Europa; ci persuademmo che era anormale che i
membri che componevano queste congreghe fossero nel maggior numero
estranei alle nozioni delle scienze belliche, e che i militari che
vi si trovavano non avessero nozioni in generale dei rapporti della
guerra con lo stato sociale. Da ciò deducemmo che le decisioni dovevano
sovente risentirsi di questa mancanza di cognizioni e i loro effetti
aver grandi e larghe conseguenze sulle sorti delle nazioni. Cosí
immaginammo in una serie di brevi discorsi di svelare queste relazioni
e metterle a portata di tutti gli uomini che di pubblici affari
si occupano, non certo per completare la loro istruzione su questo
punto, ma per eccitarli e facilitar loro il mezzo di acquistarla. _Lo
Spettatore militare_ di giugno 1835 nell'analizzare il nostro lavoro ha
fatto osservare questo aspetto della quistione.

Ora che abbiamo esposto la genesi e il fine del nostro lavoro, ci
resta a svolgere gli oggetti che ivi si sono trattati con un po' piú
di estensione, come enunciammo. Il primo che ci si fa innanzi tanto
nell'ordine de' tempi che in quello delle idee è l'origine della
guerra, giacché sembra un atto sí demente quello di accrescere i mezzi
di distruzione quando l'umanitá lotta invano contro quelli che sono
nella natura, che tale fenomeno non si è potuto che attribuire alla
depravazione ed al capriccio dell'umanitá, vale a dire ad una origine
derivante da un principio anormale. Perciò noi cercammo dargli una
base piú razionale, piú in armonia e in proporzione con i suoi effetti
e la sua durata; e trovammo che se era qualche volta istrumento del
male, non era l'origine di questo, ma serviva a reprimerlo, come le
leggi fanno per ogni societá, e che invece di essere un'anomalia,
era un fatto naturale delle condizioni dell'umanitá, e perciò non
incompatibile con esse, che anzi dava impulso a certe virtú che
l'umana natura rilevavano; che stabilita questa origine, era divenuta
scienza ed arte, e perciò era stato mezzo conservatore da render
atto a difendersi, ed anche da far soggiogare dalle piccole nazioni
incivilite le orde piú numerose de' barbari, e cosí aver conservato
ed esteso la civiltá e dimostrato la superioritá della intelligenza
che dirige la forza minima sulla massima priva d'intelligenza; che
ciò fissato, lo stato sociale e lo scientifico in ogni popolo doveva
essere in relazione con la militare organizzazione e risentir dei
cangiamenti e modificazioni che essa subiva, e in essa far penetrare
quelle modificazioni che accadevano nell'insieme della societá in
tutto ciò che la sua civiltá costituiva. Per dar di ciò pruova dovemmo
esporre il movimento parallelo della guerra e della societá presso i
popoli dell'antichitá, indicare le cagioni della loro decadenza, se
era, come si asseriva dai piú, perché erano giunti all'apice della
civiltá o se perché erano molto da essa lontani. Dovemmo anche dire
come lo scioglimento dell'antica societá nel medio evo e l'oscuritá
de' secoli sotto l'aspetto dell'intellettuale coltura fecero sparire la
guerra come fatto collettivo regolarmente operato e la sua scienza, ma
senza che l'umanitá fosse meno manomessa: pruova positiva che non sono
i metodi che producono i mali della guerra, che anzi li raddolciscono
regolarizzandoli, ma che i suoi tristi effetti stanno sulla terra e
nascono da un piú alto principio, che l'umana volontá può aggravare
o scemare ma non distruggere intieramente. Egualmente ci sforzammo
di dimostrare per la societá moderna come all'epoca del risorgimento
scientifico e letterario e della regolaritá de' governi la guerra
riprese forme scientifiche e metodi razionali, come si serví de'
progressi dello scibile e gli accelerò con la sua vigorosa azione, come
segnò l'èra di tutte le modificazioni che l'ordine politico, il sociale
e l'intellettuale subirono, come i primi inciviliti dominarono quelli
che ancora non erano, e come in ragione che alla civiltá s'iniziarono,
i loro sforzi materiali dall'intelligenza diretti ebbero nella bilancia
politica quel peso che prima non avevano.

Fermato il metodo seguito per esporre la nostra tesi, passeremo ad
indicare brevemente i lavori sussidiari che prendemmo a svolgere per
dimostrare ciò che sembrar poteva una semplice asserzione. Perciò
credemmo necessario mostrare, come indicammo, che la legislazione,
che dá leggi, regole e limiti alla volontá umana assegnandole un
fine nella civile societá, aveva subito le stesse fasi che le scienze
belliche nel loro svolgimento, perché la forza pubblica è costituita
dalla legislazione ed è destinata a garentirla contro gl'interni nemici
ed esterni. Egualmente mostrar volemmo come è l'economia pubblica
che fissa i metodi e spiega le leggi con cui l'uomo può e deve con
la sua intelligenza e la sua forza ai suoi bisogni far servire gli
attributi della materia, e trasformare in mezzi quegli elementi che
sono ostacoli per una barbara societá, per farla progredire nella
civiltá; e con memorie originali o con analisi di opere che trattavano
dell'economia pubblica, dei suoi metodi e delle sue vicende presso
i popoli orientali, presso i greci e i romani, nel medio evo e nella
moderna societá, cercammo dedurne le relazioni ch'erano tra la scienza
che espone i metodi di produrre, consumare e distribuire le ricchezze
e quella che deve garentirli contro tutte le opposizioni che può
incontrare nel proprio seno o nella rivalitá delle altre nazioni. Cosí
ci parvero chiaramente stabilite le relazioni tra la legislazione,
l'economia pubblica e le scienze belliche. Mostrammo che tutte avevano
tre periodi percorsi: uno spontaneo, uno intuitivo ed un ultimo
renduto dimostrativo dalla deduzione che sorgeva dalla sintesi della
scienza, quando i suoi elementi erano divenuti noti mercé l'analisi
induttiva; e come per ben provar ciò bisognava cercarne la pruova
nella storia nel senso piú esteso, cioè tanto in quella dei fatti che
in quella delle idee che avevano influito sulle sorti dell'umanitá.
Perciò consacrammo all'esame dell'opere letterarie rinomate del tempo,
particolarmente nella storia sí civile che letteraria, una serie
d'articoli che ci facilitavano questo fine, con far apparire dalle
svariate vicende che gli storici avvenimenti offrono, certi risultati
costanti, i quali dimostravano che quell'apparente disordine che offre
l'urto degl'interessi, delle passioni e delle idee nella loro lotta,
erano sottomessi a regole costanti nei loro ultimi risultamenti,
quando s'integravano e non differenziavano solo i fatti, e cosí
considerati corrispondevano a certe cause finali che presiedono al
progressivo svolgimento dell'umanitá, in armonia con i destini che la
provvidenza le assegnò compiere sulla terra. Per mostrare l'accordo
che ci è tra l'intelletto e la volontá esaminammo qualche ramo
parziale di letteratura che si svolge nella societá; e trovammo che
nella drammatica letteratura ciò si rendeva piú facile, perché ivi
si mostravano le umane passioni nella loro sorgente e nei mezzi che
impiegavano per trionfare degli ostacoli che la natura o gli uomini ad
esse opponevano, e quali caratteri doveva un uomo rivestire per ispirar
la simpatia e l'ammirazione ne' suoi simili. E qui trovammo relazioni
tra la lotta che l'uomo è destinato a subire sulla terra (poiché niun
dubbio può sorgere che l'uomo sulla terra deve combattere le forze
della natura, scovrirne i segreti, opporre ostacoli alle passioni
dei suoi simili che vogliono sopraffarlo) e la lotta con le proprie
passioni, che tendono sempre a far prevalere le impulsioni dei sensi
o i voli dell'immaginazione sulle fredde conchiusioni della ragione,
le quali impongono il costante sagrifizio di preferire i propri doveri
ai propri desideri. Ebbene, questo quadro ove si mostra compiutamente?
Nella guerra e in quella organizzazione preparatoria per poterla con
successo fare, ove tutto è prescritto, tutto determinato, ove piú
naturali desideri debbono essere repressi, ove le pene e i pericoli che
piú all'uomo ripugnano debbono accettarsi ed ove il piú alto sagrifizio
deve farsi, cioè l'abnegazione della volontá. Per acquistare una
chiara idea di quanto dicemmo, necessario ci sembrò, profittando delle
piú scelte produzioni dell'epoca, di ritrarre dal loro esame quasi
la scienza prima che dá delle altre ragione e loro assegna il posto
nell'ordine dello scibile umano.

La filosofia è questa scienza legislatrice suprema: in essa si
condensano e cercano spiegazione tutt'i fatti che dall'intelligenza
o dalla volontá sorgono. Trattando dell'uomo, del mondo e di Dio
ci eleva alle piú alte questioni sui nostri destini, descrive e
circoscrive le nostre forze deducendole dalle nostre facoltá, misura
le relazioni della intelligenza con la volontá e della volontá con
l'intelligenza, e spiega perché il detto di Bacone è una veritá
primitiva «che la scienza è forza e che l'uomo tanto può per quanto
sa», giacché è costante che l'uomo è debole in presenza de' fenomeni
che non comprende e riprende forza quando in una legge gli ha fatti
rientrare. Quali sieno le relazioni della filosofia con le scienze
belliche è facile il conoscere, perché altro non sono che quei rapporti
naturali che aver deve una scienza superiore con le subordinate. E come
la filosofia tratta dell'uomo, del mondo e di Dio, e la guerra ha per
agente principale l'uomo, per teatro il mondo ed è un istromento de'
misteriosi fini di Dio, ne risulta che queste relazioni vi sono piú
complete, perché in un esercito vi è una societá tutta intera con le
sue condizioni ed ha un fine a raggiungere.

In fuori di una memoria originale sulla teorica, cercammo su questo
ramo dello scibile come negli altri profittare delle pregevoli opere
uscite alla luce per isvolgere queste idee e dedurne gli enunciati
rapporti, e preferimmo, com'era naturale, quelle che trattavano della
storia della scienza e la coordinavano con quella della societá nei
diversi periodi, mostrando come nel movimento della intellettuale
coltura era stata una determinata disposizione a rinnovare l'influenza
della civiltá antica che era stata oscurata dalla dominazione dei
popoli del nord nelle contrade occidentali, perché consideravamo questo
fatto morale e sociale come il piú importante a notarsi nella storia
moderna, che sorgeva con abbattere quella del medio evo negli elementi
che dalla conquista sorgevano; e le scienze che trattammo, nelle loro
relazioni tutte, a questo fine conducono nel loro svolgimento. Ciò
fatto, ci era meno difficile dedurne il nesso che tutte le scienze
hanno tra esse e quello che costituiva l'oggetto principale del nostro
lavoro. Tutti questi lavori sussidiari sulle scienze morali formano
trentanove discorsi, di cui quattordici sono di giá nella _Miscellanea_
pubblicata al 1836 e preceduti da una prefazione per mostrarne il
legame.

Cosí credemmo che quanto asserimmo nei nostri _Discorsi_ veniva
appoggiato dai nostri lavori sussidiari; e che se in essi si trovava
che da qualunque punto si prendeva ad osservare il movimento della
societá e dello scibile, questo svelava la loro unitá, ben dicevamo
in conseguenza quando stabilimmo che lo stato della scienza militare
presso un popolo doveva iniziare all'insieme del suo stato sociale. Il
che dir voleva il chiaro signor Cousin quando nella sua lezione nona
del _Corso_ del 1828 queste eloquenti parole pronunziava: — «Datemi —
egli diceva — lo stato militare di un popolo e il suo modo di far la
guerra, ed io m'incarico di rintracciare tutti gli altri elementi della
sua storia, poiché tutto a tutto si lega e si risolve nel pensiero
come principio e nell'azione come effetto, nella metafisica e nella
guerra. Perciò l'organizzazione degli eserciti, la strategia stessa
importa alla storia. Voi tutti avete letto Tucidide. Vedete il modo di
combattere degli ateniesi e de' lacedemoni. Atene e Sparta vi son tutte
intiere».

Questo luogo riportato, che basta al nostro fine e che dá un appoggio
autorevole alla nostra tesi, vien confermato da quanto un uomo illustre
nella guerra, nella pace e nelle lettere diceva sullo stesso subbietto.
Ecco come il generale Foy si esprime nella _Guerra della penisola_ da
esso dettata (pagina 259, libro quinto): — «Il genio della distruzione
ha le sue sublimi rivelazioni, le quali risvegliano una potenza di
pensiero superiore a quella che presiede alla creazione della poesia
e della filosofia, e la piú alta parte dell'arte, la strategia, è
filantropica nei suoi svolgimenti».

Chiara è la concordanza de' due autori i quali partendo l'uno dalla
filosofia e l'altro dalla guerra, giungono ad esporre la stessa veritá,
base del nostro lavoro.

Avendo cosí dimostrato il nesso della guerra con le scienze fisiche e
morali, dovemmo per il metodo adottato trattare piú particolarmente
le quistioni secondarie della guerra e farne apparire le relazioni
ed il nesso con le principali; per cui profittammo della militare
_Antologia_, di cui il benemerito redattore fu compiacente a
permetterci d'inserire una serie d'articoli che avevano per fine di
risolvere alcune quistioni della scienza che importanti ci sembrano e
che sono le seguenti:

1. La guerra è una scienza?

2. Si può col solo entusiasmo popolare combattere con successo eserciti
regolari?

3. Vi sono dei limiti nella scienza della guerra, nella sua
applicazione, che derivano dallo spazio, dal tempo e dagli accidenti
locali? questi ostacoli possono dal genio essere sormontati? i metodi
possono contribuirvi? i grandi capitani fanno scuola? fino a che punto
la loro azione è circoscritta? le guerre fatte ad un popolo barbaro
sono sufficienti a stabilir la riputazione di un gran capitano?

4. Che azione esercita la militare amministrazione sulle operazioni
belliche? il comando ed il governo di un esercito richieggono identiche
o diverse qualitá? dallo stato dell'amministrazione di un esercito può
dedursi lo stato di civiltá di un popolo e fino a che punto?

Gli articoli sulle _Lezioni di strategia_ del capitano Sponsilli sí
giustamente apprezzate dai conoscitori, e l'analisi del _Saggio di
fortificazioni_ del tenente colonnello Uberto, opera pregevole, ci
posero al caso di determinare che la guerra era una scienza non esatta
ma approssimativa, che rivestiva piú il carattere delle scienze morali
che dell'esatte e naturali, perché né la geometria né le sostanze
erano esseri liberi ed atti ad operare d'appresso la loro istantanea
determinazione, e che facendosi la guerra con gli uomini e per gli
uomini, per quanto artificialmente si circoscrivesse la volontá de'
piú, questa sovente si mostrava, e sempre nell'alta gerarchia era
piena ed intera, e che in conseguenza era speranza vana sottometterla
alle regole delle scienze esatte; che se ciò si era potuto fare
non completamente ma in un modo piú largo per la guerra d'assedio,
era giusto, perché ivi gli elementi materiali accennati avevano
una maggiore importanza, e se le previsioni scientifiche di quelle
operazioni non si realizzavano pienamente, era sempre l'effetto della
influenza delle milizie, cioè degli uomini, che impedivano l'esito
calcolato; e questo esempio dimostrava l'impossibilitá di sottomettere
la guerra di campagna a risultamenti esatti e preveduti, e che vera
restava la massima del grandissimo in guerra, che in essa la parte
morale determinava i risultamenti per tre quarte parti.

L'articolo che dettammo sulla _Filosofia della guerra_ dello Chambray
e quello sulla _Biblioteca storica militare_ pubblicata dal Souvant
e dal Leskine ci servirono a fermare lo stesso enunciato principio,
cioè che stabilendo che la guerra come le scienze tutte aveva la sua
parte filosofica, bisognava da un tal lato considerarla per iscovrire
le sue intime relazioni con le scienze morali, e che perciò rivestiva
lo stesso carattere di esse, cioè di essere per loro natura non esatte
ma approssimative. E al proposito della scelta collezione storica
indicata, cercammo dimostrare che la cognizione delle storie era
necessaria agli uffiziali, perché in esse si osserva l'influenza della
libera volontá dell'uomo sugli avvenimenti, e che quella dell'antichitá
metteva in luce che nelle belliche scienze vi era una parte fissa
indipendente dai tempi e dai luoghi.

Risoluta cosí la prima quistione con corrispondente sviluppo,
consacrammo diversi articoli a mettere in luce la seconda.

Gli articoli sulla guerra di Spagna dal 1808 al 1814, sulle _Memorie_
del maresciallo Saint-Cyr che trattavano delle campagne del Reno
fino al trattato di Campoformio, e sulla corrispondenza del general
Washington ci hanno offerti tre teatri diversi e tre guerre celebri,
il cui risultamento è stato egualmente favorevole al popolo che si
difendeva; perciò bisognava, per cosí dire, decomporre tutti gli
elementi di difesa, calcolarne il valore, metterli in equazione con
gli estranei ad essi, che erano antico retaggio o accidenti fortuiti
i quali hanno facilitato il risultamento, e avendoli cosí ridotti,
esaminare qual era stata la parte reale e positiva del successo, e
se separato da elementi ad esso estranei e di altra natura, avrebbe
l'istesso felice successo avuto la gente che si difendeva.

Per la Spagna trovammo che senza le condizioni di spazio, di suolo,
degli antecedenti storici e del carattere nazionale e peculiare,
l'alleanza e i soccorsi degl'inglesi, e le guerre che dal nord
richiamavano tutta l'attenzione della Francia, e senza che la reazione
generale della coalizione non solo di diverse nazioni, ma anche di
princípi che affini non erano tra essi, avesse rovesciato l'impero,
la nobile perseveranza degli spagnuoli non gli avrebbe preservati
dalla sommissione che potevano senza disonore accettare dopo tanti
sforzi fatti. Per la Francia mostrammo che le tradizioni militari, lo
spirito bellicoso del popolo, la fortificata frontiera, la civiltá
sparsa nelle classi che rendeva un uffiziale atto a rimpiazzare
anche nei gradi piú elevati, la forte e solida istruzione dei corpi
scientifici hanno potuto dar vita e direzione all'entusiasmo da cui
le masse erano animate, le quali soccombevano e di panico terrore
erano prese quando queste condizioni mancavano; e in ultimo che senza
gli errori dei coalizzati politici e militari, sembrava ai piú caldi
amatori della patria molto incerta anzi funesta la lotta. Per gli
americani considerammo tutt'i vantaggi che ha un paese sí vasto, dove
gli accidenti naturali del terreno, come fiumi e monti, sono di una
dimensione superiore alle proporzioni degli stessi accidenti in Europa,
ove l'esercito nemico doveva essere trasportato e alimentato per mezzo
del mare; ciò che circoscrive il numero e rende incerte le operazioni
che su di un elemento al calcolo ribelle debbono combinarsi senza
poterlo evitare, anche aggiungendo a ciò le difficoltá locali e gli
aiuti della Francia e della Spagna e il merito relativo ma incontestato
del duce americano. Posti questi elementi a calcolo, ridotto al suo
vero valore l'entusiasmo popolare dalla corrispondenza confidenziale
ed uffiziale di Washington, dá per le sorti dell'America lo stesso
risultamento che per la guerra della Spagna e della Francia, sostenuta
contro eserciti potenti ed agguerriti. E non senza ragione ci siamo su
questo subbietto fermati, perché abbiamo veduto lagrimevoli effetti,
quando si è voluto dedurre da questi tre esempi che indipendentemente
da tutti gli altri elementi o di circostanze naturali o fortuite, ogni
azione solo con il popolare entusiasmo poteva bilanciare con successo
eserciti numerosi, agguerriti e disciplinati; per cui credemmo dovere
nei limiti de' nostri mezzi combattere un errore che se aveva fatto del
male nel passato, poteva farne anche nel tempo avvenire.

Alla terza quistione ch'è piú comprensiva dedicammo l'articolo
sulla _Spedizione di Russia_ dello Chambray, sulle _Guerre della
rivoluzione dal 1792 al 1815_, sulla _Guerra della successione di
Spagna_ pubblicata dal general Pelet, sui _Grandi capitani_, sulle
_Osservazioni di Napoleone sui commentari di Cesare_, sulla _Campagna
del maresciallo Paskievicht nell'Asia minore_ e sulle _Guerre dei russi
contro i turchi_ del general Valentini.

Noi non esitammo ad asserire che la guerra era limitata dallo spazio,
dal tempo, dai mezzi di sussistenza e dal numero delle milizie,
poiché il genio stesso nelle sue piú luminose intuizioni non può
interamente a suo modo regolare e spingere un grande e complicato
esercito, il quale, anche con il perfezionamento de' metodi e la piú
artistica classificazione degli uomini e delle cose, supera la forza
e l'intelligenza umana; e che quando dei grandi spazi separavano
dal campo i luogotenenti, e che non era poco il tempo per far loro
pervenire e rettificare i propri ordini, questi restavano giudici
supremi nei decisivi momenti, e le ispirazioni del genio dileguavansi
in ragione delle distanze che separavano chi le produceva da chi
doveva averne l'impulso. Ed appoggiandoci ai fatti sí ben narrati
dai due indicati storici, potemmo mostrare che entrata la Francia
nella carriera di rilevar sé e il mezzogiorno di Europa e ritornare
al tempo anteriore al trattato di Utrecht, la spedizione di Russia
era necessaria; che la riuscita era possibile ma non durevole; che
cominciava piucché terminava una serie di guerre; e che la rovina
era possibile e poteva e doveva divenir estrema, come il fatto ha
dimostrato; e finalmente che il quadro delle guerre della rivoluzione è
istruttivo oltremodo, giacché si vedono tanta gloria, tanti sagrifizi,
tanti sforzi, tanti uomini superiori e il genio piú vasto che l'arte
e la scienza conti nella storia far sí che la Francia, che da Filippo
Augusto quasi in ogni regno aveva fatto delle riunioni, degli acquisti
e conquiste, dopo ventiquattro anni di guerre sia la sola ch'è
rientrata nei limiti che aveva un secolo fa, anzi un po' diminuita,
al contrario dei suoi nemici che si sono di tutte le rovine da essa
fatte impinguati. Eppure queste guerre han potentemente modificato
il mondo sotto tutti gli aspetti civili, politici, commerciali e
morali; per cui se si vuol misurare geograficamente, sono tristi i
risultamenti per la Francia; considerati sotto l'aspetto del cammino
della societá, offrono una vasta importanza: ma che non perciò ne
soffre la grave veritá che non si può lottare alla lunga con molti, che
si trae profitto da' prodigi propri come dagli errori degli avversari,
ma che è piú che leggerezza il fondare un sistema su fortuiti ed
incerti accidenti che possono e non possono realizzarsi, ma che
compromettono la sorte de' popoli e ciò che di piú caro essi hanno.
La preziosa corrispondenza della guerra della successione di Spagna
pubblicata dal general Pelet e corredata da una dotta introduzione
da lui dettata, ha completato questa prima parte della quistione,
mostrando che in quell'epoca era fissata la guerra con i suoi elementi
e i suoi metodi; che se i risultamenti non erano proporzionati, ciò
si doveva alla poca mobilitá degli eserciti, e che questa, ottenuta
nel nostro secolo, aveva prodotto quei grandi effetti di cui siamo
stati testimoni, e come in quell'epoca la decadenza del mezzogiorno
cominciò ad apparire: fatto che si è sviluppato ai dí nostri con
l'elevazione progressiva delle potenze del nord, da cui derivati sono
gli ultimi trattati che rincarito hanno su quello di Utrecht che questa
tendenza aveva segnalato. Per esaminare se i grandi capitani facevano
scuola e in che limiti ciò operavano, dettammo l'articolo sui grandi
capitani, analizzando le guerre che seguirono la loro morte; e in
tutte vedemmo che i metodi non erano sufficienti per menare ad effetto
le grandi concezioni, ma il genio ci voleva dell'artista, perché la
guerra nella sua pratica applicazione è piú arte che scienza, per cui
sfugge al calcolo esatto delle scienze ed ha bisogno dell'ispirazione
dell'artista per render fecondi i grandi aiuti e i metodi che la
scienza le fornisce.

Naturalmente si presentava un altro lato del complesso problema che
volevamo risolvere, cioè di determinare fino a che grado le guerre
fatte a popoli ove s'incontrano piú ostacoli nella natura che negli
uomini, e piú in questi che nell'intelligenza di chi i loro sforzi
dirige, possono far rilevare in un capitano le qualitá trascendenti
che lo pongono tra i grandi che la storia registra. Le osservazioni
preziose di Napoleone sulle guerre di Cesare, la campagna del
maresciallo Paskievicht nell'Asia minore e la relazione del general
Valentini delle guerre tra i russi e i turchi in questo secolo ci
sembrarono atte a facilitarci lo svolgimento di tale quistione. Le
guerre di Cesare ci servirono anche a meglio svolgere e riformare il
nostro secondo discorso, ove ci occupammo di esporre in che risiedevano
le differenze tra la scienza e l'arte della guerra fra gli antichi e
i moderni. Dalle luminose osservazioni che il piú gran capitano dei
moderni tempi fa sulle geste del piú celebre dell'antichitá viene
sviluppato il carattere di questa diversitá ed i suoi effetti sono
determinati nelle belliche operazioni, mostrandosi come ciò che allora
era possibile con quegli ordini e quelle armi non sia piú ai nostri
dí con egual bravura, e si mette in luce come ciò sia avvenuto e come
la perdita della parte vinta era sí disproporzionata a quella che i
vincitori soffrivano. Indi passammo ad esaminare da un luogo delle
osservazioni se vero era che se Cesare non avesse combattuto altri che
i Galli, non si sarebbe potuto giudicare di tutto il suo merito che
svolse nelle guerre civili, in cui aveva a fronte eserciti e capitani
formati a una stessa scuola. Mostrammo che anche convenendo che certo
la riputazione di Cesare sarebbe stata minore, pur nondimeno vi era in
quella guerra nella quale ostacoli naturali, difesa ostinata di masse
numerose benché mal dirette operavano, di che scorgere quelle qualitá
che distinguono un gran capitano, come la forza di carattere, la pronta
risoluzione, il vigore della volontá nell'operare, il conservare impero
sopra milizie che sono disposte a demoralizzarsi in faccia a pene
continue, pericoli oscuri e privazioni costanti; e conchiudemmo che
se Napoleone non avesse fatto che la campagna di Egitto, pure poteva
desumersi di che quel genio fosse capace in un altro teatro e con
piú degni avversari. Questa stessa tesi sostenemmo nell'analizzare le
campagne de' russi nell'Asia minore nel ventotto e ventinove del secolo
nostro sotto il comando del maresciallo Paskievicht, la cui storia
fu dal Fonton narrata; e facemmo a quelle campagne l'applicazione
de' principi esposti, conchiudendo che il duce russo aveva dato de'
lampi di genio nelle operazioni parziali, come a Milledux e Kneli,
che egli non operava né poteva essere classificato con il comune de'
generali che ottengono successi contro le orde orientali, nei quali
si scorge sovente che essi sono alla superioritá degli ordini dovuti e
non al concepimento del capitano; perché integrando quelle operazioni,
vedevasi nell'insieme della condotta del duce russo quelle qualitá che
avevamo detto costituire un gran capitano.

Senza le qualitá i successi sono poco ricchi di risultamenti e non
si mettono pienamente a profitto tutti gli svantaggi che il nemico
offre per l'inferioritá della sua organizzazione militare, che deriva
dalla sua poco avanzata civiltá come popolo. La storica narrazione del
general Valentini ci serví a meglio rifermare e con piú numerosi esempi
l'opinione da noi emessa. Cercammo anche scrutare se poteva una nazione
livellarsi militarmente a nazioni piú incivilite senza livellarsi prima
ad esse nello stato sociale, e credemmo che non poteva o che sarebbe
presto decaduta, perché da questo non era appoggiata.

In un particolare articolo sull'_Amministrazione militare degli
eserciti dell'antichitá_ cercammo esaminare la quarta quistione, e
fissammo che il governo dell'esercito non era lo stesso che il comando,
che qualitá diverse ci volevano nei due casi, che rari esempi vi erano
della loro riunione in una persona, che il piú sovente le disgrazie
militari sorgevano da questa disarmonia, che spesso un esercito ben
governato era mal comandato e che altre volte accadeva l'inverso, e
ciò nuoceva al successo, che l'amministrazione dipendeva dal governo e
doveva supplirvi con i suoi metodi per rendere il capo piú libero, che
in quello degli antichi non vi era traccia di ospedali militari, fatto
che derivava dall'insieme delle loro sociali condizioni, subbietto
che sviluppar dovevamo ancora. Tali sono gli oggetti trattati negli
articoli nell'_Antologia militare_ inseriti, come quelli che cadevano
particolarmente sulla quarta quistione di cui non abbiam trattato
che nel generale e sotto un punto solo esaminandola. Questi articoli
formeranno un secondo volume di questa seconda edizione dei _Discorsi_.

Se saremo dal suffragio pubblico incoraggiati potremo poi riprodurre
uniti quegli altri che le scienze morali hanno avuto per obbietto,
giacché speriamo che da questa prefazione chiaro apparisca il nesso che
ad essi li congiunge e che tali lavori possano condurre al fine che ci
proponemmo, cioè a dimostrare l'importanza delle belliche scienze e
la loro potente influenza in tutti i grandi avvenimenti che mutarono
e modificarono la faccia del mondo. E se ciò è accolto, niun dubbio
può sorgere che chi prende parte nei pubblici affari e coloro che si
limitano a volerli comprendere non debbono essere estranei alle nozioni
di quella scienza che crea e conserva gl'imperi.



AVVERTIMENTO DELLA PRIMA EDIZIONE


Nel determinarci a riunire in un volume i nove discorsi sulla scienza
militare pubblicati nel _Progresso_, sentiamo il bisogno di esporre,
com'è dovere, quali ragioni ci abbiano spinto a riprodurre sotto altra
forma ciò che era di giá pubblicato.

L'indulgenza dei lettori ed il consiglio d'amici che veneriamo
sott'ogni aspetto hanno vinta la nostra esitazione a produrre riuniti
i mentovati discorsi. Solo nel mentre che ci veniva consigliato con
ragione di dar loro una forma piú atta ad una pubblicazione compiuta e
di svolgere maggiormente il nostro soggetto, noi abbiam creduto doverli
riprodurre identicamente, non dissimulandoci punto che vi sieno in essi
molte ripetizioni, indispensabili alle pubblicazioni che si succedono
a distanza di mesi, le quali non presentano nessun vantaggio allorché
si riuniscono in un corpo. Per conseguenza ci prendiamo la libertá di
esporre i motivi che non ci han fatto deferire a' loro benevoli e savi
consigli.

È nostro progetto, se questo imperfetto lavoro attirerá l'attenzione
dei sapienti ed i giornali letterari ci onoreranno della loro critica,
di rettificare e modificare le nostre idee, riducendole ad una storia
delle scienze belliche considerate sotto l'aspetto stesso che abbiam
preso di mira in questo lavoro preliminare. In quella potremo svolgere
il soggetto e trattarlo con maggiore sviluppamento, particolarmente
rispetto ad alcune sue parti; il che i limiti in cui eravamo ristretti
nel suddetto giornale ci vietavano di fare. E per enumerare qualcheduna
di queste parti, tratteremo la parte antica piú distesamente,
analizzando le campagne dei gran capitani dell'antichitá e le opere
degli scrittori militari di quel tempo; cercheremo penetrare nello
spirito delle istituzioni militari dei popoli colti dell'antichitá,
mettendo il tutto in confronto dello stato scientifico e sociale di
quei periodi istorici; daremo maggior estensione a ciò che riguarda
l'amministrazione militare in tutt'i tempi; entreremo in qualche
particolare sul soldo delle truppe e sullo stato contemporaneo delle
rendite pubbliche; faremo conoscere piú minutamente l'organizzazione e
i metodi seguiti negli ospedali militari, importanti stabilimenti come
segno di civiltá e di umanitá; i progressi della legislazione militare,
la natura delle pene ed il metodo di procedura saranno egualmente
trattati piú a lungo; il dritto delle genti considerato nei suoi
rapporti con la guerra per la sorte de' prigionieri di guerra e del
loro trattamento, i sistemi delle capitolazioni e trattati militari,
della gestione e sorte dei paesi militarmente occupati, sviluppati
piú estesamente; daremo novelle pruove dei rapporti dello stato della
civiltá con quello della guerra. Se vita e forza avremo e se saremo
incoraggiati nella nostra impresa, ce ne occuperemo caldamente, avendo
di giá meglio di cinquanta memorie composte sopra oggetti che vi
corrispondono, ove è deposto il frutto delle nostre letture, delle
nostre osservazioni e delle interessanti conversazioni avute cogli
scrittori militari piú distinti dell'epoca e con sapienti e capitani
tali che se volessimo nominarli, sarebbero garentia sufficiente della
nostra asserzione. Illuminati ed incoraggiati da uomini distinti e
modesti, ci auguriamo di poter menare a buon fine un'impresa che ci ha
occupato dall'anno 1804, epoca in cui il nostro primo informe progetto
a questo riguardo fu concepito.

Tanto tempo e tanta perseveranza se non sono una guarentigia di buona
riuscita, il sono almeno di buona volontá e di coscienza nel lavoro:
questa convinzione ci consola e ci conforta al tempo stesso.



DISCORSO I

    Idee generali intorno alla scienza militare ed alle sue
    relazioni colle altre scienze e collo stato sociale.


Volendo pubblicare alcune idee sulla scienza militare, crediamo utile
anzi indispensabile esporre innanzi ogni cosa il metodo piú atto a
seguire in questo lavoro, a fine di renderlo piú chiaro ai lettori. E
perché abbiamo in animo di scrivere non solamente pei militari ma bensí
per coloro che attendono all'altre scienze, stimiamo sia d'uopo far
noto il rapporto e il collegamento che la scienza della quale trattiamo
ha colle altre. Ad ottener questo fine conviene risolvere le seguenti
quistioni:

1. La disposizione alla guerra nasce forse dalla nostra natura ovvero
dalla corruttela di essa?

2. Quai sono le relazioni che passano tra lo stato sociale e la scienza
bellica?

3. In che modo la scienza bellica si lega alle arti e alle scienze i
cui progressi costituiscono la civiltá di un popolo? Indispensabile è
dessa per conservare?

4. Giova forse a sviluppare l'intelletto e la volontá?

La storia dell'umanitá come pure l'analisi del cuore umano rispondono
alla prima quistione con buone ragioni, con molti fatti.

Ogni volta che si considerano i mali della guerra e si calcolano gli
effetti che avrebber prodotti tanti mezzi rivolti a distruggere se in
quella vece fossero stati impiegati a creare, e da ultimo s'ha riguardo
all'umanitá oltraggiata in mille guise, debbono al certo riputarsi
giustissimi i precetti della religione, i consigli della filosofia
contro questo flagello, e parimente si scorge perché sia stata
attribuita la guerra piuttosto alla corruttela della nostra natura che
alla stessa natura.

Ciò non pertanto una piú grave ed accurata disamina fa chiaro esser
ella inevitabile non solamente, ma utile ancora nella nostra imperfetta
esistenza, perocché egli è mestieri che sia negli uomini una forza la
quale difenda contro l'assalitore e i prodotti del proprio lavoro e
l'altre cose piú care.

Se lo scopo di una bene ordinata societá si è quello di rendere la
ragione forte e la morale armata, secondo la felice espressione del
traduttore di Platone, risulta che nelle societá non ancora del tutto
formate, per conservarsi a fronte di altre meno avanzate in pubblica
ragione ed in viver civile, sia d'uopo quella disposizione indicata di
sopra, la quale fa risaltare una delle piú nobili passioni che toccata
sia in sorte all'umanitá, cioè quella mercé della quale ciascuno
sagrifica se stesso a pro del comune. Dove un tal sentimento invale
in una societá, dee questa stimarsi arrivata al piú alto grado di
forza, e l'amor della patria riposa su condizioni ben differenti da
quelle che nascono dall'informe aggregato di uomini legati soltanto da
materiali interessi dai quali scambievolmente sono occupati. Puossi
dunque asserire la disposizione alla guerra altro non essere di sua
natura negli uomini che il sentimento della loro dignitá, la quale
non piegano al capriccio di esseri dotati delle medesime facoltá e
che da interessi personali guidati vogliono offendere quei dritti che
ogni uomo deve difendere sotto pena di avvilire e degradare se stesso,
secondar l'ingiustizia ed infrangere ogni morale. Nelle nazioni bene
ordinate suppliscono in gran parte le buone leggi, ma ogni nazione
d'altronde, come societá particolare, è tenuta ad opporre quella
medesima resistenza che abbiamo notata negl'individui rispetto alle
altre nazioni; e questo per le cause medesime, comeché con effetti
piú gravi, perché la sfera nella quale si agisce diventa piú vasta.
Possiam però dire che il sentimento della difesa è nella natura umana,
che egli è necessario allo sviluppo non meno che all'esistenza di lei,
e che finalmente la corruttela di essa natura può fare in maniera che
quella facoltá anzidetta, degenerata, si volga in offesa. In tal caso
la guerra non è giá l'effetto della natura corrotta, ma effetto bensí
dell'abuso operato del sentimento il piú nobile e insieme il piú utile
all'uomo e alla societá.

Stabilita l'origine morale della disposizione alla guerra, risponderemo
alla seconda quistione, vale a dire quali sieno le relazioni che
passano fra la scienza bellica e lo stato sociale di un popolo ovvero
di un'epoca.

Un illustre oratore ha detto in una sua arringa che il dritto e la
forza si disputano il mondo. Queste parole rinchiudono non solo un
principio, ma la storia tutta nel senso il piú alto: l'antagonismo
morale dal quale provengono i movimenti e gli sconvolgimenti
dell'umanitá. Se ciò è vero, è impossibil cosa il negar che le forme,
i metodi che piglia ed impiega la forza conservatrice o distruggitrice
a fine di far trionfare il dritto ovvero di conculcarlo, debbono
avere grande influenza sulle vicende politiche e sopra i loro effetti
morali. Difatto dai piú grandi storici dell'antichitá costantemente
rilevasi l'influenza che ottiene questo o quel metodo di combattere di
questa o di quella nazione. Il giudizioso Polibio volle disingannare i
suoi concittadini sulle vittorie dei romani sí funeste alla Grecia e
tanto importanti pel mondo, facendo loro conoscere nella superioritá
della legione sulla falange il vero segreto di quelle vittorie e non
nell'ira de' numi, come i superstiziosi credevano, o nell'abbandono
dell'antiche massime, sopra di che i severi gridavano, o finalmente
nella perfidia di pochi che la salute della patria alle loro mire
private sagrificavano.

Vegezio attribuiva alla decadenza di quel sistema militare che Polibio
aveva notato come cagione de' prosperi successi dei romani, la rovina
dell'impero e l'invasione dei barbari.

Queste due citazioni bastano, a nostro credere, a chiarire la veritá
del principio che di sopra enunciammo. La storia intera della scienza
bellica mostra come lo stato di questa è in ragione dello stato
sociale, giacché nella composizione, nell'ordinamento, nelle morali
tendenze della pubblica forza, nei suoi metodi operativi, si scorge
appuntino qual sia la classe che domina nello Stato e che piú ha in
cuore la conservazione di esso, quali sieno i principi preponderanti
nella societá ed a qual grado sian giunte e le arti e le scienze.
Egli è mestieri osservare come spesso avvenga che anche in una societá
rozza la civiltá penetri alquanto mercé di alcun metodo di guerra, che
venga introdotto a fine di secondare con piú vantaggio il movimento
ascendente il quale corrisponde nelle nazioni all'epoca del loro
sviluppo; ma se la societá tutta non progredisce in fatto di civiltá
per modo ch'ella non superi quella del proprio esercito, questo ricadrá
prestamente nell'ignoranza e diventerá uguale all'intera nazione, come
può dirsi dei musulmani. Altre volte egli accade che le arti della
pace perfezionino nelle nazioni pacifiche le arti della guerra e che la
decadenza dell'une si faccia sentire nell'altre. I popoli commercianti
fanno di questo continua fede.

Mercé delle cose predette ne sembra aver dimostrato passare una
relazione costante fra lo stato della scienza e quello della societá;
ma relazione siffatta, che vien sottoposta a perpetue alterazioni
secondo che maggiore o minore è l'influenza di questo e di quello.

Ma rispondiamo alla terza quistione la quale deriva interamente dalla
seconda. Basta considerare alcun poco la scienza della quale teniamo
discorso per far chiaro esser ella nel centro di tutte le umane
cognizioni.

Dichiareremo piú minutamente questa correlazione, e ciò dará a divedere
l'altezza della scienza e conseguentemente la somma importanza di lei.
Un nostro scrittore, la cui sagacitá discopriva quello che ingegni meno
sottili non iscoprono se non mercé di lunga esperienza, determinando
gli elementi primari della guerra affermava consistere essi elementi
negli uomini, nelle armi e negli ordini. E questa sí chiara esposizione
del fu marchese Palmieri risponde del tutto all'idea che qui vogliamo
sviluppare.

Difatto il trascegliere uomini a fin di ordinarli secondo uno scopo
speciale suppone il dovere di soddisfare ai bisogni tutti che in una
qualunque associazione si fanno sentire. Questa riunione di uomini ha
d'uopo di ordinamento non solo, ma di tai mezzi bensí che la sostentino
e la conservino; oltre di che son bisognevoli e pene e ricompense e
tutto quanto richiedesi a mantenere l'ordinamento e l'unione che di
sopra dicemmo. Da questo conséguita la scienza militare esser legata
alla politica, la quale reggendo gli uomini esercita su di loro una
impulsione uniforme, e mentre dall'una parte garantisce i loro diritti,
li costringe dall'altra alla severa osservanza dei doveri sociali. In
quanto all'amministrazione la quale risguarda i materiali interessi
della milizia, tiene la scienza bellica alla pubblica economia, e
in quanto alle pene ed alle ricompense, alla giurisprudenza ed alla
legislazione. E però vediamo la scienza bellica nel primo elemento
dovere ricorrere alle scienze morali, politiche ed economiche, come
ancora alle mediche per tutto quel che s'aspetta alla scelta degli
uomini, al loro sviluppo e conservazione, a fine di renderli tali da
ottenere con essi lo scopo pel quale furono sotto quella forma riuniti.

Passando al secondo elemento, vale a dire alle armi, egli è chiaro che
visto l'immenso miglioramento del materiale di guerra avvenuto a' dí
nostri, sopra le scienze fisiche e naturali si fondano la confezione
dell'armi e la maniera onde valersene, e basta notare che oltre la
fisica, la mineralogia e la metallurgia debbono assai ben conoscersi
per avere ed usare le buone armi. Usciremmo dai limiti del nostro
discorso se volessimo dilungarci piú oltre su questo particolare.

Quanto agli ordini considerati come metodo necessario onde operar
grandi cose nel minore spazio e nel minor tempo possibili, di leggieri
si scorge esserne fondamento le scienze esatte, le quali si occupano
delle quantitá e misurano appunto lo spazio ed il tempo, e ogni volta
che sono applicate ai solidi ed alla meccanica, servono di guida alla
costruzione ed ai movimenti del materiale di un esercito. Tai movimenti
son conosciuti sotto il nome di «manovra di forza», come quelli che son
fondati sopra le proporzioni che passano tra l'agente e la macchina.

E fin qui dimostrammo le relazioni della scienza militare ne' suoi
elementi colle scienze morali, economiche, fisiche, naturali ed esatte,
e la sua dipendenza da esse.

Ma queste relazioni ingrandiscono in ragion della macchina chiamata
«esercito», appena che in tutte le sue parti elementari compiuto, entra
in operazione, vale a dire esercita la sua azione nel senso piú alto,
nel senso piú esteso.

Non cosí tosto un esercito è sul piede di guerra, non cosí tosto
perviene in paesi stranieri, eccolo diventare una colonia operante.
Tutte le sue operazioni proporzionare egli debbe alla propria natura,
allo scopo che si propone, al paese nel quale entra ed agisce. Tutte
le scienze, morali, politiche ed economiche, che abbiam dimostrato
essere base all'ordinamento della pubblica forza, debbono a tal punto
conoscersi da poterne modificare l'applicazione senza ledere in guisa
veruna i loro principi nelle molteplici e complicatissime combinazioni
della guerra. Immensa è la differenza che passa fra il tener riuniti
mercé della regola militare molti uomini in una caserma, dove ogni cosa
è ordinata esattamente e dove monotono è il modo di vita, e il reggerli
nelle marcie tra le difficoltá infinite e gli ostacoli d'ogni maniera
che gli uomini e la natura vanno opponendo ai concepiti disegni.
Grandissimo è inoltre il divario che corre tra il fare sussistere
frazioni di truppa nel proprio paese ove tutto si ottiene agevolmente,
e di procacciar vettovaglie a masse di truppa, e quel che piú monta,
in ispazi non grandi e in paesi nemici o guasti e impoveriti mercé
della guerra. Aggiungi che facil cosa ella è il curare e il guarire un
picciol numero di malati nella tranquillitá della pace col soccorso del
clima nativo, ed assai malagevole in quella vece si è il combattere
le epidemie che mena seco la guerra, il piú luttuoso corteggio che
ella aver possa, e che offendono al tempo stesso il fisico e il morale
della soldatesca la quale vive ed agisce per forza d'abito. Oltre a
ciò si consideri come le pene e le ricompense diventino presso che
inutili con uomini la cui fantasia è alterata e dei quali però conviene
eccitare o calmare le varie passioni; con uomini che in faccia alla
morte, fra i piú acerbi dolori ed anche le mutilazioni e le privazioni
d'ogni sorta che fan precoce la vecchiezza, acquistano siffatta energia
di volere che rende inefficace l'azion delle leggi fatte pei tempi
ordinari, laddove oltremodo severa ne dovrebbe essere in quel tempo
l'applicazione. Può egli altresí istituirsi alcun paragone tra il modo
sí facile di conservare il materiale e le armi nella pace, dove in
gran copia sono i depositi, e la rovina sí subitanea che trae seco la
guerra, cosí di uomini come di cose, e il piú delle volte in tai luoghi
dove non v'ha alcun mezzo da racconciare o rifare quel che si guasta
o consuma? Di che arte finissima, di che intelligenza, di che energia
non han d'uopo gli uffiziali di artiglieria e quelli del genio a fin
di eseguire opere di grande importanza, quantunque la storia sdegni
di tramandarle alla posteritá? Riporre si debbono in questo novero la
ricomposizione e il trasporto di un parco di assedio, la creazione di
un trinceramento o di una piazza momentanea. In quanto agli ordini,
molta è pure la differenza che corre tra i movimenti di poca truppa
operati in piccioli spazi onde piegarsi e spiegarsi o mutare la
fronte, in un terreno sicuro dove spessissimo ogni arma si esercita
separatamente, senza combinazioni fortuite ovvero ostacoli naturali, e
quel che piú vale, senza nemici a fronte; e le grandi operazioni della
tattica le quali preparano e seguono quelle grandi tragedie chiamate
«battaglie», a cui tiene la sorte degl'imperi e che dir si potrebbero
i punti trigonometrici della storia la quale riempie i vuoti. Quivi le
differenti arme delle quali un esercito si compone debbono combinarsi
in tal modo che tutte concorrano a quello scopo che il capitano si
prefigge, e sovente in luoghi non conosciuti e di natura sí varia che
malagevole riesca l'applicazione di quegli esercizi medesimi fatti
durante la pace. Quivi un nemico vigile e attivo le sue forze ti cela,
ostacoli ti frappone a ogni passo, controccava i tuoi movimenti quando
meno tel pensi. Niuna cosa è di poco momento in giornate siffatte, dove
in breve ora si perde o si vince la fortuna d'un secolo. Un picciol
variare di suolo può cagionare i piú gravi, i piú vasti risultamenti;
e però le cognizioni geografiche, topografiche e geodetiche, le
quali si fondano sopra i sublimi calcoli dell'astronomia, riescono
indispensabili e costituiscono la superioritá dello Stato civile sul
barbaro e la sicurezza di cui può godere una societá bene ordinata
contro la forza brutale di orde nomadi. E difatto alla superioritá
della scienza bellica siam debitori della conservazione della civiltá
greca e romana e conseguentemente di tutto quanto di bello e gentile
d'ogni maniera è sino a noi pervenuto. Temistocle a Salamina, Cimone a
Platea e Mario a Vercelli la civiltá difendevano contro la barbarie.
Altri esempi ha pure la storia di quanto affermiamo. Tutto quello
insomma che l'uomo incivilito piú ama, il deve alla scienza della qual
ragioniamo, difesa e conservazione.

Ne sembra aver dimostrato in che modo e le arti e le scienze di che
abbisogna la guerra sieno utili a questa ne' suoi elementi e ne giovino
lo sviluppo.

Ma una relazione piú alta si scorge nella parte trascendentale della
scienza, vale a dire in quella dove si formano i piani di guerra,
si stabilisce il sistema della difesa d'uno Stato o si pon mano alla
militare costituzione di un popolo, che molti cospicui scrittori hanno
denominata «filosofia della scienza bellica», o meglio «politica
militare». Egli è d'uopo conoscere ed applicare ora questa ed ora
quella di moltissime scienze. Basterebbe cennare un sistema di
reclutazione ovvero di avanzamenti, un sistema di fabbricazione o di
amministrazione, o finalmente un sistema di difesa a fine di combinare
le fortificazioni colle forze che si hanno, perché si vedesse qual
serie di cognizioni si leghi alla scienza bellica. Arrivata questa a
un'altezza siffatta, strettissima è la sua relazione colla storia,
col dritto pubblico, colla diplomatica e però colle forme che una
tale scienza richiede, dovendo l'uomo di guerra assai di frequente
fare trattati o capitolazioni o tregue o conchiudere paci. Per la qual
cosa gli è d'uopo ancora aver cognizione delle varie parti del dritto
applicato alla politica esterna. La guerra ha per se stessa pochi
principi ed una assai breve legislazione. Nell'applicare quei principi,
nell'usare di questa legislazione, consiste l'ingegno e il valore di
chi comanda. Conviene studiare attentamente la storia la quale, come
di sopra notammo, componesi di urti di uomini, d'interessi e d'idee.
In effetto non v'ha un interesse, non una credenza, non un sentimento,
il quale non siasi ingrandito e messo non abbia forti radici mercé
della conquista o della resistenza che alla conquista opponevasi.
Nella missione divina di Mosè vediamo la provvidenza medesima far della
guerra uno strumento di religioso propagamento, e la denominazione di
«Dio degli eserciti» data all'Eterno si è trasmessa da quella rimota
epoca fino a' dí nostri.

La quarta ed ultima quistione cui ne rimane a rispondere, vale a dire
se la scienza militare influisca sullo sviluppo dell'intelligenza e
della volontá, potrá a molti sembrar risoluta mercé delle antecedenti,
e però inutile il riparlarne. Pure abbiam voluto separatamente
toccarla a fine di combattere una opinione comunemente invalsa, cioè
che il mestier delle armi abbrutisca l'uomo e renda inerte la sua
intelligenza e sregolata e feroce la sua natura. A prima vista, non
lo neghiamo, sembra fondata una tale opinione; ma esaminandola un po'
piú addentro, scorgiamo esser ella non giusta. Perocché il mestiere
dell'armi interamente dipende dalla societá nella quale si esercita, e
ogni volta che in questa è ignoranza e barbarie, ignoranza e barbarie
è ancor nella soldatesca, sebbene il piú delle volte si scorga
piú intelligenza, piú civiltá ed anche piú umanitá in un esercito
appartenente a nazione involta nella barbarie ma militante in paese
straniero, che nel restante della nazione rimasta in patria. Della qual
cosa potremmo recare esempi moltissimi; il che non facciamo perché
portiamo opinione non essere alcuno dei nostri lettori che per se
medesimo non li vegga.

Ma proseguiamo. Non può negarsi che niuna cosa piú facilmente promove e
sviluppa l'intelligenza quanto il numero e la forza delle impressioni
che la mente riceve. Niente meglio rafferma la volontá quanto gli
ostacoli i quali si attraversano al conseguimento dei desidèri o alla
esecuzione dei doveri. Ora è certissimo che la guerra fatta in un campo
un po' vasto cosí nello spazio come nel tempo, possiede le condizioni
tutte che abbiamo notate, promovendo lo sviluppo ed insieme l'esercizio
dell'intelligenza e raffermando la volontá.

In effetto la storia degli uomini grandi (ne fa Plutarco ampia fede)
piú che d'ogni altro è abbondevole d'uomini di guerra, e negli Stati
dove le istituzioni e le tradizioni rendevano il mestiere dell'armi un
dovere dal quale nessun cittadino poteva esentarsi, copia maggiore di
uomini grandi sorgeva, ma grandi piú che nell'altre cose nella milizia.
E questo può dirsi riguardo ai popoli un po' inciviliti. In quanto ai
popoli barbari non v'ha illustrazione possibile fuorché nella guerra,
e dove le classi son molte e distinte fra loro, torna piú facile
il fare di un buon capitano un ambasciatore, un amministratore, un
tribuno, un uomo di Stato, che di un di costoro un buon capitano. Non
mancano esempi di questa versatilitá d'ingegno la quale s'incontra nei
militari.

Lo sviluppo della volontá è conseguenza dello stato violento che
seco mena la guerra, di sua natura esaltatrice delle passioni al
sommo grado. In prova di questo ricorderemo che soggetto delle opere
letterarie piú scelte, dei piú famosi poemi, è la guerra, niente meglio
valendo a dipingere la forza sublime, l'alta energia dell'umano volere.
Basta citare Omero, Virgilio, il Tasso e il Camoens onde chiarire
che nella guerra piú che in tutt'altro suole mostrarsi l'umanitá nel
suo piú compiuto sviluppo, e però agevolmente si può ingrandire nel
metterla in scena senza uscire del tutto dal mondo reale. Alle autoritá
che recammo in esempio aggiugneremo altri argomenti desunti dalle cose
predette, cioè:

1. La varietá delle impressioni, il rapido passaggio dalle une alle
altre, la quantitá degli oggetti che si offrono all'occhio secondo
i paesi che si attraversano e i climi e le opinioni che variano di
continuo, creano, e non v'ha dubbio, nuovi pensieri e in gran numero.

2. Nelle menti regolarmente formate questi pensieri debbon fruttare di
molto, e ingrandire e attivare le facoltá intellettuali, e suscitare
morali bisogni, e spegnere pregiudizi, e fare acquistare il potere
insieme e il diletto sí del pensare che del giudicare. Quest'ultima
cosa è bastante a dissipare qualsiasi frivolezza nell'abito della vita
o nei sentimenti e ad imprimere nell'uomo un carattere piú morale,
piú grave, piú solenne. Tutte le opere messe a luce dagli uomini di
guerra presentano questo carattere, e sí nell'antichitá che a' dí
nostri, perciocché se gli uomini i quali dánno opera ai buoni studi
nel lor gabinetto posson condurre le scienze, o matematiche o fisiche o
naturali che dir vogliamo, ad un alto grado di perfezione, ogni volta
che l'ingegno sará uguale avranno sempre vantaggio coloro che l'uomo
han potuto osservare dove la natura è combattuta, dove ogni cosa è
sforzo, dove insomma l'umanitá è costretta ad usare ogni modo a fine
di vincere gli ostacoli che si attraversano ad ogni passo. Le autoritá
non mancano neppur qui: staremo contenti a Cartesio, la cui carriera
conferma essere assai grande la superioritá dell'uomo di azione sopra
di quello che l'umanitá interamente non vede ma quasi a metá, perché
non conosce il piú alto e difficile punto nel quale vien posta alla
prova.

3. Per quel che riguarda la volontá, che scuola migliore fu mai della
guerra? S'egli è vero che le forze dell'uomo son reazioni, s'egli è
vero che tutte le religioni ed ogni specie di filosofia non ad altro
ebber riguardo se non che a mantenere la dignitá umana, consigliando
e imponendo una nobile rassegnazione a qualsivoglia dolore fisico e
morale, può liberamente asserirsi che si rinviene piú stoicismo recato
ad atto, piú nobil rassegnazione religiosa in un campo che nel portico
ovvero in un chiostro.

Non crediamo sia al mondo spettacolo piú sublime di questo: vale a dire
di un capitano che dalla sua tenda opera l'ordinamento di grandi masse,
che sonata l'ora della battaglia è costretto a risolvere una serie
gravissima di problemi, i cui dati incompleti mutano ad ogni istante; e
questo non piú sotto la tenda, ma in campo, ma spossato dalle fatiche,
ma senza conforto di cibo o di sonno, ma premuto, schiacciato dal peso
d'una grande responsabilitá, ma avendo spesso oltre il nemico che deve
affrontare molti gelosi ai fianchi e alle spalle, ed il quale nulla
curando la propria persona, in faccia alla morte, dee conservare la
mente chiara, fredda, tranquilla e fortissima la volontá. L'amore che
portiamo alla scienza della quale parliamo ci fa uscire dai termini
che si convengono a questo discorso, e però conchiudiamo coll'emettere
questo voto: che alcun valente scrittore (e bramiamo che sorga in
Italia, nella maestra di ogni scienza) la faccia argomento di un'opera
d'importanza.

Crediamo aver risoluto le quattro quistioni proposte, perocché abbiam
chiarito la relazione della scienza bellica con gli altri rami
dell'umano sapere, la relazione dello stato sociale colla scienza
suddetta, la potenza conservatrice e la storica importanza di lei
e da ultimo la sua influenza sullo sviluppo dell'intelletto e della
volontá. Niente altro ci resta se non dichiarare il metodo che terremo
per isvolgere storicamente le idee sopra enunciate, il quale sará il
seguente.

Nel secondo discorso tratteremo dello stato delle scienze belliche
presso i popoli dell'antichitá, segnalando le differenze che lo
separano da quello de' moderni. Nel terzo tratteremo dello stato
dell'istessa scienza dal medio evo fino alla scoverta della polvere.
Nel quarto dalla scoverta della polvere fino all'abdicazione di Carlo
quinto. Nel quinto da quest'ultima epoca fino al trattato di Westfalia.
Nel sesto da questo fino al trattato di Passarowitz. Nel settimo da
quest'ultimo fino alla rivoluzione francese. Nell'ottavo da questa
al congresso di Vienna. Nel nono esporremo i rapporti delle scienze
belliche colla letteratura e colle belle arti, determineremo in quale
scientifica categoria la guerra possa essere considerata e quale sia
l'importanza dello studio di essa per la sua pratica applicazione come
arte, e termineremo col riassumere tutto quanto dicemmo nei nostri
discorsi. Confidiamo che il piú dei lettori voglia prender diletto da
una scienza di cui è tanta l'importanza e l'altezza che piú addentro si
guarda e piú s'ama.



DISCORSO II

    Delle differenze tra la scienza militare degli antichi e quella
    de' moderni.


Avendo nel primo nostro discorso dichiarato i legami che ha la scienza
militare con le altre tutte, mostreremo ora in questo le differenze
di essa scienza tra' vari popoli in tempi diversi. E perché la piú
chiara ed esatta distinzione si è quella fra antichi e moderni, cosí
riserbando ad altro luogo il parlar d'altre cose attinenti all'arte
della guerra, terremo qui ragionamento dei caratteri particolari i
quali separano le usanze guerriere degli antichi da quelle de' popoli
moderni, e dimostreremo come tali differenze risultino dallo stato
civile e dalla istruzione scientifica delle nazioni.

Non v'ha dubbio che presso le genti barbare non v'ha scienza bellica,
ma sí veramente solo ci ha in quella vece l'istinto della guerra. Di
strattagemmi componesi, per cosí dire, la guerra, la quale è soggetta
ad un certo calcolo. Per esserci dunque una scienza bisogna che lo
stato delle societá sia tale che nelle loro leggi e nella loro coltura
intellettuale ci sia qualche cosa di comune. La scienza militare in tal
caso seguirá questa tendenza e salirá veramente a quel grado che se le
conviene. Dopo le quali premesse ci occorre questa prima quistione:
fino a qual punto la scienza militare ottenne ne' prischi tempi il
carattere di generalitá che hanno le scienze tutte?

L'antichitá presentava nel suo complesso popoli costituiti in una
gradazione diversa della scala sociale. Leggi teocratiche ed una
civiltá stazionaria regnavano nelle vaste e misteriose contrade
dell'Egitto e delle Indie. Misto di leggi militari e teocratiche era
il reggimento della monarchia persiana. Le coste dell'Asia minore si
governavano con forme republicane, le quali meglio si confacevano allo
spirito commerciale che dominava in quei popoli. Delle orde nomadi
occupavano il centro dell'Asia. La gran famiglia celtica stendevasi
in quasi tutta l'Europa meridionale, ed i sarmati e gli scandinavi ne
tenevano il settentrione. Tutte queste nazioni erano veramente societá
poco avanzate per rispetto alla civiltá ed alla scienza in gradi
diversi. La Grecia con le sue colonie e Roma con l'Etruria presentavano
i soli popoli in cui la civiltá non solo era inoltrata, ma portava
seco medesima il seme di maggior progresso. La civiltá delle coste
occidentali dell'Africa avea apparenza di forestiera, perché introdotta
dalle colonie colá stabilite, ma l'interno del paese era barbaro o
ignoto. Da questa breve esposizione risulta che piú differenze che
somiglianze vi erano tra le varie nazioni del mondo antico; e sarebbe
un far onta alla sagacitá de' nostri lettori il dimostrare la disparitá
compiuta cosí negli usi e costumi come nelle idee e ne' sentimenti onde
era separato il mite popolo delle Indie dall'orgoglioso persiano o dal
parto feroce, il superstizioso egiziano dall'ateniese elegantissimo,
e la intelligenza pronta del greco dalla gravitá de' romani o
dall'ignoranza de' celti.

Or se ne' popoli dell'antichitá le differenze erano molto maggiori
delle somiglianze nel complesso della loro esistenza, per logica
deduzione ciò doveva dare le stesse conseguenze riguardo alla coltura
ed allo scibile. L'applicazione di questo principio al nostro scopo ci
rende certi che l'arte militare appresso gli antichi aveva un carattere
proprio e locale che la faceva rassomigliare ad una letteratura anzi
che ad una scienza, giacché quella è sempre l'espressione della
societá nella quale fiorisce, e questa veste sempre il carattere
dell'universalitá.

Ed ecco pertanto la piú evidente diversitá tra l'arte militare degli
antichi e quella de' moderni: che l'una è locale, l'altra generale,
perché tra i primi le differenze sono maggiori delle somiglianze e
nei secondi le somiglianze sono molto piú delle differenze. Infatti
la dominazione romana, il cristianesimo, il sistema feudale, la
letteratura classica hanno stabilito fra' moderni popoli quella specie
di comunione, quella somiglianza, diciam cosí, di fisonomia che non
poteva, come notammo, esser mai tra i loro predecessori. E però l'arte
militare nella novella Europa ha preso quel carattere scientifico ed
universale che non si ebbe mai appresso gli antichi. Per giugnere a
questa veritá, ricordevoli del metodo da noi adottato nel precedente
discorso, dimostreremo come gli uomini, le armi e gli ordini antichi,
comparati co' nostri, indicano nel tempo stesso non meno le differenze
dello stato dell'arte militare presso i popoli dell'antichitá che
quelle delle arti e delle scienze tutte. E però si consideri:

1. La facilitá che essi avevano di muovere i loro eserciti formati in
ordine profondo grazie al limitato materiale di cui usavano, perché
le loro armi non domandavano una consumazione perenne di munizioni da
guerra.

2. La parte secondaria che la cavalleria e le macchine di guerra
tenevano ne' loro eserciti.

3. La facilitá di governare masse limitate nel numero e nei bisogni in
virtú della scelta degli uomini e dell'educazione che ricevevano.

4. La poca importanza delle nozioni topografiche e geografiche, la
quale risulta dalle antecedenti circostanze che erano proprie del
sistema guerriero dell'antichitá, ond'è che il lavoro della penna e lo
studio, cosí importanti pei moderni, erano quasi di niun valore per gli
antichi; diversitá, secondo noi, la piú notabile, perché ben applicata
può servir di misura al merito de' gran capitani delle varie etá e
giovare ad assegnar loro quel posto che meritano nella opinione dei
posteri.

Ma qui crediam necessario prevedere qualche obbiezione che alla terza
di queste proposizioni potrebbe farsi. Forse ci si dirá che il numero
limitato è tutto al piú applicabile solo a' greci ed a' romani ne' loro
tempi gloriosi, ma non mai a' popoli orientali o a' barbari nomadi cosí
dell'Europa come dell'Asia e dell'Africa.

A ciò rispondiamo che sebbene il padre della storia ci dia convincenti
pruove della massa quantunque esagerata pur sempre numerosa dei
persiani e di altri popoli dell'Oriente, nondimeno facciamo osservare
che noi ignoriamo come sussistevano queste informi aggregazioni
di uomini e come si amministravano, che poco sappiamo anche come
combattevano, e che dalla sola rassegna dell'esercito persiano
deduciamo che non vi era né scelta negli uomini né uniformitá nelle
armi né in conseguenza negli ordini. Ma conosciamo per altro che metodi
imperfetti servivano a muovere masse enormi, le quali operavano col
loro peso e non mai con la loro intelligenza, e che l'arte mancava
di regole certe e non poteva essersi elevata all'altezza di scienza.
Il primo carattere, del pari che il piú gran risultamento di essa,
consiste non solo nel far vincere, ma nell'avere negli ordini di che
riparare ai rovesci. Imperciocché come osserva col suo alto senno
il Segretario fiorentino, non ci è scienza guerresca ove non ci è un
sistema di spiegare le proprie forze a proposito o con misura perché
le speranze rinascano di continuo; speranze che non ingannano finché
quell'ordine sussiste, laddove il valore individuale privo di direzione
e di speranze perde il suo primo vigoroso impulso. E cosí quel grande
ingegno nota e spiega la salda intrepidezza delle legioni anche ne'
loro giorni sinistri e lo scoraggimento dei Galli dopo il primo loro
assalto non riuscito[1].

L'osservazione del Machiavelli è applicabile cosí a' popoli nomadi
d'Oriente che alle nazioni celtiche ed alle orde scitiche. Senonché
queste avevano sui primi il vantaggio di uomini meglio preparati
alla guerra pel loro stato sociale, di un armamento piú uniforme e
piú compito, e se non di ordini militari positivi, almeno di quelle
abitudini che ne tengono luogo e che ne producono i risultamenti.
Crediamo cosí aver risposto all'obbiezione che poteva farcisi e
dichiarato perché ci limiteremo a comparar coi moderni i soli popoli
inciviliti dell'antichitá, giacché questi soli avevano fatto della
guerra una scienza.

La piú ristretta cognizione dell'istoria antica è sufficiente a
far conoscere che i greci ed i romani, benché forniti di ordinanze
ed armi diverse, avevano di comune la profonditá dell'ordine piú
o meno flessibile nel movimento delle sue frazioni. È chiaro come
simile ordinanza non solo agevoli i movimenti, ma renda il capitano
padrone di masse disposte in un ordine mobile e concentrate sui
circoscritti spazi; vantaggi tutti di cui sono privi i moderni per la
natura delle armi da fuoco, che portano la distruzione sulle masse
disposte in ordine profondo, dove con lo spiegamento di esse la
mobilitá è diminuita e la difficoltá del comando si complica per lo
spazio occupato e pel bisogno di avere due ordini diversi, l'uno per
attaccare, l'altro per difendersi. L'uso quasi esclusivo delle armi da
fuoco rendendo le macchine moltiplicate e frequente il rinnovamento
delle munizioni da guerra, ha fatto crescere le difficoltá delle
operazioni tutte, dalle marcie e dall'ordine primitivo di battaglia
fino alle operazioni strategiche le piú trascendenti. Le macchine
antiche, importanti negli assedi, erano di quasi nessuna importanza
nelle battaglie. Al che aggiugni la ristretta azione della cavalleria,
la quale essendo disposta in ordine profondo e non operando mai contro
la infanteria nemica se non quando i suoi ordini erano sciolti,
si limitava a combattere solo la cavalleria. Al contrario oggidí
la cavalleria combatte co' fanti, particolarmente se è secondata
da un'agile artiglieria. La quale inferioritá delle antiche armi
ausiliarie produceva come principale effetto la superioritá della
difesa all'attacco.

Gli antichi eserciti si componevano di soldati scelti tra uomini
giá educati a un tale scopo ed erano perciò facilmente governati.
Né le cognizioni geografiche o l'importanza del tempo erano per un
capitano dell'antichitá se non secondarie, il che succede appunto
tutto all'opposto per un capitano de' moderni tempi. Quegli ridotto
ad operare con una ordinanza forte da per sé ed appoggiandosi ad
essa, aveva tutto sotto gli occhi, ed a renderlo grande bastava il
merito tattico; laddove questi dev'essere strategico, vale a dire
dee saper dirigere e muovere le sue truppe su terreni che non vede.
Quindi il primo va giudicato dalle sue azioni, il secondo dalla sua
corrispondenza; dappoiché l'uno poteva riparare gli errori de' suoi
collaboratori, essendo ciò in sua balía, l'altro non giá, perché fuori
del suo potere. Ci resta ora a determinare come lo stato della societá
tra gli antichi e delle scienze economiche, politiche e morali, esatte
e naturali si palesi nelle loro composizioni, nelle armi e negli
ordini da essi adottati; ci rimane a stabilire fino a che punto i loro
militari ordinamenti hanno avuto potere sopra gli avvenimenti istorici.
Le quali quistioni serviranno di conclusione, perché dimostrano la
nostra primitiva asserzione, la quale andremo successivamente svolgendo
negli altri nostri discorsi cosí pel medio evo come pe' secoli
seguenti.

Esaminando le societá incivilite dell'antichitá, troviamo nella loro
filosofia e legislazione la pruova compiuta del grado eminente cui
erano pervenute le scienze morali, le quali tanto contribuivano a
formare gli uomini e dirigerli ad uno scopo di sociale utilitá. Ecco
perché gli uomini che componevano le falangi e le legioni avevano
indubitatamente una gran superioritá sopra quella moltitudine di che
si compongon gli eserciti delle moderne nazioni. Perciò tutto quello
che riguarda la disciplina e la forza morale degli eserciti greci e
romani eccita non solo la nostra ammirazione, ma sovente ci sembra un
fenomeno inesplicabile, se pure non si vuole ammettere una degradazione
nella specie umana. Or quest'alta disciplina non era solo fondata
su metodi meccanici, buoni senza dubbio ed indispensabili, ma essa
risultava altresí dall'azione sull'intelligenza e la volontá umana,
richiedendosi dal soldato antico non la limitata cooperazione che
l'ubbidienza inspira, ma quella piú elevata, piú compiuta, piú feconda
per sua natura di grandi effetti, perché spontanea. Di ciò fanno fede
le concioni degli antichi e tutta la loro legislazione militare, che
mirava ad infervorare la mente delle persone senza che il disordine
s'introducesse nelle schiere.

Da questo adunque possiamo inferire che gli uomini degli eserciti
vetusti erano superiori agli uomini degli eserciti moderni, benché
questi, a dir vero, migliorino a misura che negli Stati si adotta la
massima che il servizio militare è un dovere di tutti temporaneamente.

Non diremo lo stesso delle armi, mentre le scienze naturali ed esatte
erano nell'infanzia anche nelle colte nazioni dell'antichitá, e
le opere stesse di Aristotele e di Plinio dimostrano insieme e la
superioritá degli uomini e lo stato poco soddisfacente delle scienze
naturali. Epperò i moderni hanno una indeterminata superioritá a questo
riguardo; ma bisogna osservare che non è solo alla scoperta della
polvere che si dee attribuire tal differenza, ché essa poteva farsi
anche nell'antichitá, ma questa scoperta stessa non ha dato tutti i
suoi risultamenti se non quando il progresso di tutte le scienze esatte
e naturali l'ha secondata nel suo crescere e nel suo perfezionarsi.
In effetti ci sono popoli selvaggi e popoli barbari che conoscono e
si servono dell'armi da fuoco, ma non perciò posseggono la scienza
militare. E se fosse vero che i chinesi, come alcuni pretendono,
avessero preceduto gli europei nella scoperta della polvere, ne
risulterebbe una pruova piú chiara di quanto asserimmo.

Gli ordini come dipendenti dalle armi hanno dovuto risentirsi, siccome
facemmo osservare, dello stato delle scienze che loro servono di base.
Ma gli antichi possedevano le scienze esatte ch'erano necessarie
per servire di princípi alla tattica, ed in effetto ingegnosi e
matematicamente ragionati erano tutti i movimenti della falange e
della legione. Tutto ciò però che dipendeva dalle scienze geodetiche,
geografiche ed astronomiche non avea base larga; per cui la parte
trascendente della guerra presso gli antichi era piú nell'istinto degli
uomini grandi che nello stato della scienza.

Tale a noi sembra il potere che ha avuto lo stato delle scienze sui
militari ordinamenti degli antichi. Ci resta ora a considerare fino a
qual punto sí fatto stato dell'arte militare abbia influito sulle fasi
dell'istoria dell'antichitá e sulla sorte dell'umana specie.

Noi abbiamo indicato nel precedente discorso l'influenza che esercitò
la resistenza della Grecia alla Persia, coronato dal buon successo
nella guerra contro i medi a pro della civiltá della specie umana.
Nessuno disconviene dell'immensa spinta che diedero allo spirito umano
le conquiste di Alessandro, la conoscenza dell'Oriente, la formazione
di un impero greco in Egitto e la fondazione di Alessandria; cittá
che non solo serví al commercio delle derrate, ma a quello delle
dottrine, ed ove conservò lo spirito umano un asilo per esercitarsi
nella doppia decadenza letteraria della Grecia e di Roma. E questi
grandi risultamenti nessuno negherá esser dovuti agli ordini greci,
i quali guidati da mente sublime prevalsero sull'ignoranza militare
dell'Oriente.

Le conquiste de' romani costituiscono l'importanza e l'unitá
dell'istoria di quel tempo e hanno preparato piú di ogni altra cosa
l'avvenire d'Europa. Perciò l'illustre Bossuet nel suo magnifico
_Discorso sulla storia universale_ ha considerata la vasta dominazione
romana e la sua caduta come il grande strumento di cui la provvidenza
usò per propagare il cristianesimo; alti risultamenti che si legano
allo stato della scienza presso i romani ne' periodi diversi della
loro politica esistenza. Tali conquiste sarebbero state certamente
impossibili se ne' popoli che i romani attaccavano fosse fiorita la
scienza militare. Ma fino a che punto la correlazione tra le scienze e
la guerra si conservò nella decadenza dell'impero quando fu aperto il
varco alle barbare dominazioni?

Uomini eminenti nelle scienze morali hanno manifestata la loro opinione
intorno al circolo inevitabile che le nazioni percorrono, discendendo
di bel nuovo dopo di essersi elevate all'apice della civiltá. Il
nostro altissimo Vico ne ha fatto un sistema intiero ch'è rifermato
da molti. Ma si domanda se i romani avevano attinto l'ultimo grado
di civiltá, posto che nello Stato una ferrea schiavitú imbarbariva
la maggior parte della popolazione e le classi alte erano ammollite,
le medie avvilite; posto che in esso la religione non avea nulla di
spirituale e si riconoscevano negli dèi piú vizi che non in qualunque
uomo ordinario; posto che infine le scienze esatte e naturali erano
nell'infanzia. Ivi gli spettacoli atroci ed altri particolari caratteri
dimostrano una societá che conserva un gran fondo di barbarie e che
non è compiutamente incivilita; per cui può dirsi che la decadenza
dell'impero procedeva da ciò che gli mancava di civiltá anziché da
eccesso della medesima. L'applicazione di questo principio allo stato
dell'arte militare ne dará una pruova e servirá di risposta alla
quistione ultima che ci siam proposta.

La degradazione degli uomini togliendo alla milizia romana quella
superioritá di composizione che noi facemmo osservare, portò un colpo
mortale alla milizia, poiché solo espediente dell'impero contro i
barbari fu il sistema di reclutare tra questi; il che compiutamente
dimostra la deteriorazione degli uomini d'arme. Si comprende egualmente
come questa introduzione de' barbari qual nuovo elemento della forza
militare avesse dovuto produrre il doppio effetto d'insegnare ad essi
alcunché della tattica romana e d'involgere questa nelle costumanze
barbariche; doppio effetto che tornava a favore del barbaro i cui
metodi progredivano, ed a danno dei romani che deterioravano i loro.
Le armi romane furono alterate dal loro buon lato, ch'era la parte
difensiva, giacché davano maggior confidenza al soldato; la mollezza le
fece cadere in disuso, ed barbari ebbero un ostacolo di meno.

