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Title: Homo Author: Cena, Giovanni Language: Italian As this book started as an ASCII text book there are no pictures available. *** Start of this LibraryBlog Digital Book "Homo" *** (This file was produced from images generously made NOTA DI TRASCRIZIONE: il testo in corsivo è delimitato da _trattini bassi_; il testo in grassetto è delimitato da =segni di uguaglianza=; il testo sottolineato è delimitato da +segni di addizione+. +4.--BIBLIOTECA DELLA NUOVA ANTOLOGIA ✻+ GIOVANNI CENA HOMO CON UNA COMPOSIZIONE ORIGINALE DI LEONARDO BISTOLFI ROMA NUOVA ANTOLOGIA DELLO STESSO AUTORE. =Madre.=--Poemetto, con prefazione di ARTURO GRAF e con acquaforte di LEONARDO BISTOLFI. Torino, Streglio, 1897 (Esaurito). L. 1.50. =Id.=--2ª edizione riveduta, con nuovo disegno di LEONARDO BISTOLFI. Torino, Streglio, 1899. L. 1. =In Umbra.=--Versi. Torino, Streglio, 1899. L. 2.50. =Gli Ammonitori.=--Romanzo. Biblioteca della _Nuova Antologia_, Roma. L. 2.50. _In preparazione_: =La Ghiacciaja.=--Romanzo. [Illustrazione] GIOVANNI CENA HOMO ROMA NUOVA ANTOLOGIA PROPRIETÀ LETTERARIA Cromo Tip. Carlo Colombo, Via della Missione, 3--Roma. AD ARTURO GRAF MAESTRO HOMO. Visione di meriggio. Pare la terra ascendere, assorbita nella luce. Tra il cuor del sole e il cuore della terra, una forma sorge, a fiore dell'esistenza e domina la vita. Forma di piccoli esseri, che muore dopo un giorno, e la cui mente è infinita. Forza e bellezza intrecciano le dita su le lor coppie e le corona amore. E plasmando la terra a loro imagine lanciano una dimanda al cielo muto, là donde aiuto mai non venne o assenso. Morrà la terra: a un urto la compagine conflagrerà. L'argilla avrà vissuto. Quel che fu, poco; quel che volle, immenso. Le età dell'uomo. È nato! Eccolo. Chi? Napoleone o Dante? Prole di re, prole di genî, oscura semenza della turba, a la ventura lanciata?... E la sua favola, un istante. Il suolo ov'ei dimora è sepoltura; ceneri e mausolei. Nano o gigante sparirà come gli avi, e sul quadrante dell'immenso non resta ombra o figura. Che importa? Qual tu sia, da l'infinito de' cieli già ti contenea vitale la nebulosa nel suo sciame d'oro. Benvenuto sia tu, col tuo tesoro d'amore. E vivi! Nulla al mondo vale la tua lagrima prima e il tuo vagito! Fratelli. Quanti viviamo? Quanti sparvero? Io li lasciavo a l'autunno ilari e sani: morivano, nascevano lontani: la culla non cessava il dondolio. L'ultima quando è morta, morì Dio in me. Soffrì spasimi disumani. Viva si decompose. Oh tenui mani che sogno ancora tese a dar l'addio! Dove sparite (emerge il vostro viso rivolto a noi sul mar dell'ombra) dove, bimbi, pur ieri annidïati in culla? Nell'aria vaporate a l'improvviso o qui mutati rivivete, o altrove? Ma il nulla, no! Strana parola. Nulla! Mistero. Il sole è sceso. Ritta in mezzo al prato la bimba guarda ed il timor la tenta. Dov'è il villaggio? Ahimè, lungi! E s'avventa nella strada, correndo a perdifiato. Dietro i piccoli passi scende lenta l'ombra, con ali umide come fiato: movonsi i tronchi minacciosi a lato e la vita dell'ombra la spaventa. Quand'ecco un grido giunge. Infine. Mamma! Oh la casa custode e le vivande, e vincitrice del terror la fiamma! Ma tace e inarca i cigli, mentre inghiotte il suo pane. Chè il mondo è grande grande... ed ha veduto scendere la Notte! La marcia dei fanciulli. Nelle nostre città tornano i belli spettacoli? Guardate. Dai balconi s'affacciano le donne avide, ai suoni che appressano. E compaiono i drappelli. Soldati? No. Fanciulli, coi cappelli alati: soffian dentro i gialli ottoni: e dietro schiere. Generazïoni dell'avvenire. Nostri figli quelli? Saldi, elastici, il viso al vento, avanti! Pur la calamità fa largo ai forti: nel vostro ritmo avanti, uniti, amici. Sui vostri capi io lancio aüguranti i fantasmi de' miei fratelli morti... Per il nostro dolor siate felici! Il sapere. Lo scolaretto spiega ai bimbi intenti come la terra è al par d'un pomo tonda; intorno intorno l'acqua la circonda, sbocciano in mezzo isole, continenti. Gira, come la pietra della fionda, intorno al sole, e gli altri parimenti, Marte, e quel dell'anello e i rimanenti... La luna intorno a noi fa la sua ronda. Il nonno ascolta e sta meditabondo, chè, bimbo, ha vïaggiato, vai e vai, col suo babbo, lontano, per il pane. Vai che ti vai... «Ma, babbo, o che rimane molto?»--«No, poco». E non finiva mai... Quand'ecco il mare: «Là, finisce il mondo!» Hodie mihi... Come i fanciulli guardano morire! Spiano intenti senza batter ciglio... Dov'è la morte? Da qual nascondiglio nei bianchi letti insinua le spire? Non era un mostro, vedon poi. Fuggire non vale: è in noi. Non v'è miglior consiglio che attendere che parta il padre, il figlio... Di quante bare è nero l'avvenire! Or dov'è quegli che passò le porte ieri? Vuoto è il suo posto. Alcun s'illude d'un suo ritorno? E un altro, ecco, scompare. Temuta, accetta, desïata morte! S'agita un piccol vortice, ed il mare della vita sui morti si richiude... La scuola. Settembre! Ricominciano gli orarî, bimbo. Tempo è di spolverare i tomi dei classici, di scander gl'idïomi dei padri antichi. Mano ai dizionarî! Ah! Gli par di rimovere sudarî polverulenti ond'escon vecchi aromi. Oh sapïenza! Afferra gli assïomi, piccolo Fausto, e spremi i corollarî!... E con grand'occhi guarda la finestra onde irrompendo lo turba l'odore dei fieni e delle rondini il gridìo. E una voce laggiù: «Fior di ginestra!» L'infanzïa passò. Passa l'amore, forse. E richiude i vetri. «Addio, addio!» A Edoardo Rod per sua figlia Maria. La bimba che ti rinverdì la fronda quando agitavi i rami inariditi nel vuoto oscuro e coi primi vagiti ti radicò nella terra feconda, tiene il mondo nei chiari occhi stupiti che furon tuoi: la tua pietà seconda la visïon che in quelli si profonda e il mister che le volge i primi inviti. Già la fronte è pensosa e i sensi attenti, e l'anima ch'è desta il cielo esplora, ieri apparso a mostrarle un gran viaggio. E nulla è più divino che il miraggio azzurro onde s'imprime e si colora l'universo negli occhi adolescenti. Fiorita. Nel tramonto di maggio, pensierosa la bimba siede in mezzo a' suoi balocchi: accanto a lei l'amico suo riposa, stanco di corse, languido i ginocchi. L'un guarda l'altra sottecchi e non osa, con nuovo senso, d'incontrarne gli occhi: qualcosa par che in essi entri, qualcosa di nuovo e dolce e li inondi e trabocchi. E d'intorno la vita vegetale opprime, esalta i due cuori piccini... Occhi, incrociate le vostre promesse! E le due vite che Natura espresse fin qui distinte, accostano i destini nella loro unïone originale. Guidarello nel Museo di Ravenna. Ti sogno, Guidarello, orbite cave, labbra contratte, emunte gote. Giace come su rogo il corpo tuo, nè il grave sonno assopì la piaga tua vorace. Dormi! Nato non eri tu a le prave opere dell'uccidere. Ora tace l'odio d'un dì sul capo tuo soave. Anche il tuo volto si componga in pace!... Ma, dietro, l'ombra della Genitrice, sovra l'eccidio degli adolescenti, di vite nuove gravata le braccia, «O nel creare ignaro--maledice-- e astuto nella strage, Uomo, che avventi eternamente l'uomo a l'uomo in caccia!» Amanti. Donde giunsero? Ieri dai paesi del desiderio, sotto l'indefesso poter d'Amore, dentro un cerchio istesso s'incontrarono, ignoti ed inattesi. E il passato sparì. Sparì con esso la persona d'entrambi: eccoli ascesi nel tempo e nello spazïo, sospesi, centro dell'universo, in un amplesso. Ma sopraggiunto l'attimo prefisso, eterno reputarono il prodigio e la parola «sempre» han proferita. Rapido li precipita l'abisso, se di lor vita che toccò il fastigio non riprende l'ascesa un'altra vita... Maternità. Il nato aspira, ammicca, con le dita annaspa. (Gli alberi abitò, sospesa tra l'azzurro l'umanità?) Rapita guarda la madre la sua