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Title: Viaggio a Costantinopoli
Author: Alberti, Tommaso
Language: Italian
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*** Start of this LibraryBlog Digital Book "Viaggio a Costantinopoli" ***


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                       VIAGGIO A COSTANTINOPOLI


                                  DI


                           TOMMASO ALBERTI
                             (1609-1621)
                              PUBBLICATO
                                  DA
                      ALBERTO BACCHI DELLA LEGA


                                BOLOGNA
                     =Presso Romagnoli Dall'Acqua=
                                 1889



                     Edizione di soli 202 esemplari


                                N. 145


                     BOLOGNA--SOCIETÀ TIP. AZZOGUIDI



Di Tommaso Alberti, bolognese o veneziano, viaggiatore della prima
metà del secolo XVII, nessuna memoria rimane, fuor che la semplice
relazione del suo viaggio a Costantinopoli, che offro ora ai Lettori
della _Scelta di Curiosità_. L'ho cavata da un manoscritto di
questa Biblioteca Universitaria a cui mi onoro di appartenere: e il
manoscritto, segnato di N.^o 99, cartaceo e in forma di piccol foglio,
appartenne ad Ubaldo Zanetti, il noto original farmacista, raccoglitore
assiduo di codici e stampe. Si raccomanda da se e non ha bisogno di
prefazione: perchè, oltre la curiosità, ha il merito d'aver preceduto
senza nessun fasto e clamore, il Tavernier, la cui _Relazione del
Serraglio_ ebbe ristampe e traduzioni, mentre questa, la primogenita,
giaceva affatto dimenticata.

                                                           A. B.



 =Viaggio fatto da Tommaso Alberti nel 1609 da Venezia a Costantinopoli
 per via di mare sopra la nave del Mag.^{co} S.^r Giacomo Bonesi di
 Venezia nominata Nave Buona Ventura=.


Al Nome di Dio e della B. V. Maria. Alli 18 Maggio andassimo tutti in
nave per far partenza il giorno seguente, in porto delli due castelli;
la sera a due ore di notte vennero li ammiragli con le sue barche per
condurci fuori di porto, e remorchiandoci, andassimo a seconda d'acqua
a scorrere in prua d'un berton Inglese con la nostra nave, dove si
ingabbiò le antenne ed ordegni insieme; ma noi subito con arme, manare
ed altro tagliassimo tutte le corde ed anco la cividiera, portandoli
via li pennoni di detto bertone, senza aver noi alcun danno da esso.
E così uscimmo fuori di porto, dubitando che esso ci giungesse nel
viaggio e che con noi volesse combattere.

Alli 19 d.^o facessimo vela a nostro cammino; alli 23 fece un poco di
mar contrario, dove fossimo sforzati andar a pigliar porto nelle ....
di Pola, in un luogo detto Fasana, dove gli stassimo sino il giorno
della Sensa; ed in questo tempo andassimo in terra di d.^a Fasana,
luogo piccolo ma molto abbondante d'ogni cosa, cioè carne di manzo
soldi tre la libbra, un capretto 40 soldi, l'olio tre soldi la libbra,
pane e vino a buonissimo mercato; insomma buonissimo vivere, il sito
bellissimo e molto abondante d'olive. Andassimo a un'altra terra
lontano tre miglia, luogo nominato Dignano, dove trovassimo il medesimo
vivere; dipoi andassimo a Pola, città antichissima ma piccola e tutta
rovinata e cascata dall'antichità sua, ma a suo tempo dovea essere
una bella cosa, essendo tutte le case ed altro di pietra viva; nella
quale vedessimo una memoria sopra la porta del Duomo, dove egli è un
millesimo che dice dell'anno 757. Di poi gli è un teatro bellissimo e
di molta altezza, tutto di pietra viva, cosa molto vaga da vedere, nel
quale li Palatini se ne servivano per farvi le loro giostre e tornei.
Vi è anco il palazzo d'Orlando, qual poco più si tien insieme, ma
doveva esser molto grande e bello. Vi è molte sepolture, cioè cassoni
di pietra, ma tutti ruinati dall'antichità, quali dicono che sono
sepolture de' Pagani.

Gli era sopra la detta nave una compagnia di soldati che avevamo levati
da Venezia per condurre al Zante; ed il Capitano era il S.^{or} Marzio
Timotei da Rimini. E in questo tempo che andassimo vedendo questi
luoghi, quattro delli suddetti soldati furono scoperti che avevan
trovato modo di rubare la polvere dell'artiglieria della nave; li quali
furono la mattina della Sensa legati all'argano, e confessarono il
furto, dove ebbero alquante bastonate, ed il medesimo fu fatto a due
altri de' detti soldati, quali avevano tratto di ammazzare M.^r Pietro
Mazza da Bologna per torgli li denari; e dopo le bastonate che ebbero,
furono messi nei ceppi per quattro giorni continui.

Il p.^o di Giugno andassimo a Lesina per pigliar biscotto per li
soldati, qual si era fornito, dove vedessimo quel luogo assai bello di
vista, per esser su la riviera d'una collina; e in cima di quella gli
è una fortezza bella; ma subito pigliato detto biscotto, tornassimo a
nave e seguitassimo il nostro cammino. La sera istessa giungessimo a
Curzola, fortezza bella per di fuori ma dentro bruttissima, dove ci
fermassimo per quattro ore sole, perchè il Peota di nave fece un suo
negozio; e così trovassimo il pesce a tanto buon mercato, che è cosa da
non credere, che per quindici soldi ne avessimo passa venti libbre; il
vino buono, pane, formaggio, ogni cosa a buon mercato, l'olio soldi sei
la libbra.

Tornassimo a nave per il nostro viaggio; alli 6 essendo sotto a Corfù
scoprissimo due vascelli grossi che venivano alla volta nostra;
dubitando che fussero nemici, ci mettessimo tutti in arme insieme
con li soldati, ma conoscessimo che erano due vascelli Francesi, e
così passassimo avanti. Gli fu un soldato che voleva sparare il suo
moschetto, nè mai volse pigliar fuoco: andorno due o tre altri, fe'
li il medesimo, andò un altro, subito prese fuoco, il moschetto crepò
e gli portò via mezza la testa; il poverello poi si buttò in mare. La
sera istessa a 23 ore scoprissimo sette vascelli grossi sotto il Zante,
quali andavano alla volta di Venezia; e così giunti, conoscessimo che
erano sette navi Veneziane che venivano d'Alessandria, cariche di
molta ricchezza; ci accostassimo facendo molte allegrezze con sparare
artiglieria, e ci dessimo avviso l'uno all'altro; e gli era assai
mercanti Veneziani. E così passato che fu parola, pigliassimo licenza
ognuno al suo cammino.

Alli 7 detto, giorno di Pasqua rosata, giungessimo al Zante, dove
gli stassimo sei giorni, e vedessimo quel luogo assai bello, con una
grandissima fortezza in cima d'un monte, dove gli sta il S.^{or}
Provveditore; ma poi trovassimo molto caro ogni cosa, essendo isola
molto fruttifera d'uva passa e Romania, che per la relazione avuta
gli fa trenta milioni d'uva passa, Ribola e Romania gli ne fa trenta
mila botti, quali sono vini grandi e buoni; fichi assai e sono di tal
grossezza che fa meraviglia il vederli; di frumento non gli ne fa molto.

Il martedì sera, che fu alli 9 detto, essendo a dormire in nave, venne
la notte un tempo cattivissimo con vento tanto grande, con fortuna di
mare grandissima, la quale ci travagliava assai; ed essendo un bertone
Inglese poco lontan da noi sopra vento, se gli ruppe la gomena grossa,
e il d.^o bertone con gran furia veniva alla volta nostra, facendoci
grandissima paura che non ci scorresse nella nave; ma essi gettarono
un'altra gomena in mare; e per il gran vento che faceva l'ancora
non teneva, ed il bertone ci veniva addosso, perchè l'ancora non si
attaccava ed andava arando sotto acqua; ne gettarono un'altra e si
attaccò e subito si fermò: e vedessimo quel vascello a gran pericolo
di rompersi, ma ancor noi avessimo assai paura; e quel tempo durò
tutto il giorno seguente. E noi sul far della sera andassimo in terra
con gran fatica per la fortuna del mare, ed erimo tutti affamati,
non avendo potuto tener in corpo niente di cibo; e tutti andassimo
all'osteria dove gli stassimo sino alla nostra partenza, venendo ancora
il sud.^o signor Capitano de' soldati con altri officiali.

Il giovedì che fu alli 11 detto il sud.^o signor Capitano si imbarcò
con li suoi soldati e robe sopra tre fregate per andare alla fortezza
di Nassi: ed essendo a cammino circa cinque miglia, il signor Capitano
volendo salire sopra un'altra di quelle fregate che veleggiava più
delle altre, ed accostatesi le due fregate, si intrigarono con le
corde, vele ed antenne insieme, e quella dove era salito il Capitano,
si affondò con perdita di tutta la roba e di 17 uomini fra soldati
e marinari; ma il Capitano si salvò a un remo insieme con cinque
soldati, e venirono in terra, ma più morti che vivi; ed il Capitano
stette molto male e perse tutta la sua roba che in quella era, che
manco pure il Capitano aveva drappi attorno, quando venne in terra:
e gli fu danno grande, che oltre la roba sua persa, ancora perse le
lettere Ducali, li gruppi di denari di S.^{to} Marco che lui aveva;
ma vedendo il caso, il S.^{or} Proveditore del Zante gli diede danari
e lettere, e lo spedì via alla peggio alla volta di Nassi, senza
insegna nè tamburo; e li soldati non volevano più stare sotto la sua
ubbidienza, dicendo che essendo perso l'insegna e il tamburo, non esser
più obbligati a servire; e così gli ne scappò da 6 o 7, e lui andò via
con la metà dei soldati e poco onore.

Alli 13 detto che fu sabato, facessimo vela a nostro cammino insieme
con una nave Francese la quale andava ancor lei a Costantinopoli. Alli
18 d.^o giorno del Corpus Domini, trovandoci nell'Arcipelago la mattina
nella levata del sole, scoprissimo sotto certe isole alquanti vascelli
e galie, dove tutti ci mettessimo in arme, e così stassimo in questo
dubbio sino a mezzo giorno, sempre in bonazza cioè, senza vento; ma per
bene conosciuti quelli non essere vascelli nè galie, ma erano li monti
che per il riflesso del sole facevano quell'effetto; e a quel tempo
venne buon vento che ci portò avanti. Alli 21 d.^o che fu la domenica,
essendo sotto Pessavà isola fece un vento maestrale a noi contrario,
tanto grande, che fossimo sforzati andar a pigliar porto nell'isola di
Scio in un luogo detto S.^{ta} Anastasia, dove gli stassimo 18 giorni,
per il d.^o vento qual sempre seguitò, che non potessimo levarci di
quel luogo, nel quale ogni giorno andassimo in terra per quelle ville
e casali, ma non andassimo mai alla città di Scio, perchè vi era gran
peste, ed anco perchè vi erimo lontani da XX miglia. Pigliassimo pesci
in quantità; ed io per mio ricordo, il giorno di S.^{to} Pietro,
essendomi andato per mio diporto in acqua con molti altri della nave
per lavarci e rinfrescarci, quali sapevano benissimo nuotare, ed
io per non saperne pigliai un'assa in mare, con la quale mi andava
sostenendo, e quella mi portò assai lontano dalla nave; uno di quelli
che nuotavan venne sotto acqua e mi diede nell'assa la quale mi scappò
di mano, e restando io abbandonato di quella, andai sotto acqua molte
volte, dove mi messi per morto. Uno, visto il pericolo, venne alla
volta mia per aiutarmi: ed io sentendo d'aver appoggio me gli attaccai
talmente attraverso le sue braccia, e con le mie gambe le incrociai
insieme con le sue, che ancor lui non potendo nuotare, avendo prese
le braccia e gambe, tutti due ci annegassimo. Fu visto dalli altri il
pericolo, vennero gli altri, quali ci aiutarono e ci portarono quasi
come morti alla nave; ed io per grazia di quella Beatissima Vergine di
S. Luca di Bologna, la quale sempre chiamai in aiuto, fui liberato, ma
stetti molto male per otto giorni per la grand'acqua salsa che avevo in
corpo; ed averò ricordanza di tal giorno.

Alli 8 Luglio ci levassimo di d.^o luogo per il nostro viaggio.

Alli 10 detto, essendo sotto Troia in bonaccia grande, cioè senza
vento, vedessimo una galera di Barbaria che veniva alla volta nostra
dove erimo in gran paura e ci mettessimo tutti in arme; ma la Maestà
di Dio ci mandò buon vento, dove scappassimo dentro delli due castelli
di Costantinopoli, quali sono di tal fortezza che credo non ve ne sia
due altri simili, con riviere di ville, giardini, che rendono vista
bellissima.

Alli 12 d.^o che fu la domenica, avanti giorno, fossimo a Gallipoli: e
la sera giunse quella galera di Barbaria che avevamo lasciato addietro,
la quale venne con gran allegrezza sparando artiglieria, moschetti
ed altro, per segno d'allegrezza d'una presa che avevan fatto d'un
vascello di Siviglia, nel quale vi era dentro un figliuolo del Vicerè
di Napoli, qual avevano preso insieme con tre altri vascelli che
andavano da Napoli in Siviglia, per passare d.^o figliuolo in altro
luogo, e detti quattro vascelli furono presi dalle galere di Barbaria;
nelli quali vi era ancor quattro Padri Zoccolanti: ed ogni cosa
condussero in Barbaria, eccetto il figliuolo suddetto, quale era un
putto di dodici anni in circa, bello e garbato, il quale stava assai di
buona voglia; e lo condussero a presentare al Turco, il quale l'ebbe
molto caro e lo fece rinnegare subito.

Alli 15 d.^o ci partissimo di Gallipoli ed essendo nel golfo di Marmara
scontrassimo l'armata Turchesca, quali erano settanta galere ma ben
armate, le quali andavano per trovare quelle di Fiorenza.

Alli 17 d.^o stassimo sotto Silivrea città. Alli 19 d.^o con l'aiuto
del S. Dio e della Beatissima Vergine Maria fossimo a Costantinopoli.



 =Viaggio fatto da me Tommaso Alberti da Costantinopoli in Polonia,
 cioè in Leopoli, per via di terra, con molti effetti dei signori miei
 principali mercanti Veneziani cioè 27 carri carichi di tappeti, tre
 carri di reobarbaro, due carri di seta, tutto per condurre alla lor
 casa aperta in Leopoli, ed io sopracarico delle suddette robe, quali
 carri erano tutti condotti da Turchi.=


Al Nome del S. Dio e della B. V.

Alli 26 Novembre 1612 ci levassimo di Costantinopoli con li carri, e
stassimo fuori della porta chiamata la porta d'Andrinopoli due giorni e
due notti, sempre con vento e pioggia, per la spedizione del commercio,
cioè dazio. Alli 8 d.^o giovedì facessimo levata: la sera giungessimo
al ponte lungo, qual ponte è tutto di pietra viva e lungo mezzo miglio
in circa; vi è molti occhi ma è basso, vi è un bellissimo Cavarserà,
che vuol dire luogo riservato, dove vanno li viandanti per posarsi,
e tutto coperto di piombo; non vi è che una porta; vi è comodità di
stalle, fontane ed alloggiamenti per persone in quantità; il ponte
serve per esser laguna marittima.

Alli 9 d.^o facessimo levata: la sera fossimo a Silivrea città alla
marina. Alli 20 d.^o ci levassimo e a mezzo giorno fossimo al Corlù,
bazar grande cioè villa di mercato. Alli 11 domenica ci levassimo, la
sera fossimo a Pergas villa. Alli 12 fossimo a Capsi villa grande. Alli
13 ci levassimo, la sera giungessimo in Andrinopoli, città antichissima
ma brutta: vi stassimo due giorni. Ed io avevo un rinnegato che era
otto anni che si era fatto Turco, quale era Ludovico Zarlatini da
Modena, ed io stavo con qualche timore e sospetto, perchè conduceva
costui in Cristianità per ritornarlo alla nostra e vera fede, siccome
feci con l'aiuto di Dio.

Alli 15 d.^o a mezza notte ci levassimo, la sera giungessimo a
Dervente, villa abitata da Bulgari. Alli 16 d.^o camminassimo per
un bosco molto pericoloso d'assassini, però andassimo ben provvisti
da ogni sospetto. La notte stassimo in detto bosco. Alli 17 d.^o
camminassimo sempre per il detto bosco con strada cattivissima e sempre
pioggia. Alli 18 d.^o domenica giungessimo a Aidos, città brutta senza
muraglie grandi e in bel sito.

Alli 19 d.^o facessimo levata al nostro cammino, e trovassimo un
monte molto faticoso da salire, che vi voleva dieci paia di cavalli a
tirare un carro. La sera stassimo in una villa disabitata e bruciata
dai Tartari, quali spesse volte fanno delle scorrerie a danno dei
passaggieri, e saccheggiano li villaggi ed altri luoghi secondo li
piace. Alli 20 detto Martedì ci levassimo e camminando giungessimo nel
bosco di Balcar, bosco grandissimo; e si passa un fiume 39 volte. La
sera con gran pioggia stassimo a una villa nominata Giengia, abitata
da Bulgari, ma la più parte indisposti di mal di idropisia per la
cattiva aria che vi regna, per essere in una valle, cioè in fondo a
monti altissimi. Alli 21 d.^o ci levassimo di detto luogo; la sera
giungessimo a Provadia, città abitata da Turchi, posta in pianura senza
muraglie: ma è circondata da monti altissimi, che la guardano molto
bene; vi stassimo due giorni per accomodare li carri e provvederci di
vittovaglie necessarie, ma sempre con pioggia.

Alli 24 ci levassimo per il nostro cammino; la sera giungessimo a una
villa piccola, disabitata, da Tartari, dove stassimo tutto il 25 per
esser giorno di Bairam dei Turchi, cioè il dì di Pasqua e il giorno di
S.^{ta} Caterina; ed erimo in cima a un monte altissimo, e li furbi
di carrettieri ci lasciarono in d.^o loco con li carri e mercanzia,
ma menarono via li cavalli; e restassimo in cima a d.^o monte lontani
dalla villa otto, o dieci miglia, che per danari non trovassimo da
mangiare nè bere; e li carrettieri tutti erano andati a quella villa
per far la festa; ed ivi stassimo con gran freddo e vento.

Alli 25 ci levassimo di detto luogo e camminassimo per boschi
grandissimi; la sera fussimo a Barzargichi, città dei Turchi posta
in pianura, città brutta e senza muraglie. Alli 27 ci levassimo,
camminassimo al nostro cammino, entrassimo nella Provincia della Dobiza
e Tracia, confine della Tartaria, tutta pianura grandissima. La sera
fossimo a Carages villa. Alli 28 d.^o ci levassimo e camminassimo
sempre per dette pianure, le quali sono tanto grandi che par un mare
di terra, che non si vede che cielo e terra, senza un minimo albero;
le strade sono facilissime da fallare, con tutto ciò che vi sia
persone pratiche, per la gran quantità di carreggiate che si vedono,
traversando una sopra l'altra; e noi fallassimo la strada due volte.
La sera stassimo a una villa detta Bulbul, villa piccola posta in
detta pianura. Alli 29 d.^o fessimo levata, e sempre per dette pianure
camminassimo e togliessimo uno a quella villa, pratico delle strade,
acciò ci conducesse bene; e passassimo per Caracchicci, città piccola,
per posar li cavalli; nella qual città vi è un bello Cavarserà, cioè
luogo serrato per le mercanzie e cavalli, qual è alla similitudine di
un convento con una sola porta, e tutte le comodità necessarie per li
viandanti e cavalli; la sera giungessimo a Straggia, villa grandissima,
abitata la più parte da Valacchi.

Alli 30 d.^o, giorno di S.^o Andrea, camminassimo sempre per dette
pianure con la guida; scontrassimo una grandissima carovana che andava
a Costantinopoli, la quale veniva di Polonia; la sera fossimo a
Cavachei, villa grande. Il 1^o dicembre facessimo levata, camminassimo
sempre per dette campagne con la guida; la sera giungessimo a una villa
detta Sohaali, villa grande posta sopra la riva del Danubio. Alli 2
d.^o facessimo levata, camminassimo dietro il Danubio, a mezzo giorno
giungessimo a Mecina, villa e scala del Danubio, cioè dogana e dazio
del confine della Turchia, discaricassimo tutti li carri, pagassimo
il dazio, ci sbrigassimo da quella maledetta razza dei Turchi, ma
con molte difficoltà, e ci liberassimo da quelli furbi dei nostri
carrettieri Turchi; mettessimo tutte le robe in barca e così passassimo
il Danubio, lasciando la Turchia, entrassimo in Cristianità, facessimo
la notte 60 miglia giù per il Danubio.

Alli 3 detto giungessimo a Galazzo città su la riva del Danubio, stato
del Principe di Bogdania. Discaricassimo la mercanzia di barca, e
stassimo in detto luogo tutto il giorno per accomodare le balle e per
trovare li carri per il nostro viaggio. Alli 4 d.^o stassimo in detto
luogo, facessimo dir messa alla Valacca, stassimo con molto nostro
gusto, trovassimo molti e buoni pesci, cioè morone fresche, sturioni
e lucci in grandissima quantità ed a buonissimo mercato, quasi per
niente, gran quantità di lepri a soldi cinque l'una; galline ed altri
polli non ne trovassimo per esser stata, già quattro mesi, ogni cosa
svaligiata dai Tartari. Alli 5 d.^o ci levassimo da detto luogo con le
nostre mercanzie, camminassimo tutta la notte a lume di luna con gran
freddo. Alli 6 d.^o camminassimo sempre per le campagne già dette, con
altra guida, senza mai trovar ville nè casali. La sera ci fermassimo.
Alli 7 seguitassimo sempre per dette campagne con gran freddo, senza
mai trovare ville nè casali. Alli 8 d.^o camminassimo al nostro
viaggio, sempre come di sopra, la sera giungessimo a Barlado città, ma
tutta disfatta e svaligiata. Alli 9 seguitassimo per dette campagne
con grandissimo freddo, la sera fummo a Zizzaar villa, cenassimo e poi
facessimo levata al nostro cammino tutta la notte. Alli 10, sempre
per dette campagne, passassimo per Vasclù mercato, posto di molte
case, e vi è una chiesa e un palazzo del Principe di Bogdania ma tutto
rovinato. Alli 11 d.^o camminassimo sempre fra monti, e seguitassimo
tutta la notte camminando con gran freddo. Alli 12 d.^o seguitassimo
sempre con gran pioggia, entrassimo in un gran bosco, nel quale vi
stassimo la notte, sempre camminando con gran vento e pioggia. Alli 13
d.^o, giorno di S.^{ta} Lucia, camminassimo per d.^o bosco il quale è
grandissimo, le strade cattivissime, che sei para di bovi non potevano
tirare un carro; restassimo la notte in detto bosco, senza niente da
mangiare e con gran paura dei lupi quali urlavano grandemente. Alli
14 camminassimo sempre per d.^o. La sera fossimo fuori, e stassimo la
notte fuori di d.^o bosco.

Alli 15 d.^o camminassimo per strade molto cattive, e giungessimo in
Jassi città dove risiede il Principe di Bogdania e Moldavia: la qual
città è senza muraglie e vi sono da ottomila case in circa, ma tutte
di legno, alquante chiese, alcune di pietra, ma parte son ruinate
dalla guerra; il palazzo del Principe è di pietra e serrato attorno di
legnami. Quando il Principe va per la città cavalca accompagnato da 500
archibugieri, e vestito di rosso con la mazza ferrata in mano. La città
è sporchissima, con molto fango, che rende molto mal camminarvi; la
città è stato suo; sono obbligate tutte le case, se vi va un viandante
per voler alloggiare, riceverlo; e vi usano molto accoglienze. Le donne
sono quelle che reggono e fanno tutti li fatti necessari alle loro
case, ragionano liberamente e famigliarmente con uomini in pubblico e
in secreto, chè non vi è guardato; quando portano da bere, o mangiare,
sono le prime a far la credenza. Quando muore la moglie a uno, quello
per esser conosciuto vedovo, cammina per alquanti giorni per la città
senza niente in capo. In d.^a provincia fanno alla greca, la quale
circonda 700 miglia. Vi fa gran freddo; usano le stufe. In detta
provincia vi sono 24 m. ville. Paga di tributo al Gran Turco talleri 60
m. La Valacchia paga 100 m. talleri, ed ha nel suo stato 24 m. ville.

Alli 20 d.^o giovedì ci levassimo da d.^o luogo con gran freddo e neve:
camminassimo il giorno e la notte. Alli 21, giorno di S. Tommaso,
camminassimo per pianure e giungessimo li nostri carri che erano
partiti due giorni avanti di noi da Jassi. Alli 22 seguitassimo il
nostro cammino con detti carri, passassimo il fiume di Greggia qual
era ghiacciato, e passassimo sopra il ghiaccio con li carri; la sera
giungessimo a Steffaneste, villa grande di due mila case; vi è una
gran chiesa fabbricata di pietra ma non è fornita; vi è in d.^a villa
mille soldati mantenuti dal Principe per presidio e per riguardo dei
Polacchi. Al 23 d.^o facessimo a mezzanotte partenza di d.^a villa:
camminassimo con gran patimento di freddo. Alli 24 d.^o camminassimo
sempre per campagne, nè trovassimo mai acqua nè legne per scaldarci e
beverare li bovi, ma bene la terra tutta coperta di cavallette morte
dal freddo, che pareva neve ghiacciata che fosse in terra; per le quali
si era empito tutti li pozzi ed altri laghetti, che avevano fatto
putrefare tutte le acque; e pensisi che dette cavallette fecero un
notabilissimo danno la estate passata, che mangiarono tutti li raccolti
che erano in erba; e dette cavallette erano grandi e lunghe mezzo
palmo. Alli 25 d.^o, a mezzanotte del Santissimo Natale, ci levassimo
con gran freddo, e a mezza mattina ci trovassimo a passare un fiume
detto il Pruto, ma lo passassimo con molta difficoltà, rispetto che era
molto grosso, come anco che era un grandissimo vento da maestro, che
lo faceva molto ondeggiare, con cavalle, che rendeva assai timore; e
vi stassimo tutto il giorno a passare. La notte stassimo malissimo di
freddo, di neve e vento che tagliava la faccia e senza da far fuoco,
senza vino nè altra cosa da mangiare. Camminassimo tutta la notte per
poter giungere quanto prima a Cutino. In tutto questo viaggio mai siamo
stati con li carri e cavalli e bovi al coperto, ma sempre alla campagna
aperta. Alli 26 d.^o cessò il vento: passassimo certi monti cattivi
la sera; a ore due di notte giungessimo a Cutino, ultima città del
Principe di Bogdania, ma tutta bruciata e saccheggiata dai Polacchi.
Vi è una bella fortezza su la ripa del fiume, la quale è in potere dei
Polacchi, quali vi tengono un presidio per pegno di fiorini 100 m. al
Principe.