Gli ordini si risentirono della decadenza degli uomini e del
cambiamento nelle armi: essi furono meno solidi e meno mobili, furono
alterati in tutte le loro proporzioni dalla diffidenza che avevano
gl'imperatori d'Oriente, dalla forza ed unitá dell'antica legione la
quale tanto aveva influito nel governo.

Ecco a nostro credere dimostrato che la superioritá degli antichi
essendo stata interamente negli uomini, la sola degenerazione di
costoro alterò tutti gli elementi del sistema militare e produsse il
grande avvenimento della dominazione de' barbari. Se al contrario
le scienze fossero state nell'impero ciò che sono tra le nazioni
incivilite d'oggidí, l'arte militare si sarebbe mantenuta al loro
livello ed i barbari non avrebbero potuto osare l'invasione, siccome
oggi non l'osano e per le cause medesime. Basta vedere come il fuoco
greco contribuisse sí lungamente alla conservazione dell'impero
d'Oriente malgrado la corruzione e l'abbietta esistenza di questo, per
comprendere che se l'impero romano fosse stato veramente incivilito e
se questa civiltá avesse potuto reagire sulle sue forze conservatrici,
avrebbe esso data alla storia un altro colore ed all'umanitá altri
destini.

Nella stessa guisa e col metodo stesso ci faremo a svolgere lo stato
dell'arte militare nel medio evo, per continuare sotto questo rapporto
la comparazione de' moderni con gli antichi e renderla cosí piú
compiuta. Nel quale imperfetto lavoro ci dá coraggio il vivo interesse
che nell'animo nostro si sveglia allo scorgere nella serie degli
avvenimenti quanto potere abbia avuto su di essi un'arte che a prima
vista pare speciale, un'arte che ci sta molto a cuore e che vorremmo
vedere presso di tutti considerata come scienza conservatrice e come
parte dell'economia sociale.



DISCORSO III

    Della scienza della guerra nel medio evo e delle sue relazioni
    con le altre scienze e con lo stato sociale.


Il medio evo, considerato come un'èra di distruzione e di rinnovazione,
è una delle epoche piú importanti dell'istoria dell'umanitá.

In effetto quale spettacolo piú atto a risvegliar la meditazione che
la distruzione successiva dell'antico mondo? La quale vedesi compiere
per lo spazio di piú secoli nelle leggi del pari che nei costumi, sí
nelle istituzioni come nelle credenze, tanto nelle idee quanto nelle
passioni; e scorgiamo poi questi elementi scomposti dell'antico ordine
fondersi coi nuovi e preparare un sistema di progressiva civiltá che
fa l'orgoglio della presente Europa e ch'è la piú bella pagina degli
annali della specie umana.

Un punto di veduta sí elevato sfuggí alla sagacitá dei filosofi del
secolo scorso, i quali non considerarono questo istorico periodo se non
come quello nel quale il mondo classico antico era scomparso, dando
luogo ad una vasta colonizzazione di barbari, che avevano col loro
dominio fatto retrocedere lo scibile umano in tutte le sue diramazioni.
Nel nostro secolo al contrario i sapienti deplorando tutto ciò che
si distruggeva dal quinto all'undecimo, hanno veduto da questo al
decimoquinto una serie di progressi importanti, che menavano ad un
sistema di civiltá superiore a quello degli antichi, piú in armonia con
le leggi di un vasto perfezionamento sociale comune a tutti gli uomini
ed in conseguenza piú compiuto e piú solido.

Stabilita una volta questa partizione del medio evo in due periodi, uno
che tendeva a scomporre l'antico ordine che reggeva l'Europa sotto la
dominazione romana, l'altro che intendeva a creare il nuovo sotto il
quale l'Europa è ordinata oggidí, crediamo importante esaminare qual
sia stata la sorte dell'arte militare in questi due periodi; ricerca
che può servire a verificare lo stato delle scienze e della societá
in quella epoca, per le relazioni costanti e moltiplici tra l'una e le
altre.

Le tre quistioni nella soluzione delle quali crediamo poter trovare di
che raggiugner l'oggetto che ci proponemmo, sono:

Determinare qual fu lo stato dell'arte militare dal quinto all'undecimo
secolo, considerandolo negli uomini, nelle armi e negli ordini.

Determinare quale fu il suo stato sotto lo stesso aspetto dall'undecimo
secolo fino alla scoperta della polvere da sparo.

Determinare i legami dello stato delle scienze e della societá con lo
stato dell'arte militare in questi due periodi.

Nel primo periodo indicato noi esporremo succintamente lo stato
dell'arte militare presso le nazioni piú nominate a quel tempo, che
si riducono ai greci, ai saraceni ed ai barbari, e particolarmente
ai franchi, per la parte che hanno avuto sotto la seconda razza negli
affari principali di Europa.

L'impero greco che conservava le forme e le tradizioni della civiltá
greca e romana, non ne perfezionava i metodi, perché gliene mancava
lo spirito in letteratura, in legislazione ed in filosofia, e però
se ne rimaneva alle nude forme. Cosí fu nell'arte militare, languida
imitazione dell'infanteria delle legioni; la greca non aveva che un
ordine misto, preso dalla falange e dalla legione, che non produceva
nessuno dei grandi effetti delle due ordinanze, l'una fondata sul suo
peso e l'altra sulla sua flessibilitá. Il decadimento degli uomini
scorgesi dalla difficoltá di conservare le armi difensive, e dallo
stato in cui era la cavalleria che non poteva uguagliar quella dei
persiani e dei barbari, e dal numero delle macchine che dovevano
supplire al vigore delle truppe. I fuochi greci furono il solo
spediente contro il valore dei saraceni e dei franchi.

Dalla natura degli uomini, degli ordini e delle armi dei greci può
dedursi lo stato di una societá della quale un illustre storico ha
detto che «i greci, contenti al minuto commercio ed alle manifatture le
quali non dimandano l'uso di alcuna facultá, si abbandonavano fuori di
queste due professioni ad una infingarda mollezza»; per cui — soggiunge
l'autore — quantunque conservassero tutte le cognizioni pratiche della
civiltá, nondimeno perché privi della vita la quale solo le anima, non
potevano resistere a popoli ad essi inferiori in ricchezza, in potenza,
in scienza ed in arte militare. Possiamo quindi conchiudere che quanto
abbiam detto nel precedente discorso sull'impero romano nel suo periodo
di decadimento è applicabile al basso impero nella sua lunga epoca
d'ingloriosa carriera.

I saraceni offrono uno spettacolo opposto a quello de' greci, mentre
la loro maggior possa stava nel vigor fisico, nell'entusiasmo degli
uomini, nella loro individuale destrezza a maneggiare le armi da getto
e da ferir dappresso e nella facilitá con la quale guidavano i loro
cavalli. La parte piú debole erano gli ordini che, secondo gl'istorici
contemporanei, possono ridursi per le battaglie ad un parallelogrammo
di due linee profonde e solide, l'una d'arcieri e l'altra di cavalieri,
che dovevano dar preludio e fine al combattimento, adoperando
successivamente la prima e poi la seconda linea. Inferiori ai greci
rispetto agli ordini ed al meccanismo, superiori come individui, erano
vani i loro assalti, non avendo di che riordinarsi e ritornare alla
mischia. In tutto ciò che riguardava la guerra di assedio e le macchine
corrispondenti erano inferiori ai greci pel loro stato di civiltá:
avevano però il merito d'imitare con sagacitá ciò che non potevano
creare per princípi.

I franchi come rappresentanti principali dei popoli barbari formavano
una societá tutta guerriera, il cui viver civile era subordinato
allo scopo militare: da ciò risultava che gli uomini erano di una
rara intrepidezza ed erano spinti alla guerra dalla inclinazione e
dall'abitudine. Le loro armi essendo ridotte alla «francisca», ad una
lunga spada e ad un pesante scudo, e non venendo perciò conceduto loro
l'uso delle picche e delle armi da getto, non potevano combattere né
alla spicciolata né in massa, e però lor mancavano tutti i vantaggi
di un ordine tattico; difetto che bilanciava il poter superiore delle
individuali qualitá. Forniti appena di cavalleria, era questa un'altra
inferioritá per le battaglie e pei loro risultamenti. La mancanza
di macchine d'assedio si rileva da questo stato imperfetto dell'arte
militare come sua natural conseguenza. Tra i barbari i goti erano i
piú avanzati in ordinamento militare. Le loro armi erano piú compiute,
i loro ordini piú regolari e la parte che riguardava le macchine piú
fornita; e ciò provava il loro stato di civiltá inoltrata. I vandali, i
borgognoni ed i longobardi occupavano un posto intermedio nella scala
dell'incivilimento relativo. Tra i franchi ed i goti, gli uni i piú
rozzi e gli altri i piú inciviliti tra i barbari, si osserva la stessa
proporzione nell'arte militare. Gli unni che non ebbero certa sede nel
mezzo dell'Europa ma vi fecero soltanto incursioni, differivano nel
combattere a cavallo dagli altri barbari, come facemmo osservare.

Da questo breve cenno sullo stato della scienza bellica nel periodo
che abbiamo additato si deduce facilmente che l'arte militare seguiva
la decadenza rapida ed universale di tutte le scienze e di tutte
le istituzioni che costituivano la civiltá dell'antico mondo, e
che in conseguenza né le grandi combinazioni della guerra né i gran
capitani potevano sorgere per mancanza di tutt'i mezzi ausiliari, che
abbiamo mostrati nei nostri precedenti discorsi essere indispensabili
condizioni. La societá romana, dominata da' suoi invasori, era da
essi per l'interesse della loro conservazione allontanata dall'uso
delle armi, le quali non poteva impugnare per difendere un ordine di
cose tutto a suo svantaggio: circostanza che concentrando in una sola
classe l'esercizio delle armi, faceva presagire che ogni rilassatezza
nell'ordinamento di questo dovea produrre necessariamente la debolezza.
Questi effetti furono prodotti presso i barbari piú segnatamente dopo
la rovina dell'impero goto in Italia e piú compiutamente dopo la morte
di Carlo Magno, il quale fece sostituire il principio feudale alla
unitá amministrativa che quel grand'uomo si era sforzato di stabilire
nel suo governo. I greci dopo le vittorie di Belisario e di Narsete,
che chiusero la gloria delle legioni romane non ostante i vizi che
vi si erano introdotti, perdettero per la loro decadenza morale
ed intellettuale tutti i vantaggi che dovevano al meccanismo, alle
pratiche ed alle tradizioni ereditate dalla potenza da cui traevano
l'origine. È un curioso fenomeno il vedere coincidere cronologicamente
l'ultime vittorie di Giustiniano con l'abolizione da questo principe
decretata delle scuole d'Atene. Gli arabi trovarono nei loro prosperi
successi, nell'estensione smisurata delle loro conquiste e nella loro
imperfetta civiltá che non si prestava al progresso costante, quella
decadenza militare che abbiamo segnalata nelle barbare nazioni e nel
basso impero, ma che procedette fra loro con piú lentezza. Per la quale
conservarono prima superioritá, poi eguaglianza con gli europei, finché
la civiltá progressiva di questi ultimi non decise la loro superioritá.

Ci resta ora ad esaminare nel secondo periodo l'istesso andamento,
additarne i princípi e le conseguenze, segnalandone le cause, gli
effetti e la loro correlazione.

Il secondo periodo che ci facciamo ad esaminare offre due epoche
diverse che debbono essere segnalate pe' tratti caratteristici che
presentano. La prima si rannoda al periodo antecedente e corrisponde
alla formazione del governo feudale; la seconda al suo insensibile
decadimento e alla lenta formazione dell'unitá nazionale e di un
governo centrale. Che cosa poteva essere l'esercito ove non vi
era Stato? Che cosa erano gli uomini, le armi e gli ordini in una
federazione imperfetta di dominatori che vivevano ed esercitavano tutti
i dritti dell'individuale sovranitá sulle loro possessioni? Tali sono
le prime e piú naturali quistioni che si presentano in questa epoca,
in cui la societá pare disciogliersi nei suoi ultimi elementi per
ricomporsi indi con essi sotto altra forma. È ben semplice rispondere
che in questa epoca tutta d'individualitá l'arte doveva finire, perché
essa suppone una aggregazione d'individui ordinata ad uno scopo, ed
il ben indirizzarvela è il suo fine. Non vi resta dunque altro che
gli uomini. Or la societá allora si componeva dei dominatori e de'
loro vassalli. Fra le armi sceglievansi quelle che si confacevano col
comodo e con la sicurezza; per cui cavalli ed armi difensive. Ordini
non ci potevano essere e si trasformavano nell'individuale destrezza,
come si vede dagli esercizi militari, immagine della guerra. Essi erano
ridotti alle giostre, e ciò dimostra che gli scontri altro non potevano
essere che una serie di singolari combattimenti, il cui risultamento
era il frutto del valore, della destrezza, della bontá delle armi e
dei cavalli e non degli ordini. Quindi la distruzione di ogni scienza
bellica. Ciò si desume chiaramente in primo luogo dalla composizione
dei drappelli che non erano il frutto di un calcolo militare ma bensí
delle possessioni territoriali de' baroni, secondariamente dall'assenza
di ogni fanteria che costituisce il nerbo degli eserciti, e finalmente
dall'inespugnabilitá delle castella, perché mancava ciò che forma
il materiale di guerra per gli assedi, il che ne rendeva facile la
difesa. È inutile il far osservare che non vi era alcun segno che
facesse presumere nulla di trascendente nell'arte della guerra, e che
dopo Carlo Magno che teneva e doveva muovere masse riunite, queste
dileguaronsi in Europa all'elevazione della terza razza in Francia.

In Ispagna si lottava tra gl'indigeni ed i saraceni, e tale stato di
guerra permanente manteneva la necessitá di riunire masse numerose per
aggredire o difendere. Perciò non dovea mancare alcuna pratica d'ordini
militari; ma la poca conoscenza che abbiamo degli scrittori arabi e la
poetica esagerazione degli autori spagnuoli ne' loro racconti non ci
ha lasciato di che formarci un'idea del metodo di guerra allora usato.
Vi si osserva però che le qualitá individuali costituivano l'eroe,
il quale dovea la vittoria non alle sue disposizioni, ma al proprio
valore, alle proprie armi, al terrore che metteva il solo suo nome ne'
nemici ed alla fiducia che ispirava ne' suoi. Il gran Cid del pari che
gli altri eroi contemporanei appalesano questo carattere, e i loro piú
caldi panegiristi non notano mai tratto alcuno della loro intelligenza,
ma sí bene della loro ferrea volontá.

Nel basso impero si osserva l'istesso sistema che nel periodo
antecedente, ma sempre in decadenza, secondo che piú si discostava
dalla sua origine e che le forze dell'impero diminuivano con essere
ristrette nei loro limiti materiali.

Negli arabi alcun cambiamento positivo non vi era e conservavano
tuttavia sui greci i vantaggi che enunciammo.

Le imprese dei normanni eran dovute piú particolarmente alla loro
abilitá per mare, tutta di abitudine, di coraggio e di pratica, e
per terra a quella superioritá che dovevano avere siccome barbari
non ammolliti né sformati dalla conquista e combattenti con nemici
sparsi, in vaste terre che occupavano fra popolazioni avverse sí, ma
avvilite, le quali non potevano resistere ai nuovi invasori perché
non avevan resistito ai primi. E ciò spiega gli straordinari successi
dei normanni, che non possono essere attribuiti a nessuna superioritá
militare scientificamente considerata.

Resta ad osservare che cosa fosse lo stato dell'arte militare nelle
repubbliche italiane, le quali ordinate sotto altra forma avevano
resistito a Federico Barbarossa, avevano difeso Milano e Crema con
ostinazione e trionfato a Legnano in aperta campagna.

La lega lombarda fu la prima che in quell'epoca presentasse lo
spettacolo di una milizia comunale ragunata dal popolo senza
distinzione di classi: metodo ch'era il risultamento del suo stato
sociale e politico e degl'interessi delle comunitá estese con la
lega, la quale offre il simbolo dell'unitá federale e la sua pratica
applicazione nell'esercito collegato che pugnò a Legnano. Questa prima
riunione di italiani dopo l'invasione de' barbari ci fa ricercare con
ansietá che cosa fossero le loro armi e i loro ordini, giacché abbiamo
veduto come gli uomini si scegliessero. Gli storici contemporanei
dicono che un elmo, uno scudo, con braccialetti e cosciali, erano le
armi difensive delle milizie delle cittá lombarde, e le armi offensive
una spada larga e tagliente. Solo qualche corpo di alabardieri e di
arcieri erano eccezioni e non regola. Quest'armamento non comportava
nessun ordine tattico da piegarsi ad ogni variazione della guerra, ma
tutta affidava la riuscita al valore individuale, il quale aveva una
direzione nel dover difendere il carroccio, che era il mistico e sacro
simbolo della vittoria e della patria. Gli eserciti di Federico, al
dire degli storici, non differivano dagli eserciti italiani, tanto piú
che si osserva che le genti d'arme tedesche non erano né numerose né
perfezionate ne' loro metodi come lo furono dipoi. Ed infatti da un
illustre storico di quel tempo è attribuito a questo perfezionamento
delle genti di arme alemanne la superioritá ch'ebbero sugli abitanti
delle cittá italiane; il che con altre cagioni produsse la successiva
conquista degli italiani o per gli stranieri o pei condottieri, e
divennero perciò alcuni di essi signori del luogo, come lo Sforza di
Milano.

Le crociate considerate come imprese comuni dell'Europa, mosse da un
principio e tendenti ad uno scopo comune, fanno presentire al tempo
stesso che il potere sociale si concentrava nelle nazioni, che delle
relazioni si stabilivano tra esse e che in conseguenza masse numerose
dovevano essere guidate in lontane regioni per compiere l'oggetto che
avevasi in mira. Una volta ciò fermato, è importante ricercare se i
metodi di guerra si elevarono all'altezza del loro fine, cosí diverso
da quello delle piccole guerre locali. Pur nondimeno non vediamo dagli
storici contemporanei nessun perfezionamento positivo negli uomini,
negli ordini e nelle armi di quegli eserciti. I primi furono scelti non
dall'interesse solo dei dominatori feudali, ma dalle pie disposizioni
delle classi tutte della societá, in quel tempo comuni a tutti. Ma ciò
non impedí che la forza non restasse nella cavalleria, composta dai
potenti e dai loro vassalli, la quale conservò le sue armi, e che i
drappelli non fossero formati in una scala piú vasta, non secondo un
principio razionale, ma della importanza de' capi e delle nazioni; e
si vedeva sempre il federalismo feudale predominare in questi eserciti
male accozzati.

La fanteria, se tale può chiamarsi una riunione di uomini privi di
fortuna e di sostegno, era una massa informe senza regolaritá nelle sue
armi né nei suoi ordini, che poca parte aveva nella guerra di campagna
e negli assedi e che serviva piú alle fatiche che agli scontri.

La curiositá di sapere il modo come si movevano e sopratutto come
vivevano le schiere persiane nella guerra dei medi si rinnova a questo
periodo, ma s'ignora egualmente per quali metodi vi si giugnesse. Del
resto può concludersi dalle perdite immense che soffrirono i crociati
e dall'esame delle loro vittorie e delle loro sconfitte che quelle
prime erano dovute all'individuale valore, alla destrezza personale ed
all'entusiasmo, e le altre all'ignoranza dei princípi della guerra,
alla mancanza di metodo e di disciplina. In effetto tutti gli eroi
delle crociate sono celebri per il loro valore, per la loro pietá,
e non per la loro intelligenza militare. Goffredo, Riccardo e san
Luigi ci mostrano un carattere diverso, ma non sono mai considerati
come capitani esperimentati; e ciò ch'è piú da riflettersi si è che
all'ultime crociate, cioè quelle di san Luigi, gli errori sono gli
stessi che per lo innanzi, e nessun progresso si ottiene per due secoli
di guerra e di esperienza, e l'istessa ignoranza di geografia, di
topografia e di tattica si scorge nella quinta del pari che nella prima
crociata[2]. La guerra di assedio si faceva con le macchine antiche e
vi si aggiungeva il sacrifizio della fanteria che poco si stimava. I
loro avversari parevano piú nell'arte istruiti, ma può dirsi che non
mai lotta piú lunga abbia meno perfezionato direttamente la scienza e
la ragione, e che il poter che le crociate ebbero sulla civiltá europea
fosse quasi in germe e non operasse che lentamente, ond'è che la
guerra andò del pari col resto dello scibile umano. Volendo ricercare
l'effetto piú reale che produssero le spedizioni dell'Oriente, pare
che sia quello di aver abituata l'Europa alle riunioni di grandi masse,
come si vede a Bovines, battaglia dalla quale si scorge che le comuni
giá avevano un essere, giacché fornivano un contingente; ma l'uso di
esso era di formarsi in ordine circolare e servir di baluardo alle
nobili genti d'arme, che ne uscivano per combattere e vi si rifuggivano
per riposarsi ed essere in sicuro. Quest'uso di una soldatesca prova
secondo noi lo stato della societá, le relazioni tra le classi diverse
e la stima in che queste eran tenute, meglio che nol facciano molte
dissertazioni. Le guerre degl'inglesi in Francia, le battaglie famose
di Creci ed Azincourt dimostrano e l'indisciplinatezza e l'ignoranza
dei nobili uomini d'arme, come l'avvilimento e la nullitá della
fanteria dei comuni e l'ignoranza dell'arte. Negl'inglesi al contrario
i loro arcieri formavano un corpo assai ben composto, perché fornito
dai comuni i quali avevano acquistato una grande importanza in quello
Stato, e secondo i piú accurati istorici, le vittorie furono dovute a
questa superioritá delle milizie comunali inglesi sulle francesi. Gli
arcieri genovesi che si vedono essere la miglior fanteria dei francesi
dimostrano che il sistema di soldar genti straniere per supplire
a quelle qualitá che mancavano alle proprie, era l'effetto della
persuasione in cui erasi che le qualitá militari fossero naturali e
non acquistate per mezzo d'istituzioni e di metodi, il quale principio
esclude quello di un'arte a tutti comune.

I condottieri e le loro bande che presero origine nel corso del
decimoquarto secolo mostrano un principio della divisione della fatica
applicata all'arte militare, mentre d'altra parte fan supporre un certo
progresso nei metodi, incompatibile con l'indisciplinatezza dei nobili
e l'avvilimento de' plebei. E però vi doveva essere una classe speciale
che vi si dedicasse. Il germe degli eserciti permanenti e del progresso
dell'arte sta nella istituzione di tali bande, giacché altro non
bisognava che renderle nazionali perché si operasse la trasformazione.
Queste compagnie erano composte di uomini che spontaneamente si
dedicavano a quel mestiere per cui il gusto di esso suppone le qualitá
che non ne vanno mai disgiunte. La mancanza però di amor patrio e di
tutti i generosi sentimenti li cangiò in mercenari, inferiori a quelli
dell'antichitá per valore e per disciplina; e se si paragonino gli
antichi mercenari di Cartagine con le bande del decimoquarto secolo, si
vedrá che queste non reggono al confronto. Nelle armi e negli ordini
non troviamo progressi positivi, giacché sempre la cavalleria forma
il nerbo degli eserciti, e questa totalmente carica di armi difensive
ridusse la guerra ad una parodia che muove giustamente a sdegno gli
storici. In Italia l'indole nazionale e lo stato di civiltá del paese
fecer vedere che la gran guerra avrebbe fatto rapidi progressi se
il poco sangue sparso e la venalitá delle bande non avessero rese
le battaglie prive di gravi effetti politici; ma Aguto e la scuola
italiana di Sforza, Braccio, Piccinino, Del Verme, Carmagnola,
Gattamelata, i quali nei loro movimenti si mostrano strategici,
riguardar ci fanno come campi d'istruzione queste guerre. Si vede che
vi erano grandi capitani i quali non potevano levarsi in fama perché
corrotti dal loro mestiere, dalle abitudini che ne risultavano e
dalle truppe che comandavano; pur nondimeno è da notarsi la guerra di
Gattamelata e Piccinino sul lago di Garda tra i Visconti e Venezia,
che sarebbe stata piú celebre se fosse terminata con battaglie pari a
quelle di Montechiaro e Castiglione.

In Italia tutto ciò che apparteneva all'architettura militare seguiva
i suoi progressi, perché l'architettura civile e l'idraulica erano di
molto progredite ed hanno piena questa contrada di monumenti di lusso e
di utilitá. La torre di Pisa egualmente che gli argini del Canal bianco
attestano lo stato florido di queste arti che dovevano rendere agevole
quella parte di esse applicata alla pubblica difesa.

Gli svizzeri ed i boemi nella guerra degli ussiti sotto Ziscka nel
decimoquarto secolo, furono i primi a preparare il risorgimento
dell'arte militare con ricomporre la fanteria: essi, posti nelle stesse
condizioni che i greci coi persiani, ne adottarono (e l'avrebbero
inventata) la scelta degli uomini, le picche e l'ordine profondo per
opporlo alla cavalleria tedesca, come quelli l'opposero alla persiana.
Questo rinnovamento della falange doveva essere ricco di conseguenze
militari e venir modificato dalla scoverta della polvere, come nel
susseguente discorso faremo conoscere. Ma ricreata la fanteria, il gran
passo era fatto, e l'arte non poteva piú retrocedere del pari che piú
nol potea la civiltá.

Ci resta ora a determinare rapidamente la correlazione che hanno avuto
le vicende dell'arte qui esposte con lo stato delle scienze e della
societá, di cui abbiamo indicato i legami.

La societá nel primo periodo dell'epoca, dal quinto all'undecimo
secolo, offriva una sterile civiltá nell'impero greco, sostenuta dal
nome, dal meccanismo del potere e non dalla passiva ed avvilita indole
dei suoi popoli, indifferenti alla sorte politica dello Stato.

L'Occidente era occupato militarmente dai barbari: non vi era altro
che il clero il quale conservava vita, vigore ed ordini e cercava
convertire i conquistatori che una societá invilita non aveva potuto
respingere. L'islamismo sorgeva in questo periodo e minacciava l'Europa
delle sue conquiste e delle sue dottrine. Le scienze morali in Oriente
si riducevano al sincretismo della scuola di Alessandria, ed il merito
di quella etá è riposto nei santi padri, i quali nella doppia lotta
che il cristianesimo sosteneva col paganesimo e coll'eresia, spiegarono
eloquenza, sapienza e forza d'animo; ma la tendenza all'ascetismo, che
doveva nascere dallo spettacolo del mondo e delle sue vicende, dovette
privare gli eserciti dei caratteri piú vigorosi, i quali cercarono
ne' deserti e nei chiostri di esercitare il coraggio nel martirio. Le
scienze esatte decadevano, le naturali erano soperchiate dalla magia e
dalla tendenza mistica degli alessandrini a spiegare i fenomeni non con
l'analisi de' fatti naturali ma con le cause occulte e fuori di essi.
Le arti si risentivano dello stato delle scienze, delle quali sono
sempre il lento ma costante riflesso.

Nelle contrade occidentali la decadenza era piú compiuta, il clero meno
istruito che nell'Oriente, e le invasioni de' barbari non lasciavano
altra disposizione che il terrore o la rassegnazione; il perché
l'immaginazione era sbalordita e la ragione inerte. Le scienze esatte
e naturali si perdettero intieramente in queste contrade le quali sono
oggidí sí colte.

Gli arabi non avevano ancora quel gusto per la coltura intellettuale il
quale seguí le loro intraprese e non le precedette.

Nel secondo periodo, dall'ottavo all'undecimo secolo, l'impero greco
seguiva lo stesso andamento. Nell'Occidente Carlo Magno fu una meteora
improduttiva. Il regime feudale disciogliendo la societá, le tolse
tutti quei mezzi d'associazione che solo possono farla progredire. Gli
arabi in compenso modificarono le loro inclinazioni e divennero piú
umani, piú colti e meno ardenti. Le scienze morali si sostenevano nel
basso impero sotto l'aspetto delle controversie religiose, ma lo studio
de' classici diveniva sempre piú raro. Nell'Occidente la scolastica
prese origine; le scienze esatte e naturali non erano coltivate per le
ragioni sopra esposte. In Oriente gli arabi cominciarono a divenire
conservatori delle classiche cognizioni e fecero qualche tentativo
d'invenzione nelle scienze mentovate.

Nel periodo dall'undecimo al decimoquarto secolo il basso impero
piegava al suo fine preceduto da lunga agonia. La societá restava
l'istessa. In Occidente coi comuni ed i legisti si enunciavano i nuovi
elementi che dovevano cosí potentemente modificare in appresso la
societá. In Oriente la razza turcomanna, introdotta tra gli arabi, li
spingeva alla decadenza per mezzo dell'ignoranza.

Lo stato delle scienze sempre peggiorando tra i greci che ne
conservavano per cosí dire il materiale nelle biblioteche, cominciò a
rinvigorire in Occidente, ove la scolastica aguzzava gl'ingegni che i
bisogni della societá facevan dirigere verso la coltura delle lettere
classiche. E questo movimento dello spirito umano fece sí che le
scienze esatte e naturali risorgessero a mano a mano in Italia da un
lato ed in Ispagna dall'altro.

Possiamo ora riepilogare il nostro dire, credendo aver risoluto le
tre quistioni che ci siamo proposti, ed indicato chiaramente come
le vicende dell'arte militare nei due periodi del medio evo hanno
corrisposto costantemente allo stato dello scibile e della societá, e
come la decomposizione e la ricomposizione di questa sono chiaramente
indicate dalla distruzione e dalla lenta ricomposizione di ogni
militare ordinamento.

Qui terminiamo questo discorso che abbiamo limitato all'epoca
dell'invenzione della polvere da sparo di cui nel seguente faremo
parola, e sull'importanza della quale, sotto i vari aspetti in che
noi consideriamo l'arte militare, ci giova di poter citare l'opinione
dell'illustre sapiente di cui l'Europa deplora la recente perdita.
Cosí si esprime il Cuvier nel suo discorso intorno all'influenza delle
scienze sullo stato sociale: — «Allorché un buon monaco nell'oscura
cella d'un chiostro d'Alemagna arse per la prima volta un misto
di zolfo e di salnitro, qual uomo avrebbe potuto predire tutte le
grandi cose che andavano a sorgere da quella sua esperienza? Chi gli
avrebbe detto che per essa l'arte della guerra sarebbe cangiata, il
coraggio sottratto alla superioritá della forza fisica, ristabilita
la regia autoritá in Occidente, impedito che mai non potessero i
paesi inciviliti esser di nuovo la preda di barbare nazioni e svolta
una delle solenni cause della propagazione de' lumi, obbligando ad
istruirsi quegli stessi popoli conquistatori che sino allora erano
stati presso che da per tutto il flagello dell'istruzione? Eppure tal
fu il destino d'uno de' piú semplici composti della chimica».



DISCORSO IV

    Della scienza della guerra e delle sue correlazioni con le
    altre scienze e con lo stato sociale dalla scoverta della
    polvere fino al suo risorgimento sotto Nassau e Gustavo Adolfo.


Il periodo che ci siamo proposti di trattare in questo discorso
comprende lo spazio di tempo trascorso fra 'l 1350 e 'l 1560, cioè tra
la scoverta della polvere ed il rinascimento dell'arte militare in un
modo piú compiuto. Il carattere di questo periodo differisce da quello
dell'antichitá ove segnalammo la diversitá grande che interveniva tra
le nazioni, e da quell'epoca distruggitrice dell'antica civiltá e del
lento risorgimento della nuova che nel medio evo riconoscemmo. Qual
è dunque il marchio caratteristico di un tale periodo? Questa è la
prima quistione che ci mettiamo innanzi come una nozione preliminare e
necessaria.

Il decimoquarto e decimoquinto secolo è l'epoca in cui tutti gli
elementi della nuova civiltá erano in fermentazione ed in urto coi
vecchi elementi che dominavano nel primo periodo del medio evo e
che tendevano spesso ad amalgamarsi perché eguali di forza, e quindi
nessuno poteva distruggere quello che gli era contrario. Per la qual
cosa può asserirsi francamente che il carattere di questo periodo sia
quello di un'epoca transitoria, ove un ordine di sentimenti, d'idee e
d'istituzioni finisce ed un altro ne incomincia, com'era il passaggio
dal medio evo all'epoca moderna.

Fedeli al nostro sistema noi divisiamo di dedurre il carattere che
segnalammo in questo periodo dallo stato contemporaneo dell'arte
militare. Per ciò conseguire ci proponghiamo i seguenti problemi:

1. Determinare qual era lo stato della scienza militare dalla scoverta
della polvere al risorgimento dell'arte, considerata negli uomini,
nelle armi e negli ordini.

2. Determinare la correlazione dello stato della scienza bellica con
quello delle altre scienze tutte e collo stato sociale.

3. Esporre gli effetti istorici che derivano dallo stato dell'arte
militare in questo periodo.

L'Europa nel decimoquinto secolo presenta all'osservatore uno
spettacolo quanto grandioso altrettanto importante. La Spagna con la
riunione dei regni di Castiglia e di Aragona combatte e discaccia i
mori che da secoli dominavano nella penisola, per la presa di Granata.

L'unitá nazionale si formava in Francia dalla riunione dei grandi feudi
alla corona, e la lotta contro gl'inglesi e la loro espulsione dal
territorio furono fondamento e dimostrazione dei progressi verso un
sentimento comune di nazionalitá.

L'impero germanico cercava di ordinare le sue leggi e tendeva a
concentrare la dignitá imperiale nella famiglia divenuta potente di
Hapsbourg.

In Inghilterra la guerra civile delle due rose si terminava, pel
bisogno d'ordine e di calma che vi era, colla concentrazione del potere
nel regno del primo dei Tudor.

L'Italia vide succedere locali dominatori all'indipendenza di una
gran parte delle sue cittá. Le dissensioni intestine, l'usanza de'
mercenari, tutto faceva presagire una intervenzione straniera, la quale
sarebbe stata egualmente determinativa sí per la parte politica che pel
benessere civile di questa bella contrada.

L'impero ottomano si stabiliva solidamente in Europa con la presa
di Costantinopoli e la distruzione dell'impero greco, e l'Europa era
atterrita di questo nuovo elemento che nel suo seno si creava, estraneo
ai suoi costumi ed alle sue credenze religiose.

Le nazioni slave avevano sorte diversa. La Russia cercava di scuotere,
e gli riuscí, il giogo dei tartari; e la Polonia riuniva a sé la
Lituania ed era considerata come il baluardo della civiltá europea e
del cristianesimo contro la barbarie e le religioni dell'Oriente. La
penisola scandinava formava un mondo politico a parte ora separando ed
ora riunendo le nazioni che la componevano sotto la stessa autoritá.

Dopo questo breve cenno ci affrettiamo di rispondere ai quesiti che ci
siamo proposti.

Gli eserciti nel periodo di cui discorriamo cominciarono a divenire
permanenti, venendo sostituiti alle mercenarie, feudali e comunali
milizie, come abbiamo indicato nel nostro precedente discorso. Ma
questo cangiamento, importante per la sua influenza politica sulla
composizione della forza pubblica, non fu operato né in tutti gli
Stati né compiutamente, per cui il nuovo sistema si trova coesistere
coi precedenti. Infatti le milizie feudali, le cerne delle comuni e i
mercenari ordinati componevano gli eserciti delle potenze principali
e belligeranti in quel tempo. La proporzione tra questi diversi
elementi corrispondeva allo stato sociale di ogni nazione, ed indicava
nettamente che l'ordine antico era giá scosso nelle sue basi ed il
nuovo piú inoltrato nel suo progressivo sviluppamento. Facevan fede
di ciò l'importanza de' _jommenry_ ossia milizie comunali inglesi, la
gendarmeria francese, le milizie delle comuni nelle Fiandre, gli ordini
cavallereschi nella monarchia spagnuola, la nazionalitá delle milizie
svizzere, la decadenza delle italiane alle quali venian sostituiti i
mercenari, le compagnie d'ordinanza di Carlo settimo, prima fanteria
permanente e regolare di Francia, lo stabilimento di una fanteria
permanente sotto il nome di «giannizzeri» nell'impero ottomano, infine
la mista composizione degli eserciti germanici. Tutti questi, a nostro
credere, sono segni evidenti dello stato di quelle societá e spargono
luce sulle classi che piú avevano importanza sociale in ognuno di
quegli Stati.

Per le armi è necessario osservare che la scoperta della polvere è
separata cronologicamente dal suo uso negli eserciti per lo spazio
che separa il 1330 dal 1460, venendo a quest'ultima epoca segnalate
dagli storici le prime armi da fuoco che furono piccioli cannoni
e non moschetti, vale a dire che erano un'arma ausiliaria nulla
cangiante nell'armamento degli ordini principali, e particolarmente
della fanteria di cui le armi da fuoco son divenute in séguito
l'armamento unico. Da ciò possiamo dedurre e dimostrare che l'arco,
cioè l'arbalete, formava l'armamento delle truppe leggiere le quali
servivansi con preferenza delle armi da trarre; che l'infanteria era
armata di lunghe spade, cominciando le picche a prevalere in ragione
dei progressi che si facevano nell'arte; che l'esempio degli svizzeri,
seguíto dagli spagnuoli, avvalorava quest'uso per l'utile impiego che
ne avevano fatto nelle loro guerre; e che in séguito furono introdotti
i plotoni di moschettieri (quando il moschetto divenne piú maneggevole)
destinati piú a supplire gli arcieri che l'infanteria di battaglia.
Non è se non nel principio del decimosesto secolo che nell'ordinanza
generale dell'infanteria si trovano miste le armi da trarre e da ferir
da presso, e pare che negli eserciti di Carlo quinto si sia cominciata
questa piú larga applicazione delle nuove armi derivanti dalla
scoperta della polvere. Possiamo quindi conchiudere che nel periodo che
discorriamo le armi si conservarono in principio come nell'antecedente
periodo, particolarmente per tutto ciò che riguarda quelle difensive
e per la cavalleria che poco risentivasi dei nuovi metodi e nella sua
composizione e nel suo armamento. Piú positivo e piú compiuto divenne
il cambiamento per la guerra d'assedio a cagione dell'uso di nuove
macchine che mostraron facilmente la loro superioritá sulle antiche.

Gli ordini, che sono una conseguenza necessaria ed un riflesso
della natura delle armi, si risentivano di ciò che vi era di misto
e d'indeterminato in queste ultime. Le armi da fuoco dovevano
direttamente mutare gli ordini nel far diminuire la profonditá ed
estendere il fronte; ma questo risultamento, lento come tutte le
innovazioni, trovava ostacoli nella forza di ciò che esisteva per
costumanza. Da quanto dicemmo è ben chiaro che in questo periodo
l'ordine profondo restò l'ordine primitivo ed abituale della fanteria
di battaglia. Quelli che lo sostenevano si appoggiavano alle classiche
tradizioni dei popoli colti della antichitá, che a quell'epoca erano
considerati come modelli di tutte le discipline e la cui imitazione
piú compiuta era la scala sulla quale si misurava il merito dei
detti e dei fatti. L'espressione di questa disposizione degli spiriti
elevati, che si congiungevano alle masse per l'erudizione come gli
altri per abitudine, si trova nell'opera piú notabile di quel tempo
sull'arte della guerra, la quale ha il raro vantaggio di essere sempre
piú apprezzata nel progresso della scienza e con l'andar dei secoli,
vogliam dire l'_Arte della guerra_ del Segretario fiorentino. Quel
sagacissimo ingegno, non ostante l'imperfezione delle armi da fuoco,
ne aveva prevedute tutte le conseguenze nelle future guerre, e ciò che
ha detto sugli effetti dell'artiglieria sorprende oggidí i militari
piú istruiti e piú ricchi in esperienze guerriere. Ma il Machiavelli,
dominato dall'ammirazione dei romani, si trova combattuto tra la sua
alta intelligenza e gli usi del popolo che tanto venerava; per cui
sostiene l'ordine profondo come abituale, non ostante la scoperta
della polvere di cui aveva calcolato le ultime conseguenze sull'arte.
È giusto il far osservare che la fanteria svizzera, la prima che tra
i moderni si fosse formata, aveva avuto successi tali da non mettere
in dubbio alcuno la bontá degli ordini da essa adottati. La battaglia
di Marignano fu quella che mostrò non potere una fanteria in ordine
profondo lottar con vantaggio contro eserciti forniti di artiglierie,
ma debbe ancora aversi in considerazione che questa pruova decideva piú
contro il sistema greco della falange che contro quello romano della
legione. Epperò il Machiavelli nelle sue _Legazioni_, ove descrive
le truppe e gli ordini degli Stati che è destinato a far conoscere,
indica questo difetto dell'ordinanza svizzera, come Polibio accusava
la falange macedone di mancanza di flessibilitá nei suoi movimenti.
Infatti Francesco primo chiamò «legioni» le prime truppe che ordinò.
Per il che possiamo conchiudere che a quell'epoca la quistione era
tra i due ordini profondi dei greci e dei romani e non tra l'ordine
profondo ed il sottile dei moderni. La cavalleria aveva le stesse
armi, la stessa composizione, come abbiamo veduto; e questo feudale
elemento perdeva della sua importanza militare in modo che dall'essere
il nerbo dell'esercito passava ad essere un'arma ausiliaria. Le
truppe leggiere mutavano armi ed erano in un insensibile movimento
ascendente che corrispondeva a quello delle comuni, da cui erano tolte
il piú sovente. L'artiglieria che rappresentava la scienza si mostrava
subordinata, ausiliaria, ma piena d'avvenire. Le fortificazioni che
possono risguardarsi come ordini immobili dovevano essere grandemente
modificate dalla scoperta della polvere, e può considerarsi come
determinato questo cangiamento dall'epoca in cui i bastioni furono
sostituiti alle torri; trasformazione che dimostrava l'effetto
delle nuove armi e che corrispondeva all'abbandono dell'ordine
profondo nella fanteria. Ma è da riflettere che non ostante la minor
difficoltá ad ordinare gli uomini in un modo differente da quello
delle mura, pure cronologicamente la modificazione fu operata prima in
fortificazione che in tattica, benché riguardo alla prima esistessero
contemporaneamente, e ve ne sono ancora i vestigi, il sistema antico
delle torri con quello moderno dei bastioni.

La logica conseguenza di quanto esponemmo sugli uomini d'armi e gli
ordini del periodo che trattiamo ci conduce naturalmente a determinare
qual fosse il sistema generale di guerra derivante dagli elementi che
abbiamo esaminati, giacché nella loro applicazione, che forma la parte
trascendente dell'arte, si riassume al tempo stesso la loro natura, il
loro uso ed il loro scopo.

La strategia che forma i piani di campagna e dá i metodi delle grandi
operazioni della guerra, la tattica che decide delle battaglie che
compiono i movimenti strategici, e l'attacco e la difesa delle piazze
che hanno per oggetto di difendere il proprio suolo o di solidamente
stabilirsi su quello del nemico, costituiscono la parte alta della
scienza militare.

Far conoscere brevemente le pratiche di quei tempi su questi tre
oggetti è il mezzo piú accurato a nostro credere per risolvere
compiutamente il problema che ci siamo proposti.

La strategia non è se non le leggi della guerra: ed applichiamo la
definizione del Montesquieu, che considera le leggi come i rapporti
tra le cose, vale a dire naturali, eterni, che l'uomo non crea, che
può scovrire con la scienza, sconoscerli quando n'è privo, ma anche in
questo caso averne l'istinto ed il presentimento.

E tal era a nostro credere il caso della strategia nell'epoca di cui
discorriamo, mentre l'antichitá militare era male studiata e non
bastava a risolvere tutte le quistioni che le nuove armi facevano
nascere e per teorica e per pratica. In sostegno di questa opinione
citeremo quella di un sapiente italiano che ha corredata la bella
edizione di Montecuccoli da lui data di note sagacissime, il signor
Foscolo, il quale cosí si esprime sul proposito dello stato teorico
della scienza col periodo che seguí la scoperta della polvere. — «Ma
le divisioni provinciali, il sistema feudale d'Europa e le cattedre
della letteratura usurpate da gente senza amor di patria e senza cuore
allontanarono dalle guerre del secolo decimosesto le grandi teorie
degli antichi. Molte furono le battaglie, poche le risultanze: si
operò sempre e non si meditò mai. E mentre la fortuna e le passioni
governavano la guerra, innumerevoli traduttori e interpetri desunsero
esattamente le istituzioni e i metodi della Grecia prima inventrice
della disciplina militare, e di Roma conquistatrice del mondo; ma si
tradusse col lessico e si commentò colla grammatica. Raro la filosofia
e rarissimo l'esperienza concorrevano negli studi eruditi. Si ammirava
l'antica milizia, si notomizzavano ad una ad una le imprese; ma
chi mai dalle scuole di Giusto Lipsio e di Giovanni Meursio poteva
risalire alle ragioni universali delle vittorie greche e romane?
Cosí i guerrieri abbandonavano i maestri di guerra agli antiquari.
Questi per fastidio delle cose contemporanee, quelli per poca stima
dell'antichitá, credeano che la diversitá originata dalle armi, dalle
artiglierie e dalle fortificazioni non ammettesse piú omai né paragone
né imitazione tra gli eserciti antichi e i moderni».

Questo passaggio sí sublime fa chiaramente conoscere la veritá della
nostra assertiva, cioè che la strategia era nell'infanzia e le sue
leggi eterne ignote ai guerrieri ed ai sapienti. Il Machiavelli
stesso che il suo ingegno distingue dagli altri eruditi pel carattere
positivo e chiaro che prendevano le scienze da esso trattate, si
attiene anch'egli troppo alla stretta imitazione delle marcie e
degli accampamenti dei romani, che non erano del tutto applicabili
e lo divenivano ogni giorno meno. Ma bisogna osservare che come
filosofo politico volea ottenere questi successi per l'ordinamento
di eserciti nazionali, per le istituzioni e per le discipline che ha
sí ben osservate ed esposte ne' suoi _Discorsi su Livio_; per lo che
intendeva egli, per rilevare la grandezza italica, ad opporre anziché
metodi puramente guerrieri, la forza morale degli eserciti al tristo
spettacolo che i conduttori gli presentavano. Ci resta ora ad esaminare
se nell'ignoranza della scienza vi fosse in alcuni capitani l'istinto
ed il presentimento. Noi rispondiamo affermativamente a questa dimanda.

L'invasione di Carlo ottavo in Italia, la lega che si gli formò contro
per chiuderlo in essa, la sua ritirata troncata strategicamente
dall'Alviano general veneziano, la difesa della Calabria fatta da
Aubigny, la fine della battaglia di Fornuovo che aprí la strada
all'esercito francese, rassomigliano di molto alle operazioni che
precedettero la battaglia della Trebbia nel 1799, al passaggio della
Beresina nel 1812, alla battaglia di Hanau nel 1813, e dimostrano che
i capitani di quel tempo avevano l'istinto delle grandi operazioni
di guerra, mentre veggiamo che cercarono con le marcie di prevenire
il nemico in un punto geografico importante e di giugnere allo stesso
scopo che a' nostri tempi cercan di conseguire generali istruiti e che
la scienza ridotta a regole chiare indica e facilita. Se vi aggiungiamo
il merito militare di Marcantonio e Prospero Colonna, che seguivano ed
ingrandivano le strategiche combinazioni le quali noi segnalammo nel
precedente discorso non essere ignote ai piú illustri condottieri del
decimoquarto e decimoquinto secolo, troviamo la serie di queste regole
non interrotta. La campagna del gran capitano Gonsalvo sul Garigliano,
quelle di tutta la scuola dei capitani spagnuoli sotto Carlo quinto, le
sue imprese di Affrica, ove era indispensabile la cooperazione della
marina militare che si personificava in Andrea Doria, tutto pruova
il progresso in cui erano le combinazioni militari, giacché uno de'
suoi segni piú evidenti è quello della combinazione degli eserciti
con le armate di mare. Le guerre di Solimano e quelle dei capitani
francesi del tempo sono pruove novelle che vengono ad avvalorare
la nostra assertiva. Maurizio elettore di Sassonia era un generale
pieno del vigoroso istinto della gran guerra, di cui vediamo indicato
il carattere in tutti gli Stati belligeranti di allora. Ciò doveva
essere, mentre il combattimento si era ingrandito, le guerre civili
della feudalitá finite, le nazioni combattevano tra esse per mezzo di
eserciti permanenti, con vasti spazi da percorrere, da conquistare, da
difendere, e le campagne dovevano avere una durata corrispondente allo
scopo della guerra. Tutte queste circostanze forzavano l'ingegno umano
a svilupparsi nella direzione delle sue necessitá, per la qual cosa,
come dicemmo, la strategia fu sentita, presentita e praticata, benché
non composta ed elevata a grado di scienza. Queste istesse circostanze
resero indispensabile un sistema di amministrazione militare,
essendo divenuti gli eserciti colonie operanti. Ma l'imperfezione
dell'amministrazione degli Stati faceva sentirsi nell'esercito, per
cui la guerra era funesta alle contrade che n'erano il teatro; e basta
la presa di Roma del contestabile Borbone, cosí per la cagione come
per gli effetti, a far comprendere che cosa fosse l'amministrazione
di un esercito del piú potente sovrano di que' tempi. Può dirsi
per la tattica che le stesse enunciate circostanze che aveano fatto
giungere gli spiriti elevati alle combinazioni della parte trascendente
dell'arte, dovevano produrre lo stesso risultamento per muovere le
masse che si urtavano tra esse, per ordinarne e sottometterne a calcolo
i movimenti ed i loro effetti. Ma benché sembri piú naturale e piú
ragionevole che la tattica, meno sublime nei suoi metodi, dovesse
progredire prima della strategia, pur nondimeno il contrario è provato
dall'istoria militare. Ed acuta quanto profonda troviamo l'osservazione
di un uffiziale sapiente, vogliam dire del general Pelet, cioè non
essere anche oggidí la tattica in armonia con la strategia, anzi dover
fare assai progressi per livellarsi con quelli da questa fatti.

Con estrema diffidenza osiam proporre una spiegazione di questo
fenomeno, e diremo, se cosí possiamo esprimerci, che la strategia,
come tutto ciò ch'è generale nello scibile, si rivela piú facilmente
al genio, qualunque sia lo stato della societá, mentre che la tattica,
piú metodica e piú artistica, ha bisogno di piú condizioni prese
nello stato generale della societá per fissarsi. Osiam ancor dire che
in un'epoca poco inoltrata in civiltá si ritrovano uomini superiori
che giungono con la forza del loro genio a penetrare le grandi leggi
della natura, ma non a ridurle a metodo. I filosofi sono piú antichi
della filosofia, i gran poeti della poetica ed i legislatori dei
giureconsulti, come i capitani degl'ispettori. Del resto abbiamo
veduto dall'incertezza degli ordini che produceva quella delle armi,
che tattica non ve n'era, e non ostante accurate ricerche, noi non
possiamo citare nelle battaglie di quell'epoca nessuna di quelle
finezze dell'arte che restano modelli in tutt'i tempi per gl'imitatori
illuminati[3], come osservammo per le operazioni generali tra le quali
citammo la guerra del gran capitano Gonsalvo di Cordova sulle rive del
Garigliano.

Per la fortificazione e la guerra di assedio noi facemmo notare nel
precedente discorso che l'Italia, essendo molto innanzi nella civiltá
e coltivando tutte le scienze esatte, base della civile architettura
e dell'idraulica, doveva naturalmente essere la prima ad applicarla
all'arte militare. Infatti il Tartaglia di Brescia, il Lanteri,
il Zanca, il Cataneo ed il Castrioto, e tutta la scuola celebre
d'ingegneri militari che si riassume nel De Marchi, avevano esposto
in teoriche chiare e positive la scienza della fortificazione e ne
praticavano l'arte da per tutto, con Solimano come con Carlo quinto.
Gli assedi di Rodi, di Malta, d'Algieri e di Granata confermano questo
nostro detto, giacché si trovano ingegneri italiani che ne diriggono
l'attacco o la difesa. Non solo a quei tempi alle torri venivano
sostituiti i bastioni, ma Pietro di Navarra inventava la guerra
sotterranea in Napoli e ne faceva la prima pruova; ed il Darçon osserva
che la difesa esterna da lui e dal Carnot tanto raccomandata ai nostri
tempi, era in quell'epoca praticata talmente che all'assedio di Granata
di Ferdinando il cattolico vi fu un'opera esterna presa e ripresa
trentasei volte.

Ora ci resta per seguire il nostro ragionamento a determinare l'ultima
parte del problema, cioè lo stato delle scienze e della societá, per
metterlo in comparazione di quello dell'arte militare che abbiamo giá
esposto ed indicarne gli storici risultamenti.

La tendenza del secolo che abbiamo fatto osservare era doppia: aveva
per oggetto di ristabilire la civiltá degli antichi e di entrare in
quella che corrispondeva agli elementi ed ai destini delle moderne
societá. Una combinazione comune legava queste due disposizioni,
cioè quella di combattere il medio evo nelle sue massime e nelle sue
istituzioni. Ma queste, forti del loro dominio e della loro durata,
reagivano contra tutte le contrarie tendenze. Nello stato dello
scibile si vede chiaramente questa lotta ed i suoi caratteri. L'amore
dei classici dell'antichitá spinto fino alla superstizione faceva
entrare la filosofia antica, la giurisprudenza ed il dritto romano
negli studi dell'epoca, i quali dovevano combattere la filosofia
scolastica ed il dritto canonico, che si difendevano e si amalgamavano
a vicenda con questi nuovi elementi. La letteratura e le lingue della
classica antichitá si trovavano nella stessa posizione in presenza
delle nuove lingue europee e della letteratura che ne derivava nelle
diverse nazioni formate sulla rovina dell'impero romano. Le scienze
esatte contavano giá egregi cultori come Regio Montano, Liva Poggioli,
Lucio di Borgo celebre nel calcolo algebraico, e Copernico che aveva
applicato le matematiche ed il calcolo all'astronomia. La bussola
ritrovata nel decimoquarto secolo, i nomi di Gioia, di Lullo e di
Musa, l'invenzione della stampa circa il 1440, tutte sono pruove del
progresso delle scienze in quel periodo. Le naturali non potevano fare
gran passi, giacché le esatte non erano giunte ad un grado da renderne
l'applicazione compiuta. Ma il carattere generale della coltura può
riassumersi dicendo che la scienza era piú considerata come una serie
di veritá la cui cognizione doveva soddisfare la intelligenza umana,
che come una utile applicazione ai bisogni generali della societá;
disposizione naturale a tutte l'epoche di creazione e di risorgimento,
mentre vi sono degli sforzi che l'uomo fa per l'amore del bello e del
vero piú che non farebbe per quello dell'utile.

Da quanto dicemmo possiamo dedurre che la separazione degli eruditi
dagli uomini pratici, come delle scienze dalla loro utilitá pratica,
fece sí che l'arte militare non trovasse in esse quei mezzi e quei
metodi che corrispondevano al loro stato; il che aggiunge veritá al
citato passo del Foscolo.

Ed invero non si vedono ancora né collegi militari né grandi arsenali
di fabbricazione di armi, nel mentre che le universitá eran in gran
progresso e le istituzioni di questa natura si stabilivano per le altre
carriere pubbliche, quali la medicina ed il fòro.

Indicando brevemente lo stato dell'Europa al principio di questo
discorso, abbiamo dato le idee preliminari che necessarie erano per far
ben concepire lo stato sociale del periodo che ci occupa.

La prima considerazione che dee aversi presente per ben giudicare dello
stato sociale nel decimoquinto secolo l'abbiamo indicata nel nostro
secondo discorso, ove comparando e mostrando le differenze dell'arte
militare delle nazioni antiche da quelle delle moderne, facemmo
osservare che ciò che caratterizzava le nazioni antiche si era la
loro differenza tra esse, la loro intiera ed originale individualitá;
l'opposto di ciò che vedesi tra i moderni, presso i quali le differenze
sono le eccezioni e le somiglianze la regola. Questo principio
sussiste tanto per lo stato scientifico quanto per lo sociale.
Ciò premesso, possiamo dire che ciò che caratterizza questi secoli
si è che le nazioni cominciavano a ricreare l'unitá nazionale; la
feudalitá decaduta dal grado di assoluta dominatrice pare aver servito
d'istrumento a questa metempsicosi politica, che aveva trasformato in
nuova vita le moderne nazioni dopo averle decomposte negli ultimi loro
elementi. Ma la feudalitá era rimasta un elemento forte il quale aveva
piú pretensioni che forze, piú forze però di quelle che dee avere chi
fa parte dello Stato senza rappresentarlo solo. Debole come governo era
formidabile come opposizione.

Le comuni al contrario erano deboli: incapaci di aver forza
preponderante dovevano essere protette dal poter centrale contra
il poter feudale, e secondo che questo decadeva, il poter centrale
sentiva meno il bisogno di proteggerle e considerava i loro privilegi
come ostacoli all'azione amministrativa e non come mezzi di aiuto.
La Chiesa combatteva da un lato per lo limite del potere spirituale
con le sovranitá e dall'altro pei suoi dritti spirituali e per le
sue dottrine con gli eresiarchi che si succedevano in questo periodo
da Viccleffo fino a Lutero. Tutti i poteri aveano pretensioni
esclusive, ma mancavano di forze preponderanti per effettuare le
pretensioni e ridurle a realitá. Ecco perché vi erano urti continui
e poi transazioni, le quali tutte cedono alle circostanze cercando
di salvare il principio per farlo valere a miglior tempo. Epoca di
tregua e non di pace, ma che mentre non impediva il progresso della
societá e la lenta migliorazione delle condizioni delle ultime classi,
rilevava l'importanza delle medie, le quali entravano nelle politiche
riunioni in Francia, in Inghilterra, in Germania ed in Ispagna.
Quando si paragona questa combinazione di monarchia in avanzamento, di
aristocrazia in insensibile decadimento e dei comuni che progrediscono
con eguale lentezza, se ne trova il compiuto nesso negli eserciti, i
quali erano formati di gendarmeria nobile che rappresenta la feudalitá
combattente, composta ed armata come nel medio evo; delle truppe
leggiere, cerne delle comuni armate con le armi da trarre, le quali
debbono predominare nell'avvenire dell'arte, ma che nel momento non
rappresentano che un'arma ausiliaria; della fanteria mercenaria che
rappresenta con la sua organizzazione il potere centrale reso sempre
piú dominante; delle artiglierie e degli attrezzi di guerra che
sono il mezzo piú naturale e al tempo stesso la dimostrazione della
vittoria indistruttibile riportata sulla federazione feudale e della
unitá della forza pubblica nello Stato. Ecco come questo periodo di
fatica, ove nello scibile e nella societá si vede riunirsi, coesistere
e combattersi elementi diversi, trova il suo compiuto simbolo nello
stato dell'arte militare dai suoi elementi fino alla sua parte
trascendentale. I politici e morali effetti delle guerre di questo
periodo e quindi dei progressi dell'arte militare possono ridursi alla
distruzione dell'impero greco e all'occupazione di quelle contrade dai
turchi, che creavano in Europa un interesse comune in politica, ed al
sistema di equilibrio che era il prodotto naturale dei rapporti che le
nazioni acquistavano tra esse per operare con interessi comuni al di
fuori del loro territorio. In conseguenza l'adoperare dei negozianti
e delle negoziazioni, vale a dire la creazione della diplomazia,
faceva presentire che la giurisprudenza sarebbe stata applicata alle
quistioni tra le nazioni; il che doveva produrre la scienza del dritto
pubblico, ch'è la misura del progresso della civiltá e ch'era ignota
alla colta antichitá, l'abbassamento degli Stati repubblicani e quindi
dell'Italia, contro la quale si rivolgevano le grandi scoperte di
quell'epoca, cioè quelle dell'America e del passaggio pel capo di Buona
speranza.

Crediamo aver raggiunto il nostro scopo avendo determinato lo stato
dell'arte militare nel periodo che abbiamo impreso a trattare, e avendo
mostrato la sua connessione con lo stato delle scienze e quello della
societá e 'l modo di chiarire le loro strette correlazioni; quali
sieno stati gli effetti istorici delle belliche operazioni; e come
la scoperta della polvere da cannone dovesse nei susseguenti periodi
partorire tutte le sue conseguenze, nel mentre che in questo avea
giá fatto stabilire gli eserciti permanenti, la fanteria per arme
principale, la cavalleria e l'artiglieria per ausiliarie, il bisogno
d'ordine, d'amministrazione e d'istituzioni per reggere una societá che
dee operare per uno scopo dato, e l'importanza della castrametazione,
della tattica e della strategia. Chiuderemo questo discorso col quale
ci avevam proposti di dimostrare nello sviluppamento dell'arte militare
la costante relazione della guerra considerata come scienza alle altre
scienze ed allo stato sociale, con le seguenti parole del Foscolo: —
«Se si fosse considerato che le arti tutte sono fondate sui principi
veri ed eterni della natura delle cose; che dallo scoprimento, dal
calcolo e dall'applicazione de' principi derivano le scienze e che
quindi una scienza piú o meno sviscerata fu sempre la mente dell'arte
della guerra; si sarebbero, investigando questi princípi, riconciliate
le diversitá accidentali dei metodi antichi e moderni».



DISCORSO V

    Delle relazioni della scienza della guerra colle altre scienze
    e con lo stato sociale nel periodo compreso tra il 1555 e il
    1648, vale a dire tra l'abdicazione di Carlo quinto e la pace
    di Westfalia.


Per tre principali caratteri si distinguono i diversi periodi della
storia dell'umanitá.

1. Quei periodi che hanno un sistema sociale quasi compiuto per
l'armonia delle sue parti e una durata corrispondente al tempo
necessario per alterarne gli elementi e le proporzioni e per esaurire
i risultamenti che ne derivano.

2. Quelli che a questi succedono, nei quali è un interno lavoro, una
sorda lotta tra i bisogni, i sentimenti, le idee ed i costumi che hanno
corso il loro tempo e quelli che germogliano e tendono a svolgersi e
dominare. Epoche vaghe e incerte il cui marchio è il non averne alcuno,
perché transitorie di loro natura: in esse esistono contemporaneamente
l'elemento antico e 'l moderno che lottano insieme, il primo destinato
a perire, ma che sembra ancor forte, l'altro a trionfar destinato. Non
pertanto senza una sagace e laboriosa osservazione, sfugge allo sguardo
comune se la vittoria sará dal lato di ciò che resiste o da quello di
ciò che invade.

3. I periodi che a questi vengon dietro tanto nell'ordine dei tempi
che in quello delle idee, ove la lotta non è piú tenebrosa ma a campo
aperto, ove le dottrine e gli uomini si urtano, ove il nuovo trionfa ed
il vecchio, condannato alla sorte passiva di una retroguardia destinata
a perdere uomini e spazi, ritarda la sua disfatta non per trionfare
ma per ritardare il trionfo de' suoi avversari. In essi campeggiano
errori, debolezze, per conseguente poca prudenza, intempestivo ardore,
un compromettere sovente la causa dell'ordine, ché nelle vedute della
provvidenza l'imperio del futuro gli è devoluto per alcun tempo. Ma
questi incidenti, decisivi per la vita limitata degl'individui, non
portano che diversitá cronologiche nei risultamenti misurati sulla
vasta e indeterminata scala nella quale la specie esiste, si agita e si
trasforma.

Nel seguire il nostro lavoro possiamo ricapitolare mostrando che i
periodi trascorsi dai popoli dell'antichitá e da quelli del medio evo
rivestono il primo carattere che indicammo nella esposizione sopra
fatta; che il periodo trattato nel quarto nostro discorso riveste
quello che al primo succede secondo la nostra divisione; e che
quello che in questo quinto discorso ci occupa corrisponde all'ultimo
carattere che segnalammo, avendone al tempo stesso e la fisonomia e le
condizioni tutte da noi indicate.

Il problema che vogliamo risolvere non è né può essere altro che
quello che ci siamo sforzati di risolvere nei periodi anteriori. Lo
scopo essendo lo stesso, il metodo non può variare. Ma prima di dar
forma al problema deducendo dall'influenza della scienza militare
e dai suoi rapporti lo stato delle arti e delle scienze e lo stato
sociale nel periodo che comincia dall'abdicazione di Carlo quinto
nel 1555 e termina al trattato di Westfalia nel 1648, ci è necessario
espor brevemente lo stato dell'Europa; punto di veduta generale che
ci faciliterá il discendere a' particolari, come è necessario per
raggiugnere il nostro scopo.

La potenza spagnuola che aveva dominato l'Europa sotto Carlo quinto
era per essere privata della corona imperiale, dove giá quella di
Spagna e quella di Germania erano state amendue riunite sulla testa
del padre di Filippo secondo. Malgrado questa apparente detrazione di
forza, ciò che restava era di un peso bastante per minacciare l'Europa
tutta di una indiretta e non moderata dominazione. Vasti regni ricchi
di prodotti e d'industrie diverse, capitani abili, soldati agguerriti
e forti nell'opinione della loro superioritá, i tesori del nuovo
mondo, quelli delle Fiandre e dell'Italia ch'eran gli Stati piú ricchi
dell'antico, tutto annunziava che la supremazia spagnuola non aveva
né rivali forti né ostacoli potenti a superare per conservarsi sotto
Filippo quale da Carlo era stata a questi legata. Ma considerato sotto
un aspetto piú profondo, si osservavano in questo vasto corpo cagioni
di decadenza e di scomposizione. L'oro del nuovo mondo fomentava
l'indolenza piú che l'industria in Ispagna ove si prendeva il segno
per la cosa. I fiamminghi e gl'italiani subivano senza consentire
un dominio che contrariava il loro carattere, umiliava il loro amar
proprio e comprometteva la loro prosperitá. Gli uomini di Stato ed i
capitani spagnuoli erano discreditati per la lor mala fede ed il loro
orgoglio, i soldati detestati per la loro brutalitá. La severitá delle
dottrine che si professavano in Ispagna non era accettata dagli altri
popoli soggetti. L'amministrazione consumava le rendite ed aggravando i
tributi attentava ai capitali. Per il che non vi era unitá geografica
né morale in questo corpo, il quale per la sua natura aveva ricevuto
missione di comprimere e non di convertire. Cosí subiva il tristo
destino in cui la forza senza moralitá è condannata a trionfare per non
perire.

La Francia presentava uno spettacolo opposto. Benché fosse molto
avanzata nell'unitá politica e nazionale sotto Francesco primo,
pur nondimeno la sua falsa direzione nell'esterna politica e le sue
dissensioni religiose nell'interno le davano aspetto di uno Stato in
decadenza. Ma pochi e rari osservatori vi scorgevano un principio di
vita e di progresso, che si sarebbe sviluppato nel terminare le civili
discordie e si sarebbe rivolto alla politica importanza.

L'Inghilterra per quella individualitá ch'è il marchio delle nazioni
circondate dal mare tendeva ad emanciparsi cosí nella sua politica
esterna come nel suo interno ordinamento. Maria arrestava questa
doppia tendenza, il che dava poca importanza a questo Stato che
consumava le sue forze in una lotta con chi la reggeva. Il regno di
Elisabetta rivelò quanta energia vi fosse in quel popolo, perché
quell'intelligente sovrana ne comprese i bisogni e ne divenne la
piú viva espressione sí nell'interno che nell'esterno; ed a questa
condizione, come sempre addiviene, il suo potere non fu né contrariato
né male accetto alle popolazioni.

Nel corpo germanico tre tendenze scorgevansi: unitá contro i musulmani,
laonde accettava per capo la casa d'Austria che meglio raggiugnea un
tale scopo per le sue ereditarie possessioni; conservazione ai principi
di Germania dei dritti di sovranitá; maggior regolaritá data alle
leggi comuni dell'associazione. Ma la riforma religiosa gittava un
dissolvente in questo aggregato di elementi diversi, per cui tendeva
all'unitá da un lato e all'individualitá dall'altro; il che faceva
presumere che sarebbe stato piuttosto teatro che protagonista di grandi
avvenimenti.

L'Italia dopo la caduta di Firenze e di Siena non ha in Genova e
Venezia che i pallidi simulacri o i dolorosi ricordi di una estinta
nazionalitá. La sua storia non ha altro colore che l'agitazione
tenebrosa degl'indigeni e le azioni e reazioni degli oltramontani che
se ne disputano il possesso.

L'impero ottomano declinava sensibilmente dopo Solimano che l'avea
messo tanto in alto. Del resto l'Europa lo temeva con ragione e solo
mercé dei progressi della scienza militare, effetto di quelli della
civiltá, ella dovea acquistare su di esso quella superioritá che il
condannava ad una lunga ed ignobile esistenza prima di dare il grande
spettacolo della sua distruzione.

Nel nord la Polonia cedeva e resistea a vicenda, e con egual
sorpresa, all'assurditá delle sue leggi ed alla mancanza di progresso
nel suo sistema sociale che si diffondea negl'individui e non nel
popolo. La Russia ignota a se stessa preparava i materiali per un
grand'uomo avvenire. La Svezia presentava una meteora brillante, ma
mancava di base e di proporzione per sostenersi nell'alto posto che
accidentalmente occupava.

Il Portogallo dopo un'epoca luminosa, dopo avere prodotto uno de' piú
vasti avvenimenti, qual era la rivoluzione commerciale, frutto delle
sue scoperte marittime, era esausto di forze, e però destinato a un
tristo riposo e ad accrescere gli Stati di Filippo secondo per indi
scuoterne il giogo.

Si può riassumere questo stato generale dicendo operarsi con piú
rapiditá la distruzione de' bisogni, dei sentimenti, delle idee e
delle forme che nel medio evo dominavano. Ed uno degli effetti piú
significativi si era la distruzione dell'individualitá, cui venía
sostituita la forza popolare che esclusivamente dirigeva il potere
secondo i suoi fini e le forze morali e scientifiche che si elaboravano
per pesare nell'ordine sociale e che costituirono la civiltá, facendo
sí che l'ingegno umano appropriandosi le forze della natura le
trasformasse in mezzi, da ostacoli quali erano nelle societá dalla
barbarie dominate.

Or ricercheremo la soluzione del problema che forma l'oggetto di questo
discorso nella soluzione delle cinque quistioni seguenti:

1. Quali erano gli uomini, le armi e gli ordini nel periodo decorso tra
il 1555 al 1648?

2. Qual era lo stato, quali le pratiche di guerra nella tattica, nella
strategia, negli assedi e nei sistemi amministrativi militari durante
lo stesso periodo?

3. Qual era lo stato, quali i progressi delle scienze esatte, naturali,
morali e delle arti che ne derivano nella stessa epoca?

4. Qual era lo stato sociale che predominava in Europa, nell'interno
e nell'esterno, frutto del trattato di Westfalia che chiude questo
periodo con sí strepitosi avvenimenti?

5. Come tutto questo insieme può esser dedotto dallo stato della
scienza militare considerato come simbolo dello stato sociale, e quali
conseguenze ne derivano?

Noi segnalammo nell'epoca anteriore che giá la scelta degli uomini si
risentiva del passaggio che la societá faceva dallo stato sociale del
medio evo a quello conosciuto sotto il nome di «epoca moderna». Ma
in questo periodo che descriviamo, gli eserciti permanenti eran piú
solidamenti stabiliti; si formava un modo di reclutamento, il quale
tendendo a contenere l'aristocrazia e le comuni piú che a giovarsene,
escludeva l'influenza e la gerarchia feudale o comunale, dava alla
forza pubblica una forma di ordini indipendenti dal suolo e dai
luoghi, fondeva in uno le forze del paese pria sparse e discordi e le
opponea concentrate a ciascuna forza dissidente; l'unitá monarchica
e la centralizzazione apparivano; le guerre cessando di essere piú
interne che straniere, incursioni brevi e devastatrici incominciarono
ad apparire, ma regolate da metodi piú determinati, da istruzione piú
unisona, da previdenze piú scientifiche, calcolate e appropriate a
ciascuna specie di spedizione.

Radunata la forza armata indistintamente da per tutto, raccolta in
nome dell'autoritá regia e da lei mantenuta ed amministrata, ridotta a
vivere costantemente sotto il medesimo tetto, lontana dalla famiglia e
dalle affezioni locali, sottratta ai doveri della comune e del feudo,
potettero allora apparire la istruzione uniforme e la disciplina; cioè
potettero i soldati presentarsi sul campo preventivamente istruiti
coi medesimi princípi, informati dalle medesime abitudini, animati dal
medesimo spirito e stretti dall'intimitá della continua obbedienza ai
capi, nei quali rispettavano non giá i loro padroni ma i depositari
del potere monarchico, alle cui leggi capi e soldati erano egualmente e
promiscuamente soggetti. L'esercito divenne una corporazione compatta,
con leggi, doveri, diritti, vizi e virtú speciali, cessando di essere
un accozzamento incoerente di genti tra loro sconosciute e sovente
nemiche.

L'aristocrazia ritenne, egli è vero, il dritto di comandare,
generalmente parlando, ma non quello di possedere il corpo militare.
Essa poté comandare la forza pubblica, non giá secondo i suoi
interessi, non nel modo e pei fini dell'ordine feudale, ma dirigendola
con leggi da lei non fatte né consentite. Il monarca scelse tra i
baroni, ma ciascuno di loro non sovrastò al monarca: furono stimati
soli atti al comando, ma comandarono per elezione, fecero la guerra per
dovere e non per diritto. L'uso e l'abuso della guerra e degli armati
passò in altra mano. Essi in una parola comandarono come ufficiali e
non come baroni a soldati non propri. Il passo e la novitá erano di
gran momento pei progressi della scienza della guerra e per l'ordine
sociale: la forza della societá aveva cambiato di posto, di scopo e di
mezzi. Servire la societá allora rappresentata dalla monarchia era ben
differente dal comandarla: servir lungamente, servire uniti, stabilire
nella scienza della guerra esclusivamente il proprio Stato, ivi temer
le pene e sperare i compensi, ravvisar nel monarca non l'emulo, non il
primo tra i pari, ma il distributore quasi che esclusivo della sventura
o della fortuna, erano potenti incitamenti a pensare, a volere, a poter
promuovere i progressi della disciplina e della scienza della guerra.
Tornata che fu cittadina divenne nel tempo medesimo professione,
abitudine, orgoglio e speranza, piú nobile nello scopo, piú vasta nelle
sue applicazioni.

Per le armi operavasi un movimento che corrispondeva a quello osservato
nella scelta degli uomini, cioè che se nel periodo antecedente quelle
da fuoco erano considerate come ausilio destinato a venire in luogo
dell'arco e della fionda e non ad entrare come elemento nell'ordine
di battaglia della fanteria, nell'epoca di cui discorriamo si vide i
moschetti essere in una proporzione sempre crescente con le picche ed
alternare con esse a vicenda negli ordini e nelle file. La cavalleria
stessa cominciò ad essere fornita di armi da fuoco e, al dire degli
storici militari, a farne talmente uso da mancare alle condizioni
e allo scopo della natura dell'arma. Le armi difensive seguivano
l'impulso che derivava dalla introduzione delle armi da fuoco, poiché
bisognava che fossero in istato di mettere a coperto dall'effetto di
esse (il che ne accresceva il peso) e che fossero insieme diminuite,
per non nuocere alla mobilitá che i nuovi ordini richiedevano: cosí
avvenne, benché lentamente. Le artiglierie subirono un cambiamento che
pareva operare in un modo inverso delle altre modificazioni, mentre
il numero dei cannoni fu inferiore a quello impiegato nel precedente
periodo e gli eserciti di Carlo ottavo n'erano piú forniti che quelli
di Enrico quarto e dello stesso Gustavo Adolfo. Ma migliorati i
calibri, resi i carriaggi migliori, distinta l'artiglieria di campagna
da quella di assedio, ne risultò che acquistarono i cannoni in mobilitá
ciò che perdettero in numero ed in calibro, e cosí erano piú utili e
piú in armonia coi movimenti richiesti dai nuovi ordini che dal loro
aiuto dovevano essere sostenuti.

