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Title: Trattato generale di Archeologia e Storia dell'Arte - Italica, Etrusca e Romana
Author: Gentile, Iginio, Ricci, Serafino
Language: Italian
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*** Start of this LibraryBlog Digital Book "Trattato generale di Archeologia e Storia dell'Arte - Italica, Etrusca e Romana" ***


(This file was produced from images generously made


                             MANUALI HOEPLI

                         I. GENTILE — S. RICCI


                     ARCHEOLOGIA E STORIA DELL'ARTE
                       ITALICA, ETRUSCA E ROMANA

                                 TESTO

                       Con 96 Tavole Illustrative



                             ULRICO HOEPLI
                    EDITORE LIBRAIO DELLA REAL CASA
                                 MILANO


                                 —————


                             MANUALI HOEPLI

                           TRATTATO GENERALE
                                   DI

                     Archeologia e Storia dell'Arte
                       ITALICA, ETRUSCA E ROMANA

                    3ª edizione interamente rifatta

                        SULLA 2ª DEL PROFESSORE
                            _IGINIO GENTILE_

       con introduzioni bibliografiche ed appendici sulle ultime
                   scoperte e questioni archeologiche
     illustrata da novantasei tavole aggiunte ed inserite nel testo

                        PER CURA DEL PROF. DOTT.
                            _SERAFINO RICCI_

  Conservatore Aggiunto al R. Gabinetto Numismatico di Brera in Milano,
           Libero docente di Antichità ed Epigrafie classiche
        presso la R. Accademia Scientifico-Letteraria di Milano,
           e di Archeologia presso la R. Università di Pavia.



                             ULRICO HOEPLI
                    EDITORE-LIBRAIO DELLA REAL CASA
                                 MILANO
                                  1901



                          PROPRIETÀ LETTERARIA

                   TIP. A. LOMBARDI di V. BELLINZAGHI
                  MILANO — 7. FIORI OSCURI 7. — MILANO



                                 A VOI

                        GIOVANI ALUNNI DEI LICEI
             DELLE ACCADEMIE, DELLE ALTRE SCUOLE SUPERIORI
                         E SECONDARIE DI MILANO
                  CHE VOLONTEROSI E DILIGENTI SEGUISTE
                        IL PRIMO CORSO PUBBLICO

                                   DI
                     ARCHEOLOGIA E STORIA DELL'ARTE

               CONCESSO DALL'EX-MINISTRO BACCELLI PER VOI
                     CONFERMATO DAL MINISTRO GALLO
                       PER TUTTI I LICEI D'ITALIA
                        AUSPICE ENRICO PANZACCHI

                 INTERPRETE DEL PENSIERO, DEL DESIDERIO
                                   DI

                             IGINIO GENTILE

                 QUESTA TERZA EDIZIONE DEL SUO MANUALE
                  BENE AUGURANDO DEGLI STUDI CLASSICI
                           DELL'ARTE ITALIANA
                  OFFRE IL VOSTRO PROFESSORE ED AMICO



PREFAZIONE


Questo volume, secondo i criterî dell'illustre e compianto prof.
Gentile, non dovrebbe avere introduzione, perchè questa sta dinanzi
al II volume per l'archeologia e per l'arte greca. Ma ragioni di
opportunità indussero l'editore comm. Hoepli a far precedere nella
stampa questo volume, quantunque anche l'altro sia già consegnato
manoscritto e pronto per la stampa, anzi possa dirsi ormai in lavoro.

Occorre quindi che, se non una introduzione, qualche parola di
prefazione si premetta per presentare questo secondo volume al lettore
prima del primo, e sotto una veste, come ognun vede, alquanto diversa
da quella della precedente edizione.

Il fine dell'editore fu di supplire alla lacuna di una terza edizione
del testo esaurito, lasciando l'Atlante relativo com'era al tempo della
seconda edizione. Quindi non si doveva mutare il criterio generale
di disposizione del lavoro del Gentile, ma d'altra parte bisognava
completare le lacune e del testo e dell'Atlante. Ricevendo io pertanto
il delicato incarico dalla fiducia dell'editore, ebbi costante scrupolo
di mantenere del Gentile quanto potevasi mantenere, e, pur adattandone
il testo alla nuova edizione, alterarlo solo per quel tanto ch'era
necessario per metterlo in luce maggiore.

Certe divisioni in periodi, certi paragrafi sottolineati ed ampliati
con le dovute note bibliografiche, non tutte riunite, come usava il
Gentile, alla fine di un intero periodo, ma a fine pagina, secondo che
suggerisce il testo o la necessità di ricerche più profonde, erano
modificazioni divenute ormai necessarie per far meglio conoscere il
lavoro coscienzioso e sotto ogni rapporto lodevole di quella mente
colta e veramente gentile, che scriveva bene italiano e sentiva quel
che scriveva, senza lasciarsi sopraffare dalla troppa erudizione,
troppo spesso straniera.

Per questa parte del lavoro non voglio paternità, ma la riconosco dal
Gentile, essendo quasi totalmente formali le mie modificazioni. Ciò
che posso dire mio sta nelle aggiunte, non col fine di migliorare il
testo, perchè non sento di arrogarmi questa abilità, ma con quello
di aggiungervi quei particolari che il Gentile non poteva conoscere,
perchè furono il risultato di scavi e di ricerche posteriori alla sua
seconda edizione. Non sono dunque queste aggiunte un biasimo o uno
sfregio alla memoria del Gentile, ma un complemento doveroso, che il
Gentile stesso avrebbe aggiunto, in modo più completo e perfetto di
me, se non fosse stato tolto troppo presto alla stima e all'affetto dei
colleghi e dei discepoli.

Sono quindi mie molte delle note a pie' pagina, le appendici, e
tutte le tavole scelte, compilate e fatte riprodurre non solo a
schiarimento del testo, ma a complemento indispensabile di un atlante
che, così com'è oggi, non risponderebbe neanche debolmente allo
scopo. Per agevolare la consultazione dell'Atlante e i confronti con
le tavole aggiunte ho unito un indice di queste ultime e, per quelle
dell'Atlante, un elenco comparativo tra le citazioni del Manuale della
seconda edizione e quelle del testo riveduto e corretto di questa
terza, che ora presento ai lettori. Così aggiunsi nella nuova edizione
i riferimenti alle tavole vecchie e nuove; testo e atlante formano
nell'ultima edizione un tutto più organico ed omogeneo, che non può non
giovare maggiormente alla coltura e alla pronta consultazione di chi
legge.

La parte da me rifatta ed ampliata, sulla quale desidero di richiamare
soprattutto l'attenzione degli studiosi, è quella paletnologica,
o più propriamente preromana, che, anche dopo la pubblicazione del
_Bullettino di paletnologia italiana_ e dell'opera magistrale del
Montelius, era rimasta monca e insufficiente, nè poteva ricevere luce
dal lavoro speciale del Regazzoni sulla _Paleoetnologia_ (Milano,
Hoepli, 1885), poichè quest'opera è quasi totalmente priva di quelle
illustrazioni che sono indispensabili a ben distinguere e a ritenere
le differenze fra età ed età, fra tecnica e tecnica; per questa parte
presi appunto a modello le belle tavole del Montelius.

Un altro contributo non meno utile e forse più interessante è dato
dai ritrovamenti sul Foro Romano e a Pompei. Tanto per la parte
preistorica, quanto per quest'ultima dell'Impero Romano mi aiutò
efficacemente l'intelligente ed opportuna liberalità del comm. Hoepli,
che sa conciliare sempre bene l'interesse del pubblico e proprio con
le esigenze più moderne della scienza e dell'arte, non indietreggiando
mai, qui, nella sua patria d'adozione, dinanzi a lavori che, nel dare
lustro alla sua Casa, siano opera italiana e meglio riuscita. A lui noi
italiani dobbiamo, più che a molti altri, il rispetto che gli stranieri
hanno ancora per buona parte della nostra produttività scientifica e
letteraria.

Ben novantasei tavole furono aggiunte, quali inserite nel testo, quali
doppie fuori testo, a questo volume dell'archeologia e della storia
dell'arte italica, etrusca e romana, e sono appena sufficienti — ognuno
dei competenti lo può riconoscere — a rendere una idea approssimativa
della grande epoca e della grande arte che vi si tratta.

                                   *
                                  * *

Ed ora una parola non al pubblico degli studiosi e dei dilettanti, che
apprezzano la divulgazione scientifica ed artistica in qualsiasi modo
sia fatta, purchè sia divulgazione utile al maggior numero di persone,
ma una parola a quelli fra gli specialisti che, pel solo fatto che
trattasi di un _Manuale Hoepli_, non fanno buon viso anche a lavori
fatti con ottimi intendimenti e con novità e serietà di trattazione.
Gran bella cosa senza dubbio è la scienza pura, ma non meno bella e
forse più utile è la scienza applicata alle cognizioni pratiche, e che
diventa pel gran pubblico mezzo potente di istruzione e di educazione
intellettuale e morale. Un Manuale utile deve saper conciliare i
progressi della scienza e dell'arte con la loro funzione sociale.
Ora, nella difficoltà di raggiungere insieme i due fini, io cercai di
presentare un Manuale il più possibile facile, esatto, completo per
il maggior numero dei lettori, che possono leggerlo d'un fiato, come
si suol dire, prescindendo da tutte, o quasi le osservazioni e le
critiche; ma collocai nelle note, nelle appendici, nella bibliografia
tutto quel repertorio scientifico, che è indispensabile per attingere
da fonti maggiori e dirette una preparazione più estesa e più profonda
intorno ad ogni singolo argomento. Per questo appunto ho diviso gli
indici bibliografici in generali e particolari, sicchè lo studioso già
iniziato nelle discipline archeologiche trovi nell'uno o nell'altro ciò
che più gli conviene per le sue ricerche.

E per questo ho bisogno — il lettore se lo imagina da sè — di tutta la
benevolenza del pubblico dotto, se in citazioni così minuziose e talora
di difficile controllo per la mancanza della pronta consultazione siano
sfuggite inesattezze e anche errori di lingua e di stampa; a tutto sarà
rimediato nella revisione più calma e più agevole di un'altra edizione.
Per conto mio, per quanto io abbia cercato di usare quella scrupolosa
esattezza che in lavori di tal genere non è mai troppa, preferisco, per
mio carattere personale, di aggiungere qualche nota, o qualche nome
d'autore di più, il quale schiuda alle menti giovanili nuovo campo
di ricerche, che non poche notizie troppo speciali, o vagliate allo
staccio di una ipercritica talora più dannosa che utile.

Che se alcuno trovasse eccessiva la bibliografia premessa alla parte
romana, pensi alla vastità e quantità dei temi proposti, e alla
imprescindibile necessità, col progresso odierno degli studî, di tener
calcolo di tutti i lavori dei dotti, specialmente stranieri, prima di
accingersi alla trattazione di un argomento qualsiasi. La bibliografia,
in questo caso, è come la face indispensabile al metodo storico, perchè
questo irradii nuova luce di verità e di bellezza sulle questioni
archeologiche e artistiche dei nostri tempi.

Di questo Manuale vorrei soprattutto facessero tesoro i giovani
studenti dei licei d'Italia, come già ne fecero in parte tesoro,
con la guida delle mie lezioni di storia dell'arte, quelli de' licei
di Milano, ai quali dedico il lavoro, augurandomi che il loro buon
senso e buon gusto, il loro amor patrio per i tesori d'arte italiani
facciano riconoscere meglio delle circolari ministeriali e degli
insegnamenti complementari la necessità dello studio dell'archeologia
e dell'arte come complemento agli studî classici, che solo alla luce
dei ritrovamenti archeologici e dei capilavori d'arte potranno far
rifluire nuova vena feconda di produzioni letterarie ed artistiche
in questo antico sangue latino, occupato nelle cure più urgenti della
patria e della società, e troppo dimentico, in quest'ultimo periodo,
delle nobili tradizioni classiche italiane e dell'intatto patrimonio di
tesori artistici che gli avi ci consegnarono.

A voi, giovani, tocca non solo il conservare questo patrimonio, ma
il farlo rifiorire. Possano gli sforzi dell'autore e l'infaticabile
attività dell'editore riuscire in questo intento, che certo desidera
pure dal suo meritato soggiorno di riposo l'anima candida e virtuosa di
Iginio Gentile!

  _Milano, Febbraio 1901._

                                                      SERAFINO RICCI.



Indice del Testo


                                                             Pag.

  PREFAZIONE                                                  VII
  INDICE DEL TESTO                                           XIII
  INDICE DELLE TAVOLE INSERITE NEL TESTO                      XXI
  Indice generale delle tavole contenute nell'Atlante del
    _Gentile per l'Archeologia e la Storia dell'Arte
    italiana, etrusca e romana_, con le citazioni
    delle pagine di testo corrispondenti alle tavole
    della II edizione, confrontate con quelle della
    III edizione                                            XXVII
  INDICE DEI PERIODICI PRINCIPALI DI ARCHEOLOGIA             XXXI


  =I. ARTE ITALICA=                                         1-102

  =Bibliografia=                                              1-9
  Opere di carattere generale                                 1-4
  Antichità preistoriche dell'Italia Settentrionale. Civiltà
    transpadana                                               4-5
  Terremare e abitazioni lacustri                             5-6
  La civiltà di Felsina e di Villanova, e, in genere, del
    Bolognese e dell'Etruria                                  6-7
  Il Lazio e le sue necropoli — Corneto-Tarquinia               7
  Este e le necropoli euganeo-atestine                        7-8
  Civiltà paleo-etrusca — Antichità di Marzabotto, di
    periodo etrusco                                             8
  Antichità preistoriche dell'Italia Meridionale e delle
    isole                                                       8
  Osservazioni generali intorno lo stile italico                9

  =I. Introduzione=                                         10-14
  _Appendice I._ Le varie età preistoriche e i loro
    periodi                                                 14-17
  II. L'arte italica nelle terremare                        17-27
  III. La civiltà e l'arte a Felsina                        28-41
  _Appendice II._ Dell'importanza delle fibule come
    dato archeologico nelle età preistoriche, e loro
    cronologia                                              41-45
  _Appendice III._ Confronto tra la situla della
    Certosa e lo scudo d'Achille                            45-47
  IV. La civiltà e l'arte a Villanova                       49-52
  V. La civiltà e l'arte nelle necropoli del Lazio          52-56
  VI. La civiltà e l'arte nelle necropoli euganee-atestine  56-66
  _Appendice IV._ Diffusione delle situle italiche di
    bronzo e di terracotta in Italia                        66-67
  _Appendice V._ Elenco delle ciste a cordoni e delle
    situle istoriate, e loro distribuzione geografica.
      1. Ciste a cordoni                                    67-69
      2. Situle istoriate                                   69-70
  _Appendice VI._ La distribuzione dei periodi di
    civiltà nelle necropoli atestine                        70-71
  VII. La civiltà e l'arte nell'Agro Chiusino e a
    Corneto-Tarquinia                                       71-76
  VIII. Conclusione sulla civiltà e sull'arte
    umbro-felsinea, e prisca latina                         77-78
  IX. Civiltà ed arte etrusca alla Certosa e a Marzabotto   78-88
      1. Antichità della Certosa                            78-82
      2. Antichità di Marzabotto                            82-88
  X. Osservazioni generali intorno allo stile italico       89-99
  _Appendice VII._ Della decorazione geometrica, degli
    altri motivi e delle varie tecniche artistiche
    importate in Italia nel periodo protoitalico           99-101
  _Appendice VIII_: Osservazioni intorno ai Pelasgi
    e ai loro monumenti                                   101-102


  =II. ARTE ETRUSCA=                                      103-168

  =Bibliografia=                                          105-108
  Opere generali e speciali sulla topografia, sui
    monumenti e sull'origine degli Etruschi               105-107
  Architettura e scultura etrusca                             107
  Pittura etrusca                                             108
  Ceramica, specchi e arti minori presso gli Etruschi         108

  I. Origine e carattere dell'arte etrusca. — Suoi rapporti
    con l'arte italica                                    109-113
  _Appendice I._ Sulla provenienza degli Etruschi         114-119
  Le tre grandi divisioni dell'arte etrusca               120-168

  _A._ =Architettura degli Etruschi=                      120-131
  I. Architettura civile e militare                           120
  II. Architettura privata                                    122
  III. Architettura religiosa                                 123
  IV. Costruzioni di forma singolare                      130-131

  _B._ =Plastica degli Etruschi=                          131-143
  I. Arte figurativa                                          132
  _Appendice II._ Osservazioni intorno all'arte
    plastica degli Etruschi                               143-146
  II. Toreutica etrusca
      1. Osservazioni generali                                146
      2. Candelabri                                           147
      3. Specchi                                              148
      4. Le ciste a cordoni                               149-154

  _C._ =Pittura etrusca=                                  154-166
  I. Osservazioni generali                                154-157
  II. Le due scuole pittoriche principali                 157-160
  III. Ceramica etrusca                                   160-166
      1. Osservazioni generali                            160-161
      2. Vasi toscanici                                       161
      3. Vasi d'imitazione greca                              161
      4. Vasi detti _buccheri_                            162-164
      5. Vasi aretini                                     164-166
  _Appendice III._ Le ultime ricerche sugli Etruschi
    e la fondazione del Museo topografico dell'Etruria
    a Firenze                                             166-168


  =III. ARTE ROMANA=                                      169-331

  =Bibliografia.=
  I. Opere di carattere generale.
    Architettura e Archeologia generale                   171-172
    Plastica                                              174-178
    Pittura                                               178-179
  II. Opere di carattere speciale.
    Architettura, Archeologia e Topografia                179-182
    Plastica                                              182-186
    Pittura e Mosaico                                     186-187

  I. Osservazioni generali                                188-196
  II. Storia dell'arte romana e greco-romana, e
    divisione nei suoi periodi                            196-197

  PRIMO PERIODO DELL'ARTE ROMANA

  I. =Architettura=
  _A. Parte I del Primo Periodo_                          198-213
      1. I monumenti di Roma monarchica                   198-202
      2. Il tempio di Giove Capitolino                    202-206
      3. Il tempio e i tre ordini architettonici
        secondo l'uso romano                              206-209
      4. Monumenti funerarî e di pubblica utilità in
        Roma                                              209-210
      5. L'introduzione dell'arco e della vôlta
        nell'architettura romana                          210-211
      6. La derivazione delle acque: acquedotti, terme,
        fontane                                           211-213
      7. La sistemazione delle strade e della viabilità       213
  _B. Parte II del Primo Periodo._
  I. L'arte in Roma sotto l'influenza greca                   213
      1. Osservazioni generali                            213-216
      2. Colonne ed archi onorarî in Roma                 216-217
      3. Le basiliche                                         217
      4. I teatri e i circhi                                  218
      5. I monumenti sepolcrali                           218-219

  II. =Plastica.=
      1. Osservazioni generali                            219-221
      2. La plastica romana applicata alle ciste
        istoriate                                         221-224

  III. =Pittura=                                          224-226

  SECONDO PERIODO DELL'ARTE ROMANA

  Osservazioni generali                                       227
  Le opere greche importate in Roma                       227-230

  _A._ =Architettura=                                     230-310
  I. _Le principali classi di monumenti_                  231-232
      1. I teatri e gli anfiteatri in Roma                230-234
      2. I circhi e gli anfiteatri. I ludi gladiatorî     234-235
  II. _I monumenti degli imperatori della_ “Gens
    Iulia„                                                235-238
      1. Il Foro d'Augusto                                238-242
      2. Il Pantheon                                      242-248
      3. Il Mausoleo D'Augusto                            248-249
      4. L'obelisco di Monte Citorio e altri monumenti
        di stile egizio                                   249-252
      5. I monumenti sepolcrali: i “Columbaria„           252-253
      6. Gli archi trionfali                              253-254
  III. _I monumenti degli imperatori della_ “Gens
    Claudia„                                                  254
      1. L'“Aqua Claudia„ e l'“Anio Vetus„ a Roma         254-255
      2. La “domus aurea„ di Nerone                       255-256
  IV. _I monumenti degli imperatori della_ “Gens
    Flavia„                                               256-267
      1. L'Anfiteatro Flavio, o “Colosseo„. — La sua
        struttura                                         256-259
      2. Le terme di Tito                                 259-264
      3. L'arco di Tito                                   264-265
      4. Opere dell'imperatore Domiziano. I “Fora„
        minori                                            266-267
  V. _I monumenti degli imperatori Trajano ed
    Adriano_                                              267-280
      1. Il “Foro Trajano„ e i suoi monumenti             267-271
      2. La “Colonna Trajana„                             271-272
      3. Opere dell'imperatore Trajano                    272-274
      4. Il gran tempio di Venere e Roma sotto Adriano,
       detto _templum Urbis_                              274-275
      5. La Villa d'Adriano a Tivoli                      275-277
      6. La “Mole Adriana„, o Mausoleo dell'imperatore
        Adriano                                           277-278
      7. Opere minori dell'imperatore Adriano             278-280
  VI. _I monumenti degli Antonini e dopo gli
    Antonini_                                             280-283

  _B._ =Plastica.=
  I. Osservazioni generali                                284-287
  II. Artisti greci in Roma                               288-289
      1. Pasitele, Stefano e Menelao                          288
      2. Arcesilao                                            288
      3. Zenodoro                                             289
  III. Artisti romani (Coponio e Decio)                       289
  IV. L'arte delle personificazioni nella plastica romana     290
  V. L'arte del ritratto in Roma                          290-295
      1. I ritratti della Repubblica                          292
      2. I ritratti dell'Impero                           292-293
      3. I “simulacra iconica„ e le statue idealizzate    293-295
      4. Statue equestri                                  295-296
  VI. La scultura storica in Roma                         296-302
      1. Osservazioni generali                            296-298
      2. I bassirilievi della Colonna Trajana             208-300
      3. Altri bassirilievi storici in Roma               300-302
  VII. La scultura sepolcrale in Roma. I sarcofaghi 302-303
  VIII. Arti minori                                       303-306

  _C._ =Pittura.=
  I. Osservazioni generali. — Pittori greci               306-307
  II. Pittori romani della Repubblica e dell'Impero       307-309
  III. I dipinti celebri a noi rimasti                    309-318
      1. Le Nozze Aldobrandine                                309
      2. I dipinti delle terme di Tito                    309-311
      3. I dipinti della Villa di Livia a Prima Porta         311
      4. Gli affreschi murali d'Ercolano e di Pompei      311-313
      5. Dei quadri “di genere„                           313-317

  TERZO PERIODO DELL'ARTE ROMANA

  I. =Architettura=                                       318-329
      1. Il Settizonio                                    318-319
      2. L'arco di Settimio Severo                            319
      3. L'Arco di Costantino                             319-323
      4. Le Terme di Caracalla e di Diocleziano e le
        loro opere d'arte                                 323-324
      5. Le rovine di Palmira                             324-326
      6. Il palazzo imperiale a Spalato (o Spâlatron)     326-329

  II. =Plastica=                                          329-330
  III. =Pittura=                                          330-331


  =APPENDICE.=

  Degli scavi e delle scoperte recenti sul Foro Romano    332-346
  Metodo ed estensione degli scavi recenti                    332
  La “Sacra Via„                                          332-334
  Il “Comitium„ e il “Niger Lapis„                        334-339
  La stele inscritta del Comizio                          336-340
  Il tempio di Vesta e la “Domus„ delle Vestali, secondo
    le recenti esplorazioni                               340-343
  Altri centri minori d'escavo                            343-346
  La “Cloaca Maxima„                                          346



INDICE

delle Tavole inserite nel Testo


I. — =ARTE ITALICA.=

                                                             Pag.
  Tav. 1. Torbiera di Mercurago (Arona)                        13
   „   2. Torbiera di Cazzago Brabbia (Varese)                 16
   „   3. Palafitta di Peschiera                               19
   „   4. Terramare di Castione de' Marchesi (Parma)           22
   „   5. Oggetti vari provenienti dalle provincie al
            Nord del Po                                        23
   „   6. Necropoli di Golasecca                               26
   „   7. Necropoli di Castelletto Ticino                      27
   „   8. Veduta generale della Porta detta _dei Leoni_
            a Micene                                           29
   „   9. Pietra scolpita centrale della Porta detta _dei
            Leoni_ a Micene                                    30
   „  10. Porta antichissima di Bologna                        31
   „  11. Necropoli della Provincia di Milano (Bazzano)        34
   „  12. Necropoli di Bologna (Periodo Benacci I)             35
   „  13. Necropoli di Bologna (Periodo Benacci I)             38
   „  14. Necropoli di Bologna (Periodo Benacci II)            39
   „  15. (_doppia_). La fibula in bronzo lavorata a
            sbalzo dalla Certosa di Bologna                 40-41
   „  16. Necropoli di Bologna (Periodo Benacci II)            42
   „  17. Necropoli di Bologna (Periodo Benacci III)           43
   „  18. Necropoli a incinerazione di Bismantova              48
   „  19. Necropoli di Villanova (Bologna)                     51
   „  20. (_doppia_). Suppellettile di due tombe
            atestine                                        58-59
   „  21. Antichità di Villa Benvenuti presso Este             60
   „  22. Antichità del Fondo Baratela presso Este             62
   „  23. Antichità del Fondo Baratela presso Este             63
   „  24. (_doppia_). La situla lavorata a sbalzo di
            Watsch nella Carniola, e frammenti d'altre
            situle                                          64-65
   „  25. (_doppia_) Motivi ornamentali di vasi
            fittili atestini ottenuti con le borchie di
            bronzo confitte nella loro terra ancor molle    66-67
   „  26. Scavi della Certosa di Bologna (Periodo etrusco)     80
   „  27. Scavi di Marzabotto (Provincia di Bologna.
            Periodo etrusco)                                   83
   „  28. Scavi di Marzabotto (Provincia di Bologna.
            Periodo etrusco)                                   84
   „  29. Scavi di Marzabotto (Provincia di Bologna.
            Periodo etrusco)                                   88

II. — =ARTE ETRUSCA.=

  „  30. (_doppia_). Maschere, canopi e seggi cinerarî
           in bronzo e in terra cotta d'uso funebre e
           di lavoro etrusco                             132-133
  „  31. Frammenti di una statua fittile di Apollo (dal
           frontone del tempio di _Luni_)                    135
  „  32. Chimera in bronzo, ritrovata ad Arezzo, nel
           1554, di lavoro etrusco                           140
  „  33. Carro con cavalli alati (stile cipriota)            144
  „  34. La celebre cista Ficoroni                           150
  „  35. Oreficeria etrusca (Museo del Louvre)               152
  „  36. (_doppia_). Danza bacchica e caccia             154-155
  „  37. (_doppia_). Pitture chiusine, rinvenute
           nell'anno 1833                                154-155
  „  38. Testa di un Citaredo (dalla tomba del Citaredo
           a Corneto)                                        156
  „  39. Testa di una danzatrice (dalla tomba del
           Citaredo a Corneto)                               156
  „  40. (_a-b_). Danza bacchica                             158
  „  41. Dalla tomba dall'Orco a Corneto (Ritratto di
           _Arnth Velchas_)                                  159
  „  42. Vasi etruschi in bucchero di varie forme
           (provenienti da Chiusi)                           163

III. — =ARTE ROMANA.=

  „  43. (_doppia_). Pianta del Colle Palatino e dei
           suoi edifici con gli ampliamenti del periodo
           imperiale                                     198-199
  „  44. Il tempio di Vesta al Foro Romano                   200
  „  45. Ruderi delle Mura Serviane                          201
  „  46. (_doppia_). Tempio della Fortuna Virile
           in Roma                                       202-203
  „  47. La Cloaca Maxima al punto di confluenza nel
           Tevere                                            203
  „  48. Il Teatro minore di Pompei                          233
  „  49. Il Circo Massimo a Roma (ricostruzione)             236
  „  50. La _Aedes Concordiae Augustae_ a Roma
           (ricostruz.)                                      237
  „  51. I _Rostra_ d'Augusto sul Foro Romano
           (ricostruz.)                                      239
  „  52. Il Foro di Augusto a Roma                           240
  „  53. Il Foro di Augusto a Roma (ricostruzione)           241
  „  54. Il Mausoleo di Augusto a Roma (ricostruzione)       247
  „  55. La Piramide di C. Cestio a Roma, fuori di Porta
           San Paolo                                         250
  „  56. L'Isola Tiberina a Roma                             251
  „  57. La casa dei _Vettii_ a Pompei: il cortile           261
  „  58. (_doppia_). La casa dei _Vettii_: il
           fregio degli amorini orafi                    260-261
  „  59. La casa dei _Vettii_ a Pompei. Parete
           dipinta nel piccolo _oecus_                       262
  „  60. (_doppia_). Vasi di metallo per diversi
           usi                                           262-263
  „  61. Vasi in metallo ritrovati a Pompei e ad Ercolano    263
  „  62. Il Foro di Nerva a Roma: il Portico di Minerva      265
  „  63. Il Foro Trajano a Roma (Colonna Trajana)            268
  „  64. Il Foro Trajano a Roma (Pianta della Basilica
           Ulpia)                                            269
  „  65. Il Ponte Elio e il Mausoleo di Adriano in Roma      276
  „  66. Il tempio di Antonino e Faustina                    279
  „  67. La Colonna onoraria a Marco Aurelio in Piazza
           Colonna a Roma                                    281
  „  68. (_doppia_). Bassirilievi marmorei dell'età
           di Augusto. _L'Ara Pacis Augustæ_             296-297
  „  69. (_doppia_). Bassirilievi dei plutei marmorei,
           o _anaglypha_, dell'età di Trajano            298-299
  „  70. Rilievo marmoreo dell'età di Adriano                299
  „  71. Rilievo marmoreo dell'età di Adriano                301
  „  72. Dipinto della casa di Livia (Io liberata da Ermes)  308
  „  73. Dipinto pompeiano (Amazzone seduta)                 310
  „  74. (_doppia_). Parete dipinta di una casa
           romana: la villa Farnesina                    310-311
  „  75. (_doppia_). La Battaglia d'Isso. Musaico
           di Pompei                                     312-313
  „  76. (_doppia_). Scene della vita di palestra.
           Musaico di Frascati                           312-313
  „  77. (_doppia_). Parete dipinta nella casa
           della “Parete nera„ a Pompei                  314-315
  „  78. (_doppia_). Scena di paesaggio antico:
           dipinto rinvenuto sull'Esquilino              314-315
  „  79. Pianta della casa dell'edile Pansa a Pompei         314
  „  80. Pianta della casa dell'edile Pansa a Pompei
           (Sezione longitudinale)                           315
  „  81. Atrio della casa di Sallustio a Pompei              316
  „  82. Il _Septizonium_ di Settimio Severo                 318
  „  83. Pianta del Circo di Massenzio a Roma                321
  „  84. Pianta delle Terme di Caracalla a Roma              322
  „  85. Pianta del Palazzo di Diocleziano a Spalato         325
  „  86. L'Arco di Giano Quadrifronte all'ingresso del
           Foro Boario a Roma                                327
  „  87. Pianta della Basilica di Costantino a Roma          328
  „  88. La _Sacra Via_ del Foro Romano durante gli
           scavi recenti a Roma                              331
  „  89. Veduta esterna del _niger lapis_ scoperto
           a Roma negli scavi recenti sul Foro Romano        333
  „  90. Il cippo inscritto rinvenuto sul Foro Romano        335
  „  91. (_doppia_). L'iscrizione della stele del
           Comizio, rinvenuta negli scavi del Foro Romano
           (con trascrizione)                            336-337
  „  92. Veduta delle differenti strutture, che
           costituiscono il rudere del Sacrario di Vesta     339
  „  93. Base dell'ara della _Basilica Iulia_,
           recentemente scavata sul Foro Romano              342
  „  94. La _Regia_ e un tratto della _Sacra Via_
           durante gli scavi recenti del Foro Romano         344
  „  95. Scavi recenti sull'area della _Regia_ al
           Foro Romano                                       345
  „  96. Rilievo grafico generale dell'area degli scavi
           recenti sul Foro Romano                           346



INDICE GENERALE

     delle tavole illustrative contenute nell'=Atlante= del =Gentile
     per l'archeologia e la storia dell'arte italica, etrusca e
     romana=, con le citazioni delle pagine di testo corrispondenti
     alle tavole nella II edizione, confrontate con quelle della
     III edizione, ove si descrive e si esamina le singole tavole.