Alli 30 d.^o domenica ci levassimo di detto luogo e passassimo d.^o
fiume sopra del ghiaccio, e passato su la Podoglia, vi è una villa su
la ripa di detto fiume, nominata Bragà. A mezzo giorno giungessimo
a Camignizza, città senza muraglie, ma circondata attorno d'un fiume
che lo fanno alzare quanto vogliono; e vi è anco attorno certi monti
di sasso vivo, in modo che non vi si può salir se non per le porte
ordinarie, le quali sono due, guardate da soldati. In detta città vi
sono le chiese e case tutte di pietra, ma le strade molto fangose.
Stassimo in d.^o luogo molti giorni, per riposare del gran patimento
avuto, e per accomodar li carri ed altro.

Alli 24 Gennaio 1613 ci levassimo di d.^a Camignizza e la sera
stassimo a una villa detta la Scala. Alli 26 d.^o a Sanuff, alli 27
d.^o domenica a Nastasuff, la sera a Coslù, alli 28 d.^o desinassimo a
Sborù, alli 29 d.^o desinassimo a Ghelignano, la sera a Savannizza.

Alli 30 d.^o martedì giungessimo a Leopoli, città e fine del nostro
viaggio, e qui stassimo per espedire le nostre mercanzie sicome segue.
La città non è bella, le case tutte coperte d'asse; è abbondantissima
di carne, di pollami, e pesci di laghi: si beve cervogia, per esser il
vino molto caro; le donne attendono alle botteghe e fanno loro tutti
li negozii; si usa il baciare le donne per le strade e nelle case,
con gran domestichezza e famigliarità. La città è mercantile, per
esser vicina alla città di Iublino ed altre città grosse di negozio.
E qui finissimo di contrattare tutti li nostri effetti e mettessimo
all'ordine il ritratto per ritornelo a Costantinopoli, sì come
facessimo.

Alli 24 Aprile 1613 facessimo levata di Leopoli per ritornare a
Costantinopoli con li ritratti di nostre mercanzie, parte in contanti
e parte botti di coltelli. La sera stassimo lontano da Leopoli tre
leghe in casa d'un amico; alli 25 seguitassimo a cammino; la sera
a Ptevisano, villa grande dell'illus.^{mo} S.^{re} Adam Signaschi
Palatino della Corona, il qual Signore mi presentò un paio di cavalli
da carrozza; vi stassimo tutto il dì 26, per alcuni negozii che aveva
con d.^o S.^r Palatino. Alli 27 d.^o ci levassimo, facessimo leghe
quattro; alli 28 facessimo leghe sette; alli 29 d.^o andassimo avanti
una lega, e scontrassimo uno a cavallo, il quale ci disse che in un
boschetto che dovevamo passare vi erano alquanti furfanti, che facevano
del male alli viandanti; e da lì a poco trovassimo uno a cavallo che
era stato svaligiato, e piangeva della perdita del suo carro e robe,
ma anco per le bastonate avute; così noi, per esser soli tre, ci
ritirassimo a Probona villa, per aspettar altri mercanti che avevano a
venire, per andar ancor loro a Camignizza, dove si faceva la raccolta
della carovana; e ci risolvessimo pigliare otto uomini con arme, quali
ci accompagnarono sino alla Scala. Alli 30 giungessimo a Camignizza,
ed ivi si fece tutta la raccolta dei carri della carovana per andare a
Costantinopoli.

Al 4 Maggio facessimo levata da Camignizza con n.^o 60 carri grandi,
tutti da 6 cavalli per carro, carichi di diverse mercanzie, cioè
zibellini, lupi cervieri, conigli ed altri pellami, cremisi, coltelli
e molte altre robe, tutte per condurre a Costantinopoli: che N. S.
ci dia buon viaggio e ci guardi da assassini. Alli 5 passassimo
il fiume di Cutino, alli 6 passassimo il fiume Pruto, alli 7 d.^o
stassimo a Steffaneste villa grande, alli 8 camminassimo avanti,
alli 9 giungessimo in Jassi città del Principe di Bogdania, alli
11 d.^o ci levassimo, alli 12 camminassimo, alli 13 passassimo per
Barladi città, e avessimo una grandissima pioggia con venti, tuoni e
tempesta; alli 14 camminassimo; alli 15 giungessimo in Galazzo città,
e ivi discaricassimo le robe per metterle nelle barche per passare il
Danubio. Alli 16 passassimo il Danubio, ed era il giorno della Assensa;
alli 17 fossimo a Mecino, ed aggiustassimo li dazieri per la gabella
dei Turchi, e vi stassimo sino alli 22 d.^o; facessimo levata la sera a
Provadia.

Alli 23 entrassimo nel gran bosco di Balcano, dove avessimo un passo
molto pericoloso, che li carri non potevano passare fra un dirupo
grande: nel qual luogo si ribaltò un dei nostri carri nel quale vi era
trenta sacchi di reali di n.^o 500 per sacco, zibellini e altre robe;
e recuperassimo ogni cosa senza perdere niente, perchè il carro fu
trattenuto dalli arbori che non dirupò in fondo; e fessimo presto a
tirar via li cavalli, e accomodassimo ogni cosa, e seguitassimo nostro
cammino. Alli 24 passassimo per Aidos città; alli 30 passassimo per
Silivrea; il primo Giugno a Costantinopoli; ed ivi si diede spedizione
a tutte le merci, e tornassimo a caricare un'altra volta la carovana
per ritornare in Polonia.

Alli 21 Giugno mi partii da Costantinopoli; alli 27 Luglio giunsi
in Leopoli; alli 13 Agosto mi partii da Leopoli, alli 15 giunsi in
Ieroslavia città, e fiera grandissima ci avea; alli 29 mi partii di
Ieroslavia, al p.^{mo} Settembre giunsi in Cracovia città reggia del Re
di Polonia, alli 13 mi levai, alli 26 giunsi in Praga città metropoli
dell'Imperatore, alli 29 mi partii, alli 4 Ottobre giunsi a Norimbergo,
alli 8 mi levai, alli 10 giunsi in Amo, alli 12 giunsi a Lindo, alli
14 a Coira gran città dei Grigioni, alli 15 e 16 passai per monti
altissimi con gran neve; la sera a Chiavenna; alli 17 d.^o giunsi a
Ceva prima città d'Italia, stato di Milano, la notte passai il lago di
Como, alli 18 fui a Como, alli 19 a Milano, alli 22 a Lodi, alli 23 a
Piacenza, la sera a Borgo s. Donnino, alli 24 desinai a Parma, la sera
a Reggio, alli 25 desinai a Modena, la sera a Bologna.

Alli 20 Aprile 1614 mi partii da Bologna, andai a Venezia, mi imbarcai
sopra d'un galeone per Costantinopoli; alli 30 Giugno giunsi in detto
luogo di Costantinopoli, nel qual luogo mi fermai sette anni.


                                  1621

Viaggio fatto da Costantinopoli a Venezia per via di terra. Alli 14
Maggio mi partii di detto luogo, alli 20 Luglio giunsi a Venezia, il
primo Agosto a Bologna.



Il Servo degli onoratissimi luoghi della Mecca e Medina, Sig.^r delli
SS.^{ri} del Mondo, Possessore dei paesi dell'Arabia, Persia, Grecia,
Iram, Turam, Polonia, Svezia, Valacchia, e Bogdania, Padron della spada
e della penna, Sig.^r il Sig.^r Osman, al presente Re ed Imperatore
della Musulmana Fede, a cui l'Eccelso Iddio sia favorevole.

Si narra dei Beglerbei cioè Duchi, dei Sangiacchi cioè Rettori, delli
Alai Bei che son capi delle ordinanze, dei Mutaffaragà cioè lancie
spezzate, dei Contimari ch'è feudatarij, dei Chiaussi, dei Dottori,
Moggini, dei S.^{ri} della staffa, dei giovani che sono nei Serragli,
delli Spahì cioè cavalli leggieri, dei Capiggi cioè portinai, dei
Gianizzeri cioè pedoni, dei Zamoglani cioè giovani inesperti, dei
bombardieri, degli armariuoli, dei Savazi cioè quelli che insellano i
cavalli, della cucina regia, degli Spezieri cioè di quelli che fanno i
canditi, delli Chilarzi cioè dispensieri della milizia, dei Mechtemi
cioè quelli che distendono i padiglioni, dei Casnadari cioè tesorieri,
dei sartori, dei marangoni, dei pittori, degli orefici, dei frizzeri ed
altri salariati del Re.


_Dei giovani che sono nel Serraglio._

  Nella camera maggiore, cioè Chasodà, vi sono giovani.. N.^o  300
  Nella camera Chasnà cioè camera del Tesoro                 »   170
  Nella seconda camera maggiore                              »   300
  In quella delli Doganzi cioè falconieri                    »   500
  Nella camera minore  ..................................... »   220
  In quella delli Baltazi cioè ragazzi   ................... »   370
  I Mutaffaragà dell'Eccelsa Porta sono  ................... »   400
  I Chiaussi dell'Eccelsa Porta sono ....................... »  2070
  I Capiggi dell'Eccelsa Porta sono ........................ »  2170


_Delle squadre delli Spaì._

  1.^a Primo si chiama Spaì Oglani, e porta bandiera rossa.
  2.^a Sillichtari gialla.
  3.^a Il destro Buluch bianca.
  4.^a Il sinistro Buluch bianca e gialla.
  5.^a Garibani destro, verde.
  6.^a Garibani sinistro, verde e bianca.

       Gianizzeri ............... N.^o 43000
       Zamoglani  ...............  »   17000
       Bombardieri ..............  »    6000
       Zebezi cioè armaiuoli ....  »    5000
       Sarazi cioè stallieri ....  »     500
       Zadir Mechteri, cioè quelli
         che scopano ............  »     200
       Zenegifi, cioè scalchi ...  »     140
       Dispensieri molti.
       Candittieri, cioè chi fa
         canditi ................  »     100
       Medici Turchi ............  »      40
       Medici Ebrei .............  »      30
       Tesorieri ................  »     180
       Sartori ..................  »     220
       Marangoni ................  »     200
       Pittori ..................  »      30
       Orefici ..................  »      70
       Frezzeri .................  »      17
       Stallieri cioè che fanno
         staffe .................  »      70


_Beglerati, o Ducati, che sono in Asia e nella Natolia._

                                     Quelli della Grecia
  Iemen                 Adina                Grecia
  Cairo                 Cipro                Buda
  Cabessia              Caramania            Bossina
  Babilonia             Sernauza             Temisvar
  Damasco               Canz                 Agria
  Tripoli               Gienze               Canizza
  Balsera               Adil Zuas            Silistra
  Sachsà                Tauris
  Diarbechin            Trabisonda
  Arzirum               Caffa
  Riccà                 Elrinzan
  Seresul               Isirab
  Cara Amit             Natolia
  Iildir
  Servan
  Aleppo

Nelli sopraddetti Beglerati sono 500 Sangiacchi, ed altrettanti Capi di
ordinanze.


_Della precedenza dall'uno all'altro._

  Primo si senterà l'Alfier maggiore.
  Secondo il Capo delli Capiggi Bassi.
  Terzo poi tutti.
  Quarto il Cavallerizzo maggiore.
  Quinto il Cavallerizzo minore.
  Sesto il Capighilarchiaiassi.
  Settimo il Capo Scalco.


_Il Secher Emini, o Emin._

Questo è obbligato di sovrastare a tutte le fabbriche del serraglio,
di provvedere anco a certi bisogni della città, come il far conciar
strade, condur acque, conciar le mura della città, e far altre
fabbriche necessarie alla città. Emin della cucina. Emin delle biade
per cavalli.


_Dell'ordine dei Rettori della legge, dei Visiri, Giudici ed altri
S.^{ri} dell'Imperio._

Se per caso il Mufftì col Visir grande si trovassero insieme in un
luogo, l'uno non precederà all'altro, ma si senteranno egualmente, cioè
il Mufftì in un canto, ed il Visir in un altro.

Sotto il Mufftì si senterà il Cadì Leschier della Grecia, e dopo quello
della Natolia, e sotto questi diversi altri Cadì; e dopo questi, i
Lettori delle Moschee principali e regie, che sono settecento.


_Ordine dei Capi Principali della milizia dei Gianizzeri dal primo sino
all'ultimo._

 Il primo è l'Agà dei Gianizzeri.

 2.^o Il Chiaia Bei serve per luogotenente.

 3.^o Il Sceimen Bassi, cioè il capo di quelli che hanno cura dei cani
 del Re.

 4.^o Il Saganzi Bassi, cioè il capo dei bracchieri.

 5.^o Il Duganzi Bassi cioè il capo dei levrieri.

 6.^o L'Agà di Costantinopoli, e questo è capo delli Zamoglani.

 7.^o Il Musur Bassi o Agà, e questo è come commesso della milizia dei
 Gianizzeri, che sta appresso il Bassà grande, mentre che dà udienza,
 così nell'imperial Divan come in casa sua, acciocchè in occorrenza che
 alcun querelasse alcun Gianizzero, esso sia pronto di far eseguire
 la Giustizia ai capi; e se all'incontro anco per qualche negozio
 occorresse alcun Gianizzero, di farlo venire.

 8.^o Il Chiaus Bassi, col Chiaus mezzano, e il Chiaus minore; questi
 tre sono obbligati di far intendere a tutte le camere dei Gianizzeri
 quello che devono fare, cioè l'andar al Divano, quando che di fuori
 venissero le loro vettovaglie, legne, ed altre cose, per andar a
 levarle, e far altre cose simili.

 9.^o Il Sansongi Bassi, cioè il capo di quelli che hanno cura dei cani
 corsi del Re.

 10.^o Il capo dei Mastri che tengono le scuole per insegnar a tirar
 d'arco.

 11.^o Il capo dei balestrieri.

 12.^o I Hugiu Bassi: questi sono una compagnia, che quando si fa
 levata, apparecchiano quelle scope che l'Agà suol tener avanti il suo
 padiglione, e passano avanti, e le tornano ad impiantare nell'altro
 alloggiamento.

 13.^o Il Jedechzi Bassi, cioè il capo di coloro che menano i cavalli
 di rispetto dell'Agà.

 14.^o Dopo, i Jaia Bassi, cioè i capi dei pedoni, e sono centurioni
 dei Gianizzeri.

 15.^o I Solachi: questi vanno avanti al Re con una certa scopa in
 testa, e con le camicie fuori delle braghesse; ed in occasione che
 il Re vada alla guerra, questi sono per guardia intorno al suo
 padiglione. Seguono poi i Gianizzeri, e Zamoglani: a questi succedono
 gli scrivani delli Gianizzeri, lo scrivano dell'Agà e lo scrivano del
 Chiecaia.


_Dei Tefterdari, cioè Camerlenghi._

  Un Tefterdar maggiore.
  Un minore.
  Uno di Natolia.
  Uno della Grecia.
  Uno del Cairo.
  Il Nascinzi Bassi.
  Uno di Aleppo.
  Uno di Damasco.
  Uno di Caramania.
  Uno di Caffa.
  Il Cancelliero maggiore e Tefter Emin, custode di tutti i libri.


_Dei scrivani che servono nell'imperial Divano._

  Il Prusmanegi grande, cioè il giornalista maggiore ed il minore.
  Il Basmuchasebeggi, cioè il ragionato maggiore.
  Il Teschereggi grande, cioè il notaio degli ordini del Bassà in
    esecuzione delle suppliche fattegli.
  Il Basmuchatazi, cioè il capo di quelli che tengono il conto degli
    appalti.
  Il Muchatazi di Natolia.
  Il Muchatazi, cioè il scontro della cavalleria.
  Un simile della fanteria.
  Il Muchataggi dell'appalto di Costantinopoli.
  Il Muchataggi del carazo.
  Il Muchataggi della Mecca e Medina.
      Brussia     }
      Natolia     }
      Minere      }
      Pecore      }
      Entrate     } Teschiereggi
      Valona      }
      Negroponte  }
      Adin        }
      Sarcan      }
  Il Meucufeuggi: questo è uno scrivano che tira in resto tutti i
    debitori.
  Il Teschiereggi minore.
  Il Teschiereggi delle fortezze minori.
  Il Teczifatzi, cioè colui che tiene conto delli presenti che si
    portano, e delle vesti che si danno via.
  Il Teschiereggi, cioè colui che mette la data alle scritture.
  Il Teslimateggi, cioè colui che fa le ricevute a chi porta danari, o
    altro.
  Il Teschiereggi, cioè il scrivano che tiene conto particolare delle
    presentazioni dei danari.
  Gli scrivani con li sotto-scrivani del Divano sono in circa..  N. 300
  I Cancellieri di signoria...................................   »   80


_Del danaro dei tributi, delle tanse e delli traffichi, che si cavano
dagli infrascritti paesi._

  Dal Cairo...................Zecchini 600000
  Tripoli.....................    »     50000
  Damasco.....................    »     60000
  Di Arbeca...................    »     11000
  Aleppo......................    »     50000
  Cipro.......................    »     50000
  Adino Sarcan................    »     83000
  Arzirum.....................    »    105000
  Babilonia...................    »    105000
                                      -------
                             Zecchini 1213000

  Nelli paesi di Natolia vi sono 390000 case che pagano le
    tanse, zecchini tre per casa importa...................Zecc. 1170000
  Dalli paesi suddetti di Natolia si cava di carazo per
    ogni anno..............................................  »    450000
  Dalli paesi suddetti di Natolia si cava di berratico ogni
    anno...................................................  »    836000
  Nelli paesi della Grecia sono 150000 case che pagano
    zecchini tre per casa di tansa.........................  »    450000
  Nelli paesi suddetti di Grecia si riscuote di carazo ogni
    anno...................................................  »    150000

Insomma tutto il danaro che si cava da queste due provincie e da tutti
i paesi dei Musulmani, passa più di sei milioni di some d'aspri, e poco
manco vien distribuito.


_Delli presidii che tengono per custodia delle fortezze che sono alli
confini._

  In Babilonia Sultan Soliman Chan vi ha posto per custodia
     schiavi................................................    N. 12000
  In Arbeca vi sono spade..................................     »   9000
  In Cairo vi sono schiavi.................................     »  12000
  In Arzirum vi sono schiavi...............................     »   8000
  Nelle parti della Grecia, in Dobriza, sono per l'occasione
     della guerra deputati guastatori........................   »  90000

Ed insomma fra le parti di Natolia e Grecia vi sono quattrocento mila
persone di esercito obbligato di andare alla guerra di Sua Maestà
Imperiale, e cento e diecimila sono gli schiavi stipendiati.


_Dell'origine della Casa Ottomana._

  1. Ordoghios Chan fu il primo della Casa Ottomana.
  2. Osman Chan suo figliuolo.
  3. Emir Orchan suo figliuolo.
  4. Sultan Murat Chan.
  5. Sultan Baiazit Chan.
  6. Sultan Memet Chan.
  7. Sultan Murat secondo.
  8. Sultan Memet secondo, che prese Costantinopoli.
  9. Sultan Baiazit secondo.
  10. Sultan Selim, primo di questo nome.
  11. Sultan Soliman Chan.
  12. Sultan Selim Chan, secondo di questo nome.
  13. Sultan Murat, terzo di questo nome.
  14. Sultan Memet, terzo di questo nome.
  15. Sultan Acmat Chan.
  16. Sultan Mustafà, fratello di Sultan Acmat, regnò mesi 3 giorni 9,
    e poi rinunciò l'imperio.
  17. Sultan Osman, figliuolo di Sultan Acmat, imperatore l'anno 1620,
    qual fu ammazzato dalli Gianizzeri.


_Dell'ordine nel baciar la mano di Sua Maestà nel giorno del Bairano
quando esce fuori e si senta nella sedia imperiale._

Prima gli bacierà la mano il figliuolo del Re Tartaro, poi il Muftì con
varii altri dottori e legisti; ai quali succedono i Visiri, diversi
Beglerbei, li Tefterdari, il Nisangi, il Cancellier grande, e per
ultimo viene ad essere il Gianizzero Agà, ed altri capi principali
della milizia; e finito che avranno di baciar la mano questi, il Re si
leva e va dentro e mutato di abito torna fuori e va alla moschea.

Mentre li soprascritti ed altri baciano la mano, è ordinario che il Re
si leva in piedi.


_Dell'entrate di Costantinopoli._

Gli Visiri grandi hanno di entrata dodici some di aspri all'anno, ed il
Nissangi ha cento cinquanta mila aspri.


_Dieci Serragli di Sua Maestà Imperiale._

Prima nel Serraglio sono più di 300 Baltaggi, e questi sono quelli che
fanno tutti li servizii nel Serraglio, come lo scopare, tappezzare ed
altri servizii simili; ed hanno di paga aspri 4 al giorno.

Nel Serraglio di Galata sono settecento e venti giovani, ed hanno di
paga aspri 5 al giorno, ed anco _in annum_ le loro vesti.

Nel Serraglio di Andrinopoli e in quello di Ibraim Bassà quanti siano
non si sa il numero, ma hanno di paga aspri 5 il giorno.


_Titoli che il Re dà alli suoi Visiri nel Serraglio._

All'onorato ed ecc.^{te} Visir regolatamente intelligentissimo
mediatore in tutte le cose del mondo, prudentissimo definitore delli
negozii degli uomini, che il Sig.^r Dio per sua divina grazia faccia
forte nella sua grandezza, mio Visir il ............. che il S.^r Dio
conservi nella sua grandezza.


_Alli Cadì principali._

Al più glorioso tra li giudici della musulmana fede, l'ecc.^{te}
arbitro e difensore dell'unità divina, miniera di eloquenza e di
sapienza, erede della scienza delli Profeti, instrumento della ragione
dei popoli, partecipe della divina grazia ............ Cadì, che
accresca in maggior dottrina.


_Alli Beglerbei._

Al Sig.^{re} delli SS.^{ri} onorati, grande, diligente ed ecc.^{te}
Sig.^r di onorevolezza e di dignità e pompa e di altezza il
................. che per la grazia dell'Altiss.^{mo} Iddio è
Berglerbei di .......... cui prosperità sia sempre.


_Titolo che si dà al segno imperiale._

Segno imperiale, nobile, sublime, singulare ed esquisito, dimostratore
di prosperità, adornatore ed acquistatore del mondo, il quale per
grazia e per favor divino corre e viene eseguito.


_Titolo che si dà ad un Principe Cristiano._

Al più glorioso tra li SS.^{ri} grandi nella nazione Cristiana, eletto
tra li sublimi ed ecc.^{te} nella religione del Messia, moderatore
delli negozii di tutte le nazioni Nazarene, possessore del manto della
pompa e della riputazione, Sig.^{re} che guida alla gloria, e grande
tra li Principi Cristiani, il cui fine termini in bene.


_Divisione delli monasteri e parocchie della Cristianità, e di sua
possibilità._

Li monasteri dei frati berettini sono trenta seimila, ed altrettanti di
S.^{to} Agostino, cioè Eremitani, Dominichini, Carmelitani, Monaci e
tutti quelli che sono sotto la regola di S.^{to} Agostino.

Abbadie e monasteri di monache sono venti settemila, che in tutto fanno
cento e quaranta quattromila monasteri in tutta la Cristianità.

In tutta la Cristianità sono parocchie dugento e ottanta ottomila;
mettendo un uomo per parocchia, farebbero dugento e ottanta ottomila
persone da guerra.

Se ogni monasterio pagasse soldi 15 alla settimana, sarà in un anno
zecchini 936000; novecento e trenta seimila.

Le parocchie sono dugento e ottanta ottomila; a s. 52 all'anno per
parrocchia fanno in tutto 14976000; sono la somma delli monasteri, fa
s. 15912000.

A s. 3 per testa si può assoldare all'anno quattrocento e quaranta
quattromila soldati da far guerra a tutto il mondo.


_Profezia mandata dal Nuncio di N.^{ro} Sig.^{re} residente in Francia,
all'Ill.^{mo} e Rev.^{mo} Cardinal Borghese, la quale è stata ritrovata
nel rinnovare certe fondamenta di un palazzo, in una cassetta di marmo
finissimo, in lingua ebraica, nella chiesa di S. Dionisio, fuori di
Parigi._

  1621 Bellum magnum in tota Italia.
  1622 Pastor non erit.
  1623 Ira Dei super terram.
  1624 A paucis cognoscetur Christus.
  1625 Resurget magnus vir.
  1626 Africa ardebit, et luna scaturiet sanguinem.
  1628 Europa, Africa, Asia trepidabunt.
  1629 Infideles Trinum et Unum Deum cognoscent.
  1630 Extinguuntur lumina et erit unus pastor et unum ovile.

Il Gran Signore tiene due milioni e cinque centomila uomini
continuamente pagati ed obbligati di andare alla guerra, compresi però
li Bassà con tutte le loro corti.

Quando il Gran Signore va in persona alla guerra, sono obbligati
andarvi tutti quelli che tirano paga, e molti altri ancora che non
hanno paga, quali vanno per venturieri sopra la sua borsa.


_Titoli che si assume il Gran Turco._

Il Servo dei sacri luoghi di Mecca e Medina, Ombra di Dio in terra
e Vicario del Profeta, Signore dei Sig.^{ri}, Dominatore del mondo,
Rifugio dei Potentati, Augusto Donator di Corone dei Regni della
terra, Custode dell'Oriente ed Occidente, Possessore dei paesi della
Natolia, Soria, Babilonia, Caramania, Mesopotamia, Trabisonda, Armenia,
Persia ed Arabia, dell'Egitto, della nobile Gerusalemme, di tutto il
Dominio di Salomone, di Grecia, di Macedonia, Morea, Bossina, Moldavia,
Valacchia e Bogdania, di Belgrado, Buda, Agria, Alba Reges, Strigonia e
Canissa, Tripoli, Tunisi e Algeri, ricetti de' Guerrieri, e delle tre
Sedie Imperiali, Brussia, Andrinopoli e Costantinopoli, Re dei Re ed
Imperatore sublime, Sig.^r del Mar Negro e del Mar Bianco, del Caffà di
Negroponte, Scio, Cipro, Rodi e d'altre isole, terre, città e castella,
Padron della spada e del calamo, sempre vittorioso, Sultan Osman figlio
di Sultan Acmat Imperatore.