prole illesa, libera, eppure a la sua carne unita, sua, come allor che nella dolce attesa l'atomo umano ripetea l'ascesa, nel suo grembo, dell'ere e della vita. Ed è felice, come nell'istante d'estasi che nel seno palpitante Amor le infuse la sua creatura. Oh pel dolor che ha dal suo corpo avulso l'essere novo, infondergli l'impulso verso un'ascensïone ognor più pura! Le sorelle. A quei che plasma imagini novelle d'umanità per gli uomini indolenti; a quei che incute nobili sgomenti; a quei che vecchie nostalgie divelle, mentre l'amore negano le belle e il volgo irride e insultano i potenti, dolci restano, in vita, e pazïenti, vindici dopo morte, le sorelle. Restano, invase da un intuito oscuro, qual d'un mistero che si manifesti fatale a l'uomo di lor sangue nato. Come a te, Nietzsche, infranto nel conato d'esser tu stesso l'Uom che non avesti forza d'imaginar vivo in futuro. Don Giovanni all'Inferno. ... et ne daignait rien voir. BAUDELAIRE, _Don Juan aux Enfers_. Va la querula folla delle amanti, nè don Giovanni si degnò vedere; ma il diavolo che ha in cura il cavaliere ghigna ed accenna la nera onda avanti. Vogano l'inamabil onda infanti, adolescenti, uomini, donne a schiere. «Eccoli a te! Figli del tuo piacere!» E cadono altri dai cieli sonanti. Padre? Egli vive fuor dagli antri bui nel dolce azzurro? E l'agita un'affanno... «Figli!» Ma il suono gli si spezza in gola. Essi non sanno, essi non san di lui com'ei non seppe di crearli. E vanno. Non udrà mai la tenera parola. «Genialis lectus». Memore il giorno stai nel tuo candore, fosco la notte in gioie e pianti immerso, letto, dove gli amanti cuor su cuore naufragan nell'oblìo dell'universo; dove la madre stringe il bimbo emerso da le fiamme del suo lungo dolore; dove il fanciullo si rivolge verso la notte, il vecchio verso il sole e muore. Gli efimeri così lor geniture, loro agonie vicendano col lume dei giorni e appena un crepitìo ne vibra. Mentre la Morte su di te si libra, instancabile smuove le tue piume la Vita per le nascite venture. Vecchiaia sterile. Cresceano i bimbi intorno ai patriarchi come grappoli vivi e fra' tumulti de' giovanili giochi, udivan parchi ammonimenti di virtù gli adulti. Or te compiango, o vecchio, che t'inarchi verso la terra, e non hai chi t'occulti il vuoto verso cui solingo varchi e del passaggio tuo pianga od esulti! Dov'è l'amore che comprasti? Tace. Passa la giovinezza e con malvagia letizia irride a la tua faccia tinta. Chè solo augusta è la vecchiezza cinta d'opere e di memorie, che s'adagia benedicendo nell'eterna pace. I longevi. Gloria a colui che visse a lungo e spare verso l'alto! S'indugia su le fronti ardue la vita, come il sol sui monti: più bello il volto del domani appare. Dono grande agli umani il contemplare i puri eroi, così labili, pronti a vaporare fuor da gli orizzonti terrestri a la serenità stellare! Da la vedetta de' loro anni han scorto di quanta illusïon fatto è il dolore, di quanto amore la felicità. Dicono: «Amate! Altro non v'ha conforto d'esser vissuti che veder migliore a la vita salir l'umanità». È morto! Enigma della morte! È come un'onda dell'atmosfera eterna. Ed un mortale, investito, sparì. Quando trasale il cuor tuo, già la morte è a l'altra sponda. In questa allor tu guardi. Ogni gioconda forma o sembianza ha un che di sepolcrale. E il suo respiro è sì fievole! Sale come una bolla... Oggi, domani affonda. (E v'ha chi uccide! e chi ciò giusto chiama!) Tu guardi, ascolti, e ai morti anche domandi perchè... Non domandare, uomo, prosegui. Vivi! La vita in te, negli uomini ama, vita che tieni, vita che tramandi; che ognor più splende mentre tu dilegui! Amore. Donna. Chi è costei che va per la sua via, sola; senza timor la vita esplora e sorride ai felici e a chi dolora arde d'offrir la sua dolce energia? Conscia di sè non provoca nè implora, chè servitù non vuol, nè signoria. Alcuno v'è che tiene l'armonia dell'esser suo? L'attende e non s'accora. Tu la guardi e ti sdegni. Non t'invita a l'amor come a un giuoco, ella, per poi subire o eluder la tua tirannia! Ma che un giorno quell'anima restia amor sospinga a cercar gli occhi tuoi, allor ti sentirai re della vita. Eva. Chi dilesse la sterile, e impudica chiamò la fonte della vita? Dio e Satana, ombre: era la vita il fio d'una colpa, e castigo la fatica. Or l'uom contempla la compagna antica, madre, sorella, amante, un po' restio, ma senza sdegno, con un senso pio quasi di cosa sacra--l'Inimica! I figli cercan liberi il consorte che il lor destino annunzia e il sangue chiama, perchè formino un essere felice; e le libere nozze benedice dal suo mistero l'Essere che li ama uniti nell'amore e nella morte. Amore. «Moriam!» L'amante disse ebro all'amante unendo in un pensiero amore e morte. Ella rispose, e l'abbracciò più forte: «Cominciata è la vita in questo istante». Di là più nulla esiste, oltre le porte della vita, più nulla ove il sembiante dell'amato si serbi a l'aspettante... Lodiam la nostra umanità consorte! Esaltiamo la vita! I nostri sensi siano la zolla che assorba e maturi i germi, e in sangue, in palpiti li addensi. E il cuor s'imbeva de' dolori oscuri degli uomini e li infiammi e ne dispensi raggi d'amore ai prossimi e ai venturi! Beatrice. Ch'io ti veda per sempre qual ti vidi la prima volta, sorridente. Sia limpido o tinto di malinconia il tuo sorriso o triste!... Ma sorridi! L'immagin tua sia bella sempre, dia fiducia nella vita in cui confidi. Sorella non sei tu de' fior, dei nidi e delle stelle? Tu sei l'armonia. Dolore o gioia non ti spinga a tale oblio d'altrui che perdano speranza nel bene quelli cui la vita è male. Poi che nel grembo della tua sostanza l'oggi e il domani, i sensi e l'ideale, la terra e l'infinito hanno alleanza. «Mia!» Tuo forse il sole, e l'aria cogl'incensi delle zolle fruttifere, e i viventi onde assorbi la vita, e gli elementi che nel tuo sangue per brev'ora addensi? Tuo quel che vedi e ascolti? Obbedïenti al tuo voler perennemente i sensi? tuo quel che fai, che imagini, che pensi? Tu stesso t'appartieni?... No. Lo senti. No! Perchè nel suo cerchio un amor, cieco come il vento dei pollini, vi chiuse, tu chiami tua la umana creatura! Nulla è tuo! Fuorchè l'attimo che seco la volontà dell'Essere vi fuse per trar di voi l'umanità futura. A due sposi. Candide voi trovò ma non ignare giovinezze l'Amore, ospite immite: or amico vi guarda rinnovare il mutuo dono delle vostre vite. Oh voluttà! Due passïoni unite in un'estasi; udire un cuore urtare sul nostro cuor fino a spezzarsi; e mite indi il sonno sedar le membra care! Felicità! Gemmar vite novelle e valide lanciarle fra la guerra umana a spander opere di vita! Serenità! Compir la dipartita, mentre vi seguan desiosi in terra occhi d'uomini, in alto occhi di stelle! Davanti a Sant'Orsola del Carpaccio. Poeta, non destarla! È così bella, così pura nel suo bianco lenzuolo; rigida, chiusa come in un bocciuolo, ella è colei che non si dissuggella. Creatura di luce, con la stella del vespero esce il suo spirito a volo. Non richiamarla, non destarla: solo ammirala, poeta: è tua sorella. Il tuo più folle ardor non desterebbe lungo i suoi lombi gelidi un sussulto, nè turberebbe il suo sonno divino. Però che anch'ella fiore ultimo crebbe sterile in cima al ramo, per il culto dell'Ignoto segnata dal destino. Leopardi. Non indugiarti. Il cuor non sosta; avanza come gli anni e la morte. Ah se tu poni la tua vita in un essere, e imprigioni te stesso in un dolor senza speranza! Dónati e chiedi: s'altri non ti doni, non hai dentro te stesso un'abbondanza essenzïale onde la tua sostanza si mesce al mondo in intime unïoni? Tu sei quegli che passa: a te daccanto infelice chi viene a lungo e porta il peso enorme de' tuoi desiderî! Più d'un cuore t'amò forse quand'eri già passato. Così, morto,--che importa?