                                               -----------------------
                                              |Citazione delle pag.   |
                                              |di testo corrispondenti|
                      I.                      |alle tavole            |
                                              |-----------------------|
                ARTE ITALICA.                 |   nella   |   nella   |
                                              | II ediz.  | III ediz. |
                                              |-----------|-----------|
  Tav.       I. 1. Freccie di selce;          |           |           |
                2. Sezione verticale di       |           |           |
                   marniera              Pag. |   2, 5, 6 |        12 |
   „        II. 1. Fusaiole d'argilla;        |           |           |
                2 e 3. Freccie ed ascia       |           |           |
                   di selce                   |      7, 8 |        21 |
   „       III. 1. _Paalstab_ di bronzo;      |           |           |
                2. Stoviglia a manico lunato; |           |           |
                3. Frammento di vaso con      |           |           |
                   principii di ornato        |   7, 8, 9 |     20-21 |
   „        IV. Tomba di Villanova            |        22 |        49 |
   „         V. Suppellettile funebre delle   |           |           |
                   tombe di Villanova         |     23-24 |        50 |
   „        VI. 1. Cista a cordoni;           |           |           |
                2. Vaso cinerario di Villanova|    18, 22 |    36, 50 |
   „       VII. Urna-capanna laziale          |     28-30 |        55 |
   „      VIII. 1. _Dolmen_ con urna capanna  |           |           |
                   (a Marino nel Lazio);      |           |           |
                2. Tomba a cassetta nella     |           |           |
                   necropoli d'Este (periodo  |           |           |
                   II euganeo)                |     31-33 |    55, 58 |
   „        IX. Vaso-tomba euganeo atestino   |           |           |
                   (periodo III)              |     34-35 |        59 |
   „         X. 1. Ossuario d'argilla con     |           |           |
                   borchiette (periodo II);   |           |           |
                2. Ossuario a zone            |           |           |
                   (periodo III)              |     32-34 |    58, 61 |
   „        XI. Oggetti delle tombe           |           |           |
                   euganeo-atestine           |     32-35 |        64 |
   „       XII. Tomba a pozzo di Corneto      |           |           |
                   Tarquinia                  |        41 |        74 |
   „      XIII. Ossuario o ciotola di Corneto |           |           |
                   Tarquinia                  |     41-43 |        74 |
   „       XIV. Urna capanna di Corneto       |           |           |
                   Tarquinia                  |        43 |   75, 123 |
   „        XV. Tomba a pozzo di Marzabotto   |        51 |        82 |
                                              |           |           |
                                              |           |           |
                       II.                    |           |           |
                                              |           |           |
                  ARTE ETRUSCA.               |           |           |
                                              |           |           |
                  ARCHITETTURA.               |           |           |
                                              |           |           |
  Tav.     XVI. 1. Frammenti di colonna       |           |           |
                   etrusca;                   |           |           |
                2. Pianta di tempio etrusco   |     80-81 |       124 |
   „      XVII. Tempio etrusco; restorazione  |     81-82 |       125 |
   „     XVIII. Porta di Volterra             |        78 |       121 |
   „       XIX. Tumulo etrusco                |     83-84 |       126 |
   „        XX. Camera sepolcrale, detta      |           |           |
                   “Grotta dei Tarquini„      |           |           |
                   presso Cervetri            |        87 |  127, 129 |
   „       XXI. Camera sepolcrale etrusca     |           |           |
                   presso Corneto Tarquinia   | 83-84, 87 |       129 |
   „      XXII, XXIII e XXIV. Camere          |           |           |
                   sepolcrali della Grotta    |           |           |
                   Campana                    |         — |       127 |
                                              |           |           |
                  PLASTICA.                   |           |           |
                                              |           |           |
  Tav.     XXV. Coppia di sposi defunti,      |           |           |
                   sopra sarcofago            |     95-96 |       138 |
   „      XXVI. Fanciullo col papero          |        98 |       142 |
   „     XXVII. Statua dell'Aringatore        |        98 |       142 |
   „    XXVIII. Marte etrusco                 |        98 |       140 |
   „      XXIX. 1. La lupa capitolina;        |           |           |
                2. La Chimera d'Arezzo        |        99 |       143 |
   „       XXX. Candelabro                    |       100 |       147 |
   „      XXXI. Specchio                      |       101 |       149 |
                                              |           |           |
                  PITTURA.                    |           |           |
                                              |           |           |
  Tav.   XXXII. Pittura parietaria etrusca,   |           |           |
                   in una tomba di Vulci      |       107 |       155 |
                                              |           |           |
                                              |           |           |
                        III.                  |           |           |
                                              |           |           |
                    ARTE ROMANA.              |           |           |
                                              |           |           |
                    ARCHITETTURA.             |           |           |
                                              |           |           |
                     _Periodo I._             |           |           |
                                              |           |           |
  Tav.  XXXIII. 1. Ordine dorico-romano;      |           |           |
                2. Ordine ionico-romano       |       145 |       208 |
   „     XXXIV. Ordine Corinzio-romano        |       145 |       208 |
   „      XXXV. Tempio romano                 |   143-144 |       207 |
   „     XXXVI. Tempio di Nimes; esempio di   |           |           |
                   prostilo pseudoperiptero   |       143 |  207, 209 |
   „    XXXVII. Il tempio di Vesta a Tivoli   |       144 |       207 |
   „   XXXVIII. Acquedotto. Porta Maggiore    |           |           |
                   in Roma                    |       135 |       212 |
   „     XXXIX. Sarcofago di L. Cornelio      |           |           |
                   Scipione Barbato           |       142 |       219 |
                                              |           |           |
                     _Periodo II._            |           |           |
                                              |           |           |
  Tav.      XL. 1. Pianta di teatro romano;   |           |           |
                2. Pianta del teatro di       |           |      218, |
                   Marcello in Roma           |   139-161 |  232, 242 |
   „       XLI. Esterno del teatro di         |           |           |
                   Marcello                   |       165 |  218, 242 |
   „      XLII. Tempio rotondo con atrio      |           |           |
                   prostilo (pianta del       |           |           |
                   Pantheon)                  |   165-170 |  208, 242 |
   „     XLIII. Pantheon (sezione)            |   165-170 |  208, 242 |
   „      XLIV. Pantheon (interno)            |   165-170 |  208, 242 |
   „       XLV. Tomba di Cecilia Metella;     |           |           |
                   Colombario dei liberti di  |           |           |
                   Livia                      |   163-172 |  232, 253 |
   „      XLVI. Colosseo (pianta)             |   175-179 |       258 |
   „     XLVII. Colosseo. Parte interna       |           |           |
                   (_cavea_) — e parte della  |           |           |
                   cinta esterna              |   176-179 |  234, 258 |
   „    XLVIII. Foro romano                   |      —    |       270 |
   „      XLIX. Colonna Trajana               |       184 |  272, 298 |
   „         L. Pianta del tempio di Venere   |           |           |
                   e Roma                     |       187 |  274, 275 |
                                              |           |           |
                    PLASTICA.                 |           |           |
                                              |           |           |
  Tav.      LI. Busto di Scipione Africano    |           |           |
                   maggiore                   |       201 |       292 |
   „       LII. Busto di Marco Giunio Bruto   |        „  |        „  |
   „      LIII. Busto di C. Giulio Cesare     |        „  |        „  |
   „       LIV. Statua di C. Giulio Cesare    |       202 |        „  |
   „        LV. Busto di Marco Antonio        |           |           |
                   triumviro                  |        „  |        „  |
   „       LVI. Busto di Marco Tullio         |           |           |
                   Cicerone                   |        „  |        „  |
   „      LVII. Busto di Marco Vipsanio       |           |           |
                   Agrippa                    |       202 |       292 |
   „     LVIII. Busto di Cesare Augusto       |        „  |       293 |
   „       LIX. Testa di Tiberio, imperatore  |        „  |        „  |
   „        LX. Statua di Tiberio, imperatore |        „  |        „  |
   „       LXI. Testa di Caio Caligola,       |           |           |
                   imperatore                 |        „  |        „  |
   „      LXII. Busto di Servio Sulpicio      |           |           |
                   Galba, imperatore          |        „  |        „  |
   „     LXIII. Statue togate                 |       204 |       294 |
   „      LXIV. Statua _thoracata_ (in abito  |           |           |
                   militare) di Augusto       |           |           |
                   imperat.                   |   204-205 |       295 |
   „       LXV. Statua equestre di Marco      |           |           |
                   Aurelio                    |       206 |       296 |
   „      LXVI. Agrippina minore              |       205 |       295 |
   „     LXVII. Arco di Tito                  |  180, 207 |       264 |
   „    LXVIII. Bassorilievo dell'Arco        |           |           |
                   di Tito                    |       207 |  264, 297 |
   „      LXIX. Bassorilievo della Colonna    |           |           |
                   Trajana                    |  184, 208 |  272, 298 |
   „       LXX. Monete imperiali              |       212 |       303 |
   „      LXXI. Cameo d'Augusto               |        „  |       204 |
                                              |           |           |
                     PITTURA.                 |           |           |
                                              |           |           |
  Tav.   LXXII. Nozze Aldobrandine; pittura   |           |           |
                   murale                     |       215 |       309 |
   „    LXXIII. Sagrificio d'Ifigenia;        |           |           |
                   affresco pompeiano         |       219 |       313 |
   „     LXXIV. Demeter (Cerere)              |        „  |        „  |
   „      LXXV. Paesaggio decorativo          |           |           |
                   pompeiano                  |        „  |        „  |
   „     LXXVI. Decorazioni architettoniche   |   219-220 |       317 |
   „    LXXVII. Scena bacchica con            |           |           |
                   decorazione architettonica |    „   „  |        „  |
                                              |           |           |
                  ARCHITETTURA.               |           |           |
                                              |           |           |
                  _Periodo III._              |           |           |
                                              |           |           |
  Tav. LXXVIII. Arco di Costantino            |       222 |       321 |
   „     LXXIX. Terme di Caracalla            |        „  |        „  |



INDICE

dei periodici principali di archeologia


I. — =Periodici italiani.=

_Monumenti antichi_, pubblicati per cura della R. Accademia dei Lincei.
— È uscito il nono volume nel 1897.

_Rendiconti della R. Accademia dei Lincei._ Classe di scienze morali:
pubblicazione periodica. Vol. IX (1900).

_Notizie degli scavi_, comunicate alla R. Accademia dei Lincei.

_Le Gallerie nazionali italiane._ Roma, anno V (1900).

_Bullettino della Commissione archeologica comunale di Roma_, anno
XXVIII (1900).

_Nuovo Bullettino di archeologia cristiana_, vol. VI, 1900.

_Bullettino di archeologia e storia dalmata._ Anno XXIII, 1900.

_Bullettino di Paletnologia italiana_, diretto dall'illustre prof.
Pigorini, direttore del Museo Preistorico, Etnografico di Roma. Anno
XXVI (1900).

Atti della Società di Archeologia e Belle Arti per la Provincia di
Torino. Si pubblicò il vol. VII nell'anno 1900.

_Bullettino della Consulta archeologica di Milano._ Si pubblica insieme
con la _Relazione dell'Ufficio Regionale per la conservazione dei
monumenti di Milano e della Lombardia, come appendice all'Archivio
storico lombardo_.

_Studi e materiali d'Archeologia e Numismatica_, diretti dal ch. prof.
L. A. Milani. Firenze, I puntata, 1899.

_Rivista italiana di Numismatica._ Milano. È giunta al volume XIV
(1901).

L'_Arte_ (già l'_Archivio storico dell'arte_), diretta dal ch. prof. A.
Venturi. Roma, anno III (1900).

Contengono inoltre spesso lavori archeologici gli Atti dell'Istituto
lombardo di scienze e lettere; l'_Atene e Roma_, diretta dall'illustre
sen. Comparetti, la _Nuova Antologia_, la _Rassegna nazionale_,
l'_Archivio storico lombardo_, l'_Emporium_ di Bergamo, la _Rivista
di storia e d'arte per la Provincia di Alessandria_ ed altri periodici
minori.


II. — =Periodici francesi.=

_Revue archéologique_, III serie, vol. XXXV (1900).

_Bulletin de Correspondance hellénique_, anno XXIV (1900).

_Mélanges d'archéologie et d'histoire_, edite dall'_École française de
Rome_. Comprendono già venti volumi (1900).

_Annales de la Société archéologique de Bruxelles_. Giunti al XIV
volume col 1900.

_Mémoires de la Société nationale des Antiquaires de France._ Volume
LIX (1900). L'ultimo fascicolo del 1897 uscì nel 1899.

Contengono lavori archeologici anche il _Bulletin de la Société
nationale des Antiquaires de France_, il _Bulletin de la Société des
Amis de l'Université de Lyon_; _l'Ami des Monuments_, già giunto al
XIII volume con l'anno 1899, gli _Annales du Musée_ Guimet, che conta
pure quasi una trentina d'anni di esistenza; l'_Anthropologie_ ed il
_Bulletin de la Société d'Anthropologie_ di Parigi; la _Revue des
études anciennes_, sorta solo da due anni, e la _Revue des études
grecques_, che risale all'anno 1889.


III. — =Periodici tedeschi.=

_Mittheilungen des kaiserlich deutschen archäologischen Instituts._ La
_Athenische Abtheilung_, che esce ad Atene, tratta di scavi, scoperte e
ricerche sul suolo ellenico, risale a venticinque anni fa; la _Römische
Abtheilung_, che si occupa di archeologia e di antichità romana, si
pubblica invece a Roma, sotto la direzione dell'Istituto archeologico
germanico, ed entra ora nel suo sedicesimo anno di vita.

_Jahrbuch des kaiserlich deutschen archäologischen Instituts._
Il volume XV è del 1900. Si pubblica a Berlino insieme con
l'_Archäologischer Anzeiger_ d'appendice, contenente le notizie più
recenti intorno alle scoperte archeologiche e una copiosa rassegna
bibliografica.

_Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen des allerhöchsten
Kaiserhauses._ Vol. XXI (1900).

_Anzeiger für schweizerische Altertumskunde._ Neue Folge II (1900).

_Mittheilungen der K. K. Central-Commission für Erforschung und
Erhaltung der Kunst- und historischen Denkmale._ Sono giunte al
volume XXVI coll'anno 1900. — Cfr. talora per alcuni articoli le
_Archäologische und epigraphische Mittheilungen aus Oesterreich_.

_Römische Quartalschrift für christliche Alterthumskunde und für
Kirchengeschichte_, iniziata già dall'anno 1887.

_Mittheilungen aus dem Verbande der schweizerischen
Altertumssammlungen._

_Anzeiger des germanischen Nationalmuseums_ (1889).

_Centralblatt der Bauverwaltung._ Anno XX (1900).

Contengono inoltre lavori e articoli archeologici specialmente la
_Neue Jahrbücher für das klassische Altertum_; i _Neue Heidelberger
Jahrbücher_, i _Preussische Jahrbücher_, l'_Hermes_, il _Rheinisches
Museum_, il _Philologus_, la _Wochenschrift für klassische Philologie_,
la _Byzantinische Zeitschrift_, il _Centralblatt für Anthropologie und
Urgeschichte_, ed altre Riviste di minor importanza.


IV. — =Periodici inglesi ed americani.=

_The Journal of hellenic studies._ Entra nel XXI anno di vita.

_The Annual of the British School at Athens._ Anno V (1898-99).

_The archaeological Journal._ Già se ne contano 57 volumi.

_The Journal of the British Archaeological Association._ Col vol. VII
inizierà l'anno 1901.

_American Journal of Archaeology._ È uscito il volume IV della seconda
serie nell'anno 1900.

_The american Antiquarian and oriental Journal._ È già al XXII volume
(1900).

Contengono lavori archeologici molto frequentemente anche _the
Athenaeum_, _the Numismatic Chronicle_, _the Antiquary_, _the Academy_,
_the Architect_, _the Builder_, _the Classical Review_, _the Journal of
the anthropological Institute of Great Britain and Ireland_. Vol. XXIX
(1900).


V. — =Altri periodici archeologici stranieri.=

_O archeologo Português._ L'anno 1900 è uscito il vol. VI.

Ἐφημερὶς ἀρχαιολογική. περίοδος τετάρτη (1900).

Διεθνὴς Ἐφημερὶς τῆς νομισματικῆς ἀρχαιολογίας (_Journal international
d'archéologie numismatique_.) È giunto col 1900 al volume III.

_Revista de archivos, bibliotecas y museos._ Tercera época. Año IV
(1900).

_Revista de la Asociación Artistico-Arqueológica Barcelonesa._ Año IV
(1900).

_Akadémiai Értesítő_, dal 1890, pubblicato a Budapest, in ungherese.
— Cfr. pure di Budapest e in ungherese l'_Archaeologiai Értesítő_, una
specie di _archaeologischer Anzeiger_.

_Hunyadmegyei történeti és régészeti társulat Evkönyve._ È pubblicato
in ungherese, a Déva, fin dal 1890.



I. ARTE ITALICA


BIBLIOGRAFIA

Opere di carattere generale.

G. B. GIANI, _La battaglia del Ticino fra Annibale e Scipione_. Milano,
1824.

L. LINDENSCHMIT, _Die Alterthümer unserer heidnischen Vorzeit_.
Mayence, 1858 e segg.

NOËL DES VERGERS, _L'Etrurie et les Etrusques_, 2 vol. con un atlante
di tavole 1862-1864.

G. DE MORTILLET, _Le Préhistorique_. Parigi 1863.

G. DE MORTILLET, _Le signe de la croix avant le christianisme_. Parigi,
1866.

NICOLUCCI, _Antichità dell'uomo nell'Italia Centrale_. Napoli, 1868.

HAMY, _Précis de paléontologie humaine_. Parigi 1870.

C. ROSA, _Ricerche di archeologia preistorica_. Firenze, 1871.

J. FERGUSSON, _Rude stone monuments in Countries their age and uses_.
Londra, 1772. XX-560

_Materiaux pour l'histoire primitive et naturelle de l'homme_
(Parecchie annate).

FIGUIER, _L'uomo primitivo_. Milano, 1873.

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Stuttgart, 1877.

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an. 1878.

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1880.

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G. BELLUCCI, _Congresso internazionale di antropologia ed archeologia
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H. SCHAAFFAUSEN, _Die praehistorische Wissenschaft in Italien_.
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L. PIGORINI, _La scuola paletnologica italiana_. 1884 (Nuova Antologia).

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=La civiltà di Felsina (antica Bologna) e di Villanova e, in genere,
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(Cfr. l'introduzione bibliografica alla parte etrusca).

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=Il Lazio e le sue necropoli — Corneto-Tarquinia.=

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ved. in _Notizie Scavi_. 1882.

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della Commiss. Archeologica comun. di Roma_, XXVI).


=Este e le necropoli euganeo-atestine.=

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IDEM, _La situla primitiva, studiata specialmente in Este_. (_Monumenti
antichi_, II. 1893: _Origine e propagazione della situla in Italia_;
VII. 1897: _L'ornamentazione geometrica_).


=Civiltà paleo-etrusca — Antichità di Marzabotto, di periodo etrusco.=

G. GOZZADINI, _D'un'antica necropoli a Marzabotto nel Bolognese_.
Bologna, 1865.

E. BRIZIO, _Relazione degli scavi eseguiti a Marzabotto presso Bologna_
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(Cfr. l'introduzione bibliografica alla parte etrusca).


=Antichità preistoriche dell'Italia Meridionale e delle isole.=

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secondo i risultati delle più recenti scoperte archeologiche_ (_Riv. di
Stor. ant. e Scienze affini_, pag. 31-37).

B. MODESTO, _De Siculorum origine quatenus ex veterum testimoniis et ex
archaeologicis atque antropologicis documentis apparet_. Pietroburgo,
1898.


=Osservazioni generali intorno lo stile italico.=

W. HELBIG, _Osservazioni sopra la provenienza della decorazione
geometrica_ in _Ann. Ist. Corr. Arch. di Roma_. 1875.

IDEM, _Eine uralte Gattung von Rasirmessern_. 1875.

IDEM, _Sopra la primitiva civiltà italica_ (_Atti e Memorie della R.
Accadem. dei Rozzi di Siena_).

SEMPER, _Der Stil in den technischen und tektonischen Künsten, oder
“praktische Aesthetik„_. 2 volumi (I. _Textile Kunst_, 1878; II,
_Keramik, Tektonik, Stereotomie, Metallotechnik_, 1879). Monaco,
Bruckmann, 1878-79.

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M. HOERNES, _Urgeschichte der bildenden Kunst in Europa, von den
Anfängen bis um 500 vor Chr._ Vienna, Holzhausen, 1898.



I.

=Arte italica.=


I. — =Introduzione.=

Per mezzo della raccolta e della comparazione dei molti residui
d'oggetti appartenenti alle prime società umane, e per mezzo del
confronto con quelli che ancora usano le selvaggie tribù d'Africa
e d'Oceania, la scienza potè riconoscere la condizione dell'umana
società nei tempi primordiali, e, movendo da questi, seguirne il
graduale svolgimento a condizione civile, distinguendo quel lungo
periodo della vita umana, che antecede ad ogni ricordo storico, in tre
età, determinate dal materiale usato per gli strumenti e per le armi,
cioè: l'età della pietra, distinta in un periodo più antico, con rozza
lavorazione della selce (archeolitico), e in un altro meno antico, con
migliore lavorazione e pulimento degli strumenti silicei (neolitico);
l'età del bronzo; e infine l'età del ferro, la quale si suddivide in
tre periodi, l'ultimo dei quali coincide coi tempi storici. La scienza
che studia le reliquie di queste età è la _Paleoetnologia_.

Gli oggetti lavorati di selce, e specialmente le punte di freccia, che
sono fondamento alle ricerche della condizione primitiva dell'umana
società, non furono sconosciuti agli antichi, ma creduti, come oggi
ancora dal volgo, prodotti dal fulmine (_cerauniae gemmae, cerauniae
lapides_; punte di saette). Pure presso gli antichi vi furono alcuni
raccoglitori, fra i quali l'imperatore Augusto[1], che intuivano
quegli oggetti quali reliquie di età remotissime, e li supponevano armi
degli eroi. L'uso degli strumenti di selce si prolungò anche in tempi
storici presso popoli inciviliti, specialmente negli usi religiosi,
che mantengono la rigida osservanza delle forme antiche; così, presso i
Romani, i Feciali, percotevano la vittima _lapide silice_ anche durante
l'Impero. Contemporanei a popoli civili vivevano poi, come vivono
oggidì, popoli in condizione barbara, i quali usavano strumenti ed
armi di selce (ved. =Atlante di arte etrusca e romana=, Milano, Hoepli,
=tav. I=).

Le ricerche rigorose d'investigazione e di confronto, che si
proseguono, dànno sempre conoscenza più chiara dell'infanzia della
società umana, della quale gli antichi ebbero per intuizione quella
vaga imagine che Lucrezio nel suo poema ha lumeggiato di vivi colori
(l. V. v. 925 seg.). Appena un quarto di secolo prima d'oggi, negli
studî degli antichissimi popoli d'Italia, potevasi affermare la
penisola italica assai povera di documenti di quelle epoche primitive,
nelle quali l'uomo giacevasi in condizione di selvaggio, vivendo della
caccia e della pesca, foggiando strumenti ed armi di pietra, tentando
i primi rozzi lavori d'argilla. Oggi invece i documenti di tale età
abbondano; nello spazio di meno d'un trentennio, per assidue ricerche
di geologi, naturalisti, paletnologi ed archeologi, s'è raccolta, e
ogni dì più si va accrescendo, gran copia d'oggetti dei tempi detti
preistorici, dall'età della pietra a quella del ferro.

Nelle caverne della Liguria, delle Alpi Apuane, del Vicentino,
del Teramano, degli Abruzzi, della Terra d'Otranto, della Sicilia
si trovarono testimonianze della vita e della industria primitiva
italica, quando sulla terra nostra l'uomo abitava fra animali ora da
questa scomparsi, quali l'orso speleo, il bue primigenio, il castoro.
Nelle torbiere, sulle sponde dei laghi di Lombardia, si trovarono
vestigia dell'umana società nei tempi nei quali raccoglievasi ad
abitare le stazioni lacustri, in capanne di vimini, di paglia e di
frondi costrutte sulle palafitte, (ved. =tav. 1-3=) e aveva mosso un
gran passo a più civile condizione con la conoscenza dei metalli,
e dell'agricoltura. Di questo periodo primitivo delle popolazioni
italiche dànno testimonianza i residui disseppelliti dalle marniere,
o _terremare_, dell'Emilia (ved. =Atl.= cit., =tav. I=), in quella
bella e fertile distesa di regione, che giace fra il Po e l'Appennino
e va dall'Agro piacentino all'imolese. Traccie di questa età si sono
riconosciute in varie altre regioni d'Italia, e singolarmente intorno
al Tevere e all'Aniene, sull'Esquilino e sul Gianicolo, nella pianura
del Lazio, alle falde dei Monti Albani, nei luoghi dove insomma sorse
la potenza romana.