_Titoli che si danno alla Sultana Regina._

All'onestissima regia Sultana, signoril gioiellata corona delle
pudiche, la Sultana .......... che Dio guardi e feliciti.



_Adì xi Novembre 1620 in Costantinopoli._


Faccio noto come questo giorno fece l'entrata in questa città
l'Ambasciatore del Re di Persia, con una superbissima pompa, ed
incontrato da buon numero di Turchi, cioè tutta la milizia del Gran
Signore.

Alli 15 d.^o il detto Ambasciatore andò a baciare le mani al Gran
Signore, accompagnato dalla bellissima corte regia fino al regal
palagio; il quale Ambasciatore era vestito superbissimamente, sì come
anco tutta la sua corte; e presentò al Gran Signore le qui sottoscritte
robe, e prima:

Quattro elefanti grandissimi, guarniti di superbi e ricchi tappeti, col
castello sopra di loro.

Due tigri grandi come un asino, bellissime.

Un rinoceronte, il corpo grande come un bove, ma basso di gambe, senza
pelo, di colore di bufalo, il mostaccio simile al bove, ma assai più
lungo, sul naso un osso, o corno simile a un pane di zuccaro, le
orecchie piccole, senza corni, la coda corta.

Una casselletta piena di gioie di gran valsente.

Una vesta di bellissimo e ricco drappo, foderata di bellissimi
zibellini.

Una spada di damaschino tutta gioiellata di preziose gioie.

50 cammelli carichi di sete.

25 cammelli carichi di porcellane.

25 cammelli carichi di tappeti bellissimi.

Un bellissimo cavallo fornito di sella e brena, tutta gioiellata di
superbe e ricche gioie.



_Ambasciatori di teste coronate, ed altri principi che sono di presente
1620 alla corte del Gran Turco, e quello che da Sua Maestà gli viene
assegnato per cadauno d'essi per le loro spese di vitto, mentre
risiedono alla Imperial Porta._


  L'Ambasciatore dell'Imperatore tira al giorno di paga.....Zecchini 100
  Ambasciatore del Re di Francia............................    »     40
  Bailo per la Serenissima Signoria di Venezia nulla.
    L'Ambasciatore straordinario per la detta...............    »     50
  Ambasciatore del Re d'Inghilterra.........................    »     40
  Ambasciatore dei potentissimi stati di Fiandra............    »     40
  Ambasciatore del Re di Polonia............................    »     60
  Ambasciatore d'Ungaria....................................    »     40
  Ambasciatore del Re di Boemia.............................    »     40
  Ambasciatore del Re di Slesia.............................    »     40
  Ambasciatore di Moravia...................................    »     40
  Ambasciatori delle Provincie d'Allemagna..................    »     40
  Ambasciatore di Transilvania..............................    »     25
  Ambasciatore di Ragusi....................................    »     25
  Principe di Valacchia.....................................    »     25
  Principe di Moldavia......................................    »     25
  Ambasciatore del Re di Persia.............................    »    400
  Ambasciatore del Re di Marocco............................    »    100
  Ambasciatore di Mingrelia.................................    »     10



Il Serraglio dove abita il Gran Turco con tutta la sua real famiglia
di servizio, è posto in un sito mirabile, ed è posto in quella parte
dove prima fu fabbricato Bisanzio, sopra una gran punta di continente
che guarda alla bocca del mar Maggiore, in forma triangolare, bagnato
da due parti dal mar Egeo, e dalla parte terza sta col resto dei
cortili: e tutto è servato e circondato di muraglia altissima e molto
ben fatta per diverse torrette che sono sopra di lei compartite.
Circonda miglia tre italiane. Ha diverse porte, così da mar come da
terra, fra quali una è la principale da terra, per la quale ogni giorno
ognuno vi entra, e le altre stanno serrate, e si aprono a gusto e
comodo del Re e dei ministri principali di detto Serraglio, secondo
le ordinarie occorrenze, stando la notte tutte serrate. E la prima
è maestra, che è come un corpo di guardia, grande e magnifica: sta
il giorno guardata da una grossa compagnia di Capiggi, che a vicenda
si danno la muta, e la notte viene custodita da altri Capiggi, che
sono portieri, sotto il comando d'un Capiggi-Bassi, loro capo. Li
quali Capiggi Bassi essendo al numero di sei per l'ordinario, hanno
obbligo una notte per uno di dormire dentro il Serraglio per buona
e sicura custodia d'esso. Appresso queste guardie si tiene la notte
fuori di detta porta alcuni Gianizzerotti in una casetta di tavole
mobili sopra ruote, li quali stanno vigilando ed osservanti di tutte
le cose, per potere svegliare quelli di dentro e dar quelle notizie
che portasse il bisogno. E intorno le mura di detto Serraglio, buon
spazio distanti l'una dall'altra, vi sono le torrette nelle quali
dormono diversi Agiamoglani, che vuol dire figliuoli esperti greggi,
per guardia, e per veder che nè per mare nè per terra di notte alcuno
si accosti; tenendosi particolarmente dalla parte di mare alcuni pezzi
d'artiglieria disposti e caricati, per adoperar quando occorresse
reprimere la trascuraggine e la temerità di qualche vascello che se gli
accostasse.

In detto Serraglio vi sono le stanze regali, le quali sono molte ed
appropriate alle stagioni dell'anno, la maggior parte nel piano, ed
alcune fabbricate per sopra colli naturali, e diverse anco sopra il
mare, nominate chioschi, che vuol dire stanze di bel vedere, dove
si ritirano li Re lor soli, o vero con le donne per ricreazione;
fra quali, la stanza dove si radunano gli Gran Signori sempre a dar
udienza a tutti gli Ambasciatori, a tutti i Bassà li giorni del Divano
pubblico, e per lo più a tutti quelli che si licenziano per andare alli
carichi loro assegnati, e che ritornano da essi ancora. Questa è posta
nel piano del cortile, in isola assai piccola, ordinata di fuori di
alcune fontane, secondo il loro costume superbissime, e dentro ha un
sofà, cioè soglio, coperto di ricchissimi tappeti d'oro, in particolare
di velluto cremisino ricamato di perle ricchissime, sopra i quali si
siedono i Re. Intorno poi alla stanza vi sono pietre biancheggiate
con colori diversi a fogliami e così ben compartiti insieme, delle
quali essendo incrostata la muraglia, fa una bellissima vista. Vi è
anco una camera apparente, tutta coperta di lastre d'argento profilate
d'oro e di seta, ricchissime e bellissime. Oltre alle dette stanze
reali che sono molte e poste in diverse parti d'esso Serraglio, che
servono solo alla persona reale, vi è l'appartamento delle donne nel
quale abita la Regina Sultana e le Sultane, e tutte le altre donne e
schiave del Gran Signore; il quale appartamento è come un monasterio
amplissimo, in cui si ritrovano tutte le comoditadi di dormitorii e
refettorii, di bagni e stanze, ed ogni altra sorta di fabbriche per
necessità del vivere; e questi appartamenti reali hanno amplissimi
giardini di fiori, di frutti, con strade bellissime di cipressi e
con fontane in tanta abbondanza, che si può dire che quasi in tutte
le strade l'abbiano, con gran vaghezza e comodità. Appresso vi sono
stanze di abitazioni separate d'ogni sorta, le quali servono non solo
per i ministri principali, e per li mezzani, e anco per gli infermi; e
così ben ordinate e disposte, che non vi è alcuno che patisca di cosa
veruna. Tra queste fabbriche sono due lavori molto riguardevoli, grandi
e molto capaci, uno dei quali serve per tener il Casnà, cioè tesoro
di dentro, e l'altro per la guardia della roba regia; queste sono due
bellissime fabbriche, le quali sono stanze separate al piano ed in
solaro, capacissime per molta comodità che tengono, e sono sicurissime
per essere di muraglia grossissima, con poche finestre tutte ferriate,
e con una sola porta per una, di ferro, fortissima; le quali stanno
sempre serrate, e quella del Casnà regale sigillata col sigillo regio.

In detto Serraglio sono moschee per l'orazione, bagni, scuole,
lambiccatori, stalle, cucine, dispense, luoghi da correre cavalli,
piazze da lottare, da tirar d'archibugio, da far rappresentazioni, ed
infine tutte quelle comodità che si possano desiderare.

Quello che rende superbo e grave detto Serraglio, non è bene a tacerlo,
ed è l'ordine col quale è posto; e per primo l'ingresso d'un portone
amplissimo e nobilissimo, con sotto porticali capacissimi d'una guardia
di cinquanta uomini forniti con le sue armi, cioè archibugi, archi
con freccie e scimitarre in buona quantità. Passata questa, nella
quale i Bassà ed altri grandi e qualificati soggetti possono entrarvi
a cavallo, si entra in una gran piazza o vero cortile d'un terzo, o
quarto di miglio italiano di lunghezza, ed altrettanto di larghezza
in circa, con un solo porticale a mano sinistra, fatto per starvi li
cavalli e servitori al coperto in tempo di pioggia. In questo gran
cortile all'entrare a mano dritta vi è l'ospitale, o vero infermeria,
la qual serve a tutti del Serraglio, nel quale si trova ogni comodità
necessaria: ed è custodito da un Eunuco, con diversi ministri tutti
disposti per servire agli infermi. Ed all'incontro, che è a man
sinistra, vi è un luogo grandissimo dove tengono legne, carri ed altre
cose necessarie da mano, per servigio ed uso del Serraglio, sopra il
quale vi è un gran salone dove si tengono riposte alcune armi antiche,
come morioni, mani di maglia, giachi, archibugi e zagaglie, delle quali
si servono per armare i Gianizzeri, la maestranza dell'arsenale, ed
altre arti, per incontrare il Re e li Bassà generali, quando fanno
l'entrata solenne nella città di Costantinopoli. Cavalcato che si è
questo cortile, si smonta ad un'altra porta poco minore della prima,
simile di fazione, e più ricca e più bella, con il sottoporticale che
serve per il corpo di guardia, la quale medesimamente viene custodita
da Capiggi e fornita d'arme, come si è detto. Per questa si entra ad
un altro cortile poco minore del primo, ma molto più bello, per avere
nobilissime fontane, per esservi strade compartite da altissimi
cipressi, e per ritrovarvi alcuni quadri di parco, dove nascendo
l'erba, pascolano diverse gazzelle che fruttano, e sono tenute per
delizia. Questo cortile si cammina da tutti a piedi, fuori che dal
Re solo, che a cavallo va a smontare fino alla terza porta. Dall'una
e dall'altra parte d'esso vi sono porticali sostentati da bellissime
colonne, fuori dei quali sogliono star in piedi li Ciaussi, le milizie
dei Gianizzeri e Spahì in ordinanza, nobilissimamente vestiti, quando
si fa Divano grande e pomposo per l'entrata d'alcun Ambasciatore, che
passa per andare a baciar le vesti al Gran Signore.

In detto cortile alla destra vi sono tutte le cucine, le quali sono
nove in numero, tutte separate e destinate alle loro dispense, e
ministri, e che hanno da servire; la maggiore e la principale è quella
del Re, la seconda quella della Regina, la terza delle Sultane, la
quarta del Capi Agà, la quinta del Divano, la sesta delli Agalari
che sono li favoriti del Re, la settima quella delle genti di basso
servizio, l'ottava quella delle donne, e la nona quella delli ministri
bassi del Divano, guardie, ed altri assistenti al ministerio d'esso.

Alla sinistra vi è la stalla del Re, di 25 in 30 cavalli bellissimi,
dei quali si serve la Maestà Sua per li esercizii e giuochi che fa con
li suoi favoriti dentro del Serraglio; e sopra d'essa vi è una mano di
stanzie dove si conservano tutti li fornimenti da cavallo, li quali
avendo io veduti, posso affermare che sono di straordinaria bellezza
e ricchezza, perchè vi sono selle, briglie, pettorali e groppiere,
rimesse di gioie d'ogni sorte, con tanta vaghezza ed artificio e in
tanta quantità che rende stupore ad ognuno che le vede, perchè eccedono
alla immaginazione. Contigue a detta stalla vi sono alcune fabbriche
per servizio dei ministri del Divano pubblico, attaccato alle quali vi
è il Casnà che si chiama tesoro di fuori, il quale quando è serrato sta
sempre sigillato col sigillo del Bassà primo Visir; e nel medesimo
cortile, quasi al paro del Divano, ma dentro ad esso, alla parte
sinistra, vi è la porta della Regina, custodita e guardata da una mano
di Eunuchi negri. Il fine di questo vago e delizioso cortile termina
alla terza porta del Re per la quale si entra dentro nel Serraglio
riservato alla sola persona imperiale, e schiavi che lo servono. Nè in
questa porta può entrare alcuno senza volontà dell'Imperatore, parlando
dei soggetti di condizione; ma altri da servizio, come medici e quelli
che attendono alle dispense ed alle cucine possono entrare, con licenza
del Capi Agà che è il maggiordomo maggiore, a cui è raccomandata la
guardia d'essa; e sempre vi assiste, per avere vicine le sue stanze
con li suoi Agà, Eunuchi come egli, e sono tutti bianchi. In modo
che quando si rappresentano delle cose di queste porte di dentro, la
maggior parte è per relazione, perchè non si può vedere o se si vede
in alcuna minima parte, ciò segue in occasione che il Re si ritrovi
assente, e si viene introdotto da qualche favorito per una delle porte
del mare; il che riesce con molta difficoltà, per il rispetto nel quale
vogliono che sia tenuta la persona reale, ed anco le sue stanze.

Ora, passata questa terza porta, la quale anco essa ha un bellissimo
porticale, ma senza arme, subito, si può dire, si entra alla già detta
stanza deputata alle pubbliche udienze delli Ambasciatori e Bassà; e
si scopre, entrandovi, un altro bellissimo cortile sotto lastricato di
finissimi marmi e lavorato a mosaico, con fontane e fabbriche da tutte
le parti sontuosissime, perchè sono per lo più dove il Re abita per
mangiare e per fare le sue ricreazioni.

Io, con l'occasione d'essere il Re ritornato fuori alla caccia, per
la stretta amicizia che teneva con il Chiecaia, che è il maggiordomo
del Bostangi Bassi, che vuol dire capo delli giardinieri dei Re,
ebbi comodità d'entrare con la scorta di lui nel detto Serraglio per
la porta del mare, e fui condotto a vedere diverse stanze ritirate
del Re, diversi bagni ed altre cose molto deliziose e curiose, così
per la ricchezza dei lavori a oro, come per l'abbondanza di fontane.
In particolare vidi un appartamento di stanze d'estate posto sopra
una collinetta, così ben inteso di sala e camere, e così vago per
lo sito, che appariva essere luogo ed abitazione di Re; così grande
era il Divano, cioè la sala, aperta dalla parte del levante, colline
bellissime, che guardava sopra un laghetto di forma quadra, fatto
artificiosamente da alcune fontane in numero di trenta, tirate e
compartite sopra un corridore di pietra di marmo finissimo che
circondava questo lago.

So che le fontane gettavano l'acqua da quel corridore nel lago, e
l'acqua di esso si scolava poi con alcune seriole in alcuni giardini
che rendevano il luogo deliziosissimo; per lo corridore potevano
camminare due uomini al paro, e girandolo godere di quelle fontane che
facevano un continuo e soave mormorio; e nel lago vi era un brigantino
assai piccolo, nel quale mi fu detto che entrava spesso la Maestà Sua
con buffoni e matti, per farsi vogare a ricreazione, e per far loro
qualche burla di sballarli nell'acqua, come spessissimo, camminando
con loro per lo corridore, gli faceva far tombole per traboccarli nel
lago. Vidi anco da detto Divano per una finestra la stanza del letto
di Sua Maestà, la quale era di grandezza ordinaria, aveva li muri alla
usanza incrostata di pietre, cioè maioliche, che mostravano macchie di
fiori di diversi colori che facevano bellissima vista. Sopra le porte
vi erano portiere ordinarie di panno d'oro di Brussia, con fregi di
velluto cremisino, ricamato d'oro con molte perle sopra. La lettiera
era simile a una trabacca alla Romana, con le colonnette d'argento
profilate d'oro; in luogo di pomelli aveva lioni di cristallo, e
il fornimento era di panno d'oro e verde, pur di Brussia, senza
sguazorone, in luogo del quale erano alcuni merli fatti di perle, che
mostravano essere di gran valore e molto ben composti; li stramazzi
erano poco più d'un palmo alti da terra, ed erano pur di broccato
d'oro, come erano anco li cuscini, in suolo così di questa come delle
altre stanze, con li suoi sofà, che sono li luoghi dove sta a sedere,
alti da terra mezzo braccio incirca; tutti erano coperti di ricchissimi
tappeti Persiani di seta e d'oro, e li stramazzi da sedere e cuscini
da appoggiare erano di bellissimi broccati d'oro e seta. E in mezzo
il Divano vi vidi pendente un fanò assai grande di forma rotonda, con
li termini d'argento rimessi d'oro, di turchine, rubini e smeraldi, e
gli intermedii erano di finissimo cristallo, che faceva una bellissima
vista. Per le mani vi era un bacinetto piccolo con il suo ramino
tutto d'oro massiccio, tempestato di turchine e rubini bellissimi che
facevano una gran vista. Dentro al detto Divano vi era un luogo da
tirare di freccia, dove vi vidi archi e freccie bellissime; e mi furono
mostrate passate fatte con freccie dal forte braccio del Re, così
grandi che mi diedero maraviglia.

La stanza nominata Divano pubblico, vi è un appartamento fatto già
non molti anni sono; è un quadro di stanze da servizii, di passa otto
incirca per ogni verso, con una retrostanza da servizi, ed un'altra
stanza a canto posta a mano destra nell'entrare, divisa solamente dal
Divano da termini che fanno entrar in essa; fuori poi dalla porta
di esso vi sono due casette di tavole posticcie per abitazione dei
ministri, oltre le altre poco discosto, disposte alla spedizione dei
negozii.

In questo Divano, che è chiamato il pubblico, perchè pubblicamente ed
indifferentemente ogni sorta di persone vi può concorrere a dimandare
giustizia e spedizione delle grazie, liti e cause che hanno di qual si
voglia sorte, si radducono quattro giorni della settimana (la quale
finisce il venerdì, per esser quello il giorno della sua festività;
e sono li giorni della sua riduzione il sabato, la domenica, il
lunedì, il martedì) il primo Visir con tutti gli altri Bassà, li due
Cadì Leschieri di Grecia e Natolia, che sono li capi delli Cadì di
quelle due provincie; e li Cadì sono uomini professori della legge
che per privilegio governano come Rettori in tutti i luoghi e città
dell'Imperio; li tre Tefterdari, che sono come i questori Romani, e
quelli che hanno cura di riscuotere le entrate regie, e che sborsano
il danaro alle milizie ed altri stipendiati della Porta; il Reschisop,
che è il Cancellier grande; il Nisangi, cioè quello che segna li
comandamenti e le lettere con il segno regio, li secretarii di tutti li
Bassà ed altri grandi con un numero di notari, assistendo sempre alla
porta di detto Divano il Ciaus Bassi che è il capo delli messaggieri,
per non dire comandadori, con buon numero di detti Ciaussi per obbedire
alli ordini del Bassà; il quale Ciaus Bassi porta un bastone d'argento
in mano; e gli altri per premio servono per lettere e per portare
ambascerie per capitani, per guardiani, ed in fine per cose simili; e
tutti si radducono all'alba.

Li Bassà tutti, entrati nella stanza del Divano, si siedono in faccia
dell'introito sopra una banca attaccata al muro, un dopo l'altro,
alla destra, come lato inferiore, del primo Visir; ed alla sinistra
sopra la medesima banca siedono li due Cadì Leschieri, cioè prima
quello della Grecia, come provincia più nobile e stimata, poi quello
di Natolia; ed alla destra nell'entrare stanno pur a sedere li tre
Tefterdari, li quali hanno dietro di loro nella stanza già detta tutti
gli notari, li quali stanno a sedere in terra con carta e penna in
mano, e sono pronti a scrivere quanto occorre e gli viene comandato;
ed all'incontro d'essi Tefterdari, ch'è dall'altra parte della stanza,
pur sopra una banca, vi sta il Nisangi con la penna in mano circondato
da' suoi ministri, stando nel corpo e nel mezzo di detta stanza tutti
quelli che pretendono udienza. Ridotti che sono, danno principio alla
spedizione delli concorrenti pretensori, li quali tutti senza avvocato,
usando di trattare le loro cause da per loro, fanno capo dal primo
Visir, il quale, se vuole, può spedire il tutto, perchè tutti gli altri
Bassà mai parlano ed aspettano di essere ricercati da lui, o di essere
delegati giudici come spesso occorre; perchè il primo Visir, gustato
che ha la sostanza della causa, per liberarsene, se è civile legale
la rimette ai Cadì Leschieri, se è dei conti alli Tefterdari, se è di
falsità, come sovente occorre, alli Nisangi, se è di negozio mercantile
concernente difficoltà di probazione, a qualcheduno delli altri Bassà,
liberandosi in questo modo se gli pare del carico che ci ha, di mano
in mano, e riservando a se quello che gli pare di grave interesse fra
nazioni forestiere, e che per qualche via gli potesse giovare. E in
dar le spedizioni, si trattengono tutti fin a mezzogiorno, che viene
l'ora di pranzo, nel qual tempo comparendo uno delli scalchi destinati
a tal servizio, prende la parola del primo Visir di portar il cibo.
Vengono immediatamente licenziati della stanza tutti li particolari,
e restando libera la stanza, sono poste le mense in questo modo:
innanzi al primo Visir sopra d'un scabello è posta una mezolera di
rame stagnata, rotonda e grande come un fondo di botte, alla quale
mangia esso primo Visir con uno o ver due delli altri Bassà, li
quali mangiano tutti insieme; il medesimo alli Cadì Leschieri, alli
Tefterdari ed alli Nisangi. Alcuni serventi pongono a tutti sopra
li ginocchi un fazzoletto per preservarli le vesti, e li portano le
vivande dopo aver empito all'intorno quelle mezolere di molto pane di
varie sorte, ma tutto tenero e buono. Le vivande gli vengono portate
ad una ad una e poste in mezzo di quella mezolera in un piatto da loro
chiamato _tepsi_, capace e grande; e finita una, levano quella e gli
ne portano un'altra, essendo il mangiare ordinario castrato, galline,
colombini, oche, agnelli, pollastri, minestre di risi e legumi,
acconcie in diverse maniere, qualche torta per postpasto, e così in
breve tempo spediscono, mangiando dell'avanzo di queste tavole tutti
gli altri ministri del Divano, ai quali anco di più viene dalle cucine
somministrato quello di più che li potesse bisognare.

Alli Bassà ed alli grandi alle volte viene portato il bevere ed il
sorbetto in alcune scodelle di porcellana grande, poste sopra di
alcuni piatti della medesima, o vero di cuoio miniato d'oro; gli altri
non bevono, e se hanno sete si fanno portare dell'acqua cavata dalle
fontane vicine. Nel medesimo tempo che mangia il Divano, mangiano
anco tutti gli altri ministri e custodi, li quali per l'ordinario non
sogliono essere meno di cinquecento bocche, nè a questi si dà altro che
pane e _sorba_, cioè minestra. Finito il desinare, il Bassà primo Visir
attende a negozii pubblici, e consigliando con chi gli piace e come gli
piace con li altri Bassà, risolve da per se il tutto, e lo prepara per
portar dentro al Re; essendo costume ordinario delli quattro giorni
del Divano andar in due di essi a dar conto alla Maestà Sua, cioè
la domenica ed il martedì, di tutti li negozii spediti; per lo qual
effetto dà udienza il Re ancor egli; fatto il pranzo, passa dalle sue
stanze nella stanza del Divano, e va dentro, ove sentandosi manda a
chiamare per uno a questo deputato, che è il Capegiler Chiaiassi, che
porta un bastone d'argento lungo in mano, prima li Cadì Leschieri,
li quali levatisi con il far riverenza al primo Visir partono, ed
accompagnati da detto Capigiler e dal Chiaus Bassi, che tutti due
vannogli innanzi con gli bastoni d'argento in mano, entrano dal Gran
Signore, al quale danno conto di quanto aspetta al loro carico, e
spediti partono e ritornano a drittura alle loro case. Dopo questi
sono chiamati li Tefterdari, li quali usando li medesimi termini
si trasferiscono al Re, e spediti li loro negozii si licenziano, e
danno luogo alli Bassà, li quali vanno per ultimi in schiera uno dopo
l'altro; e capitati in Divano, alla presenza del Re, con le mani
giunte ed il capo basso, come fanno tutti gli altri, solo il primo
Visir è quello che parla e dà conto di ciò che gli pare, mostrandogli
i memoriali ad uno ad uno; e poi rimettendoli in una borsa di raso
cremisino, li pone con grande umiltà a canto al Re; e se non viene
ricercato d'altro, senza che gli altri Bassà mai parlino, si partono
e vanno a montar a cavallo fuori della seconda porta già detta, ed
accompagnati dai suoi e da altri, massime il primo Visir, vanno alli
suoi Serragli. E così resta finito per quel giorno il Divano, che può
essere ora di vespero.

È da sapere che alle volte vanno nel detto Divano gli Agà
delli Gianizzeri ed il Capitano del mare, quando si trovano in
Costantinopoli, che hanno negozii; ma questo solo, gli giorni che si
entra al Re, può entrar anco egli, però con li Bassà, e dar conto dei
negozii aspettanti all'arsenale ed all'armata; il luogo del quale è in
Divano sopra la banca delli Bassà, ultimo di tutti; ma se fosse Bassà
Visir, come spesso occorre, siede in questo caso al suo luogo al numero
designatoli di secondo o terzo, come sta la sua elezione. E l'Agà
delli Gianizzeri, il quale non siede in Divano, ma dentro della seconda
porta del Serraglio, a man destra sotto il portico, quando gli occorre
andar dal Re, vi va prima delli altri già detti, ed uscito torna a
sedere al suo luogo fino al finire del Divano, ed è l'ultimo delli
grandi a partire.

Erano soliti gli Imperatori passati e questi presenti non tralasciare
alle volte di trasferirsi per entro delle sue stanze ad una finestra
che guarda in Divano, e risponde sopra il capo del primo Visir, alla
quale sta una gelosia spessa per non esser visto; da questa vede
ed intende la Maestà Sua tutto ciò che si tratta in esso Divano, e
particolarmente vi va quando ha da dar udienza ad alcuno Ambasciatore
di Principe grande, per vederlo a mangiare con li Bassà, e per
intendere ciò che si ragiona. E questo fa gran servizio alla giustizia,
perchè teme il Bassà primo Visir sempre della sua testa, e si regge
perciò con molta circospezione.