Gli ordini seguendo le modificazioni che le armi subivano, divennero
piú sottili, perché le armi da fuoco a questo tendono per loro natura.
La profonditá fu ridotta ad otto e poi a sei file, miste di picchieri
e di moschettieri. Ma giá si vedevano reggimenti formati nell'esercito
svedese. Si fece ancora un passo di piú, cioè si formò la brigata,
introdotta da Turenna negli eserciti francesi, elemento primo della
specialitá di comando, e perciò dei metodi di distribuire, dividere e
facilitare i movimenti, i doveri e la responsabilitá nelle operazioni
di guerra. Queste brigate contraddistinte da un colore che dominava
nel loro vestire erano il principio del sistema delle divise uniformi,
il quale dovea compire la separazione dell'ordine militare dal civile.
Ma la riunione delle due armi che avevano uno scopo opposto — mentre
l'una tendeva a tener lontano l'avversario, l'altra a raggiungerlo
— dovea lasciar dell'incerto e del vago negli ordini, considerati
questi come metodi per ben servirsi delle armi a seconda della loro
natura. Questo stato facea presentire che se non si fosse trovato un
mezzo di unitá nelle armi e di separazione fra loro, gli ordini se ne
sarebbero risentiti ed ogni vero progresso nella tattica elementare
sarebbe stato aggiornato fino all'epoca in cui si fosse risoluta la
quistione delle armi. Di piú i partigiani delle armi diverse doveano
produr nell'esercito una doppia disposizione degli spiriti, la meno
atta a facilitarne i progressi per l'esagerazione de' contendenti, cioè
fanatismo per le armi diverse nei caratteri ardenti, scetticismo nei
deboli e nei freddi. Ed una pruova di questo si è che nella cavalleria
si diminuí la profonditá, il che era in regola; ma si giunse a
pretendere che non operasse con le armi bianche, il che le toglieva la
mobilitá e l'impeto che la rendono importante per decidere la vittoria
e completarne gli effetti. Da ciò risultò che la lancia cominciasse a
diminuir d'importanza.

Nel periodo antecedente vedemmo che la guerra fatta tra nazioni intere
e non tra porzioni di esse, operata per lungo tempo ed in vasti spazi
ricchi di tutti quegli accidenti di terreno che costituiscono i limiti
geografici degli Stati, aveva preso il suo vero carattere, quello
appunto che nell'antichitá videsi rivestire nell'epoca macedonica e in
Roma nella prima guerra punica. Ma facemmo osservare del pari quello
che il Foscolo con rara sagacitá aveva desunto dalla storia militare
del tempo, cioè che l'istinto piú che le regole prese dall'essenza
della scienza governasse le guerre di quel periodo. Però questo
che ci occupa è considerato di comune accordo come quello in cui la
risurrezione della scienza militare è stata fermata.

Il nostro assunto non ci obbliga che a stabilire un tal fatto, senza
entrare nella quistione sollevata a' nostri giorni dagli scrittori
militari francesi[4], se le scuole olandese e svedese sieno state
prodotte ed arricchite dalle pratiche e dalle lezioni dei capitani
francesi nelle guerre di religione che agitarono la Francia. Nessun
uomo può senza antecedenti far prevalere un metodo. Lo spirito umano
procede per gradi, e colui che ha la fortuna di riassumere le scoperte
di molti è proclamato il ristauratore di una scienza, siccome l'essere
fortunato ed accorto che mette in valore le lente economie dai suoi
antenati silenziosamente accumulate. Perciò noi fermiamo in Nassau
il risorgimento della guerra difensiva ed in Gustavo Adolfo quella
dell'offensiva; il che non ci dispenserá dal segnalare, brevemente
parlandone, tutti i gran capitani che abbondarono in quell'etá, a'
comuni sforzi de' quali la scienza dovette il suo risorgimento ed i
suoi ulteriori progressi.

Ciò che costituisce il vero merito della gran tattica è la rapida
formazione degli ordini di battaglia e la ricomposizione di quello di
colonna per operare i movimenti, il sostegno concorde delle diverse
armi combinate con gli accidenti locali che la topografia del campo
di battaglia offre, ed infine la disposizione e l'uso delle riserve.
Le battaglie di Coutras, Arques, Nieuport, Lipsia, Lutzen e Nordlingen
non presentano compiutamente questo stato avanzato della gran tattica.
Invece di corpi mobili si vedono sovente, come a Lipsia, grossi
quadrati immobili contro gli svedesi, i quali piú svelti nella loro
formazione e piú mobili non erano giunti a combinare il sostegno
delle armi, ma nel loro ordinarsi la cavalleria avea de' plotoni di
moschettieri a piedi per sostenerla, il che interrompea l'ordine; per
cui si notava che nella stessa arma vi erano armi diverse e queste
armi erano riunite nell'ordine di battaglia, il che dovea rendere i
movimenti contradittorii perché doveano servire ad elementi diversi:
inconveniente tolto fin da radice dal sistema fondato sul sostegno
reciproco delle armi, poiché allora ogni arma opera secondo la sua
natura e nel terreno che piú gli conviene, senza confondersi colle
altre e mirando sempre ad uno scopo comune. Montecuccoli, l'uomo che
ha riassunto nelle sue memorie lo stato della scienza nell'etá sua,
raccomanda egli pure il mischiare le armi, mentre dai suoi aforismi
stessi può ricavarsi che ciò è contrario ai veri principi della
scienza: tanto le pratiche di un tempo soggiogano persino gli uomini
grandi, che sembra dovessero aver la missione di combatter gli errori
e ristabilire i princípi che dalla natura delle cose derivano[5]. Ma
pur convenendo di questa inferioritá della tattica, vi era progresso
sull'antecedente periodo, e le riserve dal Montecuccoli fortemente
raccomandate come grande strumento di salvezza nei rovesci, si veggono
adoperate con maggiore o minor riuscita e previsione in tutte le
battaglie di questo memorabil periodo. La proporzione delle diverse
armi era ancora a favore della cavalleria, meno che negli eserciti
olandesi, perché il terreno del paese era contrario a quest'arma.
Presso gli svizzeri avveniva lo stesso per la medesima causa, ed
ancora presso gli svedesi ove si cominciava a dar maggior valore e
importanza alla fanteria appoggiata da una piú mobile artiglieria. La
formazione dei dragoni che non erano nella loro origine altro che una
fanteria a cavallo, perché non aveano l'armatura della cavalleria,
era una nuova pruova dell'importanza che si dava alla fanteria; fatto
notevolissimo che segnalava il rinascimento della scienza, come anche
una trasformazione negli elementi dello stato sociale.

Si può quindi conchiudere che sebbene i promotori della tattica
cercassero i loro metodi negli scrittori della scienza e nella storia
militare della colta antichitá, come in tutti i rami dello scibile
si costumava, pur nondimeno l'effetto delle nuove armi modificava
l'entusiasmo degli amatori della tattica greca e romana, sicché
abbandonavano tutto ciò che si deduceva dal sistema della falange come
incompatibile con l'effetto dell'uso della polvere. Tutto l'ingegno
dei piú sapienti era adoperato a rendere possibile la combinazione dei
metodi della romana legione colle armi novellamente adottate.

Nel precedente nostro discorso non senza ragione facemmo osservare
che se la strategia, giusta l'ordine scientifico, dee compire i
perfezionamenti dei rami della scienza militare e della tattica in
particolare, la quale essendone l'ultimo perfezionamento li suppone
e riassume tutti, pur nondimeno storicamente non cosí accadde; e nel
periodo del quale andiamo a discorrere ampia dimostrazione possiam
presentar di quanto asserimmo. In effetto mentre la letteratura
militare ci lascia di quell'epoca rare ed incompiute opere dogmatiche
e quasi nessun regolamento di tattica elementare, la storia di questo
stesso periodo ci presenta una quantitá di capitani che operavano
con alta intelligenza della scienza, con l'istinto e sovente coi
metodi della strategia. Al duca d'Alba, allo Spinola, ad Alessandro
Farnese, ad Enrico quarto, a Coligni, a Nassau, a Vallstein, a Tilli,
a Bernardo di Weimar, a Savelli, a Piccolomini, a Isolani, a Veterani,
a Montecuccoli, a Gustavo Adolfo, a Banner, a Torstestdon e a Turenna
non possono negarsi con gradazioni diverse le qualitá che costituiscono
i gran capitani, e tutte le loro operazioni[6] possono essere comparate
a quelle degli ultimi periodi delle guerre europee. I limiti in cui ci
siamo ristretti non permettono di svolgere (ciò che forse piú tardi
faremo) in queste campagne il pensiero strategico, se cosí possiamo
esprimerci, non solo istantaneo ma seguíto, regolarizzato, non con la
metafisica della scienza ma con la sua logica[7].

Segnaleremo solamente le operazioni del duca di Parma per soccorrere
Parigi e Rouen assediati da Enrico quarto ed i movimenti da questo
opposti, la campagna del duca di Alba per impadronirsi del Portogallo
che finí con la battaglia di Alcantara. Le campagne di Gustavo Adolfo
in Germania sono miste di precauzioni e di ardire, di marcie rapide
e di posizioni ben prese, e i movimenti non si veggono fatti se non
dopo avere assicurato una base nella Pomerania. I suoi successori ne
seguirono le impulsioni con minore intelligenza, e spariti Wallstein
e Gustavo, la guerra fatta secondo le regole della scienza non
rinacque se non con Turenna in quelle sue belle campagne di Germania.
L'ingegno del Montecuccoli si formava in posti secondari, per indi
innalzarsi all'altezza di quei che fissarono le strategiche pratiche
e ne trasmisero alla posteritá i precetti. Gli eserciti poco numerosi,
mobili e disciplinati per quanto comportavano la loro composizione ed i
metodi che si seguivano, facean sí che la guerra fosse piú di movimenti
che di posizioni.

L'imperfezione dei sistemi amministrativi, benché superiori agli
antecedenti, era supplita dalla durezza con la quale trattavansi i
paesi nemici e dai soccorsi che trovavansi negli amici; ma questo
sistema fece sí che la guerra dei trent'anni fosse la piú devastatrice
e arrestasse la civiltá negli Stati ove fu combattuta, i quali erano
giá in progresso poiché subirono questa pruova senza soccombervi.
Possiamo ora riassumere il fin qui esposto dicendo che se i piani di
guerra non erano scientificamente stabiliti, vi era però uno scopo, un
nesso tra le operazioni; ed in effetto quelle operazioni sono citate
dai moderni capitani come modelli da venire imitati tanto per le marcie
che per la scelta de' campi e pel passaggio dei fiumi: in particolare
la marcia di Gustavo da Magonza al Leck, il suo campo di Norimberga ed
il passaggio del sopraddetto fiume, operato in faccia al nemico di viva
forza e preparato e protetto dall'artiglieria[8].

Nel nostro quarto discorso facemmo vedere come la polvere da sparo
avesse influito sulle fortificazioni e sulla guerra di assedio, e
che ciò che avea piú caratterizzato il progresso del disegno era
il sostituire i bastioni alle torri; il che era un immenso passo
nella difesa, giacché da diretta rendevasi fiancheggiante, perciò
piú compiuta e spinta fino al punto che l'operazione del nemico di
penetrare sotto i rampari sarebbe stata inutile, se prima non avesse
spento i fuochi di fianco. Questa direzione data alla scienza della
fortificazione, riassunta nelle opere del conte di Pagan e di tutta la
scuola degl'ingegneri italiani che abbiamo citata, si proseguiva con
miglioramenti che rendevano il disegno piú compiuto mercé l'adozione
di nuove opere avanzate, e cosí la difesa si trovava renduta superiore
all'attacco, finché non si fosse trovato il metodo di estinguere i
fuochi di fianco e di spingersi al coperto colle parallele. In effetto
la difesa di Ostenda che nel 1601 occupò tre anni Spinola; quella di
Leida anteriore a questa, nel 1574, che si sostenne contro le forze
spagnuole; quella di Anversa dove l'italiano Giambelli contraccavò con
arte ed ingegno le operazioni ardite del suo compatriota Barrocchi,
che dirigeva i portentosi lavori che si facevano dall'esercito guidato
da Alessandro Farnese; il ponte sulla Schelda gittato dall'esercito
assediante, sono imprese ricche di scienza e di valore e dimostranti
come le scienze e le arti che vi dovevano concorrere erano avanzate[9],
mentre possono sostenere a nostro credere il paragone dei giganteschi
ed intelligenti lavori fatti nell'isola di Lobau nel 1809 per domare il
Danubio e decidere la sorte della guerra.

La fortificazione di campagna fu creata dal genio dei principi di
Nassau nei terreni difficili dell'Olanda per arrestare l'impeto
delle vecchie bande spagnuole contro gl'inesperti e nuovi difensori
dell'Olanda. Del resto Gustavo e Vallstein nei campi di Norimberga
fecero vedere che anche negli eserciti piú mobili e nei terreni
meno accidentati sapevano far servire le fortificazioni di campagna
per rimaner liberi di accettare o rifiutar la battaglia; e la
sapiente inazione di quei capitani è la pruova piú significativa del
rinascimento della scienza, e trasporta con l'immaginazione ai campi
di Durazzo ove due gran capitani dell'antichitá si preparavano alla
giornata decisiva di Farsaglia.

La castrametazione non poteva che progredire con queste pratiche di
guerra, ed era il segno del progresso fatto nel guidare gli eserciti e
della regolaritá delle loro imprese. Un altro sintoma dell'importanza
che acquistavano i corpi scientifici si è che si cominciava la division
del lavoro negli eserciti: nel vedere Sully rivestire la carica di gran
maestro d'artiglieria e creare arsenali, parchi, riserve, laboratori,
in una parola un sistema compiuto di ciò che chiamasi «materiale»,
dobbiamo veder pure l'origine di tutte le future istituzioni le quali
si riassumono ai dí nostri nella scuola politecnica, giacché a reggere
la pace o la guerra è necessaria la scienza; la qual cosa dimostra
compiutamente la caduta del sistema sociale del medio evo ed insieme il
progresso della civiltá.

Da quanto dicemmo sugli eserciti e sulle loro pratiche si deduce
che queste colonie operanti avean bisogno di essere amministrate a
fine di soddisfare a bisogni moltiplici, quanto alle munizioni da
guerra e quanto a quelle da bocca, in lunghi assedi e in campagne
attive e prolungate. E' non v'ha dubbio alcuno su questo, benché gli
autori contemporanei non ci tengano istrutti de' metodi coi quali
si nutrivano, s'approvigionavano e si conservavano gli eserciti di
quei tempi, nessun trattato essendocene rimasto. Questa scienza è
tuttavia nell'infanzia e forse un dí sará riguardata siccome un ramo
dell'economia politica applicata ai bisogni degli eserciti. Ma allora
l'amministrazione era presso che ignota, e la potente monarchia di
Filippo non poteva pagare i suoi eserciti, i quali perciò sovente si
ammutinavano con danno della disciplina. Questo carattere dell'intima
esistenza degli eserciti spagnuoli era conseguenza dell'amministrazione
cattiva di quella vasta monarchia; amministrazione i cui effetti
dolorosi si risentono ancora dopo qualche secolo negli Stati che ne
hanno piú lungamente fatto parte.

Possiamo quindi riassumere il fin qui detto con istabilire che lo
stato della scienza militare dal 1555 al 1648 presenta i tre seguenti
caratteri:

1. Ritorno a quei princípi della scienza militare degli antichi ch'eran
compatibili con le nuove armi.

2. Separazione piú distinta dai metodi del medio evo.

3. Sviluppo piú compiuto, quanto alle nuove armi, di tutto ciò ch'erasi
cominciato nel precedente periodo.

Ora avendo risposto alle quistioni che ci siamo proposte sulla scienza
della guerra, passeremo a fare lo stesso per quelle che riguardano lo
stato delle scienze e delle arti e lo stato sociale. Le scienze esatte
avevano sí progredito che in quel periodo si segnalavano importanti
scoperte, le quali dinotavano al tempo stesso lo stato fiorente di
queste scienze e il merito dei loro cultori. L'influenza di questi
passi fatti sui futuri destini di questa parte dello scibile umano
c'indica in ultimo lo stato generale di esso, avuto riguardo alle
relazioni che hanno tra loro le scienze tutte. E può notarsi che
appunto nel periodo di cui discorriamo furono risolute le equazioni
di terzo grado da Scipione Ferreo e da Niccola Tartaglia: nella
stessa epoca Verner risolvette uno de' problemi proposti da Archimede
sulla divisione della sfera, e Vieta introdusse le lettere come segni
convenzionali per determinare le quantitá algebriche, e da questa
nuova lingua pei calcoli risultò per opera dello stesso l'applicazione
dell'algebra alla geometria. Con questi nuovi mezzi Tico Brahe fece
progredire di molto le scienze astronomiche. Non della stessa natura ed
importanza furono i progressi delle matematiche miste, benché fossero
giá favorite dai progressi dell'algebra e dalla applicazione di essa
alla geometria. Ma ciò non bastava al progresso di queste scienze:
era necessario che l'analisi applicata ai corpi fosse molto avanzata.
Ciò lasciava in uno stato di debolezza la fisica e tutte quelle sue
diramazioni che in séguito della division del lavoro applicata alle
scienze hanno formate delle scienze particolari e compiute, come la
chimica ed altre. Gli sforzi successivi e perseveranti dei cultori
piú distinti di questa branca dello scibile, quali Guido Ubaldo,
Nomus Porta e Maurolico, perfezionarono qualche ramo delle matematiche
miste, ma senza risolvere il gran problema delle leggi del moto tanto
dal Galileo illustrate. Questo raro genio non solo fece progredire
l'astronomia con le sue invenzioni, ma fermò ancora la statica, scienza
cosí importante per le sue applicazioni. Pure queste scoperte erano
lentamente applicate.

Le scienze naturali per gli esposti antecedenti dovevano avere un
moto progressivo ma lento, perché sebbene fossero in progresso le
matematiche pure, non lo erano però le miste; e come le scienze
naturali dipendono insieme dalle scienze esatte pure e dalle miste,
dallo stato di queste dipendevano quelle che ne derivavano. Non
pertanto vi erano in quel periodo cultori distinti che hanno lasciato
nella storia della scienza quei luminosi risultamenti che ne segnano le
grandi epoche e che coi loro pregiati lavori han preparato il materiale
ai lor successori. Si notano tra questi Ermolus, Barberus, Cesalpino,
Geyesman, Pierre Châtel ed Agricola.

L'architettura e le arti meccaniche erano in progresso; e dove prima
avean sede in Italia, i loro metodi si traspiantavano nelle altre
nazioni che progredivano nell'incivilimento, il quale creava loro
al tempo stesso nuovi bisogni e le spingeva a cercare i mezzi da
soddisfarli.

Nelle scienze morali vedeansi progressi positivi, i quali spargevansi
ovunque vi era un movimento ascendente di sviluppo intellettuale. La
scuola dei giureconsulti di Bologna trova seguaci, emuli e rivali
in Francia, ove Cuiacio e la sua scuola indicavano il bisogno e il
progresso della legislazione in societá piú riunite, aventi perciò
maggior bisogno di esser dirette dalle leggi che dalla volontá
individuale, marchio caratteristico del sistema feudale. Tutto infine
cospirava a risvegliare lo studio delle scienze morali. I bisogni e le
relazioni che si sviluppavano nelle societá riunite rendeano preziose
le antiche leggi e necessario l'interpretarle e l'applicarle allo stato
delle nazioni moderne. Le dispute religiose portavano allo studio
delle lingue orientali, come armi per la controversia, e agli studi
di teologia e di morale, e davano nuova vigoria ed importanza agli
studi filosofici che debbono servire ad appoggiare e a combattere le
opinioni religiose. In effetto la scolastica non fu trovata sufficiente
e la filosofia cominciò ad essere coltivata in un modo piú diretto
e piú indipendente, come fecero Telesio, Giordano Bruno, Cardano e
Campanella, che mossero guerra all'aristotelismo mal compreso che
dominava nelle scuole. E da quel periodo ebbe principio il rinascimento
della filosofia, che Bacone riassume esponendo i metodi nuovi necessari
ed il torto degli antichi. Cartesio suo contemporaneo nel trattato dei
metodi distruggeva la scolastica, perché le sostituiva, considerata
come strumento, uno strumento migliore. Le lunghe guerre, le interne
rivolte, le terribili rappresaglie alle quali l'umanitá era esposta
nell'urto di tante passioni, produssero il bisogno di applicare la
legislazione e di fermare una giurisprudenza in quanto ai rapporti
delle nazioni tra loro e dei sudditi verso i poteri che li reggevano.
L'opera immortale che Grozio pubblicò su questi vari oggetti, preceduto
da Alberico Gentili che trattò la stessa materia, non solo fissa la
moderna civiltá dando freno e regole alla forza stessa, ma stabilisce
la superioritá dei moderni sugli antichi i quali ignoravano potersi
creare una scienza chiamata «dritto delle genti». L'adozione di
questo codice creato da un privato fu, secondo il Mackintosch, la piú
segnalata e significante vittoria che l'intelligenza e la moralitá
abbiano riportata sulla forza.

Da questo rapido cenno sullo stato intellettuale dell'Europa si può
dedurre la medesima osservazione che abbiamo fatta nel riassumere
lo stato della scienza militare, cioè che quello che caratterizza
questo periodo si è la tendenza di tutto il movimento intellettuale
a separarsi dai metodi del medio evo. Questo risultamento si mostra
chiarissimo e nella scienza militare e nello stato intellettuale e
da ultimo nello stato sociale e nelle sue modificazioni di cui noi ci
occuperemo.

Nel nostro secondo discorso facemmo osservare che ciò che
caratterizzava i popoli dell'antichitá si era l'esser tra loro le
differenze maggiori delle somiglianze, e notammo eziandio che tra i
moderni dominava il carattere inverso: dal che risultava che le societá
antiche preoccupate dalla loro nazionalitá procedevano per esclusione,
il che costituiva l'amor patrio fra loro, e che le societá moderne
procedevano per principio d'imitazione, perché l'amor patrio avea per
oggetto il progresso che tende ad appropriarsi tutto ciò che ha eguali
condizioni nelle altre nazioni, serbando la nazionalitá come elemento
fisso ma modificabile a seconda dei progressi della civiltá. Nel
terzo discorso esponemmo che il medio evo era un'epoca di distruzione
e di rinnovazione, e lo mostrammo come diviso in due periodi, ognuno
dei quali rivestiva uno de' caratteri che notammo. Nel nostro quarto
discorso facemmo vedere come il seguente periodo fosse vago, incerto
e lottante fra le tradizioni classiche dell'antichitá tornate a luce
mercé del risorgimento delle lettere, le abitudini del medio evo e
le tendenze delle moderne societá che derivavano da quello, e quindi
come non si potesse determinare il marchio che ne formava l'impronta.
Il periodo del quale ora trattiamo è quello in cui può considerarsi
fissato e predominante il carattere dell'èra chiamata «moderna», e le
epoche successive non saranno che un piú largo sviluppo e delle piú
estese conseguenze di esso.

I fatti piú importanti che ci presenti l'epoca dal 1555 al 1648 e
che ne facciano rilevar de' maggiori sono la forza acquistata dal
potere centrale e il principio dell'unitá nazionale che da per tutto
si ricompone sulla decadenza del potere feudale. La conseguenza per
l'ordine e per la civiltá erasi questa, che le forze individuali
doveano cessare di avere una importanza che turbava la societá e
che rendeva impossibile ad ogni potere di esercitare la sua azione
benefica, proteggendo le persone e le proprietá e facendo prevalere
sempre l'interesse pubblico e la ragion pubblica per mezzo della
forza pubblica contro tutte le pretensioni individuali. In effetto può
notarsi che l'ultima grande individualitá, l'ultimo condottiere in una
vasta scala fu Vallstein, e dopo di lui la legge bastava per dominare
chiunque.

La protezione che offriva un potere centrale favoriva con piú o meno
celeritá, a seconda delle circostanze, e l'elevazione delle classi
medie e il miglioramento della condizione delle ultime, e preparava
cosí i progressi dell'industria e del commercio, il quale doveva,
attivato dalle nuove scoperte, costituire il carattere dominante
all'epoca che a questa seguiva e sostituire gl'interessi commerciali
alle dissensioni religiose che dominarono nel periodo del quale
trattiamo.

La formazione delle nazioni ed il movimento intellettuale che si
svolgeva in questa epoca furono causa delle opposizioni religiose,
delle rivoluzioni nazionali de' Paesi bassi e del Portogallo[10]
e della guerra dei trent'anni, nella quale i principi di Germania
cercavano di sottrarsi alla sorte comune subíta dai gran feudatari
nelle altre monarchie europee.

L'equilibrio politico risultò dal principio di nazionalitá, il quale fa
che una nazione ripugni ad essere per cosí dire assorbita da un'altra
nazione; onde la previdenza che presedeva agli ingrandimenti, alle
associazioni o alleanze con altre nazioni. E questo sistema si trova
riassunto e ordinato nel trattato di Westfalia. A una tal circostanza
e a tali bisogni si dee attribuire la classe degli uomini di Stato,
ch'era ignota all'antichitá perché la division del lavoro non vi era
introdotta. I grandi uomini reggevano la pace e la guerra e diventavano
a vicenda pontefici, consoli o edili: cose ignote nel medio evo dove
l'autoritá era concentrata nei capi di famiglia per grado e non per
qualitá, ma che dovevano uscire in luce nell'epoca moderna, nella quale
gli interessi complicati e le carriere divise doveano produrre tutta la
scuola militare di Gustavo e quella di uomini di Stato quali Oxenstiern
e quella di Turenna e quella del cardinale di Richelieu.

Possiamo riassumerci con dire che il periodo che descriviamo avea
il marchio che indicammo caratterizzare le societá moderne, ove le
simiglianze sono piú che le differenze. Infatti sotto l'influenza
comune del cristianesimo, del regime feudale, della legislazione
romana, della letteratura classica e del suo sviluppo, la societá
nelle sue dissensioni medesime citava gli stessi libri, interpretava le
stesse dottrine e governava la pace e la guerra servendosi degli stessi
metodi e impiegando le stesse armi.

I risultamenti politici di questo periodo possono ridursi a' seguenti:
decadenza della monarchia spagnuola; movimento ascendente della
francese; importanza momentanea della Svezia; indebolimento del
corpo germanico, perché diviso d'interessi e di princípi e perché i
suoi trattati eran garantiti da potenze straniere; gli svizzeri, gli
olandesi, i principi di Germania riconosciuti ed assicurati nella
loro indipendenza politica, come pure riconosciuta l'esistenza e
indipendenza politica dei protestanti non come dottrina, ma come fatto
consumato; la Polonia e la Turchia decadute; la Russia preparantesi
a profittarne; l'Italia rimasta sotto il dominio dei forestieri,
perché diceasi che i forti doveano proteggere i deboli; ed infine
l'Inghilterra non figurante perché occupata da discordie intestine.

Il nuovo mondo dominato dall'antico era nel suo periodo di distruzione,
per poi passare a quello di rinnovazione con nuovi elementi che
dovevano influire sui destini europei, prima negativamente e poi
attivamente.

Da questo quadro può dedursi lo stato della scienza militare? Si è
questa l'ultima quistione alla quale dobbiamo rispondere e sta in essa
la soluzione del problema che ci proponemmo.

Nel nostro precedente discorso mostrammo che gli elementi feudale,
comunale e monarchico erano rappresentati negli eserciti di quel
periodo e nelle nazioni diverse, secondo quelle proporzioni che
tali elementi diversi conservavano nell'ordine sociale di quegli
Stati. Ora vediamo in questo periodo l'elemento feudale ch'era la
cavalleria quasi scomparire; giacché sebbene fosse ancora in forte
proporzione, pur nondimeno la sua composizione non era piú fondata
sul servizio feudale, ma era una truppa permanente composta di uomini
presi dalla plebe e comandata da signori o gentiluomini che vogliam
dire, soggetti però alla gerarchia dei gradi in ragione della loro
capacitá e de' loro servigi e non del loro grado sociale; il che
distruggea fin da radice il sistema dei contingenti feudali. Dall'altro
canto non vediam piú né meno milizie comunali: non giá che le comuni
non somministrassero gli uomini, ma le truppe leggiere e gli altri
corpi ch'erano ordinariamente presi nei contingenti comunali venivan
composti di avventurieri, e mercenari condottieri li comandavano.
La fanteria era ordinata in corpi nazionali, e se vi erano corpi
stranieri, questi venivano riguardati siccome ausilio e non come
nerbo: eran soggetti alle regole comuni e non seguitavano i loro usi,
come prima si tollerava. L'artiglieria e gl'ingegneri formavano corpi
particolari e si richiedevano condizioni scientifiche in chi dovea
farne parte. Inoltre abbisognavano il materiale degli arsenali e un
sistema amministrativo, il quale era imperfetto e reso presso che
inutile, perché gli Stati facevano delle guerre lunghe e non aveano
come soddisfarne le spese con imposte ed imprestiti, giacché le
prime erano in isproporzione coi mezzi ed i secondi erano ignoti. Gli
eserciti vivevano col sistema di requisizione, che pesava piú o meno
sul paese, ma che vení regolarizzato alquanto dall'amministrazione
militare. In effetto Vallstein e Gustavo Adolfo vivevano egualmente a
spese dei paesi ne' quali operavano; ma Vallstein era considerato come
un flagello e Gustavo come un protettore, perché l'uno dilapidava e
l'altro regolarizzava ciò che esigevano in tributi[11]. I molti paesi
che si percorrevano, gli accidenti topografici, tutto infine avea
creato il bisogno di maggiore intelligenza e maggior gerarchia nei
gradi e nelle funzioni fondate sull'utilitá di essi, e piú divise erano
le attribuzioni.

Ora se la descrizione di un esercito cosí costituito nei diversi
Stati si presentasse senz'altra notizia di quei tempi ad un uomo che
ignorasse la loro storia e le lor condizioni sociali, se quest'uomo
fosse meditativo ed usasse per istinto o per scienza il metodo
comparativo sí bene applicato dall'illustre Cuvier all'anatomia,
potrebbe qui applicandolo dire: — Ov'è un esercito vi è un potere
centrale forte che predomina sugli elementi aristocratici e
democratici. Dove la guerra ha questi metodi e questi bisogni deve
esistere una amministrazione ordinata, le scienze esatte devono essere
avanzate, e cosí le arti, delle quali favoriscono l'applicazione
pel materiale di cui abbisognano le scienze fisiche e naturali che
non sono in egual progresso. Ove infine sono interessi complicati
a dibattere tra i particolari, come tra le varie nazioni miste
d'interessi materiali, politici e religiosi, le scienze morali debbono
essere coltivate per l'interna legislazione e debbono essere in
progresso, perché le guerre si terminano con le paci, e piú le prime
son complicate piú lo son le seconde. Da ultimo la scienza militare ha
il carattere universale che le scienze rivestono; ciò che fa desumere
che dottrine e discipline comuni reggano lo stato sociale delle varie
nazioni.

Qui porrem fine al nostro discorso, e crediamo aver risoluto il
problema di determinare dallo stato della scienza della guerra quello
dello scibile e della societá. È provato che il periodo che veniam da
percorrere corrisponde al terzo che segnalammo nell'introduzione di
questo discorso, e che svolgendo queste comuni e costanti relazioni
fra gli elementi che costituiscono l'umanitá, la sua storia si rende
compiuta mercé il nuovo punto di vista sotto il quale vien considerata.



DISCORSO VI

    Intorno allo stato della scienza militare ed alle sue relazioni
    colle scienze e collo stato sociale dalla pace di Westfalia a
    quella di Passarowitz.


L'epoca di cui imprendiamo a trattare in questo discorso comprende lo
spazio di tempo che va dal 1648 al 1718, cioè dalla pace di Westfalia a
quella di Passarowitz. È questa l'epoca in cui l'èra moderna sviluppasi
compiutamente e si veste di tutti i caratteri che le corrispondono;
per il che essendo semplice tutto ciò ch'è compiuto, si potrá questa
epoca riassumere e quasi comprendere sotto una sola denominazione, la
quale sará: «secolo di Luigi decimo quarto». Questo nome esprime ad
un tempo come la Francia primeggiasse in civiltá, come il principio
monarchico prevalesse in quel regno, e come dovesse quel principio
stesso prevalere in Europa per l'influenza che un popolo incivilito
esercita sul resto delle nazioni imitanti o non escludenti l'imitazione
nei progressi che fanno.

Quest'epoca, intatto serbando il suo carattere generale, ma considerata
sotto l'aspetto di progresso e di decadimento, può suddividersi in due
periodi distinti e contrassegnati da coteste circostanze: il primo va
dal trattato di Westfalia sino alla pace di Nimega, ed il secondo da
questa pace insino a quella di Passarowitz.

Prima di stabilire le quistioni che saranno risolute in questo
discorso, crediamo utile di far precedere un rapido cenno dello stato
dell'Europa, siccome nei precedenti discorsi facemmo.

La monarchia spagnuola risentiva omai gli effetti di tutte quelle
cagioni di decadenza che nel precedente periodo indicammo, perdeva la
superioritá nell'antico mondo senza sapere trar partito dal nuovo.
In politica, in finanza, in armi, in lettere, la sua decadenza
manifestavasi agli occhi di tutti, meno che a quelli degli spagnuoli
medesimi i quali conservavano le pretensioni che vanno unite alla forza
che piú non aveano.

Nella Francia il movimento era in un senso opposto essendovi allora
piú forza che pretensione; intanto la fine della guerra della Fronda
nel 1652 chiaramente dimostrava essere impossibile all'elemento
aristocratico di rifare il passato ed al democratico di accelerare il
futuro, e quindi avere in Francia il poter del re la superioritá sugli
altri tutti, consistendo in esso l'unitá, la forza, la civiltá e la
gloria dello Stato.

Nell'Inghilterra la dominazione di Cromwel aveva dimostrato quale
importanza politica poteva avere questo Stato allorché fossero in esso
soffogate od estirpate le discordie cittadine; ma queste discordie
regnandovi, l'influenza politica ne rimase sospesa sotto Carlo secondo
e sotto il suo successore.

L'Olanda dall'essere ammessa a far parte delle nazioni indipendenti
europee passava ad esercitare una potente azione nel sistema
generale di Europa, frutto della sua illuminata economia e del valore
perseverante che avea contrassegnato la sua lunga lotta per emanciparsi
dalla Spagna.

La casa d'Austria si sforzava di ricuperare parte della importanza
toltale dal trattato di Westfalia, ma ne la impedivano nemici diversi
in direzioni opposte: turchi, francesi, possessioni italiane mal
ferme, turbolenze in Ungheria, diffidenza degli Stati protestanti. Non
pertanto fra mezzo a questi ostacoli faceva mostra sovente di abilitá
e sempre di perseveranza.

L'impero germanico cercava di riordinarsi nella sua nuova forma, ma ben
vedeva mancargli ed unitá ed indipendenza, per l'intrusione di un nuovo
elemento nel suo grembo che lo scindeva, cioè la riforma, e per una ben
regolata intervenzione di due potenze straniere nel suolo germanico,
cioè la Svezia e la Francia, le quali avean garentito il trattato di
Munster.

La Svezia era dominata da una successione di principi guerrieri, della
quale doveva essere l'ultimo termine quell'uomo straordinario che poi
lasciolle la debolezza dopo di sé e quasi l'odio dell'eroismo di cui
egli aveva abusato.

La Danimarca faceva un atto mercé del quale spontaneamente poneva nelle
mani del re ogni autoritá.

La Polonia dopo che la monarchia elettiva le avea dato de' principi
poco abili a riparare i difetti del sistema che la reggeva e delle
circostanze che la dominavano, trovava un grand'uomo che faceva
sfavillare l'ultima fiamma brillante della politica esistenza di essa.

L'impero ottomano nel progredire della rimanente Europa decadeva o al
piú restava stazionario. Sostenuto solo dagl'imbarazzi dell'Austria,
dall'imperfezione del reggimento polacco, dallo stato di barbarie della
Russia e dalle rivalitá delle altre nazioni europee, era facile il
presagire che al mancare di ciascheduno di questi suoi appoggi fortuiti
ed estrinseci il suo decadimento avanzavasi. Infatti le sue forze di
mare vennero respinte in difensiva alla battaglia di Lepanto e quelle
di terra vinte da Sobieski a Vienna.

La Russia, regnante la famiglia Romanow, faceva passi oscuri sí ma
reali nella civiltá, attendendo che Pietro primo li mettesse a luce e
ne affrettasse il movimento con proporzioni ignote fino a lui.

L'Italia era militarmente occupata, in modo che l'istoria di questo
secolo riguarda piú il suolo italiano che gl'italiani stessi. La vita
civile esisteva, ma la vita politica era sparita, e molti gli uomini,
pochi erano i cittadini che stavan concentrati in Genova, in Venezia.
A questa dava ancora qualche celebritá la lotta colla Porta ottomana,
ed i nomi di un Mocenigo, di un Morosini protestavano a favore della
gloria italiana: quella, benché non fosse spenta in essa ogni energia,
stavasi ignota ed oscura, ma indipendente in grazia della generosa
magnanimitá di un suo gran cittadino.

Il carattere generale che predomina nell'epoca di cui abbiamo
tracciato l'insieme, è quello della societá moderna, vale a dire
distinto da quello dell'antica e della societá del medio evo. In
quest'epoca fruttando i germi che additammo ne' due precedenti
periodi, ne addivenne principal carattere la dominazione dell'elemento
monarchico sugli altri elementi che rappresentano le forze sociali e
la sommessione di questi a quello. Cosicché la legge a prevalere con
piú equitá e ad applicarsi con piú eguaglianza, l'amministrazione a
sorgere, le finanze e il commercio e tutte le classi che rappresentano
l'industria e la coltivano ad acquistare importanza incominciavano.
Questo movimento crescente si trasmetteva sino alle infime classi,
le quali benché non avesser soluzione di continuitá con ciò che
chiamavasi «terzo stato», pure facilmente vi accedevano acquistando
colla industria e colla economia le condizioni richieste a farne
parte, poiché veruna artificiale barriera non ne vietava l'ingresso.
Possiamo adunque conchiudere che quest'epoca dava la guarentigia di
una istorica durata, senza escludere tutte le successive modificazioni
risultanti dalla natura di una civiltá progredente e dagli elementi che
la componevano, i quali effetti avremo agio ne' seguenti discorsi di
notare e mettere in luce. Esposte per tal modo le condizioni generali
della societá in quel tempo, passiamo ad indagare piú particolarmente
quelle della scienza militare, risolvendo le seguenti quistioni:

1. Quali metodi siensi seguíti per iscegliere gli uomini, le armi e gli
ordini nei due periodi in cui dividemmo l'epoca attuale.

2. Quale lo stato delle parti della scienza, cioè tattica, strategia,
guerra di assedio, fortificazione ed amministrazione militare, e quali
modificazioni risulti aver esse ricevuto cosí dalle pratiche guerresche
de' gran capitani di quel tempo che dagli scrittori militari sincroni.

3. Quale lo stato dello scibile cosí per le scienze naturali esatte e
morali che per le arti che ne dipendono.

4. Quale il carattere dello stato sociale e la sua tendenza indicandone
l'avvenire, non meno che quello dello stato politico risultante dalle
guerre dell'epoca in discorso.

5. Come l'insieme di quest'epoca possa dedursi dallo stato della
scienza militare.

Abbiamo veduto come nel periodo precedente, mutato il sistema della
scelta degli uomini, la nobiltá componeva il corpo degli uffiziali e
la plebe quello de' soldati, non per dominio che la prima esercitasse
di dritto su di questa, ma in virtú di un potere speciale conferito a
quella. Nell'epoca di cui trattiamo, fermo rimasto il principio che
all'eletta serviva di norma, solo alcune modificazioni lievissime
vi si apportarono. La scelta del sovrano, la compera del grado ed
in appresso l'educazione in una scuola militare furono i mezzi coi
quali si perveniva ad essere uffiziale, ed il dritto ai successivi
avanzamenti fu regolato da norme fondate sull'anzianitá o sul merito
straordinario che dispensava da questa, di unita al grado che nella
societá si occupava. Gli arrolamenti volontari, gl'ingaggi a tempo
e la reclutazione forzosa delle milizie furono i mezzi adoperati per
tenere al completo e per rinnovare gli eserciti nelle lunghe guerre di
quell'epoca. Questi metodi stessi seguivano le nazioni del mezzogiorno
e quelle del settentrione con locali modificazioni che non ne
alteravano però i princípi. Non cosí le nazioni slave, che componevano
la forza pubblica con metodi concordi al loro stato di civiltá, il
quale rifletteva e ritraeva in sé le consuetudini del medio evo fuse
colle costumanze nazionali anteriori al potere feudale. Cosí ancora i
musulmani stabiliti in Europa conservavano la loro orientale civiltá e
con essa i metodi per la composizione della loro forza.

Le armi nel primo periodo furon miste: bianche e da fuoco; ma le
seconde crescevano a misura che l'archibuso facevasi piú maneggevole
ed il fuoco diveniva l'azione piú consueta dell'infanteria, accessoria
l'urto. Nel secondo periodo la baionetta inventata da Martinet,
risolvendo il problema di un'arme unica che operasse da lungi e da
presso, fece sopprimere le picche. La cavalleria non cambiò d'armi,
ma la sua proporzione coll'infanteria, che nel primo periodo non
fu mai meno della metá e sovente la eguagliò, discese nel secondo
alla quarta parte e meno ancora ne' paesi montuosi. L'artiglieria,
attesa l'importanza che acquistava il fuoco nelle battaglie, crebbe
di proporzione e guadagnò di mobilitá per materiale e per sistema
di costruzione piú scientifico. Ma nel secondo periodo quest'arma
migliorò di molto per le innovazioni che subí da' francesi, adottate
generalmente da tutte le nazioni europee, tranne le slave e le
musulmane presso le quali restò sempre la cavalleria arma principale.

Le ordinanze in conseguenza della modificazione delle armi vennero
a cangiarsi. Nella fanteria la profonditá variò da cinque a tre:
l'organizzazione de' battaglioni, delle compagnie, de' reggimenti,
sottoponendosi ad un calcolo ragionato, stabilito sulla quantitá di
azione che chi comanda e dirige può avere sui comandati e diretti,
divenne piú regolare. Questa teorica stabilita sulle forze della natura
serví di base a determinare le proporzioni tra i quadri e le masse.
Le diverse modificazioni alla composizione de' corpi succedutesi
rapidamente fanno scorgere che tali proporzioni, non arbitrarie ma
fondate sulla natura delle cose, anziché essere ritrovate si cercavano
ancora col calcolo e coll'esperienza. Finalmente l'uso di una
militare divisa uniforme distinse i guerrieri dal resto dei cittadini
e rese compiuta agli occhi di tutti la costituzione dell'esercito.
La profonditá della cavalleria variò ancora da quattro a due; ma
questa variazione di fondo, come quella della fanteria, appartiene
al secondo periodo in cui le armi da fuoco erano quasi rimaste sole.
Anche l'artiglieria si regolarizzò nella sua organizzazione siccome le
altre due armi a cui era di ausilio. Le nazioni slave ed i musulmani
vennero con varia proporzione adottando questi cangiamenti; i russi
nella massima parte, i musulmani nella minima, ed i polacchi tennero
il mezzo fra essi. In generale la composizione di un esercito, quale
si era quella osservata nel secondo periodo di questa epoca, si è
venuta nelle seguenti epoche perfezionando, ma non mai si è affatto
cangiata, poiché gli elementi nel tutto insieme ne furono sempre
conservati ed i miglioramenti apportati si aggirarono meno in inventar
nuove armi e nuovi elementi di azione che indagar nuovi metodi per
trarre dalle invenzioni giá fatte piú sicure, piú facili e piú compiute
applicazioni.

La tattica ragionevolmente seguir doveva il miglioramento degli ordini,
ed al certo questa conseguenza doveva essere facilitata dalla divisione
piú ragionevole delle compagnie e dei battaglioni; ma da ogni ricerca
che si faccia negli scrittori militari contemporanei risulta invece
che i metodi per muovere in senso differente le masse e metter queste
in rapporto col terreno progredirono lentamente ed erano piuttosto
d'impaccio a chi comandava che di facilitazione alle sue imprese. Nel
primo periodo che a questo riguardo si può fissare sino alla morte
di Turenna nel 1675, l'ordine sottile non ancora prevaleva affatto:
intendiamo per «sottile» l'ordine primitivo che aveva ancora una
profonditá di cinque uomini, e non giá che si usasse il sistema del
combattere per colonne, il quale solo per eccezione fu adoperato dal
Tallard alla battaglia di Spira. La guerra era piú di movimenti che
di posizioni, ed erano piuttosto le marcie di eserciti poco numerosi
e perciò piú mobili che decideano le battaglie, che la finezza de'
movimenti sul campo e l'intelligente adoperare delle riserve. La
cavalleria benché diminuita di fondo, non pertanto piú numerosa nelle
sue proporzioni e situata alle ali dell'ordine di battaglia, piú
che per la sua tattica influiva nelle battaglie pel suo numero e pel
suo valore: essa sola compiva le vittorie e rendeva meno importanti
le perdite coprendo la ritirata del vinto. L'artiglieria serviva di
appoggio alla parte difensiva dell'esercito e rinforzava tutti gli
accidenti di terreno che il richiedevano[12]. I villaggi incominciavano
ad essere considerati come punti di appoggio importanti, la qual cosa
addimostra il progresso nell'uso della moschetteria e l'importanza che
acquistavano gli accidenti di terreno. In prova di ciò possiamo citare
le battaglie di Fribourg, Turckheim, Senef e Nordlingen. La disfatta
delle vecchie bande spagnuole a Rocroy in séguito di quella toccata
dagli svizzeri, che ne erano stati il modello, a Marignano, fu l'ultimo
colpo portato all'ordine profondo della fanteria; cosí che poteasi
ornai dire che tutte le belliche nazioni dell'Europa seguissero uno
stesso metodo. Ma non cosí gli slavi ed i musulmani, nelle battaglie
dei quali, come in quelle del Sobieski a Chotzim ed a Vienna, la
cavalleria decideva ancora della lotta e la fanteria operava piú come
ausiliaria che come arme principale.

Nel secondo periodo basta vedere nel Feuquières, nelle memorie di
Turenna, nel Quinci, istorici contemporanei, come nelle battaglie di
Marienthal, di Fribourg, di Rocroy, di Sinzhneim, di Turckheim tutto
si riduceva ad un attacco di posti, come a Fribourg; o ad un misto
di offensiva e difensiva, come a Nordlingen e nelle altre citate
di sopra; o ad un combattimento di retroguardia divenuto generale e
sanguinolento ma sterile di conseguenze, come a Senef. L'abolizione
delle picche, l'adottazione del fucile colla baionetta come arme
unica e la diminuzione di fondo accennata di sopra, cioè quella che
attualmente sussiste, fanno presumere il progresso della tattica. Non
pertanto l'istoria delle guerre di quel tempo e gli scrittori delle
cose militari, tra' quali il Puysegur, ne dimostrano al contrario la
decadenza, imperocché se il vero scopo della tattica consiste nella
combinazione della soliditá colla mobilitá degli ordini e nel facile
e rapido passaggio delle ordinanze richieste per l'offesa a quelle
necessarie per la difesa, possiamo affermare che un tale scopo non fu
raggiunto in verun modo.

Sembra a prima vista un fenomeno inesplicabile il vedere gli elementi
tanto avanzati, cioè gli uomini, le armi e gli ordini, ed i metodi
per fame uso cosí poco migliorati: pur tuttavia ci sforzeremo di
rintracciarne le ragioni. L'abolizione delle picche e la diminuzione
della profonditá non erano per anco supplite dalla soliditá necessaria
per sostenere la cavalleria formando un corpo profondo, né dal
perfezionamento del fuoco combinato colla baionetta; giacché non si
era ritrovata la maniera colla quale oggidí formansi quadrati pieni
e vuoti e si dá ad essi una posizione che li faccia scambievolmente
sostenere in modo da improvvisare un sistema di fortificazione, né si
era tolto l'inconveniente della poca celeritá e della imperfezione del
fuoco, cagionate dalla bacchetta di legno e dal non sapere incannare
la baionetta senza impedire l'uso offensivo del fucile. Per lo che
la fanteria non bastava a reggere gli scontri della cavalleria, e per
conseguenza niun fatto d'arme si ravvisa in quell'epoca simile a quei
tanti che per questi vantaggi son segnalati nella storia posteriore.
Del che fan prova e la guerresca fazione dello Schoulembourg a
Fraustadt contro Carlo decimosecondo, nella quale l'infanteria sassone
era ancora armata di picche, e quella dell'Anhalt a Hochstett in cui
avendo i prussiani adottato i primi la bacchetta di ferro e 'l passo
eguale, avea la loro fanteria il vantaggio di tirare e marciare con piú
celeritá ed ordine. E questi due esempi gravissimi confermano il nostro
detto, imperocché la fanteria che aveva abbandonato le armi e gli
ordini che tanto valsero a' sassoni nella loro bella ritirata, e che
non aveva adottati i metodi per mezzo de' quali i prussiani poterono
dare quel raro esempio di resistenza alla cavalleria, doveva soccombere
agli attacchi di questa o almeno evitarli. A questo secondo partito
si attennero i capitani di quel tempo, sommettendo il loro ingegno
all'imperfezione degl'istrumenti di cui doveano servirsi; la qual
cosa unita all'eccessivo aumento di numero ruppe ogni proporzione tra
i quadri e le masse e rese meno agevole il muover queste, perdendosi
cosí al tempo stesso la soliditá e la mobilitá. Il che diede alle
battaglie del secondo periodo un carattere particolare, giudicato per
sintoma di decadenza dell'arte, avuto riguardo alla sua natura ed al
suo scopo e comparando tra loro le guerre piú celebri e gli usi de'
piú gran capitani sino a quest'epoca. Difatto se la guerra è uno stato
violento ed eccezionale nell'essere sociale, lo scopo e la natura
di quest'arte debbono consistere nel farlo cessare il piú presto che
sia possibile per rientrare nello stato normale; dal che consegue la
necessitá di fare al nemico il massimo male nel minor tempo, e quindi
la guerra di movimenti che agevola la celeritá delle operazioni. Cosí
hanno operato fra gli antichi Alessandro, Annibale e Cesare, e fra
i moderni Gustavo Adolfo, Montecuccoli e Turenna; al contrario di
altri, sommi guerrieri per altro, quali Luxembourg, Villars, Vandôme,
Berwick, Eugenio, Malborough, Staremberg, Catinat, Baden, i quali avean
ridotto le battaglie o ad un qualche stratagemma ordinato fuori della
visuale del nemico, come nel movimento di Luxembourg a Fleurus contro
il Valdeck; o ad una sorpresa, quale fu quella fatta dal principe di
Orange senza successo a Steinkerque contro Luxembourg; o a difendere
accidenti di terreno fidando sulla forza di un'artiglieria accresciuta
ma poco mobile e di una fanteria che dopo spiegatasi era incapace
di mutar ordine, come nelle battaglie di Nervinde, di Ramillies, di
Malplaquet, di Almanza, di Bleinheim e di Fridlingen; o a chiudersi
in linee fortificate, come in quella di Torino nel 1706; o a mettersi
dietro a ridotti distaccati che lasciano possibile l'offensiva,
come quella di Pultawa nel 1709 tra Pietro e Carlo decimosecondo.
L'offensiva ancora mancava di energia: non rapidi movimenti operati
sul campo di battaglia, non alcun artifizio di tattica per modificare
l'ordine primitivo[13]. Ecco perché erano cosí sterili di conseguenze
le sanguinose battaglie di Ramillies, di Malplaquet, che avevano
combattenti superiori di numero a quelle di Rivoli e di Marengo ed
eguali alle altre di Austerlitz e Fridland, fertili in risultamenti
guerrieri ed in effetti politici. In questo secondo periodo il piú
importante spettacolo di tattica si osserva nella guerra tra Pietro
primo e Carlo decimosecondo: in essa si perfezionava l'esercito
svedese, ed il russo facea presagire quei progressi che ora gli dánno
tanta parte nei destini dell'Europa e dell'Asia.

La strategia si vantaggiava in questa epoca. Il general Jomini ha
detto nel suo _Quadro analitico_ essere la strategia la scienza di
far la guerra sulla carta, poiché il primo piano d'operazione di una
guerra intrapresa si traccia appunto nel gabinetto, modificandosi
poi nell'applicarlo dal generale che deve eseguirlo, anche sulla
carta e nella sua tenda; val quanto dire che si sottomettono tutte
le forze materiali alle investigazioni ed ai calcoli scientifici
dell'intelligenza umana. Adunque i progressi della strategia son pruova
in questa epoca di una civiltá progrediente. Or non vi ha dubbio che
le guerre di Luigi decimoquarto non sieno state precedute da ciò che
dicesi «piano di campagna», giacché stabilivasi in esse una serie
di operazioni ipotetiche fondate su dati conosciuti e si cercava di
prevederne gli effetti. Anche l'invasione dell'Olanda nel 1672 fu
eseguita strategicamente, come lo addimostra la controversia tra il
ministro ed i generali sulle operazioni da farsi, poiché l'opinar di
un politico in materia guerresca fa chiaro esser la guerra una scienza
che si appara per teorica, indipendentemente dalla sua pratica[14].
Dimostrata l'esistenza della strategia, faremo osservare come nel
primo periodo venendo rese facili le marcie e le mosse dal piccol
numero d'uomini di cui componevansi gli eserciti, il genio strategico
ebbe maggior campo di svilupparsi. L'esempio piú compiuto di quanto
asserimmo sono le quattro campagne di Turenna dal 1672 al 1675,
epoca della sua morte, nelle di cui operazioni si contengono esempi
piú da seguirsi che da evitarsi, siccome nel comentario che ne fece
vien dimostrando il prigioniero di Sant'Elena, anche dopo che egli e
Federico aveano di tanto immegliata la strategia. Difatto la condotta
del Turenna in queste quattro campagne[15] mostra come la guerra si
fosse ingrandita nella sua azione e fosse divenuta scientifica ne'
suoi metodi. Doveva egli operare lungo il corso del Reno per coprire la
conquista e la possessione dell'Olanda, a quel modo che un esercito di
osservazione opera per coprire l'assedio di una piazza isolata, appunto
come Buonaparte faceva per Mantova nel 1796. Cosí le ultime operazioni
presso Strasbourg sullo Schutter, guerra tutta di movimenti che tendeva
a tagliare le comunicazioni all'avversario prima di combatterlo per
costringerlo poi a combattere onde aprirsi una strada, sono l'ultimo
grado di perfezione in istrategia[16]. Ma nel secondo periodo al
contrario, malgrado i progressi scientifici fatti, la fortificazione
elevata a scienza esatta, gli elementi dell'arte ed i metodi insegnati,
l'armi da fuoco preponderanti, e quindi l'importanza dell'artiglieria
e l'ordine della fanteria determinati, pur nondimeno la strategia non
s'innalzò ad alti concepimenti per l'accrescimento delle masse, che
togliendo loro ogni mobilitá, inviluppò per cosí dire il genio nella
difficoltá di muovere e di nutrire eserciti cosí numerosi. Perciò
la guerra di posizione e di assedio prese il luogo della guerra di
movimento e d'impulso che nel primo periodo prevaleva. Con ciò non
intendiamo dire che Eugenio, Marlborough, Villars, Berwick, Catinat
non abbiano ordinate dotte marcie ed operazioni strategiche di alto
merito; sí bene vogliamo che si argomenti da quello che fecero, ciò che
uomini cosí eccelsi avrebbero fatto con metodi migliori e piú acconci a
risolvere il gran problema della riunione di soliditá e mobilitá negli
eserciti. Non pertanto in questo periodo sono da notarsi la marcia di
Villars per raggiungere l'elettore di Baviera sul Danubio[17], quella
di Marlborough per raggiungere Eugenio sullo stesso fiume, quella di
Eugenio per liberare Torino, che regge al paragone delle fazioni che
precedettero la battaglia di Marengo, le marcie in Ispagna di Vandôme
e di Berwick terminate colle battaglie di Almanza e di Villaviciosa,
quelle di Staremberg sopra Saragozza, ed infine le campagne del
Sobieski colla sua marcia sopra Vienna; le quali operazioni tutte
son pruova del vero stato della strategia, come lo sono sotto altro
rapporto le campagne in difensiva del Crequi sulla Sarra e la Mosella,
quella del Villars nello stesso teatro e l'attiva e sapiente difesa
di Berwick nelle Alpi dal 1709 al 1712, nelle quali non le posizioni
passive ma i movimenti costituivano il carattere ed il merito della
strategia. Però in questo secondo periodo era accidentale ciò che nel
primo era costante, e sotto questo aspetto dicemmo che la strategia
decadeva dopo Turenna: testimonio le campagne di Fiandra in cui poche
leghe tennero occupati per dieci anni eserciti grandi condotti da
grandi capitani, non meno che le guerre di Turchia che mostrarono
a Zenta e a Belgrado il genio del grande Eugenio e la superioritá
dell'Europa sull'Asia.

La fortificazione fu perfezionata da Vauban il quale riassunse,
accrebbe ed applicò tutto quello che si era escogitato dalla scuola
degl'ingegneri italiani fra' quali fu il Marchi, cosí che oggi le
sue dottrine vengono citate ma non contraddette, riducendosi tutto
quello che si agita da' suoi successori a cercar di rendere la difesa
superiore all'attacco, unico problema che abbia il Vauban lasciato
a risolvere alle future generazioni. Imperocché egli fissando le
parallele ed i fuochi d'infilata, diede una decisa superioritá
all'attacco sulla difesa, talché piú non si son veduti come prima gli
assedi durare anni ed anni[18]. Questo grand'uomo cercò di difendere
la patria non con un sistema isolato, ma con un sistema generale di
difesa, fondato sulla geografica configurazione, sulle fortificazioni
e sulle operazioni degli eserciti; e però nelle attuali quistioni sul
fortificamento delle capitali la sua autoritá è invocata ancora con
successo. La fortificazione di campagna progredí e piú avrebbe avanzato
se non si fosse voluto operare troppo colle masse inerti e poco cogli
uomini, i quali sono il primo elemento della guerra, che facendosi per
essi, non può farsi altrimenti che con essi[19].

L'aspetto scientifico che presero le armi a quest'epoca in Francia e
successivamente altrove si mostra nelle istituzioni per l'insegnamento
della gioventú destinata a seguire questa carriera. I collegi militari
sono il segnale chiarissimo che la guerra era divenuta una scienza,
e come tale richiedeva l'aiuto delle altre scienze e progrediva a
seconda de' loro progressi. La marina militare serviva da un altro
lato col suo avanzare per pruova del progresso della societá,
del commercio, dell'industria e del vincolo che unisce le forze
conservatrici alle produttrici. L'amministrazione militare dovea
ancor essa progredire in ragion composta dei progressi dello stato
e dei bisogni dell'esercito. Da ciò ebbero origine codici militari,
sistemi di somministrazione, contabilitá dei corpi, separazione degli
amministratori dai combattenti, stabilimento di caserme e di ospedali,
ecc. La sola creazione degli amministratori militari, dividendo il
lavoro, ne addimostra il progresso, e Louvois è considerato come
l'autore di questo ramo importante. Ma nel suo primo apparire questo
sistema fu molto piú funesto agli eserciti di quello che fosse di
sollievo ai popoli presso i quali si faceva la guerra, vero scopo di
una buona amministrazione militare. I movimenti divennero piú tardi, la
guerra piú costosa, le perdite piú affligenti; né la morale profittò,
vedendosi ben sovente la fortuna sfacciatamente andar mostrando le sue
turpitudini, non velata né meno dal valore addimostrato o dai disagi
sofferti, poiché gli amministratori erano quelli che meno soffrendo
piú di fortuna acquistavano. L'incendio del Palatinato e mille altre
atrocitá che male accordavansi col progresso della civiltá, mostrano
che quei metodi destinati a produrre all'umanitá una diminuzione
di pene furono privi di effetto. Nella categoria delle operazioni
amministrative possiamo comprendere la riunione delle carte, de'
piani e delle memorie al deposito della guerra, che ebbe origine in
quell'epoca, e lo stabilimento dell'ospedale degl'invalidi. Queste
due istituzioni, malgrado la loro differenza, sono una nuova conferma
dell'essere la guerra scienza ed arte: scienza perché bisognava
conservare le idee e le tradizioni, arte perché gli uomini che vi
si dedicavano il facevano a vita e non a tempo. Queste istituzioni
adottate successivamente nell'occidente, ora passano nell'oriente. Le
quali cose tutte confermano sempre piú ciò che innanzi dicemmo, cioè
che l'èra moderna vien fissata in quest'epoca.

Questa nostra asserzione è dimostrata non solo dall'unitá di quei
princípi che furon seguiti da tutti i gran capitani del tempo, come
abbiam fatto conoscere sviluppando le loro pratiche nella tattica,
nella strategia e nella guerra di assedio, ma eziandio dagli scrittori
militari che li riassumono. Sí che da quest'epoca può datarsi il
principio della letteratura militare e la sua influenza sui progressi
della scienza, i quali vedremo sempre piú aumentarsi nei seguenti
periodi. Il che pruova a nostro credere l'avanzamento della societá,
consistendo il suo principale carattere nell'influenza, ignota alle
societá poco incivilite, ch'esercita l'intelligenza sulle pratiche.

Esaminando nel precedente discorso le _Memorie_ del Montecuccoli,
vedemmo comprendersi in esse non solo quanto si praticava nella
guerra a' tempi suoi, ma ancora esservi il germe dell'avvenire
progressivo dell'arte, fondato sugli elementi che nell'èra moderna
la costituivano. Questa importante pubblicazione, come anteriore
alle ultime campagne di lui, apparteneva per l'ordine del tempo piú
che per quello delle idee all'epoca di cui ora trattiamo. In questa
la letteratura militare ebbe i suoi principali rappresentanti in
Francia, poiché furono le opere de' francesi riconosciute come le
migliori da tutti i colti militari dell'Europa. Feuquières, Puysegur,
Folard per la guerra di campagna e Vauban per quella di assedio sono
gli autori che riuniscono le conoscenze scientifiche militari del
tempo, e la loro autoritá pruova il nostro asserto dell'unitá della
scienza militare presso le nazioni incivilite dell'epoca. Feuquières,
aristarco severo, ricava i princípi regolatori della scienza dall'esame
delle guerre contemporanee di cui era stato testimonio ed attore:
tutte le operazioni sono da lui giudicate, classificate e comparate
coi princípi da lui adottati, con somma sagacia mista a eccessiva
severitá. Si vede dalle sue opere essergli state le grandi operazioni
strategiche della guerra piú familiari che la tattica: in effetto i
suoi giudizi sopra le operazioni si aggirano piú sull'influenza del
terreno nella disposizione dei corpi che sull'ordine di questi e sui
loro movimenti tattici; per il che le sue preziose _Memorie_ possono
ancora essere consultate con profitto per riguardo alla strategia
ma non per riguardo alla tattica. Feuquières ha fatto nel suo tempo
ciò che Lloyd ha fatto pel secolo decimottavo e Jomini pel nostro,
e la comparazione analitica delle opere di questi tre scrittori
può a parer nostro servir di norma ad un osservatore adeguato per
riconoscere lo stato della scienza dal decimosettimo al decimonono
secolo e per seguirne l'andamento progressivo. Puysegur seguendo un
metodo diverso, comprende nelle sue investigazioni l'arte dai suoi
elementi fino alle sue combinazioni piú trascendenti, ma facilmente
si desume dalla sua esposizione della tattica elementare come egli
ne vedesse tutti i difetti e conoscesse quanto la imperfezione de'
metodi per muovere le truppe nocesse alla condotta della guerra ed al
risultamento delle operazioni di essa: non pertanto egli nulla propone
né per migliorare le masse né per facilitare gli spiegamenti né per
accrescere la rapiditá delle evoluzioni della cavalleria nelle grandi
operazioni. Ciò non ostante, il suo studio esatto delle campagne de'
gran capitani, unito alla sua lunga esperienza di guerra, fa sí che vi
sia molto da imparare nella sua opera: è la guerra da lui supposta tra
la Senna e la Loira nei circondari di Parigi. Per la qual cosa è d'uopo
conchiudere essere anche questo autore piú avanzato in istrategia che
in tattica. Di un carattere diverso sono improntati gli scritti del
Folard. Questo autore sentí tutto ciò che mancava alla tattica per
facilitare le grandi operazioni militari, e fu suo scopo il riempire
questo vuoto. Conobbe con sagacitá consistere il difetto nella mancanza
di soliditá e di mobilitá; ma preoccupato dallo studio dell'antica
milizia, che solo offrivagli esempi di battaglie tattiche vinte in
grazia della bontá degli ordini e delle evoluzioni, immaginò la sua
colonna retrocedendo fino all'ordine dei greci, nel mentre che faceva
di mestieri sviluppare la tattica moderna avendo riguardo alla natura
delle armi da fuoco, su di che l'antichitá non poteva offrire nessun
metodo da imitarsi con profitto, se non fosse la larga applicazione
della legione agli eserciti moderni, modificata dalle nuove armi in
uso. Il buon esito della battaglia di Spira in cui le colonne non si
spiegarono e vinsero, preoccupò Folard; ma ciò che vi era di vero nel
suo sistema doveva attendere l'epoca nostra per essere fissato con buon
successo, come vedremo nel proseguimento di questo lavoro. Folard ebbe
il merito di suscitare una gran quistione nell'arte, di richiamare
l'attenzione de' militari scienziati sull'importanza della tattica e
di eccitare il gusto dell'erudizione militare collo studio delle guerre
dell'antichitá, di cui però abusò senza risolvere la quistione che avea
suscitata. Vauban risolvette in pratica ed espose in teorica, come giá
accennammo, il problema di rendere l'attacco superiore alla difesa,
e rendette la guerra d'assedio una scienza quasi esatta, risparmiando
col calcolo e col lavoro il sangue umano. Stabilí eziandio il rapporto
tra le fortificazioni, lo Stato e le forze mobili, e posò il sistema
generale di difesa su basi solide, scientifiche e preparate di lunga
mano colle strade, coi canali e con tutti gli elementi di civiltá
necessari ad uno Stato incivilito; elementi di cui la guerra siegue
ed esprime le condizioni tutte. Tentò in séguito di contraccavare per
cosí dire l'opera sua, cercando di dar forza alla difesa, ed è molto
importante la sua opera su questo riguardo posto a luce in questi
anni dal general Valèze: il problema però, come notammo di sopra, non
fu risoluto. Questo grand'uomo è restato in fortificazione ciò che
Smith è in economia politica. Ambidue ampliati, modificati, ma sempre
capiscuola, non essendo stati mai combattuti i principi piú generali da
essi fermati.

Da questo quadro rapido dei militari scrittori adottati dal Tago alla
Meva e dal Texel al Faro vien dimostrata l'unitá scientifica dell'arte,
la quale suppone quella dello scibile e dello stato sociale, che ora
dimostreremo.

Non può cader dubbio alcuno sul progresso delle scienze esatte in
quest'epoca. Se gittiamo uno sguardo sui coltivatori delle matematiche
in Italia e sulle scoperte di Pascal in Francia, l'asserzione è
giá dimostrata; ma lo è piú compiutamente dall'applicazione delle
matematiche alla fisica, che diede in quel tempo autori distinti, i
quali hanno lasciato un nobile retaggio nelle scoperte successive di
alta utilitá che dalle loro elucubrazioni risultarono. Basterá per
non dilungarci di troppo, citare il barometro di Torricelli e tutte
quelle parziali scoperte fatte da Gurke e De Sangulier che furono
riunite e sviluppate dal gran Newton. Le veritá poste in luce da
questo genio non possono essere il risultamento degli studi di un
uomo solo, se questi non sieno agevolati dallo stato delle scienze:
Omero è possibile fino ad un certo punto in una societá barbara, ma
non Newton. Malgrado questi indicati ed incontrastabili progressi,
la chimica conservava nelle sue investigazioni il carattere di una
scienza piú occulta che filosofica. La medicina avanzavasi mercé le
cure di Stahl, di Gioacchino Bucher, di Hams, di Sydenham, di Clisson.
Le scienze naturali profittavano e si risentivano di questi progressi,
siccome addimostrano i lavori di Merian, di Blois e di Severino
in istoria naturale, e quelli di Rey, di Turnefort, di Grève e di
Malpichi in botanica, i quali eran però lontani da quella perfezione
che Linneo, Buffon, Volta e Cuvier dieder loro riassumendoli. Le
scuole teologiche ed i giureconsulti francesi sono celebri ed hanno
de' corrispondenti nelle altre nazioni. I nomi di Bossuet, di Fénélon
e di Massillon hanno nel Baronio e nel Pallavicini emuli illustri. In
giurisprudenza Domat, D'Aguessau, Gravina e Giannone caratterizzano
lo stato della scienza nell'epoca. La filosofia era rappresentata in
Francia dal sensualista Gassendi e dallo spiritualista Mallebranche,
ambidue discendenti da Cartesio come le scuole greche da Socrate:
Portoreale ricco di moralisti aveva in Nicolle, Pascal e Arnault i
suoi alti rappresentanti. L'Inghilterra aveva lo spiritualismo in
Cudworth, il materialismo in Hobbes e possedeva in Loke il filosofo
ed il pubblicista che moderava le opinioni estreme colla sua sana e
fredda ragione. Bayle e Spinosa rappresentavano lo scetticismo ed il
panteismo, e Campanella dava all'Italia la espressione dello stato
delle filosofiche dottrine in quelle contrade. La Germania possedeva in
Leibniz un genio che riassumeva tutto lo scibile e che si avvicinava
per le sue vaste cognizioni al merito di Aristotile, cioè quello di
presentire e contenere in sé l'enciclopedia delle umane conoscenze.
La strada aperta da Grozio aveva trovato seguaci distinti in Wolfio
e in Puffendorfio, che davano al dritto pubblico l'uno delle vaste
fondamenta nel sistema filosofico e l'altro il metodo e l'appoggio
delle cognizioni storiche. Si deduce da questo rapidissimo sguardo
gittato sullo scibile e sui cultori di esso che lo stato di tutte le
arti cosí liberali come meccaniche doveva armonizzare collo stato delle
scienze e col progresso dello stato sociale, il quale era pur esso in
armonia con quello delle scienze, e quindi dovere le arti soddisfare
ai bisogni cosí di pace che di guerra da quegli stati prodotti. Perciò
l'architettura, l'idraulica e le arti manuali erano in quel movimento
ascendente che lascia tracce tali da ferire l'intelletto meno disposto
ad osservare.

Indicando sul principio di questo discorso lo stato dell'Europa a parte
a parte ed il marchio che lo caratterizza, abbiamo giá fatto presentire
quale fosse lo stato sociale dell'epoca ch'esaminiamo. Inoltre ne
risulta una piú compiuta cognizione dallo stato dello scibile qui sopra
indicato. Pur nondimeno riassumeremo e svilupperemo queste idee per
rispondere alla quarta delle quistioni che ci siamo proposte.

Non può essere contrastato che l'elemento monarchico riassumeva e
dirigeva la societá in quell'epoca, che questo carattere era visibile
e spinto ai suoi ultimi confini in Francia e che l'Europa intiera,
meno che l'Inghilterra dopo il 1688, l'Olanda e la Svizzera[20],
seguiva questa generale tendenza, stimandola una necessaria dittatura
per dar pace o almeno ordine al mondo europeo, stanco dalle lotte del
genio feudale e delle dispute religiose. Quindi la potenza regia si
presentava come suprema moderatrice, circondata di tutti i prestigi
della sua organizzazione e avvalorata dai pubblici bisogni ch'essa
sola potea soddisfare. In effetto l'aristocrazia feudale da impetuosa
opposizione si trasformò in gentil cortigiana e non cercava piú il
suo splendore nell'abbassamento del trono, ma bensí nel riflesso
della grandezza di questo. Il clero stesso, malgrado ciò che vi era
di sacro nel suo ministero, di forte nella sua organizzazione e di
vivace ne' suoi antecedenti, seguí l'esempio della nobiltá e al dire
di un severo ma eloquente censore, Lamennais, abbandonò tutta la sua
indipendenza e divenne un ornamento ed un appoggio del trono. Le comuni
sparirono, perché non avendo piú un nemico a combattere nella sommessa
nobiltá feudale ed essendo la loro locale indipendenza priva di un
centro comune, non erano piú in armonia con un sistema ove le finanze,
l'esercito, la magistratura e l'amministrazione, organizzate in una
vasta scala ricca di forza e di unitá, venivano a riunirsi al trono
come a centro comune. Ma se le comuni erano annullate, e 'l doveano
essere per le ragioni esposte, la classe ch'esse rappresentavano, cioè
il terzo stato, cresceva d'importanza per la sua ricchezza e per la
sua intelligenza e per tutte le carriere d'industria, di finanze, di
giurisprudenza e di amministrazione, che la nobiltá per una disdegnosa
leggerezza le lasciò esclusivamente. Le ultime classi della societá
godevano lentamente del progresso sociale ed avevano il vantaggio di
far parte del tutto e di essere sovente protette dalle leggi generali
contro la prepotenza e le vessazioni dei potenti locali; il che unito
alla possibilitá di migliorar la propria condizione con economia ed
industria, rendeva vantaggioso, solido e progressivo il passaggio
della societá dallo stato del medio evo a quello dell'epoca moderna.
E questo era lo stato non solo della Francia ma dell'Europa intera,
in proporzione della maggiore o minor distanza dal modello ideale che
le corti ed i popoli trovavano nella Francia di Luigi decimoquarto.
Difatto la docilitá dei parlamenti di Francia trovava imitazione
nel consiglio di Castiglia, ed in ultimo l'imitavano sebbene meno
compiutamente le diete ungheresi, polacche e germaniche. I grandi ed
il clero da per tutto si raggruppavano intorno al trono, e le classi
medie perdevano ogni rappresentanza, ma guadagnavano in una reale
importanza ciò che toglievasi loro in apparenza. Le arti e le scienze
stesse nei loro progressi non adoperavansi alla ricerca del bello e del
vero se non che con uno scopo puramente artistico o scientifico e non
d'applicazione sociale; ed i sapienti piú distinti avevano un contegno
modesto fino all'umiltá co' grandi e coi potenti che consideravano
quali esseri di un'altra natura. L'urbanitá rendeva però le distanze
meno sensibili e le classificazioni meno umilianti.

La politica esterna doveva esprimere compiutamente questo interno
della societá. Noi vedemmo altrove come a misura che il governo si
centralizzava le nazioni acquistavano un carattere d'individualitá e di
unitá, e le umane passioni dovevano lottare su di un piú vasto campo e
per piú alti interessi, in quella proporzione che passa tra la contesa
dei due possessori vicini e quella di due nazioni. In effetto sembraci
poter segnalare l'invasione di Carlo ottavo come simbolo di questo
nuovo stato sociale e tutte le guerre di Carlo quinto e Francesco
primo come lo sviluppamento di esso. Queste guerre di territorio e di
dritti di famiglia furono complicate colle religiose prodotte dalla
riforma, cedendo in séguito il posto le quistioni territoriali a quelle
di religione che agitavano piú vivamente le masse di quello che il
facessero le prime. Il trattato di Westfalia mise termine a questa
lotta, ed il suo scopo fu quello di terminare la quistione religiosa
con una tolleranza legale e di far entrare nell'associazione europea
i protestanti e gli Stati che si erano emancipati dai loro antichi
sovrani, quali la Svizzera e l'Olanda, formandone elementi atti a
sostenere l'equilibrio minacciato dalla preponderanza di qualche gran
potenza. Le guerre che seguirono il trattato di Westfalia furono tutte
fatte per questo ultimo scopo, e quando Luigi decimo quarto fu accusato
di voler rinnovare il dominio di Carlo quinto, si vide gli Stati
republicani riunirsi in lega coi loro antichi sovrani ed i protestanti
coi cattolici per contenere nei suoi limiti la preponderanza di un
ambizioso monarca. Il trattato di Utrecht che chiude quest'epoca
memoranda risolvette il problema, mentre da esso l'equilibrio non
fu alterato; e se la Francia s'ingrandí con territori che erano nei
suoi limiti naturali, ciò fu piú per aggiungere un nuovo elemento
all'equilibrio che per turbamento di esso[21]; poiché separando la
dinastia spagnuola da quella d'Austria e di Francia, togliendo tutte le
possessioni eccentriche, quel trattato immergeva di nuovo la Francia
nelle contese contro la potenza inglese, e questo era il suo posto
nell'equilibrio europeo. Tutte le altre potenze erano limitate in modo
che lo stato dell'occidente non pareva turbato dall'ultimo trattato. Ma
nel settentrione e nell'oriente non si pareva giá lo stesso ad occhi
chiaroveggenti. La Svezia soccombeva alla sublimitá dei suoi sforzi
e rientrava nella limitata azione che corrispondeva ai suoi mezzi
naturali. La Polonia si trovava pei vizi del suo reggimento dominata
dagli stranieri, i quali eleggendone i sovrani avean fatto il primo
passo per divenirne tali. La Turchia perdeva tutto ciò che la Russia
acquistava, e le circostanze della pace del Pruth velavano all'orgoglio
ottomano l'importanza del nuovo e terribile suo nemico che dal Baltico
al mar d'Azof dominava direttamente. L'elevazione della Russia, quella
della Prussia che scindeva ed indeboliva di molto l'impero germanico,
preparavano col progresso dell'Inghilterra e coll'importanza del
commercio e del sistema coloniale una nuova èra ed un nuovo punto di
vista per la politica europea, che doveva modificare potentemente ciò
che si era stabilito in Westfalia e confermato ad Utrecht. E ciò per
quella veritá dimostrata in meccanica del pari che in chimica, che
quando nuovi corpi o nuovi elementi entrano in una organizzazione
qualunque, ne rompono l'antico equilibrio e ne preparano uno nuovo.