   [Illustrazione: =Torbiera di Mercurago= (Arona).

   (=Età del bronzo — Palafitte=).

   (Ved. MONTELIUS, _La civil. prim. en Italie_, Atl. _B_, 1).

   =Tavola 1.=

   N. 1, spaccato della palafitta. — 2, piano d'una parte della
   palafitta, cosparsa di pali. — 3-6, selci. — 12, 13, 20,
   oggetti in legno, conservati nella torbiera successa alla
   palafitta antica. — 14, fusaiola di terra cotta. — 15-19, vasi
   di terra. — 7-11, oggetti in bronzo.]

A queste antichità si collegano i monumenti di età più avanzate
e civili, rinvenuti nelle necropoli di Villanova, del territorio
Felsineo, d'Este, di Marzabotto, di Corneto-Tarquinia. Mercè gli studî
e le collezioni ordinate e illustrate da uomini insigni nelle scienze
paletnologiche, (quali Gastaldi, Chierici, Pigorini, Ströbel, Issel,
Lioy, Concezio Rosa, Regnoli, Michele Stefano De Rossi, Gozzadini,
Conestabile, Zannoni, Brizio, Barnabei, Orsi, Castelfranco e altri più
giovani), s'è venuta rischiarando con testimonianze di monumenti alcuna
parte della storia nostra primitiva, della quale non si conosceva nulla
di certo, e, collegandola coi risultati degli studi archeologici e
linguistici, la si è venuta ricostruendo su basi molto più sicure di
quelle offerte dalle tradizioni classiche[2].


=APPENDICE I.=

=Le varie età preistoriche e i loro periodi.=

Per chi è alquanto lontano da questo genere di studî, aggiungerò
che lo scienziato, il quale distinse più nettamente i varî periodi
antichissimi dell'uomo, è il DE MORTILLET (_La préhistorique
antiquité de l'homme._ Parigi, 1863). Quest'autore, dopo un'ampia
introduzione, nella quale delimita i confini della scienza preistorica
e paleoetnologica, e i loro rapporti con la geologia da una parte e la
storia dall'altra, divide la trattazione in tre parti, comprendendo
nella prima l'_uomo terziario_, nella seconda l'_uomo quaternario_,
nella terza l'_uomo attuale_. La maggior ampiezza di trattazione è
data alla seconda parte, nella quale il De Mortillet distingue, dal
nome di centri speciali caratteristici per dati fenomeni geologici e
fossili, un periodo _chelléen, mousterien, solutréen, magdalenien_
nell'età litica; un periodo di Robenhausen nell'età neolitica; un
periodo _bohémien_ nell'età del bronzo, suddiviso in quello del
fonditore (o _morgien_) e del martellatore (o _laurnaudien_). Segue poi
naturalmente l'età del ferro nei suoi tre grandi periodi universalmente
riconosciuti. In sèguito ai risultati degli scavi della seconda metà
del nostro secolo, si ampliò il quadro dei resti umani nelle età
preistoriche, e si determinarono i varî periodi dalle varie forme
di costruzioni entro l'età della pietra (archeolitica e neolitica),
l'età del bronzo (eneolitica, enea), e l'età del ferro (divisa in tre
periodi). I nomi e le suddivisioni adottate recentemente dal ch. prof.
E. BRIZIO nella sua _Epoca preistorica_ (Milano, Vallardi, 1899), come
introduzione alla _Storia d'Italia_, sono:

   1. _Caverne_ (abitazioni e sepolture).
   2. _Villaggi a fondi di capanne e loro necropoli_.
   3. _Palafitte_ (o abitazioni sui laghi).
   4. _Terremare e loro sepolcreti_.
   5. _Necropoli felsineo-laziali_.
   6. _Necropoli venete_.
   7. _Città, colonie e necropoli etrusche_.
   8. _Città e necropoli pelasgiche_.
   9. _Necropoli picene_.
  10. _Necropoli galliche_.
  11. _Sepolcreti dell'Italia Meridionale_.
  12. _Stazioni e necropoli sicule_.

Quanto alla determinazione etnica di questi varî centri della vita
preistorica, in mezzo alle varie e molte incertezze che agitano ancòra
i dotti, specialmente intorno ai Pelasgi e agli Etruschi, possiamo però
raggruppare le varie stirpi italiche e non italiche secondo alcuni dati
archeologici comuni, nel modo seguente:

Sarebbero appartenenti ai Liguri i cavernicoli e gli abitatori di
capanne, le necropoli picene, le necropoli diverse del territorio
di Sibari e dell'Italia Meridionale in genere, nonchè i centri
antichissimi occupati dai Siculi, perchè questi usavano, come i Liguri,
di deporre il cadavere umato rannicchiato nella fossa, come incontriamo
nella necropoli di Remedello del Comasco.

   [Illustrazione: =Torbiera di Cazzago Brabbia= (Varese), N.
   1-11.

   =Torbiera di Polada= (Desenzano), N. 12-24.

   (=Età del bronzo — Palafitte=).

   (Ved. MONTELIUS, Op. cit., Atl. _B_, 4).

   =Tavola 2.=

   N. 2-4, 13, 14, selci. — 1, 18, pietra. — 5, 17, 20, 21, 22,
   23, 24, terra. — 6, osso. — 7, 11, 16, bronzo. — 19, dente
   d'orso. — 12, legno e selce.]

Formerebbero invece il substrato dei Protoitalici propriamente detti
gli abitanti del gruppo delle necropoli felsineo-laziali, e forse i
Veneti o Istro-illirici nelle necropoli venete ed euganee, non avendo
nulla in contrario per ammettere una differenza sostanziale di stirpe
negli abitanti del primo e più antico periodo delle necropoli atestine,
anche dopo gli studî del Prosdocimi e del Ghirardini sulle necropoli e
le antichità della collezione Baratela di Este. Protoitalici sarebbero
pure gli abitanti delle terramare, se vi sosteniamo presenti gli
elementi di una civiltà affatto nuova; in ogni modo, nel periodo
più antico si sarebbero loro uniti anche dei Liguri, resto della
popolazione delle caverne e dei fondi di capanne.

Farebbero parte a sè i Pelasgi, di cui vedasi più innanzi; gli
Etruschi, di cui pure vedasi nella parte etrusca, e i Galli, cioè
quell'unione di elementi etnici che, dopo gli Etruschi e prima dei
Romani, prepararono le necropoli galliche.


II. — =L'arte italica nelle terremare.=

Troppo scarsi sono gli indizî e i residui, troppo rozzi gli oggetti
che corrispondono a un bisogno della vita, non dell'arte, in questo
periodo.

Alcuni però considerano come punto di partenza nel gusto
dell'ornamentazione, nello sviluppo del senso artistico gli oggetti che
si rinvengono nelle antiche reliquie di abitazioni umane.

Infatti in esse, oltre i primi saggi di disegno ornamentale sulle
stoviglie, si osservano i primi tentativi della plastica in frammenti
di rozze figure d'argilla, che nella loro pesantezza e goffaggine
accennano ad imitazione di figure di animali[3].

Ne abbondano sulla riva destra del Po, ed anche s'incontrano sulla
sinistra, dove quei primieri abitatori stanziarono, movendo poi oltre
il fiume a porre nuove stazioni sull'opposta sponda. Queste abitazioni
sono dette _terremare_ (emiliana alterazione di _terre marne_, da cui
anche _marniera_), e sono certi cumuli di terra argillosa, commista con
carboni e ceneri, e quantità di avanzi animali e vegetali e residui di
materie lavorate, ammassatisi nelle stazioni dei primi abitatori del
paese per tutta l'età del bronzo fino all'età del ferro.

Tali stazioni, poste presso fiumi o ruscelli, consistevano di
un argine di terra di forma quadrangolare, cinto intorno da
fossa. Dentro questo recinto, che formava come un bacino, sorgeva
un'impalcatura di travi e graticci, superiormente pavimentata di
sabbia e ciottoli, e su questo suolo erano edificate le abitazioni,
senz'opera di cemento o di laterizi, ma in forma di rozze capanne
di vimini, di giunchi e di paglia. I residui dei pasti, gli avanzi
del lavoro e le immondizie delle capanne venivano gettati nel bacino
sottostante, accessibile alle acque derivate da vicino torrente, e là
si accumularono. Mercè l'esplorazione di questi cumuli, (per cui le
terramare furono paragonate ai _kiokkenmoedings_ danesi), si è potuto
ricomporre l'imagine della vita degli abitatori di quelle stazioni, o
terramaricoli. Essi praticavano la pastorizia, avevano bovini, maiali,
capre, pecore, cavalli e cani, andavano alla caccia del cervo, del
cinghiale, dell'orso, sebbene i resti di questi animali in proporzioni
inferiori ai nominati antecedentemente lascino argomentare non fosse la
caccia la principal fonte di sostentamento. I residui vegetali provano
ch'era praticata l'agricoltura, coltivandosi orzo, fave, lino; forse
era conosciuta la vite, ed erano gustati i frutti del melo, del pruno,
del ciliegio, delle nocciole; ma allo stato silvestre, essendo ancora
ignota l'orticoltura. Macinavasi il grano schiacciandolo fra due sassi,
cuocendolo forse, non in forma di pane, ma di poltiglie. Coltivavasi
il vino, e conoscevasi l'arte di filare e di tessere. Era giunta a un
certo grado di sviluppo l'industria, però in ancor bassa condizione.
Lavoravasi l'argilla, formandosi vasi, pigne, scodelle, tazze, ma
semplicemente a mano, senza cognizione del tornio, e indurivansi i
fittili al sole o al fuoco, ma in luogo aperto, non in fornace. I
vasi hanno qualche varietà di forma, muniti di manichi per gran parte
terminanti a mezzo cerchio, a modo di luna falcata (ved. =Atl.= cit.,
=tav. III=), onde il nome di _anse lunate_, caratteristiche dei fittili
delle terramare; spesso il corpo del vaso porta alcun fregio od ornato
graffito a punta, e talora rilevato nell'argilla ancor fresca, a
linee, a triangoletti, a cerchielli; non si esce però mai dal carattere
generale dell'ornamentazione (ved. le nostre =tav. 6= e =7=).

   [Illustrazione: =Palafitta di Peschiera.=

   (=Età del bronzo=).

   (Ved. MONTELIUS, Op. cit, Atl. _B_. 5).

   =Tavola 3.=

   N. 1, spaccato della palafitta. — 2-17, oggetti tutti in
   bronzo. — 2, ascia ad orli diritti. — 3-5, ascie ad alette
   o _paalstabs_. — 13-17, rasoi diritti (cfr. quelli lunati in
   _Atl. di arte etrusca e romana_, tav. XI, n. 5).]

D'argilla si trovano anche in gran numero certi oggetti a forma di
pallottole o di piccoli coni tronchi, perforati per il mezzo, dei
quali, secondo alcuno, armavasi l'estremità del fuso, perchè fosse più
agevole a prillare, e diconsi perciò _fusaiuole_ (ved. =Atl.= cit.,
=tav. II= e le nostre =tav. 1=, 14; =2=, 20); ma il loro numero talora
considerevole induce a credere che servissero per varî usi, non escluso
quello di pesi per le reti e chicche per collane.

Si trovano fondi di vasi d'argilla bucherellati, che sembrano aver
servito come colatoi alla preparazione del cacio (ved. =tav. 2=, 24).
Non mancano prove dell'industria dell'intrecciare canestri e panieri di
vimini.

Conosciuto era l'uso del bronzo, che però i terramaricoli non fondevano
essi dai nativi elementi dello stagno e del rame, ma ricevevano già
formato in barre, o _lingots_, da genti più civili. Similmente erano
importati i più degli oggetti di bronzo; tuttavia la fusoria del
metallo greggio era praticata in queste stazioni, com'è chiaramente
dimostrato da forme, o stampi di pietra ritrovati in questi cumuli.
Di bronzo facevansi utensili ed armi, quali ascie (_paalstab_), falci,
coltelli, punteruoli, punte di lancia, giavellotti, chiaverine, cuspidi
di freccie (ved. =Atl.= cit., =tav. II=, n. 4, 5, 6; =tav. III=), e
oggetti d'ornamento e di toletta, come pettini, lame ricurve, che si
credono rasoi, aghi crinali, e certe rotelline a più raggi, che forse
venivano innestate agli aghi crinali come capocchia ornata[4]. Ma il
bronzo era tuttavia cosa rara e preziosa, e quindi continuavasi la
lavorazione di strumenti e d'armi di pietra, foggiandosi di selce
ascie, freccie, raschiatoi, e di osso facendosi punte da armar
asticciuole, punteruoli, aghi crinali e pettini. Per ornamento si
usarono conchiglie marine infilate a collana, e forse anche, sebben
rara, l'ambra; e quelle conchiglie, come pur l'ambra, provano che i
terramaricoli avevano scambî e commerci con genti d'altre regioni.
Nelle terremare non è certo che si abbiano sicure reliquie d'oro e
d'argento. Il ferro si trova in quegli strati superiori che accennano
agli ultimi momenti delle abitazioni di queste stazioni, se pure
in quegli strati non sono i residui di posteriori stanziamenti,
sovrapposti in luoghi dove già furono le abitazioni primitive.

Il lavoro e l'industria di questi primi popoli, secondo ce li possiamo
figurare dai frammenti e residui delle marniere, trovansi a quel
grado di sviluppo in cui le esercitavano le stirpi indo-europee, e
più propriamente le genti del ramo italo-greco, quando dall'Oriente
emigrarono nelle due penisole europee. La linguistica comparata offre
prove che il costruire le case, il filare, il tessere, e forse il
primo lavorare dei metalli già erano proprî della stirpe aria, quando
i progenitori dei Greci e degli Italici stavano uniti e costituivano
una sola famiglia. E tali risultati della comparazione linguistica
concordano con quelli della paletnologia ed archeologia preistorica, e
da queste ricevono conferma.

   [Illustrazione: =Terramare di Castione de' Marchesi= (Parma).

   (=Età del bronzo=).

   (Ved. MONTELIUS, Op. cit., Atl. _B_, 12).

   =Tavola 4.=

   N. 1, veduta di una parte della terramara. — 2, piano di una
   parte della terramara. — 3, costruzione in legno della figura
   2 _a_. — 4-17, legno.]

   [Illustrazione: =Oggetti varî provenienti dalle provincie al
   Nord del Po.=

   (=Età del bronzo=).

   (Ved. MONTELIUS, Op. cit., Atl. _B_, 32).

   =Tavola 5.=

   N. 1-6, 10-13, bronzo. — 7-9, legno: 1 coltello da Castellazzo
   (Brianza), 2 id. da Aosta. — 5-6, spilli di bronzo, il N. 6 da
   S. Giovanni di Bosco (torbiera di S. Martino d'Agliè presso
   Ivrea). — 7-8, remi. — 9, piroga dalla citata torbiera di S.
   Martino. — 10. braccialetto dalla torbiera di Brenno (Varese).
   — 11, id. massiccio da Montenotte. — 12-13, id. da Aosta.]

Si deve adunque, o almeno si può concludere, che gli abitatori di
queste stazioni fossero di razza italica, forse le prime propaggini
della stirpe aria, forse, secondo altri, Liguri od Umbri. Poco
interessa al principiante, studioso dell'arte romana, di indagare
queste lontane origini dei popoli italici, perchè egli è ormai avezzo
a considerare l'arte romana come una trasformazione della greca;
ma interessa invece molto allo scienziato di sapere quali elementi
artistici fossero già ingeniti e sviluppati spontaneamente nei popoli
italici, prima della venuta del popolo degli Etruschi, ancora avvolto
da un velo misterioso, sceso, credesi, dalle Alpi retiche nella valle
del Po, e formante ivi quella federazione di città che storicamente
si chiama Etruria Circumpadana. Naturalmente importa di sapere quali
elementi artistici abbiano potuto aggiungere gli Etruschi alla cultura
dei terramaricoli, molto più che un altro popolo, che non è nè quello
dei terramaricoli, nè quello degli Etruschi, cioè il popolo dei
Celti[5] si sovrappone agli uni e agli altri, passando oltre il Po,
verso Oriente, e scendendo lungo il litorale adriatico.

Prescindendo pertanto dalla questione etnografica, che interessa più
la linguistica e la storia che non l'archeologia, e che, per essere
questione ancòra dibattuta fra i dotti, esce dai limiti di un trattato
elementare, diremo solo che i terramaricoli, anteriori agli Etruschi
e ai Celti, siano essi Liguri od Umbri, ci mostrano una civiltà
primitiva, in cui l'industria fittile e metallurgica, ancor bambina,
mal risponde appena ai bisogni della vita, e non ha quindi criterî e
fini artistici, mentre i popoli loro sovrapposti degli Etruschi e dei
Celti sembra abbiano avuto con loro relazione soltanto negli ultimi
tempi, e solo per via di una scarsa importazione, come mostrerebbero
gli strati superiori di alcune terremare. Pare, del resto, che la
configurazione stessa della valle del Po non favorisse occupazioni
tranquille od artistiche, essendo essa ancòra tutta coperta di
boscaglie, incolta, salvo in pochi spazî intorno alle stazioni, dove
la mano dell'uomo, dissodate le prime zolle e sparsevi le sementi,
riportava le prime vittorie nella lotta contro la natura[6].

   [Illustrazione: =Necropoli di Golasecca.=

   (=Età del ferro — Rito dell'incinerazione=).

   (Ved. MONTELIUS, Op. cit., Atl. _B_, 43).

   =Tavola 6.=

   N. 1, recinti sepolcrali in pietre grezze. — 2, tomba a
   cassetta con ossuarî. — 3-15, ceramica in terra cotta con
   decorazione geometrica a rombi e a denti di lupo.]

   [Illustrazione: =Necropoli di Castelletto Ticino= (Golasecca).

   (=Età del ferro — Rito dell'incinerazione=).

   (Ved. MONTELIUS, Op. cit., Atl. _B_, 45).

   =Tavola 7.=

   N. 1, tomba a ciottoli con l'ossuario nel mezzo. — 2, fibula
   in bronzo. — 3, fibia di centurone in bronzo. — 4-17, ceramica
   fittile. — 18, coppa in bronzo con decorazione a sbalzo di
   carattere orientale. — 19, cista in bronzo a cordoni (cfr.
   _Atl. d'arte etrusca e romana_ cit., tav. VI), e in questo
   volume in alcune delle tavole seguenti.]


III. — =La civiltà e l'arte a Felsina.=

Maggiori elementi per formarci un concetto almeno approssimativo
dell'arte prisca italica ci offrono le necropoli dell'Italia Centrale,
che, per essersi rinvenute nella regione occupata dagli Umbri e dove
sorgeva Felsina, si conoscono comunemente col nome di _necropoli
umbro-felsinee_. In queste, oltre alcuni monumenti importanti per
la loro rarità, abbiamo una suppellettile funebre così numerosa,
che possiamo indurne delle considerazioni sul grado dei progressi
dell'arte presso quei nostri prischi antenati. Traccie sicure e non
iscarse reliquie degli Umbri si raccolsero da poco più di un decennio,
specialmente in Bologna e nel suo dintorno.

Venuti per la via delle Alpi, gli Umbri, o a dir meglio gli Itali
o gli Italioti (che si distinsero oltre Appennino nei due grandi
rami di Latini ed Umbri, con questi i Marsi, Sabelli, Sanniti ecc.)
vinti i Liguri, si stabilirono nella valle del Po, e fecero sede
di loro dominazione Felsina. Ivi, procedendo nello svolgimento di
quei principî d'industria a cui già erano giunte le famiglie arie,
cioè la lavorazione dell'argilla e del bronzo, e l'arte del tessere,
specialmente nei sacri riti sepolcrali, fecero dello stanziamento di
Felsina, luogo della moderna Bologna, centro di lavoro e di commercio.
Ivi furono trovate traccie di abitazioni umbre, che si argomenta
fossero non più che rozze capanne isolate, o aggregate a gruppi di tre
o di quattro, fatte di rami, di frasche e intonacate di argilla. Un
monumento che ha carattere d'arte, e che ascrivesi all'età degli Umbri,
è un blocco di calcare, scolpito sulle due faccie con figure di animali
(vitelli?) ritti, come rampanti, che posano le zampe anteriori sopra
una colonna posta nel mezzo, che ricorda la porta dei leoni di Micene,
e che forse ornò alcuna porta di Felsina Umbra, quando già erasi
ingrandita e fatta possente[7].

   [Illustrazione: =Tavola 8.=

   Veduta generale della porta detta del Leoni a Micene (cfr.
   tav. 9 pel particolare del fastigio scolpito).]

   [Illustrazione: =Tavola 9.=

   Pietra scolpita centrale della porta detta _dei Leoni_ a
   Micene[8].]

Le maggiori testimonianze però ci vengono date dalle tombe,
coll'esuberante suppellettile che, per le idee religiose e per
l'affetto di cui ogni popolo accompagna la memoria dei morti, essi
deponevano accanto all'estinto. I sepolcreti umbri trovansi dentro e
fuori di Bologna, Porta S. Mamolo e Castiglione, nei predî Benacci,
De Lucca, Tagliavini, Arnoaldi e nello stradello della Certosa. La
quantità di oggetti adunati dentro queste tombe, con la diversità
della materia, della forma e dell'abilità tecnica, dànno argomento a
distinguere quei sepolcreti in due classi, una di tempo antichissimo o
arcaica (predio Benacci), l'altra di tempo posteriore (predio De Lucca,
stradello della Certosa ed Arsenale, e più tardi i predî Tagliavini ed
Arnoaldi).

Il tipo generale di queste tombe è una fossa, ora quadrangolare ora
poligonale, internamente rivestita di ciottoli a secco, senza cemento,
ovvero formata di lastre a modo di cassa, cioè quattro laterali,
una nel fondo e una per coperchio; talvolta la fossa ha un semplice
lastrone per coperchio. Alle fosse spesso è sovrapposto un sasso, come
cippo o segno esterno. La misura media delle fosse è di m. 0.80 per
0.40. Dentro la fossa sta sempre deposto un vaso a forma di cono a
larga base, o più propriamente formato in basso d'una rozza semisfera,
su cui insiste un tronco di cono, e nel punto di congiunzione formasi
l'espanso ventre del vaso, munito solitamente di una sola e piccola
ansa orizzontale, meno spesso di due anse; la bocca del vaso è
coperta con una ciotola o scodella sovrappostavi rovesciata, anch'essa
solitamente munita d'un solo manico (=tav. 12=, 10, 11). Questo vaso
è l'ossuario o vaso cinerario, che conteneva i residui del cadavere
combusto, giacchè in questo antichissimo periodo il rito della
cremazione appare generale e costante, e forse è proprio delle stirpi
arie, che dall'Oriente portarono le funebri costumanze. Nelle tombe
umbre-felsinee, che sommano a più centinaia, s'incontra qualche esempio
di cadavere umato, ma in minima proporzione, cioè appena del 4 per
100, e i caratteri craniologici di questi sembrano indicare davvero una
razza diversa dagli Umbri.

   [Illustrazione: =Tavola 10.= — Porta antichissima di Bologna.

   Ricostruzione intorno la pietra centrale, scolpita, rinvenuta
   in via Maggiore (Ved. REINACH-BERTRAND, _Les Celtes_, op.
   cit., a pag. 165).]

In questa suppellettile funebre abbiamo elementi certi d'arte.
Gli ossuarî sono spesso esternamente ornati a graffito, con linee
di meandri, triangoletti, zig-zag, cerchielli (ved. =tav.= cit.),
segnati con una punta nella argilla ancor molle; gli stessi elementi
ornamentali alcune volte sono tracciati a colore con una tinta
biancastra, o anche a rilievo con leggiera striscia di pasta biancastra
riportata sul vaso.

Nella fossa, intorno all'ossuario, stavano sparsi oggetti, cioè
utensili, armi e ornamenti di bronzo, non mai di ferro, nelle tombe del
periodo arcaico: grandi fibbie o fibule con arco, ardiglione e staffa,
liscie od ornate di anellini e dischetti d'osso o di pasta di vetro;
spilloni, braccialetti a spirale, nastri di bronzo ritorti, forse per
ricingere la testa: ciondoli a sferetta con catenelle; coltelli, lame
ricurve supposte essere rasoi; morsi da cavalli, cinturoni di lamina
di bronzo (=tav. 13=), ornati di bulle a rilievo con lavoro a sbalzo, e
di cerchielli segnati a compasso. Gli stessi motivi ornamentali proprî
dei vasi si ripetono anche sulla suppellettile funebre di bronzo. C'è
poi la serie delle stoviglie accessorie con altri oggetti ornamentali
d'osso, di vetro, di avorio, di ambra ecc.

   [Illustrazione: =Necropoli della Provincia di Bologna=
   (Bazzano).

   (=Età del ferro=).

   (Ved. MONTELIUS, Op. cit., Atl. _B_, 94).

   =Tavola 11.=

   N. 2, ansa bipartita di un ossuario. — 4, 14, di terra, col
   segno della _svastica_. — 6, vaso cilindrico fittile uso la
   cista a cordoni, con cerchietti d'ornamento a stampa, — 7-14,
   ceramica e frammenti di fittili varî. — 15-16, accette votive
   di terra a imitazione di quelle di bronzo. — 17-19, fibule
   varie in bronzo. — 20-21, id. con ornamenti di pasta vitrea.]

   [Illustrazione: =Necropoli di Bologna.=

   (=Età del ferro — Periodo Benacci I=).

   (Ved. MONTELIUS, Op. cit., Atl. _B_, 75).

   =Tavola 12.=

   N. 1, fibula con disco ritto. — 2-6, 8-9, altre fibule in
   bronzo. — 7. id. con globetti di vetro sull'arco. — 10-11,
   ossuarî tipo Villanova. — 12, 13, 14, ciotole relative in
   terra cotta.]

Ma questa suppellettile funebre aumenta in quantità, in pregio della
materia e di lavoro nelle tombe Arnoaldi. La fossa rimane nel tipo
descritto; lo stesso tipo d'ossuario, ma con forme sviluppate; allato
all'ossuario varie e più belle forme di fittili (bicchieri, vasetti,
ciotole e tazzine, coppe sostenute da alto piede, alcune con pendagli
e catenelle di terra cotta) (ved. =tav. 11=, =14=). Gli ornati non
sono più graffiti, ma anche impressi a stampo, e, sia sui fittili, sia
sugli oggetti di bronzo, gli ornati non constano soltanto di elementi
lineari e geometrici, ma anche di elementi vegetali e animali, quali
rosette, palmette, foglie, serpentelli, anitrelle, colombe, cavalli,
cervi, finchè appare la figura umana, prima con semplice contorno come
decorativa, e poi in composizione con altre figure animali ed umane,
come vera rappresentazione di un concetto. S'aggiungano i progressi
nella metallo-tecnica; vasi di bronzo, uso ossuarî, ad imitazione dei
fittili, cofanetti a forma cilindrica, di lamina ripiegata e congiunta
con borchiette (ved. =tav. 17=), ornati all'esterno con una serie di
linee rilevate a modo di cordoni, tutto in giro al corpo del vaso,
da cui il loro nome di _ciste a cordoni_ (ved. =Atl.= cit., =tav.
VI=; cfr. =tav. 17=, 1, 8 di questo _Manuale_). Fra l'uno e l'altro
cordone l'intervallo è ornato di puntini, di cerchielli, alternati con
qualche figura d'anitrella. Di lamina di bronzo s'incontrano secchielli
o situle, a forma di cono rovescio, con manichi mobili; bicchieri e
tazze semisferiche con manico ricurvo. Abbondano le fibule, di tipo
assai vario, alcune congiunte con catenelle, ciondoli e con istrumenti
di toletta, quali cura-orecchi, mollette, palettine. Molte fibule
nell'arco prendono figura di animali, cani, cavalli, (ved. =tav.
11=, =16=). Non mancano armi di bronzo, ma il più delle armi, spade,
pugnali, aste, accette, e anche freni e morsi, sono di ferro, che
appare abbondante negli utensili ed anche negli ornamenti in queste
tombe, mentre manca in quelle del periodo arcaico.

In questo periodo le tombe incominciano a presentare anche oggetti di
importazione orientale. In un sepolcro umbro-felsineo si raccolsero
una fibula e due armille d'oro di lavoro fenicio, un vasettino conico
di vetro azzurro, e un amuleto egizio. E da sepolcri del predio
Arnoaldi vennero fuori una testina umana di lavoro orientale, una
pietra incisa, di quelle a forma di scarabeo, proprie degli Egizi, tre
piccoli balsamari o vasettini da unguento di vetro azzurro, oggetti
che da contrade orientali erano in Italia importati da trafficanti
fenici, e per il commercio fra le genti italiche pervenivano a Felsina.
La presenza di questi prodotti della civiltà orientale invitava
all'imitazione, e per questa venivano a prendere vita e sviluppo, con
introduzione di nuovi elementi, le arti del disegno.