Quando occorre agli Ambasciatori di teste coronate baciar le vesti
al Re, questo si fa per lo più la domenica o il martedì, giorno del
Divano destinato alla udienza del Re; e ciò si fa per non dar incomodo
negli altri giorni alla Maestà Sua. Ed allora il primo Visir comanda
Divan grande, che vuol dire convocazione di tutti i grandi della
Porta, di tutti li Ciaussi, di tutti gli Mutefaragà che sono lancie
spezzate, di tutti gli Spahì che sono le milizie a cavallo, e tutti gli
Gianizzeri che sono le milizie a piedi, le quali sotto li loro capi
sono comandate a vestirsi meglio che possono e ridursi alli luoghi loro
ordinarii che sono nel secondo cortile; comparendo compartiti in modo
che rendono e fanno vista bellissima, perchè sono molto riccamente
vestiti, portando nelli turbanti e loro scuffie pennacchi d'ogni sorte
bellissimi. Ed accomodato il Divano, nel quale quel giorno si fanno
pochissime faccende, manda il primo Visir il Ciaus Bassi con molti
delli suoi Ciaussi a cavallo a levar l'Ambasciatore; e condotto in
Divano si fa sedere dirimpetto al Bassà primo Visir sopra un scagno
senza appoggio, guarnito di broccato; e dopo un pezzo di ragionamento
piacevole, comanda il Bassà che si porti il desinare, il quale vien
portato dall'ordinario scalco in quel modo che è stato detto, e mangia
l'Ambasciatore con il primo Visir ed uno o due delli altri Bassà;
nè altra differenza si scuopre dal solito, se non che il mezolaro è
più grande e tutto d'argento, e le vivande sono in maggior copia e
più delicate, sborsando la Maestà Sua per ognuno di tali banchetti
scudi mille d'oro a quello della dispensa. Al banchetto vi assiste
sempre il Dragomanno, per potere ragionare ciò che occorre, e si sta
trattenendosi, fino che il Re manda ad avvisare d'essere all'ordine, e
che abbia fornito di desinare la corte dell'Ambasciatore, alla quale
è apparecchiato sotto un porticale, in terra, sopra alcuni bulgari in
luogo di mantili, e le vivande sono positive e con ordine. Fornita
tutta la cerimonia del banchetto, si ritira l'Ambasciatore con tutta
la sua corte in un certo luogo vicino alla porta del Gran Signore a
sedere, sino che tutti gli ordinarii del Divano siano andati alla
udienza del Re. Usciti, fuorchè gli Bassà che restano per servire
alla Maestà Sua per onore, poi è chiamato l'Ambasciatore dal mastro
delle cerimonie, e condotto sino alla porta; dove essendo il Capi Agà
con un'ala di Eunuchi Agà, viene condotto sino alla stanza del Gran
Signore, alla porta del quale stanno due Capiggi Bassi delli detti,
che lo pigliano uno per braccio; ed accompagnato a baciar la vesta
della Maestà Sua, è dalli medesimi ritornato in dietro al muro della
stanza; dove fermatosi l'Ambasciatore fino che li detti Capiggi Bassi
abbiano accompagnato tutti li destinati a baciar le vesti ad uno ad
uno, introdotto il Dragomanno, espone al Re la sua commissione: alla
quale per il più delle volte non risponde il Re cosa alcuna, ma solo il
Bassà primo Visir dice qualche parola a proposito per licenziarlo; e
così l'Ambasciatore si parte con far riverenza al Re, senza levarsi la
berretta.

È curiosa cosa sapere questo particolare, che non è persona così
d'ambasceria come d'altri, che vada a baciar le vesti alla Maestà Sua
per licenziarsi da lei, che non sia vestita di veste del Re. Però il
primo Visir, innanzi che vadano gli Ambasciatori al Divano, gli manda
a presentare quante vesti sono descritte nel Canon per li Ambasciatori
e suoi gentiluomini, le quali poi si portano piegate, nè si vestono
se non all'entrare che si fa alla porta che va al Re: e dette vesti
sono di diverse sorte, cioè una, o due per li Ambasciatori di quelli
broccati di Brussia d'oro e di seta, e le altre, se bene li lavori
sono di Brussia, sono di poco valore. È anco vero che all'incontro non
è alcun Ambasciatore che vadi al Re, e Bassà, che ritorni da governo,
che baciando le vesti non lo presenti giusto al Canon ordinario
puntualmente osservato, tenendosi questo libro molto ben custodito,
per non perdere le buone usanze, sì che per questa ragione è molto
maggiore l'entrata che l'uscita; perchè gli Bassà oltre l'ordinario
del Canon fanno a parte grossissimi presenti e ricchissimi di cose
squisite e rare, accompagnate alcune volte secondo la qualità delli
Ambasciatori, per conservarli favoriti ed in grazia.

Gli altri Ambasciatori, che non sono di teste coronate, se bene sono
vestiti di vesti del Re in presente, non entrano però con questa gran
pompa in Divano, nè ricevono il banchetto, ma vanno come gli altri
soggetti grandi privatamente, portando il presente, alcuni sedendo alla
presenza del Bassà ed altri non sedendo, fino che vengono poi condotti
al Re nel modo sopraddetto.

Avendo fin qui descritto il Serraglio e le fabbriche in esso
esistenti, per quello si è potuto vedere ed intendere, con qualche
altro particolare appresso dell'uso d'esso, entrerò a narrare di
quelli che l'abitano, e del loro ministerio. Dirò prima che tutti
quelli che si ritrovano in detto Serraglio, così uomini come donne,
sono tutti schiavi dell'Imperatore, come sono tutti quelli che sono
sudditi nel suo grande Imperio; perchè in esso non è altro capo che
il Re, riconoscendo tutti l'essere e l'avere dalla semplice volontà
della grazia di lui. E puotesi con verità affermare e dire che questo
Serraglio riesce come un seminario di soggetti, li quali secondo la
loro riuscita e naturale disposizione vengono ad essere quelli che
subornati reggono con principalissimi carichi la macchina di così amplo
Imperio.

Tutti quelli che stanno dentro dalla terza porta chiamata porta reale,
io credo che non eccedono, per l'informazione che avetti, fra uomini
e donne al numero di due mila; le donne saranno da trecento in circa,
giovani, belle, atte, ridotte e abbracciate dal Re, vecchie da governo,
e altre da servizio.

Quelle che sono tenute in luogo di belle, sono tutte giovani d'esterne
nazioni state prese o rubate, ed educate in buone creanze con altre
virtù di sonare, cantare, danzare e ben cucire, sono poi state donate
alli Re per presenti nobilissimi, come vergini virtuose e stimatissime
fra i Turchi; e di queste tali si accresce il numero ogni giorno,
secondo che vengono mandate a presentare dal Tartaro, dalli Bassà, e
da altri grandi al Re ed alla Regina, e le mette anco, secondo che
pare alla Maestà Sua per qualche accidente di farne passare da questo
Serraglio al Serraglio vecchio, che anco egli è un luogo amplissimo,
come a suo luogo si dirà.

Queste, entrate in Serraglio, siano di che religione esser si voglia,
s'intendono immediatamente turche; alle quali non si usa di far altro,
che di farli alzare un dito e dire Mehemet; e secondo le loro età e
disposizioni, esaminate da una vecchia nominata _Cadum_, che vuol dire
maggiordoma maggiore, sono collocate in una stanza ad abitare e vivere
fra le altre della medesima età e del medesimo genio. Ed è da sapere
che in quelli appartamenti di donne si vive come si fa ne' monasterii
di monache grandi, perchè hanno li suoi refettorii e dormitorii
grandissimi, che capirebbono fino al numero di cento d'esse. Dormono
sopra li sofà posti al lungo della stanza dall'una e dall'altra parte,
sì che resta una capacissima strada nel mezzo di poter camminare; li
loro letti sono di schiavine e felzade, e per ogni dieci giovani donne
dorme una vecchia. Nelle stanze stanno di notte diversi ferali accesi,
pendenti dal cielo d'essa, e così compartiti, che da per tutto si può
comodamente vedere; e ciò per divertire il male e per lo bisogno che
gli potesse occorrere; appresso detti dormitorii vi sono li suoi bagni,
le cucine, e l'uso per la necessità, con abbondanza di fontane per lo
bisogno delle acque, e diverse altre stanze sopra essi dormitorii,
dove si riducono a cucire, e dove tengono li suoi _sanduchi_, che sono
forzieri per custodire li loro vestimenti. Mangiano poi a camerata
nelli loro refettorii sopra il piano del sofà e sopra corami di
bulgaro che servono per mantili, e vengono servite da altre donne
secondo il loro bisogno, sì che non restano in mancamento alcuno. Hanno
li loro luoghi da ridursi alle scuole per imparare a leggere, parlar
turco, a cucire, a sonare, e con le loro madri che sono donne di età
vivono e stanno tutto il giorno con qualche ora anco di ricreazione,
perchè non gli mancano giardini nè piaceri quanti ne vogliono fra di
loro.

Il Gran Signore per l'ordinario non vede nè pratica queste tali
giovani, se non quando gli vengono presentate, e dopo, in caso di
volere qualcheduna d'esse per suo uso, o vero per vederla a giuocare, o
sentire a suonare; per tal effetto fa sapere alla Cadum governatrice il
suo desiderio, la quale immediatamente fa porre le giovani che paiono a
lei bellissime all'ordine di tutto punto, apparecchiate e poste in fila
dall'una e dall'altra banda della stanza, e introduce il Re, il quale
passando fra di loro più d'una volta e quanto li piace, adocchia quella
che più gli piace ed aggrada, e nel voler partirsi li getta uno de'
suoi fazzoletti in mano, segno di volerla quella notte a dormir seco.
Questa, avuta così buona nuova, si pone quanto può l'arte, e governata
e profumata dalla Cadum, dorme la notte con il Re nelle stanze
regali, nell'appartamento delle donne, che sta sempre preparato per
tal effetto: e nel dormire la notte dalla Cadum le vengono assegnate
alquante More vecchione, le quali a vicenda, due ogni tre ore, li
stanno in camera, dove sta una delle dette More vecchie e l'altra dai
piedi del letto, e si mutano senza strepito, sì che il Re non possa
sentire alcun disgusto.

Nel levar che fa la mattina il Re si muta tutto di vestimenti e lascia
alla giovane quelli che aveva in dosso con tutti li danari che nella
scarsella si trovano; e passato ad altre sue stanze li manda quel
presente di vesti, gioie e danari, quello che gli piace corrispondere
alla soddisfazione e gusto ricevuto; il medesimo modo fa con tutte le
altre che gli danno nell'umore, continuando più con l'una che con
le altre, secondo il gusto e l'affezione che gli porta; e quella che
riesce gravida, è medesimamente nominata Sultana Regina, e se fa un
maschio, con grandissime feste viene confermata.

Ha detta Regina il suo appartamento di stanze nobilissime e gli viene
immediatamente formata la casa di servitù d'ogni sorte; e gli assegna
il Re entrata sufficientissima per poter donare e spender largamente in
tutto quello che gli bisognasse; e tutte del Serraglio la riconoscono
per tale con molto onore e riverenza. Le altre donne, se bene figliano,
non sono chiamate Regine, ma Sultane solamente, per avere avuto
commercio carnale con il Re; e sola è nominata Regina quella che si
trova madre del Principe successore all'Imperio. Le quali Sultane,
per esser praticate dal Re a suo piacere, hanno anche esse questa
prerogativa d'esser immediatamente levate del comune delle altre, e
poste a parte, con assegnamento di stanze, con servitù, e ricevono
assegnamento di tanti aspri al giorno per li loro bisogni; nè li
mancano vestimenti d'ogni sorte bellissimi, per potere comparire fra le
altre sontuosissime.

Tutte queste Sultane praticano con molta dimestichezza e con
altrettanta dissimulazione fra loro, per non dar disgusto al Re, perchè
essendo schiave e vivendo con gran timore e gelosia della Maestà
Sua, ognuna si sforza di darle nell'umore, per esser più favorita ed
accarezzata delle altre; e se per caso occorresse che il figliuolo
maschio della prima, detto il Principe, morisse, e che un'altra avesse
partorito il secondo figliuolo, questa del secondo, per subentrar
Principe il figliuolo, sarìa Regina, e la prima restarìa Sultana; e
così di mano in mano cammina la successione con il titolo.

La Regina viene alle volte sposata dal Re ed alle volte resta senza il
_Chibin_, che vuol dire senza il segno di dota e senza la cerimonia
del contratto nuziale, che altro non è, secondo il costume turchesco,
che alla presenza del loro Muftì, che è come il Pontefice, dà
l'assenso del matrimonio del quale si fa l'oggetto, cioè instrumento
autentico, declaratorio non solo della volontà delli contraenti, ma
della dote che li assegna il Re. La causa perchè rare volte sono
sposate le Regine, è per non smembrare il patrimonio reale di circa
un mezzo milion di zecchini di entrata all'anno; ch'è quello che
Selim Imperatore, avendo voluto fare tale solennità, lasciò per Canon
che dovesse esser dato in dota all'Imperatrice moglie, perchè avesse
comodo di spendere largamente, di fabbricar moschee ed ospitali, e
farsi per ogni verso onorare e stimare. Ed essendo ora dette entrate
applicate ad altro, difficilmente li Bassà grandi consigliano li Re
a doverlo fare; anzi quando possono, gli persuadono ad astenersi,
perchè non vedono volentieri più d'un capo dominante nell'Imperio:
ma con tutto ciò, sposate o non sposate, come madri del Principe si
chiamano Regine, e per tali sono conosciute ed onorate con presenti,
e particolarmente viene riverita e servita dalla guardia che tiene
alla sua porta, il Chislaragà, che è un Moro Eunuco capo delli Eunuchi
Mori, tutti tagliati; il quale con un numero di forse trenta simili a
lui, sta sempre alla custodia della detta porta ed al servizio della
detta Regina e per dette Sultane: le quali non escono mai del detto suo
Serraglio se non con la persona del Re che le conduce tutte o parte,
come più li piace, ad altri Serragli di piacere; e nel passare che
fanno per le strade vengono esse strade serrate ed oscurate con tele; e
nelli caicchi e cocchi che montano, mai vi stanno presenti altri uomini
che i loro Mori Eunuchi infino che sono montate e serrate nelle poppe
delli detti caicchi, ovvero cocchi, che mai possono esser vedute, come
mai da altri praticate che dal Re solo.

Le zie, le sorelle e li figliuoli del Re stanno nel medesimo
Serraglio nelli loro appartamenti, servite regalmente, e vestite
sontuosissimamente, e vivono in continui piaceri fra loro, fin che
piace al Re di maritarle; nel qual caso escono dal detto Serraglio
con una cassa, così si dice, che gli viene fatta dalla Maestà Sua,
di vesti, ori e gioie per il valsente almeno di cinquecento mila
sultanini, che sono zecchini, portando esse seco quello di più che
sanno nascondere delle cose preziose che a loro sono state donate; sì
che alle volte suol ascendere a gran somma, e le tiene comodo per tutto
il tempo della loro vita. E se sono amate dalli Re, conducono seco
quante schiave del Serraglio, cioè al numero di 15 o 20, con quelli
Eunuchi che gli sono più cari, per il loro servizio.

Queste, nominate anco esse Sultane, ritengono in vita lo stipendio
che avevano dentro, che è di mille e cinquecento aspri al giorno,
intendendosi li aspri 120 il zecchino, facendo il medesimo le schiave e
gli Eunuchi; anzi che della Porta e del Casnà regio gli viene fornita
la casa e tutto per suo particolar servizio, di tutto quello che è
necessario per lo vivere alla grande come Sultana, sì che vengono a
star meglio fuori di quello facevano dentro; e se il Bassà marito non
avesse Serraglio capace e nobile, ne gli viene dato uno dal Re, dei
molti che ne ha, per conservare in quella riputazione che conviene alla
grandezza loro. All'incontro il marito nel sposarla li fa contraddote,
che si dice _chibino_, almeno di cinquecento mila sultanini, e presenti
di vesti, gioie, e pennacchi, ed altri fornimenti necessarii per somma
molto considerabile, essendo il vestire delle Sultane d'abito comune a
tutte le altre, e come quello che portano gli uomini, nondimeno molto
superbo e costoso; il che riesce di gran spesa alli mariti Bassà, con
tutto che mai praticano con uomini ma molto con donne, e per lo più con
quelle del medesimo Serraglio del Re, dal qual però uscite come, ho
detto, non possono più entrarvi, se non con licenzia della Maestà Sua.

Queste Sultane mogli di Bassà sono padrone delli mariti, e gli
comandano a suo piacere; portano sempre il cangiar, che è il pugnale
gioiellato, in segno del predominio, e chiamano li loro mariti
schiavi, facendoli del bene e del male secondo la soddisfazione che ne
ricevono, e l'autorità che hanno con il Re; ed alle volte li repudiano
per pigliarne un altro, ma ciò non farebbono mai senza licenza del Re,
che sarìa con la rovina e morte loro.

Le altre donne alle quali non tocca in sorte d'esser favorite dal
Re, vivono con le altre a tinello, lambiccando la sua gioventù in
mali pensieri fra di loro; e venendo vecchie, servono per maestre e
governatrici delle giovani che ogni giorno capitano nel Serraglio,
reputando in così mala congiuntura gran ventura di essere per qualche
accidente mandate fuori nel Serraglio vecchio; perchè di quel luogo
possono esser mandate, secondo la benevolenza di quella governatrice,
ed anco quello che si trovano di sparagnato ed avanzato delle paghe e
presenti ricevuti, che può essere di qualche considerazione; perchè
nel Serraglio sono sempre avvantaggiate dalle Sultane di molte cose
che loro avanzano, oltra la paga corrente, che suol essere loro fatta
dal Casnà del Re, di aspri cinque sino a quindici al giorno per le
donne mezzane, e da tre sino a cinque per le basse, e questo per
ognuna di loro. Le sono pagate di mesi tre in mesi tre, senza punto
differire, come viene fatto ad esse Sultane, secondo l'assegnazione
fattagli dal Re, da mille fino a mille e cinquecento aspri il giorno,
avendo oltre di questa paga quante vesti vogliono, e gioie quante
piace al Re donarli; ed esse donne di servitù ancor esse hanno due
vesti di panno all'anno, una pezza di tela chiara per camicie di venti
braccia, e da carnevale una vesta di seta per una, ed anco qualche
altra cosa, secondo il gusto e la liberalità della Regina e del Re: il
quale di questo tempo con le donne vuole allargar la mano, con donar
alle Sultane vesti foderate di preziosissime pelli, e lavori di gioie
di grandissimo valore, come puntali, pennacchi e orecchini, manini
per le mani e per le gambe, e cose simili, di quali cose abbonda il
Re, per li presenti che gli vengono fatti, indicibilmente. Vengono
anco dette Sultane in tal giorno presentate dalli Bassà ed altre
Sultane di fuori, che lo fanno per conservarsi con il mezzo loro in
grazia del Re, di cose ricchissime e bellissime ed anco di danari,
li quali gli riescono più cari delle altre suppellettili, perchè
essendo avarissime, accumulano e spendono quietamente in altre cose
che desiderano, ma particolarmente procurano conservarli per ogni
accidente che gli potesse occorrere, in specie in occasione della morte
del Re; perchè dalla Regina in poi, che resta nel Serraglio, madre del
successore Principe, tutte le altre deplorate perdendo il titolo di
Sultane, immediatamente sono mandate in Serraglio vecchio, lasciando le
figlie e figliuoli, se ne hanno, nel Serraglio del Re, per custodirsi
sotto il governo di altre donne a questo deputate. Ed in questo caso
ritrovandosi con molta facoltà vengono facilmente maritate in persone
grandi, o vero di mediocre condizione, secondo il loro avere e volontà
della governatrice del Serraglio vecchio, con l'assenso però del Re, il
quale per lo più vuol sapere oltra il soggetto che dote li fa, essendo
costume che gli uomini fanno le doti alle mogli, al contrario in tutto
che si usa fra i Cristiani; le quali doti conseguisce la moglie in caso
che fosse repudiata dal marito senza suo consenso, e vedovando. Onde
per ciò sovente occorre vedersi che la figliuola di un Re, Sultana, sia
maritata in un Bassà, e che la madre di quella figlia sia moglie d'un
soggetto disuguale di titolo e di ricchezza del genero, di che non si
tiene conto alcuno.

Nel Serraglio regale si introduce per mezzo delle Sultane, che
intercedono licenzia dal Re, spesso qualche Ebrea, sotto colore
d'insegnarli qualche bel lavoro, o vero d'aver almeno segreto
medicinale: le quali, introdotte con il presentare molto a quelli
Eunuchi della guardia della porta della Sultana, si fanno così
domestiche che divengono padrone di tutte queste donne, portandoli
dentro e fuori ciò che vogliono per vendere e comprare; e da qui nasce
che tutte le Ebree che hanno pratica nel Serraglio si fanno tutte
ricchissime, perchè quando portano dentro comprano a buon mercato e
vendono caro, e quando portano fuori di nascosto, che sono gioie per lo
più bellissime d'ogni sorte, vendendole quanto vogliono ai forestieri,
rispondono a quelle donne semplici che non sanno, e temono d'esser
scoperte, quanto a loro pare: e per queste cose, del Serraglio escono
cose bellissime e anco ad onesto prezzo. Se ben queste infelici Ebree
fanno infine infelicissima riuscita, perchè essendo discoperte ricche e
fraudolenti, vi lasciano la roba e la vita per mano del Bassà, o delli
Tefterdari, li quali nel bisogno di danari si immaginano di dar in tali
soggetti, stimando per questa via di far restituzione al Re del mal
acquistato e rubato.

Queste donne di Serraglio vengono castigate secondo le loro colpe
molto severamente, poi che dalla loro superiora sono fatte battere; se
restano inobbedienti, se insolenti e temerarie, sono per ordine del Re
mandate in Serraglio vecchio, come contumaci, e restano spogliate di
quanto pare alla maggiordoma di ritirargli; e se per qualche stregheria
o altro gravissimo errore fossero ritrovate colpevoli, sono poste in un
sacco e ben legato di notte sono mandate ad annegare; sì che convengono
stare molto ubbidienti e contenersi nei termini di onestà, se vogliono
passare la vita loro con buona fine. Perciò non è lecito ad alcuno di
mandarli dentro cosa alcuna con la quale possono usare disonestà; e
se vogliono mangiar zucche o cocomeri, se gli danno dentro spezzati,
per levar loro l'occasione di far male, essendo giovani morbide, ben
nutrite, e senza dubbio inclinate al peggio.

Essendomi sbrigato a parlare delle donne, entrerò a narrare il numero
delli Azamoglani, che servono in esso Serraglio, ed il loro esercizio.
Questi possono essere in circa 700, di età dalli 17 fino a 25 e 30
anni il più, e sono la maggior parte Cristiani rinnegati, di quelli
delli Cristiani, che gli raccolgono ogni tre anni alla Morea e da tutte
le provincie d'Albania, le quali decime si distribuiscono in questo
modo. Possono essere li decimanti or più or meno, secondo la diligenza
e discrezione delli Capiggi destinati a questo ufficio, e rare volte
accedono al numero di duemila, levati alle famiglie dove si trovano più
disposti, ed atti al servizio della guerra, che non passino l'età di
anni 12 in 13; ed a parte ben custodita sono mandati in Costantinopoli,
per farne la compartita che si dirà.

Capitati tutti questi giovanetti alla Porta, sono vestiti di colori
diversi, di panno di Salonicco con un cappello in testa di feltro
giallo della forma d'un pan di zuccaro lungo, e condotti alla presenza
del primo Visir, il quale per questo effetto è accompagnato dalli
altri Bassà e ministri del Serraglio: fa egli la scelta di quelli che
gli paiono più belli e più disposti per servizio della guerra. Fatta
questa scelta, i medesimi tali garzoni, chiamati Azamoglani, condotti
dentro del serraglio dal Bostangi Bassi che è il capo dei giardinieri,
e distribuiti alli capi delle compagnie nelle quali ne è mancamento,
vengono tagliati e fatti turchi, e destinati ad imparare la lingua
turca; e secondo che si scopre la loro inclinazione, si fanno anco
imparare a leggere e scrivere, ma a tutti indifferentemente è insegnato
a lottare, il correre ed il saltare, il tirar d'arco, la zagaglia ed in
fine tutti gli esercizii necessarii per la guerra.

Delli altri che restano, parlo delli decimandi, il medesimo Bassà
primo Visir ne distribuisce per tutti li giardini ed altri Serragli
di piacere del Re, in tutti li vascelli che navigano di ragione delle
Sultane, e che vanno per legne ed altri esercizii del Serraglio,
consegnandoli alli padroni d'essi, per doverli restituire ad ogni
sua richiesta. Il medesimo fa alli artisti principali d'ogni sorte,
acciò che imparino le arti da potere esercitare nelle camerate,
quando saranno Gianizzeri, ed in particolare quando sono alla guerra;
ne dispensa e dà ancora a tutti li Bassà e grandi della Corte quando
ne vogliono per il loro servigio, cincignandogli per nome, segno e
capelli, e con ricevuta sopra a un libro a questo destinato, per
riaverli nel bisogno di rimettere le milizie dei Gianizzeri. E questi
tali, dispensati a questi Bassà, sono delle più basse condizioni che
vi siano, perchè vengono pigliati per servizio delle stalle, delle
cucine e simili bassi servizii. E gli altri che restano vengono posti
in diversi serragli sotto la custodia e disciplina dei suddetti Eunuchi
a questo destinati, per fargli educare nell'esercizio dell'arme, perchè
riescano atti a subentrare nel numero delli Gianizzeri, e in luogo dei
morti per vecchi, non buoni per la guerra, in modo che tutti questi
si può dire vengono conservati in un seminario per valersi in tutte
le occorrenze: servendosi buon pezzo, e ben spesso il Re, la Regina
ed il primo Visir in tutti li bisogni di fabbriche e altre fatiche
necessarie, senza alcun rispetto. Fatta tutta questa distribuzione,
il Bassà primo Visir li rappresenta al Re sopra un libretto, il quale
vedutolo, fa assegnamento a ciascheduno di stipendio secondo che gli
pare, al Canon ordinario, che è d'aspri due fino a tre e cinque per uno
al giorno; e detto libro, sopra al quale è stabilito detto stipendio,
formato di pugno regio, viene immediatamente per lo Bassà consegnato
al Tefterdar grande, perchè a suo tempo li possa e debba far dare il
suo pagamento; il quale Tefterdar ha obbligo di vestirgli ogni tre mesi
che fa la paga, per vedere li morti, e per sopraintendere come vivono e
sono governati.