-- anche l'Uom t'amerà non senza pianto. Sibilla. Io la scopersi e la chiamai Sibilla. Come ognun disamò lei giovinetta, e a secolari tirannie soggetta, emerse, quale un fiore da l'argilla, mi disse. Or io la trassi su la vetta ove il tumulto uman perspicuo brilla nello spazio e nel tempo. Ella tranquilla contempla e dice, e l'Essere le detta. L'agile capo e la capigliatura attorta e tutta la persona bella vibrano sotto un soffio ignoto e vivo. Ed io, già dubitante, credo e scrivo. Io non son che la sua buona novella. Palpita in lei l'umanità futura. Omnis caro fœnum... I. Talor sussulto, mentre mi addormento sul seno tuo: mentre mi culla il molle respiro, odo il tuo cuore, odo le polle del tuo sangue pulsare: e n'ho sgomento. Sotto un tessuto come di corolle tepide un lavorio profondo sento, incessante e sì fragile! Un momento di silenzio... e mi assale un terror folle! L'anima tua risplende in me: viviamo oltre l'ora, per sempre; ed un amplesso delle tue braccia risuggella il patto. Ma il corpo tuo tu non possiedi. A un tratto la morte lo nasconde, e te con esso tutta, e la vita mia che per te amo. II. Corpi, ove corse il nostro sangue, donde questo respiro abbiam, breve e tenace! Corpi non nati, ove trarrà per onde sempre più vaste il nostro cuor vivace! E quello dolce sì per cui mi piace questo mio stesso e al mio l'amor confonde, che meco trar vorrei fino a la Pace, fino al gran Cuor che tutto assorbe, effonde! Splendete, belle forme, o voci e sguardi e nei trasalimenti intimi essenza suscitatrice della vita nova! La morte è ovunque. In noi l'insidia cova, ci sovrasta la bruta vïolenza. Ogni istante è supremo. O Vita, ardi! Episodî. L'orfano. L'orfano udì nel sonno uno scalpiccio vicino. Eran le gocce delle gronde? Chiama: «Nonno!» Le tenebre profonde gli riempiono il cuor di raccapriccio. «Prendimi teco!» E come non risponde quegli, sì pronto ad ogni suo capriccio, sale, con occhi chiusi, il pagliericcio del nonno e tra le coltri si nasconde. Si rannicchia tremando accanto al nonno. L'altre volte dicea questi: «Che hai?» e pur nel sonno lo traeva in braccio. Lo scuote: nulla. È freddo come il ghiaccio. Lascia che dorma, bimbo; tu non sai quanto sonno lo tiene, quanto sonno! Abbandonati. Appena vivo il bimbo piange forte tastando, come un rondinino cieco, su la fanciulla, che con occhio bieco guarda l'ignaro nato per sua morte. Vivere? Anch'egli avrà la mala sorte, nudi e traditi entrambi. Ah, muoia seco! Già lontana è la vita... N'ode l'eco fievole, fuori, oltre le chiuse porte. Chiuse le porte e oscure. Sul braciere ondula a tratti un'azzurrina fiamma. Esausto il seno e il bimbo cerca, tenta... Oh che peso sul petto! L'ombre nere premono... Il bimbo tace: su la mamma, da poco desto, si riaddormenta. L'iniziazione. I. Usciva da la scuola, per molt'ore immoto e col pensier vagante in caccia di sogni alati, e dentro l'ombra diaccia sentiva aulire tutto il maggio in cuore. Nella strada fra 'l giovenil clamore un motto ardente gli avvampò la faccia; un sorriso lo avvinse; e con terrore si mise dietro a l'odorosa traccia. Così l'impura dispogliò l'ignaro de' suoi tesori, come un giovin fusto di sue tenere gemme appena schiuse. E nella giovine anima s'infuse della coppa d'amor tutto l'amaro e in fondo inoblïabile il disgusto. II. Un altro maggio, e rinascean dai nocchi le gemme e il grano rimettea la spica, quand'ei rivide una figura amica compagna già di fole e di balocchi. Mutati, oh quanto! Ed ella con l'antica letizia, ei con un fuoco acre negli occhi. Ed ei non puro mise a la pudica tutti i fior del suo cuore in sui ginocchi. Un dì la giovinetta, a una parola attesa, si piegò, come nei prati fanno i narcisi sui fragili gambi. E poi?... Oh, come allora! I baci dati, come allora, ed i gesti, ahimè! d'entrambi! E quel disgusto gli salì a la gola. III. Le verginelle vanno a capo chino piangendo il fiore de' loro anni lieti, mentre i giovani cercano inquieti l'amor lontano ch'hanno sì vicino! Onde si fa deserto ogni giardino e gli usignoli tacciono e i poeti; mentre muoion tra l'erbe i fior segreti e sfogliansi le rose anzi il mattino... Sacrilego colui che a l'ugne ladre delle impure abbandona i giovinetti e le vergini bianche a l'oro immola: e spegne l'ineffabile parola che germina su labbri nuovi e schietti inizïante la Natura Madre! In memoria. Senza speranza d'alcun paradiso il morituro innanzi ad ogni cosa della vita passava col sorriso di chi guarda, vorrebbe ma non osa. Non osava. Temendo una gelosa rivale e da la vita già diviso ascoltava il suo cuore, senza posa precipitare il suo mortale avviso. Procedeva tra noi, gladïatori della vita, già vinto e già scïente, dissimulando il suo certo destino. Era di maggio, un lucido mattino. Rideva ancor del suo riso dolente, quando fu seppellito sotto i fiori. Ella? Ella guardava come chi saluta. Me forse? Visi dietro me lontani? Od assorti eran gli occhi, e negli arcani interïori l'anima perduta? Mi guardò: trasalì? Passò. Domani evocherò la forma, già caduta nel passato: e il ricordo agita, muta, fonde questo con gli altri segni vani... Così tra le stagioni fuggitive passano come i fior le imagin belle, cadon dal tempo nell'eternità. Così nel nostro cuor si forma e vive, nata da l'armonia di tutte quelle, l'Unica nostra... E forse non verrà. Schiava. Quando lo sposo, caro a' suoi, la tenne, ella aspettava con dolce sgomento. Ma il mistero dei corpi àpresi lento... E in braccia ignote senza gioia svenne. E ignora. Addio felicità ventenne del cuor, dei sensi, addio! Forse un momento palpiterà sotto uno sguardo intento, perchè più pesi il suo dolor perenne. E la vil tirannia! Le membra attorte, premute, vïolate e l'infinita nausea che l'empie nelle notti orrende! Ciò la natura ignora, nè sospende l'opera sua... Che sei, piccola vita plasmata d'odio e di pensier di morte? L'Amica. Come in un raggio i due spiriti onesti luceano. Un dì lo sguardo verecondo vide quegli occhi fatti ardenti e mesti: ebbe pietà... e cadde tutto un mondo. Si levarono entrambi, come desti da un malo sogno. Ma nitida in fondo agli occhi sta la visïone e i gesti d'entrambi, e tutto assume un che d'immondo. Or colei che non seppe esser sorella tende le mani a un ultimo richiamo, già piene di tesori, or fatte ignude... Oh fango! È il cielo che nella palude più caldo e intenso brilla e noi scendiamo in mezzo al fango a ricercar la stella! La cortigiana e l'apostolo. «Mi vuoi, lo so, perchè non chiesi il dono di te, perchè non t'amo e tu sei bella. Ambi seguiam la nostra via, tu quella della vendetta, io quella del perdono. Ambi figli di vittime, ci appella la stessa voce con diverso suono: tu se' colei che abbatte i forti, io sono quei che redime i vinti. Addio, sorella!» Così disse, e la bella si raccolse come una spada nella sua guaina, micidïale a quei che ne la tolse. L'apostolo nel turbine s'infranse che a guerra eterna uomini e dèi trascina. Su lui la cortigiana sola pianse. Dopo il festino. È sazio, cupo, solo. Con la bruma del sonno una tristezza maliarda scende. L'ultima face par che arda sovra una bara: muor torbida e fuma. S'accosta alla finestra. È l'alba. Guarda. Rinasce il mondo sempre? Si consuma la gioventù, la voluttà, la spuma della vita, e più nulla... Or che più tarda? E lentamente una figura scialba ondula emersa da la nebbia rara. «Sempre più triste, a che, importuna, torni? È troppo tardi per mutar miei giorni! è troppo tardi, o importuna e cara, che a notte affogo e che risorgi a l'alba!» Nascita. Sedeva nella stanza al buio fitto, raccapricciando. Or lento si conduce presso una porta, chiusa. Un fil di luce riga il suolo. S'appoggia immoto, ritto... E, chiusi gli occhi, pur l'assedia un truce quadro e l'attesa come di un delitto. Un letto: un corpo umano v'è confitto... un uom dentro vi fruga e un ferro luce. Oh dolce, dolce vittima! Oh dolore della carne che in dar la vita muore... Oh questo tempo oscuro ed infinito! Si comprime le tempia arse... Un vagito? --«Aprite! Aprite!...»