Felsina provvedeva largamente anche al commercio di esportazione, a
cui ben rispondeva la sua posizione topografica; e forse viene dalle
officine felsinee parte di quegli oggetti di bronzo, di carattere
italico, che si raccolsero e si raccolgono intorno e al di là dei
paesi alpini. Singolar prova di officine metallurgiche felsinee è un
copiosissimo ritrovamento di oggetti di bronzo, fatto in Bologna. Nel
gennajo del 1877, lavorando in piazza S. Francesco, si trovò un grande
dolio, o vaso di terracotta, pieno fino all'orlo di oggetti di bronzo;
altra grande quantità ne stava poi sparsa anche in terra intorno al
dolio. Il numero di questi oggetti fra interi e spezzati somma a più di
14,000, e si classificano in ascie o _paalstabs_ (in numero di 1500),
lancie, spade, coltelli, cinturoni (cfr. =tav. 13=), fibule (3500),
armille, spirali, rasoi, ciondoli, bottoni, pettini, falci, falcette,
scalpelli, seghe, lime, ramponi, qualche vaso e molti pani greggi di
bronzo (_lingots_), ritagli e bave di fusione. Tanta copia e varietà
di oggetti, e la singolarità degli ultimi nominati sono sicura prova
che essi siano i residui, raccolti colà, forse nella imminenza di un
pericolo (ved. _Oggetti della Fonderia_[9]) da una grande officina
o fonderia, che, per l'analogia dello stile con gli oggetti studiati
nelle tombe umbre, noi diremo umbra.

   [Illustrazione: =Necropoli di Bologna.=

   (=Età del ferro — Periodo Benacci I=).

   (Ved. MONTELIUS, Op. cit., Atl. _B_, 74).

   =Tavola 13.=

   Cinturoni varî in bronzo.]

   [Illustrazione: =Necropoli di Bologna.=

   (=Seconda età del ferro — Periodo Benacci II=).

   (Ved. MONTELIUS, Op. cit., Atl. _B_, 80).

   =Tavola 14.=

   N. 1, anello in bronzo. — 2, disco id. — 3, selce. — 4, parte
   di finimento di cavallo. — 5, ciondolo in bronzo a forma
   di accetta, con ornati stampati agli orli e incrostazioni
   d'ambra. — 6, cavicchio in ferro. — 7, _stimulus_. — 8, fuso
   in bronzo con fusaiuola. — 9, braccialetto in bronzo. — 10,
   _phalera_ id. — 11, coppa di terra cotta con catenelle id.,
   imitata dal bronzo. — 12, due coppe in terra cotta sopra
   supporto id.]

Ma le opere, che più delle altre dànno il carattere dell'attività
artistica del periodo, sono le situle (o secchielli) di bronzo
istoriate. Una di queste è stata raccolta in uno dei sepolcri della
Certosa bolognese spettanti all'età etrusca, ma dal ch. prof. Brizio
giudicata opera dell'arte umbra[10]. Tale situla è a forma di cono
rovescio, alta metri 0.33, formata d'una lamina di bronzo ripiegata
su sè stessa e ribattuta con chiodi; il corpo del vaso tutto intorno
porta una rappresentazione lavorata a sbalzo (_au repoussé_),
distribuita su quattro zone sovrapposte (=tav. 15=). Vi è raffigurata
una processione, alla quale prendono parte gli ordini militari, civili
e religiosi dell'antica Felsina. La prima zona mostra cavalieri e
fanti con lancie e scudi; la seconda ministri sacri e _victimarii_,
che conducono gli animali al sacrifizio, seguiti da donne recanti
vasi; la terza rappresenta scene della vita giornaliera, preparativi
d'un banchetto o d'un sagrifizio con suonatori; quindi un episodio di
caccia ed uno della vita agricola, con un contadino che porta l'aratro
e guida i buoi; la quarta zona chiude la rappresentazione con una serie
di grifoni, chimere ed altri animali fantastici. Vi è cura e finezza
d'esecuzione: la trattazione delle figure animali mostra un disegno più
libero e più naturale che non quello delle figure umane, nelle quali si
vede un'arte veramente ancora infantile. È monumento importante per la
conoscenza dei costumi umbri; è prodotto dell'arte italica primitiva
con accenni ad influenza orientale, e in certo qual modo richiama al
pensiero la rappresentazione dell'omerico scudo d'Achille, che pure per
mezzo di opere orientali viene illustrato[11].

   [Illustrazione: =La situla di bronzo lavorato a sbalzo della
   Certosa di Bologna.=

   =Tavola 15.=

   (Dallo ZANNONI, _Scavi della Certosa di Bologna_. Atlante,
   tav. XXXV; cfr. HOERNES, _Urgeschichte der bildenden Kunst in
   Europa_, tav. XXXII).]


=APPENDICE II.=

=Dell'importanza delle fibule come dato archeologico nelle età
preistoriche, e loro cronologia.=

(Ved. =Tav. 16=).

È tale la quantità e la varietà di questo oggetto d'ornamento che noi
possiamo dalla sua forma, grandezza e tecnica indurre l'età degli
oggetti archeologici in mezzo ai quali si trova. Il Montelius, già
citato, compresa l'importanza storica, per così dire, di questo muto
testimonio di età antichissime, tentò di riunirne ben 289 nel suo
Atlante della _Civilisation primitive en Italie_, e di ricostruirne la
cronologia. Quantunque non tutti siano d'accordo sull'attendibilità e
sicurezza di tali dati, come osservò l'illustre Prof. Pigorini (_Boll.
di Paletnologia Italiana_, 1898), pure riportiamo qui a titolo di
curiosità e di confronto l'abbozzo cronologico del Montelius.

   [Illustrazione: =Necropoli di Bologna.=

   (=Seconda età del ferro — Periodo Benacci II=).

   (Ved. MONTELIUS, Op. cit., Atl. _B_, 79).

   =Tavola 16.=

   Fibule in bronzo di varia struttura e di differenti stili.

   N. 1, fibula ad arco rigonfio. — 2, 5, fibule con arco a forma
   di essere vivente. — 8 (superiore) e 3, bronzo e vetro. — 8
   (inferiore) e 10, bronzo ed ambra. — 6, fibula ad arco piatto
   con ornamenti. — 8 (inferiore) fino a 16, fibule ad arco
   serpeggiante. — 7, id. a rettangolo.]

   [Illustrazione: =Necropoli di Bologna.=

   (=Seconda età del ferro — Periodo Benacci II=).

   (Ved. MONTELIUS, Op. cit., Atl. _B_, 81).

   =Tavola 17.=

   N. 1, 8, ciste a cordoni: il n. 1 in terra cotta, il n. 8
   in bronzo. — 2-4, vasi di terra cotta. — 5-9, vasi in lamine
   sottilissime di bronzo.]

Nel suo capitolo d'introduzione al testo, ossia alla spiegazione
scientifica delle tavole dell'Atlante (vol. II), intitolato: _Evolution
de la fibule en Italie_, distingue nettamente due grandi classi di
fibule, quelle a un sol disco o ad _agrafe_ (tav. I-XX), e quelle a
due o a quattro dischi (tav. XXI), che si trovano spesso nell'Italia
Meridionale, e più propriamente nelle regioni centrali della Penisola,
mancando invece interamente al nord degli Appennini.

Le fibule a un sol disco, che il Montelius poi studia diffusamente
nell'Italia Settentrionale, sono da distinguere, secondo il loro grado
evolutivo, in quattro serie:

1. Fibule ad arco semplice, non serpeggiante, a disco. Molla
unilaterale (tav. I-III dell'_Atl._ Montelius).

2. Fibule ad arco non serpeggiante, ad _agrafe_. Molla unilaterale o
bilaterale (tav. id., IV-XIII).

3. Fibule ad arco serpeggiante, a disco. Molla unilaterale (tav. id.,
XIV-XV).

4. Fibule ad arco serpeggiante, ad _agrafe_. Molla unilaterale (tav.
id., XVI-XX).

Segue poi nell'introduzione citata del Montelius l'elenco dei centri
archeologici scavati più o meno recentemente, e disposti in ordine
cronologico, come segue.

S'incomincia dall'età del bronzo, cioè dal periodo dell'apparizione dei
metalli, fra cui:

1. =Età del bronzo, periodo III=: la palafitta di Peschiera (tav. 5-9
dell'_Atlante_ di Montelius).

2. =Età del bronzo, periodo IV, prima parte=: i tesori di Casalecchio
(tav. id. 39), di Piediluco, di Goluzzo e di Montenero, nell'Italia
Centrale.

3. =Età del bronzo, periodo IV, seconda parte=: le necropoli di
Moncucco (tav. 42 dell'_Atl._ Montelius), di Bismantova (ved. la nostra
=tav. 18=), di Fontanella e di Verucchio al Nord degli Appennini, e
di Vetulonia, Vulci, Bisenzio e Corneto (le tombe più antiche, però),
nell'Etruria.

4. =Prima età del ferro, periodo I=: la necropoli di Bologna (Benacci
I, tav. Mont. 73-75).

5. =Prima età del ferro, periodo II=: la necropoli di Bologna (Benacci
II, tav. id. 76-81).

6. =Prima età del ferro, periodo III=: la necropoli di Bologna
(Arnoaldi I, tav 82-86).

7. =Epoca etrusca=: la necropoli di Bologna (Arnoaldi, II, la Certosa,
tav. id. 100-106).

8. =Epoca gallica=: le necropoli delle provincie di Como, di Bologna,
ecc. (tav. id. 63-65; 111-113).

Conclude poi il Montelius con un prospetto approssimativo delle date
cronologiche alle quali risponderebbero i varî tipi delle fibule, dalle
età più remote fino all'età storica, distribuiti come segue:

1. I tipi più arcaici delle fibule decorrono dal XV secolo av. C. (ved.
_Atlante_ Mont. parte _A_, fig. 19), trovandosi nelle tombe greche
contemporaneamente al re egiziano Amenofi III, che viveva in quel
secolo.

2. Fibule del tipo della Certosa: da tombe più antiche molto
verosimilmente del VI secolo av. C. È provato dalla loro presenza in
tombe etrusche, contenenti vasi greci dipinti di quell'epoca (tav.
100-106).

3. Fibule del tipo più antico detto _La Tène_; quasi contemporanee
alle fibule della Certosa, con cui hanno, escluso il tipo della molla,
grandissima affinità (cfr. fig. 137 e 161 della parte _A_ dell'_Atl._
Mont.).

Facendo tesoro di questi dati, il Montelius conclude che i tipi di
fibule antiche compresi fra quelle ad arco semplice più arcaiche, e
quelle della Certosa, sono state fatte fra il secolo XIV e VI av.
C., aggiunge poi la conclusione, alquanto arbitraria che i cinque
periodi intermedî delle differenti forme di fibule abbiano la durata
medesima fra loro, e ne conclude un tratto di tempo di 150-200 anni
per tipo e per periodo, fissati i quali, si può fissare anche la
data dei ritrovamenti archeologici in cui si trovano fibule, badando
esclusivamente al loro tipo.

Sulle conclusioni pericolose del Montelius si pronunciò contrariamente
l'illustre Pigorini, al luogo citato: però le date fondamentali del
Montelius, fissate nel suo precedente prospetto, si possono tenere
per ferme, e servono di base per fissare date più particolari, entro i
periodi intermedî.

Il Montelius aveva studiato a lungo i vari tipi delle fibule già dagli
anni 1880-82, in cui pubblicò il libro: _Spännen frau brons äldern och
ur dem närmast utvecklade former. Typologisk studie nell'Antiquarisk
tidskrift för sverige_, e l'altro lavoro più accessibile agli studiosi:
_Les fibules de l'âge du bronze en Italie_, nei _Materiaux pour
l'histoire de l'homme_, XI (Tolosa 1880), pag 583.

Un bell'articolo sulle fibule è inserito nel _Dictionnaire d'antiquité_
di Daremberg e Saglio, alla voce: _Fibule_.


=APPENDICE III.=

=Confronto tra la situla della Certosa e lo scudo d'Achille.=

(Ved. =tav. 15=, =21=, =24=).

La situla istoriata degli scavi della Certosa non è sola, ma fa parte
di una serie di situle a lamina lavorata a sbalzo, di cui parlerò più
innanzi.

Per ora ricercandone la provenienza e la diffusione, mi limiterò
a studiare la situla di Bologna in sè, tentando di spiegare la sua
rappresentazione e le relazioni che presenta con l'arte omerica dello
scudo di Achille.

Innanzitutto, malgrado le scoperte dello Schliemann, le verifiche
del Dörpfeld e l'opera magistrale dello Helbig sull'epopea omerica,
non si può ancòra ricostruire la tecnica dello scudo omerico, e
sapere se sia o no in gran parte opera della fantasia di Omero.
Dopo le discussioni di carattere negativo del Bursian e del Müller,
Clermont-Ganneau, nella _Revue critique_ del 1878, concludeva che i
monumenti fenici e di lavorazione a tipo fenicio, quali la coppa di
Palestrina, ci suggeriscono la possibilità della ripetizione delle
azioni rappresentate in quadri successivi e variati. Il Milchhöfer,
però, nel 1833, nel suo bel libro: _Die Anfänge der Kunst_, mostrò però
l'impossibilità che il lavoro dello scudo omerico sia su una lamina
a _repoussé_, ossia a sbalzo, e quindi ci allontana dal confronto di
esso con la nostra situla e dalla determinazione di una vera e propria
imitazione omerica in quest'ultima.

L'Helbig, nella seconda edizione dell'_Homerische Epos_ (1887, traduz.
francese, pag. 415), conclude che lo scudo, nel suo complesso, è
l'opera della fantasia poetica, ma che _les descriptions des scènes
particulières ont souvent été suggérées par des représentations
figurées_, e bisogna riconoscervi l'_intervention du souvenir d'oeuvres
grecques, dans lesquelles l'esprit national s'était déjà élévé à une
expression individuelle_.

Fu primo, però, il Brunn a mettere in rilievo nel 1887 l'analogia
molto stretta fra lo scudo d'Achille e le situle dell'Italia
Settentrionale (_Über die Ausgrabungen der Certosa_, Monaco, 1887,
pag. 26-170), concludendo che _il n'existe pas un second groupe de
monuments que l'on pût utiliser aussi directement pour la restitution
du bouclier homérique, que les situles de Bologne et de Watsch_.
Passa poi a considerare la questione se si possa dire umbra la civiltà
rappresentata della situla, dicendo che tale opinione viene da quella
che ritiene gli Umbri sconfitti, annientati poi dagli Etruschi, se
non che le scoperte e gli studî nella Carinzia, offerti dal Meyer
nel lavoro: _Gurina im Obergailthal_, Dresda, 1885 (cfr. ORSI,
_Bull. di Paletn. Ital._, XI, 1885), inducono a credere piuttosto
che alcune popolazioni illiriche, spinte dalle spiaggie orientali
del Mar Adriatico verso il Nord e l'Ovest, per via di terra siano
pervenute nell'Italia Settentrionale, portandovi così ricordi,
tendenze artistiche greche. Le coppe d'arte fenicie erano pasticci,
per così dire, a cui l'arte egiziana ed assira diedero gli elementi,
e l'arte micenea offre parecchi confronti, cosicchè si può concludere
che queste situle istoriate siano imitazioni degenerate di modelli
micenei. Così la tradizione epica non solo, ma anche l'artistica
della Grecia micenea, introdotta in Cipro prima della introduzione
fenicia, si diffonde a Creta, e nell'Europa Occidentale, sulle rive del
Bosforo Cimmerio e dell'Adriatico. Il Brunn, nella sua _Griechische
Kunstgeschichte_, mette in rilievo le analogie del lavoro artistico
fra lo scudo d'Achille e le situle celto-illiriche, come fra queste e
l'opera romana conosciuta sotto il nome di _Sedia Corsini_. Certamente,
come osservavo nel 1897 in un mio lavoro a proposito di una lamina a
sbalzo istoriata di Rovereto, che illustravo pel Museo di Torino (ved.
_Nuovo Archivio veneto_, XVI, parte I, pag. 10 e segg., dell'estratto),
“certamente non si può ammettere qui in Italia un passaggio repentino
dallo stile geometrico paleoitalico, quale vediamo nella ceramica e
nei manufatti della età del bronzo e della prima età del ferro, allo
stile figurativo e artistico delle situle e della nostra lamina, senza
ammettere un elemento nuovo, estraneo, che fu creduto dal Deschmann
l'etrusco, da altri il fenicio, ma fu già fin dal 1888 riconosciuto dal
ch. Ghirardini come più verosimilmente greco arcaico, quale si vede nei
bronzi _sphyrelata_ di Dodona e di Olimpia, e che si intravede tanto
nel gruppo greco-bolognese, quanto in quello atestino ed illirico„.
E mi sono sforzato di dimostrare, con lo studio specialmente della
situla della Certosa e il confronto di quella di Watsch (cfr. le nostre
=tav. 15=, =24=), che vi è in queste situle un _elemento generale_,
che è il greco-arcaico coi suoi animali decorativi orientalizzanti,
con la composizione distribuita a zone, lavorata a sbalzo, con la
rappresentazione delle processioni sacre, come, p. es., le panathenes,
e il concetto di una rappresentazione descrittiva di una narrazione
veramente omerica dei periodi e delle azioni principali della vita
reale.

Oltre questo elemento generale ve n'è uno particolare, indigeno, che
è dato “da certa libertà di distribuzione di fatti e di ornamenti,
da certe forme negli elmi, nei seggi, nei carri, nella bardatura dei
cavalli che rappresentano, nei costumi del tempo, elementi, che furono
trovati in natura a Watsch, a St. Margarethen, e che appartengono a un
periodo non molto differente da quello delle tombe in cui le situle si
trovarono„ (op. cit., pag. 12).

Questi particolari indigeni, per così dire, nell'arte delle situle,
indicherebbero che, importati i modelli e studiata la tecnica allo
sbalzo dagli artisti locali, vi sia stata poi una produzione in parte,
con motivi indigeni, tolti dalla vita paesana, di questo genere d'opere
d'arte.

Una riprova di questo si avrebbe nella copiosa riproduzione, che
nei centri maggiori di diffusione delle situle in questione noi
riconosciamo costante, riproduzione in terracotta degli originali
in bronzo, con la così detta imbullettatura di borchie di bronzo,
immesse nella pasta ancor molle, a ricordo dell'uso di vere borchie o
rigonfiamenti negli esemplari in bronzo.

Malgrado quanto siamo venuti osservando, non tutti sono d'accordo, non
solo per le situle istoriate, ma in genere anche per la decorazione
geometrica delle opere d'arte italiche, circa il viaggio che avrebbero
compiuto gli oggetti e i motivi artistici dall'Oriente in Italia, e,
pure stando ferme quelle analogie e quelle conclusioni a cui siamo
venuti circa l'imitazione omerica, la questione dev'essere ritrattata
più ampiamente.

   [Illustrazione: =Necropoli a incinerazione di Bismantova.=

   (=Età del Bronzo=).

   (Ved. MONTELIUS, Op. cit., Atl. _B_, 41).

   =Tavola 18.=

   N. 1, scalpello in bronzo. — 2, rasoio semilunato. — 3, spillo
   in bronzo con capocchia di vetro. — 4, ciondolo in bronzo.
   — 5, braccialetto in bronzo. — 7, arco di fibula in bronzo.
   — 8, fusaiuola in steatite. — 9-10, vetro. — 11-12, tubetti
   di bronzo. — 13, fibula a tre spirali semplici in bronzo. —
   14-15, id. ad arco semplice. — 16, tomba di pietre squadrate.
   — 17-21, ossuarî in terra cotta, il n. 17 con relativa ciotola
   sovrapposta. — Bismantova segna il passaggio alla civiltà di
   Villanova (cfr. =tav. 19=).]


IV. — =La civiltà e l'arte a Villanova.=

(Ved. =tav. 19=).

Il rito funebre, le forme dell'ossuario, gli oggetti della
suppellettile funeraria delle tombe arcaiche di Felsina trovano
riscontro in tombe di Villanova nel Bolognese, della Campagna Laziale
presso i Monti Albani, di Este nell'antica sede degli Euganei, e di
Toscana, nei dintorni di Chiusi e in Corneto-Tarquinia.

La necropoli di Villanova rappresenta per alcuni il periodo di
transizione fra la dominazione umbra e il principiare dell'etrusca
nella valle del Po (Sec. X-IX a. C. per il Gozzadini)[12].

Le scoperte di Villanova, paese a poca distanza da Bologna presso il
Fiume Idice, datano dall'anno 1853. Sono ben più di duecento sepolcri,
fatti a semplice fossa, di forma ora rettangolare ora cilindrica,
alcuni rivestiti intorno di ciottoli a secco senza cemento, altri di
lastre di calcare (ved. =tav. 19=, 10); sopra le fosse sonvi mucchi di
ciottoli. Dentro, sono deposti gli ossuarî d'argilla (ved. =Atl.= cit.,
=tav. IV=); ma talvolta il cadavere vi sta umato. Gli ossuarî d'argilla
sono maggior parte rossi e neri, ad una sola ansa (ved. =tav. 19=, 1,
2, 6, 7, 8), di diverse dimensioni, con un'altezza che varia da 19 a
39 centim., colla tipica forma di due tronchi di cono congiunti per
la base nel modo già descritto per le tombe di Felsina, con la ciotola
capovolta, ad un sol manico per coperchio (ved. =Atl.= cit., =tav. VI=,
2; cfr. la nostra =tav. 19=, 8). Il corpo del vaso solitamente è ornato
di graffiti nella fresca argilla, con linee, triangoletti, circoletti
concentrici, o cerchielli, con iscrittavi una croce (detta _svastica_)
meandri, ecc. alle forme geometriche si mescolano a zone alternate
figure di anitrelle e di serpentelli, e anche figure umane tracciate
imperfettamente. Dentro l'ossuario erano ceneri ed ossa combuste;
intorno stoviglie accessorie; ceneri e residui di rogo involgevano
l'ossuario e gli altri fittili, e fra le ceneri erano oggetti di
bronzo, di ferro, d'ambra, d'osso, di vetro ed anche ossa di animali,
forse avanzi della cena funebre (_silicernium_) (ved. =Atl.= cit.,
=tav. V=).

   [Illustrazione: =Necropoli di Villanova= (Bologna).

   (=Età del ferro=).

   (Ved. MONTELIUS, Op. cit., Atl. _B_, 93).

   =Tavola 19.=

   N. 1, vaso con piede ad ansa. — 2, ossuario a un'ansa. — 3,
   vaso senz'ansa. — 4, con tre rilievi conici. — 5, id. con
   piede. — 6, id. con un'ansa caratteristica per Villanova
   come il n. 2. — 6, 7 e 8, ornamento a Meandro. — 10, tomba di
   Villanova con ossuario.]

Le stoviglie accessorie presentano varietà di forme, e molte sono
di elegante lavoro, con impasto di finissima argilla, colle pareti
leggiere e sottili. Fra gli oggetti fittili abbondano le fusaiole
coniche, perforate per il lungo, e segnate di ornati geometrici, che
il ch. Gozzadini, illustratore della necropoli di Villanova, opina
fossero pesi per tener ferme le vesti. Abbondano anche i cilindretti
d'argilla, terminati a doppia testa o capocchia, pur essi con ornati
graffiti, quali s'incontrano in altre tombe. Di bronzo sono ornamenti
ed armi, e pezzetti informi di varie dimensioni, che si credono i
primi rappresentanti dei valori per mezzo del metallo, o primi saggi
della moneta (_aes rude_)[13]. Fra gli ornamenti abbondano le fibule,
varie e ornate, con infissivi globetti di vetro colorato, di grani
d'ambra, o bottoni a rilievo; aghi crinali con capocchie a pomelli
di pasta di vetro o d'ambra; spirali di bronzo per ornamento delle
chiome; braccialetti o massicci, o leggieri da portare anche alla parte
superiore del braccio, come è provato da alcuni trovati al braccio
di scheletri; anelli, bottoni di lamina di bronzo. Armi ed utensili
sono ascie o _paalstabs_, simili a quelli delle terramare; coltelli di
bronzo e di ferro; lame lunate (o rasoi)[14]; e certe lamine di bronzo,
come nelle tombe arcaiche felsinee, a sezione di campana, trovate
insieme con asticciuole terminate a bottone a modo di martelletti o
battaglini, che alcuni crederebbero strumenti da suono o tintinnabuli,
mentre altri, come lo Zannoni[15], li ravvisa per oggetti d'ornamento.
Chiodi messi nelle tombe hanno significazione religiosa, come emblema
del fato compiuto, irrevocabile. Vi si trovò anche qualche rozzo saggio
di plastica, due cavallini di bronzo ed un idoletto[16].


V. — =La civiltà e l'arte nelle necropoli del Lazio.=

Documenti dell'antichità preistorica, nei due periodi archeolitico e
neolitico furono trovati, come abbiam detto, nel dintorno di Roma, dove
pure, sull'Esquilino, si rinvennero nel 1872 oggetti della primitiva
industria dell'età del bronzo, che hanno evidenti analogie con quelli
delle terramare. Tali oggetti sono punte di freccia silicee, fusaiole
d'argilla con ornati di punteggiature, pendagli da collane, pesi da
reti, aghi crinali d'osso e di bronzo, fibule di bronzo, denti di jena
e d'orso forati per farne ornamento, vasi di terracotta lavorati a
mano, ornati con impressioni o solchetti fatti nella fresca argilla,
disposti a striscie intorno al corpo.

Trascurando i ritrovamenti sporadici e più antichi, di qualità analoga
e di periodo contemporaneo alle terramare già studiate, fatti nel
territorio di Roma e sull'Esquilino l'anno 1872, passiamo a considerare
i ritrovamenti più abbondanti in istrette relazioni con quelli dei
sepolcri umbro-felsinei e di Villanova. Sonvi nel Lazio traccie di
primitive stazioni, e nel dintorno d'Albano, di Grottaferrata e di
Marino si scoprirono tombe, appartenenti forse ai prischi Latini. È
cosa notevole che le reliquie di queste tombe siano, per gran parte,
sepolte nel peperino, ossia sotto gli ultimi strati delle eruzioni
dei vulcani laziali. Sono fosse, dentro le quali sta deposto il vaso
ossuario, contenente ceneri ed ossa combuste, e coperto da una ciotola
capovolta. I fittili sono rozzi, lavorati a mano, di imperfetta
cottura, non di molto più avanzati di quelli dei terramaricoli;
presentano sul corpo ornamentazione geometrica a varie combinazioni
di linee graffite e di impressioni fatte nell'argilla fresca con
cerchielli e talora con conchiglie; nelle tombe e dentro lo stesso vaso
cinerario sono frequenti le fusaiole.

Ciò che riveste un certo qual carattere artistico è la tecnica
degli oggetti di bronzo, che pur trovansi nelle tombe laziali: aghi
crinali ed ascie, con fibule e spirali per ornamento, mancanti nelle
terramare e frequenti invece nelle tombe di Villanova. In questa
industria degli oggetti della necropoli albana possiamo distinguere
due sezioni, l'una coi caratteri arcaici, al Nord, l'altra, verso Sud,
coi caratteri di una tecnica più sviluppata. Questo sviluppo maggiore
è dovuto ad influenze straniere, e forse anche è rappresentato da
oggetti d'importazione straniera; la quale deve spiegare anche il fatto
della superiorità della metallotecnica nella parte settentrionale
della necropoli laziale, in contrasto con la bassa condizione
dell'industria ceramica. Secondo il ch. Helbig, questa necropoli,
nella sua sezione arcaica, è monumento primitivo del ramo latino della
razza indo-europea; in essa le industrie latine sono limitate ancòra
all'eredità ariana, non per anco tocche da influenze trasmarine;
insomma sono le tombe dei prischi Latini[17].

Le affinità degli oggetti in queste raccolti con quelli di stazioni
padane sarebbero quindi originarie di un medesimo ramo della stirpe
aria, cioè degli Italioti od Umbri-Latini, secondo il Conestabile[18].

Se neanche le necropoli albane presentano opere d'arte, posseggono
però degli oggetti così caratteristici per lo studio dell'etnografia e
della civiltà italica che non si possono passare sotto silenzio. — Così
dicasi di certi fittili foggiati a capanna, che, avendo servito come
ossuari, dalla loro forma e dall'uso prendono nome di _urne-capanne_
(ved. =Atl.= cit., =tav. VII=). Piacque al pensiero degli Italici
primitivi di chiudere i resti del defunto dentro vasi simulanti la casa
dei vivi. La prima di tali urne-capanne fu scoperta nel 1817; e parve
per qualche tempo esemplare singolarissimo; ma per ulteriori scoperte
altre parecchie ne vennero in luce. Si credettero pure un prodotto
ed un costume tutto proprio del Lazio primitivo; ma nell'anno 1882
parecchie altre se ne furono scoperte nelle tombe di Corneto-Tarquinia.