Tornerò a parlare del li Azamoglani del Serraglio, stimando non esser
stato superfluo in questa poca descrizione fatta, perchè se non sarà
stata a proposito nostro, riuscirà almeno curiosa a chi non l'avesse
più sentita così distinta.

Questi giovani del Serraglio sono la più bassa gente che vi sia, perchè
attendono alle fatiche, alle stalle, alle cucine, alli giardini, al
tagliar legne e ad altri servizii bassi di bagni, di ogni altra cosa
che occorre, come guardiani, vogar il caicco del Re, condur li cani
alla caccia, ed attendere a quanto gli viene comandato dai loro capi,
che sono decurioni e centurioni, e tutti poi subordinati al comando del
Chiaia, che è il maggiordomo del Bostangi Bassi; ed hanno di stipendio
aspri.... al giorno; e al medesimo Bostangi Bassi, che è sopra a tutti,
gli può aspettare aspri... perchè è suo padrone e giudice e protettore;
ed oltra il stipendio che hanno, come ho detto, hanno due vesti
all'anno di panno, due pezze di tela per camicie e fazzoletti, o tanta
rasa, o panno, che gli fa un paio di braghesse alla loro usanza, lunghe
fino a terra, per uno. Vengono questi distribuiti dal detto Bostangi
Bassi alli carichi ordinarii, compartiti secondo l'occorrenze, sotto
capi ai quali hanno da obbedire. Li capi, per essere conosciuti dagli
altri, hanno maggior paga, e portano alcune poste cinte a traverso,
d'un bordo di seta di diversi colori: e li rendono assuefatti
totalmente, a forza di bastonate, alle fatiche ed all'esercizio, che
riescono tutti soggetti sofferenti ed atti ad ogni patimento. Hanno
fra di loro li suoi termini e prerogative, succedendo per testa l'uno
all'altro, sì che in fine, quando non sono per altra occasione mandati
fuori, tutti possono aspirare al grado di maggiordomo ed anco di
Bostangi Bassi, che è titolo eminente, che serve per timoniere alli
caicchi del Re, e può portare per il Serraglio il turbante in capo. Può
anco il Bostangi Bassi di questo carico passare, secondo l'amore che
gli porta il Re, a quei gradi maggiori che si è veduto, di Capitano di
mare, di Bassà del primo Visirato.

Questi Azamoglani non sono conosciuti nè praticati, perchè non
possono uscire dal Serraglio, ma obbediscono alli comandamenti del
Bostangi Bassi ed escono con lui e con altri a far delle suddette
esecuzioni contro delle persone grandi, come e di quel modo che lor
viene comandato dal detto Bostangi Bassi per ordine del Re. Fra
questi vi sono anco dei Turchi naturali introdotti per broglio del
Bostangi Bassi, per far cosa grata ai suoi amici che desiderano
liberarsi de' figliuoli e porgli in luogo sicuro e vantaggioso: il
che viene sempre eseguito con saputa e permissione del Re. Le stanze,
li bagni, le cucine sono intorno alle mura del Serraglio, compartite
a camerate, e disposte per lo comodo dei servizii spettanti al
ministerio che sono destinati; e nel vivere si governano da per loro,
come più li torna comodo, avendo il carniero a parte, li legumi per
le minestre, e li fornari che gli danno il pane, separati; e per star
vicini alle mura del Serraglio pescano e prendono buoni pesci, li
vendono vantaggiosamente dagli altri. Dormono sempre vestiti, secondo
l'ordinario costume de' Turchi, fra schiavine l'inverno, e felzade
l'estate. Questi non veggono mai il Re, se non quando passa per li
giardini per transferirsi a qualche giuoco, o in caicco, o vero quando
va alla caccia, perchè di loro si serve come cani per cacciare le
fiere, tanto sono lesti e gagliardi. E quando la Maestà Sua vuol
stare nei giardini con le donne per piacere, escono fuori dalle porte
del Serraglio a marina dove sono alcuni andei e spazii di terreno,
nè entrano fino che non è partito, perchè con le donne mai stanno
altri uomini che la persona reale, e gli Eunuchi negri; anzi, se per
qualche verso alcuno del Serraglio facesse qualche prova in alcuna
parte per volere vedere le donne, e che fosse scoperto, o accusato,
immediatamente sarebbe fatto morire. Però quando si sa che il Re sta
con le donne nei giardini, ognuno fugge più lontano che può, per starvi
sicuro d'ogni sospezione.

Di questa sorte d'Azamoglani non si serve la Porta per rimettergli
nel numero delli Gianizzeri, come si fa nelli altri Serragli che ho
detto, che sono dispensati nelli altri Serragli per educare, e che sono
portati a diversi soggetti; ma si serve il Re di questi per donarli
ai suoi favoriti, quando mandandoli fuori del Serraglio in qualche
governo principale, ne vogliono come conoscenti per lo servizio; e
riescono ancor essi con il tempo uomini di onesta fortuna e condizione.
E medesimamente si conservano per lo servizio reale in occasione di
viaggio, cioè quando va alla guerra, o vero lontano da Costantinopoli,
perchè per addrizzar padiglioni, portar forzieri e far molti servigii
manuali che occorrono, bisogna che di questi almeno ve ne sia 500, e
più.

Resta di trattare di quel corpo di giovani ed uomini che di onesta
condizione sono tenuti in Serraglio, per servizio del Re e del Regno,
per esser educati nelle leggi, nelle lettere, e nell'esercizio
militare, per dover servire alla persona reale ed al governo di tutto
l'Imperio; e questi per la maggior parte se ben sono schiavi Cristiani
rinnegati, non di meno fra di loro vi sono anco de' Turchi, se ben
pochissimi, naturali, giovinetti di bellissimo aspetto, introdotti per
lo broglio del Capi Agà che è il cameriero maggiore, con l'assenso
del Re; il che riesce di raro e con molta difficoltà, perchè l'antica
istituzione fu che tali fossero sempre Cristiani rinnegati dei più
civili e più nobili che si possono avere; e però, quando nelle guerre
da mare o da terra occorre la cattura di alcun giovinetto conosciuto
nobile, subito viene destinato per il Gran Signore, per essere educato
ed applicato ai governi; e sono questi carissimi e stimatissimi, perchè
ancora i Turchi affermano che dalla nobiltà del sangue riescono d'animo
generosissimi, massime quando sono ben ammaestrati e disciplinati
come si professa fare nel Serraglio, dove è gran rigore in tutti gli
ordini delle discipline, per esser la superiorità in mano di maestri
che sono per il più Eunuchi bianchi, li quali sono severissimi e
scabrosissimi in tutte le loro azioni. Sì che per proverbio si dice
che quando uno esce di quel Serraglio con aver passato tutti gli
ordini di esso, riesce il più mortificato e paziente uomo del mondo,
perchè le bastonate che sopportano e le vigilie che gli fanno fare
per ogni minima trasgressione è cosa di meraviglia. E riescono così
aspri, che moltissimi che si trovano vicini al fine del suo corso per
dover fra pochi anni uscire uomini grandi di Serraglio, per non poter
ad alto sopportar tante crudeltà, procurano di farsi cavar fuori con
solo titolo di Spahì, o di Muttaffaragà, che è lancia spezzata del Re,
con pochi aspri di paga al giorno, che patir vita così stentata ed
insopportabile.

Il numero di questi tali non è prefisso, ma ora più ora meno, perchè
quanti soggetti della natura che ho detto, che vengono donati al Re,
tutti li riceve allegramente, quando però non eccedono l'età giovanile,
per non dire puerile; e possono essere questi, così d'avviso, da
trecento incirca.

L'ordine con il quale sono dispensati, subito capitati in Serraglio,
certo è mirabile e documentale, e non da attribuirsi a barbari, ma
a soggetti di singolar virtù e disciplina; perchè così intorno alla
moralità dei costumi, per la compressione dei sensi, come alla
compressione delle virtù intenzionali, e non meno al rito della
loro legge e setta, ed alle discipline militari, sono ottimamente
incamminati ed assiduamente ammaestrati.

Chiamano i Turchi _Odà_, che vuol dire stanza, quella che più
propriamente per l'effetto diremo noi scuola; delle quali ne hanno
quattro subordinate l'una all'altra. Nel primo Odà entrano tutti quando
sono d'età puerile; e se non sono già fatti turchi, si fan ritagliare.
Se gli espone prima la taciturnità, e precetto se gli commette a non
parlar mai, se gli insegna la positura della persona in segno di
servitù e di riverenza singolare verso il Re, che è di tenere il capo
chino, gli occhi bassi e le mani davanti giunte ed incrociate.

Questi vengono veduti dal Re e registrati per il nome turchesco e per
la patria in libro; ricevono stipendio dalla Maestà Sua, che è per
l'ordinario da due sin a cinque aspri il giorno. La copia di questo
libro viene mandata fuori al Tefterdaro grande, perchè a suo tempo li
manda il predetto stipendio: poi da un Eunuco bianco sopraintendente,
capo di altri maestri e ripetitori, vengono introdotti con grande
assiduità, come si usa, nelle scuole, ad imparare a leggere e scrivere,
con l'uso della lingua, e delle loro orazioni per il culto della
religione; e in quello Odà mattina e sera con tanta diligenza e
servitù vengono sollecitati, che per quanto mi è stato referto è cosa
di stupore. In questa scuola ognuno stanno per il meno sei anni ed
otto mesi, di quelli che sono di capo duri e difficili ad imparare.
Da questo Odà passano al secondo, ove da altri precettori di maggior
intelligenza sono introdotti nelle lingue persiane, arabe e tartare; e
li affaticano nel leggere libri a penna di scrittori diversi per ben
apprendere il parlare elegante turchesco, il quale consiste nell'aver
perfetta cognizione di queste lingue e di proferirle mescolatamente,
ritrovandoli differenza del parlare d'uno nutrito ed educato fuori. E
in questo Odà principiano ad apprendere la lotta, il tirar d'arco, il
lanciar la mazza ferrata e la zagaglia, il maneggiar l'armi di colpo di
ferro, il correre velocemente; e in questi esercizij nei loro luoghi
separati si esercitano l'ore intiere, con molta severità di castigo
e con assiduità grande. Spendono anco in questo Odà altri cinque o
sei anni, dal quale si trasferiscono, fatti uomini robusti d'età e
d'ogni fatica, nel terzo, ove non scordandosi però, anzi esercitandosi
sempre più nelle cose acquistate, apprendono di più giostrare forte a
cavallo, e il giuocarvi sopra per esser lesti nelle guerre: e oltre
di ciò ognuno, secondo la loro inclinazione e disposizione, imparerà
un'arte necessaria per servizio della persona del Re, come il fare
turbanti, radere, tagliar le unghie, piegar li vestimenti con garbo,
governar cani da caccia, conoscere ogni sorta di falconi ed altri
uccelli, servir di scalco, di maestro di stalla, di cameriere, di
scudiere, ed infine servire alla casa ed alla bocca del Re, di quel
modo che anco si usa alla corte di altri Re ed Imperatori; ed in questi
officii si fanno per quattro o cinque anni uomini da insegnare ad altri
molto pratichi e valorosi. E fin che stanno in questi tre Odà vestono
positivamente, avendo essi ancora le due vesti di panno all'anno,
ma però fine, e le tele come gli altri: e convengono star sotto le
discipline dei maestri, li quali, come severissimi, per ogni mancamento
e sospetto di disonestà li fanno dare le centinaia di bastonate sotto
le suole dei piedi e sopra le natiche, che li lasciano per morti.
Mentre che stanno in questi Odà, non è loro permesso il praticare se
non fra loro medesimi e ben modestamente; e con difficoltà alcuno
di fuori può vederli e praticarli; il che seguendo, è con licenza
espressa del Capi Agà, alla presenza di qualche Eunuco. Anco quando
occorresse andar nei bagni, e per le loro necessità, sono grandemente
osservati dalli Eunuchi, per tenerli lontani quanto più è possibile
dai vizii, e se vengono ritrovati o accusati di qualche mancamento,
restano severissimamente castigati. E nei loro dormitorii, che sono
stanze lunghe dove possono stare quaranta o cinquanta per camerata, e
dormono poco discosto l'uno dall'altro sopra li sofà in schiavine e
felzade, vi sono la notte dei lumi nelli ferali pendenti dal soffitto,
e gli Eunuchi che dormono compartiti fra di loro, per tenerli in
timore e lontani dalle fierezze giovanili. Vi sono anco di quelli che
imparano qualche arte, come quella di cucire in corame che è stimata
fra i Turchi, il conciar archibugi, il far archi e freccie, e carcassi,
e cose simili, da che alle volte prendono il cognome e riputazione,
essendo grandemente ragguardevole quello che fugge l'ozio, ed ama
l'operanze. Di questi soggetti usano gli Eunuchi far gran persuasione,
per vedere se sono costanti nella religione, e se si turbano in alcuna
parte, perchè avvicinandosi a dover passar al quarto Odà ultimo e
detto il grande, per dovere uscire a comandare in carichi grandi, non
vorrebbono che ritenendo memoria d'esser stati Cristiani, e di voler
ritornar nella sua prima religione, causassero nell'Imperio qualche
notabilissimo danno. Però, fatta ogni sorta di prova e tentativo per
ogni via, ritrovandoli bene e fortemente inturcati, li fanno passare al
detto quarto Odà, e nel passare vengono di nuovo arrolati e registrati,
perchè non trasferendosi tutta la camerata intiera, ma quelli solo
che di mano in mano hanno fornito il corso delle discipline, e sono
riusciti atti e ben esperimentati al servizio, è bisogno tener conto
a parte, perchè entrino. In questo quarto Odà sono immediatamente
destinati alla servitù del Re, però ricevono accrescimento di paga, e
le vesti, che gli vengono mutate di panno in seta, ed anco di broccato
d'oro ben lavorate; e restando pur rasi di testa e barba, si lasciano
nelle tempie crescere li capelli per averli lunghissimi, segno evidente
di essere dei prossimi alle stanze regali; e nel vestire e nella
mondizia si tengono molto garbati e netti. Assistono al servizio
regale, accompagnando molti di loro la persona di Sua Maestà in tutti
i luoghi quando vanno a piacere, e praticano con tutti i grandi del
Serraglio liberamente, ed anco con li Bassà: vengono spesso presentati
di vesti ed altre cose importanti per tenerli grati, essendo una ottima
disposizione di uscire grandi e con gran carichi. Da tali soggetti,
capitati dopo il corso di tanti anni a questo segno, ed ammaestrati
nella maniera che si è detto, il Re sceglie li suoi Agalari, cioè
favoriti che lo servono, e sono gli infrascritti:

  Il Scilictar Agà--quello che porta la spada al Re.
  Il Chioadar Agà--quello che porta le vesti.
  L'Erchiupter Agà--il staffiere maggiore.
  Il Metereggi Agà--quello che li dà l'acqua alle mani.
  Il Tulpenter Agà--quello che li fa il turbante.
  Il Chiamasir Agà--quello che li lava i piedi in stufa.
  Il Cesnir Bassi--scalco maggiore.
  Il Chilergi Bassi--credenziere maggiore.
  Il Dogongi Bassi--falconiere maggiore.
  Il Sachergi Bassi--strozziere maggiore.
  Il Musmengi Bassi--contista maggiore.
  Il Ternachgi Agà--quello che gli taglia le unghie.
  Il Berber Agà--barbiere maggiore.
  Il Camargi Agà--quello che lo lava in stufa.
  Il Tescheriggi Bassi--segretario maggiore.

Li quali sono di quelli che hanno più età, ed assistono sempre quando
il Re esce fuori dalle sue stanze, alla sua presenza, con gli occhi
bassi, non guardandolo mai in faccia, e con le mani incrociate,
dimostrando quella maggior umiltà e reverenza che possa immaginarsi;
nè gli è lecito mai di parlare, nè con il Re nè fra di loro; ma se il
Re gli comandasse alcuna cosa, sono velocissimi ed eseguiscono il
comandamento immediato. Questi fanno tutti i loro carichi, come ho
detto, destinati e separati, ed attendono nei luoghi a loro consegnati
ad eseguire il loro ministerio per esser pronti ad ogni cenno
all'obbedienza, ricevendo alla porta le vivande dal scalco di più:
ed apparecchiata la mensa reale, la quale è di un semplice cuoio di
bulgaro sopra di un sofà in terra, gli portano le vivande, le quali ad
una ad una vengono solo per mano del scalco maggiore poste innanzi alla
Maestà Sua, e levate secondo li viene accennato da lei.

Del servizio e della conversazione di questi si compiace il Re,
facendoli montar a cavallo e giuocando con loro a diversi giuochi per
quel tempo che li pare, facendoli sempre qualche presente di vesti,
di sultanini, di spade ed altre cose che gli capitano per le mani,
e che riceve pur di donativo. Oltra questi donativi usa la Maestà
Sua di presentarli la missione dell'ambascerie, da loro tenuta per
mercanzia di molta utilità, perchè essendo mandati a Principi hanno
l'occhio al donativo. Per tanto, avuta che l'hanno, fanno elezione
d'un Chiaus, o altro soggetto di fuori, ed accordandosi di ricevere
un tanto di netto, o facendo alla parte, come più li torna a comodo,
gli danno la spedizione in mano. Questi tali presenti riescono di gran
considerazione, perchè nella confermazione dei Principi di Valacchia,
Bogdania, di Transilvania e del Re dei Tartari, ai quali tutti vengono
mandate dalla Porta le insegne del possesso, cavano gran donativi,
essendo nel Canon specificato quanto ognuno ha da sborsare per ricevere
tal solennità. E questo fa il Re con artificio, perchè si facciano li
Agalari ricchi, acciocchè abbino danari accumulati da fare le spese
necessarie nel vestirsi, e porsi all'ordine di molte cose quando
vanno fuori del Serraglio; il che segue quando pare alla Maestà Sua,
per lo più all'improvviso, con mandargli Capitani del Mare, Bassà al
Cairo, in Aleppo, in Babilonia, ed in altre provincie, dandogli anco
ad alcuno di loro titolo di _Mosaige_, che vuol dire Contabulario,
cioè che abbia libertà d'entrare a parlargli quando gli piace. Il
qual titolo e favore riesce di tanta riputazione, che viene stimato
sopra ogni cosa, perchè si fa di raro ed in quelli soggetti che sono
amatissimi dagli Imperatori; e questo è stato introdotto anticamente
dai Re per aver soggetti confidenti fuori del Serraglio che gli abbiano
da riferire ciò che viene operato dalli Bassà e da ogni altro in
pregiudizio dell'Imperatore, per poter poi porli freno con il castigo e
la provvisione; e quando nel mandar fuori non vuole il Re aggradirli,
tanti li fa uscire Beglerbei della Grecia e della Natolia, Agà dei
Gianizzeri, Spailar Agassi che è capo delli Spaì, Introher Bassi che
è mastro di stalla maggiore, o almeno Capiggi Bassi che è capo dei
portonieri.

Questi, quando escono, portano tutto il suo avere di roba e danari, e
spesso con loro escono delli altri giovani delli altri Odà, scacciati
per la loro importunità, ma senza favore del Re, con poca paga e
minor titolo; e quelli che escono grandi, sono mandati a levar del
Serraglio dal Bassà primo Visir per il suo Chiaia, in compagnia di
molti cavalli; condotti al proprio Serraglio di esso primo Visir, gli
riceve, gli presenta, dandogli ospizio per tre o quattro giorni, fin
che si provvedano di abitazione. Vanno poi essi nelle proprie case
dove fanno la famiglia, ricevendo, come conoscenti, di quelli che sono
usciti con loro del Serraglio, per ministri nel carico assignatoli, ed
ammettendo di più degli altri con donativi per avvantaggiarsi secondo
il costume. A questi usciti dal Serraglio succedono quelli che gli
vengono dietro per età, così dei rinnegati, e disposti per Canon, che
non possono, se non per qualche sinistro accidente di masse, esser
alterati o mutati, in modo che sempre si sa l'uscire di alcuno dei
tali, e di quello che gli ha da subentrare; ed è tanto regolato questo
negozio, che fin quelli di tre Odà sanno presso a poco quello che
gli può toccare ed a che tempo. Però vivono tutti a questa speranza e
con il desiderio che venga voglia spesso al Re di mandar fuori delli
suoi Agalari, per esser tanto più prima fuori di servitù misera, e in
stato di amplissimo governo. Sogliono per il più questi tali essere di
trentasei in quaranta anni: e perchè escono rasi di barba, convengono
fermarsi qualche giorno in casa per lasciarla crescere, per poter
comparire fra gli altri; ma si fermano anco volontieri per ricevere
li presenti che gli vengono mandati da tutte le Sultane, di vesti, di
camicie, braghesse, fazzoletti d'ogni sorte lavorati e di gran valore,
e dalli Bassà ed altri grandi, dei cavalli, tappeti, vesti, schiavi ed
altre cose bisognevoli per la creazione d'una casa; li quali presenti
tanto più li fanno maggiori, quanto che si intende quello dal Re esser
favorito ed amato. Egli poi, uscendo di casa, principia le sue visite
dal primo Visir e continuando dalli altri grandi, va poi a costituirsi
molto umile servo del Capi Agà, mostrando di aver ricevuto ogni bene
ed onore dalle sue mani, promettendo ossequio e ricognizione perpetua;
e questo officio fa egli fuora della porta del Serraglio del Re, cioè
alla terza porta delli Eunuchi, perchè non può più entrare dentro,
se non è chiamato dalla Maestà Sua in qualche chiosco, per trattar
seco delle cose spettanti al suo carico; e particolarmente procura
di star bene col detto Capi Agà, per avere la protezione di questo
principalissimo presso il Re.

Oltre le donne, gli Azamoglani, cioè li giovani, come ho detto, di
questo Serraglio, vi sono molti e diversi ministri per tutti gli
esercizii necessarii e per li ammaestramenti particolari; vi sono anco
diversi buffoni, d'ogni sorte di lottatori, giuocatori, suonatori,
molti muti vecchi e giovani che hanno libertà d'entrare ed uscire con
licenza del Capi Agà. Ed è più da sapere che nel Serraglio del Re e da
tutti si intende e tratta così bene alla mutesca, che per servare la
gravità molto professata dai Turchi è più quello che si espone con
cenni alla muta che quello si ragiona vocalmente; il medesimo si fa
fra le Sultane ed altre donne grandi, perchè anco fra di loro ve ne
sono di vecchie e di giovani mute; e questo è antichissimo costume del
Serraglio di desiderare d'aver muti quanti più ne possono ritrovare,
particolarmente perchè non essendo lecito al Re di parlare per la
riputazione, tratta perciò e giuoca con questi assai più domesticamente
di quello che fa e che gli è permesso di far con altri.

Appresso vi è la classe delli Eunuchi, come sono li negri, questi
applicati al servizio delle Sultane ed alla guardia della loro porta,
e li bianchi destinati alla porta del Re; e li principali e li più
vecchi di essi attendono a carichi principalissimi della persona e casa
reale. Fra quelli è il Capi Agà, capo di tutti gli altri Agà Eunuchi;
il secondo è il Casnadar Bassi che è il tesorier maggiore; il terzo è
il Chilergi Bassi che è il dispensier maggiore; il quarto è il Sarai
Agassi che è custode del Serraglio.

Di questi quattro vecchioni il primo è sopra tutti d'autorità con la
persona del Re, perchè altro che costui non può parlare alla Maestà
Sua, nè per altre mani possono passare per l'ordinario ambasciate o
scritture e memoriali che di fuori vengono mandati di dentro. Questo
è come commissario maggiore, accompagna sempre la persona del Re,
vada dove si voglia, e fuori e dentro del Serraglio, e quando va alle
donne lo accompagna fino alla porta che passa da loro, fermandosi
e ritornando alle sue stanze, lasciando sempre assistenti a quella
porta, perchè uscendo il Re corrano a chiamarlo come fanno. Ha questo
soggetto d'ordinario stipendio al giorno zecchini x, ed altre cose che
gli bisognano quante ne vuole, e tesori di danari e gioie incomparabili
per più di privata persona, perchè la sua autorità lo costituisce in
stato di guadagnare ed accumulare quanto oro gli piace, poichè e quelli
di dentro e questi di fuori, di ogni condizione e sesso, per avere
il suo favore, li presentano di ciò che si sanno immaginare che possa
aggradirgli.

Il secondo è il Casnadar Bassi. Questo ha carico del tesoro di dentro
della Porta: il quale avendo due chiavi, una che sta appresso il Re e
l'altra tenuta da lui, resta anco custodito ed assicurato dal sigillo
regio che sta sempre posto sopra la porta di esso, nè mai si leva se
non quando si apre di ordine del Re. In questo Casnà stanno tutti li
tesori ammassati dalli Imperatori, che è di 600 m. sultanini che ogni
anno si cavano dall'Egitto; e le altre entrate vanno nel Casnà di
fuori, delle quali si fanno tutte le spese ordinarie e straordinarie;
e dal detto Casnà di dentro non si cava cosa alcuna, se non per
straordinario bisogno e con nota ed obbligo al Tefterdar grande di
dovere il tutto restituire. Questo Agà ha cura di tener conto di tutto
il tesoro che esce ed entra, nè altri possono entrare in detto Casnà
che il detto Casnadar, con quelli che a lui pare bisognare per li
servizii necessarii; e quando viene cavato oro e moneta, che il tutto
viene tenuto in borse di corame, tutto viene portato alla presenza del
Re, il quale comanda poi e dispone di esso secondo la necessità. Ha
medesimamente in conto e cura di tutte le gioie regie, le quali sono
descritte in un libro tenuto da lui, delle quali fa nota per sapere
quelle che dona il Re, e quelle che gli vengono donate, e quelle
medesimamente le quali la Maestà Sua si tiene per l'uso ordinario. E
morendo il Capi Agà, subentra egli in suo luogo.

Il terzo è il Chilergi Bassi, dispensiero maggiore, il quale tiene
conto con diversi aiutanti della guardaroba regia, cioè di tutte le
suppellettili: nella quale entrano tutti li presenti di panno d'oro,
di seta, di lana che vengono fatti al Re, di pellami di ogni sorte,
di spade, pennacchi, selle ed ogni altra cosa spettante all'uso della
persona reale, delle quali cose tiene nota particolare, perchè in
ogni caso possa vedere l'entrata e la dispensa che fa la Maestà Sua.
E questo riesce carico molto laborioso, perchè poco sta in ozio,
ricevendo e donando il Re ogni giorno e dentro e fuori gran numero di
vesti ed altro; ma però tutto è tenuto con tal ordine, che mai ne segue
confusione alcuna. Questo Eunuco ha molti sotto di sè, sta quasi sempre
dentro il Serraglio come custode di cose preziose, ha di stipendio
mille aspri al giorno che sono ducati quindici, e vesti e presenti
di cose diverse in abbondanza, e sempre anco egli è favorito dal Re,
perchè è quello che deve subentrare al Casnadar Bassi, occorrendo la
morte del vivente; però viene stimato e riverito da tutti di dentro e
di fuori.