--Ecco: un viluppo informe ignudo strilla... Ella non sente. Dorme. Il gorgo. Una barca si move, e dietro un lume pallido: un'ombra su la prora china, scrutando fra le tenebre, trascina qualcosa, grave, dietro sè, nel fiume. Lungi, presso la diga, ove le spume segnano un'ampia linea turchina un altro lume errante s'avvicina tremulo e cresce rosso tra le brume. I pioppi, eretti verso il ciel notturno, contemplano la luna in cenerine nuvole declinante verso i greti. Un motto breve passa, ed inquïeti errano i lumi ancora, e l'ombre, chine sul mistero del fiume taciturno. Le zanzare. Quando arrossano il mare i pigri soli tra cortine di sangue, alzi i tuoi lagni, piccola ombra assetata, da gli stagni sospingendo per l'aria umida i voli; e vagolando sopra i grigi stuoli che la fame urge ed i padron grifagni, la febbre con le molli ali accompagni, dal padre suggi e inoculi a' figlioli. Un contatto, un ronzio rapido, e punge l'esile avviso i cuor, come di lunge voci d'oblìo sovra le fronti oppresse. E geme ognuna come se tenesse, piccola, un peso immane. Dentro d'esse l'Ospite, immensa come l'ombra, giunge. Sull'altura di Greenwich. Ancora v'è un paese ove il sol biondo dipinge inesauribili giardini? Qui tutto affoga dentro il fiato immondo che vomitan le gole dei camini. Grandi antenne su plumbei bacini solcano un orizzonte senza fondo, ove s'ammucchia da tutti i confini la ricchezza e la schiavitù del mondo. E in questo nembo i desiderî ladri s'azzuffano, ed in lor trame irretita la generosa Terra s'incatena. Vivere è dunque sì tremenda pena? Ah se quest'è necessità di vita, inaridisca il grembo vostro, madri! Patria. Villaggio natìo. Montanaro, casetta mia, com'eri piccola e triste, e n'ho triste la vita: ma come al mio pensiero era infinita la traccia, intorno a te, de' tuoi sentieri! Poi città corsi, e vidi regni e imperi e agli occhi miei la terra è impiccolita: nessun mistero in essa più m'invita: triste pur questa casa, e io son quel d'ieri. Or se rivolgo il viso al ciel notturno, quanto sei breve, terra, e come immenso, cielo, ove miro con impazïenza! Ma come avvien ch'io palpiti non senza dolcezza, quando a te, villaggio, penso, ultimo albergo al mio cuor taciturno? Circolo vitale. Stanca, stanca è la vecchia Italia, tante vite nutriva e spesso vïolenti, e i figli ultimi, ad altre terre intenti, cura non hanno più della gestante. Vive la nostra terra, se i fermenti l'avvolgano d'un'opera incessante: feconda sempre se animali e piante, nati da lei, vi tornino morenti. Uopo è che scorra in onde armonïose nel corpo della terra genitrice il circolo perenne della vita... Ah, quando l'uomo con facili dita emanerà la volontà felice e l'armonia su 'l moto e su le cose? I dissodatori. Lasciano a mille a mille l'alveare, come le pecchie van nell'afa estiva. Ove, che importa? ove si muoia o viva, dentro i navigli che son culle e bare. Scendono a branchi: madri nella stiva covano bimbi e li addormenta il mare; vecchi sognano un novo focolare che scaldi lor la vita fuggitiva... Tale, Italia, sei tu; lungo il tuo mare generi e culli un'inesausta prole e la spandi pel mondo come il grano. Portatrice di pace ov'essa appare, la terra scopre le sue membra al sole, perchè il seme si levi e il fiore umano. A uno straniero. Non domandare, amico mio, qual gente tenga il paese delle belle forme. Il nostro genio in sale antiche dorme: n'assiste il sonno un popolo indolente. Mentre dai monti al mar corron le torme a depredare il bel retaggio intente, su la terra che cela il sogno ardente dei padri monta un incubo deforme. Tra le case senz'anima e le strade senza faccia, nei nuovi simulacri pur la materia umilïata appare. O popolo, tu spazza le contrade d'Italia, e quest'obbrobrïo i lavacri d'Appennino e dell'Alpi urgano al mare! Al popolo d'Italia. I. Mentre i tuoi primi nati aprono l'ale verso terre che arridono più liete di premî e d'opre e dentro il suol natale il vecchio padre semina e non miete, popol di vecchi e di fanciulli, quale nuova ricerca t'anima? qual sete d'esperïenze? E quando l'ideale è prossimo, ti volgi ad altre mète. Giunto ieri fra' nuovi popoli, oltre guardi, oltre corri con crescente affanno, l'altrui vedendo più che 'l tuo dolore... T'assistan vigilanti nella coltre del suolo sacro i padri: essi ben sanno che il destino t'elesse iniziatore. II. Iniziatore t'elesse il destino che modellò, divelto da l'ardente Africa, e offrì, desìo de l'Occidente, questo pensile in mare arco Appennino. Del suol benigno e dell'aer marino foggiò la saggia armonïosa gente che a l'antica Eüropa e a la recente infuse il chiaro spirito latino. E volle che splendesse da le belle città, maestra nel crear la mano, luce il pensier, musica l'idïoma; e radïassi fra le tue sorelle, tu che vedi passar, cozzanti invano contro di te, uomini e numi, Roma. L'appello. Cui mundus est patria. BRUNO. Il profugo sostò presso il confine ond'uscì giovinetto a le venture. Ecco le verdi valli e le pianure digradanti co' fiumi a le marine. Terra, che nutri primogeniture invide, trafficanti, fra meschine trame di guerre e paci, le rovine sacre delle paterne sepolture! Chi chiama? Àrmano a guardia degli scrigni popolo contro popolo i mercanti. «A l'armi!» urla un lor capo tremebondo. --A le vanghe, a le macchine, a gli ordigni trasmutatori della vita, o erranti italïoti ai quali patria è il mondo! Bruto ultimo. Fanciullo senza pane e senz'amore, un giorno invano ti passò vicino: come allor lo rinneghi oggi che muore tardivo alunno di un pensier latino. Credette essere il braccio del destino contro un tiranno, egli liberatore. Quei non era che un uomo: egli è assassino... Passarono. Nè muta ora il Dolore. Anch'io volli trovar quei che produce il Male. Esiste? No... Ma ne ricada l'onta su ognuno ch'è saggio e felice! Io già ti chiesi, Arte liberatrice, un metallo per fondermi una spada, or ti chiedo un metal ch'espanda luce! In un museo lontano. Siede un ramingo innanzi ai quadri. Dorme? Qualcosa de' suoi padri è prigioniero in ogni terra: egli non è straniero ove dei padri hanno esulato l'orme. Oasi di riposo al suo pensiero destò la vista delle belle forme. Tace. Dintorno scendono ombre a torme, ombre di antichi dallo sguardo austero. Susurran l'ombre: «Occhio che par serbare la luce come il dïamante, mani suscitatrici d'armonie viventi!... Oggi avvinto a la gleba fra' giumenti, d'idee latine e di beltà domani adornerai la terra arata e il mare!» Garibaldi. I. Ebbe il braccio fulmineo degli avi e il nostro cuor dal palpito profondo. V'è un genio istesso, che dal suol fecondo della patria rivive a' giorni gravi? Eri tu certo, Ligure, che davi a un re straniero inutilmente un mondo; or, dato un tetto a un popolo errabondo, all'unïon dei popoli auguravi. E quando sul Gianicolo balzasti, Roma sorrise a tutti gli uomini. Ere di sangue, chiuse! Aperti nuovi fasti! Or tu, sul monte, bronzeo resti, quale della leggenda ultimo cavaliere, poi che ti colse in fronte l'Ideale. II. Sparve con te la bella guerra, come meteora d'olocausto, che le madri benediceano. Ancor raggiò fra' padri boeri e sparve con le rosse chiome. Ecco un convulso mostro, ora, che vome strage. I guerrieri ciechi, fra' lor quadri di ferro, odon venir con passi ladri, d'onde? la morte e non li chiama a nome. Giovani, in patria producean i frutti della vita e mietevanli per tutti. Falciati, lungi, sotto ignote stelle! Altri verranno, che la fame svelle da la lor terra, a spremere un tesoro per colui che ha mercato il sangue e l'oro! III. Tornerà un giorno. Una novella gesta leverà fama da un lido lontano e l'anima d'Italia udrà ridesta