Tali urne-capanne stanno deposte nella fossa dentro un vaso capace,
ovvero rinchiuse dentro un piccolo recinto di lastre di sasso, ritte
e coperte da un lastrone orizzontale, mentre il suolo è formato da
ciottoli. Di tal forma, che ricorda i _dolmen_ gallici, sono due tombe,
scoperte presso Marino, in una delle quali era un esemplare assai bello
di urna-capanna (ved. =Atl.= cit., =tav. VIII=, 1), nell'altro molti
vasi fittili. Queste urne-capanne presentano senza dubbio l'aspetto
della primitiva casa italica[19]; una capanna di forma rotonda,
con tetto acuminato, con linee rilevate concorrenti nell'alto, che
ricordano un'armatura di pali sostenenti la copertura di paglia e di
canne; hanno una larga apertura per porta, con uscio e indicazioni
di spranghe e di stipiti reggenti la porta; in quella, per ultimo
ricordata, del _dolmen_ di Marino apparirebbero indicate due colonne su
ciascun lato della porta. In alcun esemplare vedesi anche segnata sulla
parte del tetto un'apertura a forma triangolare. Questi vasi spesso
hanno intorno delle linee ornamentali graffite, a meandro, a zig-zag, e
con queste frammischiata la croce gammata o cantonata.

Rotonde, fatte di pali e di vimini, con intonaco d'argilla, coperte
di stoppie, di canna, di paglia, dobbiamo pensare che fossero le
primitive abitazioni fin da un tempo anteriore alle ultime eruzioni dei
vulcani laziali, come lo provano gli oggetti sepolti nel peperino fino
agli ultimi tempi della monarchia; ricordando Livio centri eruttivi
quali _lapidibus ruit, vox ingens e luco et summo montis cacumine_, e
trovandovisi l'_aes grave_ fuso librale[20].

Così era nelle stazioni del settentrione d'Italia come nelle regioni
dell'Appennino e nelle pianure del basso Tevere, al tempo della vita
pastorale ed agricola degli Italioti. Così erano fabbricate Alba-Longa
e le città latine; così Roma nelle sue origini; in tali capanne
abitarono i progenitori italici, genti che usavano utensili di selce
e di bronzo e rozze stoviglie d'argilla. Questo ha sua riprova nelle
tradizioni e nelle reminiscenze storiche.[21]


VI. — =La civiltà e l'arte nelle necropoli euganee-atestine.=

(Ved. =tav. 20-25=)

Un nuovo e ricco contributo per la conoscenza della primitiva civiltà
italica diedero le tombe degli antichi Euganei, scoperte fra gli anni
1876 e 1880, nel dintorno della antica città di Ateste, la moderna
Este, dove, cogli antichi oggetti in gran copia raccolti da quelle
tombe, s'è formata una collezione di antichità preromane ricca ed
importante.

Le tombe e la copiosa suppellettile funebre in quella collezione
deposte mostrano l'agro estense, in antico occupato da popolazione
numerosa ed industre, che in questi suoi monumenti funerarî lasciò
traccie del graduale suo sviluppo di civiltà, segnando la successione
di età diverse nello svolgimento delle facoltà d'uno stesso popolo.
Partendo dagli strati più profondi e più antichi, si può seguire questa
successione; essa incomincia da una età euganea primitiva, passa ad una
più sviluppata, e mostra quindi un'età euganea con influenze greche ed
etrusche, per finire in un'età, in cui la civiltà euganea si unisce e
poi si confonde con la civiltà romana.

PRIMO PERIODO. — Dell'età euganea primitiva sono caratteristiche
le tombe _a semplice fossa_ o buca, sormontate da masse informi di
trachite, a modo di cippi; dentro la buca è l'ossuario, e intorno a
questo residui di rogo. L'ossuario è di argilla grossolana e di rozza
fattura, con sopra graffiti degli ornati geometrici, le cui incisioni,
o solcature sono riempite di color bianco; di forma l'ossuario
atestino eguale a quella dell'ossuario di Villanova, del predio
Benacci ed Arnoaldi-Veli, e dei bronzi della Certosa. Gli ornati sono
a triangoletti, a circoletti, a linee ricorrenti, a meandri con croci
gammate.

Coll'ossuario s'accompagnano stoviglie, rozze anch'esse d'impasto e di
lavorazione, di color naturale, raramente tinte di nero con grafite.
Fra gli oggetti fittili di questo più antico strato uno ve n'ha in
forma d'augello, vuoto nell'interno, sostenuto da quattro rotelle,
ed esternamente segnato di ornati geometrici con croci gammate, che
vuol essere ricordato come esempio dei primissimi tentativi di figura
animale[22]. Dentro e dintorno all'ossuario sono pendagli da collana e
fibule di bronzo coll'arco segnato di linee ornamentali.

   [Illustrazione: =Suppellettile di due tombe atestine.=

   =(Vasi, fibule, braccialetti, collane, lamine lavorate,
   oggetti varî).=

   =Tavola 20.=

   Ved. GHIRARDINI, _La situla italica primitiva studiata
   specialmente in Este_, in _Monumenti antichi_, VII, tav. 1.]

SECONDO PERIODO. — Un maggior progresso mostrano le tombe della seconda
età, detta _a cassetta_ (ved. =Atl.= cit., =tav. VIII=, 2), perchè
la buca o cavo, di forma quadrangolare o poligonale, è internamente
rivestito di lastre di tufo calcare, con sovrapposti, come segni
esterni, dei grossi ciottoloni. Dentro posa l'ossuario, nella solita
forma di due tronchi di cono congiunti alle basi, di tipo analogo a
quello di Villanova, come nel primo periodo. Gli ossuari sono lavorati
al tornio con miglior fattura e più fino impasto dei precedenti.
S'accompagnano coll'ossuario stoviglie accessorie, e così quello come
queste hanno borchiette di bronzo infisse nell'argilla ancor fresca a
disegni di linee, di circoletti, di meandri, di spirali ricorrenti,
di croci gammate; i quali disegni, con le lucide capocchie delle
borchiette, dovevano spiccare con bell'effetto sul fondo scuro del
vaso (ved. =Atl.= cit., =tav. X=, 1). Questo modo d'ornamentazione,
creduto caratteristico solo di queste tombe, ha trovato oggi riscontro
in alcuni altri luoghi, come nella terramara di Casinalbo e nelle tombe
arcaiche Cornetane. S'aggiunga una miglior industria metallurgica:
abbondano le fibule, delle quali una nell'arco presenta tre figurette
di cavallini appaiati con due goffe imaginette di cavalieri: abbondano
gli aghi crinali, i fermagli, le spirali; s'incontrano perle di vetro,
ambra, osso, corallo, e piccoli tubetti di bronzo forati pel lungo e
rivestiti di foglia d'oro da infilarsi per collane: inoltre pezzetti
informi di bronzo come rappresentanti della moneta (_aes rude_).
Fra le armi, che però scarseggiano, s'incontrano esemplari di ascie
(_paalstabs_), coltelli di bronzo con manico di osso, punteruoli di
ferro, e lame ricurve, o rasoi. La suppellettile di questa seconda età
mostra lo sviluppo d'una industria locale, prettamente euganea.

TERZO PERIODO. — Un nuovo progresso, determinato però da influenze
straniere, per opera di contatti e di relazioni commerciali, si
presenta nella terza età, che ha analogia con tombe etrusche-felsinee;
nella quale età le tombe, che pur sono a cassetta, hanno costruzione
più regolare, lastre meglio squadrate e commesse con cemento,
sormontate non più da ciottoloni, ma da cippi piramidali a quattro
faccie, talvolta con scrittura; l'ossuario non è soltanto d'argilla,
ma talvolta di bronzo. In questa terza età si hanno anche altre forme
d'ossuario, come quella d'un gran vaso d'argilla, liscio e lavorato al
tornio, d'un'altezza che varia da 40 ad 80 cm. e d'una circonferenza
nella parte più espansa che va da 1 fino a 2 metri (ved. =Atl.= cit.,
=tav. IX=). Stanno questi vasi deposti, dentro buca, con intorno
residui di rogo, o contengono in sè l'ossuario od altre stoviglie
accessorie, quasi fossero _vasi-tombe_, come di fatto si chiamano.

   [Illustrazione: =Antichità di Villa Benvenuti presso Este=
   (Padova).

   =(Terzo periodo euganeo — Sepoltura a incinerazione).=

   (Ved. MONTELIUS, Op. cit., Atl. _B_, 54).

   =Tavola 21.=

   N. 1, 11, situla in bronzo di Villa Benvenuti, lavorata a
   sbalzo con tre zone figurate. — 2, coppa in terra cotta.
   — 3, fibula in bronzo con ciondoli spiraliformi. — 4-9,
   altre fibule varie in bronzo. — 10, _collier_ di perle
   di pasta vitrea di varî colori, e di pezzetti di corallo,
   con sette paia di ciondoli triangolari in bronzo, derivati
   verosimilmente dalla forma delle accette votive. — 12, disco
   in bronzo a sbalzo, coperto di foglia dorata. — 13, bastone in
   legno coperto di una lamina di bronzo ornata a sbalzo.]

Gli oggetti che in questi vasi-tombe si trovano, sono scarsi di numero
e di valore, e se ne inferisce, anche per la stessa maniera della
tomba, che siano queste le sepolture di gente povera. Le stoviglie che
trovansi nelle sepolture della terza età si distinguono dalle altre per
varietà ed eleganza di forme, per finezza di lavoro. L'ornamentazione
a borchiette è più rara, ma, dove s'incontra, mostra disegno meglio
sviluppato di quello dell'età antecedente. Molti dei cinerarî ed altri
vasi sono colorati con ocra e grafite a zone rosse e nere alternate
(ved. =Atl.= cit., =tav. X=, 2), o hanno ornati geometrici a color
bianco. Cominciansi a vedere in disegno e in plastica figure di animali
e figure umane; l'imagine d'un cavallo è graffita su un frammento di
vaso; un cavallino con cavaliere, di lavoro puerile, fu trovato nella
tomba d'un bambino; forse era un giocattolo. Tra i fittili abbondano le
fusaiole e i cilindretti. Insieme coi prodotti dell'industria ceramica
locale sono frammisti esemplari di vasi dipinti greci (_lekythoi,
kylices,_ specie di _cantharoi_), probabilmente provenienti dal
commercio con la vicina Adria: il che ci farebbe risalire a un periodo
che tocca il V secolo a. C.; questi vasi certamente contribuirono
a sviluppare l'industria locale, come sembra vedersi provato da
certi vasi d'imitazione greca, riconoscibili per l'inferiorità
dell'impasto, del lavoro e della colorazione, e che, collocati in uno
strato posteriore a quello dei vasi genuini, accennano ad un momento
intermedio, o ad un passaggio da questa terza ad una quarta età.

   [Illustrazione: =Antichità del Fondo Baratela presso Este=
   (Padova).

   =(Dal tempio — Età gallica).=

   (Ved. MONTELIUS, Op. cit., Atl. _B_, 61).

   =Tavola 22.=

   N. 1-5, 8-14, statuette in bronzo, la maggior parte con la
   base da inserire e fissare sui piedestalli. — 1-3, uomini con
   lancia e pàtera. — 2, guerriero con pugnale alla cintola. — 4,
   id., galeato e armato. — 7, cavallo in bronzo. — 9-11, donne.
   — 12, uomo galeato. — 13, Minerva galeata. — 14, donna, o
   meglio sacerdotessa con pàtera e vasetto (_oinochoe_). — 15,
   placchetta figurata in bronzo.]

Un grande progresso si mostra anche nella lavorazione della copiosa
suppellettile di bronzo. Oltre molti vasi con imitazione delle forme
dei fittili, si incontrano anche ciste e situle, o vasi di bronzo
destinati a contenere l'ossuario fittile. Sono fatti di lamina di
bronzo ripiegata e insieme unita per rivolgimento dei margini con
borchiette e chiodini. Intorno al corpo di queste situle vediamo
svolgersi l'arte figurativa, perchè sono ornate non solo con semplici
elementi geometrici, ma con vere rappresentazioni di figure animali ed
umane, con lo sviluppo d'un concetto; le figure sono lavorate a sbalzo,
o come dicesi, con stile empestico (ved. =tav. 21=).

   [Illustrazione: =Antichità del Fondo Baratela presso Este=
   (Padova).

   =(Dal tempio — Età gallica).=

   (Ved. MONTELIUS, Op. cit., Atl. _B_, 60).

   =Tavola 23.=

   N. 1, placchetta con donna. — 2, id. di rivestimento con
   guerrieri. — 3, guerriero galeato con scudo. — 4-6, 12,
   13, 15, altre placchette id. lavorate a sbalzo. — 7, mano
   pesante di bronzo fuso. — 8, 10, placchette stampate. — 11,
   17, stili iscritti. — 14, placchetta con iscrizioni scolpite
   (sillabario) in alfabeto detto _nord-etrusco_, o euganeo.]

Fra le situle estensi va ricordata quella che dal possessore del fondo
dove fu rinvenuta dicesi situla Benvenuti (ved. =tav. 21=, 1 e 11),
ornata di tre zone di figure, con scene campestri e guerriere, e con
serie di animali alati, che rammentano quelli dell'arte orientale e
dei vasi corinzî. Un'altra situla ornata di zone animali è quella
detta Capodaglio, ove sono cervi, colombelle, lepri seguentisi o
affrontatisi, e che alle loro estremità, becco, coda, zampe, hanno per
appendice dei cirri o ghirigori; in un lato di questa rappresentazione
è aggiunta una figura umana vestita.

In questi primi saggi di disegno le figure animali già mostrano qualche
vivezza e naturalezza di forme e di movimento, rivelando intelligenza
della natura e sviluppo di disegno, mentre la riproduzione della
figura umana è ancora rudimentale. Un medesimo modo d'ornamentazione
s'incontra su piastre o placche di cinturoni, ora quadrangolari ora
ovali; sopra cinturoni, o panziere di lamina di bronzo, con disegni
d'augelli e fiorami a zone concentriche, così pure su guaine di bronzo
di coltelli, delle quali una porta nel mezzo una figura di guerriero.
Il progredire dell'arte nelle sue prime applicazioni all'industria
appare manifesto anche negli altri oggetti d'ornamento, nelle armille
terminate a testa di serpe, nelle grandi fibule con catenelle da cui
pendono piccoli strumenti da toletta, nelle collane di tubetti di
bronzo dorato, di chicchi d'ambra, di corallo e di pasta di vetro (ved.
per alcuni oggetti =Atl.= cit., =tav. XI=).

   [Illustrazione: =La situla lavorata a sbalzo di Watsch, nella
   Carniola, e frammenti d'altre situle.=

   =Tavola 24.=

   La figura centrale e quella superiore indicano la situla
   di Watsch; dei due frammenti a destra il superiore è da St.
   Marein (Carniola), l'inferiore e gli altri due a sinistra da
   Matrei (Tirolo). (Dallo HOERNES, _Urgeschichte der bildenden
   Kunst in Europa_, tav. XXXV).]

Oltre che ad Este troviamo resti del Terzo Periodo a Caverzano, presso
Belluno, ove esiste una vasta necropoli euganea con traccie della
civiltà etrusca ed orientale[23].

Ma non tutto è paesano in questa età. — L'influenza straniera si
dimostra coi vasi di tipo greco, e coi bronzi, i quali hanno analogie
con bronzi etruschi del suolo bolognese, in tombe posteriori alle
umbre. Notevole è che di tali bronzi, quali le ciste e le situle, si
trovano esemplari nei paesi alpini e anche oltre le Alpi, in Val di
Cembra, a Matrei, ad Hallstadt, a Moritzing presso Bolzano; a Watsch
e a Sanct-Marein, nella Carniola; a Kuffarn, nella Stiria (ved. =tav.
24=); e si riguardano come monumenti della più antica arte italica,
prodotti che dai centri industriali italici — e Felsina era tra questi
— si spandevano nelle regioni settentrionali, seguendo forse quella
via per cui dalle contrade nordiche era stata importata l'ambra in
Italia[24].

QUARTO PERIODO. — Nelle tombe ascritte alla quarta età si vedono
traccie d'occupazione celtica (ved. =tav. 22= e specialmente =23=),
armi di ferro, quali si trovano anche nell'agro felsineo, dove la
dominazione etrusca fu dall'invasione celtica distrutta. Nelle tombe
euganee si vedono poi, e sempre crescenti, le vestigia dell'occupazione
romana. Coi Romani gli Euganei furono in contatto fino dall'anno 224
av. C., e a loro furono sottomessi quando nell'anno 184 av. C. si ebbe
la dedizione dei Veneti a Roma. Nelle tombe euganee-romane s'incontrano
monete d'Augusto, d'un tempo che sta fra l'anno 708 e il 742 di R.
(45-11 av. C.); cosicchè si può concludere che il Quarto Periodo si
estenda dal IV al I secolo av. Cristo.

Sepolcri con rito di cremazione, con vasi, frammenti di situle,
con fibule, perle d'ambra e di vetro, od altri arredi od ornamenti
affini alla suppellettile delle tombe euganee, si vengono scoprendo
a Caverzano presso Belluno, dove dalle reliquie d'una vasta necropoli
si rivela una civiltà analoga a quella delle tombe euganee del Terzo
Periodo, con indizî d'attinenza con la civiltà etrusca e d'influenza
dell'arte orientale[25]. Si confronti con la suppellettile di due tombe
atestine illustrate nella tavola =n. 20=, pag. 58-59.


=APPENDICE IV.=

=Diffusione delle situle italiche di bronzo e di terracotta in Italia.=

Dopo che il ch. Prosdocimi riconobbe quattro periodi archeologici
in Este, in sèguito agli scavi fortunati in quella provincia (ved.
_Notizie degli Scavi_, 1882), e il ch. Ghirardini ritrattò con studio
più profondo ed esauriente l'argomento, riconoscendo nelle antichità
di Este tre periodi principali: l'italico, il veneto e il gallico (ved.
_Notizie degli Scavi_, 1888), lo stesso prof. Ghirardini trattò a parte
l'argomento della _situla italica primitiva, studiata specialmente in
Este_ (ved. _Monumenti antichi pubblicati per cura della R. Accademia
dei Lincei_, vol. II, 1894, col. 161 e segg., Iª parte; vol. VII,
col. 1 e segg., IIª parte), trattando nella Iª parte _Dell'origine
e propagazione della situla in Italia_, e nella IIª parte _Della sua
ornamentazione geometrica negli esemplari in bronzo, e negli esemplari
di terracotta_, aggiungendovi molte _ricerche sull'ornamentazione a
borchie_ (o imbullettatura) _di bronzo dei vasi fittili_ (ved. =tav.
25=).

   [Illustrazione: =Motivi ornamentali di vasi fittili atestini,
   ottenuti con le borchie di bronzo confitte nella loro terra
   ancor molle.=

   =Tavola 25.=

   Ved. GHIRARDINI, _La situla italica primitiva studiata
   specialmente in Este_ in _Monumenti antichi_, vol. VII, tav.
   2ª. Ved. testo a pag. 58 e 66. Cfr. pel medesimo uso nel
   Territorio Falisco: BARNABEI in _Monumenti Antichi_ vol. IV
   (1894), col. 229 e segg.]

Incomincia il Ghirardini a dividere le situle dell'Italia
Settentrionale in quattro gruppi:

1. _Cispadano, o umbro etrusco_ (situle bolognesi).

2. _Transpadano orientale, o veneto_ (situle atestine).

3. _Transpadano occidentale, o ligure-celtico_ (situle di Golasecca e
di Trezzo).

4. _Alpino, o reto-illirico_ (situle del Trentino e del Tirolo, del
Bellunese e del Cadore, di Gorizia e dell'Istria).

Studiate le situle più note dei varî gruppi, l'A. ricerca l'origine del
nome, del tipo, dell'uso della situla. La situla è una vera secchia, a
forma di tronco di cono capovolto; la sua tecnica è quella comune dei
vasi di bronzo della prima età del ferro a lamine tirate col martello e
riunite con chiodi. Sulle stesse situle si vedono altre situle tenute
da persone ivi rappresentate, il che mostra che le rappresentazioni
sono prese dalla vita del tempo in cui erano fabbricate (ved. vol.
II dei _Monumenti_ cit., col. 195-200, figg. 1, 2, 3, 4). Secondo il
Ghirardini, l'invenzione di questo tipo di vasi è dovuta all'Oriente;
ai Fenici si deve l'introduzione di esso in Italia. Se ne son trovati
di simili fra quella serie di vasi che sono rappresentati nelle pitture
murali della celebre tomba di Rekhmara, intendente di Thoutmes III
(1591-1565 av. C.), e che rappresentano il tributo dei Kefa, cioè dei
Fenici, ai Faraoni, specialmente in opere metalliche.

Studiata poi la situla particolarmente nei singoli centri
sopraccennati, e diffusosi specialmente a parlare della situla in Este
e della sua decorazione geometrica, il Ghirardini conclude che “nella
Lombardia e nelle Alpi la situla è pervenuta, non v'ha dubbio, per un
influsso esercitato dalla civiltà del tipo di Villanova e di Este, ma
in ambedue le contrade si localizzò, e nella seconda massimamente trovò
importantissime sedi di fabbricazione, siccome dimostra il grandissimo
numero degli esemplari alpini registrati nella statistica„.

Fra i sepolcreti del gruppo alpino primeggia per lo straordinario
numero delle tombe quello di S. Lucia, la cui esplorazione si deve al
dott. Marchesetti: a S. Lucia si ebbe il maggior centro di produzione
di questo genere di vasi dopo Bologna ed Este. Tanto nella Lombardia,
quanto nelle Alpi le situle fungevano di consueto da vasi cinerarî; e
in ambedue le regioni se ne fecero molte riproduzioni in terracotta,
nello stesso modo che si fecero a Bologna e ad Este.


=APPENDICE V.=

=Elenco delle ciste a cordoni e delle situle istoriate e loro
distribuzione geografica.=

I. — CISTE A CORDONI.

Tolgo dagli studî del Reinach sulla _Géographie des cistes à cordons_
(ved. BERTRAND-REINACH, _Les Celtes dans les vallées du Pô et du
Danube_. Parigi, Leroux, 1894, pag. 213 e segg.) le citazioni delle
ciste a cordoni più importanti.

I. =ITALIA=:

=Sesto Calende= (BIONDELLI, _Di una tomba gallo-italica scoperta a
Sesto Calende_, in _Memorie del R. Istituto Lombardo_, X, 1867, tav.
II, fig. 1 e 2).

=Golasecca e Castelletto-Ticino= (CASTELFRANCO, _Notizie degli Scavi_,
1886, pag. 113; cfr. anche _Annali Istituto_, 1880, pag. 242).

=Caverzano=, presso Belluno (_Annali_, 1880, 242).

=Este= (_Scavi e scoperte nei poderi Nazari di Este_ di pag. 41; cfr.
_Archéol. celt. et gaul._, 2ª ediz., pag. 309).

=Rivoli=, presso Verona (_Atti R. Istituto Veneto_, VI serie, tom. III,
tav. 24, 3).

=Bologna=, da varî sepolcreti (ved. GOZZADINI in _Monumenti antichi_,
II, pag. 170-173).

=Castelvetro= (Modenese; _Annali_, 1882, pag. 68).

=Marzabotto= (GOZZADINI, _Ulteriori scoperte_, tav. II).

=Tolentino= (_Annali_, 1880, pag 241; 1881, pag. 219).

=Vulci= (_Annali_, 1884, pag. 267).

=Allifae= (Sannio; _Annali_, 1884, pag. 267).

=Cuma=, presso Napoli (_Annali_, 1880, tav. IV, 3; cfr. _Verhandlung
berl. Gesell._ XIX, pag. 558).

=Nocera= (MINERVINI, _Bullett. Napolit._, 1857, tav. III).

Altri esemplari di minor conto a Fraore (Parmigiano), Orvieto, Rugge
presso Lecce, Taranto; cfr. TRÖLTSCH, _Fundstatistik der vorrömischen
Metallzeit_, e GHIRARDINI, op. e loc. cit..

II. =SVIZZERA=:

=Grauholz= (Cantone di Berna; ved. BONSTETTEN, _Recueil d'antiq.
suisses, Supplem._, I, tav. XV).

III. =AUSTRIA-UNGHERIA=:

=Byciskala=, presso Blansko (Moravia; ved. MUCH, _Atlas_, tav. LXXV).

=Hallstatt= (Bassa Austria; ved. TRÖLTSCH, cit., pag. 60; SACKEN,
_Grabfeld v. Hallstatt_, tav. XXII).

=Kurd= (centro di Tolna in Ungheria; _Ungarische Revue_, 1886, pag.
316; _Mittheilungen_ di Vienna, 1886, pag. 48).

=Frögg= (Carniola; ved. MUCH, _Atlas_, tav. L, 4).

=Santa Lucia=, presso Tolmino (Istria; ved. MARCHESETTI, _Scavi nella
necropoli di Santa Lucia_, 1893, tav. II).

=Moritzing= (Tirolo; ved. TRÖLTSCH, _Fundstatistik_, pag. 60).

=Aquileia= (Istria; =San Daniele= (ibidem) in _Mittheilungen_ di
Vienna, 1886, pag. 49; =Vermo= (ibidem) nelle stesse _Mittheilungen_ e
nelle _Verhandlungen der berl. Gesellschaft_, XIX, pag. 547).

IV. =GERMANIA=:

=Panstorf=, presso Lubecca (Meclemburgo; ved. _Congrés de Pesth._, pag.
689).

=Meyenburg= (Brandeburgo; ved. in _Verhandl. der berl. Ges._, VI, pag.
162).

=Suttum=, presso Verden (Annover; ved. LINDENSCHMIT, _Alterthümer_, II,
3, 5, 8; _Annali_, 1880, pag. 243).

=Nienburg= (Annover; _Verhandl._ cit., VI, pag. 141).

=Mayence= (LINDENSCHMIT, op. cit., II, 3, 5, 7).

=Doerth= (Prussia Renana; in _Dictionnaire de la Gaule_, art. =Doerth=).

=Belleremise= (presso Ludwigsburg nel Wurtemberg; v. TRÖLTSCH,
_Fundstatistik_, pag. 60).

=Hundersingen= nel Wurtemberg (ved. TRÖLTSCH, op. cit.).

=Klein-Aspergle= (presso Ludwigsburg nel Wurtemb.; v. TRÖLTSCH, ibid.;
LINDENSCHMIT, op. cit., III, 12, 4, 3).

=Uffing= (Baviera; ved. TRÖLTSCH, op. cit., pag. 61).

=Fridolfing= (Baviera; ved. TRÖLTSCH, op. cit., pag 61).

V. =BELGIO E OLANDA=:

=Eggenbilsen= (Tongres; ved. in _Revue archéolog._, 1873, tav. XII, 4).

VI. =FRANCIA=:

=Monceau-Laurent= (Magny-Lambert; Costa d'Oro; ved. in _Archéol. celt.
et gaul._, 2ª ediz., pag. 304).

=Gommeville= (Costa d'Oro; ved. in _Archéol._ citata).

=Reuilly=, presso Orleans (Loiret; ved. BOUCHER DE MOLANDON e A. DE
BEAUCORPS, _Le tumulus de Reuilly-Orléans_, 1887).

=Chaunoy= (Comune di Subdroys Cher; ved. O. ROGER e H. PONROY, _Ciste
en bronze découverte en 1889 a Channoy_, Bourges, 1890).

=Dames= (Comune di Saint-Éloy de Gy, presso Bourges, Cher; ved. op.
cit. di Roger e Ponroy, pag. 10).

II. — SITULE ISTORIATE.

Le principali situle poste fra loro a confronto dallo ZANNONI
(_Scavi della Certosa_, Bologna, 1876), dal REINACH (_Les Celtes
dans les vallées du Pô et du Danube_, Parigi, 1894), e dallo HOERNES
(_Urgeschichte der bildenden Kunst in Europa von den Anfängen bis zum
500 vor Chr._ Vienna, 1898) sono le seguenti in ordine di tempo del
loro ritrovamento:

=Klein-Glein= (Stiria, 1844 (?); ved. _Matériaux_, XVIII, p. 307, fig.
182; MUCH, _Atlas_, XLII, fig. 2 e 3).

=Matreï= (Tirolo, 1845; ved. _Revue Archéolog._, 1883, II, tav. XXIII
3; MUCH, _Atlas d. Centralcom._, tav. XIV, n. 127, fig. 4).