Il quarto è il Sarai Agassi, ed è un altro simile Eunuco il quale ha
cura del Serraglio, nè mai da esso si parte. In assenza del Re sta
sempre oculato non solo a quello che bisogna per tenere in punto il
Serraglio di tutte le cose che alla giornata patiscono, ma anco ha
carico di andar rivedendo tutte le stanze ed osservando tutti li
ministri, per vedere che si eserciti sempre nei suoi carichi di quel
modo che comporta il bisogno. E perchè il vecchio ha libertà di poter
andar a cavallo come possono anco andarvi gli altri tre primi, però
dentro è tenuta una stalla nel giardino di diversi cavalli che servono
per questi nelle cose necessarie. Ha di stipendio aspri ottocento al
giorno, che sono ducati tredici, vesti e fodere in abbondanza per lo
suo bisogno, ed è disposto a subentrare al Chilergi Bassi, e di mano in
mano fin al Capi Agà se sopravvive agli altri.

Per tanto tutti questi quattro Eunuchi possono portare il turbante in
capo per il Serraglio, e cavalcare, e sono le prime teste presso il
Re, di grande autorità, riveriti e stimati da tutti; se ben questi tre
non ponno da se parlare al Re, ma solo rispondere essendo ricercati;
ma però assistono sempre con il Capi Agà alla presenza e servizio
regio, con tutti gli altri Eunuchi sotto di loro e gli altri Agalari
già detti, e sono quelli che governano, come è comune, tutte le cose
reali, e danno gli ordini per tutte le cose ordinarie, così di giorno
come di notte. Tutti gli Eunuchi possono essere da cento fra vecchi, di
mezzana età e giovani, sono castrati e tagliati tutti, e si eleggono
di quelli giovanetti rinnegati che vengono presentati al Re, come ho
detto; ma rari sono i castrati contro la sua volontà, poichè il maestro
delle cerimonie dice che correrebbono gran pericolo di morire. Ed a
questo consenso conduce li giovani la certezza che hanno di dovere
riuscire con il tempo uomini grandi se vivono castrati; che se vivono,
sono educati con gli altri e cavati a suo tempo dal quarto Odà per
servizio del Re, come si fa di quelli che non sono castrati.

È da sapere che li Re si servono di castrati bianchi nel governo di
tutti gli altri Serragli e seminarii che tengono di giovani così in
Costantinopoli come in Andrinopoli, Brussia e in diversi altri luoghi,
dove vi stanno duecento e fin a trecento scolari; possono con la loro
sopraintendenza e con altri ministri ridurli ad ottima disciplina, nel
che riescono uomini assai buoni; ovvero anco spesso che il Re per dar
luogo ad altri inferiori Eunuchi di età, che aspettano di mano in mano
di subentrare alli già detti gradi, manda fuori qualcheduno d'essi
della prima bussola in governi grandi, come Bassà del Cairo ed altre
provincie nell'Asia, e gli fa anco Bassà Visir alla Porta, come si è
veduto molte volte, che riescono soggetti molto placidi e prudenti.

Questi Eunuchi stimati, che sono li più fidati di tutti gli altri
del Serraglio, perchè dal Capi Agà come maggiordomo maggiore sono
dispensati alla cura delle cose carissime al Re, in particolare
guardano alcuni luoghi separati dove si ripongono le cose vaghe e
belle che gli vengono donate, come pezzi d'ambra greggia grandi,
mandatigli dal Bassà della Mecca, muschii, triaca, mitridati dal
Cairo, terre sigillate, balsami bolarmini, belzuari ed altre cose
simili preziosissime di vasi di agata, di porcellane, di diaspro,
di cristallo, e altre pietre di grandissimo valore; e il tutto viene
tenuto con tanta delicatezza e ordine, che per quanto mi è stato
detto, è cosa di stupore; medesimamente vi è un altro luogo separato
nel quale viene riposto il pelame donato, medesimamente sete, mussole
ed altre cose simili dell'Indie, delle quali cose la persona del Re
come le Sultane si servono con saputa del custode. Nel detto Serraglio
è un luogo molto capace, nel quale si guardano e si conservano tutti
li mobili che cadono nel fisco per la morte così dei soggetti fatti
decapitare, come d'altri morti da se, dei quali il Re vuole esser
padrone; nel qual luogo egli li fa portare dal Tefterdar grande che
ha questa cura particolare, e veduto il Re con la presenza dei suoi
ministri, fa egli la scelta di ciò che gli pare che si conservi per
presentare; del resto fa fare un incanto per quelli del Serraglio che
volessero comprare alcuna cosa, e l'avanzo fa portare nel _Bisisten_
pubblico, che è un luogo di mercato dove il tutto viene venduto al più
offerente per via di incanto. Il ritratto delle quali robe è riportato
in mano del Casnadar Bassi di dentro, Eunuco, e conservato nel Casnà;
e se bene le robe sono di quelli che muoiono dalla peste, non è perciò
alcuno che si astenga di comprarle e di maneggiarle, come se il male
non fosse contagioso; reputando i Turchi di aver nel fronte scritto il
suo fine, senza poterlo per opera umana fuggire.

Quanto alli Mori Eunuchi che servono le Sultane, e molte altre femmine
More che stanno fra le donne, è conveniente dire che la maggior parte
vengono mandati dal Cairo, putti e putte, a presentare al Re da quelli
Bassà ed altri grandi di quella provincia d'Egitto; e vengono li putti
custoditi e disciplinati fra gli altri giovani del Serraglio fino ad
una certa età al servizio; poi cavati di là sono mandati alle donne ed
applicati sotto gli altri al servizio della porta della Sultana, e
stanno sotto il loro capo nominato il Chislar Agà, che vuol dir capo
delle vergini, con stipendio ognuno di loro da sessanta fino a cento
aspri al giorno, due vesti di seta bellissime, tele ed altro per loro
bisogno all'anno, oltre quello che di presente gli abbonda da diverse
bande. A questi tali li vengono posti li nomi di fiori, come giacinto,
narciso, rosa, garofano, e simili, perchè servendo alle donne abbino il
nome corrispondente alla virginità candida e di buon odore. Le puttine
poi, così piccole come vengono, essendone delle volte mandate con le
navi una dozzina d'esse, subito sbarcate sono condotte all'appartamento
delle donne, e sotto maestre vengono allevate e disciplinate per gli
esercizii di tutte le sorte; e quanto sono più brutte e deformi, tanto
più sono dalle Sultane apprezzate; e se ne vedono qualcheduna difettosa
per qualche infermità, la mandano al Serraglio vecchio, come fanno
delle altre donne bianche che loro vengono in fastidio o riescono
imperfette, come si dirà; il che però tutto si fa con saputa del Re e
di suo ordine.

Questi Eunuchi negri possono per occasione di far qualche ambasciata
al Re, a nome delle Sultane, praticare e passare nell'appartamento
degli uomini a portare li biglietti al Capi Agà che li dia al Re, e
medesimamente ricercare alcuna cosa dalli custodi del Serraglio, e
per parlare anco a qualche suo amico; ma non possono però uscire del
Serraglio, dal loro capo in poi, senza espressa licenza della Regina,
etiam che a loro fosse comandato dalle Sultane qualche servizio. Quello
che non possono far gli Eunuchi bianchi è di passare nell'appartamento
delle donne, perchè se bene sono Eunuchi, è a loro proibito, non
potendo come si è detto altri uomini che il Re vederle e praticarle;
anzi se per occasione di infermità occorre mandarvi l'Echim Bassi, che
è il protomedico, si osserva di pigliar licenza dal Re per l'entrata;
ed entrato l'Echim per la porta della Sultana, non vede altro che
Eunuchi negri, essendo tutte le altre donne ritirate: li quali lo
conducono alla stanza dell'inferma, la quale stando tutta coperta da
capo sin a piedi con coltre ed altro, tiene solo il braccio fuori,
tanto che il medico possa toccare il polso, ed ordinato quanto gli
occorre al bisogno, se ne ritorna per la medesima via addietro; e se
occorre che l'inferma sia Regina o Sultana, il braccio posto fuori del
letto da esser toccato dal medico resta coperto di una tela di seta con
tutta la mano, perchè non le sia veduta nè toccata la carne. Nè alla
sua presenza può il medico parlare cosa alcuna, ma uscito dalla stanza
ordina il medicamento, il quale per il più secondo il costume ordinario
dei Turchi è di qualche sorbetto solutivo, perchè non usano altri
medicamenti di fisico, sì bene di chirurgia. Convengono le pazienti
accomodarsi alla necessità, nel qual caso quando non sono Sultane o
vero altre care al Re per le sue virtù, vengono mandate nel Serraglio
vecchio a curarsi.

Li figliuoli che nascono al Re, se sono di donna Sultana, si tengono
uniti e governati in un sol luogo da balie esquisite, che sono
ritrovate fuori dal Serraglio; ma se sono di più Sultane, come sovente
occorre, sono allevati e nutriti separatamente dagli altri, sì che ogni
madre ha cura delli suoi, e con molta gelosia, fin che non sono in una
certa età di cinque o sei anni. E sempre vengono dalle madri caramente
custoditi, e dal Re sontuosissimamente senza differenza vestiti ed
ordinati di gioie bellissime e ricchissime; e le balie, slattati che
sono, vengono ben pagate e presentate e mandate nel Serraglio vecchio,
quando non abbiano le loro case, per esser maritate. Le figliuole
femmine poi sono indifferentemente e senza riguardo alcuno nutrite,
poi che di loro non vi è sospetto alcuno. Sogliono per l'ordinario
li figliuoli stare fra le donne fin all'età di undici anni, perchè
finiti, vengono ritagliati con pompa grandissima, massime il primo, e
con feste per tutta la città superbissime, perchè queste sono le gran
festività di Noè, che appresso li Turchi si chiamano, come fanno li
Cristiani appunto nel sposalizio; e come i Turchi fanno poco o nulla
nel condurre a casa le spose, così nel ritaglio dei figliuoli usano di
fare gran solennità di feste, di banchetti e di presenti. Dagli anni
cinque fino alli undici che stanno fra le donne, hanno il suo _Coza_,
che vuol dire precettore, eletto dal Re ed assegnatoli per maestro.
Questo entra nel Serraglio delle donne ogni giorno, e condotto in una
stanza delli Eunuchi negri, senza mai vedere le donne, si trovano li
figliuoli con l'assistenza di due schiave vecchie negre, gli ammaestra
per quante ore gli è permesso di fermarsi, e poi se ne ritorna fuori.
Fatto il ritaglio del principe successore nell'Imperio, quando pare
al Re di non volerlo tener più dentro presso di se, gli forma la
sua casa di tutto punto, cioè gli dà uno degli Eunuchi principali
per governatore, gli assegna il suo maestro, e di mano in mano lo
fornisce di soggetti del proprio Serraglio e di fuori, per quanto
aspetta al bisogno della grandezza del suo stato, assegnando a lui ed
a tutti gli altri quel stipendio che gli pare conveniente per potersi
trattenere signorilmente: e presentato dal Re, dalla Regina, dalle
altre Sultane, e da tutti li Bassà ed altri grandi della Porta, vien
mandato in Mangacia città dell'Asia a risiedere per governo di quella
provincia, nella quale non ha però suprema autorità, ma solo comanda
come luogotenente del Re suo padre; e se trapassasse questo limite e
comandamento caderebbe in disgrazia e sospetto grande, come è occorso
a diversi. E li Eunuchi dati per custodi son obbligati tener avvisato
ordinariamente il Re e la Porta di quanto occorre per osservanza
del Canon, e per ricevere da lui li comandamenti che occorrono alla
giornata.

Per il vivere di tutto il Serraglio, dalli Azamoglani in poi, si cucina
per lo più, se bene vi sono delle cucine dentro le già dette porte, nel
secondo cortile: nelle quali assistono più di duecento fra Eunuchi,
oltre li ministri principali come scalchi, credenzieri, dispensieri,
ed altri del servizio, tutti destinati e compartiti alle loro cucine
separate, ma non confidandosi l'uno con l'altro.

La cucina del Re comincia per l'ordinario a cucinare innanzi giorno,
perchè levandosi la Maestà Sua a buon'ora, è di bisogno avere sempre
vivande preparate in ogni caso che dimandasse cibo, perchè alle volte
mangia tre o quattro volte al giorno. Il suo desinare per l'ordinario
è dopo l'ora di terza, la cena verso sera, così nel tempo di estate
come di inverno; e quando dice al Capi Agà di voler mangiare, spedisce
egli immediatamente un Eunuco a farlo sapere allo scalco di fuori, il
quale ponendo le vivande nei _tepsi_, che sono li piatti, li porta sino
alla porta del Re che è pochissimo discosta, dove si trova il scalco
maggiore di dentro, che con gli altri delli Agalari riceve li piatti
e li porta ad uno ad uno alla mensa del Re; il quale stando a sedere
solo sempre sopra il suo solito alla turchesca con le gambe sotto, e
con un ricchissimo fazzoletto ricamato sopra dei ginocchi, e con un
altro sopra il braccio sinistro, servendosi d'esso per salvietta, senza
che gli venga fatta alcuna sorte di credenza, come è costume di altri
Principi, principia a mangiare, avendo all'incontro sopra del bulgaro
che gli serve per mantile, pane in gran quantità di due o tre sorte, ma
tutto tenero e perfetto, perchè non adopera nè coltello nè pirone, ma
solo il cucchiaro di legno di questi grandi: anzi che ne vengono posti
due: uno che serve per mangiare le minestre, l'altro per sorbire con
esso certi liquori fatti di sugo di frutti d'ogni sorte, composti con
sugo di limoni e zucchero, che servono per estinguere la sete e tener
morbido il cibo che mangia. Continua poi a cibarsi di quelle vivande
che più gli aggradano, gustandole ad una ad una, e facendo levar
presto o tardi come gli piace li piatti della tavola. Mangia sempre
con le mani, perchè li cibi sono così teneri e delicatamente cotti e
perfetti, che pigliando un pollo in mano, con le dita si scarnifica
facilmente. Non usa sale in tavola, nè vi usa antipasti nè postpasti,
ma si entra subito nelle carni, e si continua, con il finire con
qualche torta: e finito il desinare o la cena, si lava le mani in un
baciletto d'oro, con il suo ramino tutto gioiellato.

Il pasto ordinario della Maestà Sua è di colombini, e ne porteranno
almeno in uno di quelli piatti una dozzina di rosti, d'oche ponendone
almeno tre, d'agnelli, di galline, di pollastri, castrato, alle volte
salvaticine, ma di raro, ma il tutto ottimamente composto, con sapori
ed altri ingredienti di gusto e di valore considerabile. Appresso le
dette vivande vi sono minestre di tutte le sorte, diversi scodellini
di canditi e di frutti composti con liquori di varie sorte, torte
eccellentissime composte di carne e canditi di tutte le sorte, e qui
finisce il mangiare, con il bere una sola volta, verso il fine, di
sorbetto delicatissimo in una scodella di porcellana portatagli dal
coppiere sopra un piatto della medesima. Nel mangiare che fa la Maestà
Sua non parla mai con alcuno, sì bene gli stanno diversi muti e buffoni
all'incontro, facendo fra di loro dei giuochi, delle buffonerie, e
burlandosi sempre alla mutesca, che viene benissimo inteso da lei,
perchè anco in eccellenza alla muta si fa benissimo intendere. Quanto
farà alle volte, sarà per favore ad alcuni delli Agalari assistenti, ed
è che gli lancierà nelle mani qualche pane della sua propria mensa, il
che viene stimato per favore singolarissimo, e quel pane viene dagli
Agalari compartito e presentato alli altri, come segno di favore, e per
cosa delicatissima.

Li piatti del servizio reale sono tutti d'oro, e tutti doppi, perchè
sono coperti e sono in buona quantità, li quali restano consegnati al
credenziero che attende alla cucina, come stanno anco consegnati altri
di porcellana gialla meschiata, stimatissima, e che con difficoltà si
ritrova: nei quali mangia la Maestà Sua nel tempo di Ramazan, che è la
sua quaresima, la quale è d'una luna intiera, nel segno della quale non
si mangia mai di giorno, ma solo di notte, e pur quanto vogliono, senza
differenza di cibi, non mangiando mai il Re pesce se non per qualche
accidente di gusto, e quando si ritroverà fuori a piacere con le donne.
L'avanzo del mangiare del Re viene immediatamente portato alla tavola
delli Agalari titolati già nominati, il quale essendo abbondante, con
altro che gli viene somministrato supplisce al loro bisogno. In questo
mezzo il Re sta nella stanza a trattenersi con quelli muti e buffoni
senza mai parlare vocalmente, ma solo alla muta, dandogli sparamani,
buffettoni e calci come più gli viene voglia, dando loro, perchè
allegramente li sopportano, aspri e zecchini al suo gusto, tenendone
perciò nelle scarselle sempre abbondantemente; ed in questo tempo
mangia anco il Capi Agà in stanza separata dei cibi apparecchiatigli
nella sua cucina a parte, di assai inferiore condizione e condimenti
di quella del Re; con il detto mangia il Casnadar Bassi, il Sarai
Agassi, alle volte alcuni dei medici che chiamano dentro per compagnia,
e qualche altro Eunuco di questi che stanno custodi del Serraglio di
fuori, che si trovano alla sua visita; e l'avanzo del suo desinare
con il supplemento, portato di nuovo dalla cucina, serve di mano in
mano a tutti gli altri Eunuchi bianchi. Al medesimo tempo viene dato
il mangiare a tutti gli altri Odà ed al Serraglio, il quale è di pane
a ragione di due pani il giorno per uno, un poco di castrato lesso ed
una minestra per lo più di risi, acconcia con butirro e miele, la quale
consiste più in brodo che in essenza, e sottile di riso, e basta che
abbia il sapore di carne per potervi bagnare il pane dentro. Per altra
mano viene dato il mangiare dentro alla Regina, alle Sultane e a tutte
le altre donne, nel qual è tenuto l'ordine medesimo che si è detto,
portando dentro dalli Eunuchi negri, sì che nello spazio poco più
d'un'ora e mezza tutto è fornito.

La Regina non è servita con piatti d'oro, ma di rame stagnato, e tenuti
sempre limpidissimi, e con parte piatti di porcellana bianca: se bene
per lo più si intende che ella si serve di dentro per la sua bocca di
ciò che gli viene voglia, come è da credere che facciano anco tutte le
altre Sultane; perchè spesso il Re si trattiene li giorni intieri fra
di loro mangiando, giuocando come più gli piace, senza che sia veduta
nè saputa delle sue azioni cosa alcuna; sì che è da credere che avendo
le loro cuoche e facendo portar dentro ciò che vogliono, fra di loro
sappiano fare e facciano delicatissimi e sontuosissimi banchetti.

Fuori degli ordinarii pasti del desinare o cenare, mangiano il Re e
le Sultane quello che gli viene voglia di carne, ma per lo più fra
pasto si dilettano di canditi, di frutti d'ogni sorte avendone dei
presenti in abbondanza: e bevono dei sorbetti l'estate, dei quali si
fanno le conserve abbondantissimamente per li Serragli, e dirò così
costosamente, perchè per farle spende la Porta più di 20 m. zecchini
all'anno per li donativi, per le spese, e per le cerimonie che si fa
per levarlo dalle montagne, e sotterrarlo nelle cave a questo deputate,
non usando i Turchi per l'ordinario confezioni, nè cacio, perchè in
Turchia non sanno fare tal cosa, massime il cacio, che se bene si fa
non riesce buono. Per il che le Sultane e tutti i grandi mangiano
volontieri il piacentino, e domesticamente si servono dal Bailo di
Venezia: e vogliono averne sempre buona provvisione dentro, perchè ne
mangiano assai con gran gusto e massime quando vanno alla caccia e ad
altri piaceri.

Per il mantenimento di detto Serraglio tutte le cose sono
abbondantemente preparate e dispensate dai soggetti, che hanno cura
di fare particolare provvisione, in modo che mai li mancano le
cose necessarie. Il pane prima si fa di più sorte, bianchissimo ed
eccellentissimo per la bocca del Re, delle Sultane, delli Bassà ed
altri grandi, di mediocre bontà per la gente mezzana, e della terza
sorte negro, per li Azamoglani ed altri di basso servizio. Per la
bocca reale e per le Sultane si adopra e costuma farina fatta venir di
Brussia, cavata dai frumenti di quella provincia, di Bitinia, e terreni
patrimoniali dell'Imperio; e l'annua provvisione sarà di sette, o
ottomila _Chiler_, che può esser in circa stata tremila delle nostre;
li quali frumenti sono bellissimi e fanno bellissima farina, per li
molini che in quella città sono perfettissimi e d'altra bontà di quelli
che sono nei contorni di Costantinopoli. Per gli altri il frumento
viene tutto dal Vuolo di Grecia, dove sono terreni proprii patrimoniali
dell'Imperio, li grani dei quali sono sempre consumati nell'armata,
facendosi di essi biscotti in Negroponte, e vendendosi anco a Ragusei
ed altri che vanno con le navi a caricargli, con il comandamento
in mano; di questi vengono ogni anno mandati in Costantinopoli da
trentasei in quarantamila _Chiler_, che possono esser da 15,000 staia
veneziane, e posti nelli magazzini a questo deputati, per farsi
d'essi farina, secondo l'occorrenza ed il bisogno del Serraglio. Nè si
maravigli alcuno d'intendere che la Porta consumi tanto grano, perchè
oltre quelli di servizio, come si è detto, tutte le Sultane, tutti li
grandi ed infiniti altri hanno le quotidiane assegnazioni del pane da
quello che dispensa e dai forni della Maestà Sua, come sarebbe a dire
le Sultane ne avranno venti, li Bassà dieci, il Muftì otto, e di mano
in mano fino ad uno solo per testa; il che è terminato e comandato
dal primo Visir, restando queste concessioni descritte in libri che
stanno presso il capo della dispensa, o vero il capo dei forni; e ogni
pane è grande come una buona focaccia delle nostre, ma alta, tenera,
spugnosa e molto facile alla digestione. Risi, ceci, lenticchie, ed
ogni altra sorte di legumi, dei quali si consuma grandissima quantità,
il tutto d'anno in anno viene condotto d'Alessandria con li galioni, li
quali fanno due viaggi all'anno, passando da Costantinopoli carichi di
legnami in Alessandria, e portando da quella provincia d'Egitto non
solo li sopraddetti legumi, ma ogni sorte di spezierie e zuccheri con
diverse sorte di canditi in gran quantità, perchè di tali e di zuccheri
ancora consuma la Porta indicibilmente per li sorbetti e torte che usa
non solo il Serraglio, ma dei presenti che capitano nelle case delli
Bassà ed altri grandi, che è cosa di stupore il vedere come sono quelle
dispense piene e come facilmente si vuotano. È vero che di spezierie
consuma poco il Serraglio, come fa anco il resto dei Turchi, perchè non
tenendosi per l'ordinario vino, fuggono questo incitamento; ma però
nelle dispense della Porta vi è la provvisione di tutte le sorte di
spezierie e altre droghe per quei bisogni ed accidenti che potessero
occorrere.

Dall'Egitto ancora hanno gran quantità di dattoli, susine, o prugne
secche di varie sorte, le quali cose tutte vengono dalli schalchi e
cuochi adoperate nelli mangiari così rosti come lessi, in eccellenza
buoni, che li rende delicatissimi.

Li mieli che in grandissima quantità consuma la Porta, perchè
l'adoperano nelle minestre, quasi in tutti li cibi e nei sorbetti
ancora per certe sorte di persone, li cavano dalla Valachia,
dalla Transilvania, e Moldavia, così di presenti che vengano di
quelle vivande al Re come da particolari, comprandoli, come si fa
particolarmente per la cucina del Re di quelli di Candia, per esser più
puri e delicati.

L'olio poi, del quale si fa gran consumo, lo cavano da Modone e
Corone in Grecia, essendo obbligato il Sangiacco di quella provincia
provvedere le dispense di quella quantità che gli bisogna; ma per la
cucina del Re si compra per l'ordinario di quello di Candia, per esser
senza odore e più bello e chiaro di quello della Morea.

Il butirro di cui similmente si fa gran consumo e strapazzo, per
servirsi d'esso si può dire in tutti li mangiari, questo l'hanno di
mar Negro, cavato dalla Moldavia, dalla Tana e Caffa, e lo fanno
venire in balle di bue grandissimamente, e ne empiono li magazzeni,
dispensandone anco, quando ne hanno in abbondanza, per la città,
con molto utile e vantaggio della Porta. Del detto butirro fresco
si può dire che pochi lo conoscono, perchè pochissimo se ne fa in
Costantinopoli e in quelli contorni, dilettandosi però li Turchi di
latticini, dei quali se bene si ritrovi in particolare capo di latte
eccellentissimo, non ne fanno però gran consumo, e sono quelli comprati
e mangiati dai Cristiani; solo il latte agro è comunemente usato da
loro, perchè dicono che estingue la sete.

Quanto alli carnaggi, ogni anno nell'autunno, venendo l'inverno, il
Bassà grande fa fare li pastromani per le cucine reali, li quali sono
di vacche pregne fatte ammazzare per avere la carne più saporita:
la qual carne conservano per le minestre e mangiare, come fanno li
Cristiani le carni d'animali porcini, usando di fare le luganiche e
le salciccie di quella carne, come facciamo noi della porcina. Questa
carne attaccata alle stanghe, secca e salata pochissima, è posta nelle
botti, dura tutto l'anno, mangiandola molto saporitamente non solo
quelli del Serraglio, ma dall'universale dei Turchi si usa talmente,
che non è casa comoda che non faccia la sua munizione per termine di
sparagno e di molto comodo. Però il Bassà vuol vedere di presenza li
animali e comandar l'opera, dalla quale per l'ordinario si consumano
vacche quattrocento; il resto dei carnami che consuma il Serraglio e
che giornalmente va alle cucine è qui sotto scritto. In prima:

  Ogni giorno castrati giovani...............  N.^{o} 200
  Agnelli e Capretti a suo tempo.............    »    100
  Vitelli per li Eunuchi.....................    »      4
  Galline, paia..............................    »    100
  Oche giovani...............................    »     40
  Pollastri, paia............................    »    100
  Colombini, paia............................    »    100

Pesce non si consuma per l'ordinario, ma se gli Agalari ne hanno voglia
per delizia alle volte ne mangiano, e di quella sorte che più gli
piace, essendo quel mare abbondantissimo di pescagione, sì che se ne
piglia con facilità quantità grandissima, stando fin alle proprie case.
Frutti non mancano al Re ed a tutti del Serraglio, perchè ne ricevono
de' presenti gran quantità e ne fanno dei giardini regi, che sono molti
in diverse parti circonvicini, ogni mattina copia grande dei buoni e
dei più belli che si raccolgano, essendo obbligato il Bostangi Bassi
di essi mandar a vendere il sopravanzo, in un luogo separato appunto
dove si vendono li frutti del Re; il tratto dei quali di settimana in
settimana viene portato in conto al Bostangi Bassi del Re, che lo dà
poi alla Maestà Sua, e sono danari chiamati per la scarsella del Re, li
quali sono dispensati da lui senza conto a chi gli pare de' suoi muti o
buffoni.