sonar pel mondo un nome italïano. Dai padri che hanno vinto la foresta e nei deserti propagato il grano, apporterà virtù novelle a questa esausta terra e un largo cuore umano. I simboli onde mascherati gli uomini succhian la vita agli uomini, arderà, e: «Destate l'eroe dentro di voi!» griderà intorno. E sorgeran gli eroi, eroi di pace a te, Roma unità, eroi d'amore, o Roma amor degli uomini! La natura. Pan. Anch'io cercai svèllermi da la stretta delle cose e degli uomini, a la pace formidabile, a l'aer freddo che tace oltre il vento, oltre i ghiacci, oltre ogni vetta. Piccola umana emozïon vivace, cui la più torbid'anima è soggetta! Sali, e arrancando dietro te s'affretta qualche minuta realtà seguace. Un murmure, un frullar d'ale improvviso, un vagito, una lagrima, un sorriso; ecco fuse le note fuggitive nel ritmo del tuo cuore, che si sente raggio nell'aria, goccia nel torrente, linfa in arterie senza fine vive... Tu lavorerai! Agitavano il suol flore possenti, fiere devastatrici e stragi immani. Apparve l'uomo e con le nude mani pazïente educò messi ed armenti. Educò l'acque negli arati piani e il fuoco animator di vita e i venti sul mare; con le dita intelligenti regge ora i freni delle forze immani. Scruta i minimi, distruttori, e vuole propizia a sè l'opera della morte. Pur muore, ma inesausta è la sua prole. E la terra rimuta senza tregua. Perchè? Silenzio. Passa una coorte nuova; fatica, interroga, dilegua. La Ruota. Ti trovò l'uom fra i sassi dei torrenti, seco ti spinse nelle migrazioni; e ancella nelle gelide stagioni, tessevi lane, tritavi frumenti. Ora la forza innumere alimenti fra le sue sagge mani; arguta suoni nelle sue case o procellosa tuoni e al monte, al mare esseri strani avventi. Esseri strani l'uomo crea, l'ignoto a conquistargli, esseri onnipossenti, nei quali tu, cuore perenne, vivi. Tu che i minuti suoi misuri e inscrivi, insiem col giro degli abissi ardenti, intorno al centro dell'eterno moto. Linguaggio. Odi, Sigfrido, a te fluire i suoni della foresta? Parlano gli uccelli. Tutto vive e ti dà fraterni appelli. Sparvero mostri e dèi, illusïoni. L'uom rispondeva e in lui nuove unïoni facean le voci. Udivano i fratelli, ripetean la parola, che, in suggelli incisa, venne a le generazioni. Era un suono di vento ed è consenso oggi d'umanità. Poche parole l'anima nostra chiudono e l'immenso. Occupano la terra, come vuole l'uomo: e a rapire qualche nuovo senso emigran oltre l'orbita del sole. Musica. Nascesti avvolto da le voci erranti nelle frondi e su l'acque; e tra le gole canore che opprimean talor gli schianti del tuono, emerse il tuo cantico al sole; e quando venner meno le parole, i metalli squillarono: con quanti strumenti il mondo giubila o si duole moltiplicasti l'onda de' tuoi canti, Uomo! Così ti levi, inno che domini l'odio; che accordi la gioia e lo strazio spiranti verso la serenità. Così ti comporrai, coro degli uomini, cantico della terra, e nello spazio coro degli astri per l'eternità. Aer. Inesauribil spirito, che i baci dei fiori accosti, e penetri le frondi ed inazzurri l'etere e circondi la terra e il mar di palpiti vivaci; aër che invadi i sudanti toraci e in desïosi cantici ti effondi; che inerte su le bocche aride giaci se l'impulso d'un cuor non ti secondi!... Anche il libero ossigeno ai polmoni dei fratelli usurpava il Violento e corrompeva in tugurii e prigioni! Finchè tu nol riduca uno strumento di maggior vita, o Uomo, che componi sul ritmo del tuo cuore ogni elemento. O mare! Nasceva in te la vita originale, quando il cuor della terra alzava i monti; poi scese a te col corso delle fonti l'uomo che porta nelle vene il sale. E un fusto cavo, indi animato d'ale, grande si profilò su gli orizzonti, e le stirpi degli uomini sui ponti doni e morte mescean con vece uguale. Quando su l'acque un novo mostro apparve, di fuoco e ferro, e sotto l'energia trista dell'uom tu soffri, o mare, o mare! Ma un dì, scomparse queste cupe larve, pulserai col cuor nostro in armonia, anima irrefrenabile del mare! Il padre. Il vecchio siede a lato del portone di fronte ai campi immensi e agli aratori. Ligneo, curvato a terra, par che implori mercè ch'è vivo ancora una stagione. Non ebbe in ottant'anni che dolori, nel timor del suo dio, del suo padrone: onde pensando all'ultimo sermone si reputa il più reo dei peccatori. Ma spera... In gioventù qualche stravizio: qualche facezia prima di sposare... Poi venne la famiglia e la saggezza, e la miseria. Ond'egli or accarezza l'idea del Purgatorio. A peggio andare, sarà finito il giorno del Giudizio! Il figlio. Ma il figlio intorno per la nebbia esplora: scorge su quella l'ombra sua gigante: questa era Dio. Poi guarda il ciel distante ove nascono mondi ad ora ad ora. L'universo ci ignora. Il fluttuante mar dell'essere ci agita e divora, minimi nell'immenso. Forse adora la formica il calzare del passante? Allora, mentre il padre trema e prega, «Terra, almen tu sei mia!» pianta la stiva nel suolo, e il frutto della vita afferra. Alcuno in nome di quel Dio ci nega quel ch'è di tutti? No, fratelli. E viva, nostra comune eredità, la Terra! Oro. Oro, l'industrïoso uomo ti svelle rilucente e sonoro di sotterra: ti suggella e nel piccol pugno afferra con te il valor del suo mondo ribelle. E cercandosi l'energie sorelle, tu sei l'anello per cui l'uom si serra intorno al globo, irretica la terra di sue radici e i rami alza a le stelle. Questo sei? Fosti. Or, usurpato il regno del pensier, del lavoro, dell'amore e delle sante cose ond'eri segno, contro te grida il sangue d'ogni cuore... Altra bellezza, altro destin più degno t'imprima il fuoco purificatore! Occhi. Occhi miei, da quel dì che il bel sembiante che specchiaste a lo schiudervi, è dissolto, e la natura vi scoprì il suo volto, indi la donna vi sorrise amante, quante fuggenti ombre di cose, quante femminee rapid'ombre avete accolto! Sovr'esse l'arte il suo potere ha svolto, le fece umane, ed il mistero sante. Ma un dì vi chiuderete, ciglia, porte dell'umano spettacolo, e repente la notte v'aprirà le sue grand'ale. E allora, o visi che passate, quale imagine su me china e dolente custodirò nelle pupille morte? L'asceta. Tu che t'inchini già verso la zolla per aver troppo riguardato i cieli, e attonito a' tuoi simboli crudeli scordi la vita che a tuoi piè rampolla, levati e vivi! Guarda come aneli la vita oppressa e in gurgiti ribolla in fondo ai mari, e in folgori s'estolla pur su le vette immobili di geli. Oggi digiuno per gavazzar poi, non sai ch'eterno è l'attimo felice se lo riempia il ritmo del tuo cuore? Ma tu non odi e muori, mentre noi viviamo, consci che non ha radice nella morte una vita ulterïore. In piedi! Quando l'uomo depose lo sgomento e il mondo ornò di deità fraterne, come bello moveva con le alterne ginocchia, il capo verso il firmamento! Ma tra quelle, una orrenda, ecco, ne scerne, Javeh, l'ultimo Dio. Cadde col mento nella polvere, e in quell'atteggiamento l'effimero s'inflisse pene eterne. Oh, risorga oggi su le membra belle l'uomo ed esalti questa sua terrena forma di vita che fomenta il sole, e più alta la renda a la sua prole, prima che anneghi nell'aria serena ove sgorgano e spengonsi le stelle! Bellezza femminea. O rifiorente nelle primavere, suprema tra le imagini terrene, o voluttà dell'anime serene, e rimpianto agli esausti dal piacere! Il fascino dei sensi idea diviene intorno a le tue linee sincere, però che il ritmo che t'informa tiene dell'armonia che domina le sfere. Languor di stelle, chiarità di soli, riso di mar, serenità di monti, la bellezza del mondo ha per te senso. Tu, datrice di vita, tu consoli della vita, se tocchi su le fronti che nel tuo cerchio sognano l'immenso! Il mistero. Nostalgia mistica. Io sento una leggenda in cuor cantare, una leggenda delle nonne pie: organi