=Trezzo= (Milanese, 1846; ved. CAIMI, _Bullett. d. Consulta archeol. di
Milano_, 1877).

=Hallstatt= (Norico, 1866; ved. SACKEN, _Hallstatt_, tav. XXI, 1, p.
96).

=Sesto Calende= (Milanese, 1867; ved. _Rev. arch._, 1867, II, tav. XXI,
8).

=Moritzing= (Tirolo, 1868; ved. _Mon. dell'Inst._, 1874, vol. X, tav.
VI; _Annali_, 1874, pag. 164; MUCH, op. cit., tav. LXVIII, 155; cfr.
_Mittheil_. di Vienna, 1891, p. 84; HOERNES, op. cit., tav. XXXIV; cfr.
FR. R. WIESER, _Die Bronze-Gefässe von Moritzing_. Insbruch, 1891).

=La Certosa= (Bologna, 1876; ved. ZANNONI, _Scavi_, tav. XXXV; MARTHA,
_L'art étrusque_, fig. 84, 85; _Mittheil. de la Soc. d'Anthrop._, di
Vienna, XIII, tav. XXI; _Bull. Paletnol. ital._, VI, tav. VI, 8; cfr.
HOERNES, op. cit., tav. XXXII).

=La Certosa= (Bologna, Cista Arnoaldi; rinvenuta contemporaneamente
alla grande cista =Benvenuti=, e alla cista più piccola =Capodaglio=
in Este, 1879-80. Per la cista Arnoaldi, ved. ZANNONI, _Scavi della
Certosa_, tav. XXXV; _Revue archéologique_, 1885, II, tav. XXV:
_Matériaux_, XIX. pag. 179. Per le situle di =Este=, ved. _Notizie
Scavi_, 1882, 1888, e il lavoro speciale del GHIRARDINI nei _Monumenti
antichi pubblicati per cura della R. Accademia dei Lincei_, vol. II,
1893 e vol. VII, 1897).

=Watsch= (Carniola 1882; ved. TISCHLER, _Die Situla von Watsch in
Correspond. Blatt d. deutschen Gesellschaft für anthrop. Ethnolog. u.
Urgesch._, XII, 1882; cfr. ORSI, _La situla di Watsch_, Modena, 1883.
Gli altri lavori del DESCHMANN e dello HOCHSTETTER sono citati nel
mio studio sulla _lamina in bronzo lavorata a sbalzo proveniente da
Rovereto_, Venezia, _Nuovo Archivio Veneto_, XIV, parte Iª, pag. 6-7.
Cfr. HOERNES, op. cit., tav. XXXV).

=Sanct-Marein= (Carniola, 1883; ved. _Rev. arch._, 1883, II, tav.
XXIII, 6; cfr. MUCH, _Atlas der Centralcomm._, tav. LIV, n. 127, fig.
6).

=Caporetto= (Istria, 1886; ved. _Verhandl. berliner Gesellschaft für
Anthropolog._, XIX, pag. 548).

=Kuffarn= (Stiria, 1891; ved. _Mittheilungen_ di Vienna, vol. XXI, pag.
68; _Anthropologie_, 1893, pag. 182; cfr. KARNER, HOERNES, SZOMBATHY,
_Über eine Bronzesitula bei Kuffarn in Niederösterreich_. Estratto
dalle _Mittheilungen_ citate).


=APPENDICE VI.=

=La distribuzione dei periodi di civiltà nelle necropoli atestine.=

(Ved. =tav. 20-25=).

Il Ghirardini nel lavoro citato a pag. 66, nota 1 (_Notizie Scavi_,
1888) prende occasione dall'illustrazione della collezione Baratela di
Este, da lui descritta, per riprendere in esame tutto il lavoro del
Prosdocimi sull'argomento, e, aggiungendovi i fatti nuovi, venire a
conclusioni più chiare ed esaurienti.

Riunendo il II e III periodo del Prosdocimi in un solo grande periodo,
il secondo propriamente detto _veneto_ o _atestino_, il Ghirardini
distingue tutta la civiltà atestina in tre grandi periodi principali:
1. l'_italico_; 2. il _veneto_; 3. il _gallico_ (opera citata, pag.
378-380).

L'_italico_ è contrassegnato dalla civiltà di Villanova e dalle
necropoli bolognesi dei fondi Benacci e De Luca; non v'è scrittura, non
v'è metallotecnica sviluppata — la ceramica stessa è di forme alquanto
rudimentali.

Il periodo _veneto_, il più importante, corrisponderebbe alla civiltà
italica, quale si presenta alla Certosa di Bologna; vi appare la
scrittura su stele, placchette, bastoni, oggetti, una scrittura dubbia,
euganea, che si riconosce appartenente all'epigrafia greco-italica
(ved. tav. 1-VI); si aggiunge un'altra novità, quella delle lamine
figurate, che si rannodano con l'arte greca orientale. È particolarità
del II periodo il tipo del vaso cinerario; all'urna di Villanova è
sostituita la situla riprodotta in terracotta e con graziosa curvatura
del vaso.

Nella ceramica si ha l'imitazione dei fittili dal bronzo, con
decorazioni fatte per mezzo dell'imbullettatura, o applicazione sui
fittili di borchie di bronzo (ved. =tav. 25=), ad imitazione dei
bottoni a sbalzo dei vasi enei, e per mezzo della coloritura a zone
rosse e nere alternate (ved. MONTELIUS, _La civilisation primitive en
Italie_. Atlante, tav. 58).

Questo periodo presenta anche progressi nella metallurgia, perchè la
suppellettile ornamentale è accresciuta per mezzo delle fibule e delle
armille, e inoltre si vedono cinturoni e situle figurate.


VII. — =La civiltà e l'arte nell'Agro Chiusino e a Corneto-Tarquinia.=

Nuove analogie con questa condizione di civiltà delle primitive
popolazioni italiche ci richiamano ancora oltre Appennino, nella
regione fra l'Arno e il Tevere, dove stirpi italiche, e, secondo la
tradizione, propriamente le genti umbre, eransi stanziate numerose e
prosperanti.

A Poggio Renzo, nell'agro di Chiusi, furono scoperte (1875) molte
tombe, dette dalla loro forma _tombe a pozzo_. Sono fossette o pozzi
allineati, scavati ad una profondità media d'un metro, e rivestiti
internamente di ciottoli a secco. Ciascun pozzo conteneva un ossuario
di bucchero o di argilla nera, ora liscio, ora ornato di disegni
geometrici, graffiti a punta di stilo, con una sola ansa, o meglio
mancanti d'una delle due anse per uno strano uso simbolico, osservato
in queste e in altre tombe italiche, di deporre i cinerari dopo aver
spezzato una delle anse. Gli ossuari lisci e rozzi sembrano proprî di
tombe più antiche. Dentro l'ossuario erano oggetti di bronzo, cioè
lastrine da ornamento (forse pettorali), fibule e catenelle, e lame
ricurve (rasoi o _novaculae_), il cui manico, pur di bronzo, è unito
alla lama per mezzo di bullette, e non è con quella saldato, come
invece incontrasi nelle tombe meno antiche. Non vi è oro nè argento,
non ambra nè avorio; non disegno di figure viventi sui vasi, salvo
in un solo caso, in cui sul coperchio di un ossuario sono rozzamente
abbozzati due uomini abbracciantisi.

Corrispondono perfettamente a queste tombe a pozzo altre, che furono
scoperte intorno allo stesso tempo a Sarteano[26], borgo presso Chiusi,
con ossuarî identici, e con stoviglie accessorie di forma e di lavoro
primitivo, salvo alcune, che da frammenti apparivano lavorate al
tornio, colorate a striscie alterne, rosse e brunastre, come si vede
nella necropoli atestina ed albana, sull'acropoli di Atene e nell'isola
di Cipro. Insieme con l'ossuario erano rasoi col manico imbullettato,
fibule e catenelle.

Altre tombe isolate e sparse nel territorio chiusino consistono d'un
semplice orcio di terra cotta, toscanamente detto _ziro_, talvolta
alto fino a due metri, deposto sotterra in buca[27]. Fra lo ziro e le
pareti della buca erano residui di rogo; dentro allo ziro le ceneri
del defunto, e frammistivi oggetti in maggior copia e di maggior
fattura di quelli delle tombe a pozzo; fusaiole d'argilla o pesi da
tessitore; rasoi col manico saldato alla lama, o con questa gittato
di un sol pezzo; armi di bronzo, anelli d'oro, d'argento, di ferro,
con pietre incise e scarabei; orecchini d'oro pallido (_elektron_).
Vi si trovarono anche vasi cinerarî di bucchero, o terra nera, in
forma di canòpo, cioè terminati da testa umana, che fa da coperchio,
o sormontati da qualche statuetta rozzamente modellata. Lo ziro era
coperto da lastra di pietra, sopra la quale stavano deposte stoviglie
accessorie; la bocca della buca era chiusa da una seconda lastra.

Nuove tombe a pozzo vennero in luce recentemente negli scavi di
Corneto-Tarquinia degli anni 1881 e 1882, in numero di ben più che
trecento, delle quali però appena una terza parte erano intatte, le
altre già state manomesse. Esse tengono del tipo di Poggio-Renzo e di
Villanova, e delle arcaiche umbro-felsinee. Constano di pozzi rotondi,
scavati verticalmente nella roccia di calcare; il pozzo, a circa due
terzi di sua profondità, si restringe, ed ivi il masso è lavorato
in maniera da cingere il buco con un margine circolare, formando un
angusto pozzetto inferiore. Tali pozzi, che distano l'uno dall'altro
circa mezzo metro, variano in profondità da m. 1.25 a 2.50. Nel fondo
del pozzetto sta l'ossuario, la cui deposizione è di due modi: 1.º il
vaso sta collocato nel fondo del pozzetto; sull'ossuario è una lastra
di _nenfro_ (pietra forte di natura vulcanica di Toscana), che posa
sul margine circolare del restringimento, o pozzetto inferiore; 2.º
l'ossuario sta raccolto dentro una cassetta di nenfro, di forma ora
cilindrica ora quadrilunga, chiusa da coperchio concavo a foggia di
calotta; intorno alla cassetta stanno ceneri e materiali del rogo.
Questo modo sembra proprio delle tombe più ricche (ved. =Atl.= cit.,
=tavole XII= e =XIII=).

Gli ossuari nell'uno e nell'altro modo di deposizione hanno una forma
tipica costante, identica a quella degli ossuarî di Villanova, delle
tombe arcaiche felsinee, e di Poggio-Renzo, cioè di due tronchi
di cono congiunti per la base, che dànno forma panciuta al corpo
del vaso, restringendosi verso la bocca e al piede. Hanno una sola
ansa orizzontale, adattata alla parte più rigonfia. Sono di argilla
grossolana rossastra, lavorati a mano, generalmente di due o tre
zone di disegni geometrici, graffiti nella fresca argilla, o con
impressioni di cerchietti. Le ciotole che fanno da coperchio sono pure
ad un sol manico, ornate anch'esse di graffiti. Intorno all'ossuario
s'accolgono varie stoviglie accessorie; e dentro l'ossuario sono
oggetti d'ornamento, qualche fusaiola, fibule e catenelle. Queste tombe
nella parte superiore sono coperte e chiuse con terra ammassata; esse
sono tutte di cadaveri combusti; ma commescolati con le tombe a pozzo
si trovarono anche alcuni cadaveri umati, o in fossa, o deposti dentro
cassetta di nenfro.

La suppellettile funebre di queste tombe, composta, al solito, di
fittili e di bronzi, in generale è scarsa; ma più abbondante e più
ricca s'incontra quella dell'ossuario in cassetta di nenfro. Nel valore
tecnico della suppellettile devesi distinguere la fattura grossolana
e rozza dei fittili dal lavoro bello e finito dei bronzi, dal che
potrebbesi argomentare che i fittili siano prodotti di un'industria
locale, i bronzi invece siano importati da fabbriche d'un popolo
più civile. I prodotti fittili sono gli ossuarî con le ciotole e le
stoviglie accessorie, alcune a barchetta, altre composte di due o tre
vasetti insieme riuniti da un sol manico, che talvolta ha rozza figura
umana. Non mancano le fusaiole; v'hanno di terra cotta dei candelabri a
foggia di tronco d'albero, con più rami, ma di rozza fattura; e, piccol
saggio di plastica, un animaletto quadrupede d'argilla.

Notevoli sono parecchi esemplari d'ossuario a forma di capanna,
simili alle urne-capanne della necropoli laziale (ved. =Atl.= cit.,
=tav. XIV=), con le travature del tetto in rilievo, le cui estremità
si incrociano, terminate a modo di becchetti, con linee ornamentali
graffite, o tracciate a color bianco; un esemplare di tali urne ha
traccia di decorazione a borchiette, sul tipo del secondo periodo
atestino.

Di bronzo si hanno ossuarî della medesima forma di quelli d'argilla,
ed anche altri vasi. Sono di lamina battuta a martello, ripiegata per
sovrapposizione, non con saldatura ma con bullette, cioè con l'antica
tecnica detta σφυρήλατον, e con ornamentazione risultante di punti
e di linee lavorati a sbalzo (_au repoussé_). Di tal lavoro sono un
gran vassoio, sostenuto da specie di tripode, una tazza di bronzo con
manico, un vaso a foggia d'incensiere con catenelle, un cinturone,
o panciera a bottoni rilevati con linee serpeggianti e circoletti:
forse un ornamento militare. Abbondano fibule con dischi d'osso,
braccialetti, tubetti da infilare a formar monili; s'incontrano rasoi
lunati. Singolare è un animaletto di bronzo sostenuto da quattro ruote,
analogo ad altro di terra cotta rinvenuto nella suppellettile atestina.

Fra gli arredi guerreschi notevoli sono parecchi elmi, alcuni a forma
del berretto sacerdotale romano (_apex_), e due sormontati da crista,
o cimiero ornato di bottoncini rilevati; spade di bronzo con elza
lavorata, o con lama di ferro e guaina di bronzo ornata coi soliti
disegni geometrici; morsi di cavallo, cuspidi e puntali di lancia.

Non manca, ma è rarissimo l'oro; dischetti di bronzo coperti di lamina
d'oro si trovarono in una tomba con l'ossuario in cassetta di nenfro,
ricca assai di ornamenti muliebri, ed ancòra in altra tomba, ma di
cadavere umato, dove giaceva uno scheletrino, e che designasi col nome
di tomba della bambina; in questa si trovarono pure dischetti d'ambra.

Importazioni di prodotti da lontani paesi, per via del commercio, oltre
che dell'ambra, sono provate da alcuni idoletti egizî di smalto verde,
con un foro da appenderli al collo a modo di amuleto, da scarabei di
smalto con geroglifici, e da conchiglie del genere _cypraea isabella_,
propria dei mari orientali[28].


VIII. — =Conclusione sulla civiltà e sull'arte umbro-felsinea, e prisca
latina.=

Nelle stazioni sopra descritte si deve cercare il legame fra le
civiltà preistorica e storica, essendovi analogie talora rilevanti
fra le prime e le seconde forme di tombe e di ornamenti. I nuclei
italici più antichi sarebbero rappresentati da Umbri, Osci, Latini,
Sabelli, Sanniti, Marsi e altri popoli finitimi. — Se alcuni pretendono
di far risalire ai Pelasgi la proprietà delle tombe di Villanova,
per un trattato elementare, che non può contenere una discussione
particolareggiata sull'argomento, è preferibile, finchè la questione
è _adhuc sub iudice_, di chiamare questa civiltà ed arte complessiva,
precedente a quella propriamente etrusca, civiltà ed arte prisca
italica, non escludendo che gli Umbri, ultimi a raccogliere il
patrimonio dei predecessori italici, si trovarono a contatto con gli
Etruschi, che alla fine li soggiogarono.

Ora le analogie delle scoperte archeologiche al di qua e al di là
dell'Appennino sembrano accennare a popoli di un medesimo grado di
civiltà, i quali, nelle manifestazioni dei loro usi e nei prodotti
delle loro industrie, fatta ragione delle variazioni locali, dimostrano
una fondamentale affinità d'origine, cioè risalgono a un popolo italico
primitivo, umbro nella regione felsinea e toscana, prisco latino
nei dintorni di Roma e di Alba. Le affinità dei loro usi, della loro
condizione di vita hanno la medesima ragione delle affinità delle loro
lingue, umbra e latina, cioè la comune loro origine.

Appunto per questa comunanza d'origine certe affinità si estendono più
largamente, cioè agli strati più antichi della necropoli atestina,
e anche a località transalpine, dove furono popolazioni di stirpe
indo-europea, con quel comun fondo di civiltà che le ricerche
etnologiche e linguistiche mostrano proprio di quella stirpe.


IX. — =Civiltà ed arte etrusca alla Certosa e a Marzabotto.=

(Ved. =tav. 26-29=).

La dominazione umbra, estesasi al di qua e al di là dell'Appennino,
viene combattuta e cacciata dentro più brevi confini dagli Etruschi,
che nella valle dell'Arno e in quella del Po posero le loro sedi: e la
dominazione etrusca a sua volta poi viene nella valle Padana distrutta
dall'invasione dei Celti, che, stendendosi più giù fra l'Appennino e
l'Adriatico, restringono dentro termini ancor più brevi l'occupazione
degli Umbri, già tanto oppressi dagli Etruschi.

Del passaggio d'una in altra e della successione di queste dominazioni,
chiare ed abbondanti traccie si conservarono nel territorio felsineo,
e particolarmente alla Certosa di Bologna e nel vicino borgo di
Marzabotto.

1. =Antichità della Certosa. — =Nella Certosa, sontuoso cimitero
monumentale di Bologna moderna, a datare dall'anno 1869, incominciò una
serie di scavi e di scoperte importantissime, che, sotto il terreno
delle tombe moderne, svelarono l'esistenza d'una vasta necropoli
antica.

Gli scavi alla Certosa e in terreni contermini, sapientemente condotti
sotto la direzione del ch. ing. A. Zannoni, e i numerosi oggetti
raccolti e da lui stesso illustrati, hanno sparso nuova luce non
solo sulla storia antichissima di questa regione, sul passaggio della
dominazione umbra all'etrusca, quando la città di Felsina era a capo
della federazione padana, ma ancòra nel successivo passaggio della
dominazione etrusca alla celtica, e di questa alla romana.

Le tombe della necropoli etrusca della Certosa sommano a ben
quattrocento, e si distinguono in quattro gruppi principali, che
sembrano disposti intorno ad una via suburbana, che dipartivasi da
una porta della città. Le tombe contengono o cadaveri umati, o resti
di cadaveri combusti; sono di semplice fossa rettangolare, o di
fosse rivestite di ciottoli a secco, od anche di pozzi circolari pur
rivestiti di ciottoli, o infine di fosse, che dovevan contenere una
cassa di legno, come sembra provato da chiodi di ferro rinvenutivi.
Ammonticchiati sopra le fosse erano ciottoli a strati orizzontali;
molte poi avevano per segno esterno o grandi ciottoli di forma
ovoidale, ovvero stele di pietra calcare a forma ovoidale, od anche a
ferro di cavallo, alcune liscie, ed altre ornate di figure a rilievo,
con rappresentazioni funebri. Probabilmente queste stele portavano
dipinto anche il nome del defunto. Predomina il rito dell'umazione,
essendo le tombe di scheletri incombusti in numero assai maggiore
di quelle con residui combusti. Gli scheletri giacevano supini, coi
piedi a levante, avendo a sinistra la suppellettile funebre; i residui
della cremazione, raccolti in ossuarî fittili, in ciste o in situle di
bronzo, giacevano deposti dentro la fossa, o pozzo con altre stoviglie
ed oggetti (ved. =tav. 26=, 2).

   [Illustrazione: =Scavi della Certosa di Bologna.=

   =(Periodo etrusco).=

   (Ved. MONTELIUS, Op. cit., Atl. _B_, 101).

   =Tavola 26.=

   N. 1, parte della Certosa durante gli scavi. — 2, 4, 10, 11,
   tombe. — 3, chiodo votivo di ferro. — 5-9, stele in pietra di
   varia forma e grandezza.]

L'abbondantissima suppellettile funeraria della Certosa si rivela
innanzitutto come prodotto d'una industria e d'un'arte locale
o nazionale, poi vi si aggiungono prodotti importati da un'arte
forestiera, e infine appaiono i prodotti d'una fusione delle due
attività, nazionale ed estera. In questi prodotti è rappresentata
l'attività dell'etrusca Felsina per lo spazio di un secolo e mezzo.

La plastica è ancor bambina, ma perciò non meno importante. Vi sono
stele sormontanti molte tombe, o in forma di grossa sfera posante su
base parallelepipeda, i cui angoli sono ornati di teste d'ariete (ved.
=tav. 26= e =28=), o di grosse lastre di forma lenticulare o circolare,
istoriate a bassorilievo con figure a zone sovrapposte, talora su una,
talaltra su due faccie della lastra, offrendo rappresentazioni utili
non solo per lo stile dell'arte, ma ancòra per il contenuto della
rappresentazione stessa, che ci fa conoscere credenze e idee degli
Etruschi sulle condizioni dei defunti nella vita futura. Mostrano
queste stele uno stile arcaico, con figure di proporzioni tozze e con
rigidi atteggiamenti. Fu raccolta in una di queste tombe la situla di
bronzo istoriata, che, secondo il ch. prof. Brizio, si deve collocare
tra gli oggetti metallotecnici degli Umbri[29].

Fra i molti bronzi primeggiano una cista cilindrica con ornati
di fogliami ed ovoli graffiti, posante su tre peducci di figure
animalesche; alcuni candelabri d'alto fusto sormontati da figure
o di donna, o d'arciero, o di discobolo; vari specchi a forma di
disco, ma nessuno ornato di rappresentazioni figurate. Si aggiungano
a completare la ricca suppellettile funebre molte fibule, orecchini,
anelli d'oro; unguentarî d'alabastro, di vetro smaltato, orientali;
molti pezzi informi di bronzo (_aes rude_), o impressi con segni (_aes
signatum_)[30].

Nei fittili v'ha una copiosa serie di vasi di varie forme, senza
ornamenti, d'argilla grigia o brunastra, raramente scritti, prodotti
di fabbriche locali. Una serie pur abbondante v'ha di vasi greci
dipinti a figure nere in campo rosso, a figure rosse in campo nero, con
rappresentazioni mitiche, eroiche, familiari[31].

2. =Antichità di Marzabotto. — =Altri monumenti etruschi d'un periodo
di tempo e di civiltà in parte prossimo a quello della Certosa sono
a Marzabotto, borgata poco lungi da Bologna, presso il corso del
Reno, sulla via che per gli Appennini conduce a Pistoia. Ivi, a
cominciare dall'anno 1865, si scoprirono molte tombe, ricche di bella
suppellettile, sebbene già anticamente frugate e manomesse[32].

   [Illustrazione: =Scavi di Marzabotto= (Provincia di Bologna)

   =(Periodo etrusco).=

   (Ved. MONTELIUS, Op. cit., Atl. _B_, tav. 107).

   =Tavola 27.=

   N. 1, parte della città antica, via principale e quattro vie
   secondarie con le fondamenta delle case adiacenti. — 2, 4-7,
   tegole e frammenti di tegole di varia forma in terra cotta. —
   3, capitello di colonnetta in terra cotta, con ornamenti. — 8,
   tubo in terra cotta. — 9-10, antefisse in terra cotta. — 11,
   forno da vasaio. — 12, spaccato di un muro con tubi d'argilla.
   — 13, pezzi di pietra calcare. — 14-15, piano e spaccato del
   tempio dell'acropoli nella città, e ruderi del medesimo. — 16,
   _Puteal_ ornato di terra cotta, che circonda l'apertura di un
   pozzo.]

Le tombe sono di varie forme:

1.º Pozzi sepolcrali, scavati perpendicolarmente, di varia profondità,
rivestiti di ciottoli a secco, salvo il fondo, che è scavato nel
terreno (ved. =Atl.= cit., =tav. XV=); sono analoghi, quantunque
maggiori, ai pozzi sepolcrali di Villanova, con gli scheletri ritti o
rattrappiti, sopra i quali stavano ammucchiati ciottoli, e, insieme a
tutto questo, vasi d'argilla e di bronzo, grandi urne fittili, poste
nel fondo, oggetti di bronzo, cocci di vasi e di tegole, quantità
d'ossa di animali.

2.º Tombe a cassa quadrilunga di quattro o di sei lastre di tufo
calcare, sormontate e chiuse da lastre piane, o a doppio piovente,
come una casa, o con due massi sovrapposti e di grandezza decrescente,
formanti base di due gradini ad un sasso sferico, ad un tronco di
colonna, o ad una stele con membrature architettoniche e anche con
rilievi, certamente appartenenti a persone ricche. Questi erano segni
esteriori per indicazione della tomba; dentro erano scheletri, o dolî
fittili con ossa combuste.

A nessuno sarà sfuggito lo sviluppo architettonico e l'arte progredita
di Marzabotto. I monumenti sepolcrali hanno basi, cimase, listelli,
veri elementi architettonici; antefisse di terra cotta figurate, ed
embrici dipinte a meandri, scacchi, palmette (ved. =tav. 27=).

Oltre le dette antefisse con volti umani, si ha una base di stele con
testa di montone a ciascuno dei quattro angoli, ed un'intera stele
con ornato di palmette e con bassorilievo di figura di donna veduta di
profilo, vestita di lunga tunica, in atto di far libazione; forse il
ritratto della defunta con tutti i caratteri dell'arte arcaica (ved.
=tav. 28=).

   [Illustrazione: =Scavi di Marzabotto= (Provincia di Bologna).

   =(Periodo etrusco).=

   (Ved. MONTELIUS, Op. cit., Atl. _B_, n. 108).

   =Tavola 28.=

   N. 1-2, spaccati di pozzi circolari, rivestiti di ciottoli
   a secco, con base conica nel tufo, senza rivestimento. — 3,
   sommità di una stele marmorea, in forma di pigna di marmo.
   — 4, id. con base quadrata ornata di bassirilievi figurati
   (teste di arieti). — 5, stele piatta in pietra con figura
   umana in bassorilievo. — 6, fascia ornamentale della pigna n.
   3. — 7-10, tomba in pietra di varia forma e grandezza, i nn. 7
   e 9 in forma di casa.]

Fra i prodotti dell'arte ceramica s'incontrano ancòra le fusaiole,
o quei cilindretti a doppia testa ricordati nelle terramare e in
Villanova; ma vengono a mancare i vasi rozzi ad ornamentazione
geometrica, per essere sostituiti da vasi di tipo greco, figurati
e dipinti. Singolarmente importante è un frammento di vaso con la
scritta..... κρυλιον ἐποίες...., in caratteri arcaici; l'inscrizione
fu dal Boeckh completata col nome di Κακρύλιον, figulinaio e pittore,
ricordato in vasi etruschi, e vivente nella prima metà del V secolo av.
C.[33].

Fra i bronzi abbondano le fibule, molte dei tipi medesimi di Villanova,
molte altre di forme più eleganti. In buon numero vi sono aghi crinali,
anelli, ciondoli, stili da scrivere, chiavi. S'incontrano pure specchi
di bronzo a forma di disco manubriato, i quali però, come quelli già
ricordati della Certosa, non hanno sulla lamina speculare nessuna
figura incisa, ma sono lisci, con qualche fregio ornamentale solo nel
contorno estremo. Notevoli alcune situle o secchielli, e alcune ciste
a cordoni, del tipo già ricordato nelle tombe umbro-felsinee, cioè
cofanetti o scatole cilindriche di lamina di bronzo col corpo segnato
da più striscie o cordoni rilevati, oggetti che, dopo essere stati
forse cofanetti di toletta, vennero usati per raccogliere le ceneri dei
defunti.

Di tali ciste molti esemplari si trovarono nei dintorni di Felsina, in
varie e opposte regioni d'Italia, presso il Lago Maggiore, a Belluno,
ad Este, nel Modenese, nel Parmense, a Tolentino, a Cuma, a Nocera
ed anche oltre le Alpi in Austria, Francia e Belgio. Da archeologi
italiani, quali il Cavedoni, Conestabile, Gozzadini, le ciste a
cordoni furono considerate come proprî prodotti di fabbriche etrusche
circumpadane. Archeologi stranieri, quali Genthe, Lindenschmit, Wirchow
le fanno opere etrusche in genere. Alcuni altri le riconoscono come
prodotti di origine e d'importazione celtica. Contro queste opinioni,
lo Helbig suppone le ciste, e con esse anche altri bronzi arcaici,
opera invece della metallotecnica greca, delle colonie calcidesi
stanziate in Campania, opere che per il commercio si diffusero in
Italia ed in Europa; fondandosi per questo sul ritrovamento di una
cista e di altri bronzi arcaici in una tomba greca di Cuma. Da siffatte
ciste primitive poi, secondo il Conze, sarebbesi sviluppato il tipo
delle ben note ciste prenestine, di cui parleremo[34].