Dopo questo cenno sullo stato sociale e sui risultamenti politici di
esso resta a determinare come tutto ciò possa dedursi dallo stato delle
scienze belliche.

Se si getta uno sguardo sui regolamenti militari di Luigi decimoquarto
vedrassi una forza maggiore di quattrocentomila uomini in una
popolazione di venti milioni d'abitanti; vedrassi ordini militari
per ricompensare, codici speciali per punire, abito particolare per
distinzione, gerarchia nel comandare, regolamenti di amministrazione,
caserme per abitare, ospedali per gli ammalati, medici e cappellani
addetti alla milizia, istituti di educazione scientifica militare pei
giovani, asilo pei vecchi[22], biblioteche, macchine, carte, arsenali,
artefici, cittá addette ad uso esclusivamente militare quali sono
le fortezze, istorie e tradizioni delle geste degli antenati, trofei
conservati, eccetera. Lo spettacolo di tutto ciò altro non può dinotare
se non che esser quello di una societá particolare nello Stato, la
quale in sé il comprende e riassume, giacché tutte le classificazioni
sociali vi sono rappresentate. E poiché questa societá ha nel suo seno
leggi, arti, religione, scienze, ricompense, tradizioni, istoria, lo
Stato che la comprende dovrá averne ancora in piú alto grado; e poiché
si comprendono teologi, medici, scienziati nell'esercito, dovrá ancora
esservene in gran numero nello Stato; se questa massa organizzata
ubbidisce ad una volontá, lo stesso dovrá avvenire nello Stato, insieme
ad una gerarchia di cui qui si vede l'imagine. Ciò suppone uno Stato
incivilito, classificato, tranquillo nel suo interno, dominato da un
potere unico, che si crea delle regole sotto il nome di leggi le quali
rispetta pel suo interesse e per l'interesse generale, che dev'esser
ricco per mantenere un corpo cosí potente, e forte per dominarlo senza
esserne dominato, ed in ultimo che vi debbono essere altri Stati che
abbiano la stessa organizzazione, altrimenti non si comprenderebbe
lo scopo e l'uso di un sí fatto corpo. Da molti segni si rileva che
cosí è, che gli altri Stati hanno la stessa organizzazione, si servono
dello stesso insegnamento e si governano dalle stesse autoritá,
mentre nelle biblioteche si vedono autori di altre nazioni militari i
quali sono studiati, seguíti e commentati da quelli di questo Stato.
Dunque allora si concepisce che l'Europa è una repubblica sotto molti
aspetti, che ha la stessa religione, le stesse leggi, le stesse arti e
scienze, lo stesso governo rappresentato dai sovrani, che le nazioni si
combattono tra esse per mezzo di eserciti, indi trattano, si collegano
per opporsi al forte; dal che derivano trattati, diplomazie, leggi
comuni, magistrati tra nazioni e nazioni. Comparato questo quadro con
le storiche tradizioni dell'Oriente, di Roma, della Grecia, del medio
evo, delle epoche anteriori di poco a questa, si deve conchiudere
che rimontando dall'esercito allo Stato e dallo Stato all'Europa,
questa parte in questa epoca ha delle condizioni e de' caratteri che
differiscono anziché lor somigliare da tutti quelli che la tradizione
ci lascia conoscere, e che per tutto ciò ha dritto ad una denominazione
indicata dal tempo, cioè «èra moderna», e dedotta da uno de' suoi
elementi, tal quale è lo stato dell'arte militare in essa.

Noi crediamo aver risposto alle quistioni che ci siam fatte avendo
indicato lo stato dell'Europa, quello degli elementi e delle parti
dell'arte della guerra, dedotto dall'analisi delle cose, dalle azioni
de' gran capitani e dalle scritture degli autori militari dell'epoca
presa ad esaminare; avendo discorso lo stato dello scibile non meno che
lo stato sociale in Europa co' suoi caratteri e gli effetti politici
delle guerre; ed infine avendo dimostrato come dallo stato dell'arte
militare si deduca il carattere di quest'epoca. Ché se alcuno vorrá
incolparne di esserci dilungati di troppo, allettati da quella voluttá
intellettuale che deriva dal ritrovamento di nuovi rapporti in una
scienza ch'è la compagna della nostra vita, risponderemo col traduttore
di Vico: — «La sola guerra ha discoperto il mondo negli antichi tempi;
ma perché una strada presa sia durevole, è d'uopo ch'essa adempia a
bisogni meno passeggieri di quelli della guerra. Alessandro facendo
aperte la Persia e l'India al commercio della Grecia, ha fondato piú
cittá che non ne ha distrutte. I greci ed i fenici hanno scoperta la
costa del Mediterraneo, che dipoi inclusa da' romani come un cammino
militare di piú nel loro impero, è divenuta la gran via della cristiana
civilizzazione. Cosí le strade mostrate dai guerrieri, seguíte dai
mercatanti, agevolano man mano la comunicazione delle idee, favoriscono
la simpatia de' popoli e gli aiutano a riconoscere la scambievole
fratellanza del genere umano»[23].



DISCORSO VII

    Dello stato della scienza militare e delle sue relazioni colle
    altre scienze e le arti e con lo stato sociale dal trattato di
    Passarowitz del 1718 alla rivoluzione francese del 1789.


Il principio conservatore delle societá risiede nel loro movimento
progressivo. L'esame della nostra esistenza individuale e l'esame di
quello delle societá in generale dimostrano compiutamente l'asserto.
In effetto come si conserva la vita dell'individuo? Mercé di una serie
di trasformazioni costanti, lente, insensibili, che segnano i periodi
tutti che percorriamo dalla infanzia all'etá decrepita fino alla nostra
distruzione, la quale teologicamente e filosoficamente può considerarsi
come una piú alta e compiuta trasformazione. Le societá politiche sono
soggette alle stesse leggi che gl'individui, e lo studio della storia
fatto da un alto punto di vista n'è la pruova costante. Ecco perché la
lettura di Bossuet, di Vico, di Herder e di Muller innalza la mente ed
insieme è di conforto, perché fa rientrare nel corso degli avvenimenti
ordinari benché strepitosi ciò che l'ignoranza presentava come scandali
storici e morali. No, non vi sono scandali nell'ordine generale; la
provvidenza regge il mondo con giuste leggi, ed una di queste si è che
per progredire bisogna trasformarsi, senza di che vi è per cosí dire
ristagno e languore. Ma al nostro ragionamento è necessario premettere
un rapido quadro dell'Europa qual era nell'epoca di cui siamo per
trattare, mentre riveste il carattere che sopra enunciammo.

La monarchia spagnuola riprese sotto i Borboni, e particolarmente sotto
Carlo terzo, se non un'alta importanza almeno della dignitá nelle sue
relazioni; e i miglioramenti amministrativi che si preparavano dal
sovrano, secondato da uomini distinti, tendevano a dar valore al suolo
spagnuolo ed a quello delle colonie e a sviluppar l'attitudine di quel
popolo sí riccamente dotato dalla natura.

La monarchia francese dopo la fine del gran secolo presentò un'anomalia
che non manca mai di precorrere ad alti e spesso terribili avvenimenti.
Vogliam dire che l'intelligenza era in progresso mentre la moralitá
andava scemando; la ragion pubblica riceve a maggiore sviluppo del
potere e le classi medie e le infime erano piú morali, econome ed
industriose delle alte. Questa disposizione unita all'incertezza dei
limiti fra i poteri rendeva malferma l'amministrazione interna e molle
la politica esterna, segnatamente dopo il trattato di Aquisgrana.

L'Inghilterra al contrario consolidava il suo sistema; la casa di
Annover aveva ripreso lena piú forte dopo l'ultimo sforzo degli
Stuardi. Uomini di Stato come Chatam dirigevano la sua politica sovente
egoistica ma però altamente nazionale; le sue armi brillavano nelle
guerre continentali; il suo commercio, la sua industria e le sue
colonie in molte parti del mondo le davano gran peso negl'interessi
europei; aveva su tutte le potenze tre vantaggi decisivi: il suo
credito, la sua inaccessibilitá e lo spirito pubblico il quale nascea
dalle leggi che la reggevano. Non avendo nulla ad acquistare sul
continente, era potenza rivale di chiunque volea dominare, e sotto
questo rapporto la sua azione era utile mentre parea generosa.

L'impero germanico rappresentava il medio evo nelle sue forme, ma nel
fondo subiva tutte le modificazioni che il tempo e gli avvenimenti
avevan prodotto: quelle sue forme erano d'ostacolo agli affari ed il
suo spirito una menzogna che ogni fatto rendeva piú chiara; e dopo
la scissione profonda che la riforma aveva lasciato in quel corpo,
l'elevazione della monarchia prussiana venne a provare con terribili
guerre la vanitá delle leggi da Ratisbona emanate. La monarchia
sopraccennata era il prodigioso risultamento di una serie di uomini
che chiamati a reggerla, aveano sortito quasiché tutti quelle qualitá
ch'erano piú in armonia coi bisogni dell'epoca in cui regnarono. Stato
divenuto importante a forza d'industria, d'intelligenza, di coraggio
e di scienza militare e che può essere considerato fra le monarchie
per quello che le cittá anseatiche, Venezia e Genova erano nel medio
evo, cioè potenze piú forti e influenti di quello che la loro estension
materiale avrebbe dovuto permettere e supplenti con le forze morali e
intellettuali a ciò che loro mancava nel valor della massa.

La casa d'Austria considerata sotto l'aspetto di capo dell'impero,
benché assicurata la dignitá imperiale nella sua famiglia, dopo la
guerra di successione vedeva la vanitá di una tal dignitá nel dover
cedere una bella provincia ad uno de' suoi vassalli. Come potenza
ereditaria perdeva terreno ed opinione dalle rive del Garigliano a
quelle della Sava; ma in séguito, nella crisi che subí alla morte di
Carlo sesto, il nobile carattere di Maria Teresa ed il cavalleresco
patriottismo degli ungheri ristabilirono se non nelle possessioni
almeno nell'opinione questa importante monarchia, e la casa di Lorena
ebbe principi distinti, e la monarchia austriaca nel periodo del
quale trattiamo, malgrado molte sventure si trovò alla fine del secolo
abbastanza forte per sostenere la terribile lotta che l'ha segnalata;
il che dimostra che aveva fatto progressi nelle arti della pace del
pari che in quelle della guerra.

L'Olanda ricca di capitali perdeva la sua importanza per la rivalitá
inglese nel commercio e nelle colonie e per l'elevazione delle potenze
continentali, segnatamente della Prussia.

La Svizzera aspirava alla pace e ne godeva; ma si alteravano gli
elementi del suo stato sociale, secondo il detto del suo eloquente
storico: dava soldati, ma non ne aveva. I suoi soldati combattevano per
chiunque li pagava, ella per nessuno. Per questa via si può conservare
lo spirito militare, ma si perde l'influenza politica; il che appunto
accadde alla Svizzera.

L'Italia respirava nel secolo di cui parliamo. Quasiché tutti i suoi
governi erano nazionali: ristabilito il trono delle Due Sicilie;
ingrandita la casa di Savoia; gli Stati di Parma, di Modena, di
Toscana governati da principi italiani; Genova, Lucca e Venezia rette
a repubblica. Il solo Stato di Milano non aveva un governo italiano,
ma l'amministrazione del Firmiani compensò in qualche modo i mali
della condizione per cosí dir coloniale di quel principato nel quale si
aprivan la strada tutti i progressi amministrativi. Quarantotto anni di
pace procacciarono all'Italia ricchezze materiali e intellettuali, ma
la tempra degli uomini si ammolliva, perché concitati non erano né da
grandi timori o speranze né da vive passioni.

L'impero ottomano che avea combattuto e combatteva con sorte varia
la potenza austriaca, vedeva e sentiva i colpi che questa andavagli
arrecando e preparava una nuova e terribile potenza, vogliam dire la
Russia, la quale tendea verso l'oriente a causa della sua posizione
e meno guardava o influiva sull'occidente. Questa societá musulmana
in Europa rimanea separata dal popolo greco che avea conquistato ed
estranea alla civiltá europea; mentre andava perdendo il suo fanatismo,
conservava però l'antica barbarie; circostanze tutte che non inducevano
dubbio sulla sua decadenza nei meno sagaci osservatori. La nullitá, la
mollezza e la crudeltá de' suoi sovrani erano al tempo stesso causa ed
effetto della societá musulmana.

La Polonia, come l'impero germanico e l'ottomano, offeriva una pruova
novella del non essere permesso all'umanitá anche nel suo eroismo di
ostare alle leggi della natura. Malgrado il valore e l'intelligenza di
una illustre nobiltá, il solo attaccamento cieco a' metodi governativi
esauriti nei loro risultamenti fece sí che questa potente monarchia
ricevesse la legge in tutta questa epoca e finisse per essere
conquistata senza aver fatto la guerra. E ciò preludeva alla sua
distruzione.

L'impero russo segnalava la sua esistenza con passi giganteschi, ed
il piano di Pietro era continuato da quattro donne rivestite della
sovranitá, le quali quantunque fornite di qualitá differenti miravano
allo scopo medesimo. L'imitazione che forse noceva allo sviluppo
spontaneo ed originale della intelligenza nazionale accelerò nondimeno
la importanza politica e militare di questo impero che progrediva,
combatteva ed influiva al tempo stesso sull'Oder, sul Danubio e
sul Fasi. Avea flotte nel mar Nero e nel Mediterraneo, dominava la
Polonia, acquistava terreno in Finlandia, in Crimea e nelle provincie
del Caucaso: l'esercito paziente, valoroso e pieno d'entusiasmo per
chi reggeva l'impero, l'amor proprio nazionale vivissimo, la civiltá
europea facentesi strada; tutto questo formava nuovi elementi che
doveano modificare il sistema stabilito a Munster.

La Scandinavia rientrava nella posizione che la natura assegnavale dopo
che grandi potenze eran sorte nella parte settentrionale d'Europa. La
Svezia dominata e divisa dai partiti mostrò nella guerra de' sette
anni quanto fosse diversa da ciò che era in quella de' trent'anni.
Un principe distinto concentrando nelle sue mani il potere, volle e
cominciò a rialzarla, ma gli mancò il tempo e forse ancor l'occasione.

La Danimarca retta con saggia politica interna ed esterna progrediva in
ogni senso.

Il Portogallo divenuto per cosí dire colonia inglese in virtú del
trattato di Mathuen ed afflitto da una orribile calamitá fisica, era
in decadenza. Ebbe poi il torto di non saper comprendere e non voler
tollerare un gran ministro che volea rialzarlo dall'umile stato in che
era caduto.

A quanto abbiamo sinora detto sullo stato d'Europa vuolsi aggiungere
che l'America colonizzata diveniva omai teatro di guerra, e la sua
influenza era passiva. Ma la rivolta delle colonie inglesi avverò il
vaticinio fatto sul sistema coloniale in quanto alla sua successiva
caduta ed a' suoi effetti sull'equilibrio europeo.

Il carattere generale degli Stati di cui abbiamo discorso, che forma
la nota caratteristica del periodo di cui è parola, può ridursi al
seguente:

1. Concentrazione piú compiuta del potere monarchico, potere che
distruggeva gli ostacoli a lui legati dal medio evo; il che conduceva
all'unitá amministrativa.

2. In quanto alla politica esterna l'interesse commerciale ed il
coloniale che si svolgevano sempre piú e si confondevano per la loro
natura e pei loro effetti, sottentravano alle guerre di successione che
nascevano dai dritti delle famiglie reali come risultamento naturale
del volersi apparentare tra loro esclusivamente. Questo principio
prevalse piú nel secondo periodo dell'epoca che nel primo, nel quale
l'altro enunciato ebbe il dí sopra come dalla storia e dai trattati
rilevasi.

3. L'influenza del sistema coloniale esercitava la sua azione sotto
tanti aspetti diversi, in guisa da modificare non solo la direzione
politica ed economica degli Stati, ma bensí da cangiar la morale,
sostituendo la tolleranza religiosa che il commercio rendea necessaria
e facile, al fanatismo che nel principio del secolo anteriore avea
dominata ed insanguinata l'Europa.

4. La tendenza all'utile cosí nello scibile umano come
nell'amministrazione. E ciò risultava dalla natura dell'umana
intelligenza, che dopo aver impiegato le sue facoltá nella ricerca
del vero, del bello e del buono, ha bisogno di recare ad atto le sue
speculazioni per ritrarne una utilitá positiva.

Ora ci faremo a proporre alcune quistioni. Col rispondere ad esse
adeguatamente otterremo la soluzione del problema che ci siamo
proposto.

1. Quali uomini, quali armi, quali ordini fossero scelti e adoperati
dalle varie potenze europee nei vari periodi dell'epoca di cui
trattiamo.

2. Quali fossero i metodi tattici, strategici e di fortificazione
dell'epoca. Quale il sistema amministrativo che prevalea negli
eserciti.

3. Qual fosse il carattere che rivestiva la scienza della guerra
secondo gli scrittori militari dell'epoca e se vi fosse unitá nelle
vedute di questi scrittori; unitá tale da poterne dedurre quella delle
istituzioni ed insieme dei metodi militari.

4. Qual fosse lo stato delle scienze esatte, naturali e morali, quale
carattere rivestissero, qual fosse l'influenza che avevano sulle arti
che ne dipendono e quale finalmente la lor relazione con lo stato delle
scienze belliche.

5. Qual si fosse lo stato sociale nel suo insieme, quali i suoi
politici risultamenti e però la sua influenza sui destini del mondo,
e in che modo particolarmente si scorgesse reagire sulla scienza
militare.

La scelta degli uomini destinati a comporre gli eserciti deriva,
come ci lusinghiamo di aver provato nei nostri antecedenti discorsi,
dallo stato sociale, il quale riposa sopra le condizioni che fissano
lo stato delle persone e quello delle proprietá. Ora nel periodo
del quale trattiamo nessuna radicale trasformazione ebbe luogo
su questi due gravi oggetti, secondo che gli abbiam veduti essere
stabiliti all'epoca trattata nel nostro sesto discorso. Deriva da
questo come legittima conseguenza che la composizione di un esercito
nel suo primo e principale elemento poteva ricevere perfezionamenti
o modificazioni parziali, ma era lo stesso di quel che prima
notammo, siccome corrispondente all'èra storica conosciuta sotto la
denominazione di «moderna». In effetto in tutti gli Stati i comuni
erano scelti nelle classi poco agiate della societá; senonché trovato
insufficiente ed incerto il sistema di arrollamento volontario, si
cercò di regolarizzare il servizio militare, il quale per cosí dire
divenne una imposta sugli uomini. In Francia troviam le milizie, in
Austria i contingenti somministrati dai proprietari di terre, il che
era pure presso le nazioni slave. In Prussia questo sistema ricevette
un piú regolare sviluppo e si vede il territorio diviso in circoli, i
quali fornivano un contingente che dovevano tenere al completo e che
era preso nelle ultime classi della societá. Il servizio era a vita
negli Stati di razza teutonica o slava; nell'occidente dell'Europa
il tempo del servizio cosí per la recluta che pel volontario era
limitato ad un certo numero di anni che non passava mai gli otto. Gli
uffiziali furono scelti secondo i metodi esposti nel nostro precedente
discorso; senonché è da osservarsi che si cominciò ad aprire una
carriera d'avanzamento ai sottouffiziali, ma parziale, eccezionale
e non regolarmente stabilita, perocché fino in Prussia si sosteneva
che un uffiziale dovesse essere gentiluomo. Ciò proveniva dalle
classificazioni sociali esistenti nello Stato. Ciò nondimeno da un
altro lato fu stabilito che anche gli uomini di nobil sangue dovessero
cominciare dall'essere soldati; dal che nacquero i cadetti. Queste due
innovazioni dovevano portare il loro frutto nelle epoche posteriori, il
che vedremo dipoi, e mostravano giá che lo stato militare era per sua
natura una carriera ove il merito reale dovea rimpiazzare i privilegi.
Un'altra novitá piú feconda in conseguenze sociali e militari si fu che
la difesa dello Stato dovesse riguardarsi come un dovere per tutti,
dovere il quale si contraeva nascendo. Ma come è legge di natura che
in ogni cosa si venga operando per gradi, cosí si vedeva al tempo
stesso sussistere l'idea che l'esercito fosse una parte della societá
destinata a difenderla tutta, e si vedevano le truppe straniere
assoldate e i cosí detti «corpi franchi» levati per la guerra. E questi
erano gli ultimi rappresentanti del sistema de' mercenari fissi e dei
condottieri temporanei che in altri tempi era in vigore.

Le armi eran le stesse: il moschetto perfezionavasi, la bacchetta di
ferro era generalmente adottata, come ancora la baionetta situata in
modo da non impedire il fuoco. La sciabola divenne l'arma principale
della cavalleria, la carabina e le pistole non servirono che a modo
di ausilio; il che provava che si era conosciuta la vera natura
della cavalleria. Le armi difensive scomparvero interamente meno
che nei corazzieri, nei quali per altro non si aveva gran fiducia
perché le corazze non erano a pruova della palla di fucile. La lancia
scomparve fuorché tra i polacchi ed in qualche corpo formato a loro
imitazione, ma piú per bizzarria che per solida opinione del vantaggio
che ritrar si potesse dall'arma. L'artiglieria ricevette moltiplici
perfezionamenti, e tutti tendevano a renderla mobile a segno da poter
seguire le truppe costantemente ed in tutti i terreni. Tutto ciò ch'è
conosciuto sotto il nome di «sistema di Gribauval» (che appena dopo
la pace comincia ad essere modificato) avea questo scopo, e tutto il
materiale di quest'arma è basato sino ai dí nostri sulle escogitazioni
di quel dotto uffiziale. I pezzi di campagna, i pezzi di riserva,
l'organizzazione de' parchi come arsenali mobili, la separazione
compiuta dell'artiglieria di assedio da quella di campagna, la
differenza nei carretti dei pezzi di ramparo e dell'armamento delle
coste da quelli dell'artiglieria di campagna, la organizzazione dei
pontonieri e i perfezionamenti e le classificazioni pei vari generi
di ponti, sono tanti passi del pari che tante pruove del progresso
cosí dell'artiglieria come di tutte le scienze ed arti necessarie per
renderli possibili. I pezzi attaccati ai battaglioni comprovano lo
scopo da noi indicato di non isolare mai l'infanteria da un sí potente
ausilio; e l'artiglieria a cavallo in Prussia inventata, che aveva
per iscopo di accrescere la mobilitá di quest'arma e di fornire la
cavalleria del medesimo appoggio che aveva la infanteria, sono l'ultima
energica espressione dell'importanza di quest'arme ausiliaria e delle
modificazioni che tutto il sistema di guerra dovea subire.

Una volta stabilita e riconosciuta la superioritá esclusiva delle armi
da trarre su quelle atte a ferir da vicino, è chiaro che gli ordini
dovettero concorrere anch'essi ad un simile scopo; e però il fondo
fu fissato a tre righe per l'infanteria nell'ordine di battaglia, a
due nella cavalleria, e per eccezione a tre, massime in qualche Stato
considerato come stazionario nella scienza della guerra[24]. Queste
sono le basi del sistema in Europa e i militari regolamenti ne fan fede
presso tutte le nazioni.

Nel nostro quinto discorso facemmo osservare che non risolvendosi
la quistione delle armi, restava del vago negli ordini ed era
conseguentemente impossibile ogni progresso nella tattica, la quale
altro non è che un metodo per applicare e render flessibili gli ordini
conservandoli intatti e per adattarli a tutte le circostanze che
l'attitudine del nemico e gli accidenti del terreno producono. Ora una
volta fissate le armi e gli ordini, la tattica doveva perfezionarsi
per le ragioni opposte a quelle che avevano ritardato il suo progresso.
Pure questi passi non furono fatti da tutti contemporaneamente, ma come
accade in tutto ciò ch'è umano, chi era spinto da piú alte necessitá
o piú da natura disposto ad operare un perfezionamento, l'operò e lo
pose in luce, e gli altri furono imitatori, e come sempre avviene, con
esagerazione piuttosto che con ragione. Tale fu la sorte della tattica
cosí elementare come sublime che in Prussia ebbe la sua grande scuola
e che da quello Stato si diramò in tutto l'occidente e oggidí passa in
oriente, seguendo quei metodi di civiltá che ivi trapiantansi. E quanto
asseriamo ha chiara pruova dalle preziose lettere del maresciallo di
Sassonia al ministro della guerra di Francia, nelle quali l'illustre
autore sostiene che l'infanteria francese non può combattere in pianura
e che il solo genere di guerra che le riesca si è quello di forzare
le posizioni. Questa severa sentenza sí gloriosamente smentita di poi,
pruova che questa intelligente e bellicosa nazione era molto addietro
in fatto di tattica. L'infelice guerra de' sette anni provò ciò che
Maurizio diceva, e quei militari rovesci animarono l'intelligente
patriottismo del Guibert a iniziare eloquentemente i suoi compatrioti
nel segreto della tattica prussiana. L'ordinanza del 1791 ne fu la
pratica applicazione.

I perfezionamenti operati in Prussia nella tattica possono ridursi ai
seguenti:

1. L'esattezza nell'istruzione di dettaglio quanto al maneggio delle
armi, ai fuochi, alla marcia, agli allineamenti.

2. Il modo di formarsi e spiegarsi rapidamente in colonna e di
ripassare all'ordine di battaglia con movimenti pel fianco dei plotoni
percorrendo la diagonale. Da ciò risultava il doppio vantaggio di
operare per la linea piú corta e di conservare l'ordine serrato ad
ogni evento; cosí risolvevasi l'eterno problema di tutte le evoluzioni,
quello cioè di occupar poco spazio e guadagnar molto tempo. In questi
due risultamenti sta il vero segreto della tattica.

3. L'applicazione degli stessi metodi a divisioni intere, operando
marcie di fianco in colonne, talché con una semplice conversione si
riprendesse l'ordine di battaglia. L'impiego degli scaloni per avere
sforzi successivi sui punti di attacco, senza arrischiar confusioni
in un rovescio. E le distanze fra gli scaloni a ciò contribuivano,
mentre quelli non impegnati si conservavano intatti per rinnovare gli
attacchi o per operare e coprire la ritirata. I cambiamenti di fronte,
i passaggi di linea, le ritirate a scacchiere, i passaggi di stretti e
i quadrati derivavano dagli stessi principi ed erano eseguiti con gli
stessi metodi, e si riassumevano sempre nel passaggio dall'ordine di
battaglia a quello di colonna e cosí viceversa. Eravi scienza adunque,
poiché vi erano princípi costanti, unitá di scopo e semplicitá di
metodi.

4. All'ordine di battaglia che non avea piú per base il sistema di
mettere l'artiglieria, la cavalleria e l'infanteria in un ordine
costante — mentre si era passato dall'intralciare le armi al separarle
compiutamente — fu sostituito il principio fecondo del sostegno
reciproco delle armi e della loro disposizione adattata alla natura del
terreno. Per il che videsi con iscandalo dai tattici di corta vista
la cavalleria occupare il centro di un ordine di battaglia mentre
l'infanteria occupava le ali; l'artiglieria divenuta mobile cambiar
posizione e seguire le truppe in tutte le loro evoluzioni; da ultimo,
ciò che era ignoto nelle epoche antecedenti, prendersi l'ordine di
battaglia in faccia al nemico spiegato e per la combinazione delle
diverse colonne, o per una marcia di fianco coperta da truppe spiegate
o dal terreno, adottarsi l'ordine obliquo[25] sí adoperato presso
l'antichitá, per cosí sopraffare il nemico in un punto e sottrarre ai
suoi attacchi la parte opposta a quella con la quale venivano fatti.

Queste sono a nostro credere le innovazioni fatte dal gran Federico
nella tattica, cioè lo sviluppo compiuto che derivava dalla natura
delle armi fissate e perfezionate con tutte le loro conseguenze sugli
ordini e le evoluzioni.

Nella cavalleria il progresso fu vasto e compiuto dopo Molwitz,
ove ella si mostrò sí inferiore da doverla mischiare con alcuni
battaglioni; il che fu l'ultimo esempio del mescolamento delle due
armi. Niuno ignora che il gran Seidlitz, morto in etá verde, aveva il
doppio merito che non si è piú rinnovato in alcuno allo stesso grado,
di essere un grande ispettore e un gran condottiere di cavalleria,
siccome quello ch'era fornito di molto talento per organizzare l'arma
e favorito veniva da felici ispirazioni sul campo di battaglia.
La cavalleria prussiana adottando tutti i perfezionamenti tattici
dell'infanteria con le sole modificazioni che la sua composta natura
esigeva, divenne mobile oltremodo, manovrò al galoppo e contribuí nelle
battaglie ad affrettarne l'esito operando in gran masse.

Tal è il breve sunto che possiam dare dello stato della tattica
prussiana, la cui superioritá non era contrastata. Venne imitata ed
anche talvolta puerilmente. Salder per l'infanteria e Seidlitz per
la cavalleria sono i veri creatori della tattica moderna, e tutti i
militari regolamenti sono ancora modellati nei loro princípi dirigenti
su quello ch'essi prescrissero. La pruova della nostra asserzione si
trova nel carattere delle battaglie dell'epoca. In effetto a Fontenoy,
a Rocoux, a Lawfelt non vi è esempio di gran movimenti tattici, e la
famosa colonna inglese di Fontenoy dimostra piú il freddo valore delle
truppe che la perfezione delle combinazioni tattiche, mentre nessuno
seppe tirar partito da quella combinazione fortuita, e dall'esercito
francese fu opposta l'artiglieria a quelle masse, ma nessun movimento
di truppe. Le battaglie di Parma, di Piacenza, di Camposanto sul
Panaro hanno lo stesso carattere, cioè importanza di posizioni e pochi
movimenti tattici. Non dee dirsi il medesimo delle battaglie di Praga,
di Rosbac, di Zorndorf e neppure di quelle di Leuthen e Tourgau, in cui
ebbero luogo bei movimenti e fecersi delle brillanti cariche. Alcune
battaglie furono perdute dai prussiani a causa dell'arte adoperata
dagli austriaci nel disporre la difensiva delle loro posizioni.
Federico nelle sue lettere al general Fouquet espone con esattezza ed
encomia moltissimo il sistema di difesa dagli austriaci adottato in
quanto alle posizioni e l'artistica esposizione delle due linee delle
riserve delle diverse armi combinata colla natura del terreno[26].
I russi combattendo con rara intrepiditá in vasti quadrati, come
per esempio contro i turchi, supplivano ad un ordine sí falso contro
truppe europee con la tenacitá, la quale unita al numero diede loro la
vittoria a Jagerndorf Kay e a Kunersdorf, come gli austriaci l'avevano
ottenuta a Kolin. Gli eserciti francesi furono inferiori alla loro
meritata riputazione, e le sconfitte di Creivelt e Minden non sono
bilanciate dai meschini successi di Bergen e Willinghausen che la
vanitá nazionale esagerò e che avrebbe sdegnati in epoche piú gloriose.

La strategia che abbiam veduta dapprima istintiva, poi sottomessa ad
un certo calcolo e divenuta intuitiva, acquistò in questo periodo
il carattere dimostrativo; e ciò proveremo non solo mercé della
indicazione rapida delle operazioni strategiche, ma coll'autoritá degli
scrittori militari dell'epoca. Per ora ci restringeremo a mettere
in vista che vi erano piani di campagna stabiliti sulle conoscenze
anteriori, topografiche e descrittive; che in questi piani giungevasi
a calcolare tutta la serie di operazioni che dovea nascere nel doppio
caso del rovescio o del buon successo delle operazioni premeditate; e
però a torto voleasi trattare come scienza esatta quella che avendo
moltissimi dati ignoti, non può essere se non una scienza per cosí
dire approssimativa. Ma questa esagerazione del valor della scienza ne
dimostra appunto la sua esistenza e il suo primo periodo[27].

Nelle campagne del Maillebois in Italia nel 1745 e nel 1746 si scorgono
vedute strategiche, si vedono considerati i grandi accidenti del
terreno, e non solo considerati localmente come ostacoli o mezzi, ma
nel loro insieme e nelle loro reciproche relazioni. Sono in tal guisa
considerati il Po, le Alpi e gli Appennini, le pianure del Piemonte e
della Lombardia, i controforti ed i corsi secondari di acque. Nella
guerra di successione vediam trascurati i principi strategici. La
punta dei francesi a Praga nel 1742 ne fa fede. Ma nella guerra de'
sette anni vediamo costituita la guerra, ne vediamo strategicamente
fissate le basi, le linee d'operazione, e tenersi con iscrupolo alla
loro conservazione; gli austriaci basarsi in Boemia e in Moravia, i
russi in Polonia e i francesi sul Reno e sul Meno; Federico stabilire
la sua difensiva tra l'Elba e l'Oder, servirsi di queste linee naturali
e delle piazze situate fra esse per contenere i nemici, i quali
abbandonava momentaneamente per condursi in massa contro degli altri
e per indi ritornar vittorioso sopra i primi. Questa mobilitá, questo
uso costante della linea interna contro le esterne, questo operare in
massa contro chi operava per distaccamenti, spiegano quei risultamenti,
costituiscono i progressi della scienza e giustificano l'ammirazione
del grand'uomo che le fece fare di sí gran passi[28]. L'invasione della
Boemia, la ritirata che seguí la marcia a Rosbac, la contromarcia
in Islesia nel 1757, la ritirata da Olmutz nel 1758, i movimenti
sull'Oder, quelli che succedettero alla battaglia perduta di Hokirken,
i movimenti per combattere i russi nel 1759, quelli per liberare la
Sassonia, la marcia in Islesia, il campo di Bunsolvitz nel 1760 per
paralizzare i due eserciti, i movimenti di Lignitz che precedettero la
battaglia di questo nome, tutto provava che il gran Federico era fedele
al sistema delle masse ed ai movimenti, e che quando se ne allontanò
operando per distaccamento, come a Maxen e Landshut, ne fu severamente
punito. Se la strategia diè spiegazione dei risultamenti ottenuti nella
lotta ineguale della guerra de' sette anni, applicata piú in grande
giustificherá piú vasti risultamenti. Nell'enumerare la proprietá della
strategia considerata siccome scienza abbiamo indicata l'importanza
che le fortificazioni acquistavano nel sistema generale della guerra.
La superficie del suolo essendo geograficamente divisa in una serie
di parti che costituivano i diversi teatri di guerra, e per operare
offensivamente o difensivamente su di essi essendovi necessitá di
una base, cioè di un numero di punti fortificati ove riporsi tutto il
materiale di guerra e tutti gli approvvisionamenti per la sussistenza
dell'esercito che operava, avvenne che la fortificazione acquistasse
uno sviluppo maggiore e non si limitasse alla difesa parziale di ogni
recinto fortificato, ma entrasse nelle vaste combinazioni di tutte
le militari operazioni del pari che di tutti i grandi accidenti di
terreno, ai quali dovea supplire quando mancavano e accrescerne il
valore quando esistevano. Per il che si sentiva sempre piú il bisogno
d'impadronirsi delle grandi comunicazioni, dei gran passaggi dei
monti o dei fiumi; e tutto ciò dovea avere per ultima conseguenza
il non costruire le piazze di guerra che nei punti strategici[29],
riconosciuti per tali dal calcolo scientifico e dall'esperienza delle
guerre giá combattute su quel teatro.

Considerate le fortificazioni sotto questo punto di vista generale,
ci resta a determinare lo stato della scienza nelle sue relazioni
colla guerra di assedio e determinare se in questo periodo progredisse
l'attacco o la difesa. Tutti gli sforzi degl'ingegneri tendeano al
medesimo fine: a ristabilire l'equilibrio fra l'attacco e la difesa;
equilibrio che i metodi posti in opera dal Vauban avevano rotto a favor
dell'attacco. Tutto ciò che si escogitò pel fine sopra indicato dai
sapienti nell'arte può ridursi a tre principali mezzi:

1. Il defilamento o sottraimento, cioè il mezzo di dare alle opere
della piazza un dominio sulle alture che la circondavano a tiro di
cannone, in modo da non esserne dominate, da nascondersi anche alla
vista, da sottrarsi alle infilate di attacco, dando fino al profilo,
fino al fiancheggiamento, fino al comando delle opere le condizioni
necessarie per dominare il terreno circostante e per avvicinarsi il
piú possibile al desiderato punto di vedere senza esser visto. Fu però
riputato ottimo risultamento di un buon disegno quello di sottrarre
le fortificazioni e le loro disposizioni a chi voleva attaccarle e per
indispensabile preliminare ne faceva la riconoscenza.

2. La moltiplicazione delle opere esteriori per aumentare i
fiancheggiamenti nella difesa, occupando anche le alture ch'erano
superiori al defilamento.

3. Lo stabilire di lunga mano nelle piazze un sistema di contromine
per isventare tutto ciò che il nemico potea operare contro la piazza
co' mezzi della guerra sotterranea e per regolarizzare il sistema delle
innondazioni e tutta l'azione delle acque ove la natura vi si prestava.

Questa serie di lavori nei quali il corpo del genio francese fu quello
che piú ebbe parte, avendo conservata ed aumentata la riputazione
che aveva di essere il primo in Europa, dovrebbe far credere che si
fosse riuscito in parte almeno a favorir la difesa e a bilanciare i
progressi dell'attacco. Ma la storia militare del secolo decimottavo
depone il contrario, meno la difesa di Bergop-zoom nel 1747 assediata
dai francesi, la quale fu molto brillante ma non provò nulla quanto ai
progressi della difensiva. Tutta la guerra di assedio nella guerra de'
sette anni per le piazze di Slesia non serví che a provare i vantaggi
dell'attacco. La difesa di Schweidnitz nel 1760, ove il celebre
Gribauval dirigeva l'artiglieria degli assediati, fu degna di nota;
ma bisogna pur dire che l'esercito prussiano mancava compiutamente di
un buon corpo del genio, mentre il sistema era tutto nella guerra di
campagna e di movimenti. La difesa di Danzica nel 1733 contro il Munick
e quella delle piazze di Turchia non possono nulla provare quanto
ai progressi della difensiva, mentre eravi ostinazione per parte dei
difensori e quel che piú vale, oltre la guernigione combattevano gli
abitanti, e gli assediatori eran ben lungi dall'essere al livello dei
progressi fatti dalla fortificazione, perocché il loro stato sociale
non era innoltrato al punto di coltivar con vantaggio le scienze tutte
che le sono come di base. Nella guerra dell'indipendenza americana
non si scorge difesa alcuna ordinata con metodo, e l'ostinazione ben
piú che l'arte operò in quella guerra. Da questo breve sunto possiamo
conchiudere che nel periodo del quale trattiamo, la difesa guadagnò
sull'attacco che Vauban si era studiato di rendere superiore.

La fortificazione di campagna ebbe altra sorte. I suoi progressi
furono visibili e diedero positivi risultamenti. Il sistema tanto
preconizzato dal maresciallo di Sassonia dei ridotti distaccati fece
sí che le linee continue cadessero in disuso, siccome quelle da cui
veniva paralizzata l'azione delle truppe e tolta ogni facilitá pei
ritorni offensivi, nei quali si riponeva l'ultimo risultamento di una
buona e felice difesa; il che chiaramente mostrava che la guerra di
movimenti era per riprendere la sua superioritá su quella di posizioni
che avea dominato dalla morte di Turenna fino all'apparimento del gran
Federico. Noi abbiam citato Bunsolvitz tra il 1760 e il 1761. In esso
si riassumono tutti i progressi fatti dalla fortificazione di campagna,
e bisogna rilegger sovente la descrizione che il re di Prussia ne
fa nella _Storia della guerra dei sette anni_ da lui dettata, perché
prescindendo da tutti i preziosi particolari di arte dei quali abbonda,
si scorge come il vero genio fosse pieghevole, perocché essendo il
migliore fra i tattici, abilissimo nell'ordinare e condurre battaglie,
giusto apprezzator dei vantaggi de' mezzi di fortificazione, a fine
di non opporsi a forze superiori con truppe nuove e non agguerrite,
si mostrò grande nell'inazione come lo era stato nell'azione, riunendo
nella sua vita militare le buone parti di Annibale e di Fabio.

L'amministrazione militare come parte di un tutto doveva livellarsi
ai progressi dell'arte e ai bisogni che dai suoi metodi derivavano.
Ammessa una base ed una linea d'operazione, nasceva il bisogno di
legare il soggetto e l'oggetto per mezzo di convogli che rinnovavano
le munizioni da guerra e da bocca; e in queste guerre si vede, come
ad Olmutz nel 1758, una perdita di un convoglio decidere di tutta la
campagna. E l'illustre Laudon vide cominciar la sua gloria in questa
occasione. Del resto benché il corpo dei militari amministratori fosse
organizzato regolarmente e spesso, siccome in Prussia, un uffiziale
generale di nome ne avesse la somma direzione, pur nondimeno il sistema
delle requisizioni suppliva a quello dei magazzini, e la Sassonia
ricorda ancora l'increscevol soggiorno dei prussiani nella guerra
dei sette anni, come la Polonia quello dei russi e l'Annover quel dei
francesi. Pure malgrado questi mali presso che inevitabili, quando si
paragona ciò che si soffriva dai popoli nelle guerre del decimosesto ed
anche del decimosettimo secolo, si dee convenire che vi era progresso
cosí nei costumi come nell'ordine amministrativo. Gli spedali stessi
risentivansi dello stato di una societá ove l'arte di guarire aveva
seguito i passi di tutte le scienze e di tutte le arti delle quali si
compone e da cui nasce.

La disciplina divenne severa, le punizioni furono quasi crudeli, e
negli eserciti alemanni e russi specialmente credettesi che il bastone
fosse per dir cosí un talismano il quale potea degradando l'uomo
elevarlo ad eroe, e si giunse a tal punto che gli uffiziali recavansi
quasi ad onore l'esser prodighi di gastighi di simil natura e crudeli
nel farli applicare. Forse la composizione mista di alcuni eserciti ed
il carattere semibarbaro di altri rendea necessario un tal mezzo; e
l'indisciplina dell'esercito francese non sottoposto ai gastighi dei
quali facemmo cenno, confermava l'idea della loro indispensabilitá.
Tutto il sistema di disciplina si risentí di questo carattere di
durezza, il quale passò fin nel linguaggio che si teneva dai superiori
agl'inferiori in tutta la gerarchia militare. Cosí la militar
disciplina rivestí un carattere di servilitá, ma che non doveva esser
compiuto, giacché l'eroismo individuale non iscomparve in eserciti cosí
regolati.

La creazione dello stato maggiore in Prussia e quella degl'ingegneri
geografi in Francia provavano che la guerra passava sempre piú
dall'urto brutale delle masse alla direzione della intelligenza. Lo
stato maggiore fu adottato successivamente in tutti gli eserciti, del
pari che tutto ciò che in Prussia perfezionavasi. Questa istituzione
avea per iscopo il regolare con armonica unitá truppe lontane operanti
su terreni ignoti, il conoscere bene questi terreni, il togliere
a chi avea la suprema condotta della guerra tutti i dettagli che
lo distoglievano dalle sue gravi meditazioni e il far circolare
rapidamente gli ordini del capo non giá letteralmente, al che
provvedevasi con altri mezzi, ma secondo il loro spirito. Cosí fu visto
sovente confidarsi ad un uffiziale di grado poco elevato il segreto
intimo del generale e nel venire comunicato ai subalterni, modificarsi
secondo gli eventi che la rapiditá delle fazioni guerriere sottopone
a infinite trasformazioni. Cosí dopo essersi vista la nascita la quale
una volta dava il comando, sottoporsi alla gerarchia militare, videsi
sottoposta all'intelligenza presunta di un inferiore; risultamento
importante il quale mostrava che l'intelligenza umana era in progresso
quanto ai poteri.

La castrametazione seguí i progressi della tattica e della disciplina.
I campi d'istruzione in tempo di pace dovettero perfezionarla. Lo stato
maggiore ebbe la missione speciale di disegnare campi e di riconoscere
quelli del nemico. Il loro disegno fu una conseguenza dell'ordine
sottile che predominava, e nella poca profonditá di questo trovavasi
la differenza dai campi romani; campi per altro che differivano nelle
armi, negli ordini e in tutto il sistema di guerra che separa gli
antichi dai moderni. L'uso delle tende dirette alla conservazione
dei combattenti rendea meno spedite le marcie e tutte le operazioni
militari e forniva ad un occhio esercitato il modo di calcolare il
numero delle truppe del nemico.

Ora vogliamo qui riassumere i cambiamenti tutti operati dal gran
Federico nella scienza militare. Tai cambiamenti essendo stati adottati
generalmente, ci asterremo dal parlare degli altri eserciti. Lo
sviluppo che la guerra ha ricevuto ai dí nostri è il _non plus ultra_
della scienza, come lo era pel decimottavo secolo quello comunicatole
dal gran Federico. Passiamo ad enumerare i cambiamenti sopraccennati.

1. Il sistema de' fuochi venne modificato dal passaggio che si fece
dall'ordine profondo al sottile, ordine corrispondente alle nuove armi.

2. Gran movimenti furono introdotti in tutte le armi per serrarsi,
spiegarsi ed ordinarsi in battaglia dinanzi al nemico.

3. I progressi fatti dalla cavalleria accrebbero la sua mobilitá. Buoni
metodi facilitarono il passaggio dall'ordine di colonna a quello di
battaglia.

4. La stessa mobilitá venne applicata all'artiglieria mercé
dell'introduzione utilissima degli artiglieri a cavallo.

5. Le divisioni e brigate fisse furono comandate sempre dagli stessi
generali; il che rendeva piú facili i movimenti tutti e faceva che
capi, uffiziali e soldati si conoscesser tra loro e però avessero
quell'insieme e quell'unitá che indarno si cercherebbe altrimenti.

6. I campi d'istruzione destinati a simulacri di battaglie servirono
a riunire tutte le armi, che a vicenda istruivansi e comprendevano i
loro mutui rapporti e quelli che avevano col tutto insieme; i quali
non erano come quelli del secolo scorso in Francia, di pura rassegna di
truppa.

7. Il sistema dei cosí detti «semestrieri» facea sí che si pagassero
pochi soldati in pace e che molti se ne avessero in guerra. Le
guernigioni fisse legavansi al sistema suddetto.

8. La formazione dello stato maggiore riusciva utilissima. Esso
concentrava il servizio, somministrava istrumenti abili ai capitani,
gli sgravava dei minuti particolari, iniziava un maggior numero
d'uffiziali di tutti i gradi alle grandi operazioni della guerra ed era
in certa guisa seminario di generali.

Indicati questi risultamenti, ne cercheremo la pruova nelle opere
militari e nelle pratiche dei gran capitani dell'epoca[30]. A questo
modo risponderem pure alla nostra terza quistione.

La letteratura militare del periodo del quale parliamo è ricca
d'autori che trattarono della guerra o parzialmente o in generale, e
una tale ricchezza è indice del progresso delle scienze, come piú in
lá andrem dimostrando. Il numero dei gran capitani fu forse inferiore
a quello dei nostri ultimi tempi; nobile schiera alla cui testa fu
l'uomo di genio che può riputarsi il protagonista dell'epoca ed il
suo fedele rappresentante sotto tutti gli aspetti. Noi cercheremo
di determinare tanto mercé del carattere che forma l'impronta delle
militari produzioni, quanto mercé delle pratiche de' capitani di grido,
il vero carattere della scienza militare nel secolo decimottavo. Ci
restringeremo per altro a quegli autori ed a quei capitani dei quali
sará necessario parlare a fine di giungere alla soluzione del nostro
problema.

Nel primo periodo del secolo, cioè innanzi la guerra dei sette anni, i
principali autori sono questi: lo spagnuolo Santa Crux, il maresciallo
di Sassonia ed il napoletano Palmieri.

Il primo nella sua voluminosa opera descrive tutte le operazioni
militari con una prolissitá che gli è stata rimproverata. D'altra
parte non gli è stata negata molta giustezza d'idee e il suo libro era
considerato come l'opera piú compiuta per la istruzione di un militare.
Nella tattica non andò molto innanzi, e ciò provenne dall'epoca, non
essendovi ancora il sistema prussiano.

Il maresciallo di Sassonia non ha composto un trattato compiuto, ma
ha esposto bensí le sue proprie impressioni. Il libro è ineguale.
Tutto quello ch'è sistematico non sostiene il confronto né colla
ragione né coll'esperienza; e cosí tutto quel ch'ei propone in fatto
di organizzazione, di ornamento e di ordini per l'infanteria e la
cavalleria non è stato accettato. Ma bisogna notare che aveva scoperto
la debolezza dell'infanteria per gli attacchi nell'ordine sottile,
come l'utilitá della lancia per la cavalleria. Infine sentí la mancanza
di un sistema di tattica, ma nol seppe trovare. Nelle opinioni emesse
sulle grandi operazioni militari se non si mostra strategico si mostra
almeno sagace, e prevede per cosí dire la gran mutazione ch'era per
operarsi. Nel famoso passo ove dice che il segreto della guerra è
nelle gambe, prevede ed annunzia che il sistema de' movimenti andava
a riprendere il suo impero nella guerra su quello delle posizioni che
aveva prevaluto dall'epoca della morte di Turenna fino alle ultime sue
campagne.

Se citiamo il Palmieri, ciò non è per orgoglio o prevenzion nazionale,
ma perché è il primo che abbia dato colore di scienza ad un trattato
della guerra. Cominciando dagli elementi ha svolto le operazioni tutte
in ordine geometrico ed ha operato la soluzione di molti problemi:
sotto questo rapporto può dirsi aver fissato in principio la guerra
essere scienza, essendovi elementi diversi che concorrere debbono ad
un solo scopo, e però le abbisognano leggi che determinino l'azione di
quegli elementi per ottener questo scopo.

La ricerca di tali leggi doveva consistere nel determinare le proprietá
degli elementi e ciò che dovea farsi per conseguir lo scopo; il che
appunto costituisce la scienza. In effetto noi siamo talmente convinti
del merito e dell'importanza di questo metodo che malgrado i gravi
e luminosi cambiamenti che la scienza ha subíti, le basi poste dal
Palmieri, l'enumerazione degli elementi come delle loro proprietá sono
rimaste salde e noi non abbiamo esitato a farle fondamento di questo
lavoro.

Nella seconda epoca che siegue la guerra dei sette anni son da notare
in prima linea Guibert, Tempheloff e Lloyd[31]. Quanto agli scrittori
militari di secondo ordine ne direm qualche cosa parlando del Mezeroy.

Guibert oltre il merito di aver creata la letteratura militare, ornando
di bel dire e cosí rendendo popolari materie tutte speciali ed aride
per natura, ha quello di avere esposto lo stato della scienza al
suo tempo e preveduti in parte i suoi futuri progressi. Egli nella
sua prima opera, il _Saggio di tattica_, sebbene avesse fatto ben
conoscere il sistema prussiano, pure non interamente colpí nel segno,
rimproverandoglisi di avere negletti molti suoi rami, di essersi
circoscritto alla sola tattica e di avere sovente tolto in iscambio
gli strumenti e l'operatore, e cosí dato ai metodi un valor che non
hanno se non quando una mente sublime li adopera. Ma però si convenne
generalmente del merito della sua seconda opera: _Difesa del sistema
moderno di guerra_; opera in cui nel sostenere l'ordine sottile come
sviluppo e conseguenza dell'abolizione delle picche dovuta a Vauban,
ricongiunge le operazioni di Turenna con quelle di Villars e di
Federico, facendo notare i vantaggi che i piccioli eserciti davano al
primo, l'imbarazzo di cui riusciva il loro aumento al secondo, e come
il terzo ne traesse partito mercé del vantaggio dei metodi tattici che
ne facilitavano ed assicuravano i movimenti.

Il Tempheloff, attore e scrittore della guerra dei sette anni, avea la
conoscenza piú compiuta e piú positiva dell'esercito prussiano e delle
alte vedute dell'illustre suo capo, e nella sua storia ha descritto le
battaglie da tattico ed ha creato a parer nostro la storia militare.
Egli svolse egualmente i princípi della strategia e se ne serví come
massima comune misura per giudicare le militari operazioni.

Ciò che il Tempheloff aveva trattato come episodi storici l'inglese
Lloyd lo tratta scientificamente nelle sue _Memorie_. Inferiore al
Guibert in tutto ciò che si appartiene alla tattica, gli è superiore
di molto nella filosofia della guerra e nella strategia. Quanto alla
prima stabilisce che l'agente principale della guerra è l'uomo, che
questi essendo un essere sensibile, intelligente e libero, non poteva
esser trattato come una macchina, ma dovea venire studiato per esser
compreso e quindi diretto secondo i suoi bisogni, le sue tendenze e
le sue passioni. Quanto alla strategia stabilisce che vi sono teatri
di guerra determinati da grandi ostacoli, che vi è bisogno di base per
operare e di linea d'operazione per comunicare con essa, da ultimo che
la sola difensiva utile e feconda è quella fatta sui fianchi. Insiste
sull'importanza della configurazione delle frontiere rispetto alla
guerra, e chiude l'opera infatti con una descrizione delle principali.

Tutti gli oppositori di Guibert e del sistema prussiano, di cui
Mezeroy è il piú rinomato, caddero nel falso per esagerazione, volendo
l'ordine profondo con le armi moderne. V'era per altro un fondo
di vero nella debolezza dell'ordine sottile nei movimenti da essi
posti in luce; talché nell'epoca seguente non solo l'ordinanza del
1791 ma l'esperienza ristabilirono con saggio eclettismo in fatto di
tattica l'armonia fra l'ordine profondo e il sottile. In artiglieria
Scheel, Durtubic, Saint-Remy, Pappacini fecero progredire la parte
teorica della scienza, mercé di tutti gli artifici militari e di
tutto ciò che teneva alla costruzione delle macchine da guerra. In
fatto di fortificazione l'opera piú importante, considerata come un
gran tentativo fallito, fu la _Fortificazione perpendicolare_ del
Montalembert. I regolamenti d'ogni maniera abbondarono nell'epoca della
quale parliamo.

Questo era lo stato della militare letteratura. Sembra a prima vista
che a misura che la scienza progredisce, mercé del perfezionamento
dei suoi metodi debba divenire piú facile ed in conseguenza debba
sorgere un maggior numero di gran capitani che ne facciano una giusta
applicazione. Sembra pur naturale che nelle epoche ove sorge un genio
che riassume le cognizioni del tempo e le fa avanzare con la sua
potente influenza, gl'ingegni debbano svilupparsi e conseguitarne una
scuola di capitani illustri. Ma nel secolo decimottavo ciò non avvenne,
ché anzi il numero degli uomini eminenti nell'arte fu minore che nei
secoli scorsi. Ma passiamo a provare quel che abbiamo asserito.

La Francia ove il genio militare ha avuto sede in tutti i tempi, fu
sterile in grandi uomini di guerra, e i piú distinti in gradi diversi
furono due stranieri, Maurizio di Sassonia e Lovhendal. Il primo nelle
sue campagne di Fiandra, nella guerra di successione, si mostra piú
ricco in vasti concepimenti che in operazioni da tenersi come modello
per la scienza. Il Maillebois è a nostro credere il piú distinto; ma
dopo la morte di Villars e di Berwick la Francia ha dovuto aspettare
un'èra novella nella sua storia per produrre grandi guerrieri; il che
per altro ha fatto con prodigalitá.

Nella scuola militare prussiana si notano molti capitani dai quali
egregiamente eseguironsi grandi operazioni, come Scheverin, Keit
Ziethen e il Seidlitz morto sí prematuramente; ma di capitani
strategici non vi ha che il gran Federico, e con esso il principe
Ferdinando di Brunsvick (il cui figlio si distingueva in seconda linea)
ed il principe Enrico di Prussia. Notammo le operazioni strategiche
e le dotte combinazioni tattiche del gran Federico. Ci rimane ora
di fare osservare che il principe Ferdinando mostrò il suo genio
strategico nelle campagne del 1758 e 1759 e nelle seguenti, ove con
esercito collettizio e inferiore al nemico conservò la superioritá o
almeno l'eguaglianza durante l'intero corso della guerra coi francesi.
Il principe Enrico si mostrò profondo nella difensiva, e la difesa
della Sassonia che gli fu affidata sovente durante la guerra de'
sette anni può servir di modello quanto alla scelta delle posizioni
ed ai movimenti. Quelli da lui operati dopo il disastro sofferto dal
re a Kunersdorf nel 1759 a fine di riunirsi con esso, fan prova al
massimo grado del suo genio strategico. E cosí per una rara fortuna si
combinarono nella famiglia reale di Prussia due uomini che possedevano
le due gran qualitá che costituiscono un gran capitano: la prudenza e
l'ardire.

Nell'esercito austriaco la morte di Braun fece succedere il Daun, che
avrebbe meritato il soprannome di Fabio se avesse combattuto forze
superiori, ma che divenne oggetto di motteggi e sarcasmi allorché per
timiditá prolungava una guerra cui doveva e poteva por termine con
gran vantaggio della potenza da lui servita. Il Lascy da reputarsi
eccellente come organizzatore e come capo di stato maggiore, era un
mediocre generale, e le sue massime di guerra ed il suo sistema detto
di «cordone difensivo» produssero i disastri della guerra di Turchia
nel 1787 ed han pure molto contribuito ai disastri che l'esercito
imperiale soffrí nella guerra della rivoluzione. Il solo Laudon aveva
il genio della guerra moderna, ardito ed impetuoso, operando piuttosto
coi movimenti che valendosi delle posizioni. Tutto il brillante della
guerra dei sette anni e delle guerre di Turchia gli appartiene;
ma d'altra parte fu troppo ristretto nel modo di concepire, ed
obbligato ad operar nella guerra secondo le tradizioni e le abitudini
dell'esercito che reggeva, non formò scuola, se ne togli il principe
illustre del quale in séguito parleremo, che per le stesse ragioni non
ebbesi alcun successore.

Quanto alla Russia il Munick mostrò nelle sue campagne di Turchia la
superioritá dell'Europa sull'Asia. Le qualitá del soldato russo furono
un grande elemento di successo, ma le escogitazioni tattiche del Munick
per quel genere di guerra sono state modificate ma non escluse, come
vedremo parlando della campagna di Egitto nel nostro seguente discorso.
Dopo di lui nella guerra de' sette anni la gloria dell'esercito russo
fu dovuta piuttosto all'intrepiditá delle truppe che al merito de' suoi
capi, e il gran Federico caratterizzò i russi con un motto profondo,
dicendo ch'era «piú difficile il vincerli che l'ammazzarli». Piú tardi
il Romanzof si mostrò capitano ardito — il suo passaggio del Danubio ne
fa fede — e le sue campagne sono superiori a quelle troppo vantate del
Potemkin, nel cui ingegno era alcunché di brutale e di sregolato, ma
che allora venía secondato dal Souwarow del quale piú in lá parleremo.

La Turchia nella sua decadenza che proveniva dalla sua inferioritá in
fatto di civiltá rispetto all'Europa, riportò dei successi contro gli
austriaci; ma questi furon dovuti al valore per cosí dire individuale
delle numerose sue truppe, al clima caldissimo che indeboliva
l'esercito nemico e soprattutto agli errori dei generali dell'Austria e
alla falsa direzione che dava alle cose il consiglio aulico di Vienna.
Nella guerra finita nel 1739 del pari che nell'ultima la quale ebbe
fine nel 1790, le cause furono le medesime, meno il genio del Laudon
che mancò nella prima.

La riputazione militare degli svedesi si sostenne in Finlandia,
quantunque niun capo di gran nome sorto fosse a rappresentarla, ma si
perdette nella guerra de' sette anni.

In Polonia non vi era progresso nella scienza perché non ve n'era nello
stato sociale.

Nel mezzogiorno d'Europa la scienza era stazionaria e priva d'illustri
rappresentanti, meno di Gages che nelle campagne d'Italia del 1744
mostrò molta intelligenza e venne apprezzato dal gran Federico
nelle sue operazioni dell'Italia meridionale. L'Italia sempre sí
ricca di gran capitani, che prestava agli stranieri non potendo
servirsene per se medesima, non ebbe in questo secolo che il principe
Eugenio di Savoia, il quale pur finí di fiorire nei primi anni del
secolo. L'esercito piemontese combattette assai bene nella guerra di
successione e conservò le tradizioni del valore italiano, ma nessun
capitano oltre quel famoso che abbiam nominato poté fornire alla
storia. Buone istituzioni poi fecer sí che dopo quarantotto anni di
pace ricomparisse con onore alla guerra.

Nella penisola iberica nei soli soldati gli elementi eran buoni, il
resto era stazionario o retrogrado, talché si cercavano dei capitani
fra gli stranieri e massime nel nord dell'Europa, e sovente erano
stranieri persino i semplici istruttori; fatto che rivelava lo stato
di decadenza militare in che si trovavano quelle contrade sí bellicose
altra volta.

La guerra fra le colonie americane e la madre patria non poteva per
le sue circostanze particolari essere giudicata coi soli principi
dell'arte. Gl'inglesi sostennero la riputazione che aveano acquistata
a Fontenoy e nella guerra de' sette anni. Gages, Cornwallis e Clinton
erano uomini di secondo ordine, almeno tali si mostrarono in America.
Washington senza essere un genio aveva compreso lo spirito di quella
guerra. Il sistema di difensiva da lui adottato nel Delaware dimostrò
in lui al sommo grado quella qualitá sí feconda in risultamenti,
la fermezza cioè nelle idee concepite malgrado gli ostacoli d'ogni
maniera che se gli opponevano. Superiore ad una vana popolaritá,
conscio della puritá delle proprie intenzioni, ad onta dei sarcasmi
degl'invídi e del gridar dei malevoli creava l'esercito e difendeva il
paese. Ivi la natura delle cose contrapponendo truppe nuove a truppe
istruite e agguerrite, fece sorgere la guerra di bersaglieri che
vedremo svilupparsi vie meglio nelle prime campagne della rivoluzione.
L'insieme delle operazioni del generale americano può sostenere
l'analisi senza temer la censura dei periti nell'arte, ed egli è ben
meritevole dell'eloquente e semplice elogio che gli si fece allorché
fu chiamato «il primo nella guerra, il primo nella pace, il primo nelle
nostre affezioni».

Da quanto dicemmo rilevasi che la guerra divenuta era una scienza
generale in Europa, che aveva gli stessi metodi, che si operava per
imitazione e non per esclusione. E ciò derivava dallo stato scientifico
e dallo stato sociale che rivestivano lo stesso carattere di unitá;
il che dimostrammo giá in parte ed anche vie meglio dimostreremo qui
appresso.

Lo stato delle scienze nel secolo decimottavo è ben noto, ma ciò non
pertanto noi non tralasceremo di darne un breve sunto e di determinarne
il carattere. Le scienze esatte sí necessarie all'avanzamento de'
metodi di guerra furono in progresso. Sono da notarsi particolarmente
le scoperte fatte nel calcolo infinitesimale dai Manfredi, Bernoulli,
Nicolas, Parant e l'Ermanno di Basilea. La teoria delle tangenti ai
punti moltiplici delle curve fu rischiarata dal Seurin, e soprattutto
l'Eulero spiegò tutte le forze dell'alto suo ingegno nelle integrazioni
delle equazioni separate. D'Alembert, Clairault, Fontana, Borda e
Condorcet si reser famosi per le medesime investigazioni, e produssero
nel calcolo una serie di veritá luminose e suscettive di utili
applicazioni agli umani bisogni sí nella pace che nella guerra. La
meccanica progredí profittando di tutti i passi che l'analisi avea
fatti, e l'Eulero pose in luce la teoria de' movimenti rettilinei
e curvilinei de' corpi isolati sottomessi all'azione di una forza
acceleratrice sia nel vuoto o in un mezzo di resistenza. Intanto il
Bernoulli gli riduceva alle leggi naturali della statica resa perfetta.
Il D'Alembert riassumeva e generalizzava questi problemi tutti nel suo
eccellente trattato di dinamica.

Tanti e sí fatti progressi nelle scienze esatte avevano le lor
conseguenze. L'astronomia per esempio fece gran passi e divenne feconda
in scientifiche veritá, deducendole da tutte quelle scoperte nelle
scienze che le servono di base, ed entrò in una luminosa ed insieme
util carriera; e cosí il Boucher potette misurare il meridiano, e La
Condamine, Camus e Maupertuis potettero ripetere in Lapponia la stessa
operazione. Niuno ignora i lavori dei due Cassini, padre e figlio,
sui movimenti di vibrazione della luna. Il Boschovich facea servire le
conoscenze astronomiche ai progressi della geografia ed alla formazione
delle carte. Queste cognizioni sulla sublime scienza de' movimenti
degli astri preludevano alla grande opera che dovea farle compiute nel
nostro secolo, alla meccanica celeste dell'illustre Laplace, che ha
meritato da un grande oratore lo splendido elogio di aver tolto gli
«scandali» dal cielo, sottomettendone i fenomeni tutti ad una legge e
rendendoli suscettivi di essere calcolati.

Le scienze naturali per quella legge comune a tutti i rami dello
scibile umano dovevano avere uno sviluppo rapido assai, mentre la
sola applicazione dell'analisi ai fenomeni della natura doveva far
progredire in mezzo secolo le scienze naturali piú che non avean
progredito in tutti i secoli anteriori. La chimica fu creata, e quando
vi era una scienza che decomponeva i corpi nei loro piú semplici
elementi, ne risultava che le loro proprietá erano ben conosciute, e
la conoscenza de' semplici tendeva a far ottenere quella de' composti.
Buon numero di cultori distinti delle scienze naturali in questa epoca
comprova la nostra asserzione. In effetto Geoffroy, Vallisnieri,
Trambley, Réaumour precedevano ed annunziavano in un certo modo il
gran Buffon, che elevò un gran monumento alle scienze naturali e
legolle alla letteratura mercé del suo eloquente modo di esporre
quei misteriosi fenomeni. Il Dolomieu, lo Spallanzani e il Daubanton
fecero lavori di una estrema utilitá quanto ai progressi delle
scienze naturali, sí nei vari lor rami che nelle loro classificazioni.
L'immortale Linneo, preceduto dal Rey, dal Tournefort, dal Micheli,
risolvette il grave problema di stabilire un sistema generale
di classificazione per le piante secondo i lor sessi. La chimica
annoverava tra i suoi piú distinti cultori Beyer, Bergeman, Fontana,
Priestley, Volta, le cui scoperte doveva riassumere ed ordinare il
genio del Lavoisier. La medicina si giovava di tutte le scoperte
chimiche e botaniche, mentre le proprietá de' vegetabili e il modo
di usarne ne costituiscono i fondamenti. I Van Swieten, gli Scarpa, i
Cotugno e molti altri egregi furono l'espressione dei progressi delle
scienze naturali applicate alla medicina.

Egli è chiaro che una volta adottato il metodo sperimentale con tanto
successo per le matematiche miste e per le scienze naturali, le arti
dovevano essere ad un livello corrispondente o presto arrivarvi.
Le osservazioni astronomiche, le esperienze fisiche, anatomiche e
meccaniche erano fondate sulla bontá degl'istrumenti, e nel tempo
stesso che le scienze determinavano il modo di costruirli, il loro
perfezionamento favoriva il progresso delle scienze: quindi nasceva
un legame tra le arti e le scienze, talché le prime non erano se non
l'applicazione delle seconde astrattamente considerate. Per tal forma
la condizione degli artisti nobilitavasi, nulla perdendo del suo
splendore quella degli scienziati; e questi nuovi rapporti vie meglio
menavano alla fusione delle classi separate nel medio evo. Può dirsi
liberamente le macchine areostatiche essere stata la dimostrazione piú
lucida di tai relazioni fra le arti, le scienze ed i loro cultori.

Le comunicazioni rese piú frequenti fra le nazioni europee, al che
contribuivano egualmente la pace, la guerra, il commercio, le scienze;
i bisogni sempre crescenti di societá incivilite, le quali mutando
costumi, sentimenti ed idee, andavano sempre piú allontanandosi
dalle forme del medio evo; tutto questo dovea grandemente contribuire
allo sviluppo delle scienze morali, sendo che in societá sí avanzate
nella civiltá stringeva il bisogno di migliorare la legislazione, di
fissare le regole che debbono presedere alla formazione e al consumo
delle ricchezze, di stabilire su certi princípi il dritto pubblico
ed il regime coloniale reso di tanta importanza in quel secolo. La
filosofia, ossia la cognizion delle leggi che presiedono all'azione
dell'intelligenza e della volontá, era troppo legata alle discipline
sopra indicate per non essere coltivata con ardore, ed in effetto fu
considerata sotto tutti gli aspetti da uomini eminenti presso tutte
le colte nazioni, talché conservò il suo carattere, combinato con
quello del paese e del secolo al quale apparteneva. All'ammirazione
per la legislazione romana che i grandi giureconsulti del secolo
scorso professavano, succedette una critica severa, trovandosi quel
sistema poco conforme allo stato sociale d'Europa e sovente incapace
di sostenere la sua antica superioritá ogniqualvolta venía misurato non
sulla stretta scala del giureconsulto ma su quella piú vasta e piú alta
del filosofo. In effetto il Vico colla sua opera intitolata: _Fonti
del dritto_ trattava filosoficamente questa quistione e si preparava
ad esporre le leggi che sieguono le nazioni nel loro corso fondato
sulla natura dell'uomo ed i suoi destini. Cosí la storia dei popoli era
sottoposta ad una misura comune che dovea darle unitá metafisica e dare
dovea alle scienze morali un alto punto di vista. Difatti malgrado ciò
che vi può essere d'incompiuto ovvero di esagerato nei voli di un'alta
fantasia, il Vico poco compreso dai suoi contemporanei benché il
celebrassero grandemente, era destinato a brillare in un secolo ricco
per opera di lui di storiche esperienze e in possesso di tutte quelle
idee intermedie la cui mancanza rese il nostro illustre compatriota
sí oscuro a' suoi tempi. Montesquieu accettando con diversa relazione
la definizione delle leggi di Cicerone, determina nella sua immortale
opera per quali cause le leggi che paiono meno in armonia col loro
ideale modello abbian potuto reggere senza discapito molte nazioni.
E cosí riguardando assai piú alla bontá relativa che all'assoluta,
diede il perché delle leggi e stabilí le quistioni legislative sopra
tutt'altro terreno che quello dei legisti. Ma la misura di un uomo
di genio temperato dalla pratica delle cose doveva mancare ad un
altro uomo ugualmente superiore, ma che guardava la societá piuttosto
nelle sue imperfezioni che nei suoi risultamenti; ond'è che questi
nelle sue politiche escogitazioni fece l'inverso del Montesquieu,
tenendo in niun conto la bontá relativa e fondandosi sull'assoluta. Il
Filangieri ammettendo la bontá relativa edificava la _Scienza della
legislazione_, seguitando un metodo severo mercé del quale le veritá
secondarie si deducevano dalle primarie. Il Pagano ne' suoi _Saggi_
illustrava il Vico. Il Briganti e lo Stellini seguitavano la medesima
traccia, e con essi il famoso Herder, il quale se è men saldo del Vico
nei suoi principi e se è incerto nelle sue conseguenze, compensa però
la sua inferioritá con molta potenza di stile e con molta ricchezza
di conoscenze in fatto di storia naturale e di storia orientale.
L'economia politica, scienza la quale vie meglio provava la decadenza
dei costumi e del viver civile nel medio evo e l'importanza delle
classi industriali, avuto avea sede in Italia. Gli economisti francesi
fecero acquistare popolaritá alla scienza e resero la discussione
utile ed importante. Lo Smith pose in luce le idee appena in germe del
Serra e si lasciò addietro l'illustre Genovesi, quantunque questi si
fosse il piú alto rappresentante della scuola mercantile, poiché il
difetto era in questa e non in lui. Il Galiani col suo _Trattato sulle
monete_ e i suoi _Dialoghi sul commercio dei grani_ mostrava che nella
sua patria si era sempre a livello di una scienza che in essa avea
avuta la culla. Stabilito il lavoro come il principio della produzione
e la sua divisione come il progresso di essa, nasceva da questi due
princípi un intero sistema sociale che trasformava ogni cosa e faceva
considerare come ostacoli inerti tutte le istituzioni del medio evo.
Le scoperte di Bacone e i metodi di Cartesio avevano prodotto Loke,
che interpretato come sensualista in Francia, produsse Condillac e la
sua scuola; interpretato come idealista in Inghilterra, produsse lo
scetticismo di Berkeley e di Hume. Il primo negava il mondo materiale,
il secondo il legame delle cause e degli effetti e la immutabilitá
delle distinzioni morali, cioè tutto ciò che costituisce la nostra
natura e la sua dignitá. Sorse la scuola scozzese, e gli uomini che
la formavano, cosí stimabili come sapienti, ricorsero al senso comune
per confutare errori sí pericolosi. Il Kant volea fare il medesimo, ma
fedele al genio della sua nazione cercava nelle regioni elevate della
psicologia trascendentale, che fondava però sulla ragion prattica, il
modo di combattere lo scetticismo, che gli scozzesi come abbiam detto
cercavano nel senso comune. Tra questi modesti filosofi che limitavano
gli sforzi dell'intelligenza a causa dell'imperfezione della nostra
natura vediamo lo Smith, il quale come il Genovesi smentiva l'idea che
l'economia politica materializzasse per cosí dire l'umanitá, mentre i
filosofi si occupano dell'uomo come essere morale e ne determinano i
doveri e i destini.

Il carattere generale dell'epoca scientificamente considerato può dirsi
essere stato lo spirito filosofico che il Portalis definisce come «il
colpo d'occhio di una esercitata ragione, che è per l'intendimento ciò
che la coscienza è pel cuore, che nelle sue investigazioni valuta ogni
cosa secondo i suoi propri princípi indipendentemente dall'opinione
e dalle costumanze, e che non si arresta agli effetti ma rimonta
alle cause». E lo stesso autore soggiunge che lo spirito filosofico è
superiore alla filosofia, come lo spirito geometrico è alla geometria,
come la conoscenza dello spirito delle leggi è alla conoscenza delle
leggi. L'enciclopedia fu la grande intrapresa che può servir di misura
quanto allo stato dello scibile e della societá. Lo spirito filosofico
vi dominava non temperato né dalla moderazione né dall'esperienza
che lo stato sociale non offeriva. Checché possa dirsi quanto
all'esecuzione sotto l'aspetto morale e scientifico, l'enciclopedia
metteva in azione la classificazione di Bacone e mostrava la sorgente
comune delle umane conoscenze che tutte avevano la loro filosofia, vale
a dire la loro ragion prima; e il loro punto di contatto era in essa da
riguardarsi siccome scopo della umana curiositá, siccome l'ostacolo che
la sua intelligenza tentava invano distruggere.

Lo stato sociale rifletteva lo stato intellettuale. Il suo principale
carattere era la fusione degli elementi sociali sí severamente
classificati nelle epoche anteriori ed un bisogno di applicare
all'utile tutte le scoperte dell'umana intelligenza. Da queste due
principali disposizioni dovea derivare l'amore dell'umanitá, cioè il
principio di caritá cristiana, da sentimento trasformato in idea sotto
il nome di «filantropia». In effetto tutti i miglioramenti recati alla
sorte degli esseri piú infelici, come i prigionieri e i malati, con
rendere le prigioni men dure, gli spedali piú utili, la vita dei poveri
e degli esposti men trista, servono a provare la veritá di quanto
asseriamo. Cosí pure le pene un poco mitigate, l'orrore che ispiravano
i supplizi atroci, la procedura segreta, la tortura e l'inquisizione,
gli omaggi prodigati all'intelligenza e la tolleranza religiosa son
pruove a favore del nostro asserto. Quanto alla tolleranza religiosa
giova per altro avvertire che il commercio la rendeva indispensabile,
e col commercio la riunione di sudditi di diverse credenze sotto lo
stesso sovrano. Il principio d'utilitá tendeva a dominare ove i bisogni
degl'individui e degli Stati erano cresciuti, l'antico ordine sociale
basato sul medio evo andava crollando e la societá si rinnovellava
ne' suoi elementi. Il potere dominato dalle medesime circostanze
entrava nelle medesime idee e tendeva a costituirsi in monarchia
amministrativa, riconcentrando in sua mano quel che nel medio evo erasi
diramato; e con ciò si credeva di potere giovare alla societá intera,
di migliorarne le leggi e i costumi, di farla finalmente progredire
in ricchezza. Giuseppe, Caterina, Leopoldo, Federico, Carlo terzo e
suo figlio Ferdinando, e i Pombal, Aranda, Gassez, Choiseul, Tanucci,
Acton, Manfredini sono per cosí dire i rappresentanti di questa
tendenza degli Stati e di chi li reggeva, come pure tutti i codici
e tutte le misure tentate o eseguite da loro. Da ciò risultò che non
solo la scienza, prima racchiusa nei chiostri, divenisse patrimonio
dei laici, ma che i sapienti divenissero spesso se non governanti
almeno consultori de' governanti e si fondessero nella societá dalla
quale erano stati in certa guisa presso che separati. Esisteva
una opposizione, una discordanza tra le leggi rimaste in vigore,
i costumi e le opinioni. L'economia politica sollevavasi a scienza
e trovavasi in urto con tutta la legislazion commerciale, civile e
criminale. I costumi erano piú dolci ma insieme piú molli: eravi molta
rassomiglianza col secolo decimoquinto.