v'accompagnan litanie; brillano ceri intorno ad un altare. Processïoni vanno per le vie lungo i rosai tra le pinete e il mare: cantano le campane e il cielo pare un seno immenso pieno d'armonie. Passa un bimbo che portano a battesimo. Passa una croce, chinansi le fronti. Passa Gesù portato ad un che muore... Ma un nero mago è in mezzo a l'incantesimo. Perdona, o sole! se quando tramonti un pianto di campane canta in cuore... Scienza. Un ricordo. M'avevano insegnato a temere la folgore. Nel campo sterminato ero solo. Ed ecco, un lampo guizza: lo segue un lugubre boato. Fuggo, guardando ai gran' roveri; inciampo; salto tra' solchi, tra' fossi, inzuppato di pioggia. Ecco la strada, e infine a lato i fili telegrafici, lo scampo! Scampo? Il destino dentro i ragnateli aerei s'impiglia sì che i teli la morte scocca sui mortali a vuoto? La scïenza così tesse i suoi veli su noi. Guardiamo: il cielo è breve e noto... Illusïon! Dietro è il Mistero immoto! San Giovanni. Io nella notte della terra e in fondo a gli abissi dell'etere m'immersi, il cielo ingombro con grand'ala apersi lungi spingendo i limiti del mondo. Le forme cui divine leggi infersi del mio spirito penetro e circondo: io nell'immensità punto errabondo di me riempio gli esseri universi... Povero capo mio, come di piombo, grave, che affondi in un assiduo rombo pieni gli occhi dell'ombra interïore. Oh riposare sovra un saldo petto, come, o Signore, un giorno il giovinetto apostolo dormì sopra il tuo cuore! Anima. Larva di sogno? fiato? ombra? Dispare fuor dalla spoglia, che si sfascia... Vive libera forse in più felici rive? esule, vaga intorno al vecchio lare? Dissipata è la spoglia sua nel mare del mutamento. Forse da sorgive misterïose, in forme sensitive immemore ad immemori compare? Anima, dentro te piccola e chiusa o con l'umanità, nell'avvenire e nel passato, immensa anima effusa! Eterna fosti. Or puoi, l'istante giunto, sognando l'immortalità morire... Dopo, che importa? Eterna fosti un punto. In memoria di Furio De Amicis. A Edmondo De Amicis I. L'adolescente un sogno avea nutrito onde cercava in riva al fiume l'orme? Sovra gli esuli pini e il Po che dorme vaga come un rimpianto d'infinito. Era il meriggio. Si destò, smarrito. Guardò lontano le languenti forme, la città, pigra dentro il sole enorme, ed annuì come ad un noto invito. Era come colui che ignaro move nella notte fra sozzi ebbri digiuno, e chiude gli occhi e di vegliar rifiuta. «Ah non è qui la vita! Altrove, altrove!» Laggiù, lontano, udì piangere alcuno? E si rivolse verso l'ombra muta. II. L'albero si chinò sopra uno schianto aperto nelle sue viscere stesse quando i due rami giovinetti oppresse il soffio della morte e un giacque infranto. E attende, il padre. Con entrambi intanto cammina: nei silenzî ode sommesse voci. Nè guarda; come se temesse fugare un'ombra che gli viene accanto. E si desta al mattin con un singhiozzo chiuso. Perchè? Non ritornò l'assente? Pur scialbo è il sole e l'anima non paga. Poi lo sorprende una tristezza vaga: ed ei s'ascolta, come chi repente sente il braccio doler che gli fu mozzo. III. Ignoro, amico, la parola buona!... Da le cellule prime a le stormenti foreste che moltiplicano i venti, ove l'aria nei tronchi s'imprigiona; da l'immobile vita che ai moventi esseri fiato e nutrimento dona, sino a quei che il ricordo fa persona e la parola fa re dei viventi, ecco la Terra svolgersi, a l'invito del Sole; da le viscere del Tutto traendo in cima ai rami il fiore umano... Il fior matura, e dove il piccol grano cada, non sa la Madre, che il suo frutto disseminando va nell'Infinito! Stupor sacro. Formidabile a l'uom, Vita del mondo, con le tue vaste passïoni incombi: guizzi e scrosci coi nembi e dal profondo cuor della terra, impazïente rombi. E, Morte, tu, vasta e repente piombi sopra un gregge d'efimeri errabondo: ancor n'udiamo i colpi e l'ecatombi copron già il suol, scendono al mare in fondo. Qualcosa in noi rimuore a la fraterna morte. Qualcosa è in me che già passò la morte? Sopravvive e si rimembra. Sopravvivrà? In quali umane membra od ignota compagine, non so: rivibrerà la mia sostanza eterna. Le Ipotesi. Poi che la terra i membri effusi e vani raccolse e il mar cingeva gli emisferi, ond'erompean al cielo i monti alteri e si spandean l'alluvïoni ai piani, o coscïenza della terra, ov'eri? Il piccol uomo allor sognò titani; s'erigevan sui culmini montani, gonfiavan di lor collere i crateri. Sognò gli dèi per debellarli, belle stirpi e ristette, contemplando quelle imagini di sè levate in guerra. Sparvero, e l'uomo or lancia da la terra le moriture deità novelle; crede e riposa e cerca nuove stelle. Umanità. Duplex, omnis et unus. Per me desiderai le rose, il vino, la voluttà, le gioie tutte, per me? Ben poco m'ebbi e sazio ero. Perchè? Avevo udito piangermi vicino. Ben poco m'ebbi e tutto diedi, infino che sentendomi privo anche di me, trovai colei che a me stesso mi diè, e fummo un'onda nel ritmo divino. Or tutto io sono, tutto effondo, aduno, il pane e l'acqua ed il dolore umano trasmuto in sangue ed in pensier' d'amore. Sibilla ed io: ch'io son duplice e uno, una mano, pur mia, nella mia mano e un cuore, altro mio cuor, dentro il mio cuore. Lotta per la vita. Nei campi della vita ecco un'immensa strage. Il più forte l'indifeso assale. Da la cellula a l'uom, lungo le scale della vita, l'un fa dell'altro mensa. Ma dai fermenti che la strage addensa, più ricca balza l'energia vitale; annoda ganglî, organi tende, sale; s'accende e raggia in un cervel che pensa. E s'una Mente alfin l'ha scorta, vana non fu la guerra; i fremiti ne ammorza, la volge a un bene ch'ella stessa ignora. Perchè la terra ha un'anima, che implora d'eromper da le viscere a la scorza e d'integrarsi in questa anima umana! Le città. Poi che raminga in pavidi ripari foggiò la fiera onnivora l'Arnese per uccidere e per creare, e scese lungo i pingui bacini e gli estuari, presso le tombe edificati i lari, li ornò di templi e cinse con difese; strade ne irradïò: donde contese e tregue lungo i lidi e sovra i mari. Pace, o fucine, dove su l'incudini del dolore l'uom foggia il suo futuro: niun nato d'uomo in voi più sia straniero! Issate i fari per le latitudini a illuminar le vie del cielo oscuro, palpitando la terra a un sol pensiero! Su un orologio. Un anno, un giorno, un'ora... Ed anco un anno, un giorno, un'ora! Il tempo immobil dura. La lancetta procede con sicura costanza, senza sosta e senza inganno. Con ugual legge per gli spazî vanno gli astri e ciascuno ai prossimi è misura. Docili intorno ad una Forza oscura per tutto il tempo ancor graviteranno. Ma della vita l'indice è la noia lenta e fra lenti battiti l'ingoia tosto l'ignoto che ci è tomba e culla. Pur quando guida il dito dell'Amore o del Dolore sul quadrante l'ore, l'attimo è tutto ed una vita è nulla. Il pessimista. Chiamatelo fra voi! Non lo vedeste giungere, cupo e solo, fra' tumulti vostri? Non par che il muto teste insulti ai vostri lutti ed alle vostre feste? No. Tace. Guarda, e forse pianti occulti reprime sotto le pupille meste, e il suo petto, che par immoto, investe un impeto frenato di singulti. Chiamatelo! Non lasci egli le soglie così. Implorerà? Senza che implori, ebben, fategli dolce vïolenza. Poich'egli sa che non è viver senza gioir dei gaudii, soffrir dei dolori vostri, morire della vostra morte! Riso e pianto. Pianto ed oblio! Rugiada che i vapori dell'amore e dell'odio assorbi, esali; effusïone di prementi mali, balsamo che la gioia anche insapori! E tu sorriso e riso alto che sfiori le guance adolescenti e vivo sali dai cuori offesi e i giochi dei mortali dinanzi ai savî d'ironia decori! Salubri doni! Abbatte uno le fronti sul gorgo senza tempo, ove le terge l'Essere addormïente, animatore; l'altro le aderge verso gli orizzonti serenatori, dove