Molte statuette di divinità, forse di Dei Lari, si rinvennero a
Marzabotto fin dall'anno 1839, di stile arcaico, tanto negli occhi
sporgenti, nel tipico sorriso delle labbra, nei piedi interi e rigidi
al suolo, quanto nelle pieghe degli abiti diritte e parallele fra loro.

Ma non mancano oggetti artistici di stile non arcaico, come, p. es.,
una piccola testa di bue; un piccolo gruppo di guerriero con donna,
vestita di lunga tunica e di peplo (forse Marte e Venere), bellissimo
per la composizione, per l'atteggiamento, per la trattazione del nudo e
per una certa dolce espressione dei volti. Imitazione dal vero appare
in una figuretta ignuda d'un Etiope, che reca sulla spalla sinistra
un'anfora (ved. =tav. 29=, 6-9); bella modellazione in una piccola
gamba, forse un dono votivo, ben proporzionata e riuscita nelle sue
parti.

Non parliamo poi di ornamenti di metallo prezioso, fibule d'oro e
d'argento, oggetti d'oro laminato e lavorato a filigrana, fra cui una
collana di sedici grani d'oro, e un paio di pendagli d'oro a fogliette
e fiorellini, di finissima lavorazione; nonchè molti anelli lisci o
con pietre incastonate. Si aggiungano i soliti pezzi d'ambra lavorati a
figurette, paste di vetro colorate, conterie, ecc.; segno del commercio
attivo anche con l'estero.

   [Illustrazione: =Scavi di Marzabotto= (Provincia di Bologna).

   =(Periodo etrusco).=

   (Ved. MONTELIUS, Op. cit., Atl. _B_, 110).

   =Tavola 29.=

   N. 1, statuetta virile in piombo. — 2, id. in bronzo. — 3,
   placchetta in bronzo a rilievo (Ercole che combatte Cycnos).
   — 4-5, statuette femminili in bronzo. — 6-7, gruppo di due
   statuette (verosimilmente Marte e Venere). — 8, particolare
   della testa galeata dei nn. 6 e 7. — 9, statuetta in bronzo
   rappresentante un etiope nudo, portatore d'anfora.]


X. — =Osservazioni generali intorno allo stile italico.=

Se i monumenti della Certosa, insieme con quelli di Marzabotto, sono
indubbiamente etruschi, essi rivelano però una civiltà meno ricca
e meno sviluppata di quella dell'Etruria propria, o, a dire più
esattamente, una civiltà che non potè conseguire lo sviluppo suo pieno
come nell'Etruria al di là dell'Appennino, per esser stata arrestata
o tronca a mezzo dall'invasione e dal dominio gallico; questo fatto,
e insieme con esso certi altri elementi, quali i vasi dipinti e i
caratteri del loro stile, sono argomento a determinare che i monumenti
etrusco-felsinei possono avanzarsi fino al V e al principio del IV
secolo av. C.. Questi monumenti, e specialmente le stele e i bronzi,
sono le testimonianze dell'antichissima arte etrusca, o meglio
dicasi arte italica, in quanto che gli Etruschi meglio che sviluppare
un'indole propria, forse presero ad esercitare un'industria ed un'arte
già in svolgimento presso i popoli italici, in mezzo ai quali poi si
stabilirono; arte ch'essi più tardi portarono a matura perfezione, ma
non per isvolgimento di proprie ed intime forze, bensì per effetto di
straniere influenze, e più propriamente di influenze greche.

I più antichi gradi di sviluppo di quest'industria italica, da cui
l'arte poi nasce, si possono seguire con lo studio degli oggetti delle
terremare per l'età del bronzo; con quello dei primi strati delle
necropoli umbro-felsinee, laziali ed euganee, nelle tombe di Poggio
Renzo, Sarteano e Villanova, e con lo studio delle arcaiche Cornetane
per la più antica età del ferro; infine con quello della Certosa e
di Marzabotto per l'età che deve dirsi propriamente storica; onde
è in questi punti che il nesso fra l'età preistorica e la storica
classica può essere cercato e studiato. Nè a questo punto s'arrestano
i documenti dell'antichissima storia della regione felsinea, giacchè
ai monumenti della civiltà etrusca seguono le tombe dei Galli Boi, che
in quella regione posero loro stanza, ed infine, come conclusione dei
rivolgimenti etnici e storici di questa parte d'Italia nell'evo antico,
sopra si stendono le reliquie della dominazione romana.

In quegli antichi monumenti, che finora siamo venuti descrivendo, si
possono studiare i rudimenti dell'arte, cioè i principî del disegno e
i primi inizî dello stile. Parlando delle terremare, s'è detto che i
vasi portano i primi indizî di disegno con linee graffite o impresse;
poi più volte si è ricordata la ornamentazione geometrica degli
oggetti delle arcaiche necropoli, in cui quei primitivi segni grafici
si compongono in un sistema decorativo regolare, con combinazioni di
linee, di punti, di circoli, di meandri, di croci gammate, di spirali,
ossia di elementi geometrici, a cui si frammescolano figure di uccelli
acquatici e di serpentelli. Questi elementi ornamentali non sono
proprî soltanto dei fittili e dei bronzi italici; essi corrispondono
all'ornamentazione di vasi antichissimi greci trovati a Melos, Thera,
Camiros, Atene, Micene, i quali si ascrivono ad un primitivo periodo
greco, anteriore a quello dell'industria che già sente l'influenza
dell'arte orientale (ved. =vol. I, pag. 13=); e si riscontrano anche
in oggetti del centro d'Europa, trovati nella Stiria, nella Carinzia,
nella Boemia, e più a settentrione fino nella Scandinavia. Ora questa
conformità, ed anzi comunione di sistema di elementi geometrici
decorativi è lo sviluppo d'un principio originario comune a varî popoli
di una medesima stirpe; è il primo germe del disegno già posseduto
dalle stirpi indo-europee od arie.

I popoli presso i quali quelle analogie e conformità s'incontrano sono
geograficamente disgiunti, ma etnograficamente affini ed uniti; come
essi hanno in comune gli elementi costitutivi della lingua, delle
istituzioni sociali, così hanno pure in comune gli elementi e gli
intuiti dell'arte, o almeno il sentimento artistico. Gli studi intorno
alla civiltà ariana a cui appartiene il gruppo italo-greco, nel tempo
che, per immigrazione, dall'Oriente diramaronsi nell'Europa, portano
a stabilire che già fossero conosciute le arti tessili, l'industria
ceramica e la fusoria dei metalli. Sarebbe appunto nelle arti tessili
da cercare la prima manifestazione del disegno, la prima applicazione
d'un concetto ornamentale, che poi si trasportò alla ceramica ed
alla metallotecnica, producendo quello stile, che dal Conze è detto
tessile-empestico[35]. Si concluderebbe adunque che di quelle analogie
delle prime forme ornamentali, ossia degli elementi dell'arte, così
largamente diffuse in Europa, la spiegazione sia nella comune origine
dei popoli arii, e nel propagamento di una loro primitiva coltura
industriale ed artistica identica nel concetto e nella forma. I
monumenti in cui si addimostra l'arte in questo periodo potrebbero
chiamarsi arii, o con più comune denominazione pelasgici, se si vuole
determinare più propriamente i monumenti simili di Grecia e d'Italia,
da attribuire a quel popolo pelasgico, che la tradizione mostra
diffuso nell'una e nell'altra penisola, e che probabilmente è un nome
complessivo dato alle immigrazioni italo-greche.

Vi sarebbe adunque un periodo primitivo, rudimentale dell'arte italica,
che si stende nell'età del bronzo e che è, se vuolsi cercare una
determinazione cronologica, anteriore forse all'XI secolo av. C.; al
quale periodo succede poi quello di un'arte di maggiore sviluppo,
quando il disegno di semplice decorazione geometrica dà luogo alle
forme vegetali, animali ed umane, con mescolanza di elementi e
d'influenze orientali; in questo periodo appunto sorgono gli albori
dell'arte etrusca.

Si avrebbero così nell'arte italica, come nella greca, due distinti
periodi:

I. — Il periodo dell'arte italica primitiva, derivata dallo sviluppo
di concetti comuni a popoli di stirpe aria, che può dirsi periodo di
arte pelasgica, cioè, secondo il Conestabile, di arte preetrusca. Lo
stile tessile-empestico di questo periodo si estese in Italia e in
altre parti dell'Europa, ma, mentre in Italia scompare nel successivo
sviluppo dell'arte, nelle regioni europee settentrionali, chiuse in sè
e lungi da contatti coi popoli civili, si continuò fino ai tempi del
cristianesimo.

II. — Il periodo dello stile orientalizzante, che alla semplice
decorazione geometrica sostituisce un'ornamentazione di tipo asiatico,
con elementi vegetali, figure animali di lioni, pantere, sfingi. È
questo lo stile che si manifesta per influenza dei commerci orientali,
per importazione di prodotti assiri, egizî, specialmente mediante il
commercio dei Fenici; questo stile orientalizzante nell'epica greca
serve di base alla descrizione di oggetti d'arte figurata; ed è il
periodo iniziale dell'arte etrusca.

In questa distinzione di due periodi sembra non cader dubbio; ma invece
s'incontra dissenso d'opinioni nella spiegazione del primo periodo.

Che i popoli di stirpe aria al tempo di loro immigrazione verso
occidente possedessero in comune le arti tessili e la fusoria, e con
esse i primi elementi di disegno, non tutti riconoscono[36]. Quel
primo periodo, determinato dallo stile tessile-empestico, è bensì
proprio degli Italo-greci, ma anch'esso presenta accenni d'importazione
orientale[37] nei prodotti delle industrie asiatiche; in Italia
vedesi predominare in oggetti raccolti con altri oggetti propriamente
orientali, conchiglie come la _cypraea isabella_ del Mar Indico, e
scarabei incisi. Si vorrebbe adunque concludere da qualche dotto che
i due primi periodi siano tutti d'origine orientale; mentre altri,
abbandonando il concetto di uno stile delle stirpi indo-europee,
ravviserebbero nel tessile empestico la maniera d'ogni gente nel primo
stadio d'uno sviluppo artistico, specialmente in Europa, nella gran
massa della popolazione indoeuropea[38].

A questo primo periodo succede il secondo, che concordemente è
riconosciuto d'influenza orientale.

In ogni modo, qualunque sia la pertinenza etnografica del primo periodo
artistico dei popoli italici, siccome l'arte si svolge spesso intorno
ai sepolcri ed ai riti relativi di umazione e di cremazione, studieremo
brevemente qualche particolare intorno a questo argomento del rito
funebre.

Nell'età della pietra fu usata dai cavernicoli la sola umazione dei
cadaveri; ma, al passaggio nell'età del bronzo, subentrò e si fece
generale l'uso della cremazione durante anche l'età del ferro, che già
si rivela presso gli abitanti delle palafitte e delle terremare del
Veronese, del Mantovano, del Modenese e del Bolognese.

Le tombe quivi consistono di rozzi vasi di terracotta, disposti
a fianco gli uni degli altri, con entro ceneri ed ossa combuste.
Contemporaneamente, però, durano in altre tombe traccie di umazione.
Si deve dunque supporre che le popolazioni immigrate dall'Oriente in
Europa, e quindi con esse quelle genti italiche che prime vennero dal
Nord ad occupare la penisola, avessero il rito della cremazione in
comune con quelle genti affini, di stirpe aria, che stettero nell'Asia
ed occuparono la penisola dell'Indostan, cioè gli Arii-indiani, ai
quali l'incenerimento fu sempre il modo preferito di sepoltura; modo
naturale per pastori erranti e guerrieri conquistatori, ai quali era
così permesso di portar seco le reliquie dei padri. E di questo darebbe
conferma la linguistica[39].

Il rito della cremazione è, del resto, quasi esclusivo nelle tombe
laziali, nelle arcaiche felsinee (dei predî Benacci), nelle euganee, in
quelle di Villanova, nelle tombe a pozzo di Poggio-Renzo, di Sarteano,
di Corneto-Tarquinia, nei quali luoghi tutti, se pur s'incontrano
cadaveri umati, essi sono in minima e veramente insignificante
proporzione in rispetto a quelli combusti[40].

Nella più avanzata età del ferro, invece, che è l'età etrusca,
i due riti si trovano coesistenti e usati promiscuamente, ma
forse con qualche prevalenza dell'umazione, almeno per le tombe
etrusche-felsinee, dove due terzi dei sepolcri contengono scheletri,
ed un terzo residui combusti. Questa commescolanza di riti vedesi anche
nelle tombe dell'Etruria propria nei periodi seguenti.

Mentre, però, le scoperte mostrano il rito della cremazione come
proprio dei più antichi stanziamenti italici, la tradizione mostrerebbe
invece che, almeno nel Lazio e in Roma, l'uso primitivo fosse
dell'umazione, a cui solo posteriormente seguì, facendosi generale,
quello della cremazione[41].

Virgilio accenna adunque all'esistenza d'un periodo di sistema misto,
il quale appare anche dalla tradizione dei primi tempi di Roma. Secondo
Plutarco, il re Numa fu sotterrato presso il Gianicolo, avendo egli
stesso proibito d'essere arso; e questo implica che già allora, nel
primo cinquantennio di Roma, la cremazione fosse in uso, secondo è
confermato anche dalla notizia di Plinio (_h. n._, XIV, 14), che lo
stesso re Numa avesse proibito lo spargere il vino sui roghi, e dalla
citazione della legge delle XII tavole (tab. X, _hominem mortuum in
urbe ne sepelito neve urito_), che ammette la contemporaneità dei due
riti.

Siccome però le memorie della tradizione non risalgono al più lontano
periodo, ma arrivano all'età etrusca, che è il principio dell'età
storica, quando è in uso la promiscuità presentata da Virgilio,
e implicita nelle tradizioni riferite da Cicerone, da Plinio e da
Plutarco, non si può inferirne contraddizione fra questa tradizione
storica e le scoperte archeologiche, che, in questo modo, ci
dànno il rito antichissimo preesistente, la cremazione, a cui si
svolge collaterale, forse per distinzione di usi d'altre genti, la
umazione[42].

Ma, se lo studio dei prodotti delle industrie e degli oggetti, la
maggior parte del rito funebre, rinvenuti negli scavi, ci dà notizia
delle stirpi e dei costumi dei popoli preistorici del periodo arcaico,
però nulla ancòra ci dà l'indirizzo e l'intuito dell'arte di quel
periodo, o per lo meno del senso estetico nell'arte dei nostri
antenati. E per ciò è più profittevole lo studio delle costruzioni
architettoniche. Se non che questo ci implica in un'altra grossa
questione ancòra discussa, quella dei monumenti pelasgici, poichè con
questo nome si designano le costruzioni più antiche degli Italici,
quelle anteriori ad ogni influenza orientale.

Monumenti designati col nome di pelasgici, o attribuiti ai Pelasgi, si
hanno ancòra in più luoghi d'Italia.

Chi sono questi Pelasgi? In un luogo di Dionigi D'Alicarnasso (I, 13)
abbiamo conservata la tradizione di un antico storico greco, Ferecide,
secondo il quale i Pelasgi sarebbero genti venute di Grecia in Italia,
in quella parte estrema della penisola dov'era l'Enotria; e poi, in
altro passo (I, 28), troviamo la tradizione d'altro storico, Ellanico,
secondo il quale i Pelasgi dalla Tessaglia passarono in Epiro, e di
qui, attraversando l'Adriatico, approdarono a Spina, presso le foci
del Po, da dove poi si distesero verso il centro e verso il mezzodì
d'Italia, fin oltre il Tevere, nel territorio di Rieti; guerreggiarono
coi Siculi e cogli Umbri, e, fusi coi Tirreni, fondarono città, e
si dissero Pelasgi Tirreni. Tale è pur la tradizione di Plinio (_h.
n._, III, 8, cfr. anche Dionisio, I, 17). I Pelasgi, poi, per cause
soprannaturali, per ira divina (cioè per isconvolgimenti e fenomeni
tellurici), perirono, e scomparvero senza lasciar traccia di sè, senza
nemmeno lasciar col loro nome designata una regione alcuna.

Questi popoli, ai quali vorrebbesi connettere le colonie di Evandro
Arcade e di Ercole Argivo, stanziate dove poi fu Roma, apparirebbero,
secondo la tradizione, ampiamente distesi in Italia intorno al XV
secolo av. C. Ma questo popolo che, dopo esser stato tanto diffuso in
Italia, scompare al tutto, esistette realmente, ha esso un vero valore
storico? O piuttosto non è esso (come ormai si ammette per i Pelasgi di
Grecia), altro che una complessiva designazione data ai più antichi, ai
primi immigrati nella penisola italica? Essi sarebbero “gli antichi,
i vecchi„, secondo una delle meno improbabili etimologie dello stesso
nome greco Πελασγοί (cioè οί πάρος γεγαῶτες, _prisci_, da un tema che
è in παλαιός; etimologia che troverebbe riscontro in quella del nome
Greci, Γραϊκοί, da γεραιός, γραῖος, che pur direbbe “gli antichi„).
Questi Pelasgi sarebbero forse prodotti dalla supposizione d'un tal
popolo primitivo da parte dei primi storici e logografi, per spiegarsi
le molte affinità greco-italiche.

I monumenti così detti Pelasgici sono gigantesche e rozze mura,
appartenenti a città scomparse, o fortificazioni, o recinti sacri
eretti sulle alture; costruzioni di grandi massi di pietre a poligoni
irregolari, senza lavoro di scalpello, connessi senza opera di cemento,
ma per sola sovrapposizione; opere di gigantesca semplicità e di
solidità portentosa, che trovano analogia in numerose costruzioni
di Grecia e delle isole, di luoghi dell'Asia Minore, e perfin della
Spagna, e che, appunto per conformità alle greche costruzioni, che
presentano quei caratteri di struttura, si denominano anche ciclopiche
(ved. =Atlante di arte greca=. Milano, Hoepli, =tav. I=).

Sorgono esse in Italia nel paese degli Aborigeni e dei Casci, cioè
nella Sabina, nelle regioni degli Ernici e dei Volsci, avanzandosi
a settentrione fino a Cortona, e a mezzodì fino al paese dei Marsi,
alla Campania ed al Sannio. Esse sono opera degli Italici primitivi;
e assai probabilmente furono i luoghi di riunione, sia per il culto
della divinità sia per la difesa, che in comune avevano gli abitanti di
parecchi villaggi, o cantoni sparsi nel dintorno; erano le cittadelle
(_arces_), centro di riunione di genti sparse in singole stazioni
della regione circostante. Grandi vestigia di questi recinti si trovano
ancòra presso Rieti, sul Promontorio Circello, a Terracina, a Fondi,
a Setia, ad Atina dei Volsci, ad Arpino, dov'è una cinta murale di
acropoli con indizî di grossolane sagomature; ancor più grandi sono le
mura di Alatri negli Ernici, dove sono traccie di rozzi bassirilievi;
a Ferentino, che ha mura con due porte; a Signa, che pure ha porta con
stipiti inclinati sormontati da architrave monolitico (cfr. la porta
di Micene); a Cora, a Norba, a Tuscolo, ad Alba Fucense, a Spoleto, a
Cortona. Non mancano vestigia di tali mura in Sicilia, dove la favola
dice che Dedalo, venutovi fuggendo da Creta, fu architetto di opere
colossali[43].


=APPENDICE VII.=

=Della decorazione geometrica, degli altri motivi e delle varie
tecniche artistiche importate in Italia nel periodo proto-italico.=

Si possono ridurre a tre le varie opinioni sull'origine della
decorazione geometrica e sulla sua diffusione in Italia nella civiltà
italica:

1.ª La decorazione geometrica è un trovato proprio delle stirpi
ariane, che ne portarono i germi nella loro emigrazione in Europa,
e li svilupparono poi nelle rispettive sedi. La tesi è sostenuta dal
SEMPER nel suo lavoro _Der Stil_, dal CONZE nel suo _Zur Geschichte der
Anfänge griech. Kunst_, e dal CONESTABILE nella dissertazione: _Sopra
due dischi di bronzo antico italici del Museo di Perugia_, già altrove
citata.

Quest'opinione è insostenibile, essendo la decorazione geometrica
estranea precisamente al periodo più arcaico della civiltà italica
indigena.

2.ª La decorazione geometrica, sorta e sviluppatasi in Grecia, fu
poi di là trasportata in Italia. La tesi è rappresentata dal RAYET
(_Histoire de la céramique grecque_), dal LOESCHCKE e dal FURTWÄNGLER
(_Mykenische Vasen_), dal BÖHLAU (_Zur Ornamentik der Villanova
Periode_), nonchè recentemente dal COLLIGNON nella sua bella _Histoire
de la sculpture grecque_. Il MARTHA nella sua _Art etrusque_, e lo
stesso Böhlau citato cercano poi di dimostrare la diffusione in Italia
di questa decorazione greca, e ciò che noi riferiamo a tal genere di
decorazione possiamo estenderlo in genere a tutte le opere d'arte
del periodo italico, riconosciute come indigene. Quest'opinione,
però, per la decorazione geometrica non è accettata dal ch. profess.
Ghirardini (_Monumenti antichi_, VII, col. 62-63 e segg.), perchè
nell'Etruria Marittima, ove si trovano i primi saggi della decorazione
geometrica, manca qualsiasi prodotto di suppellettile, cui si possa
attribuire origine greca, cosa provata anche dallo Helbig, che dimostra
impossibile l'ammettere rapporti dei Greci con l'Italia nell'età delle
tombe a pozzo tarquiniesi, ove sono pure bronzi lavorati a sbalzo e
fittili con ornati geometrici, mentre vi appaiono chiari gli indizî del
commercio fenicio.

3.ª Esclusa l'opinione di una provenienza greca della decorazione
geometrica, rimane l'altra che questa sia sorta tanto in Grecia,
quanto in Italia per efficacia dell'arte e dell'industria orientale,
come dimostrano lo HELBIG negli _Annali_ (1875), e nel _Das Homerische
Epos_, 2ª ediz., nonchè il DUMONT e il CHAPLAIN (_Les céramiques de la
Grèce propre_), il PIGORINI (_Bull. di paletn. ital._, XIII, 1887), lo
GSELL nei suoi _Fouilles dans la nécropole de Vulci_, e il Ghirardini
che l'accetta, fatte le debite restrizioni, per gli oggetti di lamina
battuta e per altri prodotti dell'arte e dell'industria, poichè si
trovano indubbiamente insieme con oggetti d'origine orientale importati
dai Fenici.

Rimane la questione intorno al passaggio seguìto dall'arte orientale
per venire in Italia. L'ipotesi dello Helbig (_Das homerische Epos_,
2ª ediz., pag. 83), propugnata anche dallo Schumacher (nel suo lavoro
_Eine praenestinische Cista im Museum zu Karlsruhe_), di relazioni
fra l'Italia e la Penisola Balcanica per via di terra attorno al
Golfo dell'Istria, per spiegare la presenza nella civiltà italica
della prima età del ferro di certi tipi d'utensili corrispondenti ad
esemplari scoperti in Grecia, non è pienamente condivisa dal Ghirardini
(_Monumenti ant._, vol. II, col. 225 e segg.). Poichè questi, trovando
che, quanto più dal centro d'Italia si sale al settentrione e nelle
regioni alpine e austriache, dove, per es., la situla istoriata e
la cista sono diffuse, tanto più tardi si presentano le situle e le
ciste del tempo in cui appaiono nei più arcaici cimiteri bolognesi,
conclude di dover ammettere un viaggio dal Sud al Nord, non dal Nord
al Sud, e che la situla e la cista, giunte nel gruppo bolognese di
Villanova dall'Etruria Marittima, si siano diffuse poi nella vallata
del Po e nel paese dei Veneti e degli Illirici in un periodo più tardo
delle necropoli bolognesi, e quando si era già svolta nelle regioni
settentrionali la prima civiltà italica.

Questo è confermato dal Ghirardini col fatto che “abbondano nella zona
austriaca gli esemplari delle situle figurate, appartenenti ad un tempo
in cui si era svolta questa maniera di decorazione, che nel fiorire
della pura civiltà di Villanova è sempre ignota„ (op. cit., col.
227-228). Il primo grande centro di produzione delle situle fu Bologna,
il secondo Este, il terzo più specialmente Santa Lucia nell'Istria.

Il Ghirardini però non vuole assolutamente escludere la possibilità di
un primitivo contatto per via di terra fra Greci e Italici nel periodo
anteriore al definitivo stabilirsi d'entrambi i popoli nelle loro sedi
rispettive, ma, per lo meno per la propagazione della situla, egli non
crede finora di poter ammettere questa opinione, che forse per altri
oggetti in parte non è del tutto da escludere, o per lo meno non è
da tener collaterale e contemporanea alle altre, che sostengono le
relazioni fra i popoli per via di mare.


=APPENDICE VIII.=

=Osservazioni intorno ai Pelasgi e ai loro monumenti.=

Recentemente si riaccese la disputa sulla provenienza e sulla
diffusione dell'elemento pelasgico nell'Italia preistorica e
protostorica, e si interessò vivamente il Ministero dell'Istruzione
perchè si facessero ricerche e si stabilissero scavi sistematici
nelle regioni che dai ruderi rimasti si arguisse fossero occupate dai
Pelasgi.

Il ch. Brizio, nel suo riassunto etnografico intorno ai popoli
dell'Italia antichissima, intitolato _Epoca preistorica_ della Storia
d'Italia (edita dal Vallardi, p. IV), sobriamente così riassume il
risultato delle indagini intorno ai Pelasgi:

“Opere architettoniche, le quali presentano taluni punti di contatto
con quelle etrusche, ma serbano una impronta anche più arcaica, sono le
mura poligonali esistenti nelle parti montuose e meridionali del Lazio,
occupate poscia dalle forti popolazioni degli Ernici e dei Volsci.

“Una tradizione antica le attribuiva ai Pelasgi d'Italia, respingendone
la costruzione ad un millennio circa avanti Cristo. Alcuni critici
moderni, rifiutando un'antichità così veneranda, le giudicarono
posteriori, e di più secoli, alla fondazione di Roma.

“Quantunque i dotti non siano ancòra d'accordo, neppure sul nome del
popolo a cui riferire quelle costruzioni, pure esse meritano per
la loro antichità di essere incluse in una rassegna dei monumenti
primitivi italici, perchè certo sono dovute ad una delle genti più
civili che abbiano abitato la nostra penisola, approdatevi anch'esse,
con molta probabilità, dal Tirreno.

“Perchè quelle mura poligonali, fitte e numerosissime sul versante
appenninico centrale, che prospetta il Tirreno, mancano sull'opposto
versante adriatico, il quale era stato occupato, dai tempi più remoti,
fino quasi all'epoca storica, dalle popolazioni picene„.

Si comprende, pertanto, come sia interessante ed utile la ricerca e lo
studio di questi testimonî antichissimi delle remote età. L'illustre
Pigorini, a questo proposito, ripetendo nel suo _Bullettino di
paletnologia italiana_ (serie III, anno XXV, n. 7-9, pag. 201, nota)
ciò che aveva già stampato nel _Bullettino_ medesimo, anno XXII, pag.
71, rammenta che il Ministero dell'Istruzione aveva stabilito delle
esplorazioni sistematiche nelle città dette pelasgiche del Lazio,
incominciando da Norba. Rileva poi giustamente ciò che Salomone Reinach
nell'_Anthropologie_ (X, pag. 313-14) aveva esposto, citando a sua
volta l'opinione di Petit Radel sull'opportunità di tali ricerche
per rischiarare il periodo delle origini di molte antichissime
città italiche. Il Pigorini si associa al voto del Reinach, che
lodava l'iniziativa del Ministero italiano, conferma che si debbano
fare finalmente degli scavi sistematici nel territorio delle varie
città dette pelasgiche, poichè se ne attendono grandi risultati, ma
conclude che, per riuscire a qualche buon esito, è indispensabile che
i dotti abbiano libertà d'azione, per volgerla dove e come occorre
nell'interesse stesso della scienza.



II. ARTE ETRUSCA


BIBLIOGRAFIA

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sull'origine degli Etruschi.=

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BOISSIER, _Les Étrusques de Cornéto in Revue des deux mondes_. 1882.

A MELANI, _Pittura italiana antica e moderna_. Milano, Hoepli, seconda
edizione rifatta, pag. 6 e segg.