Gli instrumenti delle cucine è cosa meravigliosa da vedere, perchè sono
li pignattoni, le caldare ed altre cose necessarie, e così grandi e
quasi tutti di bronzo, che in suo genere non si può vedere cosa più
bella nè più ben tenuta.

Il servizio poi dei piatti è tutto di rame stagnato e tenuto così
spesso rifatto e netto, che a vederlo, massime adoperandosi ogni
giorno, rende stupore. Di questi ne hanno una grandissima quantità e
ne sente la Porta un notabilissimo danno ed irreparabile, perchè dando
le cucine da mangiare a tanti di dentro e di fuori, massime li quattro
giorni del Divano pubblico, glie ne vengono rubati tanti, che è cosa di
meraviglia. E diverse volte mosso il Tefterdar da un tanto dispendio ha
voluto pensare di far detto servizio tutto d'argento per consegnarlo
alli dispensieri, per doverne dar sempre conto, ma la spesa riusciva
tanto grande, ed irreparabile il pericolo, che mai alcuno si è risolto
di farlo.

Le legne che vengono consumate da dette cucine e da tutto il Serraglio
è un numero infinito di pesi, che così a peso si vendono le legne in
Costantinopoli. Dirò solo, che per conto della Signoria, cioè della
Porta, navigano del continuo più di trenta Caramussali grandi, li quali
usano in mare Maggiore alli boschi del Re caricare; queste costano poco
al Casnà, rispetto al suo valsente, poi che sono mandate a tagliare nei
boschi, e nel condurle e scaricarle riesce poca la spesa, per valersi
la Porta dei suoi vascelli e dei suoi schiavi, che fanno le fatiche
senza pagamento alcuno.

Il vestire delle donne è simile a quello degli uomini: portano
braghesse e scarpe ferrate, e dormono vestite come fanno gli uomini,
cioè con le braghesse di tela e con una giubba imbottita, l'estate
molto leggiera e l'inverno più grossa. Non tengono mai i Turchi nelle
stanze loro alcuna cosa di servizio, ma occorrendogli il bisogno, si
levano e passano ai luoghi vicini, a questo destinati, nelli quali
tengono fontane per lavarsi come è loro costume, e l'inverno por non
usare l'acqua calda al fuoco, se la fanno portare o la portano da per
se, come gli torna più comodo.

Il Re medesimo tiene il medesimo stile nel vestire, se bene di
vestimenti ricchissimi, e solo differisce dagli altri in questo che
porta le vesti più lunghe e scarpe senza ferri, intagliate e dipinte a
fogliami.

Nel dormire poi, dorme quando sta in Serraglio la notte sopra una
lettiera con stramazzi di velluto e broccato, l'estate fra lenzuoli
di seta ricamati, puntati con la coltre, e l'inverno fra copertori di
lupi cervieri o di zibellini. Porta sempre un turbante piccolo in testa
la notte, e quando dorme solo nelle stanze è guardato sempre dai suoi
camerieri, a due per volta ogni tre ore per sentinella: uno dei quali
sta alla porta della stanza e l'altro poco discosto dalla sponda del
letto per coprirlo in caso che gli cadessero le coperte, e per esser
pronto ad ogni bisogno. Nella stanza medesima dove dorme vi stanno
sempre due Turchi con due torcie accese, quali mai si smorzano se non
dopo levata dal letto Sua Maestà.

Lo stipendio che si dà a tutti del Serraglio si cava dal Casnà di
fuori, e il Tefterdar grande, che ha il libro nel quale sono notati
tutti gli stipendiati con il loro stipendio, è obbligato mandare ogni
tre mesi a tutti gli Odà in borse separate quanto importa la paga,
facendo il medesimo alle donne e con gli Azamoglani, in tanta buona
moneta. Appresso il tempo di Ramazano, che è il carnevale, gli manda le
vesti e le tele, del che non pretermette, perchè di tutte queste cose
ne hanno grandissimo bisogno, e non avendole hanno grandissimo strepito
contro di esso Tefterdar, che basterebbe a precipitarlo.

Quando alcuno muore nel Serraglio, resta erede la camerata e tutto
viene diviso fra li compagni: e morendo alcuno delli Eunuchi grandi,
tutto resta al Re, perchè sogliono avere ricchezze grandi per li molti
presenti che ricevono; e se alcuno Eunuco dei Serragli di fuori, o
vero in alcuno governo morisse, per Canon li due terzi del suo avere
si intende di Signoria, e il terzo viene dato conforme la volontà
del testatore, quando però di suprema autorità il Re non voglia
impadronirsi del tutto, come è solito di fare sempre con tutti li
grandi e ricchi, intendendosi sempre la persona reale primo e legittimo
erede di tutto, come schiavi che hanno avuto l'essere e il benessere
dalla grandezza e dalla volontà di lui.

Quando alcuno si ammala nel Serraglio, è condotto fuori in un carro
coperto, tirato a mano e posto nella infermeria già detta, dove è
governato alla turchesca e tenuto custodito senza che possa parlarli
alcuno, o almeno con difficoltà; e se risana viene nell'istesso modo
ritornato dentro alla sua stanza dove prima si trovava.

La spesa di questo Serraglio è così grande come ognuno può comprendere
dalle dette cose; ma presso questa è di grandissima considerazione
quella che fa il Re alla Regina, li Bassà primi Visiri, li generali
nelli eserciti, e li Tefterdari grandi, li quali tutti presentano e
possono presentare, secondo gli accidenti che gli occorrono di nuove
portategli, o di spedizioni che fanno; e detti presenti sono di vesti
foderate di pellami preziosissimi, di spade, di archi gioiellati, di
pennacchi, di cinture, ed infine di diverse altre cose di prezioso
valore, ed anco secondo la condizione dei soggetti che se gli
offeriscono. Dirò solo questo, che nelli panni di Brussia d'oro ed
argento per far vesti, il Casnadar Bassi di fuori, che ha la custodia
ed il carico di provvedere, mi ha affermato di spendere ogni anno
200 m. sultanini, oltre questo sborso per comprar panni di lana e di
seta veneziani, dei quali il Serraglio fa un consumo grandissimo, non
vestendosi per lo più d'altro che di questo. Nè tambasta, poichè viene
impiegato in questo tutto quello che viene donato al Re da altri di
fuori, suoi sudditi e forastieri, e di più gran parte di quello che
cava dalle spoglie dei morti, delle quali si fa padrone, come si è
detto; il che se non fosse, certo non potrebbe il Re mantenersi a così
gran profusione che fa di presenti di questa sorte, presentando alle
donne, alli Bassà, alli Ambasciatori, ed infine a tutti quelli che gli
baciano le vesti. È vero che la maggior parte delle cose che dona, che
sono di gran valore, col tempo gli ritornano nelle mani, poichè con la
morte delle Sultane, dei Bassà ed altri ricchi si fa padrone del tutto:
e così di tali cose nel Serraglio vi è il continuo flusso e riflusso.

Ho detto che la Regina dona, perchè essendo presentata da molti
convien ancor ella a corrispondere: però ha assegnamento di vesti ed
altre cose in abbondanza per questo effetto, oltre che la libertà di
disponere anco di molte, dal Re già portate, che gli restano nelle
mani, e sono in suo potere. Il medesimo fa il Bassà primo Visir, così
in Costantinopoli come quando parte generale dell'esercito, per lo che
al suo partire gli viene consegnata dal Casnadar quantità grande di
vesti ed altre cose, acciò che in campagna abbi comodità di presentare
e fare l'uso turchesco, che sta nel ricevere e donare quasi in tutti li
negozii.

Il Re esce del suo Serraglio quando gli pare, e per terra e per
mare. Quando va per mare, ha li suoi caicchi da dodici in quindici
banchi l'uno, con le poppe superbissime, coperti di ricchissimi panni
di seta ricamati, con li cuscini sopra li quali egli sta sedendo, e
sono di velluto, e di oro; nè altri che la persona del Re siede sotto
poppa, stando li suoi Agalari sempre in piedi: e il Bostangi Bassi suo
timoniero alle volte può sedere, per esser fuori della poppa e per
reggere il timone comodamente. Quando va per terra, cavalca sempre,
esce per lo più per la porta maestra. Quando va alla moschea, che è il
venerdì, giorno della sua festa, e per la città, viene accompagnato
da li Bassà e dai grandi della Porta e da infiniti altri grandi che
ascendono a un numero grande di cavalli, oltre li suoi Peichi, che sono
staffieri; e cavalcando saluta il popolo con la testa, e viene salutato
con clamori di benedizione, ricompensati alle volte con la dispensa
di molti aspri e zecchini, quali cavandosi dalla scarsella getta per
la strada. A piedi l'accompagnano molti delli suoi del Serraglio, li
quali hanno obbligo di ricevere li memoriali che cavalcando vengono
presentati alla Maestà Sua, osservando alcuni poveri, che non ardiscono
d'accostarsi, di star lontani, con una stiora in capo ardente e la
mano alta con il memoriale; da che tratto il Re a guardare, spedisce
subito a pigliarli, e ritornato nel Serraglio se li fa leggere
tutti, e comanda ciò che gli piace, ed opera bene spesso in virtù di
tali memoriali contro a principalissimi all'improvviso, cosa che fa
stupire la Porta, usando di non formar processi nè ricevere esatta
informazione, ma solo di fare eseguire ciò che gli viene in animo; e
perciò li Bassà non vedono volontieri che esca così in pubblico, per lo
timore che hanno che per questa via non gli capitino alle orecchie le
loro male operazioni: e vivono sempre con timore, per esser sottoposti
a gran travagli, con pericolo di perdere la vita facilmente.

Il Re per servizio di tutta la sua regal casa in Costantinopoli tiene
una stalla capacissima e fornita di circa mille cavalli e più, dei
quali ha cura il suo Imbroher piccolo, così di farli governare, come
d'ammaestrare, da molti che tengono sotto di loro per tal servizio.
Questi hanno cura di distribuirli e darli a tutti quelli che
accompagnano il Re, così alla caccia come quando va in altro luogo per
diporto. Oltra di questa stalla ha anco diverse stalle in diversi altri
luoghi, governate per servizio della persona e casa reale, capitando in
quei luoghi, che sono dei suoi Serragli e giardini, ai quali appresso
si suole trasferire; e queste non hanno più di otto, o dieci cavalli
per una. Vi sono poi le stalle delli staffieri per le razze come in
Brussia, in Andrinopoli, e in diversi altri luoghi, dalli quali cava
cavalli bellissimi, oltre quelli che gli vengono mandati a presentare
dal Cairo, da Babilonia, e dalla Arabia, e da altri luoghi dalli Bassà,
e che eredita dalla morte, li quali sono tutti cavalli bellissimi e di
gran prezzo, destinati alla persona reale: e perchè per la gente bassa
ha bisogno di un numero infinito, si può dire, di ronzini, di questi
ha infinità da strapazzo, e li cava di Valacchia a prezzi bassi. Ha il
Re appresso queste stalle le sue provvisioni di muli e cammelli: quella
di cammelli vuol esser di quattromila, e dei muli di cinquemila, li
quali servono per portare padiglioni, sanduchi, cioè forzieri, acqua
ed ogni altra cosa di servizio, ma realmente non sono mai tanti in
essa, perchè il primo Visir quando esce generale, si serve di essi, e
ne fa gran consumo. È ben vero che ad ogni cenno e consumo del Re è
obbligato ritrovarli e provvedere d'essi: perchè quando li Re sono per
andare alla guerra, la sua casa sola ha di bisogno più di 10 m. di tali
animali, oltre li cavalli per cavalcare, perchè usano gli Imperatori
d'andare così comodi per viaggio, come fanno stando nelle città.

Il Re è obbligato, per Canon dell'Imperio, il primo giorno del suo
Bairano, che è il Carnevale, cioè finito il Ramazano, che è la
quadragesima, lasciarsi vedere in pubblico, e baciar le vesti da
tutti li grandi ed altri di suo servizio. Però quel giorno, all'alba,
vestito superbissimamente ed ornato delle più belle gioie che abbia,
esce della porta del suo Serraglio, cioè di quella terza, guardata
dalli suoi Eunuchi, in una certa piazzetta subito fuori del porticale,
dove è accomodata sopra un tappeto persiano di seta ed oro una
ricchissima sedia; si pone a sedere, e si ferma fino che da tutti gli
vengono baciate le vesti in segno di riverenza, tenendo il Bassà primo
Visir accanto, che gli dice il nome di quelli che gli pare, perchè
siano conosciuti da lui, ammaestrandolo delle cerimonie, poichè ad
alcuni Dottori della legge graduati si leva un poco, per riverirgli
ed onorargli, ad altri fa anco salutazioni più affettuose degli altri
e del suo ordinario; e finita la cerimonia, va alla moschea di Santa
Sofia, accompagnato da tutti a cavallo, e nel ritorno licenziandosi si
ritira alle sue stanze, dove desina solo al suo solito, facendo quel
giorno nella stanza del Divano banchetto solennissimo alli Bassà ed
altri grandi, e nel cortile un desinare assai lauto a tutti quelli che
l'hanno accompagnato e che si trovano presenti. Manda poi la Maestà
Sua, tenendo osservato il costume ordinario, a presentare al primo
Visir una bellissima vesta foderata di preziosissime pelli, e facendo
il medesimo con gli altri Bassà, ed altri grandi della Porta di vesti
assai inferiori, continua con tutti gli altri Agalari, con tutte le
Sultane, e con molti altri del Serraglio a far loro buona mano, dona
a chi vesti, a chi spade, ed alle donne fornimenti d'oro gioiellati
d'importanza; e la notte di quelli tre giorni del Bairano, che non
sono più, resta fornito tutto il carnevale, fa fare dimostrazioni,
espugnazioni di città con lumi e fuochi artificiali, che durano a
giorno: li quali sono goduti dalle Sultane, ritirandosi la Maestà
Sua con esse per vederli e goderli, e stare in continui tripudii. A
queste feste sono convitate tutte le Sultane di fuori, le quali vanno
a portar presenti al Re ed a riceverli; anco in questi tre giorni
viene presentato all'incontro da tutti li Bassà ed altri grandi, e li
presenti che gli vengono fatti sono di molta considerazione, perchè
uno a gara dell'altro si sforza di dar nell'umore al Re. E le Sultane
ancora non mancano di far il debito, ma di camicie, di fazzoletti,
braghesse ed altre cose simili, di vaghezza e bellezza indicibile,
delle quali poi ordinariamente si serve la Maestà Sua.

Il medesimo Bairano di tre giorni si fa per tutta la città ed in tutte
le case, nè altro si vede per le strade che biscoli di diverse sorte,
sopra i quali gli uomini si scapricciano a farsi lanciare in aria
per festa e trattenimento; nel qual tempo, essendo il popolo molto
licenzioso, riesce pericolosissimo ai Cristiani ed Ebrei il transir per
le strade, perchè vogliono danari, e non ricevendone, pieni di vino ed
insolenti fanno brutti scherzi, come il medesimo segue in un altro loro
Bairano, chiamato piccolo.

Per aver diverse volte fatto menzione del Serraglio vecchio, il quale è
dipendente accessorio e parte di quello del Re, sarà bene distintamente
toccare con poche parole la sostanza. Questo è un Serraglio amplissimo,
tutto serrato di muraglia altissima e fabbriche capacissime di molte
persone, perchè passerà bene uno e più miglio italiano di giro,
situato in una bellissima parte della città; e fu il primo Serraglio
che fabbricò Memet secondo per abitarvi, quando prese Costantinopoli,
con tutta la sua corte. È serrato con una sola porta doppia, serrata
e guardata da una compagnia di Eunuchi bianchi. Nel qual mai entrano
uomini, se non per portarvi le cose necessarie, ed entrando non vedono
mai le donne che vengono levate, per non dir scacciate, dal Serraglio
del Re, cioè le Sultane che sono state donne degli Imperatori morti,
quelle che per alcuna mala disposizione del Re o delle Sultane che
stanno con i Re, loro sono cadute in disgrazia, ed altre difettose,
e così di mano in mano soggetti di questa considerazione: le quali
tutte vengono governate da una maggiordoma vecchia la quale ha la cura
di vedere che siano conformi all'uso, in abbondanza, che abbiano il
suo vivere e vestire, il suo stipendio, ben spesso diminuito assai
di quello che avevano prima; ma però quelle che sono state Regine e
Sultane vivono fuori del comune nelli suoi appartamenti, con servitù
e comodità onorata, se bene siano in poca grazia del Re. Questo hanno
di buono, che la maggior parte di dette Sultane, non compresa la
Regina, possono esser maritate ed uscire al modo loro, ma però con il
beneplacito del Re; e questi matrimoni sono trattati per lo più da
Eunuchi che le hanno in custodia con la maggiordoma; e maritandosi
portano seco tutto quello che si trovano aver di rubato e ben guardato;
perchè nell'uscire che fanno del Serraglio del Re, se hanno qualche
cosa bella e preziosa che si sappia, gli viene levata dalla Cadum e
restituita al Re. Però se hanno valsente di roba, secretamente danno
fuori la fama, perchè alcuni soggetti di considerazione si dispongano a
farle dimandare e promettendogli buona dote.

In detto Serraglio sono tutte le comodità necessarie, giardini, fontane
e bagni bellissimi, ed il Re vi tiene un appartamento di tutte le cose,
per andarvi alle volte a visitare li parenti, e particolarmente l'ava
scacciata dopo aver tanti anni dominato assolutamente, sotto il marito
e sotto il figliuolo, si può dire tutto l'Imperio.

Il vivere per le donne di detto Serraglio è assai parcamente assegnato
di tutte le cose necessarie: e se non avessero da consolarsi del suo,
alle volte la farebbono male. Però si trattengono con il lavorare,
cavando da ciò molto utile col mezzo di diverse Ebree, che gli servono
di mezzane per tal servizio.

Ed è da sapere come li Turchi possono tenere da sette mogli con li
_Chiebini_, e quante schiave vogliono, e li figliuoli così di mogli
come delle schiave sono tutti veri e legittimi alla successione
ed eredità della roba: anzi che li figliuoli delle figliuole degli
Imperatori non possono per Canon ascendere a maggior grado che di
Sangiacco, o di Capiggi Bassi che è capo de' portonieri, per esser
tenuti bassi e come parenti della Corona non atti a far rivoluzione; e
se vi sono fratelli, cioè figliuoli del marito, fatti con le schiave,
questi possono riuscire grandi e Bassà senza alcun rispetto, perchè
non sono del sangue Imperiale; e da qui nasce che sovente si veggono
li figliuoli d'un Bassà, che abbia avuto Sultana per moglie, in grado
minore, perchè il nato di schiava domina il nato di Sultana.

Possono ancora ripudiare l'une e l'altre per diverse cause disposte
nella loro legge, e massimamente quando non possono adottargli insieme;
e se l'uomo ripudia, è obbligato pagargli la dote promessagli, e se la
donna ripudia l'uomo, non la può conseguire, ma si parte con quanto ha
portato del suo in casa del marito.

Quanto poi alle schiave, se figliano, non possono esser vendute, ma si
intendono membri della famiglia, nella quale hanno da vivere sin alla
morte; se riescono sterili, possono esser vendute e passare di mano in
mano a quante case comporta la loro fortuna, avvertendo che i Turchi
possono comprare d'ogni sorta di schiavi di tutte le religioni, e
servirsi d'essi in tutte le cose che loro torna comodo, dall'ucciderli
in poi, quello che non possono far li Cristiani e gli Ebrei, che non
hanno libertà di comprare altro, o altre. Essendo per questo effetto
un _Bisisten_, cioè un luogo di mercato pubblico in Costantinopoli,
nel quale a pubblico incanto ogni mercoledì si vendono e si comprano
schiavi di tutte le sorte, ed ognuno vi concorre liberamente a comprare
secondo il suo bisogno, chi per balie, chi per serve, chi per uso
d'altri suoi capricci, poi di quelli che si servono di schiave nella
sensualità non possono essere dalla giustizia castigati, come farebbono
se li ritrovasse con altre donne libere e turche; e particolarmente
questi schiavi si comprano e si vendono come si fanno gli altri
animali, perchè sono esaminati della persona e della patria, e venduti
e rivenduti in diverse parti per non essere ingannati, come si fanno
tanti cavalli, comprando le madri con li figliuoli, e li figliuoli
senza le madri, e li fratelli uniti e separati, senza timore di amore,
d'onore, d'onestà alcuna, ma solo di quel modo che torna comodo al
compratore e venditore. E quando è vergine e bella, è tenuta in molto
prezzo, pagandola più delle altre: per sigurtà della qual condizione è
obbligato il venditore non solo alla restituzione del prezzo, quando
fosse trovata non vergine, ma resta anco per la fraude condannato: e
vi sono per questo mercato li sensali ordinarli come di cosa ordinaria
mercantile. Nel detto _Bisisten_ sta l'Emin, cioè il daziero, il quale
ha la cura di riscuotere il dazio dalli venditori e compratori; d'essi
la Porta sente più che onesto utile.

Li Bassà ed altri soggetti, zii o cognati delli Imperatori, non hanno
per tal parentela alcuna domestichezza con la Maestà Sua più di quello
che comporta il carico che hanno, ma si conservano schiavi come gli
altri e con maggior servitù, perchè nell'uso delle donne perdono si
può dire la libertà, essendo obbedienti alle Sultane, e liberandosi
da tutte le altre schiave e mogli se ne avessero, sopportando con
gran pazienza le loro imperfezioni: e per tal causa pochi Bassà di
riputazione e di concetto desiderano tali matrimonii, perchè gli
riescono di grandissimo dispendio, ed altrettanta servitù. Ma quando il
Re comanda, convengono come schiavi obbedire e sottoporsi.

La cerimonia dei matrimonii fra Turchi non è altro che fare alla
presenza del Cadì, che è il giudicante, un oggetto, cioè uno stromento
per mano di notaro pubblico, della volontà delli contraenti, con
specificazione della dote che fa il marito alla moglie; e ciò viene
fatto alla presenza di testimoni degni di fede e giuridici, perchè in
Turchia non si ammette ogni sorte di persone a testimoniare, ma solo
uomini che sono liberi, di età idonea, che sappiano far l'orazione
della legge, e conosciuti di buona e onesta condizione. Con tutto ciò
che in Turchia, particolarmente in Costantinopoli, è maggior quantità
di testimoni falsi che in qualsivoglia parte del mondo: anzi che
una certa sorte di Emini, cioè quelli che pretendono essere della
discendenza di Maometto, che portano la tocca verde, ed altri Cadì
dismessi, di bassa condizione, sono quelli, che per danaro usano far
simili tristezze: da che nasce l'ardire nel levare le avanie, e nel
sostentarle con molta facilità ad uno dei poveri Cristiani, o liberi,
ed anco di loro medesimi, secondo l'occasione, perchè essendo li
Turchi per natura avari, e senza timore di Dio, intenti per lo più
alla rapina, non la sparagnano quando possono a qualsivoglia persona,
sia di che condizione si voglia. Però il contrattare con loro riesce
pericoloso, per avere facile il modo del liberarsi con l'inganno di
ogni sorte d'obbligazione, consistendo tutta la giudicatura nella
forza della probazione, quale conviene esser fatta da soggetti
musulmani, dove interviene il Turco.

Poichè si è toccato e parlato delli ministri della religione, per non
tralasciare anco questa curiosità, brevemente si narrerà l'instruzione
d'essa, e le cerimonie, e la condizione dei suoi ministri.

Credono li Turchi in Dio onnipotente, creatore de l'universo, e
grazioso redentore di tutti li buoni nel giorno del giudizio, che stia
nel cielo supremo servito dagli angeli speciosi, avendo ab eterno
scacciati li mali ed inobbedienti, per li quali, come anco per le male
umane creature abbia formato l'inferno. E come affermano esservi la
vita eterna in questi due luoghi, paradiso ed inferno, così aspettano e
confessano la risurrezione dei corpi, ed unirsi alle anime al tempo del
suono di quella orribile tromba, che sarà fatta sonare da Maometto per
comandamento del grande Iddio il giorno del giudizio.

Credono che la vita eterna in paradiso, essendo luogo di gaudio e
consolazione, non avendo quel lume di spirito e di dottrina concesso
ai fedeli credenti, sia una tal felicità che in altro non consiste
che nelle delizie e nelli piaceri del senso, cioè un uso delle cose
naturali in tutta perfezione senza differenza, senza stenti, e senza
fatica; e che all'incontro nell'inferno l'uso delle predette cose
sia nel fuoco indeficiente, con amarissimo gusto, e nausea. E questo
è tutto il premio che attribuiscono al bene, e la pena che dicono
aspettare alli tristi, in retribuzione in quanto ad umani operano.

Dicono poi esser tal l'onnipotenza di Dio, che nella creazione
dell'anime avendoli prefisso e assegnato il fine, così è irreparabile
all'arbitrio e provvidenza umana il divertirlo; però nei pericoli delle
guerre ed in altri accidenti sono più degli altri arditi, curiosi e
intrepidi.

Affermano l'ampiezza grande dei cieli che sono di diamanti, rubini,
turchine e cristallo: e che i corpi risuscitati saranno trasparenti,
più agili, più atti in un momento a passar da un cielo all'altro, e
trasferirsi in lontanissime parti per visitare ed abbracciare le mogli,
le madri, li fratelli, ed altri parenti.

Del trono di Dio, presente a tutto quello, e dell'assistenza per
servizio degli angeli e profeti, rappresentano quello di che è incapace
il senso e l'intelligenza umana, affermando che non possa essere veduto
così facilmente da tutti per la lucidezza dei raggi che gli usciranno
dagli occhi, per lo gran splendore che manda fuori della sua faccia: e
che solo gli angeli e profeti hanno grazia di tal fruizione.