I risultamenti politici dell'epoca possono ridursi:

1. Alla compiuta distruzione dell'impero germanico dopo la felice
resistenza della Prussia e la pace che le conservò la Slesia.

2. Alla distruzione del principio emesso nel trattato di Westfalia,
che l'equilibrio consistea nel proteggere i deboli contro i forti e
nell'evitare l'ingrandimento degli ultimi. La divisione della Polonia
fece violare il principio, e fu discussa la divisione dell'impero
ottomano. Si volevano evitare le guerre tra i forti che molto costavano
e poco fruttavano.

3. All'influenza della Russia e della Prussia sull'equilibrio europeo,
la quale aggiunta all'azione negativa che vi esercitavano per cause
diverse la Spagna e l'Italia, e allo stato di crisi in cui era la
Francia politicamente e militarmente considerata, faceva sí che il
settentrione dominasse il mezzogiorno e che i potentati che per lo
innanti camminavano in prima linea or secondassero.

4. Alla dominazione che esercitava l'Inghilterra come potenza marittima
e coloniale su tutto il globo.

5. Alla creazione del novello Stato americano che annunziava la vicina
caduta del sistema coloniale.

Ci pare aver risoluto il problema che ci eravamo proposto ed avere
compiutamente risposto ad ogni quistione. Questa vasta trasformazione,
che non toglie alla societá il suo carattere ma invece la rafferma in
esso, sorge dal modo di costituirla, dalle guerre, dal modo di farle e
prepara nuovi avvenimenti. Passioni ed errori han reso talvolta assai
dolorose anzi detestabili le guerre; ma esse nascevano dal principio
indicato di sopra che la conservazione delle societá dipende dal loro
progresso, e la ignoranza di una tal veritá precipita gli avvenimenti
a spese dell'umanitá.



DISCORSO VIII

    Intorno allo stato della scienza militare ed alle sue relazioni
    colle altre scienze e collo stato sociale dal 1789 al congresso
    di Vienna nel 1815.


I movimenti delle umane societá per compire i misteriosi fini della
provvidenza divina s'operano continuamente, ma non si manifestano
cosí chiaramente a tutti se non che in certe epoche, in cui tutte le
trasformazioni lentamente e quasi insensibilmente operate nel corso
dei secoli si riassumono in un grave avvenimento, che non crea ma
rivela bensí e mette in luce quella serie di modificazioni che il
corpo sociale subiva, e le presenta nel loro insieme cosí coordinate
nei metodi come determinate nello scopo. La societá moderna formata
sulle rovine dell'impero romano aveva per basi lo stabilimento del
cristianesimo e l'invasione de' barbari: quello cambiava le credenze,
questa modificava la popolazione introducendovi un elemento estraneo
al suolo. Il vigore morale stava nel cristianesimo; il fisico, per
cosí dire, nelle razze germaniche che n'erano sí riccamente dotate
dalla natura, nelle quali veniva conservato dalle loro sociali
condizioni. Noi abbiamo cercato d'indicare nei nostri precedenti
discorsi, cominciando dal terzo, per quante fasi e per quante forme
questi elementi delle moderne societá sieno passati per giungere
all'ultima indicata nel nostro settimo discorso; e notammo che
altre trasformazioni dovevano conseguitare alle prime, e che esse
tutte nel loro insieme non alteravano né gli elementi né l'impronta
caratteristica della moderna societá né lo scopo finale che da questa
si dee raggiungere. Rifiutare una veritá sí chiara, contenuta in
tutte le pagine della storia e nell'analisi delle nostre facoltá
intellettuali e morali che spiegano ciò che le vicende storiche
fanno conoscere, pare quasi contrario all'esercizio della piú comune
intelligenza applicata a un tal genere di speculazione. Ma l'esperienza
c'insegna che generalmente non si giudicano gli avvenimenti che
scuotono l'umanitá, che urtano le abitudini ed attaccano al tempo
stesso il benessere e la moralitá delle nazioni; non si giudicano,
dicevamo, secondo le idee esposte qui sopra. La spiegazione di questo
fenomeno sta a nostro credere in un sentimento che onora la nostra
natura, cioè quello di credere che il male morale sia un'eccezione e
non si trovi nell'ordine costante, per cui in generale queste crisi
terribili sono considerate come periodi eccezionali, nei quali le leggi
che regolano l'intelligenza e la volontá umana sono sospese dal loro
corso ordinario e soppiantate da movimenti che non sono suscettivi di
spiegazione secondo il naturale ordine delle cose. Sebbene purissimo
nella sua sorgente, questo modo di giudicare non può essere ammesso
come veritá senza contrastare alle regole che nascono dalla filosofia
della storia e nuocere allo scopo morale stesso che ha determinato
questo genere di soluzione, mentre l'ignoranza delle cause rende
fatali gli effetti di ciò che piú si teme. Conseguentemente a quanto
esponemmo, noi teniamo per fermo che tutti gli avvenimenti che han
compromesso tante esistenze e fatto cosí gran male erano l'effetto
di quella elevazione e di quelle modificazioni che abbiamo indicate
nei nostri vari discorsi, fermando l'attenzione del lettore su tutte
le vicende che lo scibile e lo stato sociale subivano in ogni secolo,
e mostrando come la scienza della guerra seguiva ed esprimeva queste
fasi sociali. Questo punto di vista da noi adottato fa rientrare nel
corso delle cose umane questi grandi cataclismi del mondo morale, come
la cognizione perfezionata dalle leggi fisiche vi ha fatto rientrare
quelli che si operano nel mondo materiale, senza distruggere in alcun
punto la responsabilitá morale degl'individui che vi partecipano.
La dottrina de' doveri è chiara e semplice: essa è deposta nelle
prescrizioni religiose, nelle opere de' moralisti e soprattutto nella
coscienza di ognuno e di tutti. Certo non in tutti i tempi l'esecuzione
de' propri doveri domanda la stessa energia e condanna agli stessi
sacrifizi; ma se la dottrina dei doveri dovesse tacere in faccia
agli ostacoli ed ai pericoli, il punire che fa il codice militare la
mancanza di coraggio in un uomo fisicamente indebolito dalle privazioni
e dalle fatiche e moralmente dal desiderio della propria conservazione
e dalle piú legittime affezioni, sarebbe un'assurda atrocitá. E pure
non è cosí. Della serie de' doveri l'ultima espressione è il martirio.
Soggiungiamo per ispiegare piuttosto che per giustificare i mali
ed i loro autori, che ordinariamente alle grandi crisi precedono
delle epoche di calma, calma che ammollisce i caratteri e toglie
all'intelletto i materiali dell'esperienza; per il che accade che
gravi errori nascono per ignoranza e debolezza ed in tutte le classi
della societá, còlte all'improvviso, per cosí dire da avvenimenti
che le schiacciano, sorpassando le loro forze morali e intellettuali:
errori che di rado sono sterili e spesso producono movimenti grandi e
rapidi. E gli errori diventano orrori in pratica, quando debbono essere
subito applicati; veritá che non ha bisogno di dimostrazione pei nostri
contemporanei.

La serie d'idee che esponemmo è quella appunto che costituisce il
carattere del periodo, breve di tempo ma ricco di avvenimenti, che
siamo per trattare in questo discorso, il quale comprenderá l'epoca
racchiusa tra il 1789 e il 1815, cioè dalla riunione degli Stati
generali fino alla pubblicazione dell'atto del congresso di Vienna.
L'abbondanza della materia ci costringe a dividere questa epoca in
due periodi, dei quali il primo andrá fino al trattato d'Amiens nel
1800 che pose fine alla prima guerra, e il secondo fino al congresso
di Vienna che pose fine alla seconda. Sentiamo tutte le difficoltá cui
andiamo incontro nel trattare questo periodo in ristretto, ma seguiremo
lo stesso metodo adottato nei precedenti discorsi e ci faremo ad
esporre lo stato dell'Europa nel 1789.

La penisola ispanica avea nel suo stato sociale e nella sua interna
politica un carattere uniforme: non cosí nella sua politica esterna.
Il Portogallo e la Spagna conservavano piú di qualunque altro Stato le
vestigia del medio evo cosí nelle istituzioni come nelle abitudini e
nelle opinioni. Gli sforzi di Pombal e di Carlo terzo per condurre la
civiltá di quella penisola al grado degli altri Stati piú inciviliti di
Europa furono seguiti da una reazione in senso opposto, alla caduta di
Pombal pel Portogallo ed alla morte del re per la Spagna; avvenimenti
che fecer cadere in mani poco abili la somma delle cose e perciò
impedirono le migliorie cominciate. Quanto all'esterna politica, la
Spagna fedele al «patto di famiglia» seguitava in tutto la politica
francese; il Portogallo in virtú del trattato di Mathuen era divenuto
una colonia inglese e continuò ad esser tale dopo la caduta di Pombal.
Una tale divergenza nella tendenza politica dei due potentati della
penisola avea solo questo di comune: di non seguirne una propria; e
ciò proveniva dall'inferioritá amministrativa che paralizzava le nobili
qualitá e gli storici ricordi di amendue le nazioni.

In Francia lo stato delle opinioni, quello de' costumi, il disordine
delle finanze, il decadimento della sua politica influenza, tutto
dimandava, per evitare una crisi e per ristabilire l'equilibrio tra
gli elementi, un braccio vigoroso e una mente illuminata ad un tempo,
per temperare i rimedi difficili ad amministrarsi quando s'impiegano al
momento in cui diventarono indispensabili.

L'Inghilterra retta da grandi uomini cresciuti all'ombra delle sue
istituzioni si consolava della perdita delle colonie, e sostituendo
il calcolo commerciale all'orgoglio politico, s'accorse di non aver
fatta gran perdita pel trattato del 1783. Potente influenza esercitava
poi sull'Europa mercé de' suoi gran capitali, del suo credito, della
sua marina e della sua civiltá; e questa influenza, fortificata
dall'alleanza prussiana, si estendeva cosí all'occidente che al
settentrione e all'oriente.

Quanto all'Olanda, molte erano le cause della sua decadenza. Venuta in
lotta col suo capo politico, questi ricorreva alle armi straniere, e
in venti giorni ventimila prussiani occupavano l'Olanda: avvenimento
stranissimo per uno Stato che avea resistito per sessant'anni contro la
potenza spagnuola.

La Prussia benché avesse perduto nel gran Federico uno di quegli
uomini ai quali, come sagacemente dice il Segur, si succede ma non
si supplisce, godeva di quella considerazione che la gran guerra
dei sette anni le avea meritata, per avere con tanta disproporzione
combattuto ed aver non solo conservato la sua esistenza politica, ma
benanche ingrandito la sua potenza materiale e morale mercé delle fatte
conquiste e della gloria acquistata. In effetto sovrastava alla Francia
nel mezzogiorno e occupava l'Olanda a malgrado delle lagnanze di quel
potentato; nel settentrione controbilanciava la Russia e l'Austria
nelle quistioni polacca e germanica; e nell'oriente faceva abbandonare
Belgrado alla casa d'Austria, solo risultamento di una guerra infelice.

La casa d'Austria si trovava legata alla Russia in virtú del sistema
che i politici dell'epoca chiamavano «orientale» e che tendeva allo
scompartimento delle possessioni ottomane in Europa, e lo era alla
Francia in occidente contro la Prussia e l'Inghilterra. Innovazioni
rapidamente operate non corrisposero nei loro risultamenti alle
buone intenzioni dell'imperatore Giuseppe, che uno ingegno cospicuo
caratterizzò come «facente male il bene». In effetto gravi turbolenze
nascevano in Ungheria; rivolta compiuta nel Belgio; e le sue operazioni
amministrative non furono facilmente applicate e non trovarono
riconoscenza se non che negli Stati italiani. Giuseppe secondo morí
scontento e sorpreso di tali risultamenti, come tutti quelli che non
sanno determinare i limiti che separano il bello dal possibile. Il suo
successore, il savio Leopoldo, riparò con prudenza e con pacatezza ai
mali che la precipitazione dell'antecessore avea cagionati, trattò coi
turchi, fece rientrare il Belgio sotto il dominio della casa d'Austria,
acquetò gli spiriti in Ungheria e vide con calma la politica che dovea
tenersi con la Francia agitata dalle civili discordie.

Se l'impero germanico avea perduta l'unitá dell'epoca della riforma,
l'elevazione della monarchia prussiana consumò la sua scissione, per
modo che restò ricco di forme e povero di vita e facea presagire a
chiunque era dotato di qualche acume, che non avrebbe resistito ad una
forte commozione che tutto annunziava siccome prossima.

La Polonia col perfezionare le sue istituzioni faceva di riparare in
parte alla perdita di una gran porzione delle sue provincie; ma vi sono
delle epoche nelle vicende delle nazioni come in quelle degl'individui,
nelle quali nulla riesce ed in cui i rimedi stessi si trasformano in
mali.

La Russia sotto il dominio di una sovrana illustre ingrandiva il suo
territorio in oriente del pari che in occidente colle spoglie de'
turchi e de' polacchi. Tutto a quella autocratrice riusciva a bene,
perché quantunque straniera erasi compiutamente nazionalizzata ed era
la piú energica ed illuminata espressione delle tendenze del popolo che
reggeva. La sua politica interna ebbe piú splendore che merito reale;
ma le sue utili conquiste, aprendo uno sbocco all'industria agricola
delle provincie meridionali dell'impero, ne promoveano l'incivilimento
per mezzo della crescente prosperitá. Da questo insieme era facile
dedurre l'importanza militare e politica che ben presto avrebbe questo
impero esercitato in Europa.

L'impero ottomano si ammolliva senza incivilirsi, non sapea né
combattere né produrre, ignorando ad un tempo le arti della guerra
e quelle della pace; esso esisteva per l'altrui gelosia non per
propria virtú, e la perdita della Crimea e de' tartari gli toglieva
ogni possibilitá di lottar colla Russia. Chiaro appariva che la sua
storia futura avrebbe offerto guerre infelici, paci ruinose ed interne
discordie, le quali avvilirlo dovevano come popolo prima di farlo
cessare di esistere come Stato.

La Scandinavia offeriva all'osservatore nella Danimarca
un'amministrazione paterna e modesta senza essere priva di lumi;
nella Svezia, un sovrano distinto che tolse a operare una rivoluzione
politica, condotta pressoché in guisa di una cospirazione, e la quale
sebbene tendesse a restringere i poteri dei corpi deliberanti fu
popolare, siccome quella che ristabiliva l'equilibrio necessario per
fare il ben dello Stato: il sovrano perí vittima dei risentimenti
di una classe e del delitto di un individuo, ma restò venerato e fu
pianto.

L'Italia godea della pace da piú di quarant'anni, pace di cui la
prosperitá fu conseguenza. I suoi governi in generale tendevano al
progresso, fuorché le repubbliche. Gli avanzi del medio evo erano
combattuti da' governi monarchici della penisola, siccome quelli
che ponevano ostacolo ai miglioramenti amministrativi e all'unitá
del potere sovrano. La vita attiva d'altronde era quasiché spenta
negli individui: nessuno sforzo si esigeva da essi né dalle masse per
cooperare ad un ordine di cose che procedeva naturalmente e che in
virtú di felici circostanze favoriva il benessere ed il riposo. Ben
trista era una siffatta disposizione per affrontare quella serie di
solenni e gravi avvenimenti che doveano sconvolgere la penisola dalle
Alpi al Faro.

La riconosciuta indipendenza degli Stati uniti d'America era il
preludio della decadenza del sistema coloniale, e appariva chiaramente
che il monopolio delle metropoli sulle loro colonie, considerato
come la sorgente della ricchezza dello Stato, doveva accelerare la
separazione degli Stati americani, i quali avrebbero oramai influito
lentamente sul sistema generale come Stati e non piú come possessioni
europee, secondo che era accaduto fino all'epoca di cui teniamo
discorso.

Il carattere generale dell'epoca è lo stesso di quello che dicemmo aver
contraddistinto l'epoca esaminata nel precedente discorso, essendosi
le grandi trasformazioni operate nel corso del periodo. Cercherem
poi da ultimo di riassumere le condizioni della societá dopo i grandi
avvenimenti cui fu soggetta, ed i cangiamenti che si operarono in essa
sotto tutti gli aspetti.

Ora secondo il metodo per noi adottato in questo lavoro proporremo
alcune quistioni e faremo di scioglierle.

1. Quali fossero gli uomini, le armi e gli ordini nei periodi dal 1789
al 1800 e dal 1800 al 1815.

2. Quale lo stato della tattica, della strategia, della fortificazione,
della guerra di assedio, dell'amministrazione militare e di tutte le
istituzioni correlative nei due periodi sopra indicati.

3. Quali mutamenti o modificazioni subisse la scienza militare verso
la fine del periodo del quale trattiamo, e come se ne rilevi lo
stato dagli scrittori militari, dalle pratiche dei gran capitani e
dalle istituzioni che ne son risultate. Da ultimo in che modo possano
considerarsi queste modificazioni delle belliche scienze, come accadano
e come esprimano le vicende sociali e intellettuali dell'epoca.

4. Qual fosse lo stato delle scienze esatte, naturali e morali
nell'indicato periodo.

5. Quale il carattere dello stato sociale verso la fine del periodo e
ciò che ha lasciato traccia dello stato intermedio per cui è passato.

6. Quali i risultamenti politici di questa lunga lotta dopo il
congresso di Vienna ed in che le transazioni intermedie sieno state
conservate o sieno interamente scomparse.

La composizione della forza pubblica nel suo primo elemento, cioè
gli uomini, non subí nessuna modificazione nei vari Stati europei
fino all'epoca della guerra della rivoluzione, la quale fece entrar
nell'esercito di Francia i battaglioni delle sue numerose guardie
nazionali — create per mantenere l'ordine interno — onde supplire alle
perdite ed opporre forze bastanti al numero de' nemici. A questo si
aggiunse una requisizion generale, che non richiedeva altra condizione
che quella dell'etá per farne parte o per esserne escluso. Sí fatto
mezzo straordinario e violento non potea divenire metodo permanente se
non che regolarizzato siccome legge e perdendo colla sua forma anche
il nome. Cosí nel 1799 fu decretata la coscrizione, che dichiarava
il servizio militare come dovere di tutti, successivo e temporaneo,
e che armonizzava con l'unitá della legislazione civile, criminale
e finanziera ch'era stata sostituita alla divisione in classi, in
ordini ed in privilegi particolari; e cosí la tendenza alla fusione
delle classi tutte della societá nel senso delle loro obbligazioni,
la quale formava il carattere del secolo decimottavo, trovava la
piú significante espressione nella scelta degli uomini destinati a
comporre gli eserciti. La composizione del corpo degli uffiziali subí
il cangiamento corrispondente all'abolizione de' privilegi nell'ordine
civile, e il servizio essendo divenuto un dovere, bisognava che
potesse divenire una carriera per tutti, esigendosi non piú privilegi
di nascita ma condizioni di capacitá. Ciò fece che non vi fosse piú
soluzione di continuitá nell'esercito, dal tamburino al generale in
capo; e quando Luigi decimottavo diceva che nella giberna di ogni
soldato vi era un bastone di maresciallo, dava al tempo stesso una
definizione chiara ed una sanzione solenne a questo gran fatto sociale.
E se vuolsi por mente alla composizione della forza pubblica nel medio
evo tal quale noi l'esponemmo nel terzo discorso, vedrassi essere stata
interamente diversa dalla presente, perocché ivi tutto era individuale
e per cosí dire privilegiato, e qui tutto generale e condizionato. E
nei seguenti discorsi, dal quarto al settimo, abbiamo indicati tutti
i passi successivi che si erano fatti per operare gradatamente e
senza sorpresa questa fausta trasformazione nel primo elemento della
milizia; trasformazione che simboleggiava e confermava al tempo stesso
quella operata in tutto l'ordine sociale. Gli altri Stati europei
che combattevano la Francia e si opponevano alla rivoluzione anziché
adottarla, furono pur nondimeno costretti dal sentimento della propria
conservazione a supplire ai mezzi ordinari che la guerra coi suoi
nuovi metodi distruggeva rapidamente, chiamando sotto forme e nomi
diversi tutta la loro popolazione valida a servir di riserva e di
alimento agli eserciti. E questo movimento cominciò nel 1808 nella
penisola spagnuola, nel 1809 in Austria, e durò fino al 1815 da per
tutto fuorché in Inghilterra, ove si reclutò bensí nelle milizie, ma
per influenza dei capi e non per legge dello Stato. Una volta chiamate
le masse a formare l'esercito, non solo era necessario il sistema
delle pene, ma bisognava allettarle con quello delle ricompense; per
il che decorazioni ed avanzamenti furono accordati, e questo ancora
negli Stati ove dagli ordinamenti civili la separazione delle classi
era stata conservata e sussistevano interi i privilegi e finanche la
servitú della gleba. Epperò la Francia e le sue dipendenze adottarono
il nuovo sistema come conseguenza della loro legislazione, e le altre
potenze in opposizione agli ordinamenti che le reggevano lo adottarono
perché il richiedea l'interesse della propria conservazione; chiara
pruova del nostro assunto sull'influenza reciproca delle belliche
scienze e dello stato sociale.

Se grandi furono gli effetti di questi avvenimenti sugli uomini,
piccioli furono sulle armi e possono ridursi: 1. all'uso piú frequente
dell'artiglieria leggiera, con vari metodi nei diversi Stati; 2.
all'uso degli obici fatto piú frequente ed in proporzioni maggiori
coi cannoni, fino a formare il terzo de' pezzi di una batteria; 3. ai
razzi alla _congrewe_ che furono impiegati negli eserciti alleati anche
in campagna, e dal 1813 in poi adottati generalmente, benché senza
aver grandi effetti; 4. alla importanza che racquistarono nel secondo
periodo, dal 1800 al 1815, i corazzieri e i lancieri.

Gli ordini, per la stessa causa, non subirono alcuna alterazione e
furono i medesimi che nell'ultima epoca di Luigi decimoquarto e di
Federico secondo, se ne togli le tre righe nella cavalleria le quali
furono dissusate piuttosto che abolite. Si conservò ancora l'ordine
in due righe adottato come primitivo nell'esercito inglese per la
fanteria. L'ordine del giorno dodici ottobre 1813 all'esercito di
Napoleone, ove è prescritta la formazione in due righe, ma disposta
in colonna per divisione, e questa come ordine abituale, non può
esser considerato che come una disposizione di circostanza per potere
maneggiar facilmente un esercito forte di numero e povero d'istruzione,
e cosí dargli piú consistenza contro la cavalleria nemica alla quale
non poteva opporsene una simile per numero e qualitá. Ed in effetto
i militari regolamenti posteriori non hanno fatto veruna menzione di
quest'ordine di battaglia siccome parte della tattica elementare.

Venendo ora alla soluzione del secondo quesito, diremo che la tattica
seguiva in tutti gli Stati europei piú o meno compiutamente il sistema
prussiano. In Francia l'ordinanza del 1791 semplificava e perfezionava
questo stesso sistema, e l'esperienza acquistata in un lungo periodo
di guerra fatta su tutti i terreni e con tutte le nazioni non rese
necessario verun cambiamento importante, del che l'ordinanza del 1831 è
una novella e piú compiuta dimostrazione. In tutta l'Europa s'imitò piú
o meno quel regolamento. Nel secondo periodo un'ordinanza di cavalleria
fu redatta in Francia nel 1802 da uomini molto periti nell'arma e
ricchi dell'esperienza di dieci campagne. I conoscitori trovano questo
regolamento fondato sull'essenza dell'arma, dettato dalla pratica della
guerra, e veggono nella sua posizione una severa deduzione logica dai
principi alle conseguenze dei movimenti tutti. L'ordinanza del 1831
pubblicata in Francia per l'arma di cui discorriamo, ad avviso di
distinti generali e dei medesimi collaboratori di essa, non contiene
veruna mutazione importante. Se tanta scienza e tanta esperienza sparsa
in Francia non ha saputo procacciare maggiori perfezionamenti alla
tattica elementare delle due arme, rimane dimostrata la soliditá de'
principi che furono stabiliti nella redazione delle prime ordinanze.
L'artiglieria non variò molto nei suoi metodi. Solo l'artiglieria
a cavallo riunita in gran masse ebbe bisogno di ricorrere agli
spiegamenti, come le due altre arme, ove la parte giá spiegata
favorisce quella che dee ancora spiegarsi[32]. Ma se la tattica
elementare quanto alle armi ed agli ordini non subí, né il poteva, gran
cambiamenti, la tattica sublime ricevette nelle varie circostanze di
cosí lunga lotta qualche modificazione, la quale perfezionò l'uso della
tattica elementare senza alterarne i principi.

Il disordinamento che la rivoluzione produsse negli eserciti francesi
per l'emigrazione degli uffiziali e per l'indisciplinatezza dei
soldati, dovette far sorgere il bisogno di un'applicazione della
tattica che corrispondesse agli elementi di cui si componeva la
forza pubblica in quello Stato e in quell'epoca. Il problema da
risolversi consisteva nel determinare come potesse opporsi con buon
successo un esercito composto di antichi soldati non agguerriti e di
nuovi non istruiti a truppe istruite e agguerrite. La flessibilitá
dell'ordinanza del 1791 permise di adottare un sistema che risolvette
il problema enunciato. Il metodo fu il seguente. Si facea cominciare
il combattimento da una massa di bersaglieri superiore di molto alla
consueta, per modo che vi s'impiegavano battaglioni interi. Questi,
abbandonati al loro coraggio ed alla loro intelligenza individuale,
riconoscevano la parte debole della posizione nemica, penetravano
negl'intervalli, attiravano l'attenzione della fanteria e profittando
del terreno operavano contro l'artiglieria con un fuoco di moschetteria
esatto e continuo. Cosí operando coprivano i movimenti delle masse, le
quali formate in ordine di colonna per battaglioni o per reggimenti,
protette dall'artiglieria di campagna e sostenute dalla cavalleria,
caricavano le posizioni nemiche e si spiegavano dopo averne preso
possesso. La romana legione si vide ristaurata nella formazione delle
divisioni, le quali composte di tutte le arme, potevano isolatamente
operare in tutti i casi. L'artiglieria fu resa piú mobile, e la
leggiera in ispecie dal far parte dei battaglioni passò dal 1794 fino
al 1812 ad essere annessa alla divisione; e se i battaglioni ebbero
i loro pezzi, ciò fu eventualmente e per facilitare i trasporti di
artiglieria. La rapiditá dell'artiglieria leggiera favorí il nuovo
genere di combattere, col prendere rapidamente di fianco le posizioni o
concentrar molti fuochi sul punto che voleva forzarsi, prima che fosse
rinforzato da un'artiglieria meno mobile. Questo sistema comandato
dalla necessitá ebbe il suo effetto in questo: che le battaglie furono
ridotte ad una serie d'affari di posti nei quali le posizioni estese
erano forzate, le circoscritte accerchiate, in guisa che tutte le linee
composte d'ostacoli territoriali perdettero la loro importanza e il
cordone difensivo del Lascy dovette soccombere in faccia ad un cordone
offensivo, che aveva per sé i vantaggi del movimento e dell'impulsione
che ne deriva, e che bilanciava i vantaggi che le truppe ben manovranti
dovevano avere sulle inesperte. Ciò che vi era d'inusitato in tal
metodo contribuí al suo felice successo, e tutte le battaglie date,
da quella di Jemmapes nel 1792 fino a quella dell'esercito del Reno a
Landau nel 1795, furono cosí condotte ed ottennero felici risultamenti.
Persino a Fleurus ove si operava con masse riunite in un terreno
circoscritto, ogni divisione francese difese parzialmente il proprio
terreno, e niun gran movimento venne impiegato in quella importante
giornata. Fino al 1800 il sistema fu lo stesso, e la battaglia di
Zurigo fu un combattimento che durò quindici giorni sopra uno spazio
di cinquanta leghe; nelle battaglie di Stockak, di Dettingen, della
Trebbia e di Novi, benché si operasse sopra terreni limitati, meno
l'impiego di qualche riserva non videsi nulla che rassomigliasse a
Leuthen e Rosbac, come neppure nelle strepitose azioni di Castiglione,
di Arcoli e Rivoli[33]. La battaglia di Marengo nel 1800 è la prima
ove si vedono alte combinazioni tattiche per rifiutare un'ala o per
farne avanzare un'altra, ed alla stessa epoca nelle battaglie di
Moreau sul Reno, ad Engen, a Moschik, a Biberach, ad Hohenlinden, si
vide l'impiego della tattica; il che vie meglio dimostra che le truppe
erano piú istruite e i generali piú avvezzi a muover le masse. In
tutte queste guerre la cavalleria francese, inferiore in tutto fuorché
nel valore a quella degli alleati, operava per cariche parziali, e i
loro nemici non ebbero né un Seidlitz né un Murat per trarre partito
dalla loro cavalleria. La battaglia di Marengo fa di ciò ampia fede.
La campagna di Egitto rese necessario l'uso de' quadrati in una grande
scala e come ordine abituale, mentre vaste pianure ed un nemico forte
in cavalleria indicavano il metodo che Marco Antonio aveva adottato
contro i Parti presso l'antichitá e Munick nella conquista della
Crimea. L'ordine in quadrato divenne pei francesi in Egitto ciò che i
campi erano pei romani, essendo provato che gli ordini e gli accidenti
del terreno e i mezzi fortificatorii a vicenda si appoggiano e si
suppliscono nelle guerre.

Ma nel secondo periodo, durante le guerre dell'impero, dopo i campi
delle coste dell'Oceano, ove l'istruzione delle truppe fu spinta
ad un alto grado, le battaglie ebbero un'altra fisonomia: le masse
concentrate in terreni circoscritti compivano con movimenti tattici
ciò che si era operato con movimenti strategici. In questo secondo
periodo alle divisioni si dette un centro particolare d'unitá, formando
dei corpi d'esercito di due o tre divisioni con la corrispondente
cavalleria leggiera, artiglieria di divisione e di posizione, genio
ed amministrazione militare. Cosí davasi a questi corpi tutti i mezzi
di un esercito compiuto, e gli ordini per farli concorrere ad una
grande operazione non erano men laconici di quelli che dannosi da
un capo di battaglione ai capi di plotone. Una riserva di guardie e
granatieri riuniti, ed una riserva egualmente di cavalleria pesante,
mezzana e leggiera, ed una gran riunione di artiglieria concentrata
nel medesimo scopo apprestava a chi tutto reggeva il mezzo di vedere
con tranquillitá operare tutti i suoi corpi e di avere con che
rinforzarli secondo il bisogno. Cosí si operava ad Austerlitz, a Jena,
a Friedland, a Wagram, del pari che alla Moskowa, a Lutzen, a Bautzenz,
a Dresda, Lipsia: e queste battaglie possono paragonarsi a quelle del
gran Federico non giá nei particolari dell'esecuzione ma bensí nel
concepimento e nello scopo; mentre sorprendere, oltrepassare un'ala o
sfondare il centro è sempre la tendenza di queste battaglie, e le piú
sterili in risultamenti, come quella di Borodino, sono quelle date in
ordine parallelo, e Waterloo n'è una novella pruova per chi attaccava.
Può dirsi che una battaglia era un assedio fatto in poche ore: mentre
nel primo periodo i bersaglieri e l'artiglieria cercavano di estinguere
i fuochi e riconoscere il terreno del nemico — il che potrebbe
paragonarsi all'investimento e alla prima parallela, — indi le truppe
operavano per impadronirsi di qualche punto piú importante, e da ultimo
la gran riserva d'artiglieria apriva la breccia nel punto determinato
dell'ordine di battaglia, le colonne vi penetravano e la cavalleria ne
compiva il successo[34] con isciogliere i corpi ordinati ed impedire
il riordinamento di quelli giá sciolti. Gli eserciti del nord hanno
adottato successivamente questa organizzazione e questi metodi
(l'Austria nel 1809, la Russia nel 1812 e la Prussia nel 1813), cioè
i corpi d'esercito, le riserve e i modi di operare che ne derivano,
come l'uso dell'ordine profondo. Ma l'esercito inglese ha combattuto
seguendo metodi quasi opposti, mentre l'ordine sottile vi era
applicato al massimo grado, la fanteria essendo ridotta abitualmente
a due righe. Non usavasi che come eccezione l'ordine in colonna e
facevansi le cariche alla baionetta anche nell'ordine spiegato. Il
modo di armarsi, le qualitá morali del soldato inglese ed il genere
di guerra adottato erano in armonia coi limitati mezzi di reclutamento
posseduti dall'Inghilterra, e tutto tendeva a creare un sistema opposto
a quello de' francesi nato da circostanze diverse. Ricorderemo a'
nostri lettori aver noi nel settimo discorso enunciato che il gran
Federico avea non solo descritto ma sommamente lodato in una lettera
al general Fouquet l'ordine di battaglia difensivo che gli austriaci
adoperavano a fine di rompere l'urto degli attacchi dei prussiani.
Ora egli dice che gli austriaci collocavano la loro prima linea a
mezza costa delle alture, la seconda alla sommitá, le truppe leggiere
alla base, l'artiglieria disposta anche ad anfiteatro per battere
i rientranti non sempre direttamente occupati, e la cavalleria a
portata de' terreni ove poteva operare ed in modo da non esser esposta
inutilmente al fuoco del nemico. Il sistema adottato dagl'inglesi nel
corso del secondo periodo della guerra della rivoluzione ricevette
nella guerra della penisola il suo compiuto sviluppo. Adottavasi la
disposizione descritta dal gran Federico con qualche differenza che
indicheremo. La prima linea, la disposizione dell'artiglieria, delle
truppe leggiere e della cavalleria, erano presso a poco le stesse: ma
la seconda linea che gli austriaci tenevano formata alla cresta, nel
metodo inglese era al rovescio dell'altura e cosí resa invisibile al
nemico, il quale non potea fare se non una imperfetta riconoscenza;
e perciò quando le truppe nemiche formate in colonna per battaglioni,
superate tutte le difficoltá del terreno e la resistenza della prima
linea dell'artiglieria, erano giunte a coronare a forza di valore e
di perseveranza la sommitá della posizione ove arrivavano disordinate
ed indebolite, la seconda linea che fino allora s'era tenuta nascosta,
mostravasi, faceva una scarica a piccola portata e subito dopo caricava
alla baionetta, con che faceva dare indietro e scendere in disordine
le truppe ch'erano salite con tanto vigore all'attacco. Oltre a ciò
in ogni battaglione il plotone estremo faceva una conversione pria
di far fuoco, a fine di prendere in fianco il battaglione nemico che
gli era opposto; ed allora la cavalleria profittava del terreno e
della posizione per render compiuta la riuscita, e la prima linea
si riordinava dietro alla seconda e concorreva a por fine alla
lotta. Questa combinazione di disposizioni tattiche e questa scelta
di posizioni fecero sí che l'impetuositá francese venisse un poco
sconcertata; ed il metodo col quale avea vinto le prime coalizioni ed
era creduto il solo buono pei suoi brillanti risultamenti, fu posto in
quistione nella guerra della penisola, essendovi un grave svantaggio
pei francesi nel combattere con una fanteria stanca e disordinata
le tre armi degl'inglesi, mentre la cavalleria francese non poteva
servire negli attacchi di quelle posizioni, e l'artiglieria non potea
secondare la propria fanteria se non che nel primo periodo e non giá
nell'ultimo ch'era il decisivo. Le battaglie di Canopo in Egitto e di
Maida in Calabria furono seguite dalle battaglie di Vimiero, Talavera,
La Corogna, Busacco, Fuents d'Onoro, Albufeira e Salamanca, che ebbero
tutte lo stesso risultamento nella penisola, e Waterloo compí questa
serie di esperienze e di costanti successi degl'inglesi nella guerra
difensiva e mostrò i vantaggi dell'ordine sottile sul profondo di
questo genere di combattimenti. Ci siamo distesi su questo oggetto
perché a nostro credere resta a risolvere se nella tattica che ci
ha lasciata la guerra della rivoluzione vi sia un altro metodo per
ridonare a chi attacca qualche vantaggio su chi è attaccato, vale a
dire determinare se gli ultimi progressi dell'arte colle armi presenti
lascino la superioritá alla difensiva o all'offensiva, tatticamente
parlando. Questo problema è fecondo in conseguenze non solo quanto alla
guerra ma ancora quanto al sistema sociale.

Passando ora alla strategia che considereremo col metodo stesso
di tutti gli altri rami dell'arte che sono compresi nella nostra
seconda quistione, ricordiamo ai nostri lettori aver noi segnalato
dal quarto discorso in poi l'apparizione evidente e i caratteri che
essa ha rivestiti nei vari periodi, sempre in progresso relativamente
alle sue applicazioni scientifiche. Nell'epoca della quale trattiamo
fece de' passi immensi, riassunse la guerra tutta nelle sue teorie
e ne subordinò tutti gli effetti nelle pratiche operazioni, come
per esempio la coscrizione, in virtú della quale si operarono le
vaste trasformazioni che l'equilibrio politico e il sistema sociale
subirono in questa epoca; trasformazioni sí fatte che ne formano un'èra
istoricamente e filosoficamente considerata, siccome quella che ha il
doppio carattere di riassumere il lento lavoro dei secoli scorsi e di
dare una nuova impulsione ai futuri. Noi per tutte le esposte ragioni
andrem discorrendo i metodi di strategia impiegati nei due periodi
dell'epoca della quale è parola.

I non buoni elementi militari che si trovò avere la Francia nella
sua prima guerra contro i coalizzati la costrinsero a risolvere il
problema «di muovere masse numerose poco istruite e con capi nuovi
nell'arte contro avversari che possedevano gli opposti vantaggi». A
fine di conseguir ciò, era necessaria una direzione unica la quale
desse una impulsione uniforme, ed esigevasi che la scienza presedesse
dal gabinetto alle cose della guerra e supplisse ad un generale unico
e superiore che non esisteva, ed il quale per l'estension dello spazio
ed il numero delle truppe non avrebbe potuto bastare all'adempimento
di tanti doveri. Da ciò venne che un membro del governo che reggeva
la Francia fosse esclusivamente incaricato nel 1793 di difendere il
territorio francese dalla formidabile invasione che il minacciava.
Carnot alla testa di un comitato militare nel quale aveva posto il
Darcon e che componevasi di quanto vi era di piú distinto nel corpo del
genio che aveva sopravvissuto alla rivoluzione, formò il piano celebre
della campagna del 1794, ove tutta la frontiera da Uninga a Dunkerque
fu considerata come un sol campo di battaglia, e i quattro eserciti
che occupavano e difendevano la frontiera dell'est furono riguardati
siccome divisioni di una gran massa, le quali operare doveano
secondo il piano generale e concorrere tutte ad un alto scopo. Questo
consisteva nell'operare concordemente su tutta la linea dei movimenti
rapidi, generali e successivi, i quali tendevano ad inviluppare le
ali o sfondare il centro della posizione del nemico strategicamente
considerata e a lasciar indietro le piazze di guerra e gli ostacoli
naturali, tutti calcolati per resistere ad un numero minore di uomini
operanti con una moderata attivitá ed in ispazi piú circoscritti.
Le posizioni divennero inutili, siccome quelle che furono girate o
sfondate, e le piazze oltrepassate, per modo che non si trovarono in
grado di esercitare influenza sul teatro della guerra che la rapiditá
dei movimenti avea trasportato in una piú lontana regione. Sará facile
il concepire che questo metodo sí ardito, aiutato da tutto il prestigio
della novitá e combinato col sistema di tattica che descrivemmo, fece
sí che gli eserciti nemici coi loro metodi fossero rotti e sorpresi,
benché avessero tutti i vantaggi che arrecano l'istruzione ed un
provato valore; le quali prerogative loro servirono per rendere
onorevole la lunga ritirata colla quale abbandonarono ai francesi
tutto il paese posto tra la frontiera e il corso del Reno: risultato
immenso nei suoi effetti morali e materiali, ma che poteva, siccome
accadde, indurre in errore sulle massime scientifiche della strategia.
In effetto esagerando i successi ottenuti sopra un teatro di guerra
piú eguale, si volle nel 1796 applicare lo stesso metodo d'operazione
contro le ali del nemico per riunirsi offensivamente dietro alle
sue linee di difesa, a un teatro di guerra che abbracciava lo spazio
compreso fra l'Olanda e le Alpi marittime. E tali eserciti dovevano
riunirsi dopo aver traversato il Reno e le Alpi, e poscia il Po, il
Danubio e nuovamente le Alpi, nonché tutti gli affluenti che si gittano
nel Mar Nero verso il basso Danubio. L'arciduca Carlo riconducendo la
strategia alla sua gran regola di operare in massa, che la guerra de'
sette anni aveva sí ben dimostrata, salvò la Germania dall'invasione;
e se la guerra fu in ultimo favorevole ai francesi, secondo che ne fa
fede la pace di Campoformio, ciò fu dovuto al duce delle armi francesi
in Italia, il quale applicò con maggior vigoria e piú compiutamente
il sistema che il principe austriaco aveva seguito in Germania e diè
luogo ad un raro fenomeno che difficilmente si rinnoverá, vale a dire
che la casa d'Austria fu minacciata nella parte men vulnerabile delle
sue frontiere, cioè in quella che è custodita dalle Alpi Noriche e
Rezie. A Montenotte, a Lonato, a Castiglione e a Rivoli[35] si videro
i miracoli della strategia, e i risultamenti di Wurtzbourg in Germania
ne furono la contropruova. Le ostilitá riprese nel 1799 fecero seguire
a chi reggeva la Francia gli errori del piano del 1796, e l'apparizione
dell'esercito russo ruppe ogni proporzione di forza numerica, mentre
la Svizzera divenuta anch'essa teatro di guerra ne accrebbe lo spazio,
e i francesi perdettero le loro conquiste. Ma l'applicazione della
strategia fatta da Massena a Zurigo preservò il territorio francese da
una invasione, sciolse la seconda coalizzazione e preparò i successi
di Marengo e di Hohenlinden, dove il sistema dell'operare in massa ebbe
grandi risultamenti sotto la direzione del generale che tanti ne aveva
ottenuti in Italia e in Egitto. Questi mercé della vasta applicazione
del sistema anzidetto riprese in Europa la superioritá sugli austriaci
rimasti soli, riguadagnò il perduto e alla pace di Luneville, seguita
da quella di Amiens, fece riconoscere i nuovi acquisti della Francia
e pose fine alla guerra generale cominciata nel 1792. Ma nelle guerre
dell'impero che seguirono la rottura della pace di Amiens, la strategia
acquistò tale importanza, fece tali progressi che rivestí interamente,
presso gli scrittori militari che ne trattarono, il carattere di una
scienza, se non esatta nel senso compiuto della parola, quasi che
esatta. Parlando della tattica in questo secondo periodo, vedemmo
che i campi sulle coste dell'Oceano avevano consolidata l'istruzione
delle truppe francesi e avvezzati i loro generali a muover le masse
con precisione sopra terreni circoscritti; e come nelle prime campagne
della rivoluzione la strategia aveva dovuto adattarsi allo stato
dell'istruzione delle truppe, in questa serie di guerre poté seguire
piú liberamente i principi veri della scienza, avendo uno strumento piú
perfezionato per compiere le grandi operazioni. Le campagne del 1805,
1806 e 1809 furono l'apogeo della strategia per parte degli eserciti
di Francia retti da Napoleone, il quale divenuto pieno signore di
quello Stato ed in conseguenza riunendo al suo genio mezzi vastissimi
ed alta potenza, fece sopra una vasta scala ciò che aveva fatto
nelle prime campagne d'Italia. I risultamenti furono proporzionati
alle masse poste in azione e agli spazi nei quali operavasi. Ciò che
aveva reso sterili di gran risultamenti le guerre del secolo di Luigi
decimoquarto era stato appunto la disproporzione fra gli eserciti e gli
spazi che dovevano occupare, e il difetto di speditezza per profittare
della vittoria e per ritrarne l'ultima conseguenza, cioè quella di
sciogliere l'ordine negli eserciti dei loro avversari. La massima del
gran Turenna, il quale stimava che cinquantamila uomini fossero il piú
gran numero che un generale potesse comandare con buon successo, fu
confermata dalle guerre ch'ebbero luogo dopo la sua morte. Napoleone
ovviò a questo inconveniente dividendo le sue cresciute forze in corpi
di esercito che possedevano tutti gli elementi necessari per operare
isolatamente, siccome notammo nel parlar della tattica. A questo
modo duecentomila uomini divisi in otto corpi avevano la massa di
duecentomila e la mobilitá di venticinquemila, ed il male che Turenna
avea fatto notare venne distrutto dalla superioritá di questo metodo.
Cosí dopo una battaglia che compiva le operazioni strategiche, i
perdenti si trovavano inseguiti in tutte le direzioni con la massima
velocitá dalla riserva di cavalleria e da tutto l'esercito che la
seguiva e la sosteneva: i posti erano girati e le piazze lasciate
indietro. L'esercito battuto, costretto a rapide marcie, perdeva
giornalmente uomini, materiale e organizzazione; la sua forza morale
degradava in proporzione de' suoi disastri, e non aveva il tempo
di riordinarsi e di riprendere lena collocandosi in una posizione
difensiva: poiché se questa era estesa, veniva forzata; se stretta,
non era bastante ad arrestare i gran movimenti dell'esercito nemico
costituito a quel modo che ci facemmo ad esporre.

Abbiamo fatto notare il come la strategia dominasse la tattica. Ed
in effetto non si apriva una campagna per incontrare il nemico, ma
si cercava di occupare i punti strategici ed in ogni battaglia si
tendeva a impedire al nemico di riprendere le comunicazioni perdute
pei movimenti strategici, e non appena erasi guadagnato uno di questi
punti, da esso passavasi agli altri per la strada piú corta; per modo
che chi era attaccato, battuto strategicamente, veniva a battaglia
non per vincere ma per potersi ritirare. Questa sola condizione
rendeva la lotta ineguale nelle sue conseguenze, e chi trionfava
separava il suo avversario da tutti i suoi depositi e penetrava
nel centro dello Stato, nella capitale, e cosí costringea a delle
paci le quali rassomigliavano alla capitolazione di una piazza la
cui breccia fu aperta. La pace di Presburgo dopo due mesi nel 1805,
quella di Tilsit nel 1807 e quella di Vienna nel 1809 compruovano la
nostra asserzione; e però altrettanto sagace che luminosa troviamo la
denominazione di «battaglie strategiche» data dal general Lamarque
a quelle combattute in tali campagne[36]. E la piú compiuta di tali
operazioni ebbe luogo nei cinque giorni del 1809, che cominciarono
il diciotto aprile e finirono il ventitré col combattimento di
Ratisbona, ove il perno tenne fermo e la riunione si operò combattendo
ed isolando le numerose masse del nemico, e si occupò la capitale un
mese dopo il cominciamento delle ostilitá. Questa rapida distruzione
delle forze ordinarie e regolari dello Stato rese indispensabile
l'armamento e l'ordinamento di tutta la popolazione virile per
difendersi contro guerre che non si limitavano alla periferia, ma che
penetravano nell'interno dello Stato. Noi abbiamo indicate, trattando
della scelta degli uomini, le conseguenze di varia natura che questa
necessitá generava sotto tutti gli aspetti militari e sociali. In
effetto per arrestare questo torrente era necessaria la combinazione
della guerra popolare[37] colle forze regolarmente ordinate e coi
vasti spazi. Tutto questo impediva al sistema enunciato di operare
in modo da serrare in un angolo le forze regolari, distruggerle con
quindici giorni di movimenti e di combattimenti ed impadronirsi di
tutte le risorse di un popolo attonito e passivo. Tale fu la guerra
della penisola, ove la popolazione energica della Spagna, aiutata
direttamente e indirettamente dall'Inghilterra, sembrò rinnovare
il sistema praticato nell'antichitá ed ignoto ai moderni, che gli
spagnuoli avevano impiegato contro i romani[38] e gli arabi. L'esercito
francese possedeva una superioritá riconosciuta nelle battaglie, e ciò
fu pienamente dimostrato dai suoi successi nella campagna d'inverno del
1808 da Napoleone guidata. La dura necessitá forse piú che la ragione
fece adottare un sistema che preservava dal doppio effetto della massa
e della mobilitá delle truppe. Lasciando loro grandi spazi di paese, la
loro linea d'operazione si rendeva profonda e la loro fronte estesa,
per modo che dividendosi perdevano tutti i vantaggi inerenti alle
masse, e concentrandosi, tutti quelli inerenti alla mobilitá; il che
rendeva anche piú grave la difficoltá delle sussistenze. Il sistema di
difesa della penisola fu dunque regolato in guisa tale che il nemico
non trovasse ostacoli nella sua impulsione offensiva, ma che una
volta padrone di vasti spazi fosse costretto a difenderli, e perdesse
cosí tutti quei vantaggi primitivi che il proprio suolo e le simpatie
locali offrono in questo genere di guerra. Indebolito numericamente e
moralmente, poteva allor facilmente esser battuto ne' vari suoi corpi
e costretto ad una ritirata assai disastrosa, vista la profonditá
della linea d'operazione. Il Portogallo costituiva la cittadella della
penisola, e le linee di Torre Vedras erano per cosí dire il ridotto
dove l'esercito ausiliario inglese, che conteneva l'elemento meglio
ordinato della resistenza, poteva restringere la sua difesa ed uscirne,
onde riprendere l'offensiva quando le circostanze della guerra della
penisola o di altre combattute nel resto di Europa avessero reso
facile, utile e possibile l'osarlo con isperanza di buon successo,
siccome avvenne.

La campagna del 1812 dá luogo a profonde riflessioni, mentre pel
numero e la varietá degli uomini componenti gli eserciti presenta un
esempio unico in Europa, cioè quello di veder realizzata una guerra
che aveva l'aspetto di una crociata; ma il poter muovere masse composte
di elementi cotanto svariati in virtú dell'aiuto di molte scienze era
una grande dimostrazione dei progressi della civiltá europea e della
unitá de' metodi guerrieri. Però le forze umane son limitate e il genio
stesso è circoscritto dallo spazio e dal tempo, che paralizzano la sua
azion vigorosa. In effetto se Turenna avea limitato a cinquantamila
uomini la forza di un esercito che un uomo potesse condurre, Napoleone
ha provato che con duecentoquarantamila uomini e cento leghe di spazio
accadeva lo stesso, mentre l'aumento delle masse e dello spazio faceva
dipendere la riuscita delle operazioni dai luogotenenti e non piú dal
sommo capitano; ciò che rendeva l'azione di un uomo superiore quasiché
secondaria, perché non potea né dirigere il tutto né riparare agli
errori commessi, ed aveva contro di sé lo spazio ed il tempo che son
tutto alla guerra[39].

La campagna del 1813 fu una pruova novella di quel che abbiam detto, e
Javer, Dennevitz, Culm paralizzarono i successi di Dresda e i vantaggi
della linea interna dell'Elba. Parliamo di queste campagne sotto il
rapporto puramente strategico, ma vi erano altre cause di diversa
natura che influivano sui loro risultamenti.

Nella campagna del 1814 non era piú il capo dell'impero ma il
generale dell'esercito d'Italia, il quale, se ne togli l'entusiasmo
ed i veterani che il secondavano, con forze inferiori rinnovava a
Champaubert e a Montmirail i prodigi di Lonato e di Castiglione contro
l'Europa irritata, agguerrita e potente. Ma qui non v'era che l'arte:
tutto il resto era contro; e la missione dell'arte si è quella di
facilitare lo svolgimento degli avvenimenti piú che di travolgerne il
corso.

La campagna del 1815 artisticamente immaginata confermava ciò che disse
il Montesquieu con tanta sagacitá, cioè che uno Stato soccombente alla
perdita di una battaglia non dovea cercare sul campo l'origine della
sconfitta, ma penetrare piú addentro e rimontare piú ad alto.

La fortificazione scientificamente considerata non fece gran passi,
rimanendo sempre al punto in cui Vauban l'aveva lasciata. Benché
molti distinti autori ne perfezionassero i metodi, la difesa restò
sempre inferiore all'attacco; né valsero i lavori del Saint-Paul,
del Bousmard e la bella opera di Carnot, il quale cercava colla
difesa attiva, coi fuochi curvilinei e con qualche modificazione nel
disegno, di ritardare l'ultimo periodo della difesa e di renderlo
piú vigoroso. È facile dedurre dalle combinazioni strategiche che la
guerra d'assedio nel primo periodo era divenuta secondaria, e non son
da notarsi che la difesa di Kehl nel 1797 fatta da Moreau e quella di
Genova da Massena. Queste due operazioni fan chiaro a nostro credere
che l'antica importanza delle piazze era sparita, non perché fossero
inutili ma perché poco proporzionate al numero degli eserciti e alle
vaste contrade che servivano di teatro alla guerra. In effetto a
Kehl ed a Genova la fortificazione era un ausilio e un appoggio alle
operazioni de' corpi d'esercito che da quei punti operavano. La difesa
di Danzica nel 1813 nel secondo periodo rivestí lo stesso carattere,
cioè quello di un gran campo trincerato in un teatro a parte, che
operava per proprio conto e non attendeva soccorso da una operazione,
ma si giovava dei risultamenti generali di una o piú campagne. E
una tal circostanza stabiliva un'altra scala e rendeva miste le
operazioni prima circoscritte dell'attacco e della difesa de' punti
fortificati. Infatti le piazze costruite dipoi furono, come per esempio
Alessandria, considerate siccome rifugio di un esercito per tenere un
paese fino all'arrivo di un altro esercito; ed essendosi osservato
che le piazze di frontiera venivano separate dagli eserciti e dallo
Stato dopo le prime operazioni militari, il che faceva che tutti gli
arsenali e stabilimenti militari si trovassero bloccati quando erano
piú necessari, le piazze, come abbiam detto di Alessandria, furono
stabilite nell'interno onde conservare piú lungo tempo i vantaggi sopra
indicati[40].

La guerra della penisola pose in luce la guerra d'assedio, e l'attacco
di Gaeta che precedette la guerra di Spagna fu quello ove le parallele
si ridussero a due, cominciandosi il fuoco quando erano terminate e
non successivamente come prima erasi fatto. La natura di quella piazza
contribuí a fare adottare questo sistema. Le difese di Saragozza,
di Girona e di Tarragona ricordarono gli esempi di Sagunto e di
Numanzia, ma era necessario il concorso delle popolazioni per adottare
un sistema di difesa; per il che i corpi facoltativi francesi nei
numerosi assedi fatti dall'esercito di Aragona mostrarono di non aver
nulla perduto del loro valore e di sapere applicare i vari metodi
secondo la differenza dei casi. Gl'illustri nomi di Rogniat, di Haxo
e di Vallée sono pruova di questo, ed il lungo blocco di Cadice dal
1810 al 1812 e la difesa di Burgos e di Badajoz mostrano lo stato
della scienza, come l'interessante opera del colonnello Jones dimostra
l'inferioritá degl'inglesi in questa parte dell'arte, non per mancanza
di perseveranza e di valore ma per difetto di metodi.

La fortificazione di campagna si uniformò ai progressi degli altri
rami dell'arte e divenne ausilio potente della gran guerra, ma piú nel
secondo periodo che nel primo. Le fortificazioni dell'isola di Lobau,
come le teste di ponte sulla Vistola e sulla Passarge nel 1807, ne
sono chiarissima pruova. Queste opere gigantesche avevano per iscopo
piuttosto di favorir l'offensiva che di sostenere la difensiva, come
le antiche linee del secolo di Luigi decimoquarto; e ciò caratterizza
a nostro credere la differenza radicale dell'arte nei due periodi. Le
linee di Torre Vedras sono l'ultima espressione di questo stato della
fortificazione di campagna nelle ultime guerre europee.

La castrametazione subí una compiuta modificazione e fu quasi
distrutta, la mobilitá essendo divenuto lo scopo principale degli
eserciti. Giusta l'esempio dei francesi le tende furono abolite,
e all'attendarsi sottentrarono il serenare e il barricarsi nelle
posizioni piú lungamente occupate. Questo cambiamento influí
potentemente sulle posizioni e sulle riconoscenze di esse, mentre
nelle prime si occupò presso a poco la linea con la quale si voleva
combattere, e occuparonsi spesso i salienti e si abbandonarono i
rientranti e tutti i terreni bassi che si consideravano difesi dalle
alture. Se gli eserciti accampati presentavano all'intelligenza di chi
faceva una riconoscenza elementi tali da giudicarne le forze, il nuovo
sistema meglio nascondeva le truppe, ed i fuochi coprivano un movimento
di ritirata ed ingannavano il nemico. D'altra parte questo metodo
riusciva di maggior danno alle truppe ed ai proprietari de' terreni che
momentaneamente occupavansi.

È cosa evidente che in un sistema di guerra simile a quello che abbiamo
esposto, l'importanza del terreno sotto l'aspetto tattico e strategico
ed anche amministrativo era immensa, e perciò lo stato maggiore doveva
acquistare un'alta importanza, e con esso acquistar ne doveano tutti i
lavori topografici, la riunione de' documenti e le memorie descrittive.
In effetto il deposito della guerra divenne una grande istituzione,
il che dovea essere quando nel primo periodo della guerra un comitato
sedente nella metropoli aveva diretti piú eserciti operanti in luoghi
diversi. Tutte le potenze belligeranti imitarono la Francia, e nel
secondo periodo lo stato maggiore francese cosí per istruzione come
per considerazione era inferiore a quello degli altri Stati. La parte
scientifica riguardava gli uffiziali del genio e quelli segnatamente
ch'erano addetti alla topografia[41]. Il genio ebbe nei «zappatori»
delle truppe pel servizio dell'arma, il treno e gli equipaggi militari
furono sottomessi alla disciplina comune ed offerirono tutti i vantaggi
della regolare milizia, e gl'infermieri finanche furono militarmente
ordinati. Il carattere scientifico appariva in tutte queste
istituzioni, mentre le scuole militari acquistavano nuovo splendore,
massime la politecnica la quale piú in lá ci faremo a considerare sotto
un aspetto diverso.

L'amministrazione militare fu piú razionalmente ordinata, e l'ultimo
passo di essa fu la separazione del personale dal materiale colla
creazione degl'ispettori alle riviste. In Francia ciò avvenne nel
secondo periodo, dopo il 1800, e il ministero stesso della guerra
fu diviso in due dipartimenti indipendenti e vi si aggiunse il
maggior generale che presedeva ai movimenti militari d'importanza
in tempo di guerra. Ma l'amministrazione militare, malgrado qualche
perfezionamento, dal momento in cui i movimenti furono cosí rapidi e
che al sistema de' magazzini e dei convogli venne sostituito quello
di requisizione locale, non ebbe piú né importanza né azione e fu
subordinata ai capi militari di cui diveniva un passivo istrumento.
Cosí accrebbe talvolta il male, facendo patire ad un tempo le truppe e
paesi senza impedire le depredazioni fatte, o tollerate per lo meno,
da chi piú poteva. E i paesi tutti e gli eserciti han conservato
trista memoria della militare amministrazione, la quale una volta
discreditata non fu piú, come accade, ritenuta dal pudore e rese
vere le accuse che le si mossero contro. Del resto quel genere di
guerra, ripetiamolo pure, non ammetteva la possibilitá di un ordine
amministrativo regolare, talché gli eserciti del nord strascinati
dalle circostanze han dovuto rinunziare ai metodi severi ed esatti
della loro amministrazione per adattarsi ai bisogni del tempo; e lo
Sthuthereim rileva questa disposizione parlando della battaglia di
Austerlitz da lui descritta. D'altra parte non dee tacersi che un
codice amministrativo, una contabilitá piú regolare han preparato gli
elementi propri ad inalzare al grado di scienza questa parte della
guerra, in armonia cogli Stati ove l'ordine amministrativo ordinavasi
giusta i propri metodi. E per notare qualcuna di queste invenzioni
della militare amministrazione, citeremo quella dei fogli di rotta in
virtú dei quali un individuo poteva percorrere tutta l'Europa colla
sicurezza di veder rispettati i propri diritti.

Non ci resta ora che a discorrere dei cambiamenti subíti dalle belliche
scienze, cambiamenti comprovati dagli scrittori militari del tempo e
dalle pratiche dei gran capitani. In tal guisa avremo risposto alle tre
prime quistioni proposteci.

Si è dubitato se queste ultime guerre avessero o no portato delle
grandi modificazioni alle belliche scienze e a' loro pratici
risultamenti. Il barone Ferrari in un articolo inserito nel _Progresso_
(volume quarto, pagina 15) ha impreso a dimostrare non esservi stati
gran cambiamenti nell'arte, le armi essendo rimaste le stesse. Nello
stesso volume (pagina 208) un anonimo, nulla negando della debita lode
all'articolo del Ferrari, ha luminosamente svolto tutti i progressi
fatti dall'arte e messo in luce i loro vasti risultamenti rispetto
al sistema sociale[42]. Questo egregio lavoro ci dispensa dal parlare
piú oltre di una tale materia, e ci limitiamo a invitare i lettori a
percorrere un tale articolo che dimostra tutta quant'è l'esperienza
pratica dell'autore, unita ai lumi che la fecondano.

I cambiamenti avvenuti nell'arte furono i seguenti:

1. Per gli uomini il servizio rendevasi generale, temporaneo e
successivo, con qualche modificazione derivante dallo stato sociale
delle varie nazioni.

2. Per le armi l'artiglieria a cavallo e gli obici erano introdotti e
varie modificazioni veniano indotte nel materiale, segnatamente presso
i russi e gl'inglesi. Presso questi ultimi erano inventati i razzi alla
_congrewe_.

3. Per gli ordini il prussiano era modificato, essendovisi introdotti i
bersaglieri e l'ordine profondo siccome mezzi d'attacco. Presso i soli
inglesi non invaleva quest'ultimo[43].

4. La tattica rimaneva la stessa, ma era subordinata alla strategia.
La separazione delle armi diveniva piú pronunziata nelle riserve
di artiglieria e di cavalleria. S'introduceva la divisione in corpi
d'esercito.

5. La strategia diveniva dominante e saliva al grado di scienza.

6. Nella difensiva operavasi piuttosto manovrando sui fianchi che
opponendosi di fronte al nemico; operazione difficile nell'esecuzione
ma ricca di risultamenti quando riesce.

7. Quanto alle fortificazioni si accelerava l'attacco con economizzarsi
una parallela. Si facevano tentativi perché la difesa avesse eguagliato
i progressi dell'attacco. Costruivansi piazze non solo sulle frontiere
ma pur nell'interno.

8. L'amministrazione venía migliorata nei metodi, ma non rispondeva
pienamente a' bisogni di eserciti numerosi e mobili al sommo[44].

9. Le istituzioni militari erano rese piú compiute, piú razionali,
piú armoniche; le pene fatte piú miti; le ricompense piú larghe;
la carriera piú accessibile a tutti; l'educazione scientifica
perfezionata.

Uno stato sociale ove le scienze militari son giunte a tal grado
dee trovar nel suo insieme perfezionamenti che vi corrispondano,
come brevemente piú in lá indicheremo, volendo per ora cercare negli
autori militari e nelle pratiche de' capitani la pruova delle nostre
asserzioni.

Lo scrittore militare che dopo l'esperienze delle prime campagne della
fine del secolo cercò di fare per la sua epoca ciò che il Feuquières
ed il Lloyd avevano fatto per le loro, fu il prussiano Bulow, che
nel suo sistema di guerra moderna volle dimostrare la superioritá
della strategia sulla tattica, cioè della configurazione e dimensione
della base come risultamento favorevole in istrategia. In tattica
intese a provare la superioritá dell'inviluppo sull'urto, e però la
superioritá del combattere alla spicciolata contro le masse e delle
ritirate divergenti sulle convergenti, le quali raccomandò anche in
istrategia. La conseguenza che risultava e ch'egli dedusse dal suo
sistema era la superioritá che dovevano acquistare le popolazioni che
resistevano agli eserciti, e la disparizione successiva dei piccoli
Stati che dovevano presto o tardi essere assorbiti dai grandi. Alcune
pruove storiche vennero esposte dall'autore nel descrivere la campagna
del 1800. L'autore prussiano, secondo l'avviso dei conoscitori, non
comprese l'essenza della guerra moderna ed espose princípi spesso
contraddittorii, dai quali traea conseguenze alcune esclusive altre
azzardate; ma d'altra parte si è convenuto che questa prima opera
poneva in luce se non risolveva le quistioni che nascevano dallo
stato delle scienze militari, e che l'autore con sagacitá aveva
desunto doversi realizzare vasti risultamenti e nello stato sociale e
nell'equilibrio politico.

Il Jomini che ha esaurito in un'epoca posteriore le quistioni tutte
che queste guerre han fatto nascere, nei suoi primi trattati combatté
il Bulow nelle sue idee sull'inviluppo e sulle ritirate eccentriche,
ridusse tutte le combinazioni della guerra in istrategia e in tattica
«a operar colle masse contro le parti isolate e a tendere a questo
scopo in tutte le operazioni», affermò che i prodigi della guerra de'
sette anni dovevansi alla costante applicazione di questo principio
posto in luce da Federico, ed indicò come un'aberrazione della scienza
le prime guerre della rivoluzione fatte piú secondo il sistema di
Bulow che secondo quello di Federico, attribuendo il buon successo dei
francesi alla violazione che i loro avversari facevano egualmente di
questi principi, mentre non avevano tutti i vantaggi di altra natura
dei quali erano in possesso i francesi. Mostrò da ultimo siccome epoca
di ritorno ai veri princípi perfezionati nell'esecuzione le campagne
del 1796 in Italia e in Germania, e considerò i grandi avvenimenti del
secondo periodo della lotta come il risultamento dell'applicazione di
quei princípi fatta dal generale dell'esercito d'Italia sopra una vasta
scala alle guerre del nord dell'Europa fino al 1809.

Il principe illustre che in etá verde avea posto in applicazione
le regole di sana strategia contro gli eserciti francesi nel
1796, pubblicò nel 1813 la storia di quella campagna, preceduta
da un trattato di strategia il quale ha un carattere scientifico
e dimostrativo. Il chiaro autore la considera come riassumente
e contenente la guerra cosí nelle sue previsioni che nelle sue
conclusioni e, come il savio ed illuminato Polibio, attribuisce i
rovesci e le riuscite delle potenze belligeranti all'aver esse seguite
o violate le regole di strategia, eliminando tutte le piccole cause
che le menti poco acute e gli amor propri offesi cercano di presentar
come origini di grandi avvenimenti. Egli accetta i principi del Lloyd,
combatte il Bulow, concorda col Jomini; ma è il primo che dia una forma
dimostrativa alla scienza[45].

Questi sono gli autori principali: de' quali sebbene siesi accresciuto
in séguito il numero, noi ne taceremo perché si appartengono ad un
periodo posteriore a quello che qui trattiamo, e ci basterá il dire che
non si sono appartati dagli esposti principi. Il Darcon fece conoscere
nelle sue considerazioni sulla fortificazione la metafisica, per dir
cosí, di questa parte dell'arte, non sotto l'aspetto speciale del
disegno ma sotto quello piú vasto de' suoi moltiplici rapporti col
principio conservatore dello Stato e delle forze mobili. Il Bousmard
vi aggiunse la parte tecnica dell'arte fortificatoria, ed il Carnot
consacrò il suo eccellente lavoro a risolvere il problema di livellare
la difesa alla superioritá che l'attacco aveva acquistata dal Vauban in
poi.

Passando ora a parlare de' gran capitani diremo che Dumouriez,
Pichegru, Jourdan, Hoche con qualitá diverse si distinsero nelle prime
campagne della rivoluzione, massime nelle combinazioni militari che a
quest'epoca dominavano, cioè l'impulsione e l'inviluppo in tattica e i
movimenti a gran distanze per attingere lo stesso scopo in istrategia.
Il primo nella sua breve carriera ebbe de' lampi che sembravano
scaturire dal genio; il secondo lasciò incerta riputazione militare;
il terzo ha guadagnato nome a seconda che documenti piú positivi hanno
fatto meglio conoscere i fatti; l'ultimo fra i nominati camminava a
gran passi verso la gloria quando una fine prematura lo tolse ai piú
alti destini. Dall'altro lato gli allievi del gran Federico lasciarono
buoni generali per operare un giorno giusta le buone regole, ma nessuna
operazione che possa far presumere un alto grado di scienza distinse
il Brunswick, il Mollendorf e il Kalkreut. Il Clerfait sostenne la
gloria dell'esercito austriaco nella campagna del 1795. Moreau comparve
nel gran teatro e la sua riputazione andò sempre crescendo fino alle
ultime campagne; ei fu metodico, compassato, qualche volta ispirato, e
per la sua semplicitá è stato nominato da Lamarque «il La Fontaine dei
capitani». Ma se Moreau seguiva le combinazioni de' suoi antecessori,
l'arciduca Carlo suo avversario si elevò a dei principi positivi, per
cui questi occupa un posto piú elevato tra i capitani, avendo riunito
l'esempio ai precetti; il che dimostra aver egli saputo quello che
si facesse e il perché. Nel 1799 comparvero sulla scena due uomini
che avevano di comune come qualitá predominante una rara tenacitá:
Massena e Souwarof piú alti di quei che li sieguono; Riccardos, Kray,
Benningsen, Kutusof, Blucher, Bellegarde, Schwarzenberg e Wittgenstein
compiono il quadro in una sfera inferiore, e la Francia vi opponeva
Desaix e Kleber, uomini presto rapiti alla speranza che di sé davano,
e Soult e Saint-Cyr e Macdonald e Marmont e Lannes, colpito dalla morte
quando il suo genio era per apparir tutto intero, passando a piú vasti
comandi da luogotenente abile ch'egli era. Nell'esercito francese
la scuola di quelli che avevano guerreggiato sul Reno differiva da
quella di coloro che avevano combattuto in Italia: i primi avevano piú
metodo, che non escludeva l'ardire ma era frutto del calcolo, ed il
Saint-Cyr n'era la piú chiara espressione; negli altri l'ardire era
nell'istinto, e Massena e Lannes ne sono i migliori rappresentanti.
La guerra della penisola fece conoscere Suchet, ch'ebbe costanti
successi ed il quale seppe conciliarsi l'amore degli spagnuoli per la
stima che loro ispirò, e seppe comandare con buon successo alle truppe
francesi non solo ma alle straniere bensí, raccolte sotto le bandiere
di Francia dalle sponde della Vistola a quelle del Sebeto, imprimendo
loro una eguale impulsione e ispirando la confidenza medesima. Il duce
britannico che fece la piú figura in questa guerra succedendo al Moore,
uffiziale distinto che poteva elevarsi ad una piú alta riputazione,
fu Wellington, cui si può appropriare la saggia espressione del
Foy per caratterizzare l'esercito inglese, cioè di avere la calma
nella collera. Questa qualitá è il segreto della carriera del duce
britannico, che non è stato mai battuto. Le sue battaglie furono
difensive: considerò il Portogallo come una cittadella e la Spagna
come una piazza alleata che dovea esser soccorsa dal nord; il che
costituisce un gran capitano.

Tali furono i capitani di questa epoca. È quistione se i secoli
decimosesto e decimosettimo ne abbiano dati piú in una certa misura;
ma non potendo risolvere un sí alto problema, ci limitiamo a dire
che molte operazioni attiranti in quei tempi la pubblica attenzione,
nell'epoca di cui discorriamo non l'attiravano perché avevano a fronte
i pensieri ed i fatti dell'uomo superiore ad ogni paragone ed a tutte
le differenze che separano il talento speciale dal genio nella sua
universalitá. Cosa possiamo noi dire intorno a lui dopo quanto si è
detto e da giudici tanto competenti? Riassumere è tutto quello che
possiam fare. Napoleone nella sua vasta intelligenza abbracciava
la guerra come una scienza compiuta, dalle sue idee piú generali ai
particolari piú minuti. Uomo di genio, la sua analisi era rapida, e
senza idee intermedie si elevava ai princípi primitivi, per cui era
sintetico come scienziato ed era sul campo di battaglia inspirato
come artista. Però le sue inspirazioni non andavano al di lá delle
previsioni della scienza, ma ne erano una larga applicazione, vale a
dire ch'ei riuniva ciò che vi è di piú sublime nella scienza a quanto
v'ha piú alto nell'arte, cioè il trar partito dai piccoli eserciti e
il muovere con facilitá i grandi: riuniva insomma lo spirito di Newton
a quello di Michelangelo. Fedele ai princípi, ad essi è debitore de'
suoi buoni successi del pari che dei suoi rovesci, frutto anch'essi
d'errori, ma di errori che prendevano origine dalle passioni dell'uomo
di Stato non giá dall'ignoranza del capitano. È necessario di
studiarlo, ma il farlo senza la piú gran riflessione potrebbe condurre
ad imitazioni che la favola di Fetonte esprime a maraviglia, mentre nel
genio vi ha due parti, l'una che resta come metodo ed è la parte umana,
l'altra è la divina: la prima è da tutti, l'altra da pochi.

Crediamo aver risposto alle tre prime quistioni; per lo che passeremo
alle tre rimanenti che riguardano lo stato delle scienze, quello della
societá ed infine i politici risultamenti delle guerre combattute
nell'epoca di che ragioniamo.

Le scienze esatte furono coltivate tra i moderni e particolarmente in
questo periodo con un metodo diverso da quello adottato dagli antichi.
Partendo da ciò che era in quistione per ritornare ad un centro comune
di veritá giá note, si venne a costituire il metodo analitico, piú
rigoroso del sintetico e piú rapido e piú diretto al medesimo tempo.
Ad esso si debbono le piú grandi scoperte come ancora la piú bella,
cioè le ricerche che costituiscono le leggi che reggono il sistema
del mondo. È per mezzo dell'astrazione che le idee si generalizzano,
e queste favorirono i progressi tutti delle scienze fisiche e
matematiche. I nomi di Condorcet, di Bailly, di Lagrance, di Monge, di
Laplace e di Biot appartengono sotto aspetti diversi a questa epoca
importante per le scienze. Il primo riuní il merito letterario e lo
spirito filosofico ai suoi lavori sulle scienze esatte; il secondo
vestí la storia dell'astronomia di tutti i prestigi dello stile e
l'arricchí di tutti i rapporti che quest'alta scienza ha con lo stato
sociale dei diversi popoli che l'hanno coltivata; il terzo risolvette
una serie di problemi che passarono nell'insegnamento elementare della
scienza; il quarto indipendentemente dall'influenza ch'ebbero i suoi
lavori nella commissione d'Egitto, creò per cosí dire un nuovo ramo
nelle matematiche con la geometria descrittiva; il quinto rese compiuta
la teoria di Newton con dimostrare che le leggi nate dalle ultime
scoperte si applicavano a tutti i casi, e molti fenomeni cessarono di
esser tali perché furono sottoposti alla legge comune[46]; il sesto
finalmente ereditò la riputazione e continuò i lavori de' suoi illustri
predecessori.