eterna emerge la verità redenta dal dolore. Il Santo. Pensava il Santo quant'è cosa acerba vivere. E non perchè la carne muore, ma perchè il vivo al vivo dà dolore. Ond'ei cessò di pascere pur l'erba. E una voce gli sonò dentro: «Serba la pietà per la vita inferïore; ma da la tua, somma di vite e fiore, ne germogli una forma più superba. Compiangi il mondo pur, ma più compiangi gli uomini, e torna a le lor case e addita le vie per cui si ascende nella vita. Chè, mentre tu su l'erbe che ti mangi lagrimi, intorno ad un vitello d'oro i fratelli s'immolano fra loro!» In Aracœli. Vi schierate così, sotto la nave cristïana, sui plinti alti, o confitte inegualmente al suol, colonne invitte di un prepotente impero, or fatte schiave. Greco scalpello forse da le cave d'orïente vi svelse, e pose, ritte a l'aria e al sole: or fra le turbe afflitte del Galileo v'accascia un'ombra grave... Così, gettato il giogo del fratello, l'uomo, ch'esalta la Fortuna alterna, le campagne di lui, le case gode; non senza farsi un Dio, cui volge a lode la propria gioia e l'abiezion fraterna: e il medesimo altare è per suggello. Ecce homo. Errante in suolo inospite a l'acquisto del cibo, l'uomo imaginò nemiche forze gravanti sul suo viver tristo a punirlo di colpe ignote antiche. Giovine e amante poi, si finse amiche deità, un Olimpo ornò commisto di semidei, cospicui per fatiche e miracoli... Ed ecco, ultimo, Cristo. O Cristo, quanto grave è l'esser dio per pietà dei fratelli! «Lungi» esclama «questo calice!» E, per la Vita, muore. Adulto or l'uomo riconosce il pio sacrifizio di Cristo. Infine egli ama la terra, ama la vita, ond'è signore. Il Martire. Voi l'uccideste! Da l'uccisïone dei puri eroi castigo mai non venne. Non paventate, piangete! Vi tenne ira e follia. Gettategli corone. V'amò quant'altri mai. La passïone di lui volle inalzarvi in un perenne volo e non vi bastavano le penne. Morì: nel suo riposo or si compone. Portate l'urna sua con buone scorte lungo la vostra via. Caduto è il vento d'abisso e non atterra che le cime. E stringendovi a lui quando v'opprime il destino, pensate, in un momento di sosta, a la giustizia della morte. Gocce di sangue. Gocce di sangue? È l'alba, mentre torno al lavoro. Le screzïò d'argento sul marciapiede il ghiaccio. Uno sgomento m'assale. Tutto ancora tace intorno. L'oro, l'amore, il vino?... Era il ritorno della belva primeva. Ed un momento guizzò un'arma, sparì. Non un lamento forse. Silenzio ed ombra. Ed ora è giorno. Perciò la Vita con tanto dolore s'orïentò, salì verso la Mente? Ecco, l'annienta un attimo d'oblio. Altri guarda e sen va. M'affretto anch'io... Ricche arterie ha la Vita e non risente di due stille cadute dal suo cuore. Ahasvero. Gli esuli dissodavano le zolle d'una inospite landa, e l'uno chiese dell'altro. Ognuno avea patito offese dall'uomo. Uno esulò per fame, un volle fuggir per non uccidere; contese altri per un amore, altri in un folle impeto uccise. Ora: «Tra il fiume e il colle-- diceano--leveremo ardue difese». Quando un vecchio passò. Ristette l'Uomo errante, udì: scoteva il petto annoso un singhiozzo. Riprese il suo cammino. --«Vecchio, perchè non sosti?»--«È nel destino ch'io vada ancora e non abbia riposo che in una terra ove l'uomo ami l'uomo!» L'uomo tragico. --«Vuoi obliare? Dietro te gigante t'inquieta il passato. Oh non sognare, tu vorresti, andar naufrago nel mare dell'essere; non viver che l'istante! Ebben, segui il tuo sol come le piante, chiudi le ciglia quando il sol dispare; fuggi gli umani, ama le cose ignare... Dormi. Ed ecco un liquore inebbrïante...» --No! Ricordare! Io sono la memoria degli esseri che fui. E mi commove tutto l'eterno ad ogni batter d'ore. Vivere, quanto l'Uomo: esser la storia, la coscïenza della Terra, e altrove portar me stesso e 'l ricordo e 'l dolore! Universo. Le forme. Vaporava la Terra: abbrividenti profili alzava incontro ai soli occidui e caotiche forme negli assidui sforzi espelleva, esseri incerti, lenti. A stento si scioglieano dai residui del limo grave. Indi foreste e armenti sorsero, e guizzi dentro l'acque e i venti, e l'armonia di liberi individui. L'ultima forma che la Terra espresse l'opera proseguì. Architetture pensose trasse dai fianchi materni. Fasci di nervi or trama e raggi tesse. E l'uom stupisce per le creature che fioriscon da lui nei maggi eterni. I Minimi. È il corpo mio campo d'antiche sfide, come la terra dentro la caligine primeva. Forse qualche scaturigine di vita in me per sempre si recide? Sotto ogni forma bella che al ciel ride l'uomo indaga, e l'afferra la vertigine. Luce in fondo l'idea. Dove ha l'origine? Un fermento la suscita o l'uccide. Affrettan le agonie, le cose morte sgombrano per far adito ai viventi, indefessi operai del divenire. Quando avverrà che domi l'uom quest'ire nemiche, e dolce viva, e l'addormenti sazio di giorni l'oblïosa morte? Al Foro Romano. L'uomo, re delle forme ultime, vuole dentro la terra approfondir l'indagine: assiduamente fruga la voragine che Dante ornò di sue divine fole. Nel suol, come in vecchio albero, l'imagine simultanea degli evi scopre al sole; e nei fôri ove ruzza la sua prole, il passato si svolge in chiare pagine. Così la Terra, per l'essere emerso ultimo dal suo grembo, apre le ciglia e scorge sè piccola, oh quanto! Eppure, più vasto è il cielo e pieno di venture per la solare piccola famiglia in questo breve angolo d'universo. Mosè. Fra piccole virtù teologali Michelangelo sculse un esemplare di umanità, sì forte, che destare lo volle: «Vivi, e scendi fra' mortali». Poi lo volse sdegnoso ad aspettare, sui genuflessi sudditi papali, che potesse fra un popolo d'eguali sciogliere un dì le membra alte e parlare. Secoli ancora! Poi, gli occhi iracondi serenerà. Verrà possente, fuori, nel sole, vòlto a la Terra Promessa. Sarà la terra allor folta ed oppressa d'uomini, e pronti molti migratori verso l'azzurro, fertile di mondi. Altrove! O bella nel mare artico Atlantide, presso al polo fiorita di ninfee!... Gelò, sparì. S'inizian l'odissee umane: in alto eran le alate guide. Scesa lungo le tepide maree a la zona che verde e mite ride, rigurgita ora a le plaghe omicide l'umanità non mai sedata, Andrée? Andrée, lontano e in alto! Ha messo l'ale l'uomo e rimira oltre le nubi, pensa un'odissea per un ben altro mare. Avvolgerà la terra il glacïale lenzuolo? V'è nella corona immensa del Sole al piccol uomo altro alveare? Marte. Otto grandi fratelli in suo regime il Sole tien, che la sua lampa accese: lontani e ignoti: ora nel ciel sublime due, l'uno all'altro han le pupille intese? Fratello, in te già mossero le prime forme di vita al padre sol protese? vegetasti, sentisti, alfin da l'ime profondità la chiusa anima ascese? Forse già sei qual noi sarem domani, e indaghi dentro l'etere stellante con desiderio senza fine intenso, accennando con segni non umani a questo piccol astro, radïante l'inappagata anima nell'immenso... L'astro morto. I. Una stella sparì da l'armonia del cielo e ancor noi la guardiamo, quale tremolava in un tempo immemoriale, e ci sorride da l'antica via. Dal cuor pulsava forse un'energia onde la vita svolse le sue scale; onde a prova l'argilla e l'ideale lottaron fra un vagito e un'agonia. Forse una stirpe nel suo firmamento tenne incarnata un'anima solare e risplendè co' suoi genii ed eroi... E il gran cuor s'allentò, ristette. Poi silenzio... Oh sole! Ed ecco il cielo appare innumerato e senza mutamento. II. Efimeri occhi! Là risplende un sole dove per voi la nebulosa sciama: un urto infiammò il ciel, pende una mole, là dove nessun lume ancor vi chiama. Forse non lungi una fraterna prole per una terra l'opre sue dirama, lancia nel cielo numeri e parole, cerca, foggiasi dèi, sè dio proclama. Anima mia smarrita! È giunta l'ora che una nenia nostalgica t'appella: «Uomo, ignora e dispera, ignora e adora!» No. Tu gl'ingegni ai sensi rinnovella, e per gli spazî e per i tempi esplora, occupa l'universo a stella a stella! Al timone! E voi, nel vostro aereo ritiro, sul cuor pulsante della terra intenti, pronti a l'annunzio di trasalimenti micidïali al piccol uomo, ammiro: e voi, che interrogate nelle ardenti stagioni e nelle gelide il respiro corso da nembi e da fólgori e il giro delle linfe nel gran corpo fluenti: e voi, che i nostri numeri nei regni dell'infinito seminate, e l'ieri vi brilla agli occhi e illumina il domani... Però che un dì starete, sui congegni divinatori, come timonieri saldi e securi de' vïaggi umani! Elevazione notturna. Notte profonda, immensa, refrigerio delle forme che il sole agita e stanca, riposo e sonno dove si rinfranca la volontà di vita e il desiderio! Mare insonne, specchiante l'emisperio stellare, luna saliente bianca, abisso che d'intorno si spalanca e assorbe in un armonïoso imperio. Profondo anch'io come la notte, e immenso come il sidereo palpito ove penso il flusso del mio cuore essere immerso! E umil fidente nel silenzïoso ordine onde son parte, ove pur oso, nulla essendo, sentirmi l'Universo! NOTA. Parecchi fra questi sonetti vennero già pubblicati dal 1899 in qua su alcune riviste: _In memoria di F. De Amicis_ (ILLUSTRAZIONE ITALIANA, 1899). _Sul fiume_, _In memoria_, _Abbandonati_, _Su un orologio_ (NUOVA ANTOLOGIA, 16 giugno 1901). _Bellezza femminea_, _L'iniziazione_, _Ella?_, _Amanti_, _L'amica_ (NUOVA ANTOLOGIA, 16 marzo 1902). _Villaggio natìo_, _Circolo vitale_, _A uno straniero_, _I dissodatori_, _Bruto ultimo_, _Garibaldi_ (NUOVA ANTOLOGIA, 16 gennaio 1903). _Aer_, _Pan_ (RIVIERA LIGURE, 1903). _Le forme_, _È nato!_, _In piedi!_, _Mosè_, _Al Foro Romano_, _Lotta per la vita_, _L'uomo tragico_, _La morte_ (NUOVA ANTOLOGIA, 1º gennaio 1905). _L'astro morto_, _Marte_ (RIVIERA LIGURE, febbraio 1905). Un breve poemetto, _Nubi e sogni_ (NUOVA ANTOLOGIA, 1º giugno 1899) ed altre poesie composte dal 1899 al 1903 e non consentanee al carattere generale di =Homo= l'autore raccoglierà in una prossima edizione di =In Umbra=. INDICE. Homo: Visione di meriggio _Pag._ 7 Le età dell'uomo: È nato! » 11 Fratelli » 12 Mistero » 13 La marcia dei fanciulli » 14 Il sapere » 15 Hodie mihi... » 16 La Scuola » 17 A Edoardo Rod » 18 Fiorita » 19 Guidarello » 20 Amanti » 21 Maternità » 22 Le sorelle » 23 Don Giovanni all'inferno » 24 «Genialis Lectus» » 25 Vecchiaia sterile » 26 I Longevi » 27 È morto » 28 Amore: Donna » 31 Eva » 32 Amore » 33 Beatrice » 34 «Mia!» » 35 A due sposi » 36 Davanti a Sant'Orsola » 37 Leopardi » 38 Sibilla » 39 Omnis caro fœnum--I » 40 II » 41 Episodî: L'orfano » 45 Abbandonati » 46 L'iniziazione--I » 47 II » 48 III » 49 In memoria » 50 Ella? » 51 Schiava » 52 L'amica » 53 La cortigiana e l'apostolo » 54 Dopo il festino » 55 Nascita » 56 Il gorgo » 57 Le zanzare » 58 Sull'altura di Greenwich » 59 Patria: Villaggio natìo » 63 Circolo vitale » 64 I dissodatori » 65 A uno straniero » 66 Al popolo d'Italia--I » 67 II » 68 L'appello » 69 Bruto ultimo » 70 In un museo lontano » 71 Garibaldi--I » 72 II » 73 III » 74 La natura: Pan » 77 Tu lavorerai! » 78 La Ruota » 79 Linguaggio » 80 Musica » 81 Aer » 82 O mare! » 83 Il padre » 84 Il figlio » 85 Oro » 86 Occhi » 87 L'asceta » 88 In piedi! » 89 Bellezza femminea » 90 Il mistero: Nostalgia mistica » 93 Scienza » 94 San Giovanni » 95 Anima » 96 In memoria di Furio De Amicis--I » 97 II » 98 III » 99 Stupor Sacro » 100 Le Ipotesi » 101 Umanità: Duplex, omnis et unus » 105 Lotta per la vita » 106 Le Città » 107 Su un orologio » 108 Il pessimista » 109 Riso e pianto » 110 Il Santo » 111 In Aracœli » 112 Ecce homo » 113 Il Martire » 114 Gocce di sangue » 115 Ahasvero » 116 L'uomo tragico » 117 Universo: Le forme » 121 I Minimi » 122 Al Foro Romano » 123 Mosè » 124 Altrove! » 125 Marte » 126 L'astro morto--I » 127 II » 128 Al timone! » 129 Elevazione notturna » 130 Nota » 132 +Biblioteca Romantica della «Nuova Antologia»+ 1. _Cenere_, romanzo di GRAZIA DELEDDA. L. 3. 2. _Gli Ammonitori_, romanzo di GIOVANNI CENA. L. 2.50. 3. _I Nipoti della Marchesa Laura_, romanzo di DANIELI-CAMOZZI e MANFRO-CADOLINI. L. 3. 4. _Storia di Due Anime_, romanzo di MATILDE SERAO. L. 3.50. 5. _Il fu Mattia Pascal_, romanzo di LUIGI PIRANDELLO. L. 3. 6. _L'Ultima Dea_, romanzo di C. DEL BALZO. L. 3. 7. _Nostalgie_, romanzo di GRAZIA DELEDDA. L. 3.50. 8. _L'Illustrissimo_, romanzo di A. CANTONI. L. 2.50. 9. _Ore Calle_, sonetti romaneschi di AUGUSTO SINDICI. L. 2.50. 10. _Dopo il perdono_, romanzo di MATILDE SERAO. L. 4. 11. _La via del male_, di G. DELEDDA. L. 3.50. 12. _I Cantanti celebri_, di GINO MONALDI. L. 3. 13. _L'ombra del passato_, romanzo di GRAZIA DELEDDA. L. 3.50. 14. _Homo_, sonetti di GIOVANNI CENA. L. 2.50. Presso la Direzione della «Nuova Antologia», Via San Vitale, 7--Roma e presso i principali librai. NUOVA ANTOLOGIA RIVISTA DI LETTERE, SCIENZE ED ARTI Si pubblica il 1º ed il 16 di ciascun mese in fascicoli illustrati di circa 200 pagine ciascuno ROMA Direttore: MAGGIORINO FERRARIS DEPUTATO AL PARLAMENTO La _NUOVA ANTOLOGIA_ è la più antica e la più importante Rivista italiana di lettere, scienze ed arti. Fondata nel 1866, nel corso di quarant'anni, essa ha continuamente accresciuta la sua diffusione in paese ed all'estero e rappresenta il movimento del pensiero della Nuova Italia. I 24 fascicoli della Rivista formano ogni anno sei grossi volumi e costituiscono una ricca collezione letteraria, scientifica ed artistica. La _NUOVA ANTOLOGIA_ è la Rivista delle famiglie distinte e delle persone colte. Essa pubblica regolarmente romanzi, poesie, articoli critici e viaggi degli autori e delle scrittrici più eminenti. Alle più importanti questioni di politica interna ed estera ed ai problemi economici e sociali del tempo, la _NUOVA ANTOLOGIA_ dedica studii ed articoli dovuti alla penna dei più autorevoli Senatori, Deputati e Professori d'Università. Questi articoli, che sono una vera specialità della Rivista, sollevano sempre le più larghe discussioni nella stampa internazionale. La _NUOVA ANTOLOGIA_ è indispensabile a tutte le persone che aspirano ad avere una cultura moderna e che amano seguire il movimento del pensiero italiano ed estero. I principali articoli d'arte, di storia e di viaggi sono riccamente illustrati. AMMINISTRAZIONE E DIREZIONE ROMA * * * * * NOTE DI TRASCRIZIONE: --Ovvi errori di punteggiatura sono stati corretti; --Sia il termine "desiosi" sia il termine "desïosi" vengono utilizzati nel testo; --Sia il termine "folgori" sia il termine "fólgori" vengono utilizzati nel testo; --Sia il termine "generazioni" sia il termine "generazïoni" vengono utilizzati nel testo; --Sia il termine "inquieti" sia il termine "inquïeti" vengono utilizzati nel testo; --Sia il termine "italiano" sia il termine "italïano" vengono utilizzati nel testo; --Sia il termine "oblìo" sia il termine "oblio" vengono utilizzati nel testo; --A pag. 20, la preposizione "Nel" è corretta in "nel" all'interno del titolo della poesia "Guidarello"; --Altre inconsistenze grammaticali nei titoli delle poesie sono mantenute come nel testo originale; --A pag. 40, il termine "lavorio" è mantenuto (Sotto un tessuto come di corolle tepide un lavorio profondo sento); --A pag. 125, "V'e" è un errore di stampa corretto con "V'è" (V'è nella corona immensa del Sole); --A pag. 133, i puntini di sospensione sono aggiunti al titolo della poesia "Hodie mihi..."; --A pag. 134, il numero di pagina de "La cortigiana e l'apostolo" è stato corretto; --A pag. 136, l'articolo "la" è stato aggiunto al titolo della poesia "Lotta per la vita". *** End of this LibraryBlog Digital Book "Homo" *** Copyright 2023 LibraryBlog. 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