Questi sono li fondamenti principali della loro credenza, sopra i quali
fabbricano il corso della vita loro temporale e corruttibile, per
conseguire la eterna e felice ed affermata dal Profeta esser ripiena
di tutte le delizie di questo mondo, usate di tutta eccellenza e
perfezione con modo soprannaturale e incorruttibile.

Dicono che sono stati quattro li Profeti mandati da Dio nel mondo per
istruire, reggere, e salvare il genere umano, e tutti uomini santi,
giusti, ed immacolati, cioè Moisè, David, Cristo e Maometto; che a
tutti mandò Iddio per mano degli angeli un libro perchè sapessero
istruire i popoli, a Moisè l'_Heurat_, cioè la Legge vecchia, a David
_Zebor_, cioè li Salmi, a Cristo _Ingit_, cioè il Vangelio, ed a
Maometto il _Turcan_, cioè l'Alcorano; che li tre primi Profeti con
li popoli da loro retti non erano per esser vissuti nella legge data
a loro da Dio, ma che essendo venuto per l'ultimo Maometto per salvar
tutti con una legge candida, sincera, e veridica, per acquistare
l'amor di Dio, non hanno creduto, e tuttavia continuano nell'errore,
le nazioni che suggendo il latte materno non si sono accostate alla
verità; e che per tal mancamento essendo prive _ipso iure_ del cielo,
avranno bisogno nel giorno del giudizio, si doveranno per grazia, della
protezione di Maometto, unico intercessore e mediatore appresso il
grande Iddio; il quale, stando alla porta del paradiso in quel tremendo
giorno, sarà pregato dagli altri Profeti ognuno per la salute delle
loro nazioni; che sarà così potente e benigna la volontà di lui, che
intercederà con il Salvatore la loro salute, sì che li buoni Cristiani
e li buoni Ebrei conseguiranno gli uni e gli altri della vita eterna,
nelle delizie perpetue sensuali come si è detto, ma in luogo separato
ed inferiore ai Turchi, come privilegiati e cari sopra gli altri a Dio.
Le donne saranno anco elle ammesse in cielo, ma in luogo inferiore agli
uomini, con minor gloria.

Tutti li Profeti sono tenuti da loro in gran venerazione. Chiamano
Moisè _Chieli Massol_, cioè parlatore con Dio, Cristo, nominato anco
Messia, _Rullulah_, cioè spirito di Dio, e Maometto _Ressolah_, cioè
nuncio di Dio. Quando parlano di Cristo, dicono tutto quel bene che si
può dire d'un uomo eletto da Dio per la salute del popolo: confessano
che per invidia fu preso dalli Ebrei e che però loro per malignità
lo fecero condannare e lo condussero al patibolo della morte per
esser crocifisso: ma che essendo stati mandati da Dio gli angeli in
una chiusa nube, fosse stato rapito e portato in cielo, e che detti
Ebrei confusi presero uno di loro e lo crocifissero in luogo di lui,
divulgando che quel tale era il Messia, che però si ritrovava in
compagnia delli altri suoi fratelli in cielo, amandosi, e nel servizio
di Dio.

L'uso ed esercizio della loro religione, o per dir meglio setta, o
confusione, è questo. Hanno il Muftì, che vuol dire dichiaratore
delli casi di coscienza, il quale rappresenta fra di loro il capo
della religione come fra i Cristiani il Pontefice, qual sempre è uomo
versato nella legge e consumato nei carichi, ed eletto dall'Imperatore
ha carico di soprastare ed intendere tutte le cose pertinenti alla
legge ed al culto di Dio; e se bene assolutamente non comanda alli
altri Muftì delle altre Provincie, non di meno con la sua accortezza
opera con il Re le cose secondo la sua intenzione, massime quando non
ha contrario il primo Visir, che per grado di dignità ed autorità è
superiore a lui. Sotto detto Muftì sono due Cadì Leschieri, che vuol
dire giudici delli esercizii, cioè uno della Grecia ed uno della
Natolia, i quali essendo anco essi uomini dell'ordine di quella legge,
ed atti ad essere Muftì, hanno cura di tutti gli altri Cadì, cioè
giudicanti, che vanno per la città ed altri luoghi a giudicare ed
amministrare giustizia, e li mandano e mutano, finito o non finito il
triennio ordinario per uno della risedenza, con la parola del Gran
Signore, come più gli piace. E questo è quell'ordine dei soggetti
che fra i Turchi naturali stanno più uniti e che hanno gran forza
appresso il Re, ed il primo Visir. Fra detti Cadì sono anco li suoi
ordini, cioè quelli della prima classe nelle città principali, e son
nominati _mollà_, che vuol dire signori, e gli altri di mano in mano
secondo le loro virtù e condizioni, cavando il loro stipendio dalle
amministrazioni del carico, in modo che nei libri che stanno nelle
mani di detti Cadì Leschieri sono tutte le tanse delli Cadì, che si
sa di che utile che è d'ogni residenza, non passando la maggiore
di fermo cinquecento aspri il giorno. Questo ordine fra gli altri
ha questo privilegio, di non esser fatto morire, e se pur d'alcuno
stravagantemente occorresse accidente di farlo, poi che l'assoluta
volontà del Re non è mai quando vuole obbligata alla legge, ciò viene
eseguito molto cautamente e secretamente, il che riesce rarissime
volte. Ma il Muftì e i Cadì Leschieri vengono mutati quando piace al
Re, se bene l'ordinario par che sia di due in tre anni, dipendendo
la fortuna dal sapersi bene conservare in grazia del primo Visir.
Tutti questi portano il turbante in testa molto maggiore delli altri
e con altre piegature, in segno di dovere essere sopra gli altri
riveriti; e se bene vestono l'abito ordinario e comune, è in questo
molto differente, perchè usano il ciambellotto bianco ed il panno,
e poca seta. Il carico principale delli Muftì è di rispondere alle
proposizioni che gli vengono fatte, le quali sono delle materie in
generale sopra li casi concernenti l'obbligo di coscienza e del
rito giudiciale e legale, le cui risposte che sono di poche parole
e brevissime, le chiamano _fetfa_, che vuol dire caso; e con questa
decisione, quando il caso particolare è compreso in essa, si può
costringere non solo tutti li giudicanti e li Bassà, e la medesima
persona reale, all'esecuzione, perchè non facendo, caderebbono in pena
di lesa maestà di ciò. Hanno appresso parte in tutte le deliberazioni
di guerra e di pace, perchè tutto si fa con fine di ampliare la loro
setta in onor del Profeta; e la sua risposta è grandemente e molto
stimata, perchè viene sostentata da tutto l'ordine delli Cadì per lo
più ostinatamente. Hanno appresso li governatori delle moschee chiamati
_Mutaueli_ con gli _Iman_, che sono come piovani, e i _Messini_ come
chierici, li quali tutti assistono al governo ed all'amministrazione
delle loro moschee. Questi chiamano il popolo all'orazione, leggono
alle sepolture dei morti, seppelliscono, ed infine fanno tutto ciò che
occorre al culto ed al servizio di esse per comodo del popolo.

Le loro orazioni nelli giorni di festa sono cinque e nel venerdì giorno
dominicale, le quali sono fatte così nelle moschee come nelle strade
ed anco per le case, cioè la mattina innanzi giorno, a mezzogiorno, a
vespero, la sera, e alla quarta della notte e a tutte l'ore e a terza
il venerdì, che è chiamato tutto il popolo, per tutte le contrade,
da una o due voci altissime in luogo di campane, sopra un campanile
o torre posta vicina alla moschea, onestamente alta, dalla quale si
dà segno con dette voci di laude a Dio ed a Maometto dell'ora, a
fine ognuno che volesse possa prepararsi per far e per far andare
all'orazione: e perchè li Messini che gridano non hanno nè sentono
orologi, usano di adoperare l'ora di sabbione, con la quale si reggono
così in questo come nel resto delle altre loro operazioni.

Nelle moschee grandi stanno li _Mudetis_ che sono come lettori, li
quali insegnano a diversi scolari l'orazioni e l'amministrazioni delle
moschee e sono pagati dell'entrate d'esse.

Le condizioni di quelli che hanno da far l'orazione sono di mondizia
corporale; solamente, non essendo lecito ad alcuno d'entrare nelle
moschee nè di orare quando si trova con qualche sorta di polluzione
carnale e naturale, sia di che condizione esser si voglia, per minima
e necessaria che sia, però di mondificarsi, ogni uno è obbligato a
lavarsi nella stufa, se di commercio carnale, o con acqua, se d'altra
sorte, abbondando per ciò tutta la città ed altri luoghi di stufe
pubbliche e private, e le moschee in particolare, per servizio dei
poveri, di fontane bellissime ed amplissime. Mondificati ed entrati
nelle moschee, il principale Iman che è il piovano va a far l'orazione
e tutti li circostanti l'imitano, perchè da se la maggior parte
non sapria fare. Le dette orazioni consistono nell'elevazione di
genuflessione, e nel toccarsi sovente ora gli occhi, ora le braccia, ed
alle volte il capo, dicendo alcune parole di laude a Dio e al Profeta:
e sono fatte stando in terra sentati secondo il loro costume e le
gambe incrociate; e perciò nelle moschee sono le stuoie dappertutto,
ed in alcuni luoghi qualche tappeto di lana per qualche soggetto di
condizione. Le dette orazioni, secondo le ore, sono diverse fra loro,
e più lunghe e più brevi, nè alcuna arriva al tempo d'una ora; solo
quelle della sera in tempo di Ramazano, che è di quadragesima, sono più
lunghe delle altre, e si farà in canto di quella voce che è la guida,
cioè di qualche Iman o Messetto che sia stimato valoroso, come si stima
fra noi li musici: si userà anco la predicazione del venerdì. In tempo
di Ramazan, e quando vogliono pregare per qualche felice successo o
maledire alcuno ribello, hanno in costume di far le processioni per
le contrade, a due a due, senza torcie o altro in mano, laudando il
nome di Dio; e di leggere alcune loro orazioni lunghissime tutte in una
giornata, per diverse mani applicate a quel tal soggetto, stimandolo
allora maledetto.

In occasione dei travagli gravi sogliono con la pubblicazione nelli
luoghi pubblici convocare tutti li grandi e il popolo ad orare in
compagnie a questo destinate, imitando il popolo Ebreo; e raunatisi,
dei loro santoni di estimazione di santità fanno sermoni efficacissimi
ed esortationi alla fortezza, alla pazienza ed all'amor e timor di Dio;
e se li travagli continuano, aggiungono le orazioni delle quaranta ore
e quaranta giorni nelle moschee principali degli Imperatori, le quali
vengono fatte da una mano di uomini applicati al servizio d'esse, come
appresso di noi sono li chierici; e questi nè in abito nè in costume
sono differenti dagli altri, conciossiacosachè principiando dalli Muftì
fin a questi inferiori tutti vestono l'abito ordinario e possono
maritarsi e tenere quante schiave vogliono per suo gusto e piacere.

Il Muftì ha la sua entrata separata in tanti terreni che possono
rendere da 15 m. sultanini all'anno: che restando privo del carico,
quando sia in disgrazia del Re, lasciando al successore l'entrata, ha
mille aspri di paga al giorno, che fanno ducatoni X al giorno, come
hanno li Cadì Leschieri quando sono attuali.

Nel tempo del loro Ramazan, che è quaresima, non fanno altra cerimonia
che di astenersi di mangiare il giorno, potendo di notte mangiare
sempre ciò che vogliono, senza distinzione di cibi; e da prima
sera nelli loro campanili si accendono delli cesendelli che durano
fino all'alba, osservando gli Iman delle contrade tutti quelli che
spesso mancano, massime la sera nelle moschee, che bevessero vino e
mangiassero di giorno, perchè oltre che sariano tenuti per sprezzatori
della legge, sariano severamente castigati, se fossero trovati in tal
mancamento.

Usano appresso li Re ed altri grandi, così in tempo di Ramazan come
in occasione dei loro travagli, sacrificare diverse sorte di animali,
cioè bovi, castrati, agnelli, così ai luoghi di loro divozione, cioè
sepolture di soggetti stimati esser stati santi, come nelle moschee, il
che è osservato farsi di privato; ma li Re sogliono comandare che si
facciano detti sacrificii anco per le strade pubbliche e quando entrano
nelle città, facendo compartire le carni degli animali squartati vivi
al popolo e alli medesimi Bassà e uomini grandi della Porta; e detti
sacrificii sono fatti assai frequentemente, perchè per questa via
stimano di placare l'ira e conciliarsi l'amor di Dio.

Portano li Turchi professori d'umiltà e divozione le corone in
mano molto lunghe, nelle moschee e per le strade, passandole molto
velocemente, poichè come noi diciamo l'Ave Maria, così loro per ogni
grano dicono _Allà bir_, cioè Dio puro e vero, Allà è Dio grande. E
si trasferiscono in pellegrinaggio alla Mecca ed in Gerusalemme:
alla Mecca per visitare il tempio che dicono fu fabbricato da Abram,
nel quale è Maometto, quando era idolatra; asseriscono poi che verso
la sua età di quaranta anni ricevesse l'Alcorano da Dio e che allora
principiasse il _Munsulmanlich_, e che morto, sepolto fosse in Medina,
otto giornate discosto dalla Mecca, dove si trova il suo sepolcro
visitato da tutti che vanno in detto pellegrinaggio: e quando vanno in
Gerusalemme vi vanno per visitare non il sepolcro di Cristo, perchè
dicono non esser morto, ma per vedere i luoghi praticati da lui, come
profeta miracoloso che risuscitava morti, sanava infermi e faceva
simili miracoli. Si trasferiscono anco alla valle di Josafat, perchè
dicono che in quel luogo ha da essere la resurrezione per il giorno
del giudizio; e vi sono molti Turchi che sprezzando tutto il mondo,
abbandonano ciò che hanno e si ritirano a vivere vicino a quella valle,
per divozione e per esser anco più vicini alla risurrezione; e quelli
che fanno tal pellegrinaggio ritornando alla città, alle loro case,
sono chiamati _Agì_, cioè pellegrini, e vengono tenuti per uomini di
gran venerazione e bontà.

La maggior cerimonia che si faccia fra i Turchi, di carattere impresso
con maggior pompa e solennità di feste, è quella di ritagliare li
figli, cerimonia ebraica, in questo differente, che tutti ritagliano
dopo passati gli undici anni, anzi seguendo Ismael, di cui si fanno
seguaci e ministratori, affermando che Abram è da loro stimato e non
Isach. Questo ritaglio viene fatto fuori delle moschee per l'effusione
del sangue, e con l'invito dei parenti ed amici per segno di allegrezza
e consolazione, usando anco con quelli d'altra religione che passano
al _Munsulmanlich_, li quali, in fede di rinnegare la loro fede ed
abbracciar quella di Maometto, levano il dito indice, proferendo queste
parole: _hali lahi ile la li memet resus allali_, che vuol dire: non vi
è altro che un solo Dio e Maometto è il suo nunzio.

Non mancano per le città e campagne, a comodo di abitanti e viandanti,
diversi ospizii con fontane per comodo dei poveri, ed ospedali e
collegi per educazione dei giovani e per imparare a leggere e scrivere:
e tutte le moschee degli Imperatori ed altri grandi sono dotate
di ricchissime entrate per sostentare detti collegi ed ospedali,
avvertendo che gli Imperatori per Canon non possono far moschee se
non in memoria di qualche notabile acquisto, o fazione memorabile; e
le Sultane, se non sono state madri di Imperatori regnanti; nei quali
fabbricano con incredibile spesa e dedicano a quell'impresa con gran
solennità.

In dette moschee sono certe opere di gran costo e macchine di gran
bellezza e venerazione altrettanta, per la grandezza e politezza
del vaso dove si fa l'orazione, e non meno per li accessorii dei
collegi ed ospedali dotati di opulentissime entrate, sì che possono
compararsi a qualsivoglia bellissima del mondo. Sono tutte fabbriche
di pietra, a volta, concave, coperte tutte di piombo, e le colonne
sono di porfido ed altre pietre preziosissime; e sono li vasi di
esse tutti biancheggiati, ed illuminati, quando si fa l'orazione, da
alcune ciocche di cesendelli pendenti dal cielo, di forma rotonda
e di grandezza d'un gran cerchio di tinazzo, ma sono diversi lumi
l'uno sopra l'altro; e di questi saranno due o tre per moschee,
secondo la loro grandezza e bisogno. Non vi sono nè banchi nè altro
da sedere, ma solo da una parte vi è un pergoletto assai basso per il
predicatore, e dall'altra un altro più basso, dove si va a porre il
Re quando entra all'orazione, essendo tutti gli altri posti in terra
a sedere sopra le gambe, secondo li costumi loro ordinarii; e per tal
causa tutti li pavimenti, se bene sono di bellissime pietre, vengono
coperti con stuoie per lo più finissime, di quelle del Cairo, le quali
si conservano sempre nette e pulite, perchè dal Re in poi non è chi
entri con scarpe in esse, lasciandole tutte alla porta. Nelli estremi
casi di morte assistono alli infermi: e morti, posti in un lenzuolo e
ben fasciati e serrati in una cassa, vengono portati alla sepoltura
con il capo avanti; e se è maschio con il turbante sopra la cassa, e
se è femmina la scuffia e il pennacchio; essendo accompagnati dalli
assistenti delle moschee e dai parenti fino alla sepoltura, senza
lumi di sorta alcuna, ma ben con il condurre delli Messini, li quali
invocando il nome di Dio e del profeta Maometto pregano per la salute
dell'anima; e nel ritorno fanno a tutta la compagnia il banchetto, per
il ristoro delle fatiche fatte.

Le sepolture degli Imperatori per l'ordinario sono poste in terra a
pari al tumulo che sta coperto di panno eletto o di velluto, con il
turbante sopra con li suoi pennacchi di airone, e da capo e da piedi
vi sono sempre candelieri; e per l'ordinario sono vicini alle loro
moschee in una cappella separata; per ogni tumulo dei grossi e grandi
cerchi miniati e dorati sostentano due cerindelli che del continuo
ardono giorno e notte; e in dette cappelle da tutte le ore vi assistono
Messini provvisionati che a vicenda gli danno lodi continue, o l'uno,
o l'altro, leggono l'Alcorano, e pregano con le corone per la gloria
degli Imperatori ad imitazione delli Re. Li Visiri Bassà grandi e
ricchi usano di far il medesimo, ma con minor pompa e spesa, e quelli
che non hanno luogo vicino alle moschee possono farsi seppellire anco
vicino alle loro case e dove più gli pare per la città, quando il
terreno sia di loro ragione; gli altri sono portati fuori della città
quando muoiono e in altre campagne a questo deputate, e sono sotterrati
come usano gli Ebrei di fare con quelle pietre che appaiono sopra della
terra, nelle quali descrivono il nome, la patria, il titolo, e ciò che
vogliono.

Fra i Turchi non è alcuna sorte di religione nè meno monasterii, perchè
tutti sono incamminati all'arme e pochi sono quelli che sanno scrivere
e leggere, anzi pochissimi, perchè di quelli del Serraglio del Gran
Signore e non tutti, e del popolo dipendenti da soggetti grandi che
stanno nei seminarii e collegi a questo deputati, e dell'ordine di
quelli che attendono alle leggi, che sono li Cadì, e alli Jasegi che
sono li notari. Anzi che alle volte occorre vedere in Divano qualche
Bassà non uscito del Serraglio, che non sa nè leggere nè scrivere.
E così ad ultimo convengono imparare, e non solo a far il segno
imperiale, ma qualche altra parola, per poter di suo pugno porre in
carta sogno della sua volontà; e chi sa fra i Turchi leggere, è tenuto
per dottore e viene più degli altri stimato. Vi sono però diversi
che professano di vivere fuori del costume, che si chiamano _Dervis
Issich_, che vuol dire mansueti. Questi vestono poverissimamente e
malamente, con una scuffia in testa, mendicando il vivere e dormendo
nelli cortili delle moschee e luoghi simili; sono stimati di grande
semplicità, perchè attendono alle orazioni e speculazioni mentali, e
vivono sempre innamorati dell'onestà, predicando questa dottrina, che
non si può perfettamente arrivare all'amor di Dio se non con la scala
dell'amor umano; e tengono che per questo non solo vivono innamorati e
appassionati in questo mondo, per esser poi tali nel cielo da Dio; e
con tal favola e coperta di santità possono anco vivere disonestamente,
più comodamente degli altri.

Delle donne per osservanze della religione non si tiene niun conto;
però non entrano mai nelle moschee, e se vogliono esse osservare
l'onore, in tempo che sentono a gridare l'ora dell'orazione la fanno,
se vogliono, nella propria casa; ma solo restano grandemente osservate
di onestà, essendo obbligato l'Iman e i piovani delle contrade essere
osservati, intendere molto bene le loro pratiche, e scoprendo il male
o sospetto sono tenuti accusarle alli mariti, perchè le ripudino, o
vero alli padri e parenti perchè gli proveggano. Con tutto ciò se
bene le donne non possono essere praticate dagli uomini, fuor che
padre, mariti e fratelli, e che siano in appartamenti separati, e
vadano sempre coperte, nondimeno le Turche sono lussuriosissime e
disonestissime, per la comodità che hanno dell'assenza dei mariti alla
guerra di potere uscire in bagni e andare coperte, e quello che più
importa, che non possono venire a peggio, che essere ripudiate.



NOTA DEL DONATIVO DA FARSI DAL GRAN TURCO NELLA SUA ASSUNZIONE
ALL'IMPERIO.


  Al Muftì.............................. Zecch. 2500
  Al primo Visir........................   »    2500
  Alli altri Visiri, per uno............   »    2000
  Alli Cadì Leschieri, per uno..........   »     250
  Alli Tefterdari, cioè Camerlenghi, per
     uno................................   »     250
  Alli Capiggi Bassi, per uno...........   »     200
  Alli Capi delle squadre dei Spahì,
     aspri 5 m. per uno, e accrescimento
     di paga............................   »      40
  All'Agà dei Gianizzeri................   »     250
  Alli Imani, cioè astanti del Re,
     per uno............................   »      25
  Alli Dottori di legge zecchini 60 per
     uno, e una vesta di ciambellotto...   »      60
  Alli altri Dottori inferiori, per uno.   »      32
  Al Giornalista maggiore...............   »      42
  Al Computista maggiore................   »      42
  Al Computista dei caraggi.............   »      32
  A quelli che tengono li libri della
     entrata del Divano, per uno........   »      20
  Alli scrivani del Divano, per uno.....   »      25
  Alli Muteffaragà, cioè lancie spezzate
     del Gran Signore, zecchini 16 per
     uno, e accrescimento di paga.......   »      16
  Alli scrivani delli Tefterdari, per
     uno................................   »      12
  Alli Spahì accrescimento di paga,
     aspri 5 il giorno, e di donativo...   »       8
  A quelli che menano li cavalli del
     Gran Signore, per uno..............   »       8
  Alli Capi dei padiglioni, per cadauno.   »      25
  A quelli che sonano li tamburi del
     Gran Signore zecchini 8, e di
     accrescimento aspro  uno di paga
     al giorno.........................    »       8
  Alli staffieri del Re, per cadauno
     aspri 500.........................    »       4
  Alli Capiggi zecchini 8, e
     accrescimento di aspro uno di paga
     al giorno.........................    »       8
  Alli Casnadari, cioè tesorieri, per
     cadauno...........................    »       8
  Alli Chiaia, cioè maestri di casa,
     per cadauno.......................    »       8
  A quelli che portano acqua al Gran
     Signore, per cadauno..............    »       8
  A tutti gli Emini, cioè Dazieri, con
     il loro capo, per cadauno.........    »     100
  Alli Gianizzeri un aspro per uno di
     accrescimento di paga al giorno, e
     più, secondo la loro paga, e di
     donativo zecchini 25 per uno......    »      25
  Alle genti delle stalle, delle
     cucine, e a quelli che pregano Dio
     nelle cappelle dove sono sepolti
     li Re Ottomani, zecchini 8 per
     cadauno...........................    »       8

                              FINIS.

                         TOMMASO ALBERTI
                        IN COSTANTINOPOLI
                             SCRISSE
                              1620.



Dispense pubblicate dopo il catalogo Aprile 1888


  226. =Lamenti storici dei secoli XIV, XV e XVI=, a
  cura di ANTONIO MEDIN e LODOVICO
  FRATI. Vol. II.--Bologna, Tipi Fava
  e Garagnani. 1888..................................  L. 12,50

  227. =Rime di Francesco Bertioli da Ostiglia=, a
  cura di NICOLA ZINGARELLI.--Stabilimento
  Tip. Succ. Monti. 1888.............................  »   2,50

  228. =Regole della vita matrimoniale=, pubblicate
  da CARLO NEGRONI.--Bologna, Tipi
  Fava e Garagnani. 1888.............................  »   4,50

  229. =Viaggio in Terra Santa, fatto e descritto da
  Roberto da San Severino=, a cura di G.
  MARUFFI.--Bologna, Società Tipografica
  Azzoguidi. 1888....................................  »  11,50

  230. =Narrativa della prigionia di Ercole Fantuzzi=,
  a cura di CORRADO RICCI.--Bologna,
  Stab. Tip. Succ. Monti. 1888.......................  »   5,50

  231. =Viaggio da Venezia a Costantinopoli di Tommaso
  Alberti=, a cura di ALBERTO BACCHI
  DELLA LEGA.--Bologna, Società Tipografica
  Azzoguidi. 1889....................................  »   6,50



                         IN CORSO DI STAMPA


=Storia Siciliana d'anonimo autore scritta in dialetto nel Sec.
XV=, pubblicata a cura di STEFANO VITTORIO BOZZO. (Parte II.^a
Storia).

=La bella Camilla, poemetto inedito di Piero da Siena=, a cura di
VITTORIO FIORINI.

=Testi inediti di antiche rime volgari=, messi in luce da TOMMASO
CASINI. Vol. II.

=Lamenti storici dei secoli XIV, XV e XVI=, a cura di ANTONIO
MEDIN e LUDOVICO FRATI. Volume III.

=Sonetti e Canzoni di Poeti Veneti del secolo XIV=, a cura di
ODDONE ZENATTI.

=Fiorio e Biancifiore=, poemetto antico toscano, a cura di
VINCENZO CRESCINI.



Nota del Trascrittore


L'ortografia e la punteggiatura originali sono state mantenute,
correggendo senza annotazione minimi errori tipografici.





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