Le scienze naturali fecero in questo periodo solidi progressi. La
storia degli animali non fu piú limitata ad una magra descrizione delle
loro forme esterne, ma presentò il quadro delle loro abitudini e delle
loro tendenze. Appoggiandosi alla notomia si cercò da' sapienti di
spiegare mercé della conformazione de' loro organi interni i fenomeni
che presentano, e seguendo questo metodo d'investigazione si assegnò
ad essi il posto lor proprio nel sistema generale degli esseri. Si
distinsero in questo ramo delle scienze naturali il Lacepède, il
Daubanton, il Dolomieu, il Lamarck, il Blumenbac, il Lawrence ed
infine il Cuvier che riassunse tutti i passi fatti nella scienza.
Questo metodo fu applicato con felice successo alla botanica, che
non fu piú circoscritta a descrivere i vegetabili, ma coll'aiuto di
una fisica dilicata si adoperò a scoprire le leggi regolatrici delle
loro varie funzioni. La mineralogia non limitò come prima le sue
ricerche a determinare senza precisione il carattere delle materie
di sua pertinenza dal loro aspetto esterno, ma prese in prestito
dalla chimica i mezzi di analizzare e di classificare i minerali.
Lo studio del globo terrestre che trovavasi da prima compreso nelle
scienze fisiche e matematiche, divenne una scienza distinta sotto il
nome di «geologia». Essa considerò la struttura della terra e giudicò
delle terribili catastrofi che l'hanno agitata dalle tracce che ne
rinvenne; e cosí questa nuova scienza riuní ciò che vi è di dilettevole
e di solenne nello studio delle scienze naturali alla precisione
che è propria delle matematiche. Saussure, De Luc, Breislack fecero
progredire la nuova scienza. Il Cuvier, siccome di sopra accennammo,
fece dell'anatomia comparata la base della storia degli esseri animati;
per il che la multitudine dei fatti osservati che permise di leggere
nelle somiglianze organiche le leggi generali dell'organizzazione
animale, ed il metodo che avea condotto in botanica alle investigazioni
piú conformi alla natura, resero l'anatomia comparata ricca in
risultamenti e fecer sí che svelasse un nuovo mondo agli osservatori
e creasse un metodo che poteva essere fecondo in conseguenze quando
fosse applicato ai rami tutti dello scibile umano. I gran viaggi
intrapresi e menati a fine arricchirono la storia naturale di nuovi
elementi di comparazione. Cook, Laperouse, Humboldt, Bonpland, la
commissione dei sapienti d'Egitto o scoprirono nuove regioni o fecero
meglio conoscere quelle giá note. I lavori di Lavoisier, di Berthollet
e di tanti altri distinti scienziati, come di Berzellius svedese,
non solo cambiarono lo stato della scienza chimica ma le diedero un
andamento e una logica nuova; si sentí la necessitá di riunire al
rigore del ragionamento la esattezza dell'esperienza; i geometri e
i chimici si aiutarono a vicenda, e a questi metodi la chimica fu
debitrice della vera teoria del calore e dei primi esatti istrumenti
che servirono a misurarlo. La medicina si arricchí dei progressi delle
scienze naturali, mentre una cognizione piú compiuta delle proprietá
di tutto ció che compone la farmacia doveva imprimerle un andamento
piú razionale e piú sicuro. Ma la grave difficoltá di questa utile
scienza si trova sempre nell'oscuritá dell'analisi anatomica, che si
esercita sugli organi quando hanno perduto con la vitalitá l'esercizio
delle loro funzioni: questa causa potente la lascia nella sfera
delle scienze approssimative, in cui le ipotesi nascono dal bisogno
di spiegare ciò che non si può analizzare. Una serie d'ipotesi forma
nelle intelligenze elevate un sistema che si appoggia a molti fatti
ed a qualche risultamento. In effetto in questa epoca non mancarono di
cosí fatti sistemi, e tale fu quello dell'irlandese Brown che riduce i
mali tutti a un principio: la cranologia del Gall e il controstimolo
del Tommasini sono sistemi che hanno la stessa origine, mirano a
uno stesso scopo e sono pruova essi stessi della propria inettezza,
perché sono tutti inadatti a risolvere con pochi principi l'immensa
quantitá de' casi vari che la miseria umana offre alla scienza medica.
I progressi della fisica furono moltiplici e positivi: il suo oggetto
è di ben determinare le leggi del moto o dello stato permanente dei
corpi che ne sono gli elementi, facendo conoscere l'azione meccanica
ch'essi esercitano gli uni sugli altri in virtú delle loro proprietá
generali o dalle modificazioni cui van soggetti per cause accidentali
e variabili che operino sopra di essi, quali il calore, l'elettricitá
e il magnetismo, nel che è variabile di sua natura. I fenomeni dovuti
a cause permanenti furono osservati nei periodi antecedenti, i secondi
lo furono piú compiutamente in questo. Franklin, Montgolfier, Volta,
Brugnatelli, Galvani e Poli fecero progredire la scienza e la resero
suscettibile di utili applicazioni.

Frattanto lo Chaptal applicava i risultamenti della chimica alle
arti e iniziava ai misteri della scienza le classi industriose. La
scuola politecnica che dovette tanto al Monge e il conservatorio
delle arti e dei mestieri sono l'ultima espressione dello stato delle
scienze naturali ed esatte rese di ragion comune e di applicazione
utile a tutti gli oggetti che interessano l'universale. Le macchine
applicate alle manifatture e la scoperta di Awright ne sono la prova
e promettevano piú alti risultamenti per l'avvenire, mentre che
le nazioni malgrado del fracasso delle battaglie e dei torbidi che
agitavano le civili societá, seguivano con l'escogitazioni dei loro
sapienti la strada del perfezionamento. Da questo breve quadro è
ben facile dedurre che tutte le arti manuali, tutta la costruzione
degl'istrumenti necessari all'uso delle scienze erano in progresso,
e pel bisogno che se ne aveva ed anche perché la fusione sociale che
si veniva operando restituiva agli artisti quella considerazione
che nessun merito poteva far loro accordare nell'epoca in cui le
classificazioni sociali dominavano ancora in Europa.

Lo stato delle scienze morali compirá questa breve indicazione e fará
meglio comprendere quanto ci proponemmo dimostrare in questo discorso.

Lo stato e le vicende delle scienze morali in una societá agitata sono
l'indice piú prezioso cosí del suo stato morale come dei suoi bisogni
e dei suoi dolori, imperocché l'umana intelligenza è spinta da una
legge naturale ad occuparsi della risoluzione di quei problemi che le
masse enunciano confusamente piú coi loro lamenti che con una pacata
e razionale esposizione; ma se questo imperfetto linguaggio esprime
meglio i sentimenti confusi che agitano la societá, è poi missione
dei sapienti di comprenderli per mezzo di un'accurata analisi e di
ordinarli con una ben ponderata sintesi, la quale determini i mali, le
loro condizioni e i loro possibili rimedi in quella proporzione che
la difficoltá de' tempi serba all'imperfezione dell'umana natura. La
breve esposizione che daremo dello stato delle scienze morali servirá
di pruova alla nostra assertiva.

Era naturale che nel primo periodo della rivoluzione si cercasse
con calore di applicare praticamente tutte le dottrine che nel
decimottavo secolo erano sorte in Francia, facendole perciò passare
nella legislazione; era egualmente nella natura delle cose che nel
periodo della guerra civile europea e della proscrizione vi fosse stata
una lacuna nel progresso delle scienze, poiché le epoche turbolenti
preparano i materiali pei lavori scientifici, ma solo se ne trae
profitto nell'epoca di calma che a quelle succede; era parimente a
prevedersi che al giugnere di questa epoca le dottrine si sarebbero
considerate nella loro applicazione possibile e nei loro effetti
pratici. Allora la bontá relativa doveva riprendere il suo impero;
Montesquieu doveva riguadagnare il posto che i sapienti piú esclusivi
gli avevano tolto nel periodo di distruzione, e tutte le dottrine degli
altri sapienti che appartenevano a varie nazioni contraddistinte da
questo marchio dovevano essere adottate. L'espressione del carattere
che contrassegnava le scienze morali nei diversi periodi dell'epoca
di cui ci occupiamo si ritrova nella legislazione, nell'insegnamento e
nelle opere degli autori piú distinti.

La legislazione provvisoriamente data alla Francia nel periodo
rivoluzionario ha il carattere assoluto di voler creare una novella
societá, piuttosto che di conformarsi alla natura e ai bisogni della
esistente. Nell'epoca che succedette a questa, in cui il potere
si concentrò nel consolato, ebbero origine la centralizzazione
amministrativa ed il codice civile, il quale mentre altro non era che
l'opera di Giustiniano sceverata di quanto non era piú né utile né
praticabile, riconosceva però le trasformazioni che i secoli avean
prodotte nella societá moderna, distinguendo questa dall'antichitá e
dal medio evo; per cui in una societá dove tutte le classificazioni
eransi fuse, sottopose alla legge comune tutti indistintamente, vale a
dire ristabilí il dritto romano meno la schiavitú, il dritto feudale
e quella parte del dritto canonico che aveva retto la societá quando
le leggi non erano create. Anche il codice criminale riprese nella
procedura e nella pubblicitá le consuetudini romane ch'erano anche
quelle de' barbari. Basta quindi osservare l'esposizione del nuovo
dritto per vedervi, come il Portalis cerca di fare, riconosciuta in
legislazione l'importanza della bontá relativa ch'era stata negletta
per l'addietro; e questa coincidenza delle nuove leggi con lo stato
sociale ha fatto sí ch'esse sieno rimaste in osservanza piú o meno
compiutamente presso quegli Stati ove le vicende della guerra le
avevan portate. Le istituzioni antiche conservaronsi nelle societá che
non avevan subite delle scosse profonde, ma tutte le modificazioni
successive e la giurisprudenza stessa furono lentamente adattate
al movimento sociale di fusione che si operava insensibilmente. Uno
sguardo gittato sulle varie disposizioni legislative delle potenze del
nord basta per rinvenirvi il carattere ch'enunciammo, come per esempio
l'emancipazione dei contadini in Prussia e l'abolizione della schiavitú
in Livonia.

Le istituzioni letterarie, le quali sieguono la legislazione, trovano
nella scuola normale stabilita in Francia la riunione di tutte le
facoltá che han relazione colle scienze morali e con quelle che
ne dipendono, e le lezioni di Garat, di Volney e di altri distinti
professori offrono le dottrine del secolo decimottavo poste in lume
ed in ordine e collegate fra loro. La classe delle scienze morali
nell'Istituto vi corrispose pienamente, e la scuola normale era per
le scienze morali ciò che la scuola politecnica era per le scienze
fisico-matematiche. Corta vita ebbe la prima ma il suo metodo si
è riprodotto in epoche posteriori, benché le dottrine ne fossero
modificate. In effetto il Laromiguière nelle sue lezioni nel secondo
periodo rimontò a Locke, come i pubblicisti erano rimontati a
Montesquieu, avendo lo stesso fine, cioè di togliere alle dottrine
politiche e filosofiche del decimottavo secolo ciò che avevano di
assoluto e d'esclusivo. Condillac aveva tolto la «riflessione» dal
sistema di Locke per la formazione delle idee, ed il Laromiguière
la ristabilí sotto il nome di «attenzione». Il Royer Collard che
succedette al Laromiguière nell'insegnamento del 1811, svolse
la dottrina del Reid e degli scozzesi e si separò vie piú dalla
dottrina del Condillac, da cui Maine de Biran si era separato e che
conservava un chiaro rappresentante nel Tracy autore dell'_Ideologia_.
La filosofia di Kant esposta dal Villers la dava a conoscere
imperfettamente alla Francia, quando giá nel suo suolo la critica
della ragion pura era stata seguita dal sistema dell'unitá assoluta di
Fichte e da quello della natura di Schelling, ambedue aventi un marchio
mistico che li caratterizzava, fatto conoscere da una donna celebre al
mezzogiorno dell'Europa, ma il quale non modificava ancora la scienza
sotto quell'aspetto. In Germania nelle universitá, costrette da tristi
circostanze a limitarsi alle escogitazioni scientifiche, le scienze
progredivano e si facevano giganteschi lavori sull'erudizione orientale
e del medio evo. Sotto l'aspetto filosofico i nomi di Heeren, di
Niebuhr, di Tenneman e di Schlegel si legano a questo vasto movimento
intellettuale della Germania. Non cosí accadeva in Inghilterra, in
Ispagna e in Italia, occupate piú attivamente dei movimenti del tempo;
ma dapertutto lo spirito umano riceveva quella forte scossa che gli
dovevano dare il bisogno e l'attitudine di porre a profitto e di
coltivare tutto ciò che l'intelligenza umana aveva altrove prodotto,
servendosi de' nuovi metodi d'insegnamento sparsi per ogni dove.

Gli autori ci serviranno di dimostrazione compiuta della veritá
che ci siamo impegnati a provare. Sterile in autori fu l'epoca del
periodo di azione in Francia. Alla pace poi comparvero in Inghilterra
i trattati di legislazione del Bentham, il quale stabilendo l'utilitá
come principio unico e generatore della bontá della legislazione,
diede una forma scientifica alla dottrina dell'interesse preconizzata
o richiamata a luce nel secolo decimottavo. Ma il sapiente autore
era sotto una doppia azione, mentre col suo capitolo dell'influenza
della legislazione sui luoghi ed i tempi e di questi sulla prima
accettava e svolgeva con profonditá il principio della bontá relativa
del Montesquieu, e lo faceva piú compiutamente nel suo trattato
dei _Sofismi politici_ ove combatteva la teoria della Costituente.
Nei rapporti decennali dell'Istituto si scopre la stessa tendenza,
particolarmente negli articoli «filosofia» e «legislazione» redatti
dal Pastoret e dal Degerando. Era semplice e naturale che si volesse da
alcuni rimontare alle dottrine anteriori a quelle che accusate erano di
aver prodotto la rivoluzione: questa tendenza doveva avere gradazioni
diverse che corrispondevano ai caratteri differenti dei loro organi piú
elevati. In effetto l'autore del _Genio del cristianesimo_ pubblicò
quest'opera all'epoca in cui il primo console trattava e segnava
il concordato col sommo pontefice; coincidenza significativa della
sagacitá dell'uomo di lettere e dell'uomo di Stato sulle disposizioni
della societá. Il Ferrand rimontava all'antica monarchia e l'aveva
come prototipo, accettava in parte il Montesquieu come il pubblicista
piú distinto ed esprimeva la dottrina della monarchia appoggiata sui
parlamenti antichi. Il Montlosier dichiarava epoca di decadenza per la
monarchia quella stessa che il Ferrand proclamava come la piú perfetta,
mentre il pubblicista di cui parliamo non esitava a dichiarare l'èra
feudale come la normale della Francia. Il Bonald rimontava piú alto
e proscriveva tutte quelle dottrine che fino dal decimoquinto secolo
avevano combattuto lo stato sociale e normale del medio evo, ch'egli
raccomandava come il piú armonizzante con la vera teoria della
legislazione primitiva. Il De Maistre entrava piú compiutamente in
questa strada e intendeva con delle dissertazioni filosofiche piene
d'ingegno ad offrire come rifugio della societá agitata il dominio
assoluto della teocrazia. Da questa disposizione degli spiriti doveva
piú tardi dell'epoca da noi trattata avere origine la divisione delle
tre scuole: teologica, eclettica e sensualistica, nelle quali oggidí
sono divise le scienze morali ed i cultori di esse. L'economia politica
che fondavasi sui fatti doveva presentarsi per isvolgere la dottrina
dello Smith, e doveva voler modificare la legislazione ove la societá
lo era, questa per mezzo dei suoi bisogni pubblici e privati lá dove
non lo era ancora. Le opere del Say e del Ganhil, come i lavori del
Gioia e del Romagnosi, dovevano mostrare questa tendenza; ed il sistema
continentale, lo stato delle colonie e i bisogni della guerra dovevano
richiamare l'attenzione dei poteri e delle societá a quistioni pratiche
sí feconde di risultamenti per la pubblica e privata prosperitá. _Le
ricchezze commerciali_ del Sismondi furono l'espressione di questo
bisogno. L'unitá e il vigore amministrativo dovevano incoraggiare
la statistica; e l'amministrazione, divisa dal potere giudiziario,
avendo la sua gerarchia, le sue leggi e la sua giurisprudenza, faceva
ben conoscere, ove erasi adottata, che il medio evo era distrutto e
la fusione sociale operata, che la sovranitá non aveva piú ostacoli
amministrativi nelle comuni, nelle classi privilegiate e nelle
corporazioni di arti e mestieri, ma che trovava nei telegrafi e nelle
nuove strade tanti mezzi di rapida azione che mancavano agli antichi
poteri.

Nel principio di questo discorso abbiamo indicato brevemente lo stato
sociale e partitamente quello delle nazioni diverse. Ora dobbiamo far
conoscere nelle stesse proporzioni come la guerra aveva modificato lo
stato sociale in generale e quello delle nazioni diverse.

«Una guerra non lascia mai alla fine di essa le nazioni nello stato
in cui erano nell'epoca che la precedette». Tali sono le parole
dell'illustre Burke; riflessione profonda che rivela l'importanza che
quel grand'uomo accordava a queste lotte e la loro influenza sulle
societá che ne venivano agitate, e questa opinione conferma il punto di
veduta che ci siamo debolmente sforzati di mettere in luce nell'insieme
di questo nostro lavoro. E pure il Burke parlava delle guerre parziali
fatte per interessi secondari e menate a fine coi metodi ed i mezzi
ordinari degli Stati. Ma che diremo di una guerra che ha durato un
quarto di secolo, nella quale tutte le nazioni han preso parte, di cui
tutte le contrade sono state il teatro ed alla quale tutti gl'individui
sono intervenuti come attori o spettatori o vittime, mentre non era
né per una frontiera né per un dritto commerciale che le masse si
urtavano, ma per la propria esistenza e per tutti i grandi interessi
che dominano l'umanitá? I caratteri generali che risultano da questa
lunga fusione de' popoli con modificazioni locali e con tendenza comune
possono ridursi ai seguenti:

1. Tendenza alla fusione delle diverse classi della societá.

2. Maggiore energia nel potere, disponendo di maggiori mezzi, ed
accrescimento corrispondente dei bisogni del potere sotto l'aspetto
amministrativo, militare ed in conseguenza finanziere.

3. Importanza acquistata dalle classi produttrici — conseguenza dei
bisogni sopra enunciati dei governi, — tendenza alla pace per la
stessa causa dell'influenza che i capitalisti hanno nelle transazioni
politiche.

L'intelligenza doveva per queste ragioni acquistare maggiore importanza
in uno stato sociale e politico ove esistevano tutte le condizioni qui
enumerate. Lo stato de' costumi erasi raddolcito, la vita divenuta
piú grave e piú solenne; e se le passioni e le umane imperfezioni
dominavano come sempre nel mondo, la loro funesta azione era stata
piuttosto indebolita che accresciuta dagli avvenimenti, quali avevano
dato severa lezione e piú dure abitudini agl'individui tutti. Un
maggiore bisogno di miglioramenti positivi e reali e lo spirito di
nazionalitá sono il compimento della potente azione di sí lunga guerra
sulla societá europea. Senza essere un molto acuto investigatore
delle cose umane è facile il ritrovare che la tendenza alla fusione
sociale, la forza acquistata dal potere, i nuovi bisogni che ne
nascevano, l'importanza delle classi produttrici e quella acquistata
dall'intelligenza, il raddolcimento dei costumi, la frivolitá tolta
dall'alto posto che occupava, il desiderio del meglio positivo e
della propria nazionalitá, moderando però le antipatie nazionali,
tutto scaturiva dalla lunga guerra che ha aggiunto tanta esperienza
negli uomini, ed ha reso necessarie la ricchezza e l'intelligenza
e fatto comprendere la differenza che passa dal bello al possibile
in fatto. La mente umana avvezzavasi a meditare su tante catastrofi
e la umana volontá ad elevarsi ad immensi sacrifizi, e nasceva un
fenomeno interessante quale fu quello della diminuzione delle antipatie
nazionali; ché appunto sul campo di battaglia cominciò quella stima
reciproca che i combattimenti ispirano pel valore e che in séguito le
relazioni pacifiche dovevano vie piú confermare. E questa disposizione
contribuir doveva a bandire la frivolitá e a dare una sembianza di
maturitá anche alla gioventú, al contrario dell'epoca precedente in cui
l'etá matura ed anche avanzata conservava la leggerezza, la noncuranza,
le forme e il linguaggio stesso della gioventú. Da questo breve quadro
noi vediamo operarsi con una prodigiosa attivitá quella separazione
dall'insieme del medio evo, che indicammo essere la tendenza costante
della societá moderna, specialmente dal decimo quarto secolo in
poi; separazione resa piú compiuta nella sua fisonomia nell'epoca di
Luigi decimoquarto e nelle sue condizioni tutte in quella di cui qui
ragioniamo. Questo era ciò che volevamo provare; e non ci resta che a
ritornare sul quadro degli Stati europei dopo il congresso di Vienna in
considerazione de' suoi politici risultamenti, ed avremo risposto alle
tre rimanenti quistioni che ci eravamo proposte.

La penisola iberica avea richiamata l'attenzione e l'ammirazione
dell'Europa per la sua lunga resistenza alla dominazione francese. Ma
la sua posizione topografica, la perdita delle colonie, le interne
dissensioni e le perdite sofferte le avevan tolta ogn'importanza
positiva nelle transazioni politiche dell'Europa dopo la caduta
dell'impero francese.

La Francia ristretta ne' suoi antichi limiti, dominata ed occupata,
pareva aver molto perduto d'importanza politica; ma la sua gloria
militare non mai smentita neppure nell'avversa sorte, la sua avanzata
civiltá e le istituzioni che ne risultarono, conservavanle una potenza
morale che non cessò di esercitare sull'Europa tutta.

L'Olanda cessò di esser repubblica, ma riunita ai Paesi bassi divenne
una monarchia di secondo ordine.

L'impero germanico vide la confermazione dei re creati durante
l'impero, la distruzione de' principati ecclesiastici, la riduzione
di tutti i piccioli principi, lo scioglimento del legame feudale
rimpiazzato da una federazione. Gli eserciti delle potenze secondarie
erano comparsi con gloria sul campo di battaglia, le masse nazionali
si erano mostrate perseveranti per la difesa della propria patria e
l'intelligenza era in un movimento ascendente in tutti i rami dello
scibile. La sua missione nell'equilibrio europeo pareva esser quella di
un gran corpo destinato a impedire che il settentrione e il mezzogiorno
si urtassero in modo da dare l'universale dominio al vincitore.

La Prussia si era ingrandita e soprattutto erasi rilevata con energia
e con gloria dai suoi disastri: ella stava tra le grandi potenze
non per estensione, non per configurazione, non per l'unitá de' suoi
popoli, ma per la sua forza morale, per l'intelligenza del suo governo,
per la bontá delle sue istituzioni militari e pel vigore della sua
nazionalitá. Ciò che un grand'uomo aveva fatto nella guerra de' sette
anni la nazione intera l'aveva operato nel 1813, 1814 e 1815; la qual
cosa, unita all'intelligenza sparsa e progrediente nella societá,
davale un valore politico e militare di molto superiore alle sue forze
reali.

L'impero austriaco aveva còlto il frutto della sua perseveranza,
della soliditá del suo esercito e del patriottismo de' suoi popoli,
riprendendo tutto il perduto per la guerra e conservando i compensi di
Campoformio e la Galizia.

La Russia che aveva avuto il raro vantaggio di combattere tutta
l'Europa nel terreno che meglio le conveniva, nel 1812, ricevette
una forte impulsione da questa campagna, e nella sua reazione dominò
nel mezzogiorno, nel settentrione e nell'oriente, ricca di nuovi
acquisti sul Baltico, sulla Vistola, sul Fasi e sul Pruth; crebbe
di forza materiale e morale e di ricchezza con lo sbocco ch'ebbero i
suoi prodotti nell'Europa; eserciti numerosi, agguerriti e pazienti
assicuravano la sua potenza; e diede una nuova pruova che gli uomini
come le nazioni ignorano le loro forze se queste non sono eccitate,
mentre Carlo decimosecondo e Napoleone hanno fatto conoscere alla
Russia le risorse che aveva per difendersi dalle loro aggressioni.

La Scandinavia prese, benché tardi, parte alla guerra europea, ma
in senso opposto. La Danimarca perdé la sua marina e perdette ancor
la Norvegia che passò sotto il dominio del sovrano della Svezia.
Quest'ultima con cedere le sue possessioni di Germania restò isolata
per cosí dire dal continente europeo.

La Porta ottomana avea respirato durante la lunga guerra europea che
avea distratto i suoi nemici naturali: la pace di Bukarest nel 1812 e
lo spirito pacifico dell'Europa la garantivano contro attacchi esterni,
ma l'invasione francese aveva rotto i suoi deboli legami con l'Egitto,
e i suoi sudditi greci arricchiti dal commercio sentivano quanto vi
era di doloroso e di umiliante nella loro posizione e minacciavano una
insurrezione.

L'orgoglio e l'ambizione dell'Inghilterra erano stati compiutamente
soddisfatti, mentre avea le sue truppe accampate nel bosco di Boulogne,
tutte le flotte degli altri Stati o erano state distrutte o ridotte
a tale da non poterle resistere, ed aveva occupato Corfú ed il capo
di Buona speranza non solo, ma tutto ciò che le era convenuto. La
riputazione de' suoi eserciti aveva ecclissato quasi quella delle sue
flotte, perché queste non avevano piú nemici da combattere. Ma il
debito che restava, turbava l'economia interna del paese e reagiva
sulle sue istituzioni. Il sistema di Pitt era esaurito in tutte le
sue conseguenze e si prevedeva che nelle sue istituzioni interne come
nella sua esterna politica una potente modificazione lentamente si
avvicinava.

L'America del nord avea guadagnato col sistema continentale,
avea resistito con buon successo agl'inglesi, e questa doppia
circostanza aumentava la sua prosperitá e la sua considerazione. Il
sud dell'America era nell'anarchia, ma pareva difficile che potesse
rientrare nella dominazione delle metropoli ch'erano ad essa inferiori
non solo in estensione ma anche in popolazione.

La Polonia restò divisa tal quale lo fu nel 1794 meno una parte della
Prussia, che fu prima ducato di Varsavia e che indi riprese sotto la
dominazione russa il titolo e lo stemma del regno di Polonia.

L'Italia passiva, nelle prime campagne e poscia infelice nelle sue
guerre, passata con vari nomi sotto la dominazione francese, non ebbe
al certo, peso come potenza, ma circa dugentomila italiani sotto nomi
diversi e combattendo anche per cause opposte comparvero con onore
sul campo di battaglia. La carriera civile come la militare mostrarono
che nella lunga pace nulla si era perduto d'intelligenza e di energia
in quest'antica ed illustre famiglia d'Europa. I suoi antichi sovrani
rientrarono in possessione dei loro Stati, le repubbliche e tutte
le istituzioni del medio evo scomparvero, ed in molti Stati furono
sanzionate in parte le istituzioni che la conquista avea seco recate,
ma che essendo in armonia con la civiltá dell'Italia erano state
reclamate da' suoi sapienti e cominciate a introdurre dai suoi antichi
sovrani.

I risultamenti del congresso di Vienna come massime generali, che come
fece il trattato di Westfalia ne formano un'epoca nel dritto pubblico,
possono ridursi a' seguenti:

1. Distruzione del dritto feudale come dritto pubblico europeo, per il
che i sovrani di Germania ed i cantoni svizzeri divennero eguali fra
loro.

2. Abolizione della tratta de' neri.

3. Riconoscenza de' fatti compiti cosí nelle istituzioni come nella
posizione degl'individui e nelle transazioni territoriali. Garantia de'
dritti acquistati nella rivoluzione e nelle sue fasi. Garantia quanto
ai debiti.

4. La lingua francese dichiarata lingua legale in diplomazia in luogo
della latina.

5. Distruzione delle repubbliche del medio evo e modificazione delle
poche che restarono.

6. Lega fra le grandi potenze per conservare la pace, e per conseguenza
abbandono di tutti gli antichi risentimenti delle potenze fra loro.

7. Superioritá acquistata dal settentrione sul mezzogiorno per
l'importanza della Russia e della Prussia, per l'abbassamento della
Francia, per la poca importanza delle due penisole e per l'isolamento
dell'Inghilterra che non trovava alleati né nell'oriente né nel
settentrione.

8. I nuovi rapporti del sommo pontefice coi governi che erano fuori
del grembo della Chiesa e che avevano acquistati sudditi cattolici
favorivano la tolleranza religiosa.

Si può riassumere da quanto dicemmo che nel trattato di Munster le
alleanze furon fatte fra i lontani contro i contigui, e in quella
di Vienna facevansi fra i contigui contro i lontani, se il caso si
presentasse.

Benché non fosse ammessa l'emancipazione delle colonie, pure
dall'insieme degli atti poteva scorgersi che la tendenza era di non
riconoscere la feudalitá di uno Stato verso un altro Stato, e le
colonie erano per la loro essenza comprese in questa categoria, e
perciò la loro emancipazione esisteva in germe. Tutto tendea a separare
la societá moderna dal medio evo e completare tutto quello che da piú
secoli si operava a questo fine.

Qui terminiamo questo nostro discorso troppo lungo ed insieme
incompiuto, richiamando alla memoria de' nostri lettori le parole del
sapiente Cuvier riportate nella fine del nostro terzo discorso intorno
all'influenza della polvere da sparo sullo stato sociale e politico
dell'Europa, le quali potranno convincere piú che mai che la guerra coi
suoi metodi e colla sua azione è stato uno de' grandi istrumenti della
trasformazione che ha subito la societá moderna; trasformazione che noi
possiam solo descrivere, lasciando alla provvidenza il segreto de' suoi
impenetrabili disegni sull'avvenire dell'umanitá.



DISCORSO IX

    Intorno ai rapporti della scienza bellica colle scienze, le
    lettere, le arti e lo stato sociale, considerati sotto un
    aspetto generale dall'antichitá fino ai dí nostri.


Nei precedenti discorsi abbiamo avuto per iscopo l'indicare moltiplici
rapporti che si scovrono tra le scienze belliche, le scienze tutte
e lo stato sociale. In quest'ultimo ci proponiamo di trattare le tre
seguenti quistioni:

1. Se vi esistano rapporti, e quali sieno, tra la guerra considerata
come fatto sociale e come scienza, e la letteratura e le belle arti.

2. In quale categoria di scienze possa andar compresa la guerra
considerata come scienza, se in quella delle esatte o in quella delle
approssimative. Quale sia il metodo piú adattato per l'insegnamento di
essa, determinato il carattere che scientificamente considerata assume.
In ultimo quanta sia l'importanza dello studio teorico in una scienza
tutta di applicazione pratica.

3. Quali sieno le veritá che risultano dall'insieme del nostro
lavoro sull'importanza della scienza, e quali perfezionamenti sia
questa capace di ricevere dallo stato attuale dello scibile e della
societá[47].

Il metodo piú semplice per determinare l'esistenza de' rapporti
enunciati nella prima quistione è a nostro credere quello d'indicare
l'essenza della letteratura e delle belle arti generalmente e
partitamente, mentre, una volta ciò fatto, è facile dedurre se esistano
quei tali rapporti con una scienza di cui abbiamo fatto conoscere non
solo la natura ma le proprietá tutte sotto gli aspetti piú vari.

La letteratura e le belle arti sono a parer nostro una manifestazione
della nostra natura nelle facoltá dell'intelligenza e della
sensibilitá. In effetto tutte le produzioni letterarie come le
artistiche non sono che il risultamento dell'impiego piú o meno felice
di tali due facoltá[48]. Questo principio può dedursi dall'esame
della nostra natura, delle sue condizioni e del suo scopo; può essere
ugualmente dedotto dallo sviluppo successivo che si opera in tutte
le umane associazioni, dai primi passi nel viver civile fino ai piú
avanzati nella carriera della civiltá dei quali si possa fornire
esempio. Infatti qualunque sia lo stato di una societá, esistono negli
esseri che la compongono le facoltá e i bisogni che corrispondono
alla loro natura. Tutto il movimento progressivo dell'umanitá sta in
ciò, che per soddisfare un nuovo bisogno è necessario dar maggior
sviluppo alle nostre facoltá. Cosí la divina sapienza ha stabiliti
legami indissolubili tra la nostra natura fisica, la intellettuale e
la morale, e cosí i piú volgari bisogni dell'essere senziente hanno
servito di stimolo all'azione dell'essere intelligente, ed allora
il mezzo ha nobilitato lo scopo. Per conseguenza ciò che separa una
societá barbara da una incivilita si deduce dalla somma dei bisogni
di entrambe e dallo sviluppamento delle facoltá atte a soddisfarli. Or
se le scienze belliche, ovvero, ove esse siano ancora ignote, l'azione
della guerra, hanno la sorgente nella natura; se sono una particolare
applicazione delle umane facoltá per soddisfare un ordine di bisogni;
se gli eserciti o la parte della societá che combatte formano una
societá distinta nella general societá, che assume proprietá e
condizioni armonizzanti col suo fine; se tutto ciò è vero, siccome ci
siamo sforzati di provare, ne risulta che coteste belliche scienze sono
un riflesso della societá tutta intiera, ed in conseguenza debbono
secondarne ed esprimerne il movimento progressivo, stazionario o
retrogrado. Avendo quindi dimostrato che la letteratura e le belle arti
essendo una manifestazione della nostra natura esprimono un bisogno
e fanno sviluppare ed attivare delle facoltá per soddisfarlo, e che
questa disposizione mostrasi per gradi e con caratteri diversi nei
vari gradi d'incivilimento, possiamo cavarne di conseguenza che la
parte di ogni associazione destinata a pugnare per essa non può essere
estranea allo stato delle arti, della letteratura e delle scienze ed
allo stato sociale, o che sia temporaneamente riunita o permanentemente
organizzata.

Potremmo dire di aver risposto alla prima quistione; ma crediamo poter
dimostrare dall'essenza particolare dei rami diversi della letteratura
e delle belle arti quali sieno i rapporti che noi ricerchiamo e perché
esistano.

La letteratura secondo la nostra maniera di vedere ha per iscopo lo
esprimere per mezzo di segni alcuni bisogni che sono nell'essenza
della nostra natura, in modo che nella loro compiuta manifestazione
si mettono a luce sotto certe forme convenute i nostri sentimenti e
quelle idee che in noi sono in maggiore armonia coi primi. Questo modo
di considerare le produzioni letterarie ci sembra anche applicabile
alle belle arti, come piú innanzi faremo conoscere; e convenendo
dell'imperfezione di questa definizione, la consideriamo non pertanto
come sufficiente a facilitare l'intelligenza del nostro successivo
ragionamento, nel quale non ci sará difficile dimostrare qualmente la
guerra abbia spesso come fatto sociale fornito alla letteratura ed alle
belle arti i materiali per esercitarsi e le occasioni per produrre i
lavori piú atti ad affrontare l'azione dei secoli, ed abbia concorso ad
essere uno de' mezzi dai quali uno stato sociale possa ricevere la sua
piú compiuta espressione[49].

Se si considerano nella piú generale classificazione, i nostri
sentimenti morali possono ridursi all'amore ed all'odio: il primo
tende a riavvicinarci a tutto ciò che inspira questo sentimento, a
immedesimarci con esso; l'altro ad allontanarlo e a separarcene, fino
al punto di tendere alla sua distruzione a fine di evitarlo per sempre.
Il mondo moralmente considerato gira su queste due tendenze, come
il mondo materiale sulle due forze di attrazione e di ripulsione. La
poesia come prima forma dell'espressione de' nostri sentimenti canta
l'odio o l'amore, e tutta la magia delle sue forme tende ad attivare
al massimo grado i sentimenti che ha preso ad esprimere. Ora l'amore
per la propria famiglia e la propria tribú, e l'odio per quelle che
sono con esse in opposizione o in rivalitá, sono al tempo stesso le
passioni delle prime riunioni sociali e tendono egualmente ad ispirare
il coraggio di fare tutti i sacrifici, financo quello della vita, per
amor de' propri ed in odio degli avversari. Per conseguenza subito
che la poesia tratta le passioni dell'amore e dell'odio non nel senso
puramente individuale ma nel collettivo, queste passioni si trovano
trasformate in canti guerrieri, destinati ad eccitare il valore per
mezzo dell'indignazione verso i nemici e dell'affezione pei propri e
la rassegnazione a sopportare tutti i tormenti che la fortuna delle
armi riserba ai vinti nelle barbare societá. È ben naturale che per
ispirare una generosa emulazione le geste de' tempi andati, gli effetti
della vittoria e quelli piú tristi della disfatta sieno mezzi tutti
che la poesia adoperi per eccitare le passioni necessarie al buon
successo della lotta. Cosí la poesia diviene storica ed epica al tempo
stesso, e la parte che la divinitá prende all'impresa per appoggiarla
come giusta o per condannarla come alla giustizia contraria, riveste
di un carattere teologico e mistico le poesie dei popoli in questo
stato di societá. I selvaggi dell'America e dell'Affrica, gli scaldi
e i bardi presso gli scandinavi e le popolazioni celtiche ed orientali
attestano la nostra asserzione, cioè che nelle prime societá la poesia
era in rapporto diretto con la guerra. In quelle piú incivilite
vediamo riprodursi questa connessione con quelle condizioni che il
grado di civiltá determina. In effetto il popolo ebraico aveva i suoi
poeti che cantavano la guerra. Lo stesso era presso gli arabi. Anche
nelle contrade misteriose dell'India si vedono dei poemi destinati ad
eccitare le passioni guerriere ed a conservare le tradizioni cosí delle
geste de' grandi uomini che degli odii nazionali. Il poema conosciuto
sotto il nome di _Niebelugen_ per la Germania è tra questi. I greci
nell'antichitá avevano i loro canti di guerra, e basta per farne
prova il nominare Tirteo. Il Feuriel e il barone Eckstein hanno fatto
conoscere quelli dei greci moderni e degli abitanti della Servia. Nei
tempi nostri abbiamo anche veduto in Prussia ed in Francia ed in Russia
delle composizioni ad uso degli eserciti. Considerando la poesia in
uno de' suoi modi piú elevati qual è quello dell'epica composizione,
non abbiamo che a richiamare l'attenzione dei nostri lettori su ciò
che dicemmo nel nostro primo discorso, cioè dire che tutte le grandi
epiche composizioni, come l'_Iliade_, l'_Eneide_, la _Gerusalemme_, la
_Henriade_, sono tutte destinate a descrivere una guerra, come soggetto
che presenta ad un tempo il maggior numero di grandi caratteri, di
forti passioni e di situazioni difficili; elementi tutti che innalzano
e facilitano il genio del poeta ed il merito della composizione.

La musica nei suoi metodi informi è contemporanea dei primi saggi della
poesia e può considerarsi come una ausiliaria di lei. Osservata nella
sua essenza e nel suo scopo è facile vedere che sorge dalle stesse
disposizioni, tende a soddisfare gli stessi bisogni, ad eccitare ed a
rinvigorire le stesse passioni o dolci o veementi, esprimendo l'amore
o l'ira: per queste ragioni tutte è stata sempre la fedel compagna
della poesia, molto avendo di comune con essa[50]. Perciò vediamo
i guerrieri in tutti i tempi essere animati da istrumenti atti ad
eccitarli nelle fazioni guerresche o a graduare i loro sforzi a seconda
de' bisogni. Questo carattere e questo scopo della musica militare
segna il passaggio dal periodo di assenza d'ordine tattico a quello
che ne ha giá uno: nel primo caso la musica è un puro eccitamento,
nel secondo acquista di giá un carattere moderatore. In effetto Omero
distingue i greci dai barbari dalla loro marcia eguale al suono del
flauto; e Paolo Giovio descrivendo l'esercito di Carlo ottavo nella
sua entrata in Roma, nota come misura dell'imponenza di quell'esercito
ordinato in modo nuovo, che i tedeschi e gli svizzeri marciavano in
cadenza al suono de' militari istrumenti. La musica militare si è
perfezionata e si è talmente livellata con lo stato della scienza
militare e con quello della musica in generale, che ai nostri dí
abbiamo veduto stabilirsi tale connessione intra esse che si è marciato
all'oppugnazione di un ridotto vomitando la morte e il dolore con le
arie di un dramma ove tutto respirava l'amore, e si è accompagnata
nel teatro la musica vocale dagl'istrumenti militari piú sonori e piú
esprimenti il fragore delle battaglie. Segno novello della fusione
della societá, fusione che bisogna osservare in tutto ciò che ne
offre indizio, dalle piú alte alle minime manifestazioni[51]. La piú
piccola esperienza di guerra ed anche di semplice servizio militare fa
conoscere quanta influenza abbiano anche i meno armonici istrumenti per
ravvivare nelle marcie la spossatezza de' soldati, e come il cantare
nella stessa occasione ne allevii la fatica; pruova significativa della
natura morale dell'uomo, ch'è suscettiva di ricevere l'impulsione e di
accrescere le sue forze con mezzi che operano sulla sua immaginazione
e la sua sensibilitá. Le storiche tradizioni ci parlano dell'effetto
straordinario della musica sui greci; cosí che si è creduto che questo
genere d'armonia di cui non è restato vestigio alcuno, avesse nella
sua natura e nel suo merito intrinseco la ragione degli straordinari
suoi effetti, mentre è piú naturale credere che quel vivo entusiasmo
risultasse dalla disposizione, dall'organizzazione e dall'insieme delle
circostanze di quel popolo. Quando la societá attuale della Svizzera
sará cambiata, quando i suoi abitanti avranno obbliata la cantilena
che li rende ammalati sulla terra straniera, che cosa mai penserassi
dell'armonia di quel canto da coloro che ne leggeranno gli effetti?
Maraviglie! E pure niente è meno mirabile. Il suo incanto nasce dal
rapporto delle persone con le idee e con le rimembranze che suscita.

Passando alla pittura e alla scoltura non può negarsi ch'esse sorgano
dallo stesso principio che la poesia e la musica e tendano allo stesso
scopo, ma con forme tutte proprie; tendono cioè ad eccitare le due
principali passioni nelle quali crediamo che tutte le altre sieno
contenute come diramazioni o graduazioni di esse. Infatti se si voglia
analizzare filosoficamente e ricercare storicamente che cosa possono
prefiggersi queste due arti ed in che senso sieno state adoperate, ne
risulterá che tendono a perpetuare la memoria dei sentimenti esaltati
di amore o di odio e di tutti gli avvenimenti piú celebri che ne sono
derivati, per lasciare esempio ed impulso alle future generazioni,
ispirando loro il rispetto per gli eroi individualmente o per le azioni
eroiche collettivamente operate, ed a fermare con monumenti perenni
le ère importanti nella storia delle nazioni. Non vi è bisogno di dire
che i ritratti de' grandi uomini, le rappresentazioni degli avvenimenti
importanti, le statue elevate ai primi, i monumenti commemorativi degli
altri e le medaglie, che sono come l'ausilio delle due arti, hanno per
lo piú per iscopo di lasciare ai posteri l'aspetto dei gran capitani
o la loro intiera figura, e che tutti i quadri e i monumenti che
tengono per loro fine particolare quello di rintracciare i primi passi
e le successive vicende delle nazioni debbono naturalmente occuparsi
dei gran guerrieri, delle guerre e dei fatti principali di esse. E
cosí ci par chiaro che la scoltura del pari che la pittura, la musica
egualmente che la poesia, abbiano moltiplici rapporti con la guerra. La
storia delle arti ricavata dai monumenti pruova la nostra asserzione.

L'esame dei rapporti ch'esistono tra la guerra e la letteratura nelle
produzioni dell'eloquenza, della storia e della parte dogmatica ci
daranno maggior pruova delle idee che enunciammo.

L'eloquenza nella sua essenza e nel suo scopo ha le stesse proprietá
che nella poesia abbiamo riconosciute; ma benché l'eloquenza possa
ritrovarsi in ogni periodo dello stato sociale, quando vive passioni ed
alti interessi ispirano i suoi organi, pur nondimeno solo in un'epoca
di avanzata civiltá è sottomessa a metodi certi che ne fermano le
regole e riveste un carattere piú positivo e piú compiuto. I rapporti
di questo ramo della letteratura con le scienze belliche non han
quasi bisogno di una dimostrazione razionale, mentre tutti gli storici
avvenimenti sono ricchi di fatti che rendono incontestabile la loro
esistenza. In effetto dalle istigazioni dei capi de' selvaggi alle
loro tribú per eccitarle a combattere, dalle loro laconiche risposte
per provare con quale stoicismo sapessero sopportare l'avversa
fortuna, dalle concioni degli antichi capitani per animare il loro
esercito infino agli ordini del giorno dei moderni — tra i quali son
primi quelli di Bonaparte, considerati nel loro merito letterario
e soprattutto nei loro effetti sulle truppe, — vediamo l'eloquenza,
egualmente che la musica e la poesia, tendere ad uno stesso scopo,
all'eccitamento cioè delle passioni della guerra, e vediamo l'azione
de' mezzi da essa adoperati disegnarsi e graduarsi in ragione
dell'esercito al quale s'indirizza, riguardandolo come simbolo del
secolo e del popolo da cui sorge[52]. Le orazioni funebri per celebrare
le geste de' guerrieri e render loro gli ultimi offici sono anche
un uso dell'eloquenza, che tende a risvegliare vieppiú ne' vivi il
desiderio di emulare i sacrifizi utili alla patria che operarono i
trapassati, e ad inspirar loro la riconoscenza ed il rispetto per quei
che il gran sacrificio di giá consumarono a pro del comune. Quella
pronunziata da Pericle e riportata da Tucidide nella _Guerra del
Peloponneso_, le parole eloquenti di Demostene che giustificava la
guerra benché infelice contro Filippo e giurava per le ceneri degli
estinti in quella lotta, rivestono tutte l'istesso carattere e si
prefiggono lo stesso scopo.

Quando portiamo il nostro sguardo sulle storiche composizioni non
ci è difficile di scorgere che i loro autori mirano ad attingere lo
stesso scopo dai poeti raggiunto nelle prime epoche della vita de'
popoli, cioè a delineare il quadro delle azioni e degli uomini illustri
che avevano contribuito allo stabilimento, alla conservazione o
all'ingrandimento dello Stato. La sola differenza è nel metodo, mentre
i racconti in prosa, rivestiti di tutti i caratteri dell'istoria,
dimostrano popoli di giá inoltrati nella civiltá, la lingua dei quali è
fermata. Infatti Erodoto, padre dell'istoria, compose il suo immortale
racconto che lesse in una solennitá nazionale per descrivere la lotta
sproporzionata in cui i greci trionfarono dei persiani, l'Europa
dell'Asia e la civiltá che progredisce di quella che sta ferma.
Tucidide, Senofonte, Livio, Sallustio e Tacito raccontano nelle loro
storie le guerre che hanno contraddistinto i periodi da essi descritti,
e da queste narrazioni si deduce l'avanzamento o la decadenza delle
nazioni. Polibio e Plutarco altro scopo non presero di mira nelle loro
opere, benché il facessero sotto forma diversa, ma pure riflettendo
pienamente lo stato della civiltá. Sarebbe lungo e fastidioso il
richiamare alla memoria de' nostri colti lettori tutti gli storici
moderni. Faremo solamente osservare che nei primi periodi del medio
evo anche per mezzo della poesia si trasmisero alla posteritá le gesta
di quell'epoca di barbarie, conseguitarono a queste composizioni
le cronache, e quindi nel primo apparire della civiltá sursero gli
storici: le guerre sacre o le crociate diedero occasione a Guglielmo
di Tiro, a Joinville ed agli storici italiani di far rinascere quel
genere di eloquenza esprimente i passi fatti nella civiltá. In effetto
le gran composizioni di questo genere, ch'ebbe nel Machiavelli, nel
Guicciardini, nel Davila, nel Bentivoglio e nel Paruta i suoi piú
distinti organi in Italia, furon dirette a descrivere alcune di quelle
grandi crisi sociali in cui i popoli si urtano, si confondono e si
modificano.

Siccome poi esercitandosi le facoltá intellettuali e progredendo
perciò l'intelligenza, vengonsi suddividendo le branche dello scibile,
cosí sorse la letteratura didascalica, cioè quella che prescrive
le regole per dare alle letterarie produzioni tutte le condizioni
necessarie a renderle finite nel loro genere, sottomettendole ai
metodi corrispondenti al fine che si prefiggono. Allora la scienza
militare ebbe un genere a questo corrispondente e divenne ricca di
opere in ragione dello stato dello scibile e della civiltá della
nazione intiera, ed allora si videro trattati di tattica, di strategia,
di fortificazione, d'amministrazione militare, come nell'ordine
civile quelli di giurisprudenza, di medicina, di economia politica.
Questo andamento costante dev'essere sicuramente il risultamento
d'una legge della natura e non di un caso fortuito, il quale non
potrebbe riprodursi con tanta costanza da per ogni dove. Infatti nei
primi periodi di coltura intellettuale, se la divisione del lavoro
letterariamente e scientificamente considerato non ha ricevuto un
vasto sviluppamento, ne risulterá che l'istoria narri tutti i fatti
qualunque sia la loro natura. In epoca piú avanzata in civiltá le
storiche produzioni si dividono in civili, intellettuali e militari;
distinzione che corrisponde a quella della societá considerata nel suo
stato regolare, nel suo sviluppamento intellettuale e nelle sue crisi,
ossia nel suo stato d'azione e di reazione. I primi storici puramente
militari sono stati gli attori delle guerre celebri o i gran capitani
di tutti i secoli, che furono gelosi di trasmettere alla piú lontana
posteritá le loro azioni e i loro esempi. I commentari di Cesare,
le opere di Senofonte e di Ammiano Marcellino pel basso impero, di
Villardoyn e di Joinville per le crociate, di Montecuccoli, Rohan,
Turenna, Catinat, Villars, Federico, Napoleone e di tutti gl'illustri
capitani de' nostri tempi che hanno scritte memorie delle proprie
azioni, quali Jourdan, l'arciduca Carlo, Suchet, Saint-Cyr, sono di
questo genere. Vengono indi le opere istorico-critiche, che non posson
essere prodotte ove la scienza non è fermata, altrimenti mancherebbe
il principale carattere di queste produzioni, ch'è quello di misurare
il merito de' fatti sulla scala de' princípi: per cui tali opere non
cominciano che nel secolo di Luigi decimoquarto con il Quinci storico
militare di quell'epoca; abbondarono molto piú nel decimottavo secolo,
ove il Lloyd, il Temphelof, il Rettzov e tanti altri si sono distinti
in questa carriera che ha prodotto ai dí nostri il Dumas, il Jomini,
il Pelet, il Vagner, il Muffling, il Napier, il Vaccani ed altri meno
distinti ma utili egualmente nella loro sfera. Questa abbondanza di
scrittori dimostra che la scienza è fermata in corpo di dottrine, e che
in una associazione qualunque è impossibile che una scienza tutta dalle
altre derivante sia giunta a questo stato di avanzamento senza che
tutto lo scibile umano abbia fatto corrispondenti progressi; e il veder
trattata la filosofia della guerra da distinti autori, come il Lloyd,
il Jomini, il Chambry, il Critis professore a Torino, è una pruova
luminosa dell'essersi considerati tutti i rapporti che le scienze
fisiche e morali hanno con la guerra dalla quale sono riassunte.

Per restringere quanto abbiamo detto come soluzione della prima
quistione che ci siam fatta, possiamo dire:

1. Che la letteratura e le belle arti essendo una manifestazione dei
nostri sentimenti hanno origine e scopo comune.

2. Che si prefiggono in generale di dirigere l'umanitá nelle due
passioni predominanti, l'amore e l'odio, e d'indicare ciò che dee
ispirarci il primo sentimento o ciò che il secondo.

3. Che o le nazioni facciano la guerra con tutti gli uomini validi o
con parte eletta, la letteratura e le belle arti avranno sulla parte
combattente una influenza proporzionata a quella che esercitano sulla
societá intiera.

4. Che i canti guerrieri, la musica che vi corrisponde, i quadri che
conservano le sembianze dei grandi uomini o delle grandi azioni, i
monumenti eretti in ogni forma per eternare la gloria e per richiamare
la riconoscenza delle future generazioni altro non sono che delle forme
varie per eccitare le stesse passioni. E questa è la parte invariabile
di questi rapporti, perché la variabile sta nel grado di perfezione
di queste produzioni che simboleggiano e rivelano lo stato sociale
e le sue condizioni; per cui gl'informi disegni dei messicani o un
quadro di Apelle o di Raffaele esprimono la stessa idea malgrado di
tanta differenza nell'esecuzione, ed un masso di pietra o una figura
abbozzata — monumento di cui i compatrioti di Vercingetorige e di
Arminio si servivano per eternare i fatti e per ricordare gli uomini
illustri — ispirano lo stesso sentimento che i monumenti eretti dal
genio di Fidia, di Michelangelo e di Canova, come la colonna traiana e
quella della piazza Vandôme.

Ci pare aver assai chiaramente indicato l'esistenza dei rapporti della
guerra con la letteratura e le arti: da dove traggano origine, ove
tendano, i suoi caratteri e le sue condizioni e la loro parte variabile
come espressione dello stato sociale; e cosí abbiam risposto alla prima
quistione.

La seconda quistione che ci accingiamo a risolvere presenta come prima
parte alla soluzione di essa il determinare in quale classificazione
scientifica debba situarsi la guerra cosí considerata e dimostrata.
Per dar forma piú propria a questa parte della quistione intiera,
cercheremo di rispondere a questa interrogazione: — Se la guerra
come scienza debba essere annoverata tra le scienze esatte o tra le
approssimative e a quali di queste piú si avvicini.

La guerra può considerarsi come un metodo da imprimere una direzione
determinata ad un numero di uomini organizzati in una particolar
societá, destinata per suo fine a far tacere la natura nei suoi forti
impulsi del pari che nelle sue prime leggi, e ad agire a seconda
delle circostanze e di tutti gli accessori che vi hanno relazione.
Da questa definizione si può dedurre che la scienza bellica per la
sua organizzazione si lega alle politiche istituzioni; pei gradi di
volontá che dee mettere in movimento, alla piú alta filosofia; e per
le sue pratiche, alle scienze esatte e naturali; e che ha bisogno
d'ingegno per trar partito da tutte le varie combinazioni che lo
spazio, il tempo e gli accidenti presentano. Da ciò risulta che non
può essere classificata tra le scienze esatte nel senso piú esteso del
termine, mentre dee far entrare nelle sue previsioni e nei suoi calcoli
l'azione della volontá individuale e tutte le circostanze imprevedute
ed improvvise. La guerra senza dubbio come scienza poggia sulle
scienze esatte, poiché nel complesso delle sue operazioni si riduce
ad un calcolo di spazio e di tempo. La tattica, che piú si rapporta
all'arte nelle sue applicazioni, ha le stesse basi fondamentali,
giacché risolve in ispazi piú circoscritti gli stessi problemi che
la scienza risolve in ispazi piú vasti. Ma sí l'una che l'altra
debbono modificare nelle loro applicazioni la severitá de' principi
scientifici a secondo delle circostanze locali. Se è vero che tutte le
arti elevate a princípi generali si trasformino in scienze, cosí come
tutte le scienze discendendo alla pratica applicazione assumono il
carattere di arti, la guerra ancora dee seguire questa legge comune; ma
a differenza delle altre scienze in cui i sapienti restano nella sfera
della speculazione e non discendono a farne l'applicazione, in questa
uno stesso individuo dee disimpegnare questa doppia funzione, mentre
un puro sapiente nelle belliche scienze incorre nella taccia data al
retore di Efeso: e ciò è ben naturale in una scienza che trae tutta
la sua importanza dai risultamenti materiali. Queste considerazioni
sono tali da far credere che siccome la guerra non può esser compresa
tra le scienze esatte, per la moltiplicitá degli incidenti cui va
sottoposta e per la varietá degli elementi ch'entrano nei calcoli
che le son propri, cosí possa emettersi per soluzione del quesito la
proposizione seguente: — Malgrado di che le scienze esatte sieno il
fondamento della guerra, nondimeno questa considerata nel suo tutto non
può essere classificata tra quelle, ma lo può essere con piú ragione
tra le scienze approssimative, avendo in considerazione e condizioni e
il marchio da cui queste sono contraddistinte.

Determinato ove possa classificarsi la scienza bellica, ne risulta
che il metodo migliore pel suo insegnamento debba esser quello che
sia il piú atto a ciò conseguire nelle scienze che rivestono lo
stesso carattere ed alle quali trovasi assimigliata. Risulta da quanto
dicemmo che il metodo analitico è quello che debbe preferirsi pel suo
insegnamento. Ed invero le sue regole sono state formate sulle ripetute
osservazioni di tanti casi particolari, dai quali si è dedotto che
bisognava cosí agire in casi simili[53]. Difatti fra i popoli che hanno
percorso un lungo periodo di guerra combinato con un grado di civiltá
corrispondente, si vedono sorgere gli autori militari, mentre è ben
naturale che la scienza si applichi nello stesso modo che si è formata
per istruire quelli che vogliono possederla; ed in effetto il metodo
analitico è quello piú comunemente seguito dai professori egualmente
che dagli scrittori della scienza guerresca. Ma è pur anche vero che
una volta che l'analisi procedendo dal noto all'ignoto ha ritrovato
i principi di una scienza, sia un bisogno della nostra intellettuale
natura che vengano esposti in corpo di dottrina coll'ordine sintetico,
il quale compie cosí il metodo d'insegnamento. Nessun dubbio cade
che gli uomini superiori cui la natura ha riccamente dotati di tutte
le facoltá necessarie pei gran comandi, trovino un utile ausilio
nell'analisi per dar maggior sviluppamento alle loro idee; ma è
ugualmente vero che per gli esseri privilegiati le regole di una
scienza considerate in un modo stretto sieno piú atte a comprimere che
a dirigere il loro genio nella sua rapida intuizione. Uomini di questa
tempra leggono nel libro della natura e vi trovano rapporti che al
talento stesso sfuggono o solo gli scovre dopo molto tempo e lavoro,
mentre destinati questi sono a formarsi successivamente a forza di
esperienza e di studio tra essi comparati. È cosí che possono rendere
importanti ed utili servizi ed ottenere un grado d'illustrazione
corrispondente; è per essi che il metodo sintetico preceduto
dall'analitico e combinato con esso può favorire lo sviluppamento delle
loro facoltá e farne degli uomini di guerra, i quali hanno bisogno di
restar Circoscritti nelle regole che la scienza e l'arte prescrivono;
mentre dal volersene affrancare quando non si è dotato di genio, ne
risulta che la mediocritá abbandonata a se stessa produce mali maggiori
e non punto capaci di compararsi ai felici effetti di qualche rara e
fortuita ispirazione, mali che le regole esattamente seguite avrebbero
impedito.

Stabilito il posto che occupa la scienza della guerra tra le scienze e
determinato il metodo che meglio si confá al suo insegnamento, non solo
abbiam risposto alla prima e alla seconda parte della nostra quistione,
ma anche di molto avanzata la risoluzione della terza che ne deriva,
cioè l'importanza dello studio teorico in una scienza tutta d'azione,
sulla quale ora esporremo la nostra opinione.

Nella maniera di vedere in questa quistione non tutti convengono,
e a nostro credere tale divergenza ha origine o da un significato
diverso dato alla stessa parola o da qualche falsa associazione
d'idee: quindi ci crediamo obbligati a sviluppare le nostre idee
sull'assunto. L'esperienza ha mostrato che degli uomini privi d'ogni
istruzione teorica han fatto buona riuscita nella guerra, ed ha
mostrato egualmente che degli uomini aventi fondata opinione d'istruiti
a fondo nella teoria dell'arte hanno avuto poco felice esito alla
pruova. Si è detto allora che lo studio danneggiasse anziché favorisse
l'applicazione ai fatti nei quali si riassume la guerra. Ci sembra
esservi un doppio errore, primieramente nel senso dato alla parola
«studio», in secondo luogo nell'associazione dello studio con la poco
buona riuscita in pratica. Per quanto si abbia poca abitudine nel
calcolare le operazioni intellettuali che conducono alla formazione
delle nostre idee, ognun sa che le sensazioni non fecondate da nessuna
riflessione, non ruminate, per servirci di una espressione materiale,
si rimangono mere impressioni, lasciano il vago di un sogno e quanto
piú sieno moltiplicate tanto piú è difficile classificarle e renderne
conto con qualche precisione. Tutti quelli che hanno avuto occasione
di conversare con uomini che abbian fatto lunghi viaggi o sieno stati
attori in lunghe guerre su teatri diversi, sono restati sorpresi di
non trovare nessuno interesse nella loro conversazione con essi, mentre
tanto se ne promettevano; perché non essendo questi tali dotati della
facoltá di meditare e di classificare, ignoravano compiutamente dove
fosse accaduto il tal fatto, quando, come, perché, e simili altre
circostanze: imperocché è una legge della nostra natura che il lavoro
crei i valori materiali e intellettuali; per lo che un uomo ricco
di dovizie egualmente che un uomo ricco di sensazioni si troveranno
poveri laddove non sappiano la loro ricchezza col lavoro fecondare.
Uomini che hanno divorato delle biblioteche, ma che non hanno mai
riflettuto, mai discusso con l'autore, mai letto con la penna in
mano, si trovano riguardo alle impressioni che han ricevuto nei libri
nello stesso caso del viaggiatore e del militare che non han potuto
né riassumere né determinare il valore delle moltiplici sensazioni
che gli hanno colpiti. Per conseguenza né il vedere né il leggere
insegna niente, perché le sensazioni isolate del pari che le letture
non sono né esperienza né studio, e perché non si ha esperienza vera
senza studio, come piú innanzi vedremo. — «Che vale il vivere se non
si fa che vegetare? che vale il vedere se non si fa che ammassare
de' fatti nella memoria? che vale in una parola l'esperienza se non
è diretta dalla riflessione? — La guerra — dice Vegezio — dev'essere
uno studio, e la pace un esercizio. — Il solo pensiero, o per meglio
dire, la facoltá di combinare le idee, distingue l'uomo dalle bestie
da soma. Un mulo che avesse fatto dieci campagne sotto il principe
Eugenio non sarebbe per ciò divenuto miglior tattico, e fa d'uopo
confessare in onta all'umanitá che per cotesta pigra stupiditá molti
vecchi uffiziali non sono da piú di tali muli. Seguir la pratica
usuale, occuparsi del proprio alimento e del proprio alloggio, mangiar
quando si mangia, battersi quando tutti si battono, ecco in che la
piú parte fa consistere l'aver fatto campagne e l'essersi incanutito
sotto l'arnese». — Cosí scriveva il gran Federico al generale Fouquet;
e questo passo nel mentre che appoggia la nostra opinione, servirá a
meglio far comprendere il séguito del nostro ragionamento.

Difatto un uomo dotato dello spirito di osservazione e di
classificazione, benché analfabeta, se compara, analizza, classifica,
distingue e fa tutte le operazioni intellettuali, avrá tosto elevate
le sue sensazioni ad esperienza e la sua esperienza a teoria; il
suo conversare sará lucido e interessante e porterá la convinzione
negli animi. E si dirá di questo uomo che non ha studiato? Errore di
parola: egli non ha letto, ma ha studiato, poiché la sua intelligenza
non è stata inerte, anzi ha dovuto piú operare, essendo egli privo
degl'istrumenti che ne facilitano le operazioni, quali sono i metodi
scientifici o la cognizione degli antecedenti. Purtroppo quest'uomo
sa, perché ha studiato, e ciò che ignora lo ignora per mancanza delle
conoscenze che ne facilitavano la scienza, mentre avrebbe tratto egual
partito dai libri che dalle sue sensazioni, avendo nel suo intelletto
la tendenza ad ordinare e a fecondare tutto ciò che gli si offriva
dinanzi. Un uomo istruito che al contrario non sa né differenziare
né integrare né riassumere le sue letture, non fa buona riuscita. E
perché? Perché ha letto e non ha studiato. Come potrá quindi applicare
con sicurezza dei princípi che non ha? Incerto nelle idee sará
indeciso nelle azioni; discuterá molto e opererá poco e forse male,
non certamente perché ha studiato ma perché non l'ha fatto. Perciò lo
studio è necessario al militare come ad ogni uomo, e l'errore sta in
una falsa interpetrazione delle parole «studio», «esperienza», «teoria»
ed in una falsa associazione d'idee, prendendo i risultamenti come
effetti di una circostanza che manca, nel mentre che sonosi ottenuti
malgrado della sua mancanza, senza della quale sarebbero stati piú
compiuti. Ma non havvi nessun dubbio che in un mestiere tutto di
azione la forza di carattere, la robustezza fisica sono di un'utilitá
indispensabile e nulla può alla prima supplire. Non possiamo meglio
svolgere la nostra idea se non che riportando l'opinione di Napoleone
sulle qualitá di un capitano, ch'è applicabile ad ogni uomo investito
d'alte cariche in tutti i rami; e siccome nei posti secondari le stesse
condizioni sono necessarie, ma ristrette e limitate in proporzione
della natura e dell'importanza dei doveri che debbonsi compiere e delle
cose che debbonsi operare, cosí a noi sembra che la seguente sentenza
possa applicarsi a tutte le condizioni. — «La prima qualitá d'un
generale in capo si è d'avere una mente fredda che riceva una giusta
impressione dagli oggetti: egli non dee lasciarsi abbagliare per una
buona o per una cattiva nuova; le sensazioni che riceve successivamente
o simultaneamente nel corso d'un giorno debbono classificarsi nella
sua memoria in modo da non prenderne che quel luogo che meritino
di occupare, perché la ragione e 'l giudizio sono il risultamento
del paragone di piú sensazioni prese in egual considerazione. Havvi
degli uomini che per la loro costituzione fisica e morale si fanno
un quadro d'ogni cosa; per qualunque sapere, acutezza di mente,
coraggio o altra buona qualitá che abbiano altronde, la natura non
gli ha chiamati al comando degli eserciti e alla direzione delle
grandi operazioni della guerra»[54]. — Questo passo pieno di profonde
vedute determina le qualitá necessarie per comandare e le operazioni
che debbono farsi nella sua intelligenza da chi ha questa missione,
e corrisponde del tutto all'idea che abbiamo esposta sulla natura e
sulla proprietá dello studio, ed è applicabile non solo all'arte della
guerra, ma anche a quelle funzioni tutte alle quali un uomo può essere
destinato. Lo stesso grand'uomo indica egualmente qual sia l'ausilio
che debbono cercare dall'istruzione i militari elevati in grado,
per meglio trar partito e per isviluppare compiutamente le enumerate
qualitá d'intelligenza e di forza d'animo. Ecco com'egli si esprime: —
«Leggete e rileggete le campagne d'Alessandro, d'Annibale, di Cesare,
di Gustavo, di Turenna, di Eugenio, di Federico; modellatevi sopra di
essi: ecco il solo mezzo di divenir gran capitano e di sorprendere i
gran segreti dell'arte della guerra. Il vostro ingegno rischiarato da
questo studio vi fará rifiutare le massime opposte a quelle di cotesti
grandi uomini».

Da ciò che dicono Federico e Napoleone risulta chiaramente che vi è
una scienza per la quale si scovrono le cagioni de' buoni successi e
de' rovesci, e che insegna come si ottengano i primi e si evitino i
secondi alla guerra; ma che bisogna per possederla avere una chiara
intelligenza ed una volontá forte, occuparsi a classificare le idee a
forza di meditazione e profittare delle tradizioni dei grandi uomini
per dar l'ultima mano a questo studio, imperocché il piú ricco capitale
di militare esperienza non è mai sufficiente a presentare tutta la
serie delle combinazioni che la guerra offre, laonde è necessario
riceverla nell'istoria militare di tutti i tempi, e particolarmente
de' periodi in cui la scienza avea progredito e veniva posta in
pratica da' gran capitani. Malgrado di autoritá cosí imponenti non
si cesserá mai di dire da molti che la teoria non è pratica e che la
pratica sta tutta in un'arte di applicazione. A costoro non si può
meglio rispondere che colle parole di un profondo filosofo ed oratore,
il quale in una solenne occasione diceva: — «Disprezzare la teoria
è mostrar l'orgogliosissima pretensione d'agire senza saper ciò che
si fa e di parlare ignorando ciò che si dice». — Se ciò è assurdo in
tutte le operazioni umane, diviene poi atroce quando l'ignoranza dá per
risultamento una quantitá di vittime di nostri simili.

È questo l'ultimo punto di veduta che ci rimane ad esporre, cioè lo
studio dell'arte considerato nei suoi rapporti con la morale; e siccome
questo lato della quistione può sembrare strano ad alcuni e superfluo
ed oscuro ad altri, cosí ci pare essere obbligati a svolgere le nostre
idee su questo oggetto.

L'obbiezione piú naturale che ci si fará contro la necessitá di
studiare l'arte sará la seguente. — Se da quanto si è premesso risulta
che per avere l'attitudine al mestiere delle armi nei diversi gradi
si richiedono principalmente delle disposizioni d'intelligenza e
di volontá, se possedendo queste si trae vantaggio dall'esperienza
e dallo studio, e quando esse mancano sono egualmente sterili e
l'una e l'altro, ne vien di conseguenza che gli esseri felicemente
organizzati potranno far di meno dello studio e quelli che non hanno
gli stessi vantaggi studieranno inutilmente, non potendo dallo studio
ricavare profitto alcuno: quindi non si comprende ove risiedano
i rapporti dello studio con la morale. — Questa obbiezione che a
prima vista pare vigorosa, rientra in un'altra piú elevata, ch'è
quella di determinare fino a qual punto l'istruzione sia un elemento
dell'educazione, considerata questa nel suo senso piú largo, cioè
come atta a formare una volontá retta e forte da accompagnarci in
tutte le determinazioni che prendiamo. Ora non vi è dubbio che si è
esagerata nelle moderne societá l'azione delle idee sulla formazione
di ciò che chiamasi «carattere morale», tanto piú che l'educazione
è stata circoscritta all'istruzione; il che non era nell'antichitá
e neanche nel medio evo. Ma da un altro lato come negare l'influenza
dell'intendimento sulla volontá, delle idee sulle azioni? Come spiegare
l'organizzazione dell'uomo, la sua morale responsabilitá come essere
libero e intelligente, che è piena sotto ogni aspetto civile, morale e
religioso? Donde nasce quella costante preoccupazione d'impadronirsi
d'ogni sorgente di comunicazione delle idee e di evitarne l'uso
agli avversari? donde l'istruzione, la predicazione, la stampa? Come
spiegare che nella riunione di uomini detta «esercito», destinata per
necessaria istituzione e per l'interesse della sua conservazione ad
una ubbidienza passiva, e che si suppone aver fuse panteisticamente
tutte le volontá e tutte le intelligenze di cui è composta nel suo
capo, il quale gliene rende la parte necessaria all'esecuzione de'
suoi ordini; come spiegare che in tal riunione accada che cotesto
capo indrizzi ai componenti di essa e concioni ed ordini del giorno e
si diriga alla loro intelligenza per convincerli, alla loro volontá
per trovare sostegno ed ai loro sentimenti per eccitarli? Tutto ciò
sí costantemente ripetuto dimostra che l'umanitá ha sempre creduto
che le idee avessero una potente influenza sulle azioni, che l'uomo
in qualunque situazione non è mai puramente macchina, e che per
conseguente l'intelligenza e la volontá diversamente dirette gli fanno
seguire differenti serie d'azioni. Da ciò ne deriva come corollario
che lo studio dell'arte contribuisce a formare e a render forti i
caratteri non assolutamente ma relativamente, come concausa e non come
unica cagione. Lo studio dee considerarsi come disciplinatore delle
abitudini, come occupazione, come facente conoscere la natura delle
cose che sono fenomeni per l'ignorante e gli tolgono ogni coraggio
(perché questo cede quando ignora le forze che dee affrontare e la
loro natura, del che son pruova i combattimenti notturni), per cui
la scienza dá il coraggio o almeno toglie una infinitá di timori che
assediano l'ignoranza. In effetto che cosa è il veterano? È l'uomo
che ha calcolato quella misura de' pericoli che il coscritto ignora,
cioè che ha una cognizione di cui l'altro manca. Sotto questo aspetto
il gran Bacone esprimeva laconicamente questo pensiero dicendo: «La
scienza è forza». Lo studio mette i membri di questa societá dianzi
accennata in contatto con grandi avvenimenti e con gran caratteri,
rende agevole il trovar voluttá nella solitudine e bandisce le
frivolitá tutte che rendono gli uomini piccoli ed il dramma della vita
meschino, con qualche cosa di grave, di solenne e di morale. Difatti
un militare che abbia molto guerreggiato o che abbia molto studiato
la scienza bellica sará piú grave, piú importante anche in societá
di uno che abbia vissuto nelle guarnigioni ignorando l'importanza
del suo stato, che la sola applicazione rivela. Gli uffiziali che
appartengono ai corpi facoltativi hanno un carattere di soliditá
e d'istruzione anche in piena pace, ed in guerra è tra essi che si
trovano in un maggior numero quegli uomini disegnati da Napoleone
in un'epoca strepitosa, alla fine del passo che qui riportiamo del
ventesimonono bullettino dell'anno 1812, in cui dopo aver annunziato la
venuta di un freddo eccessivo, cosí si esprime: — «Gli uomini cui la
natura non ha dato tempra sí forte da esser superiori a ogni vicenda
della sorte e della fortuna perdettero la loro gaiezza, il lor buono
umore e non pensarono che a disgrazie e a catastrofi; coloro ch'ella
ha creati superiori a ogni cosa conservarono la gaiezza e le maniere
consuete, e videro una nuova gloria nelle varie difficoltá ch'erano a
sormontare»[55].

Ciò che consegue da quanto dicemmo si è che lo studio e la meditazione
sono un potente elemento per temperare i caratteri, e che in
conseguenza il punto di veduta sotto cui riguardammo la scienza
della guerra e i suoi rapporti con la moralitá non sono una vana
supposizione, ma sí bene una logica deduzione della natura delle cose.
Ciò provato possiamo proseguire il nostro ragionamento.

Quando un uomo abbraccia una carriera pubblica, quando domanda al
sovrano gradi e potere, quando esige dalla societá deferenza e dai suoi
subordinati rispetto e confidenza, quest'uomo ha fatto implicitamente
la confessione di aver ricevuto dalla natura tutte le doti
indispensabili per adempiere i doveri risultanti dalla sua posizione
e di nulla essere per tralasciar dal suo canto onde rendersene sempre
piú degno. È impossibile supporre il contrario, cioè ch'egli dica
di non sapere fino a qual punto abbia le disposizioni pel suo stato
necessarie e di non volere far nulla per conoscerle, per correggerle
e per isvilupparle. Ciò non si può immaginare premeditatamente senza
calunniare la natura umana, perché non è questa certamente la nostra
tendenza; ma bisogna dire che ciò accada piú per leggerezza che per
perversitá in tutti gli stati e particolarmente nella carriera delle
armi dopo una lunga pace, allorché si è destinato ad abbracciare un
tale stato per convenienza di famiglia, e ignorandosene l'importanza
si crede che consista nel suo meccanismo, cioè nella parte esterna.
Aggiungasi l'opinione invalsa che la pratica sia tutto e lo studio
nulla, quando l'occasione non si presenta, al che nulla può dirsi
in contrario, non potendosi fare una guerra per pura istruzione
degli uffiziali. Si avanza nella carriera perché il tempo rinnova le
generazioni e perché si è detto che il problema della vita sta nel far
fortuna nella propria carriera. Le occasioni si presentano: si manca
di pratica perché si è stato in pace, e di teoria perché si è creduta
inutile, si è in un grado elevato perché tali gradi debbono essere
riempiti; cosí mal preparati si accetta la missione di difendere la
patria e di diriggere nei pericoli della guerra le centinaia o le
migliaia de' propri concittadini che lor sono affidate. È singolare
fenomeno il vedere che uomini onorevoli per ogni riguardo, pieni di
una scrupolosa probitá in tutte le circostanze e le relazioni della
vita, incapaci di ordinare un salasso ad un ammalato perché a ciò
incompetenti, diriggano con tranquillitá delle operazioni ove ogni
errore fa largamente scorrere il sangue umano, e compromettano cosí i
piú grandi interessi di una societá qualunque, fino alla sua propria
esistenza come corpo sociale. Questa contraddizione tra la moralitá
dell'agente e l'immoralitá dell'azione è il risultamento di due false
opinioni invalute e che tranquillano le coscienze: la prima si è che
sia inutile l'applicarsi per rendersi piú atto ad adempiere i propri
doveri, la seconda che la missione dell'uomo su questa terra sia di
migliorare la propria condizione profittando di tutte le occasioni
oneste. Ci si dirá: — Ma credete voi che lo studio faccia divenire uomo
di guerra un essere non disposto alla carriera delle armi senza aver
quella percorsa? — Noi nol crediamo punto e da quanto dicemmo è chiara
la nostra opinione; ma crediamo invece che lo studio possa essere utile
ove vi sia la disposizione, e possa anche fino a un certo segno far
conoscere la mancanza di questa. Quando si rimane indolente a certi
racconti, quando certe azioni non muovono fino alle lagrime, quando
non si sceglie un modello di predilezione e non vi si ritorna sempre
con passione, sia un autore, sia un capitano; quando, in questa come
in tutte le altre arti e scienze, queste corde toccate non rispondono,
è chiaro che manca la vocazione, ed un uomo dotato di onesto carattere
può a questi segni entrare in un'altra carriera che gli sia piú
confacente, nella quale potrá acquistare maggior riputazione e
riuscire piú utile a' suoi simili. Ma per rendere comune e pratica
questa dottrina, bisogna sostituire all'assioma che «il far fortuna
è lo scopo della vita» quell'altro che «la missione dell'uomo come
essere morale e religioso è di perfezionarsi», cioè di porsi a livello
de' suoi doveri e non al disotto di essi; che quando si è ridotto a
questo punto si può fare molto male con pure intenzioni, imperocché in
un'arte ove si tratta della vita de' simili la negligenza acquista un
altro nome piú vero e piú severo al tempo stesso. Per cui ripeteremo
che l'uffiziale studioso, quando anche non riesca, quand'anche siasi
ingannato nell'interpetrare le sue disposizioni naturali, dev'essere
piú tranquillo di coscienza e dá una lezione di morale nel mostrare
che nulla ha negletto per rendersi degno della confidenza e della stima
della patria.

Possiamo quindi restringere ai seguenti capi la soluzione della terza
parte di questa quistione.

1. Che la ragione del pari che l'autoritá de' gran capitani sono di
accordo nel proclamare l'importanza dello studio della scienza militare
per isviluppare le qualitá indispensabili all'esercizio di essa.

2. Che per «istudio» non s'intende la sola lettura, né per «esperienza»
l'aver lungo tempo servito, ma sí bene la meditazione e il lavoro della
propria intelligenza su tutto ciò che la propria e l'altrui esperienza
fornisce.

3. Che lo studio nel mentre che non ha la proprietá di formare il
carattere, pure contribuisce potentemente a dargli maggior dignitá e
maggior coraggio, preso questo nel senso piú esteso.

4. Che il trascurare lo studio sarebbe nello stato militare segno
sicuro di una profonda depravazione, se delle false opinioni invalute
non avessero tranquillate le coscienze su questo particolare; ma
che colui che si dedica allo studio ha dritto alla stima publica,
indipendentemente dai risultamenti che potesse produrre e considerando
ciò puramente come atto di moralitá.

Passando ora alla conchiusione generale, incominceremo dal richiamare
alla memoria de' nostri lettori il contenuto de' precedenti discorsi.

Nel secondo, dopo aver descritto lo stato e le condizioni dei
popoli dell'antichitá, abbiamo indicato come lo stato delle belliche
scienze simboleggiasse ed esprimesse compiutamente lo stato sociale
ed intellettuale; abbiamo mostrato in che differisse l'arte degli
antichi da quella dei moderni e quale fosse la principal differenza,
distinguendola dalle differenze generali che separano le antiche
societá dalle moderne; abbiamo fatto osservare come in ognuna delle
prime vi fosse unitá nazionale ma moltiplici differenze tra di loro, e
come l'inverso si scorgesse nelle seconde; infine osservammo che nelle
prime i progressi dell'arte si sono arrestati perché la civiltá era
incompiuta, e che riducendo la forza pubblica al primo elemento, cioè
agli uomini, la degenerazione di questi doveva strascinare la caduta
dello Stato che dominava ed esprimeva l'antichitá.

Nel terzo discorso abbiamo indicato come la dissoluzione dell'antica
societá avesse ridotto ai primi suoi elementi l'organizzazione sociale,
riducendola alla famiglia e togliendo ogni esistenza civile alla massa
ridotta in servitú; che nel naufragio delle nazionali organizzazioni
dell'esercizio dell'umana intelligenza sparisse la scienza, perché
gli eserciti erano una riunione di capi di famiglia e tutta l'arte era
nel valore e nel vigore individuale; segnalammo egualmente per quali
vicende e per quali fasi questi elementi per successive trasformazioni
subíte ricomponessero lentamente le nazioni e coltivassero lo scibile,
e gli eserciti esprimessero questo nuovo stato fino alla scoverta della
polvere.

Designammo nel quarto discorso la lotta ch'esisteva tra gli elementi
del medio evo e quelli della societá moderna e la loro azione
simultanea, i primi tendendo a conservare le classificazioni ed
i secondi ad operare la fusione di tutte le classi della societá.
Indicammo come si trovasse nella composizione della forza pubblica,
nelle regole che seguiva e nella sua azione un quadro ristretto dello
stato sociale, e come la polvere da sparo, i progressi dell'arte e
l'urto delle masse favorissero lo svolgimento dell'elemento moderno del
pari che l'abbassamento di quello che predominava nel medio evo.

Nel quinto discorso facemmo notare come questo andamento ascendente e
progressivo si scorgesse simultaneamente nella pace, nella guerra e nel
movimento intellettuale delle nazioni.

Nel sesto discorso dimostrammo come la societá moderna avesse rivestito
tutti i caratteri e possedesse le condizioni tutte, e sotto tutti
gli aspetti, che la potevano far considerare come fissata; notammo
del pari che l'organizzazione dello Stato e degli eserciti cosí come
le condizioni dello scibile fossero compiute nei loro elementi e
nella loro fisonomia, e che i periodi posteriori altro non avrebbero
offerto che delle modificazioni derivanti da quelle e che non fossero
un'anomalia ed una opposizione alla loro natura.

In effetto nel settimo discorso facemmo osservare che si operavano
trasformazioni lente ed insensibili, ma che se ne preparavano delle
piú positive, sempre però come conseguenza delle precedenti, come
svolgimento di un movimento naturale e non come fenomeno inesplicabile.
Vedemmo l'esercito simbolo della fusione sociale avanzata e
dell'importanza che il sistema economico e l'azione dell'intelligenza
esercitavano presso tutte le nazioni. Tutte dimostrazioni provanti
che si era operata una separazione dalle forme, dai princípi e dalle
dottrine del medio evo.

Nell'ottavo discorso facemmo vedere che il risultamento positivo e
stabile di tante vicende e di sí lunga lotta era stata la dichiarazione
formale e divenuta legale che il principio di classificazione sociale
che caratterizzava il medio evo aveva ceduto al principio di fusione
che sostituiva le condizioni ai privilegi; che è il cardine su cui
lo stato sociale dei moderni opera i suoi movimenti tutti[56].
Abbiamo indicato questo gran fatto enumerando i caratteri dello
stato sociale e dello scibile e i politici risultamenti e lo stato
militare, per far misurare l'immensa distanza che separava lo stato
della scienza militare alla nostra epoca dalle guerre feudali ch'erano
gli urti degl'individui[57]. Richiamiamo alla memoria dei nostri
lettori l'operazione che per la sua complicazione meglio riassume e
riunisce i progressi immensi fatti nella tattica, nella strategia,
nelle fortificazioni, nell'uso e nella perfezione delle macchine da
guerra e nell'amministrazione militare. Questa è a nostro credere il
passaggio del Danubio nel 1809, eseguito addí quattro e cinque luglio
dall'isola di Lobau e che terminò con la battaglia di Wagram. Lá fur
veduti centocinquantamila uomini provenienti dal fondo dell'Italia
meridionale, dalla Dalmazia e dai Pirenei, riuniti con loro sorpresa,
passare un rapido e largo fiume con quattrocento pezzi d'artiglieria,
su ponti rapidamente e quasi d'improvviso gettati, operare uno
spiegamento sulla sinistra in battaglia in due linee e girare tutti
i trinceramenti dell'avversario, che venne perciò forzato ad un
cambiamento di fronte colla sinistra indietro. Tutto ciò fu eseguito
con una precisione difficile ad ottenersi in un campo d'istruzione,
e nel decimosettimo secolo ed in parte del decimottavo una divisione
non avrebbe osato di tanto eseguire. Meditando questo avvenimento
si vedrá come tutte le trasformazioni successive si erano riassunte
e simbolizzavano quelle altre tutte operate nello scibile e nella
societá[58].

In questo nono ed ultimo discorso abbiamo esposto quali rapporti a
nostro credere abbiano le belle arti e la letteratura colla scienza
militare e colla guerra considerata come azione; abbiam cercato
indicare come questi rapporti costanti, perché derivanti le loro
condizioni e l'unitá che in essi esiste, dalla natura, subivano varie
forme di manifestazioni nelle differenti societá, ma che a traverso di
queste differenze il principio d'azione, invariabile di sua natura,
rimanevasi lo stesso ed era facile ad essere riconosciuto da ogni
osservatore regolare. Il mostrare qual grado d'importanza si abbia
lo studio teorico su di un'arte pratica ha terminato questo discorso,
precedendo di poco queste ultime linee. Abbiamo determinato l'esistenza
di una scienza bellica, poi l'abbiam classificata ove doveva esserlo,
quindi abbiamo esposte le proprietá di cui è rivestita; appoggiandoci
infine all'opinione de' gran capitani crediamo aver determinato il
grado d'importanza e di utilitá dello studio senza esagerarne il
valore, per quali cause questa veritá non era riconosciuta e accettata,
e l'effetto che produceva sotto l'aspetto della moralitá.

Aggiungasi a tutto ciò quello che nel primo nostro discorso esponemmo:
che la guerra era una manifestazione della nostra natura; che il suo
uso era la difesa di tutto ciò che costituisce gl'interessi materiali
e morali dell'umanitá, i quali non può abbandonare senza degradare
d'azione ed offrire un premio al valore brutale piú avido di togliere
l'altrui che di conservare il proprio; ch'essa siegue, esprime e
modifica la societá; che ha rapporti con le scienze naturali, esatte
e morali, corrispondenti ai tre elementi primitivi dell'arte — gli
uomini, le armi e gli ordini; — e che contribuisce a sviluppare le
facoltá intellettuali e ad elevare la volontá ad un grado di altezza
il quale onora e lusinga l'uomo che sia capace di raggiungerlo,
mentre costui fa con ilaritá il piú compiuto sacrifizio per garantire
gl'interessi e difendere le credenze di tutti i suoi concittadini. Se
vuol negarsi questa abnegazione che piú non sorprende perché è divenuta
comune, non vi è che ad osservare come l'idea della morte possa
produrre manifestazioni sí diverse, il risultamento essendo lo stesso.
Osservisi dunque un uomo giunto ad etá decrepita, afflitto da dolori,
trascinante una triste esistenza, superstite della sua generazione,
isolato non solo dai suoi contemporanei ma dalle idee, dai sentimenti,
da tutto il movimento rinnovatore che in ogni secolo s'opera e che
urta chi piú non può prendervi parte. Ebbene questo essere geme di
lasciare un'esistenza che nulla piú gli offre di ciò che cara la rende;
i suoi parenti, qualche amico superstite ancora, dimostrano espresso
il dolore della perdita ed il terrore che sempre all'idea della
trasformazione si associa. Qual prezzo non ha dunque questa esistenza,
quando tanta tristezza accompagna la prossima fine di un essere che ha
compíto tutto il corso della sua? Comparinsi queste impressioni con
quelle che nascono quando in campo aperto numerose batterie seminano
la morte e la mutilazione, quando numerosi battaglioni appoggiati
dalle localitá si preparano ad offendere senza essere offesi, quando
la cavalleria è disposta a schiacciare con la sua massa chi a tanti
perigli scampò; e vedasi qual è il contegno dei battaglioni che
marciano ilari ed al suono di musica e di grida guerriere a correre
tanti rischi! E questi uomini son tutti nella verde etá, hanno tutte
le illusioni dell'avvenire, tutte le loro passioni sono calde, tutte
le affezioni profonde, e sanno quale affetto reciproco ispirino ed a
chi sieno cari per titoli diversi i loro giorni. Or bene come la morte
ispira manifestazioni sí diverse? Ciò avviene perché l'eroismo alle
masse non è comunicato che per mezzo della guerra, la quale riunisce
gl'interessi della vita e della religione a quelli dell'eternitá. La
scienza e l'arte che produce tali effetti è alta, conservatrice ed
ammirabile, e meriterebbe che invece di sí imperfetto quadro uno ne
fosse delineato da mano maestra, seguendo quanto il Foscolo prescrive,
che non nel merito ma nel metodo è quello che noi abbiam seguíto nelle
vedute generali. Alle quali non possiamo meglio dar fine se non che
trascrivendo il suo seguente frammento.

«La tattica e le artiglierie sono elementi della guerra, ma sono
connessi alla istituzione militare che dipende dalla politica,
alla strategica che dipende dalle situazioni geografiche e
all'amministrazione militare che dipende dalle sorgenti e dalle leggi
della pubblica economia.

«L'osservazione, il calcolo e l'applicazione de' princípi di tutte le
parti della guerra produssero le vittorie dei greci e le conquiste de'
romani. Alessandro avea preordinati tutti i mezzi e preveduti tutti gli
ostacoli della sua spedizione, compiuta in nove anni senza alterare
il suo progetto, disegnato prima d'abbandonare la Macedonia. E se
l'esecuzione spetta ad Alessandro, la prima idea spettava alla scuola
d'Epaminonda e delle repubbliche di Atene e di Sparta, donde Filippo
aveva desunti i princípi dell'arte e apparecchiati i trionfi del suo
successore. La perpetua prosperitá per tanti secoli di tante guerre
che diedero a Roma la signoria delle nazioni, toglie ogni merito alla
fortuna, mutabile sempre nelle cose mortali, e lo ascrive alla scienza
che è fondata sugli eterni princípi dell'universo.

«Dopo Polibio e Plutarco tre scrittori eloquenti e filosofi,
Machiavelli, Montesquieu e Gibbon assunsero questa sentenza. Ma per
l'etá in cui vissero e piú assai per l'istituto de' loro studi, le loro
dimostrazioni si fondarono piú sulle cose politiche che sulle militari.
E quand'anche avessero dirizzato il loro assunto a scopo militare,
non avrebbero toccate se non poche epoche della storia dell'arte. Il
Guibert s'accinse ad una storia della costituzione militare di Francia,
incominciando dalla decadenza dell'impero d'occidente e da' primordi
della monarchia francese; ma la morte liberandolo da una vita infelice
e mal rimeritata, precise anzi tempo il volo a quell'acre e libero
ingegno.

«Senonché anche quest'opera mirando a una sola nazione avrebbe
somministrato alla scienza militare insufficiente materia. Per giungere
ai princípi e fissare la loro invariabilitá bisogna risalire per
la scala di tutti i fatti, di tutti i tempi e di tutti gli agenti;
paragonare il sistema di tutti i popoli dominatori e il genio de'
celebri capitani, onde scoprire le cause generali che influirono alle
conquiste della terra; finalmente esaminare sotto quali apparenze e
con quali effetti queste cause generali agiscono a' nostri tempi. Al
che non si giungerá se non quando uno scrittore di mente filosofica,
d'animo liberissimo e di vita guerriera — rare doti a conciliarsi, —
con lo studio degli autori antichi e moderni, delle imprese di tutti
i grandi guerrieri, delle scienze che giovarono alla istituzione,
alla economia, alla tattica, alla strategica e alla fortificazione,
estrarrá una storia dell'arte della guerra; storia che ha quattro
etá, determinate dalle solenni rivoluzioni di quelle parti del mondo
illuminate dalle tradizioni istoriche: l'etá incerta, dalle memorie
degli assiri e de' troiani sino a Ciro che ne' documenti degli
scrittori appare primo istitutore di un'arte ragionata di guerra; la
prima etá, da Ciro sino al decadimento della milizia romana; la seconda
sino alla invenzione della polvere; la terza sino al presente sistema
militare d'Europa. Queste etá solenni suddivise ciascheduna in piú
epoche maggiori, determinate dalle imprese, dalle leggi e dalle teorie
de' diversi popoli e capitani conquistatori, presenterebbero la storia
di tutti gli Stati, poiché le rivoluzioni de' costumi, delle religioni
e della legislazione delle genti furono operate dalle conquiste. E
perché l'universa natura ha per agenti la forza e il moto, e la forza
ed il moto del genere umano sono esercitati dalla guerra, noi vedremmo
forse in questa storia l'essenza e l'uso delle forze fisiche e morali
dell'uomo e i diritti e i limiti di esse»[59].



APPENDICE

    Alcune osservazioni del maggiore Cianciulli intorno ai
    progressi dell'arte della guerra ai dí nostri, in occasione di
    un articolo del barone maggiore Ferrari da Parma, inserito nel
    fascicolo settimo del giornale: _Il progresso delle scienze,
    delle lettere e delle arti_.


Il maggiore barone Ferrari in un articolo pieno di militare erudizione
e di chiara esposizione ha impreso a dimostrare, contro il divisamento
di molti, che le scienze belliche poco o nulla abbiano vantaggiato
nelle ultime guerre[60].

Il merito di questo colto scrittore dimostra a quant'altezza gl'ingegni
italiani facilmente salirebbero nelle guerriere discipline, se
l'angustia degli spazi in che sono rinchiusi non ne arrestasse i
concepimenti e le applicazioni.

Nondimeno non interamente convinto che sterili per l'arte siano stati
i sudori per ventidue anni sparsi da uomini di alto ingegno e di fama
chiarissima, alcune osservazioni andrò sponendo, atte a mio avviso a
difendere l'etá nostra dalla grave accusa contro di lei profferita.
Dirò al certo meno di ciò che merita l'argomento, ma dirò quanto
comportano le mie forze ed i limiti trai quali sono ristretto.

Che le scienze esatte, e quelle pure e quelle applicate, sieno il
fondamento della scienza militare è un fatto del quale non si muove
dubbio ai nostri tempi in Europa. Si tiene del pari universalmente per
dimostrato che la scienza della guerra sia intimamente legata con la
pubblica economia, con la politica, con le scienze fisiche, naturali
e morali. Dimodoché il capitano, o ch'egli fortifichi gli spazi,
o che li descriva, o che calcoli la forza delle macchine, o che le
costruisca e le impieghi, o che raccolga gli uomini, o che gli ordini,
li disciplini, gli amministri e li formi alla gloria ed all'abnegazione
militare, egli impronta i suoi precetti da tutte cotali scienze. Or
sarebbe maraviglia se nel successivo ingrandimento di quelle — del che
nessuno disconviene — l'arte della guerra che ne discende rimasta fosse
fuori dell'universale progredimento. E lo sarebbe vieppiú allora quando
si considerasse che né la meditazione né l'esperienza né una serie
infinita di fatti è mancata agli accurati disaminatori delle belliche
discipline. E che ciò sia vero lo dimostrano del pari e le tante
importantissime ultime guerre e lo immenso numero dei trattati scritti
ai dí nostri da dottissimi autori, i quali ebbero il raro dono di poter
raccontare quel che videro e di meditare su di quello che raccontavano.

Se tanto studio e tanta pratica si rimasero sterili, converrá disperare
della scienza della guerra, converrá forse negare all'umano ingegno
in fatto di belliche dottrine non pure quel perfezionamento indefinito
che tanti filosofi vagheggiarono, ma ancora quel progresso, il quale,
benché lento e circoscritto forse da lontani ed ignoti limiti, è
nondimeno continuo, come si scorge agevolmente, portando gli sguardi
sulla storia di qualunque scienza, arte o mestiere.

Confido non pertanto che altramente sia avvenuto e che anche le ultime
generazioni abbian portato, insieme coi torrenti di sangue da esse
versato, il loro tributo di nuovi lumi al comun retaggio di dottrina
e di esperienza militare che l'etá passate a noi tramandarono. Confido
che i nostri posteri non le accagioneranno di sterilitá d'ingegno o di
opera.

Egli è incontrastabile che le evoluzioni laboriosamente ordinate,
semplificate e messe dal gran Federico[61] alla cote della esperienza
poco vantaggiarono dopo di lui. Egli è vero del pari che le armi nella
loro forma ed essenza tali sono presso a poco quali quel grand'uomo le
lasciò alla sua morte.

L'etá piú a noi vicina dunque ha ereditato ordini ed armi, ed oltre ciò
massime di guerra e metodi appropriati dall'eroe della Sprea a quegli
ordini ed a quelle armi.

Né dopo di lui era dato d'imprendere novellamente a sciogliere
i medesimi problemi, giacché fermi essendo rimasti i dati donde
dipendevano — si riduce il gran dato al fucile colla baionetta
incannata, — invariabili ed uguali ne sarebbero state le conseguenze.
Non è dato a chicchessia di apportar variazioni in una veritá
dimostrata.

Dissi che il fucile con baionetta inastata era il gran dato della
nuova ordinanza, e lo dissi pensatamente, trovandosi in esso risoluto
il grave problema dell'ordine profondo e dell'ordine disteso,
donde le evoluzioni e le linee, la castrametazione e piú lontano la
fortificazione di campagna nelle difese delle linee dei campi e delle
posizioni.

Questo istrumento di guerra, il quale ha potuto sciogliere regolarmente
l'immenso problema, prima di esso sempre insolubile, di comprendere
in una sola arma i modi di combattere da lungi e da presso, di arma
da mano e da tiro, ha primamente ridotta l'infanteria tutta ad una
espressione unica mercé un unico armamento; in secondo luogo ha
invertito la qualitá e la condotta dei combattimenti, rendendo parte
principale di essi il lanciar proietti, secondaria di assai il pugnar
con punte e con tagli, cioè, contrariamente a quel che prima avveniva,
facendo che l'uffizio di fromboliere decidesse delle pugne e che quello
di gravemente armato vi entrasse incidentalmente ed in rare e brevi
occasioni.

Col fucile a baionetta il medesimo uomo e la medesima arma dovea
fornire alle due spezie di pugne. Ma gli ordini appropriati alle due
pugne eran necessariamente diversi; erano anzi opposti tra loro. Quindi
nacque la necessitá d'innestare, per cosí dire, gli ordini come si
erano innestate le armi.

Da ciò discende che i perfezionamenti non potevano aggirarsi se
non intorno ai metodi mercé i quali questo innestamento avesse
potuto utilmente ottenersi. Nella scelta del miglior metodo dovea
ulteriormente trovarsi il progresso della scienza, sino a che un nuovo
agente di distruzione piú attivo della polvere di cannone non fosse
venuto a variare non giá la forma o l'effetto o il piú facile e pronto
uso del fucile attuale di guerra, ma la sua natura ed essenza. A me
sembra che in tal materia io debba piú estesamente far manifesto il mio
pensiero.

La polvere di guerra da per se sola non avrebbe recato negli ordini un
cambiamento totale. Intendo con ciò dire che sostituendosi alle antiche
armi da getto, avrebbe infallibilmente cambiato gli ordini appropriati
ai combattimenti da lungi, ma non gli avrebbe cambiati in quelli di
arma bianca. Intendo ancora di dire che un'arma la quale non avesse se
non i fuochi per combattere non potrebbe sola bastar ad ogni spezie di
pugna, e che per conseguenza ove fosse stato di mestieri di alternare
i combattimenti da lungi e quelli da presso, sarebbe stato necessario
di cambiare armi o di cambiar guerrieri e sempremai di cambiare ordini;
doppia condizione alla quale dovendosi obbedire nei momenti piú vivi
della pugna, avrebbe renduta la soluzione del problema impossibile.

Ben fu tentato in effetti di risolverlo commescendo le armi e gli
ordini, le picche col moschetto, l'ordine disteso col profondo.
Vano tentativo! La parte non necessaria nell'attuale combattimento
vi rimaneva non pure negativa ed inerte ma danneggiata ed oppressa;
nei fuochi perivano inoperosamente le picche, ed i moschetti quando
si veniva alle mani con l'arma bianca; l'artiglieria smodatamente
agiva sulle masse profonde. Ora l'utile consiste nel fare che sul
campo nulla rimanga d'inoperoso e meno ancor di dannoso: l'utile sta
nell'evitare i doppi usi. Quella commistione del resto si va ancora, ed
a mio avviso erroneamente, riproducendo in diverse armi ed in diverse
graduazioni della medesima arma, e sempre con manifesta violazione
dell'esposto principio, non meno che dell'altro il quale raccomanda
la divisione e la specialitá del lavoro. Né il principio vero di
appoggiare reciprocamente le diverse armi può essere valevolmente
opposto, imperciocché grave differenza intercede tra l'arte necessaria
di sostenere nella disposizione e nella condotta di una battaglia l'una
arma con l'altra e l'idea dei corpi e degli ordini misti.

Miglior successo ottenevano i tentativi onde render l'arma piú perfetta
pei fuochi, e ridurla al tempo medesimo arma da mano. Al primo scopo si
perveniva passando dall'archibugio al moschetto e da questo al fucile,
inventando la piastra e la bacchetta di ferro, cilindrica o conica; al
secondo, immaginando la baionetta. Con questa il fucile divenne arma
da mano, e mercé la leggerezza ad esso proccurata ne riuscí, per quanto
era possibile, facile il maneggio.

L'invenzione della baionetta diminuiva di molto, egli è certo, ma
non faceva svanire la necessitá di dover cambiare di arma nel passar
dall'uno all'altro degli accennati modi di combattere. Era in certa
maniera un cambiamento di arma quello d'inastare la baionetta sul
fucile quando si volea aver ricorso ad un'arma da mano, e di ritrarnela
per riprendere l'uso dei fuochi. Si vide esser questo inastamento,
che richiedeva assai tempo e diligenza, pericolosissimo a fronte di
un corpo di pronti cavalieri. Ond'è che con sempre rinascenti sforzi
molti impresero a risolvere l'ultima e piú profittevole condizione del
problema, ingegnandosi di rendere la baionetta permanente sul fucile
ed insieme non nociva ai fuochi, e per tal modo elevandolo stabilmente
ad arma da mano. A ciò pervenne, se mal non mi appongo, il signor
Martinet in Francia sotto il regno di Luigi decimoquinto, inventando la
baionetta incannata.

Allora cessò a mano a mano la commistione delle armi e poi degli
ordini; ma prima che questi si piegassero ai modi presenti,
interminabili controversie sursero sugli ordini antichi e sugli ordini
moderni, o piuttosto sugli ordini distesi e profondi; giacché, a mio
avviso, quante volte si fossero allegati gli ordini antichi, avrebbero
dovuto cadere in disamina non quelli solamente con che combattevano i
gravamente armati, ma i modi altresí con cui pugnavano i leggieri. E
poiché trattavasi di dar forma ed ordine ad uomini che combattevano piú
da lungi che da presso, piú lanciando proietti e soffrendone l'effetto
che impiegando armi da taglio o da punta, le analogie — quali possano
esservene, per l'aggiustatezza e per la frequenza dei colpi, tra la
debole proiezione di un arco e la onnipotente del fucile e del cannone,
tra il combattere sparso e mobile dei leggieri dell'antichitá ed il
fermo ed unito dei moderni soldati in file ed in righe — avrebbero
dovuto esser tratte ancor piú dai modi coi quali si combatteva usando
di archi e di balestre, che non da quelli coi quali armeggiava la
sarissa o la lancia de' triari.

Inventata la baionetta inastata era mestieri di tentare, se fosse
stato possibile, la creazione di un ordine solo che simultaneamente
nella medesima circostanza ed atto potesse soddisfare ai bisogni del
fucile come arma da fuoco e come arma da mano; cioè che nei fuochi
tutti gli armati potessero tirare, e tutti stringersi e raccogliersi
nei combattimenti da mano per mutuamente difendersi, per urtare
gagliardemente o resistere ad urti gagliardi.

Perché tutti possano tirare simultaneamente è evidente che la
profonditá non possa oltrepassare la lunghezza del fucile[62]; perché
possano urtar gagliardemente, resistere agli urti e far fronte da per
tutto validamente, egli è del pari evidente che debba accrescersi la
profonditá e per tal modo privarsi della piú gran parte dei fuochi.
Non è meno evidente che i proietti delle grandi armi avranno smodato
effetto sulle agglomerazioni profonde, molto tenue negli ordini
distesi.

Il voler dunque con un'arma mista come il fucile a baionetta un solo ed
unico ordine è lo stesso che il voler insieme due cose che mutuamente
si escludono.

Esposto il problema nei termini rigorosi: — Ordine disteso ovvero
ordine profondo? — egli era impossibile di risolverlo. Né poteva
altramente rispondervisi che mercé una distinzione cosí espressa: — Per
li fuochi e contro i fuochi, ordine disteso; per lo combattimento di
arma bianca e per la facilitá dei movimenti, ordine profondo.

Or non potendo per le addotte ragioni render misti gli ordini o
mescere armi di diversa natura nel medesimo ordine, ed essendo il
fucile un'arma mista che in sé comprende gli elementi dei due modi di
combattimento, i quali esigono necessariamente due diversi ed opposti
ordini, non rimaneva altra via per giugnere al loro perfezionamento
se non che di piegarli con modi pronti, facili e sicuri a passare da
quello necessario ai fuochi a quello necessario alla baionetta ed a
fare che potessero rapidamente ed agevolmente cambiarsi e succedersi.

Quindi l'arte dei celeri spiegamenti e del ritorno in colonne, diverse
secondo la diversitá degli scopi, dei terreni e delle artiglierie.
Gli spiegamenti perfezionandosi seguirono la ragion matematica, onde
rimasero come quella invariabili.

Non è giá che non sia vero, utile, indispensabile che venga prescritto
un ordine abituale, un ordine secondo il quale si dispongano
ordinariamente le truppe; ma quest'ordine nulladimeno dovrá essere
variato quante volte si presenti un'occasione che esiga un modo di
combattimento ovvero una disposizione preventiva che non sieno secondo
la natura ed il fine di tal ordine abituale.

E poiché nelle guerre odierne non vi è pugna che col fuoco non
incominci e si chiuda e che spesso, per non dir sempre, il fuoco
non decida; e poiché non vi è quasi combattimento senza artiglierie,
cui non può senza grave danno opporsi l'ordine profondo; e poiché i
combattimenti di arma bianca sono nella infanteria tanto rari quanto
quelli di fucileria sono frequenti; egli è perciò indubitato che
l'ordine disteso debba essere l'ordine abituale delle schiere.

Dunque mi sia permesso di replicare: ridotto a tale il problema delle
evoluzioni e degli ordini a cagione dell'inventato fucile a baionetta,
e risoluto quel problema col calcolare matematicamente le evoluzioni,
cioè i metodi di piegare le truppe in colonne e di spiegarle, non eravi
piú luogo ad assoggettar quello a nuova fondamentale disamina ed i
metodi a nuove ed essenziali modificazioni.

Nondimeno i tattici francesi accuratamente si applicarono a dar
definizioni piú nette, ordine piú rigoroso, insegnamento piú compiuto e
piú logico, piú vasta applicazione alle veritá giá dimostrate; il che
essi operarono colla lucida compilazione di ordinanze appropriate ad
ogni arma. Né poteva una tal veritá sfuggire alla forte intelligenza
del nostro autore, il quale parlando del sistema di evoluzioni della
Francia comparativamente all'austriaco, in tali termini svela la sua
mente e l'esattezza della sua analisi: — «Sebbene sia dalla parte dei
francesi il vantaggio, se guardisi all'ordine, alla ragion matematica,
alla sposizione dei regolamenti, pure quanto alla pratica...».

Or metodi che hanno in favor loro e l'ordine e la ragion matematica
e la sposizione, o sia la esatta e chiara logica deduzione dai
principi alle conseguenze, possono a mio avviso tenersi per umanamente
perfetti sí per la dottrina che insegnano che per li modi coi quali la
insegnano.

È egli però vero che l'umano ingegno si fosse arrestato a tai limiti e
che non avesse tentate altre vie per giugnere a nuovi perfezionamenti
e nuovi ritrovati? A me non pare. Egli tenne per fermo ciò ch'era vero
nelle armi e nelle evoluzioni, distrusse in esse qualche radicato e
dannoso pregiudizio, e se non inventò un nuovo agente di distruzione
piú potente della polvere da guerra, andò certo ogni parte della
scienza militare ritoccando, ampliando e perfezionando[63].

In effetto il disegno (_tracé_) del Carnot ed i suoi princípi di difesa
modificavano considerevolmente il disegno del gran Vauban e dei suoi
commentatori, ed i calcoli ed il giornale del Cormontaigne, tenuti
quasi come assiomi. Ardito sarebbe per me il giudicare comparativamente
i tre dotti allegati autori, né forse i cambiamenti voluti dal Carnot
vanno tutti egualmente esenti dal dubbio e da plausibile critica; ma
non può disconvenirsi che quel valentuomo apriva nella difesa delle
piazze di guerra nuove vie al valore, creava nuovi metodi, faceva
entrar nella difesa oltre alla forza delle opere e delle artiglierie
quella dei combattimenti da uomo ad uomo, e vi frammischiava i vantaggi
di una guerra di posizioni successivamente difese ed attaccate.
Con tai mire modellava egli le sue opere e le disponeva tra loro,
raccomandava i combattimenti da vicino, il tirare poco da lungi,
commendava i fuochi verticali di ogni genere nella difesa prossima
e fissava il cominciamento della difesa attiva forse nel punto dove
il Cormontaigne faceva terminare la sua. E non vi ha dubbio che una
gran parte de' suoi metodi e delle modificazioni proposte da lui nel
disegno delle opere abbia ottenuta la sanzione della esperienza. Non
si può dunque affermare che l'ingegnere militare siasi arrestato non
dirò al Cormontaigne o ai piú remoti, ma al Montalambert ed ai pratici
insegnamenti del Saint-Paul e del Bousmard.

La convenzione nazionale riuní in Francia in compagnie ed indi in
battaglioni i zappatori prima sparsi nell'artiglieria, vi uní i
minatori e diede al corpo del genio quella truppa speciale che Vauban
chiedeva istantemente ed invano piú di cento anni pria. Gli equipaggi
del genio, la di cui mancanza tanto nocque agli eserciti inglesi negli
assedi da loro fatti in Ispagna, al dire del chiaro colonnello Jones,
furono organizzati durante l'impero. Quali siano stati i successi
della nuova organizzazione lo dimostrano i lavori eseguiti, gli assedi
sostenuti ed intrapresi dalla Francia da quarant'anni, diretti dai
Chasseloup, dai Marescot, dagli Haxo!... ed Anversa, che due volte
in diciotto anni ha veduto ricostruire, difendere ed attaccare i suoi
rampari dai zappatori francesi guidati dagli Haxo e dai Carnot!...

La guerra sotterranea si arricchiva delle esperienze del Marescot,
il quale sin dal 1798 annunziava che nella esplosione delle mine si
otteneva un effetto maggiore praticando uno spazio vuoto intorno
alla cassa che contiene le polveri, invece di esattamente turare
la galleria, nonché de' pratici insegnamenti e de' perfezionamenti
indicati dal Gumbertz, dallo Gillot.

Le artiglierie non rimanevano indietro nei nuovi bisogni che la
grande guerra faceva nascere, ed i successi immensi ottenuti da esse
ed i nuovi e vasti modi con cui furono adoperate disvelano un gran
perfezionamento nei metodi. La velocitá del trasporto, l'esattezza e la
frequenza dei tiri, la prontezza nell'incominciamento dei fuochi o nel
mettere in batteria, la diversitá de' calibri secondo i fini diversi
del combattere, sono, o ch'io m'inganno, i risultamenti cui debbono
tendere i perfezionamenti successivi delle artiglierie. Queste vie di
perfezionamento tentarono gli artiglieri dell'etá nostra per elevare
l'arma loro a piú alti destini.

Fu quindi sottomessa a nuova analisi la forma dei carri nelle
artiglierie di battaglia, come la condizione principale per trasportar
celeremente il pezzo per porlo prontamente in batteria, ritirarnelo,
riprendere o continuare il fuoco e distribuire sui cassoni,
somministrare ai combattenti, trasportare agevolmente e custoditamente
le munizioni.

Quali siano comparativamente preferibili, o le antiche forme dei
carri da cannone e dei cassoni del Gribeauval, o le novelle delle
artiglierie inglesi, o i _wurst_ austriaci, o i cassoni russi su due
ruote, io non oserei pronunziare senza accurata analisi. Dovrebbe forse
applaudire ai modi inglesi ed austriaci colui il quale preferisce le
artiglierie leggiere con cannonieri sui carri. E se, come riferisce
il Dupin, l'artiglieria inglese, nonché la francese che l'ha imitata
modificandola, è pervenuta a far uso di ruote di una sola dimensione
per tutti i suoi carri, a render piú semplice e diminuire la diversitá
degli avantreni e delle casse (_affûts_), questi non sono eglino
due considerabili miglioramenti nel carriaggio di guerra?[64]: Del
rimanente nello scorgere che in tanta paritá di scienza e di pratica
vi esistano tanti non uniformi sistemi nei carriaggi di artiglieria,
egli è forse plausibile di dedurne che come i pezzi differiscono di
peso, di calibro, di proporzione nei medesimi pesi e calibri, di casse
(_affûts_), secondo i diversi fini del combattere; cosí il carriaggio è
un problema nel quale la differenza del suolo, del clima, delle strade,
della natura, delle spedizioni di guerra cui ciascuna nazione è piú
frequentemente soggetta, influisce talmente da render necessari modi
diversi per utilmente e relativamente risolverlo.

Ma se nella massima mobilitá consiste uno dei pregi maggiori delle
artiglierie, è mestiere di convenire che sarebbe stato impossibile
di ottenerla senza due condizioni principali; vale a dire un corpo
specialmente e costantemente destinato al trasporto dei pezzi delle
munizioni e degli attrezzi di guerra, appositamente istrutto, ordinato
ed armato, ed un corpo di cannonieri che seguir potesse le bocche da
fuoco trasportate colla massima celeritá dei cavalli; cioè un corpo del
treno ed uno di cannonieri sia a cavallo sia sui carri. Or questi due
corpi si debbono alle ultime guerre, se non come invenzione assoluta,
di certo come sviluppamento vasto e metodico di una idea appena prima
veduta e debolmente applicata[65].

Dubito che la guerra dei sette anni, tanto istruttiva e per lo gran
nome di Federico, e per la moltiplicitá delle operazioni e delle
battaglie, e per la differenza dei teatri sui quali si combatteva, e
per lo perfezionamento delle evoluzioni, e per li prodigi di una grande
e dotta unitá contro il continente quasi intero, unito nei consigli e
diviso sui campi; dubito, io diceva, che possa presentare combattimenti
di artiglieria che pareggino sí per lo successo che per la esecuzione
la grande batteria di Wagram, il cannone di Hanau e mille altre fazioni
militari, ove tutti abbiam veduto le artiglierie leggiere di Francia
e degli alleati precedere gli spiegamenti di ogni arma e proteggerli,
cambiar rapidamente di posizione per far subitanea massa di fuochi,
per prender rovesci sul nemico ed aprire i fuochi, seguite da qualche
squadrone a meno di un trar di fucile da esso.

Certo, senza un perfezionamento essenzialissimo nei metodi, non possono
concepirsi né cotali numerosi e pur ordinati e mobili adunamenti di
artiglierie, né i grandi effetti da essi prodotti.

Notabilissimo ha dovuto essere il progresso dell'artiglieria, quando
ha potuto tanto aumentare la forza ed i successi della cavalleria,
fornendole i fuochi dei quali mancava, agguagliandone ed appoggiandone
la velocitá e l'ardire. In tal modo ha reso nei luoghi piani l'attacco
superiore alla difesa, giacché in tai casi la presenza di una
cavalleria pronta a caricare rende necessario all'infanteria un ordine
fermo e compatto, mentre i fuochi dell'artiglieria glielo rendono
impossibile[66].

Egli è poi problema non ancora diffinitivamente sciolto, se meglio
conduca allo scopo un'artiglieria con cannonieri a cavallo o con
cannonieri trasportati sui carri. E se par vero che nelle ultime
guerre le artiglierie leggiere degli alleati, delle quali alcune
aveano i cannonieri sui carri, non abbiano lasciato a desiderare[67]
in confronto coi cannonieri a cavallo di Francia, è vero del pari che
né i francesi né i prussiani né i russi ebbero a dolersi degli effetti
delle loro artiglierie servite da cannonieri a cavallo. Ma rimane
ancora a determinarsi, ove io non sia in errore, se il peso che i
cannonieri aggiungono al carriaggio diminuisca o pur no la sua velocitá
comparativamente alle artiglierie servite da cannonieri a cavallo.
Rimane egualmente a determinarsi nettamente se in ogni caso, in ogni
tempo ed in qualunque terreno possa il _wurst_ seguire il pezzo colla
stessa facilitá dei cannonieri a cavallo, e perciò esser principiato
in pari tempo il fuoco. E ciò essendo ne nascerebbe che un pezzo alla
prolunga ed un carrone o _wurst_ coi suoi cannonieri sia capace della
medesima agilitá; la qual cosa per veritá non pare dimostrata[68].

Il Caraman in un dettato pieno di franca e nitida discettazione
ha comparato i metodi diversi di artiglierie leggiere praticate in
Russia, in Prussia, in Austria, in Francia ed in Inghilterra. Ivi
stanno a fronte i vantaggi e gl'inconvenienti di ciaschedun metodo,
non solamente in quanto risguarda il trasporto dei cannonieri, ma in
quanto al diverso modo di proporzionare i calibri e gli obusieri, di
trasportare ed apprestare le munizioni per lo piú pronto ed immediato
servizio e cominciamento del fuoco. Uffiziale generale distintissimo
in quest'arma, osservatore sagace delle artiglierie d'ogni paese e
degli ordinamenti militari della Prussia, memore di moltissimi fatti
di guerra, pronunzia in favore de' cannonieri a cavallo. Né gli ultimi
ordinamenti francesi contraddicevano a quella sua opinione, avvegnaché
quantunque con questi siansi sciolti i reggimenti di artiglieria a
cavallo e sparse le batterie leggiere nelle artiglierie a piedi, sono
stati conservati non pertanto ai pezzi leggieri i cannonieri a cavallo,
né in Prussia né in Russia si abbandonavano[69].

Per avventura potrá attribuirsi la unione in un sol corpo
dell'artiglieria a cavallo ed a piedi alla medesima idea, mercé la
quale si è in Francia unito il treno all'artiglieria e si è prescritto
che il cannoniere fosse al tempo stesso atto a servire il pezzo ed a
guidarlo da vetturino.

Or se l'autor nostro dubita, nonostante ventidue anni di esperienza,
che un cannoniere esser possa, com'egli si esprime, ed ussaro
impetuoso[70] e tranquillo direttor di macchine, potrebbe ancor piú
dubitarsi che pervenga a divenir abile conduttor di cavalli in usi
svariatissimi ed abile artigliere sul campo e negli arsenali. Non
comprendo poi come possa dirsi piú difficile il saper guidare un sol
cavallo che due cavalli ed una macchina, il servire da mozzo ad un sol
cavallo piuttosto che a due[71].

Del rimanente, o che in Europa si cesserá dalle grandi battaglie, e
perciò diminuirá il bisogno di proporzionate e grandi riserve, ed
in tal caso, scomparsi spezialmente i grandi corpi di cavalleria,
svanirá la necessitá d'un grande adunamento di artiglierie leggiere; o
eserciti colossali seguiteranno (e ciò credo avverrá) a dare battaglie
colossali, ed allora essendo indispensabili le gran riserve di ogni
arma, diverrá necessario di mettere insieme le batterie leggiere
sparse nell'artiglierie a piedi. In tal caso la loro dispersione in
piccole frazioni rimarrá forse piuttosto un modo di meglio governarle
in pace che di meglio adoperarle in guerra. Del pari che, a cagione
della celere consumazione di artiglieri che la guerra produce, diverrá
forse necessario di mettere da banda i cannonieri vetturini, poiché la
loro doppia e difficile istruzione si concilierá malagevolmente con la
strettezza del tempo che la guerra suol concedere d'impiegarvi.

A me sembra che possa su tal proposito conchiudersi in modo generale
che nelle artiglierie di battaglia, la leggiera — sia con cannonieri
a cavallo o sui carri — può spesso supplire a quella a piedi e che
spesso questa non può supplire a quella. Ma la differenza del costo
consiglierá mai sempre a non averne al di lá di ciò che la natura dei
paesi ove si fa la guerra e la diversa proporzione con la quale la
cavalleria sará distribuita negli eserciti faran giudicare necessario.

L'artiglieria dunque migliorò i suoi primi elementi, divenne piú
celere, piú ardita, piú maneggevole; ond'è che potette apparire
sui campi in piú vasti adunamenti e meglio ordinata. I calibri
nell'artiglieria di campagna non variarono di molto, ma pure fu
alterata massimamente la proporzione degli obusieri; i pezzi da
quattro di battaglia, corti e lunghi, andarono quasi in disuso; la
diversitá dei calibri ed i danni che ne seguono fu diminuita; alcuni
tra' calibri di battaglia poterono divenir piú leggieri[72] senza
nocumento per lo effetto dei tiri. Ma in quest'arma come negli ordini
e nelle evoluzioni, fissati che furono i dati, il miglioramento dovea
svolgersi nella scelta dei metodi coi quali trarre profitto maggiore
dalle qualitá successivamente da lei acquistate.

Che valeva in effetto di aver di tanto resa piú veloce l'artiglieria,
di aver fatto che potesse cannoneggiare piú prontamente e lungamente,
piú da vicino, e ritirarsi piú tardi, se la metá di essa avesse
dovuto rimanere come per lo innanzi inseparabile dai battaglioni, e
per tal modo trovarsi ora poca, ora troppa e sempre immobile sulle
linee di battaglia? se avesse dovuto, diffusa in tal modo, opporre la
disseminazione inefficace dei suoi fuochi alla potente concentrazione
di piú batterie che, rapidamente cambiando di sito, successivamente
sopra ciascuna parte di essa facesser convergere i lor fuochi? se
aggravando la marcia dei battaglioni nei luoghi alpestri, debolmente
proteggendoli nei piani ed aperti, non avesse potuto secondo le
circostanze distaccarsene nei primi, accompagnarli piú numerosa e con
piú adattati calibri nei secondi? Quindi è che avvenne che, modificato
anche in questo il sistema del Gribeauval[73] da' nuovi modi di guerra
e dai novelli artiglieri, furono raccolte le artiglierie in divisioni
ed in riserve come lo erano state le altre schiere, e questa arma
sí potente agí per masse e potette esser distribuita come e dove piú
convenisse secondo i bisogni ed il variar della guerra.

Esagerati, immeritevoli sono gli elogi profusi ai razzi di guerra
come potenti istrumenti di combattimento e di assedio. Istrumento
di assedio un'arma che rispetta i rampari e ch'è d'incerto e poco
efficace rimbalzo! Strumento di combattimento un'arma di punteria
mal fida e della quale non sembra dimostrato esser molto efficace la
metraglia[74]! Nondimeno sarebbe ingiusto di negare che accompagnati
dalla granata possano i razzi essere utili per la facilitá dei
trasporti e della costruzione delle batterie, per la quantitá e
vivacitá dei fuochi e per la economia degli artiglieri. Né credo che
debbano esser tenuti come il piú attivo istrumento d'incendio che
posseggano le artiglierie. Altri ve ne sono assai, i quali trasportando
il medesimo artifizio hanno su di loro il vantaggio di penetrare piú
profondamente e di diroccar penetrando. Che poi, ove fosse di mestieri
non di diroccare al tempo medesimo e d'incendiare, ma d'incendiar
solamente, le palle arroventate perverrebbero forse piú efficacemente
allo scopo ovunque si potessero adoperare fuochi orizzontali.

Rimane nondimeno al generale inglese inventore dei razzi (o almeno
proponitore di essi come artiglierie per la prima volta in Europa) ed
all'etá nostra il merito di aver proccurata un'arma nuova, utile per
alcune limitate intrinseche condizioni, necessaria forse in alcuni
luoghi ed in alcuni casi speciali.

Ai dí nostri il Villantroys fondeva nuovi e piú potenti obusieri di
assedio; in Russia compariva il lycorno, obusiere di battaglia di
portata piú vantaggiosa; il Peyxhans inventava i cannoni a bombe e
somministrando a queste col tiro orizzontale il potente effetto del
rimbalzo, dell'aggiustatezza e frequenza dei tiri comparativamente
al mortaio; gli arsenali d'Inghilterra fornivano la palla-metraglia
(_shrapnell's spherical case shot_)[75]; la lancia — introdotta prima
dal maresciallo di Sassonia in Francia tra' cavalieri che denominò
«_uhlans_», e poi abbandonata, — non quella dei catafratti o del
medio evo, ma una tutta diversa, piú comoda e piú agevole, riappariva
utilmente nella cavalleria degli eserciti d'occidente; i francesi
rendevano compiuta e perfetta l'arma difensiva de' corazzieri; gli
arsenali classificando idee e lavori ottenevano piú pronti, piú
perfetti e piú vasti risultamenti nelle moltiplici loro officine;
l'arte di gettar ponti a fine di valicar grossi fiumi difesi immaginava
nuovi modi e nuove applicazioni[76]; la igiene militare in ogni sua
parte, l'amministrazione in ogni suo ramo sorgevano a nuova vita e come
scienze e come metodi; le tende si abolivano ed il rimanente delle
bagaglie si riduceva a meno di un terzo, e con esse i consumatori
inoperosi; donde minor consumazione nelle vettovaglie e maggior
economia, piú grande speditezza ne' movimenti e facoltá di accrescere
relativamente le macchine ed i trasporti di guerra.

Né questi sono i soli dritti che la nostra etá vanta sulla stima delle
etá future. Il suo genio non si arrestò in cosí stretti confini.
Ma prima di passar oltre negli ordinamenti militari odierni mi sia
permesso di spender qualche parola sui dragoni.

Il Foscolo (e prima di lui molti, meno compiutamente) nella sua
edizione del Montecuccoli ha cosí eruditamente ragionato della origine
di quest'arma che il ridirlo sarebbe superfluo. Può nondimeno esser
giovevole di discorrere sull'utile e sul danno che il loro servizio
procura.

Egli par vero, e l'esperienza sembra che lo abbia sino ad un certo
punto dimostrato, che combatte con difficoltá a piedi un uomo che da
tutto, sciabla, stivali, casco, è impedito a combattere in tal modo,
che non si affida per uso all'arma da fuoco e che per abitudine aspira
al cavallo che teme di perdere e che spesso gli è tolto di riprendere.
Non è vero però che combatta male a cavallo: non vi è ragione che possa
farlo presumere, non vi è esperienza che lo provi[77]. Che gli manca
in effetto per credersi da meno o per poter meno di un qualunque altro
uomo di cavalleria? Le armi medesime, i medesimi cavalli, facilitá
compiuta di uguali movimenti, ed usi e vita uguali. Quali poi sieno le
necessitá di una media cavalleria — sia qualunque il nome che voglia
attribuirsele, — sia per li servizi di guerra, sia per la facilitá ed
economia delle rimonte, sarebbe lungo ed inopportuno il dimostrarlo
dopo il distinto lavoro su tal materia pubblicato dal Marbot nella
sua opera avverso il Rogniat, ed ammettendo come dimostrazione gli
ordinamenti di cavalleria di tutti i grandi eserciti di Europa.

Potrebbe solamente sembrar convenevole che, ridotti i dragoni
esclusivamente a media cavalleria, in luogo del moschetto divenissero
armati di carabina per non essere disadatti al combattimento da
bersaglieri (_tirailleurs_) ove lo richieggano le circostanze, male
opponendosi la pistola alla carabina. Tuttavia appartiene soltanto
ai capitani che in vasti comandi ed in lunghe guerre abbiano potuto
formarsi una opinione sicura delle necessitá che in esse sorgono
infinite e svariate, di pronunziare se queste necessitá meglio esigano
dai dragoni un eventuale servizio di bersaglieri ovvero quello piú
eventuale ancora d'infanteria. Imperocché quantunque sieno rare le
occasioni di appiedare i dragoni e quantunque un tal impiego richiegga
sempre molta attenzione ed accorgimento, nondimeno delle circostanze
possono presentarsi le quali lo rendan necessario, come allorquando si
tratti di sostenere un corpo di sola cavalleria in luoghi alpestri,
di trasportare celeremente un rinforzo d'infanteria, di difendere un
posto, di coprire un quartiere. Ed in tai casi potrebbe tornar grave
di aver rinunziato all'uso di appiedarli, di aver rinunziato ad un modo
di armamento che non porta ostacolo ai combattimenti a cavallo (tranne
all'uffizio di bersaglieri) e che accortamente usato può rendere non
leggieri servizi. Tal problema, tai dubbi non si risolvono se non che
da una lunga esperienza e da un alto sapere di guerra[78].

Né questa esperienza né questo sapere fu giammai piú abbondante in
Europa. Né si restrinse, come dissi, ad ampliare, a classificare, a
correggere; ma da nuove meditazioni trasse nuove e grandi conseguenze.

La necessitá di una vasta difesa obbligò il gran Federico ad indagare
il vero nelle armi e negli ordini, e lo rinvenne: una necessitá uguale
o maggiore obbligò la Francia a cercar nuovi elementi di potenza e di
successi nelle qualitá del soldato e nei grandi e coordinati movimenti,
e li rinvenne del pari. E come prima gli spiegamenti di Federico
servirono di modello all'Europa, cosí in séguito i dotti ordinamenti
degli eserciti di Francia in breve divennero il tipo comune dei metodi
per far campagna, adottati da quasi tutta l'Europa militare.

La coscrizione apparve in Francia[79]. L'influenza che una tale vasta
escogitazione ha avuto ed avrá sempre piú sugli ordinamenti civili, sia
a causa della universalitá del servizio, sia a causa della limitata sua
durata e del riversamento continuo dalla societá armata nella civile e
della rotazione stabilita fra entrambe, sia per lo aver fissato nuovo
scopo al servizio, nuovi diritti ed obblighi e nuova disciplina; egli
è tema di profonda meditazione, il quale esce totalmente fuori del mio
soggetto.

Argomento misto di politica e di alta scienza di guerra sarebbe anche
quello che trattasse della coscrizione, riguardandola come la terza
trasformazione che dal rinascimento della civiltá subirono gli elementi
primi degli eserciti in Europa. Determinando la natura, lo scopo e la
storia delle milizie feudali o comunali e poi degli eserciti permanenti
ed in ultimo delle armate coscritte[80], si rinverrebbero forse nuovi
lumi e nuovi dati di calcolo sommamente importanti e per la scienza
dell'uomo di Stato e per la natura, lo spirito e le ultime conseguenze
delle guerre odierne.

Comunque sia, tenendomi strettamente alle conseguenze puramente
militari del novello metodo di raccoglier uomini e formar soldati,
dedurrò da esso e noterò il grave effetto non pure d'aver largamente
aumentato il numero negli eserciti, ma quel che a piú monta, di averne
immensamente aumentato l'intelletto e la moralitá.

Trasportati temporaneamente dalla legge comune alla comune difesa, ogni
condizione, ogni sapere, ogni virtú sorsero come per incantesimo tra
le milizie; e capitani e pubblicisti ed amministratori e scienziati, i
quali non meno combattendo che riassumendo ed accordando la esperienza
con la dottrina di tanti dotti e luminosi trattati, hanno arricchite le
belliche discipline.

Divenne allora la guerra piú mite, la sventura non fu un delitto, la
preda non fu il solo fine del combattere, né l'emolumento il solo
fine del servire, ma l'onore e la patria, cioè la vera gloria; e
la conquista sempre funesta poté almeno conservare ordine e forme
di umanitá e di giustizia. Cosí divenivan facili le grandi imprese,
perché ivi era cuore per volerle ed intelletto per apprezzarle. Cosí
la guerra fu affare proprio; la bandiera rappresentò la patria: ivi, e
perciò fu facile lo imperio, consentita l'obbedienza, lo scopo comune
e nobilissimo.

I miglioramenti poterono allora celeremente progredire, trovando
eserciti capaci di comprenderli e desiderosi di ottenerli, ed
intelletti che unendo ad uno zelo uguale maggiore acume e dottrina
poterono rinvenirli ed insegnarli.

Onde quando il Sainte-Chapelle afferma che «_si l'on a fait des grandes
choses aux armées françaises dès 1792, c'est moins avec des théories
et des inventions systématiques qu'avec la force d'âme, la vigueur
du bras et l'exaltation du courage_», egli allora esprime un fatto
del quale gli è sfuggita l'origine. La grande invenzione dovea, a mio
avviso, scorgerla nella coscrizione: era dessa lo spirito che informava
gli eserciti; spirito che il piú gran capitano del secolo comprese,
organizzò e diresse mirabilmente.

Ma la coscrizione neanche bastò sola. Per accordare l'economia
coi bisogni di una vasta difesa sorsero sistemi diversi di grandi
riserve con vari nomi distinti, con vari modi ordinate. Di certo le
_landwer_, le _landsturm_, i bandi, le guardie nazionali, le colonie
militari, le milizie sono composte anche esse di battaglioni, di
compagnie, di squadroni, di reggimenti; perché di queste divisioni
altre sono riconosciute utili per la facilitá dell'amministrazione,
della disciplina, della coabitazione di un determinato numero di
uomini, altre per la facilitá dell'istruzione e delle evoluzioni: ma
l'innovazione consiste non giá nelle forme con cui si coordinano,
ma negli elementi medesimi dei quali sono composte. L'alfabeto è
istrumento di che si serve ogni scienza per comunicare se medesima, ma
non costituisce da se solo ogni scienza.

Di gran lunga s'ingannerebbe colui il quale, comunque grandi i capitani
di Francia, comunque massimo quel primo tra essi cui anche vinto
appena bastò l'Oceano a contenere, pensasse che i grandi successi da
quei capitani ottenuti fossero unicamente dipesi dal genio loro di
guerra. Non vi è storia di guerra ove piú nitidamente che nelle guerre
combattute ai dí nostri appaia quanto nelle vittorie abbia pesato ora
il tal corpo sparso e disordinato che si addensa e resiste con comunitá
d'idee e non di comando, ora un uffiziale che distingue il luogo ed
il tempo e tiene il posto acremente e colpisce il momento di volo,
ora un condottiere ardito e destro che consigliando meno gli ordini
o i princípi che il favore delle circostanze, intima al piú forte di
arrendersi, alle piazze di prosternarsi innanzi alla sciabla curva di
un ussaro[81].

La somma di tali fatti, di tali uomini, di tali ingegni che la
coscrizione largamente forniva e dei miglioramenti in ogni parte
dell'arte da loro operati costituiscono il gran dramma di quelle grandi
vittorie. Il genio del capitano distinse senza dubbio il momento
opportuno, la idea magistrale, il punto importante alla vittoria e
condusse con movimenti meditati le schiere sul terreno delle pugne;
ma ivi giunte, ed alcune volte anche prima di giugnervi, il peculiare
talento degli esecutori, spesso sino ai gradi meno elevati, signoreggiò
gli eventi non calcolati, i casi fortuiti, quella gran parte d'ignoto,
d'incerto, di vago, che accompagna l'arduissimo concepimento di una
grande strategia.

La formazione dei grandi eserciti rendette necessari nuovi metodi
per agevolmente condurli. Né guari andò che la perfezione di tai
metodi rendette facile di muovere, di far vivere, di far combattere
eserciti numerosissimi con la esattezza e con la precisione di un sol
reggimento.

Si progredí allora dalle evoluzioni ai movimenti, dalla gran tattica
alla strategia. Pei battaglioni e per le linee bastavano le evoluzioni;
bastavano a queste la visuale, la voce ed i segni. Ma moltiplicar le
colonne in vasti spazi coordinandole al medesimo fine e vicendevolmente
sostenendole; farle marciar combattendo senza deviar dallo scopo;
conservar l'unitá del suo movimento rompendo l'unitá della difesa
o dell'attacco nemico; distinguere il punto capitale alla vittoria
componendo nel suo calcolo le distanze ed il tempo, la giacitura del
paese e quella dello esercito avverso; tendere a quel punto con ogni
sforzo, nulla o poco curando il rimanente e conservando la libertá dei
propri movimenti: per tali operazioni non bastava ordinar battaglioni
e brigate, diriger fuochi ed impetuose cariche, non bastavano la
voce ed i segni, non bastavano gli occhi per guida. Era mestieri di
meditar sull'andamento dei grandi corpi; era mestieri di dar loro la
sveltezza dei movimenti ed il concorso delle armi tutte; era mestieri
di combinare in modo le cose che soli fossero eserciti, nell'esercito
fossero frazioni coordinate e proporzionate al tutto; era mestieri di
sostener questi corpi artificialmente e dottamente, separati da larghi
terreni con grosse riserve nella direzione dei corpi spinti sul punto
capitale; era mestieri di provvederli di forze sufficienti per renderli
capaci di un periodo di resistenza proporzionato al tempo necessario
per riparare ad un grande errore o per compiere un gran movimento in
grandi spazi e complicate evoluzioni; e finalmente era mestieri di
andar ogni giorno con improba ed instancabile attivitá di mente e di
persona, di andar ogni giorno perseguendo il suo scopo e riparando alla
instabilitá degli eventi.

Cosí nacquero prima le divisioni e dipoi i corpi di esercito; veri
eserciti per rapporto a loro medesimi, mobili perché separati; veri
membri dell'esercito tutto, e questo perciò mobile come ciascuno suo
membro. Comporsi e non confondersi, conservare l'agilitá di un corpo di
limitato numero e la forza di un grande esercito, bastare a se stesso
per un tempo determinato e contribuire in ogni tempo al piano generale,
conformandosi ed attenendosi alla mente regolatrice, dilucidandole i
fatti, riportandole le presunzioni, osservando l'inimico, raccogliendo
i mezzi di guerra, somministrando, a dir breve, i materiali necessari
a formare rapidamente ed adeguatamente il calcolo variabile della
condotta giornaliera della guerra; ecco lo spirito e lo scopo di
cotesto alto militare concepimento ed i suoi inestimabili vantaggi.

Per ottenere ciò dovea sostituirsi alla voce lo scritto, alla vista
le militari riconoscenze, ai segni i corrieri; doveasi accoppiare il
lavoro assiduo del gabinetto alle disposizioni materiali sui terreni;
dovea la mente regolatrice comunicarsi ai piú lontani, far presenti
da per tutto i suoi pensieri; centro di questo gran meccanismo dovea
procurare che alternativamente ed efficacemente venissero da ogni parte
al centro le nozioni, e dal centro ritornassero da per tutto sotto
forma di ordini e d'istruzioni.

Quindi sorse il corpo dello stato maggiore sotto nuove forme, serví
come di legame tra le diverse frazioni dell'esercito, studiò i terreni
e li descrisse, formò, mi si conceda l'espressione, quasi il mezzo
di circolazione dello spirito di colui che comandava nel gabinetto,
nelle commissioni di ogni genere e sul campo. Cosí si provvide
all'ordinamento della massa di uomini probi, intelligenti e valorosi
che la coscrizione abbondevolmente apprestava.

Non un cenno ma una sposizione compiuta meriterebbe quel primo e sommo
elemento di forza e di potenza materiale e morale senza il quale né i
popoli né gli eserciti han diritto a pretendere o a sperare stabili
e prosperi destini. Egli è evidente che io alluda all'istruzione
progressiva e graduale, la quale in alcuno de' grandi eserciti europei
ha giá ottenuto una cosí compiuta organizzazione, una cosí vasta
applicazione da lasciar di gran lunga indietro qualunque analogo
tentativo fatto in tempi da' nostri piú lontani.

Un tal confronto e l'analisi di cui avrebbe bisogno richiederebbe
limiti assai piú vasti di quelli che comporta la natura di questo
discorso. Nondimeno accennar la Prussia co' suoi mille modi
d'istruzione reggimentaria, d'istruzione di guarnigione, d'istruzione
di collegi; con le sue moltiplici biblioteche militari, colle sue
cento opere d'istruzioni elementari chiaramente scritte e sparse con
profusione; con le sue scuole ed i loro professori convenevolmente
distribuiti nelle differenti residenze dell'esercito; co' suoi
poligoni, coi suoi metodi di campi e di manovre, colle sue scuole
pratiche e normali in ogni arma, con le sempre rinascenti esperienze
imprese nelle moltiplici officine de' suoi arsenali...; accennar
la Prussia come esempio scelto tra molti non sará aver dimostrato
di quanto il nostro secolo avanzi nei bellici ordinamenti il secolo
medesimo del gran Federico?

E chi non vede di quanto non solo i corpi sapienti ma la massa degli
armati sia piú dotta negli eserciti, di quanto la classe preziosa de'
subalterni e quella piú preziosa ancora de' sotto uffiziali, divenuta
piú studiosa, piú istruita, piú dignitosa e perciò piú proba e piú
capace d'intendere e di eseguire, di quanto piú nobilmente influisca
sul soldato ed assicuri il servizio, di quanto sia divenuta piú atta
ne' rapidi passaggi dal piede di pace a quello di guerra a riempire
convenevolmente i gradi che l'aumento degli uomini e de' quadri
imperiosamente richiede? Chi non vede, ovunque la coscrizione ha reso
alterno il servizio e di non lunga durata, di quanto la educazione e la
istruzione reggimentaria convenevolmente incoraggiate e dirette possano
contribuire al miglioramento dello spirito patrio ed al progredimento
della generale istruzione? Difatti quel medesimo il quale nelle singole
localitá, forse per mancanza d'insegnamento o di sorveglianza o per
necessarie o per colpevoli distrazioni, non avrá potuto né ricevere
la piú leggiera istruzione, né concepire l'idea complessa di patria
e di nazione, né comprendere checchesia oltre al villaggio, alla
famiglia, al lavoro meccanico e sempre uguale de' campi; costui dopo
di aver attinta nei corpi la disciplina, lo spirito d'ordine, i primi
rudimenti delle lettere, la dignitá cui abitua la divisa, l'obbedienza,
la fraternitá che proviene dal consorzio della vita, ritornando tra'
suoi né dimenticherá i suoi giovani anni né penserá che la sua patria
sia tutta inchiusa nel suo villaggio. Costui paragonando un numero
maggiore d'idee sará in istato di corregger le men buone, alla qual
cosa coopererá efficacemente quella parte di letteraria educazione che
nei reggimenti avrá ricevuta.

È tale il miglioramento di cui il cuore e lo spirito umano è capace
che saggi governi e pensatori profondi non han disperato col metodo
delle carceri di penitenza di raddolcire i sentimenti, di correggere
i costumi, d'istruire l'intelligenza, di ridare infine alla societá
probi, laboriosi, istruiti una parte di quegli uomini che la societá
avea respinti dal suo seno come elementi deleteri, come esempi ed
incitamenti alla colpa, come ostacoli al suo benessere ed al suo
progredimento. Egli è dunque credibile che i probi uomini che la
coscrizione fornisce, allorquando venga severamente applicata,
trarranno dal buono ed uniforme impiego del tempo, dalla esatta
sorveglianza nascente dalla coabitazione, dalla moltiplicitá de'
gradi, dalla prontezza del premio e del castigo, dall'insegnamento
primario ricevuto nella milizia, potenti elementi di morali e
letterari miglioramenti. Per tal modo una classe d'uomini numerosa sará
restituita alla massa comune in ogni anno non solamente senza danno ma
con fondate speranze di renderne migliori le condizioni.

Allora il sistema degli esami successivi diverrá negli eserciti
efficace, utile e giusto, giacché solamente quando i modi d'istruzione
non mancano è giusto di domandarne conto a coloro che potevano e non
si sono curati di profittarne. Allora l'esame, il quale nelle cose
militari non prova la certezza della riuscita ma il sapere, cioè
una delle condizioni della riuscita, potrá in pace compensare quella
parte d'ignoto che campeggia su ciascuno individuo militare, quante
volte l'esperienza della guerra non abbia potuto render manifeste
quelle qualitá che la non scienza dá, cioè il valore, la prontezza
del concepire, l'istantaneitá della scelta, la chiaroveggenza nel
giudicare il nemico ed il terreno, il miglior impiego delle armi
diverse, la serenitá e la tranquillitá dell'animo tra le vicende de'
combattimenti; infine non le idee che la scienza può dare, ma la scelta
e l'applicazione di esse confacente a quel momento, a quel luogo, a
quegli uomini, a quelle circostanze... Ed a questa scienza ardua, come
ad un'altra, può ragionevolmente essere applicato il noto aforisma:
«_Ars longa, vita brevis; occasio praeceps, experimentum difficile_».
In tal modo preparate le scientifiche istituzioni nello esercito
prussiano, il sistema degli esami successivi fino ai gradi medi della
milizia ha potuto essere utilmente adottato e soddisfatto.

Non sembra dunque che le ultime generazioni abbiano inutilmente per la
scienza vissuto sui campi. Esse perfezionarono sin dove era possibile
gl'istrumenti di guerra giá in uso, perfezionarono i metodi esistenti
nelle evoluzioni e subordinarono queste ai grandi movimenti, dei quali
accrebbero la celeritá, l'accordo e l'esattezza, trassero dalla parte
piú pura della societá l'uomo di guerra, dichiararono obbligo alterno
e non privilegio il servire la patria, e sciolsero il problema di
moltiplicar quasi illimitatamente i combattenti senza che gli ordini
perdessero né la loro celeritá né l'accordo né la disciplina.

Il gran Turenna confessava di sentirsi oppresso nel maneggiar un corpo
di cinquantamila uomini.

E come si spiegherebbero e gli eserciti in un lampo raccolti e
mossi[82], e l'ardimento dei concepimenti, e l'esecuzione pronta e
sicura[83] a traverso aspri monti, vasti spazi, larghi fiumi indomati?
E come si spiegherebbero i regni abbattuti, gli eserciti disfatti,
l'Europa percorsa nel volger breve di due o tre mesi, e questi regni
risorti a nuova gloria[84] e a nuova potenza analogamente ordinandosi,
ove a tanto non si fosse elevata la perfezione dei metodi in ogni arma
speciale e nello insieme dei grandi eserciti?

Non vi ha dubbio che tutto esisteva anche prima, ma tutto esisteva
confusamente ed in germi sterili e quasi inoperosi. Che cosa mai può
dirsi nuova sotto il sole? Ma il genio, la meditazione, la perseveranza
dell'etá nostra fecondarono questi germi e ne raccolsero frutti
ubertosissimi.

Un'alta regione vi è — regione delle idee pure e, perché pure,
invariabili — inaccessibile pe' molti, dove s'incontrano i geni e
le menti creatrici. In tal senso può dirsi che tutti i geni sieno
contemporanei. Onde le opere portentose degli Alessandri, degli
Annibali, dei Cesari, dei Gustavi Adolfi, dei Federichi, dei Bonaparti
hanno invero un tipo in cui s'incontrano il marchio del genio, la
scintilla uniforme attinta in quelle alte regioni; ma ciascuno apparve
sotto una forma diversa, ciascuno combatté, governò, condusse la guerra
secondo la diversitá dei tempi e dei luoghi, secondo le trasformazioni
successive che subiscono gli spazi, le ricchezze, gl'interessi, le
delimitazioni territoriali, la fusione e la separazione dei popoli e
delle nazioni.

I grandi uomini della Grecia e di Roma, il gran cartaginese, l'eroe
scandinavo, il filosofo di Sans-soucis ed il massimo dei capitani
francesi vestivano il tipo immortale, e ciascuno di essi lo rendeva
sensibile con metodi, con ordinamenti, con istrumenti appropriati alle
necessitá, ai costumi, allo stato della intelligenza, alla qualitá
delle passioni che predominavano nelle generazioni e negli eserciti coi
quali operavano.

Lo scopo morale dell'uman genere ammette, esige anzi, un cambiamento
sempre crescente di forme, ma lo scopo rimane lo stesso. In tai limiti
lo scorrer del tempo è un progresso e la cronologia un termometro. Il
genio, tirando irremovibilmente al suo scopo, va lentamente nell'ordine
dei tempi rompendo le forme a misura che sviluppandosi gli divengono
anguste.

Perciò l'aquila di Sant'Elena perfettamente diceva, librandosi in
quelle alte regioni: «_Les généraux en chef sont guidés par leur propre
expérience ou par leur génie. La tactique, les évolutions... peuvent
s'apprendre... comme la géométrie; mais la connaissance des hautes
parties de la guerre ne s'acquiert que par l'expérience et par l'étude
de l'histoire des guerres et des batailles des grands capitains.
Apprend-t-on dans la grammaire à composer un chant de_ l'Iliade, _une
tragédie de Corneille_?».

A fronte della opinione che tutto o presso a poco tutto sia rimasto
stazionario negli ordinamenti militari e nelle cose di guerra, sorge
quella che tutto o quasi tutto sia cambiato e radicalmente cambiato.
Questa seconda opinione si manifesta imprendendo a dimostrare esser
divenute presso che inutili le fortificazioni e le piazze di guerra.

Nel ricordare questa opposta ed ugualmente estrema opinione, non mi
è dato di dimostrare da quale pericolosa illusione discenda. Ed ove
il potessi, il tenterei superfluamente dopo che il problema della
riduzione delle piazze forti è stato giá negativamente sciolto dai piú
segnalati uffiziali di Europa. Basterá al mio scopo d'aver accennato i
due estremi, tra' quali non sará irragionevole di supporre che un mezzo
vi esista, il quale precisamente esprima che tutto non è cambiato né
che tutto è rimasto invariato nell'arte della guerra.

Ché se potessi con una immagine sensibile ma non compiuta ed esatta
indicare la differenza che intercede tra la scienza della guerra
quale ella era al trapassare del gran Federico e quale attualmente si
trova, direi che distano le due epoche di quanto dista l'opera del
Guibert, considerata come la piú chiara e compiuta sposizione degli
spiegamenti prussiani, da quella dell'illustre autore dei _Princípi
di strategia_[85], considerata come la piú metodica e scientifica
sposizione dei grandi movimenti[86].

Parmi d'aver abbastanza dimostrato che sino a quando una invenzione piú
efficace della polvere da guerra non verrá a cambiare la natura del
fucile di guerra come arma mista, rendendo cosí possibile un ordine
unico, la perfezione non potrá consistere se non nel miglior metodo
per passar vicendevolmente dall'uno all'altro degli ordini dei quali
abbisogna il fucile per impiegar secondo le circostanze i suoi fuochi
o la sua baionetta.

Sará il fucile a percussione[87], ove riesca di adattarlo al servizio
militare, come giá con vasti esperimenti si va tentando in Prussia ed
in Francia, non solamente con esperienze fatte ne' campi d'esercizio,
ma con quelle di una lunga campagna di guerra co' suoi mille
combattimenti di notte e di giorno, sotto tutti i cieli, nei calori
della state che permettono alle dita il piú delicato esercizio o nei
freddi assiderati del verno; sará il fucile a percussione quell'arma
nuova, o piuttosto di nuova natura, destinata a produrre un totale
cambiamento negli ordinamenti militari? un cambiamento uguale a quello
che produsse la scoperta della polvere da guerra? A me non pare.

Egli è probabile che gli effetti del fuoco divengano per esso maggiori
sia per la celeritá sia per la esattezza e la portata dei tiri. Non
pertanto ciò non costituisce un cambiamento nella natura dell'arma, ma
un perfezionamento, un aumento di effetto.

Se fosse permesso di ragionare per analogia, potrebbe credersi che
un tal fucile produrrá in guerra differenze analoghe a quelle che ha
prodotte nella caccia a fronte dei fucili a pietra focaia. Ora non vi è
negli effetti, tra un fucile a pietra focaia ed uno a percussione, la
differenza che per esempio si scorge tra il trarre dell'arco e quello
del fucile, tra la balista ed il mortaio da bomba.

Né propriamente la polvere da percussione nel suo stato presente può
essere considerata come un nuovo agente di proiezione, ma solamente
come un nuovo trovato atto ad infiammare piú prestamente e, ove sia
per essere provato in grande nelle righe e nelle file, piú sicuramente
la carica. Ond'è che questa scoperta non entrerá nei miglioramenti del
fucile di guerra come arma mista se non come una frazione di frazione.

Sarebbe glorioso per lo dotto estensore dell'articolo[88] non meno che
per la nostra Italia se la sua invenzione, a fronte di quelle tentate
giá in molti luoghi d'Europa, meglio pervenisse a risolvere il nuovo
problema ed a dare questo nuovo vantaggio al fucile a baionetta.

Il merito vero del signor barone maggiore Ferrari, le sue conoscenze
speciali nelle artiglierie, la quantitá di dottrina, di meditazione,
di esperienza che splendono nei diversi dettati di cui il nostro
compatriota ha arricchito la scienza non meno che l'Italia, a tanto gli
dánno fondato diritto di aspirare. E tali sono i miei voti, di che non
deve dubitare un sí distinto uffiziale ed un sí distinto italiano.

Diverrá allora egli medesimo, aggiugnendo anche questo ai diritti che
giá possiede alla stima dei suoi compatriotti, una novella prova,
la quale dimostrerá sempre piú che in un'epoca durante la quale è
piaciuto all'essere supremo di permettere che sin nel fondo dei cuori
rifermentassero le passioni tutte che vi avea impresse, e di volere
che un rinnovamento vasto e totale avvenisse nell'attivitá dello
spirito, nell'ardore dei sentimenti, nelle abitudini e nel consorzio
della vita; in tale epoca non poteva la guerra, che tanto influisce
ad esaltar lo spirito e le passioni e ne sente l'influenza, che tanto
vale a modificare l'esistenza dell'individuo e degli Stati, non poteva
rimaner fuori dell'universale rinnovamento. È ella troppo generale,
troppo grave causa di conseguenze gravi per non essere stata seriamente
meditata e da coloro che la esercitavano come dovere e da coloro che la
subivano come necessitá.

Conflitti diuturni, moltiplici, d'ogni natura, la presentarono in
questi ultimi tempi nella sua piú estesa forma e sotto le sue piú
svariate immagini. La terra ed i mari furono coperti delle distruzioni
che le umane generazioni accumulavano, spinte alle pugne dalla
politica, dal commercio, dagli odii civili, dalla conquista e dalla
difesa. Le nazioni come i principi, gl'interessi come la gloria,
la societá civile come la religiosa, immerse nel medesimo turbine,
s'incontrarono armate sui campi, aspirando a fini diversi, ma tutti
trattando la guerra come l'elemento comune e la necessitá assoluta
della propria salvezza.

E dove mai ed in quai tempi avvenne che una passione, una necessitá
universale, una societá scossa sin nei fondamenti, non abbia indagati
e scoperti i modi di soddisfare utilmente alla condizione essenziale
della sua esistenza, di sviluppare il fatale ardore che l'animava?
Trovarono l'etá feudali i modi di guerra analoghi ai loro bisogni ed
allo stato della societá in quei tempi; nei tempi posteriori, sorti
altri interessi, la guerra prese altre forme e la politica altre
alleanze; cosí ai dí nostri la guerra, cui tutto e ciascun individuo
dovette inevitabilmente soggiacere, che portò seco la conquista ed il
mescolamento dei popoli, prima per l'odio indi per la stima e per lo
reciproco innestamento delle idee e delle abitudini; questa guerra
gigantesca dovette elevarsi a pensieri alti, a modi vasti, potenti,
dotti, ordinati, corrispondenti agl'interessi immensi, alle grandi
passioni, alla civiltá matura delle generazioni che mieteva.

E ciò si scorge, secondo a me pare, o che si analizzi la scienza e
l'arte della guerra nello stato a cui sono giunte, o che si deduca
l'attuale loro stato dalle norme invariabili che siegue l'umano
spirito, il quale non opera e medita la medesima azione continuamente
senza meglio classificarne i princípi, semplificarne le forme,
moltiplicarne ed elevarne le applicazioni.



Lo _Spettatore militare_ di Francia nel 15 giugno 1835, in un articolo
in cui con molta benevolenza porta questo nostro lavoro, ci fece
qualche osservazione di cui ci siamo giovato per corriggere ciò che vi
era d'inesatto in alcuni fatti in questa seconda edizione.



NOTA


I nove discorsi _Della scienza militare_ furono pubblicati dal Blanch,
la prima volta, nelle annate 1832-1834 della rivista _Il progresso_,
edita a Napoli da Giuseppe Ricciardi (vol. I, 1832, pp. 70-81; II,
1832, pp. 82-91; III, 1833, pp. 58-71; V, 1833, pp. 68-83; VI, 1833,
pp. 19-39; VII, 1834, pp. 5-28; VIII, 1834, pp. 3-36, 169-215; IX,
1834, pp. 3-32). Appena terminata la pubblicazione nel periodico, i
discorsi vennero raccolti in un volume, con un'appendice del maggiore
CIANCIULLI, ristampa di un articolo comparso nel medesimo _Progresso_
(vol. IV, 1833, pp. 208-240) e firmato X., in opposizione a uno
studio del barone maggiore FERRARI: _Sullo stato e sulle vicende delle
presenti milizie_, inserito parimente nel _Progresso_ (vol. IV, 1833,
pp. 15-36), sul quale è da confrontare anche la lettera di EMANUELE
ROCCO ai compilatori del _Progresso_ (ib., pp. 241-242). Questa prima
edizione: _Della | scienza militare | considerata ne' suoi rapporti |
colle altre scienze e col sistema sociale_ | ecc. (in Napoli, nella
tipografia Porcelli, 1834, pp. 242 in 8º, con l'epigrafe, ripetuta
nelle altre ristampe: «_L'objet de l'histoire, dans la seule acception
légitime du mot, est le developpement de l'intelligence humaine,
manifesté par des changements extérieurs qui ont été en différentes
époques les effets de ce developpement_. — JOUFFROY, _Mélanges
philosophiques_ p. 36»), ebbe fortuna. Dopo otto anni infatti se ne
faceva una ristampa (Seconda edizione corretta ed accresciuta di una
prefazione, Napoli, presso la libreria francese di Stefano Dufrène,
1842, pp. XXXII-268), non esente da mende tipografiche, nella quale
furono corrette alcune inesattezze, rilevate dallo _Spectateur
militaire_, e aggiunta una lunga prefazione, in cui il B. spiega la
genesi del lavoro. Intanto i discorsi, molto divulgati e apprezzati
all'estero, vennero tradotti in francese dal capitano HACA. Nel 1869
Teodoro Pateras iniziò la pubblicazione di una _Biblioteca militare_
con la ristampa (la quarta) dell'opera del B. (Napoli, 1869, in 8º
grande a due colonne, pp. II-140), condotta con tanta trascuratezza
che non è pagina in cui, oltre a rinvenirsi grossi strafalcioni
tipografici, non si trovino lacune di parole o d'intere frasi, e una
volta perfino d'un non breve capoverso (pp. 253-4 di questa edizione).
La nostra edizione (quinta ristampa) vien condotta su quella del 1842,
l'ultima curata direttamente dall'autore, conservando l'appendice
del Cianciulli, che il B. considerava come «parte integrale dei nove
discorsi» (cfr. lettera del 12 settembre 1869 al Pateras, nell'ediz.
da questi curata, p. 115; nonché p. 188 n. della presente ediz.). Pure
modificando ortografia e punteggiatura, si sono rispettate alcune forme
peculiari del Blanch, nonché la grafia, anche se scorretta, dei cognomi
stranieri. Si sono corretti tutti gli evidenti errori tipografici, di
cui è inutile dare qui il noioso elenco. Qualche lievissima modifica
al testo è stata resa indispensabile dal senso. Perciò a p. 57, v. 6,
si è posto un punto fermo tra «andamento» e «nell'occidente»; a p. 60,
v. 28, tra «determinativa» e «per la parte politica» si è aggiunto un
«sí»; un «di» è stato interposto tra «battaglia» e «Fornuovo» a p. 66,
v. 17; a p. 76, v. 25, s'è corretto in «raggiugnere» un «aggiugnere»;
a p. 114, v. 25, per non alterare troppo il testo, ci siamo limitati
a mutare in «è» verbo un «e» congiunzione, nella frase «è la guerra da
lui supposta», quantunque forse il B. volesse dire a dirittura «nella
sua opera sulla guerra da lui supposta», ecc.; a p. 197, v. 5, infine,
abbiamo mutato (come giá fece il Pateras) «cittá note», che non fa
senso, in «giá note».

Per notizie biografiche del B. (n. a Lucera nel 1784, m. nel 1872) cfr.
G. GIUCCI, _Degli scienziati italiani formanti parte del VII congresso
di Napoli_, Napoli, tip. parigina di A. Lebon, 1845, p. 162; T.
PATERAS, _Breve notizia intorno Luigi Blanch_ (sic) _di Napoli_ (sic)
nell'ediz. da lui curata, pp. 134-136; G. FERRARELLI, nel _Piccolo_
dell'8 agosto 1872; P. BARBATI, cit. in séguito, pp. 8-12.

Sull'opera del B. sono da vedersi le _Opinioni di diversi autori
intorno L. B._ (sic) raccolte dal PATERAS (pp. 137-140 dell'ediz. da
lui curata), alle quali si aggiunga quel che è detto nella _Revue des
deux mondes_ del 1843 (vol. III, pp. 347-48). Accenni nell'ULLOA,
_Pensées et souvenirs sur la littérature contemporaine du royaume
de Naples_, II (Genève, Cherbuliez, 1859), p. 384. Si veda ancora G.
Ferrarelli, _Lista di molti lavori militari di L. B._, in _Schizzi_
(Napoli, Dura, 1871), pp. 55-59; _Il collegio militare di Napoli_,
in _Rivista militare italiana_ del 1887, IV, e ora nelle _Memorie
militari del mezzogiorno d'Italia_ (Bari, Laterza, 1910), pp. 55 e 90.
Del B. hanno scritto piú ampiamente: E. ROCCHI, _L. B. e l'evoluzione
della scienza della guerra_, Roma, Voghera, 1899, estr. dalla _Riv.
militare italiana_ del 1899 (è lo studio piú importante sull'opera che
ristampiamo); G. GENTILE, _Dal Genovesi al Galluppi_, Napoli, ediz.
della _Critica_, 1903, pp. 281-283 (che tratta del B. come filosofo),
e da ultimo P. BARBATI, _Il pensiero filosofico di L. B._, esposizione
ed osservazioni, Napoli, stab. tip. Sangiovanni, 1907 (molto mediocre,
ed assai spesso infelice nell'esposizione del pensiero del B.).



INDICE DEI NOMI


  Acton, 158
  Afan de Rivera, 139
  Agricola (Rodolfo), 91
  Aguesseau (d'), 116
  Aguto (Giovanni Hawkwood), 55
  Alba (duca d'), 85, 86
  Alembert (d'), 152
  Alessandro Magno, 41, 107, 122, 229, 240
  Alighieri (Dante), 212
  Allix, 256, 258
  Alviano, 66
  Ammiano Marcellino, 221
  Anhalt (Leopoldo princ. di), 246
  Annibale, 10, 142, 229
  Apelle, 222
  Aranda (conte di), 158
  Archimede, 90
  Aristotele, 41, 86, 117
  Arminio, 222
  Arnault, 116
  Aubigny (d'), 60
  Awright, 198

  Bacone da Verulamio, 11, 91, 157, 231
  Baden, 107
  Bailly, 195
  Banner, 85
  Barberus (Ermolao Barbaro), 91
  Baronio, 116
  Barrocchi, 88
  Bayle, 116
  Beattie, 216
  Belisario, 48
  Bellegarde, 193
  Benningten (conte di), 193
  Bentham, 201
  Bentivoglio (Guido), 220
  Bergeman, 154
  Berkeley, 156
  Bernouilli, 152
  Berthollet, 197
  Berwick (duca di), 107, 110, 149
  Berzelius, 197
  Beyer, 154
  Biot, 195
  Blois, 116
  Blücher, 193
  Blumenbach, 196
  Bonald (visconte di), 202, 214
  Bonpland, 197
  Bonstetten, 212
  Borbone (il connestabile di), 67
  Borda, 152
  Borgo (di), 69
  Boschovich, 153
  Bossuet, 42, 116, 125
  Boucher, 153
  Bousmard, 184, 192, 254
  Bouturlin, 276
  Braccio da Montone, 55
  Brahe, 90
  Braun, 149
  Breislack, 196
  Briganti, 156
  Brown, 197
  Brugnatelli, 198
  Bruno, 91
  Brunswick (duca di), 149, 193
  Bucher, 116
  Buffon, 116, 153
  Buglione (Goffredo di), 53
  Bülow, 190, 191, 192, 275
  Buonarroti, 194, 222
  Burcet, 139
  Burke, 203

  Camöens, 32
  Campanella, 91, 116
  Camus, 153
  Canova, 222
  Caraman (duca di), 258, 259
  Cardano, 91
  Carlo Magno, 48, 50, 57
  Carlo VII di Francia, 61
  Carlo VIII di Francia, 66, 81, 119, 216, 237
  Carlo V d'Austria, 34, 62, 66, 69, 75, 76, 77, 119
  Carlo VI d'Austria, 127
  Carlo arciduca d'Austria, 139, 178, 191, 192, 193, 221, 275
  Carlo II d'Inghilterra, 100
  Carlo XII di Svezia, 107, 108, 206
  Carlo III di Spagna, 125, 158, 163
  Carmagnola, 55
  Carnot, 69, 111, 177, 184, 192, 253, 254
  Cartesio, 33, 91, 116, 156
  Cassini (Domenico), 153
  — (Giacomo), 153
  Castrioto, 68
  Cataneo, 68
  Caterina II di Russia, 158, 256
  Catinat, 107, 110, 221
  Cesalpino, 91
  Cesare, 16, 18, 107, 221, 229, 274
  Chambray, 14, 16, 222, 250
  Chaptal, 198
  Chasseloup (lord), 254
  Châtel (Pietro), 91
  Chaumera, 111
  Choiseul (duca di), 158
  Cianciulli (maggiore), 189, 245
  Cicerone, 155
  Cid (il), 50
  Cimone, 30
  Ciro il grande, 241
  Clairault, 152
  Clerfait (duca di), 193
  Clinton, 151
  Clisson, 116
  Coligny, 85
  Colonna (Marco Antonio), 66
  — (Prospero), 66
  Condillac, 156, 200, 201
  Condorcet, 152, 195
  Cook, 197
  Copernico, 69
  Cordova (Consalvo di), 66, 68
  Cormontaigne, 111, 253, 254
  Cornwallis, 151
  Cotugno, 154
  Courtin, 182
  Cousin, 12
  Crequi, 110
  Critis, 222
  Cromwell, 100
  Cudworth, 116
  Cuiacio, 91
  Cuvier, 58, 96, 116, 196, 209

  Darcon, 69, 177, 192
  Daubanton, 153, 196
  Daun (conte di), 149
  Davila, 220
  Decker, 261
  De Luc, 196
  Degerando, 86, 201
  Demostene, 219
  Desaix, 193
  Dolomieu, 153, 196
  Domat, 116
  Doria, 66
  Douglas, 263
  Drieux, 263
  Drouot, 171
  Duguesclin, 237
  Dumas, 181, 221, 276
  Dumouriez, 192
  Dupin, 255, 262, 263
  Durtubic, 148
  Duvivier, 110

  Eckstein, 215
  Elisabetta d'Inghilterra, 77
  Elsnitz, 257
  Enrico IV di Francia, 81, 85, 86
  Enrico di Prussia, 149
  Epaminonda, 240
  Ermanno di Basilea, 152
  Erodoto, 220
  Eugenio principe di Savoia, 107, 110, 151, 227, 229, 247, 275
  Eulero, 152

  Fabio Massimo, 142, 149
  Farnese (Alessandro), 85, 86, 88
  Federico Barbarossa, 51
  Federico il grande re di Prussia, 109, 135, 136, 137, 138, 141,
  144, 145, 147, 149, 151, 158, 164, 170, 174, 175, 191, 193, 221,
  227, 229, 246, 257, 264, 265, 271, 274, 275
  Fénélon, 116
  Ferdinando il cattolico, 69
  Ferdinando IV di Napoli, 158
  Ferrand, 202
  Ferrari, 188, 189, 245, 253, 258, 264, 276, 277
  Ferreo (Scipione), 90
  Feuquières, 106, 113, 114, 190, 275
  Feuriel, 215
  Fichte, 201
  Fidia, 222
  Filangieri, 156
  Filippo di Macedonia, 219, 240
  Filippo Augusto di Francia, 16
  Filippo II di Spagna, 76, 77, 78, 89
  Firmiani (Firmian), 128
  Folard, 113, 114, 115
  Fontana, 152, 154
  Fonton, 19
  Foscolo, 65, 70, 73, 82, 240, 264
  Fouquet, 136, 175, 227
  Foy, 12, 194, 262
  Francesco I di Francia, 63, 77, 119
  Francklin, 198

  Gages (conte di), 151
  Galiani (ab.), 156
  Galilei, 90
  Gall, 197
  Galvani, 198
  Ganhil, 202
  Garat, 200
  Gassendi, 116
  Gassez, 158
  Gattamelata, 55
  Genovesi, 156, 157
  Gentili, 92
  Geoffroy, 153
  Geyesman, 91
  Giambelli, 88
  Giannone, 116
  Gibbon, 255
  Gioia (Flavio), 70
  — (Melchiorre), 202
  Giovio (Paolo), 216, 237
  Giuseppe II d'Austria, 158, 165
  Giustiniano, 48, 199
  Gourgaud, 276
  Grassi, 241
  Gravina, 116
  Grève, 116
  Grevenitz, 261
  Gribauval, 132, 140, 256, 261
  Grozio, 92
  Guglielmo di Tiro, 220
  Guibert (conte di), 134, 146, 147, 148, 240, 275
  Guicciardini, 220
  Guischardt, 146, 182, 275
  Gujeux, 268
  Gumbertz, 255
  Gurke, 116

  Hams, 116
  Haxo, 185, 254
  Heeren, 201
  Herder, 125, 156
  Herschell, 195
  Hobbes, 116
  Hoche, 192
  Humboldt, 197
  Hume, 156

  Isolani, 85

  Joinville, 220, 221
  Jomini, 3, 108, 114, 119, 139, 192, 220, 222, 276
  Jones, 154, 186
  Jourdan, 192, 221, 266

  Kalkreut, 193
  Kant, 156, 201
  Kellermann, 268
  Keit Ziethen, 149
  Klèber, 169
  Koch, 276
  Kray, 193
  Kutusoff, 193

  Laborde (conte di), 237
  La Condamine, 153
  Lacepède, 196
  La Fontaine, 193
  Lagrange, 195
  Lamarck, 196
  Lamarque, 181, 193
  Lamennais, 118
  Lannes, 193
  Lanteri, 68
  La Pérouse (conte di), 197
  Laplace, 153, 195
  Laromiguière, 200
  Lascy, 149, 172
  Laudon, 142, 150
  Lavoisier, 154, 197
  Lawrence, 196
  Lecourbe, 86, 276
  Leibniz, 117
  Leopoldo II d'Austria, 158, 165
  Lespinasse, 261
  Leskinc, 14
  Linneo, 153
  Livio, 220
  Lloyd, 114, 146, 147, 190, 192, 221, 222, 275
  Locke, 116, 156, 200
  Louvois, 112
  Luigi IX di Francia, 53
  Luigi XIV re di Francia, 99, 108, 118, 119, 121, 170, 180,
  205, 221
  Luigi XV di Francia, 249
  Luigi XVIII di Francia, 168
  Lullo, 70
  Lutero, 71
  Luxembourg, 107, 108

  Macdonald, 174, 193
  Machiavelli, 38, 63, 65, 220, 240
  Mackintosch, 92
  Maillebois (marchese di) 137, 149
  Maine de Biran, 201
  Maireroi, 275
  Maistre (conte di), 202
  Malebranche, 116
  Malpighi, 116
  Manfredi, 152
  Manfredini, 158
  Marbot, 264
  Marchi (de), 68, 111
  Marco Antonio, 173
  Marescot (marchese di), 254
  Maria Tudor d'Inghilterra, 77
  Maria Teresa d'Austria, 127
  Mario, 30
  Marlborough, 107, 110
  Marmont, 109, 193
  Martinet, 103, 249
  Massena, 181, 184, 193
  Massillon, 116
  Massimiliano arciduca d'Austria, 111
  Maupertuis, 153
  Maurizio di Sassonia, 67, 111, 134, 135, 141, 145, 148, 263, 275
  Maurolico, 90
  Mauvillon, 275
  Merian, 116
  Meursio, 65
  Mezeroy, 146, 148
  Michelet, 123
  Micheli, 153
  Mirabeau, 247, 265
  Mocenigo, 101
  Molitor, 86, 276
  Möllendorf, 193
  Monge, 195, 198
  Montalembert, 111, 148, 254
  Montano, 69
  Montecuccoli, 65, 84, 85, 86, 107, 109, 113, 221, 241, 264
  Montesquieu, 64, 155, 156, 184, 199, 200, 201, 202, 240
  Montgolfier, 198
  Montholon, 228, 264
  Montlosier, 202
  Moore, 194
  Moreau, 173, 184, 193
  Morosini, 101
  Mortier, 268
  Mosè, 31
  Muffling, 221
  Müller, 125
  Munick, 138, 141, 150, 173
  Murat, 173
  Musa, 70

  Napier, 221, 276
  Napoleone, 16, 18, 53, 109, 135, 170, 179, 180, 182, 183, 185,
  187, 189, 201, 221, 228, 229, 232, 237, 262, 274
  Narsete, 48
  Newroscki, 257
  Newton, 116, 194, 195
  Nicolas, 152
  Nicole, 116
  Niebuhr, 201
  Nomus Porta, 90

  Oknufief, 184
  Omero, 32, 116, 216
  Orange (principe di), 108
  Oriani, 195
  Oudinot, 3
  Oxenstiern, 94

  Pagan (conte di), 87
  Pagano, 156
  Paixhan, 111
  Pallavicino, 116
  Palmieri, 26, 145, 146
  Pappacini, 148
  Parant, 152
  Parma (duca di) vedi Farnese
  Paruta, 220
  Pascal, 116
  Paskievicht, 16, 18, 19
  Pastoret, 201
  Pelet, 16, 17, 67, 139, 171, 221
  Pericle, 219
  Peyxhans, 263
  Piazzi, 195
  Piccinino, 55
  Piccolomini, 85
  Pichegru, 192
  Pietro di Navarra, 69
  Pietro il grande di Russia, 101, 108, 128
  Pitt, 207
  Platone, 24
  Plinio, 41
  Plutarco, 31, 220, 246
  Poggioli, 69
  Poli, 198
  Polibio, 25, 191, 220, 246
  Pombal (marchese di), 158, 163, 164
  Portalis, 157, 200
  Portoreale, 116
  Potemkin, 150
  Priestley, 154
  Puffendorf, 117
  Puysegur, 106, 113, 114, 275

  Quinci, 106, 221

  Raffaello da Urbino, 222
  Rampon, 268
  Ravicchio, 261
  Reaumur, 153
  Reid, 200
  Rettzov, 221
  Rey, 116, 153
  Riccardo cuor di leone, 53
  Riccardos, 193
  Richelieu (duca di), 88, 94
  Richepanse, 268
  Richmond (duca di), 256
  Rogniat, 185, 264
  Rohan (principe di), 85, 221, 275
  Romagnosi, 202
  Romanzoff, 150
  Rossini, 217
  Royer Collard, 200

  Sainte-Chapelle, 267
  Saint-Cyr, 14, 193, 221, 251, 276
  Saint-Paul, 184, 254
  Saint-Remy, 148
  Salder, 136
  Sallustio, 220
  Sangulier (de), 116
  Santa Crux, 145
  Saussure, 196
  Savelli, 85
  Say, 202
  Scarpa, 154
  Scharnost, 273
  Schauburg, 189
  Schelling, 201
  Schlegel, 201
  Schwarzenberg, 193
  Segur, 232
  Seidlitz, 136, 173, 246
  Senofonte, 220, 221
  Serra, 156
  Serse, 237
  Sertorio, 86
  Seurin, 152
  Severino, 116
  Sforza (Attendolo), 55
  — (Francesco), 52
  Sismondi, 202
  Smith, 115, 156, 202
  Sobieski, 101, 105, 110
  Socrate, 116
  Solimano il magnifico, 67, 69, 78
  Soult, 193
  Souvant, 14
  Souwaroff, 138, 150, 193
  Spinola, 85
  Spinoza, 116
  Sponsilli, 13
  Stahremberg (conte di), 107, 110
  Stellini, 156
  Stutterheim, 276
  Suchet, 96, 193, 221
  Sully, 88
  Sydenham, 116

  Tacito, 220
  Tallard, 105
  Tanucci, 158
  Tartaglia, 68, 90
  Tasso, 32, 237
  Telesio, 91
  Temistocle, 30
  Tempheloff, 147, 221
  Tennemann, 201
  Tilly, 85
  Tirteo, 215
  Tommasini, 197
  Torricelli, 116
  Torstestdon, 85
  Tournefort, 116, 153
  Tracy, 201
  Trambley, 153
  Tucidide, 12, 219, 220
  Turenna (visconte di), 82, 85, 86, 94, 105, 106, 107, 109, 111,
  121, 141, 146, 147, 180, 183, 221, 229, 273

  Ubaldo, 90
  Uberto (tenente colonnello), 13

  Vacani, 276
  Vaccari, 221
  Valdeck, 108
  Valentini, 16, 18, 19
  Valèze, 115
  Vallée, 186
  Vallisnieri, 153
  Van Swieten, 154
  Vauban, 111, 115, 140, 141, 147, 192, 254
  Vaudoncourt, 276
  Vendôme, 107, 110, 222
  Vercingetorige, 222
  Verme (del), 55
  Verner, 90
  Veterani, 85
  Vico, 42, 122, 125, 155, 156
  Vieta, 90
  Villantroys, 263
  Villardoyn, 221
  Villars (duca di), 107, 110, 147, 221
  Villers, 201
  Virgilio, 32
  Viriate, 86
  Volney (conte di), 200
  Volta, 116, 154, 198

  Wagner, 221
  Waldstein o Wallenstein, 85, 86, 88, 93, 96
  Washington, 14, 138, 151
  Weimar (di), 85
  Wellington (duca di), 137, 194
  Wicleff, 71
  Wilson, 276
  Wittgenstein, 193
  Wolft, 117

  Zach, 195
  Zanca, 68
  Ziska, 55



INDICE


  PREFAZIONE A QUESTA SECONDA EDIZIONE                   pag.   3
  AVVERTIMENTO DELLA PRIMA EDIZIONE                       »    21
  DISCORSO I. — Idee generali intorno alla scienza
    militare ed alle sue relazioni colle altre scienze
    e collo stato sociale                                 »    23
  DISCORSO II. — Delle differenze tra la scienza militare
    degli antichi e quella de' moderni                    »    35
  DISCORSO III. — Della scienza della guerra nel medio
    evo e delle sue relazioni con le altre scienze e
    con lo stato sociale                                  »    45
  DISCORSO IV. — Della scienza della guerra e delle sue
    correlazioni con le altre scienze e con lo stato
    sociale dalla scoverta della polvere fino al suo
    risorgimento sotto Nassau e Gustavo Adolfo            »    59
  DISCORSO V. — Delle relazioni della scienza della
    guerra colle altre scienze e con lo stato sociale
    nel periodo compreso tra il 1555 e il 1648, vale a
    dire tra l'abdicazione di Carlo quinto e la pace di
    Westfalia                                             »    75
  DISCORSO VI. — Intorno allo stato della scienza
    militare ed alle sue relazioni colle scienze e collo
    stato sociale dalla pace di Westfalia a quella di
    Passarowitz                                           »    99
  DISCORSO VII. — Dello stato della scienza militare e
    delle sue relazioni colle altre scienze e le arti e
    con lo stato sociale dal trattato di Passarowitz del
    1718 alla rivoluzione francese del 1789               »   125
  DISCORSO VIII. — Intorno allo stato della scienza
    militare ed alle sue relazioni colle altre scienze
    e collo stato sociale dal 1789 al congresso di
    Vienna nel 1815                                       »   161
  DISCORSO IX. — Intorno ai rapporti della scienza
    bellica colle scienze, le lettere, le arti e lo
    stato sociale, considerati sotto un aspetto generale
    dall'antichitá fino ai dí nostri                      »   211
  APPENDICE. — Alcune osservazioni del maggiore
    Cianciulli intorno ai progressi dell'arte della
    guerra ai dí nostri, in occasione di un articolo del
    barone maggiore Ferrari da Parma, inserito nel
    fascicolo settimo del giornale: _Il progresso delle
    scienze, delle lettere e delle arti_                  »   245
  NOTA                                                    »   281
  INDICE DEI NOMI                                         »   287



NOTE:


[1] _Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio_, libro III, capitolo
XXXVI.

[2] Questa nostra opinione può esser impugnata coll'appoggio
dell'opinione di chiari uomini i quali sostengono ch'era un vero
progresso il sistema d'attacco dell'Oriente, cioè quello seguito da san
Luigi di portare la guerra in Egitto per farne sua base contro la Terra
santa. Ammettendo anche questa idea, ci permettiamo di far osservare
quanto siegue:

1. Che la conquista dell'Egitto, benché desse il vantaggio innegabile
di evitare la strada di terra ch'era cosí lunga, pur nondimeno rendeva
necessario il risalire fino ad una certa altezza la valle del Nilo,
per assicurare il fianco dritto della linea di operazione contro tutto
ciò che naturalmente si riuniva nell'alto Egitto, a fin di riprendere
l'offensiva nel momento che il resto dell'esercito europeo operasse
nella Siria; il che è confermato storicamente dalla spedizione di
Napoleone nel 1799 in quelle contrade.

2. Che ciò supponeva una quantitá di forze, di numero e di disciplina
che mancava ai crociati.

3. Che il deserto che separa l'Asia dall'Africa era un grande ostacolo
come linea d'operazione avanzando in ritirata nelle disfatte.

[3] In effetto tutte le battaglie si riducevano piú o meno ad un urto
in ordine parallelo; la vittoria, il piú sovente riportata sopra
un'ala, dava per risultamento il disordine che il vincitore subiva
egli stesso per abbandonarsi ad inseguire il nemico: da ciò risultava
che l'ala di questo che si era conservata piú intatta ne profittava
per piombare sopra i suoi avversari rimasti cosí isolati, e colui che
si credea vincitore al primo periodo si trovava vinto nel secondo.
Allora come anche oggidí la vittoria restava a chi conservava le
ultime truppe ordinate; con la differenza che ciò che allora il caso
operava, oggidí costituisce l'arte dell'impiego delle riserve, che è
il punto culminante della gran tattica e che caratterizza i generali di
battaglia.

[4] Nel nostro terzo discorso facemmo osservare che nei condottieri
si poteva giá scorgere l'applicazione di un principio razionale alle
militari operazioni, per cui si potrebbe reclamare a favore della
scuola italiana l'anterioritá; ma giusta le ragioni esposte noi
consideriamo la scienza come cosmopolita, e però la fissiamo ove ci
pare essere stata piú compiutamente applicata.

[5] Le guerre contro gli ottomani faceano inclinare questo gran
capitano agli ordini misti per resistere al numero ed alla impetuositá
di quelli: ciò spiega e giustifica al tempo stesso l'opinione di questo
autore.

[6] Se non abbiamo notato tra i capitani illustri e tra le campagne
che rilevano la strategia il principe di Rohan e la sua campagna in
Valtellina nel 1633, ciò si è perché questo bel modello di guerra
di montagna operata con un piccolo numero di uomini non ci è parso
appartenere all'epoca né aver precedenti o susseguenti se non che
in periodi lontani, mentre questo episodio militare è l'anello che
lega Viriate e Sertorio con Lecourbe e Molitor; per la qual cosa vi
torneremo sopra trattando dell'ultimo periodo della scienza.

[7] Per meglio far comprendere la nostra idea che può sembrare oscura,
riporteremo un riassunto della dottrina professata da Aristotile
nella sua Analitica, fatto dal signor Degerando, il quale a nostro
credere la mette in luce. — «_La connaissance absolue embrasse ce qui
est universel et ce qui est nécessaire, l'essence propre des choses;
la connaissance rélative, ce qui est particulier, contingent, les
accidents des choses. La première seule mérite le nom de science,
la seconde ne peut recevoir que celui d'opinion ou de croyance: la
première résulte de la démonstration, la seconde de l'induction; la
première appartient au raisonnement, la seconde aux sens. La première
est plus excellente, plus noble, d'une utilité plus étendue, d'une
certitude plus entière; elle règne, domine sur la seconde_». — Abbiamo
trascritto questo squarcio perché ci servirá in séguito a determinare
i progressi della strategia, e cosí stabilire in qual periodo e fino
a che grado abbia rivestito il carattere di scienza nel senso il piú
alto e conformemente alle condizioni che esige il filosofo di Stagira,
cioè di abbracciare quel ch'è universale e di essere dimostrata, mentre
nel periodo di cui discorriamo ci sembra che tratti dei particolari e
proceda per induzione.

[8] Si legga e rilegga il magnifico frammento sulle campagne dei gran
capitani nel secondo volume delle _Memorie di Sant'Elena_.

[9] Nell'assedio della Roccella la diga fatta gittare dal cardinale di
Richelieu per impedire i soccorsi che da mare poteansi ricevere è una
nuova dimostrazione del nostro assunto.

[10] Potendo essere accusati di esporre un principio contraddittorio
come carattere dell'epoca, cioè che nel tempo in che tutto tende
all'unitá delle nazioni ne indichiamo la tendenza allo scioglimento,
vogliamo darne la spiegazione. L'opposizione è apparente, giacché
tendevano all'unitá gli elementi simili e alla separazione i contrari,
e il principio di nazionalitá doveva produrre i due effetti secondo le
circostanze.

[11] L'amministrazione del maresciallo Suchet in Aragona è nella nostra
epoca una pruova di quanto asseriamo.

[12] La castrametazione seguiva gli ordini di battaglia, e noi ci
proponiamo di esaminare ne' seguenti discorsi i cangiamenti a cui fu
soggetta e gli effetti e le cause dell'abbandono delle tende per lo
serenare. Noi riserbiamo queste investigazioni cosí importanti per
l'epoca nella quale le scoperte, i progressi della topografia militare
e l'istituzione dello stato maggiore cui esse si legano, ne addimandano
la disamina e le rendono piú interessanti.

[13] Diremo in appresso come il perfezionamento della tattica era
impedito dalla poca mobilitá dell'artiglieria che a questa epoca, una
volta stabilita in posizione, non era piú suscettiva di movimenti.

[14] L'esame dell'importanza dello studio nella scienza militare
compirá questo nostro lavoro e sará alla fine del nono ed ultimo
discorso.

[15] Nelle ultime due ebbe ad avversario il Montecuccoli.

[16] I fatti d'arme che piú tra i moderni contemporanei rassomigliano
a questi sono quelli tra gli eserciti di Marmont e di Wellington nel
1812 sulle rive della Guerena e della Tormes, che poi finirono colla
battaglia dell'Aropilis ove fu ferito il Marmont.

[17] Nella campagna del 1703 vi fu il progetto di riunire un
distaccamento dell'esercito francese in Italia pel Tirolo con
l'esercito di Villars in Baviera e marciare sopra Vienna; progetto
degno del Villars, che aveva il genio delle masse, e sarebbe riescito
se l'elettore avesse marciato verso le sorgenti dell'Inn e Vandôme
verso quelle dell'Adda (vedi DUVIVIER, _Guerre de succession_, tomo
I, pagina 144). Nuova pruova del progresso della strategia nel periodo
di cui teniamo discorso e nella quale è il germe del piano di campagna
del 1796. Notare in tutte le scienze l'apparire di una idea e seguirla
nel suo svolgimento e nelle sue modificazioni è il metodo piú utile per
conoscere e determinare la storia di una scienza.

[18] La difesa di Candia depone contro la nostra asserzione, ma la
confermano le difese di Lilla, di Grave e di tutte le piazze d'Europa
meglio difese. Infatti tutte le opere militari posteriori hanno avuto
per iscopo di vantaggiare la difesa, e tali sono il defilamento di
Cormontaigne, la fortificazione perpendicolare di Montalembert, i
fuochi verticali del Carnot, le fortificazioni di ferro del Paixhan,
il sistema dello Chaumera, quello dell'arciduca Massimiliano, che
hanno tutti per oggetto l'opporre al fuoco d'infilata qualche cosa di
superiore ai bastioni, ultimo passo della difesa per fiancheggiamento.

[19] Il maresciallo di Sassonia ha filosoficamente ricercata
l'influenza dei mezzi artificiali sul coraggio nel capitolo de'
trinceramenti; ed il Carnot, preceduto dal Darcon, disperando di
rinvenire un mezzo da rendere la difesa superiore all'attacco, l'indicò
nell'energica volontá di chi difende le opere e non giá in esse.

[20] Si può opporre che le repubbliche italiane, le cittá libere di
Germania, la Svezia e la Polonia formano eccezione a quanto dicemmo.
Noi rispondiamo che in questi Stati, benché non vi fosse trasformazione
nel governo, la tendenza e l'impulso generale eran conformi a quelli
che indicammo nelle monarchie, cioè che il potere si concentrava invece
di diffondersi negli altri elementi della societá.

[21] Il trattato di Passarowitz chiude il nostro periodo; ma come
questo nulla cangiò di quello che ad Utrecht erasi stipulato, cosí
abbiamo citato quest'ultimo per la sua importanza nel regolare le
relazioni dell'Europa dirette a ristringere l'impero ottomano nella
sua azione ed influenza, costringendolo a passare dall'offensiva alla
difensiva.

[22] Le truppe veimariane che servirono con Turenna sono gli ultimi
mercenari non permanenti che figurano nell'istoria moderna, ai quali
furono sostituiti i reggimenti esteri.

[23] MICHELET, _Histoire romaine_, tomo II, pagina 6.

[24] L'ultima ordinanza francese del 1831 benché ammetta il servirsi
di due righe come eccezione, ha conservato le tre righe come ordine
abituale.

[25] Nel quinto volume delle _Memorie di Sant'Elena_ in una luminosa
dissertazione sulla guerra dei sette anni, Napoleone è d'opinione
che l'ordine obliquo non è un progresso della tattica ma è l'essenza
dell'arte; per cui fu praticato in tutti i tempi dai gran capitani,
mentre rientra nella categoria delle sorprese, il che non è nella
sfera tattica. Imperocché egli sostiene che non può farsi una marcia
di fianco in faccia ad un nemico spiegato senza commettere un grave
errore ed esserne punito, poiché chi sottrae un'ala dee attendersi
una contromanovra del nemico sulla sua indebolita; il che non solo la
compromette, ma compromette ancora la linea di operazione che questa
è destinata a conservare. Come decidere tra Federico e Napoleone?
Chi oserá farlo? Il vantaggio di una scienza fissata si è quello di
mettere le piú volgari intelligenze a portata di dare una opinione:
noi ne profitteremo. Ciò che Napoleone dice è incontrastabile. Ciò
che Federico ha operato lo è del pari. Ov'è l'equivoco? In questo:
che le truppe prussiane manovravano superiormente, le altre no; le
prime guadagnavano spazio e tempo e le altre lo perdevano; per cui le
contromanovre o non si facevano o si facevano troppo tardi, quando la
giornata era decisa.

[26] Nel seguente discorso in cui dovremo trattare del sistema seguito
da Wellington nella guerra della penisola, faremo osservare quello che
vi era di comune fra i metodi del generale inglese e quelli adottati
dagli austriaci e descritti da Federico.

[27] Sempre che lo spirito umano scopre un metodo è nella sua natura
di credersi giunto a quella superioritá ideale cui aspira. Dá in
conseguenza alla scienza piú nuova un merito e degli effetti superiori
alla realitá; in séguito i progredimenti stessi della scienza fanno
che sia ridotta al suo reale valore. Ciò è addivenuto della strategia
scientificamente considerata.

[28] Dovremmo uscire dai limiti che ci siamo prefissi, per estendere
le nostre osservazioni e citazioni a tutte le guerre di Europa, a
tutti i guerrieri dell'epoca; dovremmo citare i Munick, i Romanoff, i
Souwaroff e ricordare le guerre contro i turchi tre volte rinnovellate,
e la guerra delle colonie americane, e citar Giorgio Washington. Ci
contenteremo di dire che i russi avevano sopra i turchi i vantaggi che
ha l'Europa sull'Asia, colle qualitá che distinguono l'esercito russo,
il che assicurava i loro successi. Quanto agli austriaci diremo che
furono disgraziati perché non operarono in massa. E da ultimo noteremo
che le operazioni degli americani contro gl'inglesi possono spiegarsi
considerando la lunghezza della linea d'operazione ed i vasti spazi che
quelle contrade presentano alla difensiva.

[29] Un punto strategico altro non è che una posizione che il nemico
dee forzare, mentre se vuole oltrepassarla, colui che l'occupa può
minacciare con movimenti piú corti le sue comunicazioni senza esporre
le proprie. Da questa proprietá dei punti strategici è derivata l'idea
enunciata di renderli forti per conservarli, anche quando l'esercito
che gli occupava ne usciva per momentaneamente operare. L'arciduca
Carlo nella sua sapiente opera sulla strategia ha luminosamente esposta
questa teoria; Jomini, Pelet e tutti gli autori piú rinomati dell'epoca
hanno su ciò insistito. Ne parleremo piú ampiamente nel nostro ottavo
discorso. Ricordiamo poi che il soggetto medesimo è stato trattato
dal commendatore Afan de Rivera nella sua riputata opera intitolata:
_Delle relazioni delle fortificazioni con la guerra_. È da notarsi
ancora l'opera del Burcet sulla riconoscenza delle Alpi come una pruova
dell'importanza e del progresso della geografia militare.

[30] Nelle opere militari di Federico contengonsi i risultamenti sopra
esposti del sistema prussiano.

[31] Se non collocammo Guischardt tra gli autori militari di primo
ordine ciò non fu perché nel riputassimo indegno; ma egli ha trattata
la scienza come erudito e i suoi lavori sulle antichitá militari han
questo carattere. Del resto rese un gran servigio alla scienza facendo
conoscere l'antichitá militare, per cosí determinare in che fosse
possibile imitarla, in che no, a causa della natura delle armi.

[32] L'operazione fatta dall'artiglieria comandata dal general Drouot
alla battaglia di Hanau per ispiegar trenta pezzi sulla sinistra in
battaglia uscendo dal bosco, n'è una gran pruova. Questo movimento fu
di gran conseguenza in quella giornata. Si legga l'undecimo articolo
del general PELET, inserito nello _Spettator militare_.

[33] È da citarsi come modello del modo di combinare l'ordine
sottile col profondo il passaggio del Tagliamento eseguito dal
general Bonaparte nel 1797, ove ogni reggimento aveva il suo secondo
battaglione in battaglia ed il primo ed il terzo in colonna serrata
sulle ali, ed il tutto appoggiato da battaglioni di granatieri e dalla
cavalleria in seconda linea, cogl'intervalli e le due ali appoggiate da
forti batterie d'artiglieria.

[34] Qualche volta la riserva di cavalleria, come ad Eylau e a Lipsia
nel sedici ottobre 1813, serviva con una carica a contenere le linee
nemiche per lasciare operare un movimento e coordinarlo. A Wagram
questa missione fu data a cento pezzi di cannone, che contennero senza
truppa il centro per dar tempo a Macdonald d'arrivare e formarsi. La
cavalleria però impegnata prematuramente a Waterloo, malgrado della sua
rara intrepiditá fu respinta, e non contribuí poco alla perdita della
battaglia l'impiego male adottato di quest'arma, come quello altresí
della guardia. A Borodino la cavalleria attaccò de' ridotti e fu piú
felice, ma ciò era piuttosto l'abuso che l'uso di un'arma sí difficile
a ricomporre. Abbiamo citato questa eccezione per confermare vie meglio
la regola.

[35] Le campagne del 1796 e del 1797 possono indurre in errore sulla
natura e l'applicazione de' principi dell'arte se non sono studiate
con attenzione e freddezza, essendo falsissimo il piano del Direttorio
nel volere imporne alla corte d'Austria per la sua frontiera meglio
difesa, siccome quella ch'era appoggiata al Tirolo ed alle provincie
illiriche. In effetto malgrado i prodigi di scienza e di valore
del capitano francese e del suo esercito, a Lodi, a Castiglione, ad
Arcoli ed a Rivoli si corse rischio di perdere tutto il frutto delle
piú belle operazioni giá fatte e di tornare al piè delle Alpi, nel
caso in cui non si fosse avuto ogni volta uno strepitoso trionfo,
tale da paralizzare per alcun tempo l'esercito austriaco e da imporne
moralmente a tutti gli Stati italiani che potevano dichiararsi contro.
Alla vigilia di segnare i preliminari di pace la posizione del generale
francese era molto azzardata, come appare dalle sue stesse _Memorie_.

[36] Il regno di Napoli è il primo ove la guerra popolare sia stata
fatta quasiché senza l'aiuto di truppe regolari. Quivi si difese la
capitale nel 1799 e si combatté nell'anno medesimo alla spicciolata e
nella capitale e nelle altre cittá, come ad Andria, Trani, Sansevero e
Traietto. Dal 1806 in poi si vide lo stesso in Calabria, ove la difesa
dell'Amantea è stata notata dagli scrittori militari, per esempio
dal Dumas. La guerra di Calabria era come quella di Spagna in una piú
piccola scala, e l'inazione di Massena contro i forti di Reggio e di
Scilla somiglia in piccolo a quella in cui dové rimanere nel Portogallo
per le medesime cause.

[37] Nella _Enciclopedia_ di COURTIN, all'articolo «Battaglie».

[38] Si legga nel secondo volume delle _Antichitá militari_ di
GUISCHARDT una dotta e breve dissertazione sulle difficoltá che
i romani incontrarono nella conquista della Spagna; dissertazione
che dimostra quanto abbiam detto. In una memoria inedita che può
servire come di commentario al Guischardt e la quale ci proponiamo di
pubblicare quando che sia, abbiam trattato della guerra della penisola.

[39] La campagna di Russia ha avuto due periodi importanti: l'uno che
ha fatto mancare l'offensiva e l'altro compromesso la ritirata. Il
primo fu la riunione del secondo esercito russo tagliato dal primo
dal passaggio del Niemen, il secondo la marcia dell'esercito russo di
Turchia sulla Beresina; e questi due avvenimenti furono il risultamento
degli errori irreparabili di due luogotenenti. Si veda l'opera di
OKNUFIEF sulla campagna del 1812.

[40] Si può dire che Alessandria fosse alla frontiera dell'impero, ma
ciò geograficamente e non militarmente, giacché Napoleone considerava
il regno d'Italia come suo militarmente e stabiliva le sue frontiere
alle Alpi Noriche.

[41] È stato rimproverato a Napoleone l'abbandono in cui lasciò lo
stato maggiore; e certo non è mai da scusare chi tien male ciò che
è destinato ad essere buono, mentre costa lo stesso e rende meno. Ma
d'altra parte bisogna riflettere che l'influenza dello stato maggiore,
la quale si accresce in ragione che l'esperienza e la scienza mancano
in un esercito, diminuisce in ragione che l'una e l'altra sono
piú sparse. Questo appunto fu il caso in Francia durante le guerre
dell'impero: oltre di che il capo supremo comandava in persona ed aveva
il suo stato maggiore particolare.

[42] Abbiam creduto di far grata cosa ai nostri lettori con ristampare
alla fine de' nostri discorsi l'articolo che citammo, il quale è stato
considerato di aver compiutamente e trascendentemente risoluta la
quistione sopra enunciata. In effetto abbiamo avuto in mano il numero
dello _Spettatore militare_ di Francia di gennaio 1834, il quale
riportando la quistione dibattuta nel _Progresso_ tra il Ferrari ed un
anonimo, dice che quest'ultimo aveva svolta e dimostrata la tesi «_avec
autant de sagacité que de savoir_». E non dobbiamo tacere le infinite
obbligazioni che abbiamo verso il modesto autore di un tale articolo,
il quale coi suoi incoraggiamenti ed illuminati consigli ci è stato nel
nostro lavoro di guida, di scorta e di conforto.

[43] All'ordinanza del 1791 il Schauburg aggiunse qualche
modificazione, ma nello spirito di essa, e la piú importante fu il
cambiamento di direzione in massa operato per movimenti di fianco.

[44] Abbiamo creduto di poterci dispensare dall'enumerare alcune
pratiche di guerra amministrativa le quali tenevano alle circostanze
di una lunga guerra su tutti i punti di Europa, facendosi al tempo
stesso il blocco di Cadice e quello di Riga. Questi metodi dettati
dalle circostanze sono l'accrescimento del numero de' battaglioni fino
a sette per ogni reggimento, la formazione de' reggimenti provvisori,
di quelli di marcia e delle coorti delle varie bande, l'artiglieria
reggimentaria ristabilita, l'ordine in colonna adottato come ordine
abituale, le truppe spedite in posta, vale a dire con mezzi di
trasporto straordinari, e le altre misure a queste corrispondenti.
Tutte non saran certo adottate in una nuova guerra, ma molte il
saranno.

[45] La seconda opera puramente storica dell'arciduca sulla campagna
del 1799 è comparsa dopo l'epoca che trattiamo, ed in essa trovasi un
ampio sviluppo sulla guerra di montagna teoricamente considerata. Noi
abbiam fatto un'analisi compiuta di quest'opera dell'arciduca, analisi
che pensiamo pubblicare in séguito; il che ci dispensa dall'esporre
gl'importanti cangiamenti che ha subiti la guerra di montagna, dei
quali avevamo promesso di tener parola dipoi, ed ora nol facciamo
per non allungare di piú questo giá sí lungo discorso. Ci limitiamo
a indicare che fu dapprima attaccata una esagerata importanza alla
possessione delle piú alte montagne, che quindi si vide per la prima
volta manovrare con grandi masse composte di tutte le armi in queste
regioni alpestri e inospitali, ma che in séguito le escogitazioni
della scienza del pari che l'esperienze degli avvenimenti avevano fatto
conoscere che nelle vallate ricche di mezzi di sussistenza gli eserciti
numerosi potevano difendere e dominare la parte montana della contrada
strategicamente considerata.

[46] I nomi di Herschell, Oriani, di Piazzi e di Zach appartengono a'
progressi dell'astronomia in questa epoca.

[47] La natura delle relazioni di cui parliamo in questa quistione non
è ai nostri sguardi la stessa di quella che abbiam dimostrato esistere
tra l'arte della guerra e le scienze tutte e della quale ci siamo
occupati negli anteriori discorsi. Non pretendiamo punto dimostrare che
i progressi delle arti della pace sieno stati per cosí dire paralleli
e coordinati a quelli delle arti della guerra. Non è sotto l'aspetto
puramente intellettuale che noi consideriamo questi rapporti, ma sotto
quello piú particolare de' sentimenti eccitati dalle une ed espressi
ed esternati dalle altre. Ben vediamo che un metodo di esprimere de'
sentimenti eccitati da un avvenimento qualunque, una volta che sia
trovato, può servire ad esprimerne degli altri totalmente diversi.
Allora pare che il metodo non abbia alcun rapporto col primo sentimento
espresso, e chi volesse parlare di quel primo rapporto caderebbe in
una apparente contraddizione. A noi basta ricordare a questo proposito
per giustificare il nostro assunto in questa quistione la sentenza di
Dante, che credette la poesia non poter toccare il suo apice se non che
quando avrebbe parlato di armi, materia di altissimo canto.

[48] Alcuni filosofi tra i quali il Bonstetten hanno separata
l'intelligenza dall'immaginazione, considerando questa in generale
come la facoltá che crea nella letteratura e nelle belle arti
piú particolarmente. Or come pel nostro assunto ci serviamo delle
filosofiche dottrine, ma non abbiamo la pretensione di discuterle,
ne risulta che ci serviamo dei termini piú generali, tanto piú che
crediamo che ogni creazione si operi coll'intelligenza e che nulla si
possa fare col mettere in azione una sola facoltá. La classificazione
delle facoltá è arbitraria, perché in natura esse sono unite; per lo
che quando si dice l'immaginazione sia la facoltá che crea la poesia,
ciò vuol dire che preponderi in quella creazione e non giá che operi
da per sé sola, mentre è assurdo il supporre un prodotto qualunque
dello spirito umano al quale la ragione e la memoria non abbiano parte
alcuna.

[49] Il Bonald che ha detto essere la letteratura l'espressione della
societá, ha fatto talmente approvare la sua definizione ch'è divenuta
di un uso comune e di una non contestata esattezza. Soscrivendo a
questa opinione generale crediamo esser verissimo che la letteratura,
come quella che riassume tutto lo stato sociale considerato nei suoi
sentimenti e nelle idee che producono l'azione, ne sia la piú compiuta
espressione; ma crediamo ciò non ostante che lo stato delle scienze
belliche ne sia anche un compiuto riflesso, e crediamo non essere
esclusivi quando conveniamo che ogni lato dello scibile e dello stato
sociale produce lo stesso risultamento a secondo della sua importanza
e delle sue relazioni cogli altri.

[50] L'opera del Bealtie sulle simiglianze della poesia e della musica
e le loro differenze svolge con maestria l'idea che qui indichiamo.

[51] Nelle societá quali erano le antiche non vi era unitá né di
tattica né di lingua né di letteratura né di musica, come non ve n'era
né legislativa né religiosa. Tra i moderni avviene il contrario, e la
lingua piú universale è la musica. Al Cairo, a Filadelfia, a Lisbona,
a Pietroburgo, a Londra, a Napoli, a Costantinopoli, un reggimento che
marcia lo fa al suono di una musica di Rossini o di altro distinto
compositore. Questa uniformitá di gusto esprime chiaramente che le
simiglianze tra i moderni superano le differenze.

[52] In appoggio del nostro assunto ricordiamo ai nostri lettori che
negli ordini del giorno che precedettero le battaglie di Austerlitz e
di Jena il supremo conduttore non si limitò ad eccitare i sentimenti
del suo esercito, ma discese a provare che strategicamente e
tatticamente il nemico era in una falsa posizione, per cui se si
combatteva con energia, la vittoria era sicura e vasta nei suoi
risultamenti. Questo esempio di un generale che confida i gran segreti
della guerra ai propri soldati, mentre che prima o altrove si tenevan
celati anche agli uffiziali generali di secondo ordine, è una luminosa
dimostrazione dell'intelligenza sparsa in un popolo simboleggiato
dal suo esercito ed è una pruova novella delle modificazioni che
l'eloquenza subisce secondo che vuol muovere o persuadere.

[53] Tutta la distanza che separa la conoscenza della scienza
dall'applicazione come arte sta nella difficoltá di saper determinare
con esattezza ove cessino le simiglianze e dove comincino le
differenze; ecco perché in certi periodi si vedono molti uffiziali
istruiti e pochi capitani.

[54] MONTHOLON, tomo V.

[55] Il seguente passo della _Storia del 1812_ di Segur, riguardante
la posizione dell'esercito presso Wilna in dicembre, appoggia la nostra
opinione. — «In mezzo a questo uragano, a tutte le disgrazie e a tutti
gli elementi scatenati che ci assediavano, alcuni uffiziali che sapeano
ancor speculare, nel nostro secolo che qualche scoperta incoraggia a
tutto spiegare, colá in mezzo agli acuti patimenti che loro arrecava
il vento del nord cercavan la cagione della sua direzione costante». —
SEGUR, volume II, pagina 372.

[56] Nessuno ignora che nel medio evo la pace succedente alla guerra
era fatale per la difficoltá di licenziare i mercenari, i quali non
avendo posto civile nella societá, la turbavano per poter vivere: le
bande nere del Du Guesclin ne sono una pruova. Che si compari a ciò
il licenziamento dell'esercito della Loira nel 1815, come rientrasse
questo subito nella societá e divenisse utile come produttore; e si
potrá misurare la differenza da un esercito levato in una societá fusa,
a quello di mercenari in una classificata.

[57] Per meglio spiegare la nostra idea crediam vero che la descrizione
che Erodoto fa dell'esercito di Serse, quella che nel Tasso si
trova dell'esercito de' crociati, quella del Giovio dell'esercito di
Carlo ottavo, come quella del Laborde dell'esercito di Napoleone nel
passaggio del Danubio prima del 1809, possano offrire il quadro dello
stato sociale in queste quattro epoche.

[58] Le guerre posteriori al congresso di Vienna non sono nei limiti
che ci siam prescritti, ma nessuna grande innovazione vi si è veduta,
e noi crediamo che la novitá desiderata dall'arte e la nuova èra
della sua storia debbano essere il risultamento dell'applicazione
del vapore alle armi. Allora una potente modificazione in queste ne
produrrebbe, come sempre, una negli ordini e da questi in tutte le
parti cosí secondarie che trascendenti della scienza e dell'arte.
Queste considerazioni ci hanno determinato a fissare l'epoca alla
quale ci siamo limitati; e ripetiamo che nell'operazione da noi notata
scorgemmo il complesso dei progressi della scienza e dell'arte da' suoi
primi lineamenti sino ai nostri dí.

[59] MONTECUCCOLI del GRASSI, tomo I, pagina 282.

[60] La tesi del signor Ferrari è posta in tai termini: — «Per la
qualitá dei tempi i quali corsero dai primi rivolgimenti di Francia
fino a qui, ripieni sempre di opere e di fazioni militari, tiensi
comunemente che di tutte le scienze ed arti quelle singolarmente si
vantaggiassero che alla milizia riguardano, e queste crescessero a
nuovo e straordinario avanzamento; ciò che per altro non è...».

[61] Quelle principalmente della cavalleria, la quale per lui prima
e piú tardi per lo gran Seidlitz poté aspirare a nuovi e piú alti
destini. È noto come anche innanzi al tempo in cui Federico ascese
al trono, la fanteria prussiana fosse giunta ad un alto grado di
perfezionamento sí nell'armamento che nei fuochi e nelle evoluzioni,
mercé le cure del principe di Anhalt, e si fosse giá segnalata sotto
questo triplice aspetto nelle guerre d'Italia come ausiliaria negli
eserciti imperiali comandati dal principe Eugenio di Savoia. Non cosí
la cavalleria, della quale Federico ebbe a dire dopo la vittoria da lui
ottenuta a Molwitz nel 1741, epoca della sua prima campagna: — «_Le
roi profita de cette inaction_ (quella che seguí la detta battaglia)
_pour exercer sa cavalerie, pour lui apprendre á manœuvrer et á changer
sa pesanteur en célérité_». — Vedi _Œuvres de Frédéric, histoire de
mon temps_, capitolo III. E per le evoluzioni, MIRABEAU, _Monarchie
prussienne, système militaire_.

[62] Donde si potrebbe, rigorosamente ragionando, dedurre
la convenienza delle due o delle tre righe nella formazione
dell'infanteria; quistione non ancora fermata, meno che presso
gl'inglesi, i quali nella guerra della penisola ebbero, a quel che
pare, a trarre infinito profitto dall'infanteria disposta in due
righe. E poiché la terza riga non può tirare se non quando la prima
è in ginocchio — situazione pericolosa spesso e sempre incomoda e
faticosa, — e poiché poco vantaggiano i fuochi dal caricar delle armi
della terza riga per la seconda, cosí può supporsi esser preferibile
di ordinar l'infanteria in due righe. La fluttuazione delle marcie
in battaglia, maggiore su di due che su di tre righe, secondo a me
sembra contrariamente al parere del generale di Chambray, potrebbe
essere efficacemente riparata aggiugnendo alcun poco al numero ed ai
doveri dei serrafile. Rimarrebbero all'ordine su due righe i seguenti
vantaggi: 1. di acquistare un terzo di uomini, che messi sulle ali
le prolungherebbero fornendo dei fuochi che non darebbero in terza
riga, e messi altrove fornirebbero una riserva utile in mille guise;
2. di subire meno dannosamente i colpi delle artiglierie; 3. di fare
svanire i danni che nei fuochi la terza riga non di rado cagiona alla
prima, segnalati da molti ed ultimamente con energia dal maresciallo
GOUVION-SAINT-CYR nelle sue _Memorie_ (campagna del 1813). Egli è però
vero che l'infanteria in due righe abbisogna di molta calma e fermezza,
e che nella formazione dei quadrati sarebbe forse necessario di
prescrivere che, salvo solamente quelli composti da un sol battaglione,
gli altri tutti dovessero ordinariamente formarsi su di due linee.
Quale importante mutazione non avverrebbe in tattica, ove i maestri di
guerra che ancor vivono in Europa imprendessero coi loro lumi e con
la loro esperienza a risolvere un tal problema, ed ove risolvendolo
paresse loro di adottar la formazione in due righe?

[63] Cosí la Francia variò piú volte l'unitá di forza denominata
«battaglione», sí nel numero delle compagnie che nel numero dei
soldati, e tentò di piegarla non solamente ai bisogni del comando
e delle evoluzioni ma inoltre ai fini diversi delle guerre che
imprendeva. Non è difficile di distinguere che altra deve esser la
forza ed il numero dei battaglioni in reggimenti destinati a guerre
offensive e lontanissime, ed altra in guerre difensive e vicine.
In queste, prossimo l'esercito ai soccorsi, non s'indebolisce per
le distanze e ripara prontamente le perdite, onde quelle unitá
possono e debbono nei reggimenti essere meno numerose e meno forti.
Nelle guerre lontane deve conservare il numero e la forza, per non
giungere troppo debole sul teatro della guerra, per poter attendere i
soccorsi, partendo nondimeno con unitá che non eccedano gli estremi
limiti che possano permettere l'amministrazione e la disciplina,
per potere al bisogno fondere insieme piú battaglioni senza che
dall'organizzazione scompariscano i reggimenti, le brigate... Cosí i
volteggiatori divenivano la vera infanteria leggiera degli eserciti,
e da per tutto si dismettevano i corpi irregolari che ne tenevano
imperfettamente luogo. Cosí gl'inglesi presentavano utilmente alla
meditazione dell'Europa l'infanteria ordinata in due righe. Cosí
si riunivano in forti riserve la cavalleria e l'artiglieria, per lo
innanzi disgiuntamente adoperate. Infine gli eserciti francesi, dopo
il campo di Boulogne, conservando nei singoli corpi le evoluzioni pria
tolte ai prussiani e poi rendute perfette dall'ammirabile regolamento
del 1791, che indi venne modificato in qualche evoluzione piuttosto
riguardo ai modi che riguardo ai princípi, ma applicate dai generali
in modo piú vasto, piú ardito, piú trascendente, poterono combattere
con quei prussiani medesimi, tanto a loro superiori in tattica sino ai
primi anni delle ultime guerre. Donde potrebbe credersi che i francesi
raggiugnessero in tattica al punto risolutivo i loro avversari,
piuttosto che questi i francesi. Ciò intendo in ordine alla tattica.
— «I francesi... nulla piú operando di considerevole quanto... alla
costituzione ed all'uso materiale delle forze, lasciavansi raggiugnere
al punto risolutivo, quello cioè dell'affrontamento sui campi...». —
Cosí il barone maggiore Ferrari.

[64] È noto quante differenti ruote entrino nel sistema del Gribeauval,
e quanto il suo carriaggio militare disti dal sistema inglese di cui
è parola, e quanto ancora ne disti l'attuale carriaggio francese. Il
comitato di artiglieria formato in Francia nel 1827 cosí si esprime in
ordine al nuovo carriaggio militare: — «_Des expériences comparatives
faites avec soin en 1824 et 1825 dans cinq écoles d'artillerie ont
constaté les avantages que donnent au nouveau modèle d'affûts et
caissons d'artillerie de campagne le mode d'attache des deux trains,
l'égalité de la hauteur des roues et un avantrain commun á l'affût
et aux caissons principaux, objets par lesquels le nouveau système
diffère du système Gribeauval. Ces avantages bien reconnus consistent
en plus de semplicité dans les constructions, en un roulage plus
facile, en plus de tournant, plus de célérité dans les manœuvres et
plus de facilité á franchir tous les obstacles_». — Conosco le gravi
accuse prodotte dal generale Allix, riputatissimo artigliere, contro
il sistema del Comitato. Esse nondimeno non sono dirette a sostenere
che il sistema Gribeauval sia rimasto invariato o che debba rimanere
invariabile; per lo contrario, dopo d'aver dedotto i difetti di
questo sistema e preferito quello dell'anno XI, rivendica alcuni dei
miglioramenti del Comitato come suoi propri, critica il rimanente come
inferiore a quello del Gribeauval e dell'anno XI, finalmente espone
il suo metodo. Ignoro dopo l'anno 1830 quale sia stato il sistema
preferito nelle artiglierie di Francia.

[65] Il corpo del treno fu organizzato in Francia per decreto dei
consoli del 13 nevoso anno VIII, non senza chi sostenesse esser di
avvilimento per un soldato il «divenir carrettiere»; ed in Inghilterra
del 1793 sotto gli auspíci del duca di Richmond. I cannonieri a
cavallo furono adottati in Russia per cura del general Milessino negli
ultimi anni dell'imperatrice Caterina seconda, in una maniera molto
imperfetta. Paolo primo li apprezzò poco, in odio della loro origine,
che supponeva esser francese-repubblicana e non giá prussiana.

[66] Se il generale Elsnitz contro la guardia consolare a Marengo,
se la cavalleria francese al primo combattimento di Krasnoi nel 1812
contro il generale Newroscki, avessero potuto far precedere le loro
cariche dal fuoco di pronte artiglierie, né il general russo avrebbe
recato a termine la sua bella ritirata, né il quadrato di Marengo
avrebbe stancata e tenuta sí lungamente occupata la bella e numerosa
cavalleria imperiale. Ma il generale Elsnitz sembra che ne mancasse;
ed i francesi a Krasnoi ne attesero per lungo tempo, e poi sopravvenne
assai poca artiglieria alleata e non perfettamente servita. La
cavalleria inglese non riuscí contro i quadrati della guardia francese
a Waterloo se non dopo di averli per cosí dire battuti in breccia con
la sua artiglieria.

[67] Come afferma il signor maggiore Ferrari, pagina 16, nota 1.
Nondimeno i cannonieri a cavallo, francesi, russi, prussiani, polacchi
(del granducato di Varsavia), italiani d'ogni paese..., ebbero parte in
molte vittorie.

[68] Il tenente generale Allix (_Système d'artillerie de campagne de_
D. G. ALLIX, Paris, Auselin et Prochard, 1827), giudice competente per
lunghi ed importanti comandi (e taccio d'altri), si esprime su tale
assunto in tai termini: — «_J'ai vu et entendu beaucoup de songecreux
qui n'ont vu... la guerre que dans les bureaux du ministère... avoir
à cet égard_ (l'abolizione dei cannonieri a cavallo) _la meilleure
volonté du monde. Gassendi a prêché ce système...; mais c'était
chez-lui par principe d'économie et non par défaut de connaissance.
Et en effet en supprimant les chevaux de l'artillerie á cheval, on
évite... les dépenses... Mais il y a á la guerre des économies qui ne
sont pas bonnes á faire_...». — Ed in séguito: — «_Ce serait ignorer
la nature même des choses, de vouloir donner á l'artillerie á pied
la même vitesse qu'á l'artillerie á cheval... Aussi tous les efforts
pendant le cours de nos dernières guerres pour démonter les cannoniers
et substituer aux chevaux pour porter les cannoniers les voitures
mêmes de l'artillerie, ont-ils étés sans succès_». — In Francia i
tentativi per trasportare i cannonieri sui carri precedettero quelli
mercé i quali furono messi a cavallo. La esperienza non raccomandò il
primo modo di trasporto; il secondo fu seguito da lunghi e brillanti
successi, onde si giunse all'abuso. Federico, reso piú leggiero il suo
materiale di artiglieria, creò i cannonieri a cavallo e li conservò
sempre gelosamente. Tornare ai _wurst_ sará progredire? I dotti ne
giudicheranno.

[69] La Prussia conserva in pace centotto pezzi serviti da cannonieri
a cavallo e centosessantadue da cannonieri a piedi. In guerra sembra
che i primi stiano ai secondi come uno a quattro. Il CARAMAN, _Essai
sur l'armée prussienne,_ pagina 110 (Paris, 1831), _cosí si esprime:
— «Comme on tient beaucoup... á la perfection des manœuvres, on
exige beaucoup de l'artillerie á cheval, qui est habituée á suivre
et la plus part du temps á précéder les mouvements les plus rapides
de la cavalerie: elle exécute ordinairement au galop, souvent en
carrière_...».

[70] È giusto di riflettere non essere ussaro chiunque monta su di
un cavallo, ma colui solamente che si serve del cavallo per lo fine e
nelle guise degli ussari.

[71] L'autore dell'articolo redarguisce coloro i quali mettendo a
cavallo un artigliere, lo resero mozzo e l'obbligarono all'istruzione
d'un cavaliere; approva che sia divenuto vetturino. Ammesso che ciò
stia bene, sarebbe questo un nuovo miglioramento pensato da uomini
istruiti dalle ultime guerre.

[72] Nelle artiglierie inglesi ed anche nel sistema dell'anno XI ed in
quei che lo precedettero. Non è mestieri di ricordare la profusione
del calibro da quattro nel sistema di Gribeauval, la scarsezza degli
obusieri, la disseminazione dei pezzi nei battaglioni..., colpa
dei tempi piú che sua; ma alla perfine era cosí. Del rimanente
pei miglioramenti gravi introdotti nell'artiglierie, come per la
convenienza dei cannonieri a cavallo e del loro modo di combattere
uniti alla cavalleria, si veggano le opere sommamente istruttive dei
signori GREVENITZ e DECKER (traduzione del RAVICCHIO), opere in cui
non meno è ad ammirarsi il vasto sapere che la profonda esperienza di
quei chiarissimi e laboriosi autori, esperienza che accompagna tutte le
altre opere del Decker (Per GREVENITZ, Parigi, 1831, presso Levrault;
e per DECKER, Parigi, 1825 e 1831, presso il medesimo).

[73] Fin dal cominciamento delle ultime guerre s'intese in Francia
il bisogno di un cambiamento nel sistema del Gribeauval, e le
organizzazioni dell'anno III repubblicano, dell'anno VIII e dell'anno
IX vi provvidero diversamente. Onde il general LESPINASSE nel suo
_Essai sur l'organisation de l'artillerie_ (Paris, an. VIII) può dire
a nota (b): — «_Si lorsque le général Gribeauval a organisé le canon
de campagne, nos armées avaient été composées comme aujourd'hui de
divisions considerées comme éléments déterminés, il aurait changé la
composition de ses divisions d'artillerie_...». — Il celebre general
Gribeauval, mente vasta ed ordinata, colma delle dottrine francesi
nell'arma sua e della sperienza della guerra dei sette anni che fece
negli eserciti imperiali, rigenerò l'artiglieria di campagna (sistema
Vallière) della Francia, e fu il primo artigliere forse di Europa; ma
la guerra cambiò dopo di lui e con essa le applicazioni dell'arma.
— «_Napoléon fit dans le service de l'artillerie une revolution en
rapport avec les changements que des longues guerres ne pouvaient
manquer d'amener dans le moral de l'armée_». — FOY, _Guerre de la
peninsule_, pagina 120.

[74] Il Dupin riferisce che in Inghilterra i razzi sono stati
provveduti di recipienti per metraglia e provati in tal modo. Ignoro
se ad epoche molto remote siano stati adoperati in Europa come
artiglierie, ma par dimostrato che nelle Indie Tippoo se ne servisse
contro l'esercito inglese nella difesa della sua capitale.

[75] Questo proietto è per metá pieno e per metá vuoto e riempito di
palle. Scoppia ad una data distanza.

[76] I ponti del Danubio al secondo passaggio dell'esercito francese
nel 1809. I ponti a botti cilindriche tentati in Inghilterra ed in
Francia. Lo strettoio idraulico indicato dal DUPIN, di cui potrá
consultarsi la distinta e compiuta opera, che non potrei né riassumere
né svolgere adeguatamente: _Voyages dans la Grande Bretagne. Forces
militaires_, tomo II: _Études et travaux_. È evidente non essere opera
di un cosí breve discorso il presentare una sposizione comparata
di ciascuna parte della scienza bellica e delle sue applicazioni.
Accennando alcuno dei lavori e perfezionamenti degli ultimi tempi è mio
pensiere d'indicare solamente il movimento degli spiriti, che in ogni
luogo di Europa si portava acremente al miglioramento d'ogni parte di
essa, e di notare alcuno tra i suoi effetti. Vedi l'opera del DRIEUX ed
il Saggio _sui ponti militari_ del DOUGLAS.

[77] Il maggior barone Ferrari condanna i dragoni e come infanteria
e come cavalleria, e pare che pensi d'accordo col Rogniat che due
sole specie di cavalleria debbano entrare nella composizione di uno
esercito: la leggiera e la grave.

[78] Sembra che in Francia tutta la cavalleria media e leggiera
sia ora armata di moschetto (_mousqueton_), ordinariamente sospeso
alla bandoliera. Ignoro se i dragoni o anche i cacciatori siano o
pur no armati di baionetta. Di certo poi i dragoni sono destinati a
combattere a piedi. Il gran Federico esigeva che i suoi dragoni fossero
accuratamente esercitati nelle evoluzioni d'infanteria e gli armava
di piccolo fucile e di baionetta. Bonaparte consiglia che tutta la
cavalleria venga addestrata a combattere a piedi. Vedi MONTHOLON, tomo
II, pagina 169 e MIRABEAU, opera citata, pagina 107.

[79] Le gravi differenze che passano tra la coscrizione quale ora
si pratica in molti Stati d'Europa e quella in uso presso i popoli
dell'antichitá dotta, è facile di scorgerle ove solamente si consideri
la differenza degli ordinamenti civili nelle due epoche, ed ove si
legga e si ponderi il rapporto fatto su tale oggetto dal generale
Jourdan al Consiglio dei Cinquecento nell'anno 1799.

[80] Dissi determinando le tre forme ed epoche successive della qualitá
degli eserciti: milizie feudali o comunali, eserciti permanenti, armate
coscritte. Altri potrá meglio denominarle; a me bastava di trovare
una indicazione qualunque, la quale esprimesse la mia idea e dividesse
sensibilmente i tre periodi.

[81] Rampon a Montenotte, Gujeux a Salò, Kellerman a Marengo,
Richepanse ad Hohenlinden, Mortier a Diernstein, l'ammirabile difesa
delle strette di Koesen, la stessa battaglia d'Averstaed, i successi
delle avanguardie francesi in tutte le direzioni dopo le battaglie
gemelle di Jena e di Averstaed... La materia è abbondante, a scelta
sola e difficile.

[82] Gli eserciti di Francia nel 1800, 1813 e 1815, della Prussia nel
1813 e dell'Austria nel 1809.

[83] Il passaggio delle Alpi nel 1800; la marcia dalle coste
dell'Oceano, che conteneva le vittorie di Ulm e poi di Austerlitz; le
operazioni che diedero luogo al passaggio della Saale nel 1807 ed alle
sue conseguenze, e quelle che precedettero il doppio passaggio del
Danubio nel 1809.

[84] Il glorioso risorgimento della Prussia nel 1813, militarmente
preparato ed operato dal distintissimo general Scharnost.

[85] Attribuita a Sua Altezza imperiale l'arciduca Carlo d'Austria;
princípi di cui fece sí brillante applicazione contro gli eserciti
francesi della Sambra e Mosa e del Reno e Mosella nel 1796.

[86] Differenza facile a scorgersi paragonando gli scrittori militari
delle due epoche. Nella prima la castrametazione, le evoluzioni, gli
ordini distesi e profondi, l'armamento, la piccola guerra, la scelta
delle posizioni formano lo scopo cui tende quasi unicamente lo spirito
degli scrittori, come in Feuquières, Puysegur, nei profondisti e
nei loro avversari, in Maurizio di Sassonia, negli eruditi, come in
Guischardt, in Maireroi e nel piú sagace indagatore degli effetti e
cambiamenti prodotti dalla polvere, Mauvillon.

Indi ed intermediatamente Eugenio, Lloyd, l'immortale Federico, Bulow,
accennano il passaggio ad un nuovo genere d'analisi, la quale s'ingegna
di dedurre princípi e regole fisse ed universali, dai fatti tenta di
elevar l'arte a scienza, di svelare il secreto dei grandi uomini di
guerra. Aggiungo il Rohan (ma non cronologicamente) che tanto disse,
ed in sí poche pagine, della guerra di montagna; argomento ripreso ai
dí nostri con ugual sobrietá e sostanza dal Lecourbe dissertando, dal
Molitor raccontando...

Nella seconda epoca in tale carriera si avanza con un gran corredo
di fatti, di sagacitá, di ragionamento, il Jomini nelle diverse sue
opere divenute classiche; il Pelet analizzando alcune campagne, in
cui mirabilmente accoppia la descrizione drammatica di una battaglia,
lucidamente indicando ogni evoluzione, all'alto concepimento, all'idea
prima e semplice donde emana ogni fatto, ond'è che può ugualmente
formare un uffiziale di battaglia ed una mente regolatrice, se tuttavia
una mente tale può essere formata da libri e da insegnamenti; il Dumas,
accurato scrittore, critico distinto e sobrio, il piú compiuto istorico
militare della Francia; infine il Gourgaud, il Vaudoncourt, il Koch, lo
Stutterheim, il Boutourlin, il Vacani, il Wilson, il Londonderry-Wane,
il Napier il quale ha meritato che il Dumas lo annotasse e che ha
preso giustamente posto tra' piú rinomati scrittori militari della
nostra epoca, e massimamente le _Memorie_ di capitani francesi, come
dei Suchet, Saint-Cyr... e di colui che grandeggia tra loro nel posto
solitario dei geni.

[87] Anche allorché si aggiugnesse a questo ritrovato l'abolizione
dei dragoni e dei cannonieri a cavallo, triplice condizione in che il
barone maggiore Ferrari sembra faccia consistere l'incremento dell'arte
e della scienza della guerra.

[88] Il signor Ferrari promette che una sua invenzione, di cui
lungamente ragiona, renderá facile e sicuro il servirsi della polvere
da percussione per comunicar il fuoco alla carica di qualunque fucile
da guerra. Nelle artiglierie napolitane si sono giá fatti, ignoro
con qual meccanismo e con qual successo, dei saggi per adattare tale
polvere all'accensione della carica dei cannoni.



Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
senza annotazione minimi errori tipografici.





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