Ved. anche nelle opere generali sulla pittura antica poste nell'elenco
bibliografico della Parte III: =Arte romana=.


=Ceramica, specchi e arti minori presso gli Etruschi.=

GERHARD, _Etruskische Spiegel_. 7 volumi, Berlino, 1839.

O. JAHN, _Die Ficoronische Cista_. Lipsia, 1852.

I. DE WITTE, _Études sur les vases peints_. 1865.

I. DE WITTE, _Notice sur les vases peints et à reliefs du Musée
Napoléon III_.

I. DE WITTE, _Les miroirs chez les anciens_. Bruxelles, 1872.

BIRCH, _History of ancient pottery_. 1873.

F. LENORMANT, _Les vases étrusques de terre noire_ in _Gazzette
archéologique_. V anno, 1879.

F. BARNABEI ed altri: _Antichità dell'Agro Falisco_ in _Monumenti
antichi pubblicati per cura della Regia Accademia dei Lincei_. Vol. IV,
(1894).



II.

=Arte etrusca.=


I. — =Origine e carattere dell'arte etrusca. Suoi stretti rapporti con
l'arte italica.=

Con la dominazione del popolo etrusco in Italia, dalla valle del Po
alle pianure della Campania, l'arte italica prende un largo sviluppo,
di cui ci sono conosciute le condizioni ed i caratteri per molteplici
monumenti, anzi può dirsi che veramente al dominio dell'arte spetti,
per massima parte, quello che del popolo etrusco conosciamo; nelle
sue tombe, nelle sculture, nei dipinti e negli arredi che le adornano,
esso ha lasciato di sè molte memorie, che nella storia andarono, si può
dire, perdute.

Sebbene ancòra non si possa con certezza affermare se il popolo etrusco
abbia comunanza d'origine colle stirpi italiche, l'arte sua si può
chiamare _arte italica_, perchè non solo questa si sviluppò quando
la nazione etrusca crebbe prosperosa nella penisola, ma ancòra perchè
l'arte italica diede essa stessa in molta parte i germi artistici, che
poi, sviluppatisi presso gli Etruschi, fecero sorgere l'arte che noi
diciamo ora arte etrusca. Dico in molta parte, perchè vedremo fra poco
quanta parte vi abbiano anche l'elemento orientale e greco.

Se non che, per riconoscere l'entità di questi due elementi,
bisognerebbe sapere quale sia l'elemento indigeno degli Etruschi,
bisognerebbe aver un concetto chiaro, non solo intorno alle origini, ma
anche intorno alle regioni dalle quali vennero in Italia.

Invece, pur troppo, le origini degli Etruschi s'avvolgono tutt'ora in
molto mistero. La tradizione li fa di origine asiatica, dicendoli Lidî,
per via di mare emigrati in Italia, secondo la leggenda tramandataci
da Erodoto (I, 94); ma su questa leggenda l'antichità stessa esercitò
l'esame critico, e Dionigi d'Alicarnasso (I, 26 e 30) volle confutarla,
concludendo che gli Etruschi siano _autoctoni_, cioè aborigeni italici.
La lingua degli Etruschi, della quale non pochi documenti nelle
tombe ci furono conservati, ancòra non è spiegata, e muta resiste ai
tentativi della filologia; la critica moderna etnografica e storica
altro non ha potuto fare fuorchè comporre in nuove ipotesi gli sparsi
elementi di tradizioni o di antiche notizie storiche.

E, siccome in queste si trova memoria che degli Etruschi o Raseni erano
vestigia nelle Alpi Retiche (T. Liv., V, 33; Plin., _h. n._, III, 24;
Giustin., X, 5, 9), e questo da scoperte archeologiche fatte in Val
di Cembra, in Val di Non, in Valtellina, ecc. ebbe ampia conferma,
modernamente s'è formata una opinione che gli Etruschi siano, o
interamente o in gran parte, un popolo arrivato in Italia non per via
di mare, ma bensì dal Settentrione, movendo dalle interne regioni
d'Europa. Non importa alla trattazione nostra di esporre le varie
ipotesi proposte da Niebuhr, da C. O. Müller, da Micali, da Schwegler.

Comunque gli Etruschi giungessero nella penisola, il fatto importante
è che qui coll'armi, coll'industria, coll'agricoltura crebbero
prosperosi e possenti: _Sic fortis Etruria crevit_; prima ancòra che
Roma sorgesse, avevano esteso dominio nell'Italia Centrale fra l'Arno,
l'Appennino e il Tevere; nell'Italia Settentrionale fra il Po, il
Ticino e le Alpi; nella Meridionale per le pianure della Campania.
Secondo poi la tradizione, questa potenza erasi mossa ed allargata
dalla città di Tarquinii, che sembra esser stata il più antico ed il
principal centro di sviluppo politico della nazione etrusca.

Se noi ora vogliamo fare un po' di storia dei caratteri peculiari
all'arte etrusca, dobbiamo riconoscere che uno sviluppo originalmente
etrusco non si può affermare senza restrizione; nelle prime sue
forme pare s'identifichi con lo sviluppo delle industrie di carattere
artistico dei popoli italici. Poi, anche nei monumenti che spettano
ad un periodo antichissimo, si fanno manifeste due influenze operose,
le quali dànno carattere distintivo a due grandi periodi dell'arte
etrusca. La prima è l'influenza orientale; la seconda, meno antica ma
più efficace e al tutto prevalente, l'influenza greca.

L'influenza orientale si dimostra non solo in certi elementi dell'arte,
ma anche in gran parte delle etrusche costumanze. Le tombe, siano
quelle esistenti, sia alcuna delle descritte da autori antichi (p.
es. la tomba di Porsenna), hanno analogie con quelle asiatiche,
specialmente della Frigia. Così la porpora e l'aquila, insegne regali
etrusche, hanno relazioni con emblemi lidî e persiani; alcune foggie
del vestire, le danze e i giocolieri (_ludiones_), le forme della
divinazione, il vivere molle ed effeminato degli Etruschi sembrano pure
accennare a costumanze asiatiche. Che queste analogie od affinità siano
conseguenza di costumanza d'origine, o solo di contatti e di relazioni
commerciali, quali mostrano gli abbondanti prodotti delle industrie
orientali nelle tombe etrusche, non si può con certezza affermare.

L'influenza greca è corroborata dalla leggenda di Demarato, che,
esulando da Corinto, riparò a Tarquinî di Etruria, conducendo seco gli
artisti Eucheir, Eugrammos e Diopos, nomi che sono, se ben si osservi,
una sintetica personificazione delle varie abilità artistiche. Il fatto
che Demarato abbia lasciato Corinto, quando vi si stabilì la tirannia
dei Cipselidi, e che da lui sia derivata la stirpe dei Tarquinî,
dominatrice di Roma, permette di assegnare alla introduzione della
influenza greca nell'arte e nella vita etrusca un'età che corre fra gli
anni 664 e 660 av. C.

Questa influenza greca è fatta derivare direttamente dalla Grecia
propria; ma invece è lecito ammettere che in buona parte venisse
anche dalle colonie della Magna Grecia, con le quali gli Etruschi
ebbero scambî e commerci continui, principalmente quando fu formata la
federazione etrusca meridionale.

L'arte nelle sue origini è sempre connessa col culto religioso, anzi
ne è una parte. Nello sviluppo storico d'un popolo v'è un periodo
nel quale ogni festa, ogni spettacolo, ogni manifestazione del
sentimento estetico sono un atto religioso; intorno alla divinità,
nell'istituzione del tempio, l'arte si forma. Allora i vari modi
d'espressione del sentimento del divino e del bello si compongono in
un tutto; la danza, la musica, il canto, gli ornamenti del tempio,
l'imagine del nume mirano concordi a uno scopo e creano l'arte. Viene
poi, col progresso della tecnica, un momento in cui quelle parti,
divise, si costituiscono per sè sole, ma quasi, più desiderose di
godimento estetico, si estendono a tutta la vita. È questo il periodo
in cui l'arte consegue il suo libero sviluppo, mentre prima, obbligata
alle forme religiose, teneva un carattere di stabilità, di rigidità
ieratica. Questo processo di svolgimento, che nell'arte greca è
manifesto, vuol essere riconosciuto anche per l'arte etrusca.

Ma gli Etruschi non ebbero in nessun modo la gentilezza, il senso
della misura, la eleganza dei Greci; un non so che di barbarico e di
feroce, anche nella loro vita molle, sembra propria alla loro natura,
e si dimostra nei loro spettacoli; i ludi gladiatori, introdotti
per tempo nella Campania, poi in Roma, sono cagione non lieve di una
sensibilità artistica meno fine e delicata. Agli Etruschi mancarono
condizioni di natura, perchè l'arte avesse uno sviluppo spontaneo e
nazionale; mancò loro l'intimo e puro senso del bello, il pensiero che
in sè avesse capacità artistica feconda. Gli Etruschi, più disposti a
ricevere che a dare nell'arte i motivi, presero dai Greci non solo le
forme originarie, ma anche il contenuto delle rappresentazioni, cioè
le leggende e i miti; ed acquistarono valore solo nella esecuzione,
nell'abilità tecnica[44].


=APPENDICE I.=

=Sulla provenienza degli Etruschi.=

Ciò che il Gentile espose nella 1ª edizione di questo _Manuale_ intorno
alla questione ancor dibattuta dell'origine e della provenienza degli
Etruschi, e che ora, con quelle mutazioni solo indispensabili, rivede
la luce in questa seconda edizione, è troppo poco, perchè possa
soddisfare ai desiderî dei lettori colti, ora che la questione stessa,
se non ha raggiunta la sua soluzione, vi si è di molto avvicinata.

Credo quindi indispensabile di esaminare meglio le varie opinioni, e di
concludere più brevemente e chiaramente possibile. E la conclusione è
tanto più importante, in quanto non si deduce da scoperte filologiche
e linguistiche, poichè la lingua etrusca è ancòra, in parte, ribelle ad
ogni tentativo di interpretazione, ma si deduce piuttosto, oltrecchè da
ragioni molteplici che analizzeremo, soprattutto da ragioni artistiche
e archeologiche. Io credo per fermo, che, fino al ritrovamento di
altre iscrizioni bilingui, che diano la chiave del gran problema della
lingua, lo studio dell'arte etrusca è ancòra quello che conferma meglio
d'ogni altro argomento la teoria erodotea dell'origine lidia, e, in
generale, orientale, degli Etruschi.

Per limitare il quesito ai punti principali, dirò che la questione
dev'essere trattata in base:

I. Ai fonti storici.

II. Alla lingua.

III. Alla religione e ai costumi.

IV. Ai monumenti archeologici e ai ritrovamenti recenti, nonchè alla
critica delle opere d'arte.

I. FONTI STORICI. — Si possono dividere in quattro classi, che
rappresentano quattro opinioni diverse:

1. Ellanico identifica gli Etruschi con i Pelasgi.

2. Erodoto, e con lui la maggior parte degli scrittori antichi, ammette
la loro provenienza dalla Lidia e la loro immigrazione per mare, dal
Tirreno.

3. Anticlide d'Atene opina che gli Etruschi siano Pelasgi, ma, cacciati
dalla penisola ellenica, si siano uniti a quella parte della migrazione
lidia che era condotta da Tyrrhenos.

4. Dionigi d'Alicarnasso contraddice l'opinione di Erodoto, per il
fatto che lo storico Xanto, che era di Lidia, non fece parola di questa
migrazione, e perchè la lingua e i costumi dei Tirreni differiscono
da quelli dei Pelasgi: conclude che la razza tirrena dev'essere
autoctona[45].

Era facile che la differenza già nell'antichità di queste opinioni che
si possono ridurre a due, l'una favorevole all'origine lidia l'altra
sfavorevole, inducesse anche gli storici moderni a dividersi in due
gruppi.

L'uno di questi, rappresentato prima dal Micali poi dal Niebuhr, dal
Mommsen e dallo Helbig, è contrario all'origine lidia e favorevole a
credere gli Etruschi in relazione coi Reti, anzi una cosa sola con
essi, e provenienti per parte di terra dalle Alpi; l'altro gruppo
è rappresentato dal Brizio, che fin dal 1885, negli _Atti e Memorie
della R. Deputazione di Storia Patria per la Romagna_, sostenne che la
tradizione erodotea doveva avere in mezzo ai particolari leggendari,
anche un nucleo di vero, e che molti fatti confermavano l'origine lidia
e la provenienza marittima, orientale degli Etruschi.

All'opinione degli avversari della teoria erodotea si accosta in molti
punti anche il Pais (_Storia della Sicilia e della Magna Grecia_),
quantunque sia molto più prudente degli altri, come il Mommsen, il
quale sostiene la provenienza per via di terra degli Etruschi, ma non
la loro identificazione di stirpe coi Reti. All'altra opinione, del
Brizio, s'accosta in taluni punti il Von Duhn. Ammetto innanzitutto
col Brizio che questa identificazione, sostenuta prima di tutto dal
Niebuhr, poggia su una interpretazione falsa di un passo di Livio
(Libro V, cap. 33), poichè se ne deve concludere che anche i Rezî
traggono la loro origine dai coloni etruschi, mandati dal Mediterraneo
al di là del Po (non che gli Etruschi fossero dei Rezî), e che i luoghi
stessi ov'erano i Rezî avevano imbarbarito i Rezî (non già che questi
avessero conservato la primitiva barbarie degli Etruschi).

Queste conclusioni sono poi confermate da Plinio, Giustino, e da altri
autori, che il Brizio cita a conforto delle sue tesi[46]. Esclusa
pertanto la fonte più importante a sostegno della tesi niebuhriana,
rimane da vedere se la tradizione erodotea, sfrondata della parte
leggendaria e favolosa, possa reggere alla critica storica, e sia
confermata da altre ragioni; poichè l'obiezione di Dionigi, che si
schiera dietro il silenzio di Xanto di Lidia, non solo è insufficiente,
ma infantile, non potendo esser noi garanti di ciò che un autore
abbia o non abbia creduto di dire. La conclusione poi, a cui verrebbe
Dionigi, che gli Etruschi fossero autoctoni, già per sè stessa toglie
fede al suo autore e ai suoi sostenitori.

Dunque dobbiamo dimostrare che, non essendo gli Etruschi la medesima
cosa dei Rezî, essi vennero dall'Oriente e penetrarono in Italia dalla
costa del Tirreno, non già per terra attraverso la Rezia: dove invece
sarebbero pervenuti nella loro diffusione più tardi.

II. LINGUA. — Osserviamo se il secondo argomento principale, la lingua,
ci possa servire.

Il Martha[47], per la ragione suesposta, che la lingua etrusca non
ha mai rivelato sè stessa, crede di dover rinunciare completamente
alla conclusione storica della provenienza degli Etruschi; egli però
indirettamente mostra di inclinare per l'opinione dello Helbig e
dell'Undset (che riassunse le scoperte archeologiche del suo tempo
nel lavoro _L'antichissima necropoli tarquiniese_[48]), cioè della
provenienza degli Etruschi dal Nord (op. cit., pag. 28); perchè, se da
un lato non ha per sè le fonti storiche che lo confermano, dall'altro
egli non crederebbe alla verità di queste, perchè non si perita a dire:
“je doute que les Grecs contemporains d'Herodote ou les Romains de
l'Empire aient jamais eu des notions justes sur les grands monuments
de peuples, dont le monde méditerranée avait été le théâtre plusieurs
siècles auparavant„.

Così si creò anche recentemente un tale scetticismo intorno ai fonti, o
per trascuranza o per mala interpretazione, o per sfiducia, che obbliga
a cercare altronde la soluzione del problema.

Il peggio sta in ciò che nemmeno la lingua, la quale è la fonte
etnografica più diretta e più esatta, ci può aiutare, poichè finora,
malgrado gli sforzi poderosi di dotti stranieri e italiani, quali il
Müller e il Corssen prima, il Deecke, il Pauli e il Lattes poi[49],
quella sfinge non ha trovato ancòra il suo Edipo.

La scuola del Lattes, che procede prudente e non rileva che fatti
indiscussi, riesce a provare l'affinità che passa fra l'etrusco e il
latino, sceverando, cioè, ciò che è chiaro da ciò che è oscuro. Egli
intanto afferma un periodo di fusione tra Etruschi e Latini, e rileva
una latinizzazione della lingua etrusca; ma pur troppo rimane una
parte nella lingua che non si può spiegare, e che induce a dimostrare
un nucleo non latino, non occidentale della lingua stessa nel periodo
anteriore alla migrazione degli Etruschi in Italia[50]. “C'è una parte
che sarà sempre un enigma„, diceva lo stesso Mommsen l'anno scorso a
Milano.

Oltre le acute conclusioni a cui giunge il dottissimo Lattes, la
scoperta linguistica più importante finora è quella del 1885 a
Lemno, in cui la celebre iscrizione colà rinvenuta dimostrò che la
lingua etrusca è affine a quella che parlavano i Pelasgi tirreni di
quell'isola, e portò inaspettatamente una conferma alla tradizione
d'Anticlide, che i Tirreni d'Italia fossero un ramo dei Pelasgi di
Lemno e di Imbro.

III. RELIGIONE E COSTUMI. — S'aggiungono gli argomenti in favore della
provenienza degli Etruschi dall'Oriente, tolti dai loro costumi, quali
il nome dato alla prole, che è della madre e non del padre, e l'usanza
delle fanciulle, poco morale invero (però non solo sanzionata dalle
leggi, ma anche santificata, per così dire, dal rito religioso),
di procurarsi con la prostituzione la dote: usanza diffusa fra le
fanciulle lidie, fenicie, armene e babilonesi, ed essenzialmente
d'origine orientale, anzi spiegabile soltanto con le idee orientali.

Nè si deve passare sotto silenzio il rito dell'umazione, proprio
degli Etruschi e degli orientali, di cui si ha la prova nelle tombe
_a umazione_, succedentisi a quelle _a pozzo_, tipo Villanova, e
costituite da camere sotterranee, o grandi tumuli circolari sotto
terra, o ipogei, con una o più camere a volta o ad arco, che ricordano
il costume dei sepolcri e delle camere funerarie egiziane, nonchè il
monumento d'Aliatte di Lidia e simili.

Se a questi argomenti favorevoli alla tesi sostenuta dal Brizio, e
alla quale m'associo fino alla luce di nuove scoperte, per la profonda
convinzione che della verità di questa tesi mi viene dallo studio
dell'arte etrusca, se a questi argomenti, dico, uniamo i risultati
di una critica severa alle ragioni dei dotti che sostengono la tesi
opposta, questa appare tanto debole da non potersi davvero sostenere.

Sfatata la teoria dell'affinità coi Rezî, comprovante per alcuni
l'origine della provenienza degli Etruschi dal Nord d'Italia, e sfatata
tanto più che della civiltà etrusca non v'è nel centro dell'Europa e
dell'Istria alcun vestigio, come appare dagli studî dello Hoernes,
si trovano deboli anche gli altri argomenti dei sostenitori della
tesi contraria, cioè quello che le città non sono alla costa,
come parrebbe naturale che fossero per popoli marittimi; che la
tradizione leggendaria di Erodoto non può avere valore storico, e che
piuttosto col Lepsius e col Pais si deve ammettere la venuta dal lato
dell'Adriatico e identificare gli Etruschi coi Pelasgi.

In primo luogo le città non furono costrutte alla costa, se non per
difenderle dai pirati, di cui sarebbero state facile preda; gli
Etruschi sopraggiunti dovevano vincere gli Umbri, i quali erano
in città fortificate dell'interno: assaliti gli Umbri nelle loro
acropoli, ponevano le proprie sedi sul luogo identico dei vinti, le
città dei quali servivano loro di nucleo fondamentale. — Siccome le
più antiche città sorsero dalla parte del Mar Tirreno, mentre dalla
parte dell'Adriatico non c'è che Adria, la quale anticamente sorgeva
presso il mare, è da escludere l'arrivo degli Etruschi dall'Adriatico
piuttosto che dal Tirreno, presso la costa del quale sorsero invece
molti centri abitati.

Il ch. Brizio determina questo molto chiaramente, aggiungendo che il
paese esteso oltre la Fiora, per parecchio tempo, continuò ad essere
posseduto dagli Umbri, anche dopo lo stanziamento degli Etruschi a
Cere e a Tarquinia, come dimostrano alcuni nomi geografici di radice
umbra, e la tradizione costante del così detto _tractus Umbriae_. La
prevalenza talora degli Umbri in certe località prova del resto molto
chiaramente che gli Etruschi non vennero in gran numero e si dispersero
in proporzioni relativamente piccole.

Quanto poi alla tradizione leggendaria di Erodoto, ormai la critica
odierna insegna molto chiaramente che ogni leggenda ha il suo nucleo
storico, intorno al quale lo storico antico, _ut primordia urbis (vel
gentis) augustiora faciat_, non si perita a ricamare una tradizione
ricca di elementi favolosi. Se questo dovesse far cadere ogni leggenda,
non potrebbe sussistere nè quella di Ilion, nè quella di Argos e di
Micene, che pure furono confermate dalle scoperte archeologiche dello
Schliemann e del Dörpfeld.

Del quarto punto di trattazione, lo studio dei monumenti e dei
ritrovamenti, discuterò a studio finito (cfr. pag. 149).


=Le tre grandi divisioni dell'arte etrusca.=


=A. — Architettura degli Etruschi.=

I. — ARCHITETTURA CIVILE E MILITARE.

1. =Le mura delle città.= — Gli Etruschi nelle opere loro, che si
credono più antiche, appaiono continuatori del gigantesco modo di
costruire pelasgico, con lavoro più progredito, congiungendo cioè la
regolarità della forma con la solidità.

Recingere di mura le città edificate, a differenza di popoli che
abitavano in comunità aperte, fu proprio degli Etruschi, che dalle loro
costruzioni sembrano aver preso il nome di Tirreni (Τυρσηνοί, Τυρρηνοί,
da τύρσις, τύῤῥις, _turris;_ come, p. es., i Burgundi, _Burgunden_, da
_Burg_, fortezza).

Cinte murali, formate di grandi massi poligonali, sussistono nei luoghi
dov'erano Saturnia od Aurinia, Cosa, Falerî; mura a piani orizzontali
di grandi massi quadrati o rettangolari, posati a secco, si vedono a
Populonia, Todi, Roselle, Cortona, Perugia, Veî, Fiesole. Tali mura
alcuna volta portano scolpito qualche segno fallico; così si vede, p.
es., in una ruina presso Terni.

2. =Le porte della città.= — Ciò che costituisce un carattere proprio
dell'architettura etrusca, e che contribuì in sommo grado al suo
sviluppo, fu l'uso dell'arco e della volta, che sembrano elementi
italici, mentre hanno scarsissima applicazione presso i Greci. Grandi
porte arcuate si hanno ancòra nelle più antiche mura etrusche. Due di
tali porte ad arco pieno, formate a cunei concorrenti al centro, si
vedono a Volterra nella cerchia delle sue mura antiche. Una di queste
porte è ornata d'una gran testa, posta al sommo dell'arco, dov'è
la chiave di volta; ed altre due simili teste stanno al sommo delle
impostature, ossia degli stipiti (ved. =Atl.= cit., =tav. XVIII=).
Forse quelle teste rappresentano numi tutelari delle città; è dubbio
se debbansi tenere tanto antiche quanto le mura; ma notevole è che
una porta di simil forma, ornata con tre teste, vedesi riprodotta sul
bassorilievo d'un'urna volterrana, dov'è rappresentato l'assalto d'una
città[51]. Altra porta arcata, simile a quella di Volterra, vedesi
nella cinta murale di Falerii (Santa Maria di Falleri). Due porte
etrusche a Perugia, la porta Marcia e quella detta Arco d'Augusto, sono
formate con grande arco di cunei di travertino.

3. =Le opere idrauliche.= — Del genio etrusco, inteso al solido
costruire per pubblica utilità, fanno fede le memorie e le vestigia
delle molte e grandi opere idrauliche. Gli Etruschi, con fosse e
canali, risanarono la regione del delta padano, fra il fiume e le
lagune di Comacchio; risanarono le valli dell'Arno, della Chiana,
dell'Ombrone. Nelle vaste e funeste pianure delle maremme toscane, in
quella regione _dilettevole molto e poco sana_, sorgevano popolose
città; il terreno era risanato con molti lavori di condotta delle
acque, dei quali ancòra appaiono traccie. Ma, caduta la potenza etrusca
e abbandonata la cura di quelle opere, dilagate e ristagnate le acque,
i miasmi e le febbri fecero intorno il deserto. Rutilio Namaziano,
nel V sec. di C., viaggiando quelle contrade, esclamava mestamente:
_Cernimus exemplis oppida posse mori_. D'un acquedotto con volta,
formata dal graduato sporgere di massi sovrapposti (modo di costruzione
analogo a quello del tesoro di Atreo), rimangono avanzi presso Tuscolo.
Il maggior monumento di opere idrauliche etrusche è la _cloaca maxima_
di Roma, fatta cominciare da Tarquinio Prisco, compita sotto Tarquinio
Superbo, per raccogliere e scaricare nel Tevere le acque stagnanti
delle bassure di Roma. L'arcata di volta di questo canale è formata di
tre ordini di cunei, uniti fra loro senza cemento, come ancòra la si
vede al suo sbocco, presso il tempio detto di Vesta.


II. — ARCHITETTURA PRIVATA.

4. =La casa etrusca.= — Con gli Etruschi, o almeno nel tempo della
civiltà etrusca sorge in Italia l'architettura, con quel carattere
di grandiosità suo proprio, che la mantiene originale anche frammezzo
alle molteplici e continue influenze greche. L'architettura civile, con
la primiera forma della casa italica, sembra accennare a derivazione
etrusca, almeno nel pensiero degli antichi, i quali derivarono il nome
di _atrium_ dall'etrusca Atria, e nei successivi mutamenti di questa
parte della casa designarono la forma più semplice col nome di _atrium
tuscanicum_. L'atrio fu la parte fondamentale della casa antica;
formava lo spazio di mezzo, e in parte a cielo scoperto, col focolare
il cui fumo usciva dall'apertura nell'alto dell'atrio (_impluvium_).
Della casa italica, in cui l'_atrium_ è la parte essenziale, credesi
riprodotta l'imagine in un'urna cineraria etrusca, trovata a Poggio
Cajella, che sembra un'esplicazione delle urne-capanne già ricordate
(cfr. pag. 75, e ved. =Atl. tav. XIV=).

Dell'architettura toscana, della forma degli edifizî, degli elementi
e delle membrature architettoniche assai poco ci è noto, non rimanendo
nessuna reliquia nè di tempio, nè di casa, nè d'altro edifizio, eretto
sopra suolo. Quel poco che dell'architettura etrusca conosciamo
deriva, oltrechè dalle scarse notizie di Vitruvio, dalle tombe, le
cui interne camere, e spesso le facciate esterne presentano carattere
architettonico etrusco.


III. — ARCHITETTURA RELIGIOSA.

5. =Il tempio etrusco.= — Il tempio toscano è determinato dalla sua
forma, dalle prescrizioni del rito augurale. Esso sorge sul terreno
destinato e circoscritto per l'osservazione ed interpretazione di quei
segni celesti, che nella credenza religiosa italica eran tenuti come
manifestazioni della disposizione o volontà divina, rispetto agli
avvenimenti umani. Questa osservazione ed interpretazione di segni
forse in prima spettò al capo della famiglia, con potestà religiosa,
poi passò a speciale ufficio dei sacerdoti. Per l'osservazione (il cui
modo fu proprio delle stirpi italiche, sviluppato poi dagli Etruschi),
eleggevasi un determinato luogo, circoscritto come luogo consacrato,
in un quadrato (_templum_, τέμενος), rispondente ad un'ideale
limitazione dello spazio celeste, per mezzo d'una linea tracciata da
oriente ad occidente (_decumanus_), intersecata da un'altra a questa
perpendicolare, da settentrione a mezzodì (_cardo_). Nel punto di
mezzo, o d'intersezione postavasi l'augure a far l'osservazione,
guardando a mezzodì, e considerando come favorevoli i segni che
mostravansi a sinistra, infausti quelli di destra. Per la linea
del _decumanus_ lo spazio del _templum_ restava diviso in due parti
pressochè uguali, un'anteriore (_pars antica_), l'altra posteriore
(_pars postica_), e prendeva forma quasi quadrata (con una proporzione
di 6 di lunghezza per 5 di larghezza); la _pars postica_ costituiva la
cella, la _pars antica_ il pronao, divisi per mezzo d'una parete, con
una porta collocata nel luogo di intersezione delle ideali linee di
limitazione (ved. =Atl.= cit., =tav. XVI=, n. 2).

6. =La colonna nell'architettura templare etrusca.= — Questo quanto
all'area templare. L'architettura poi del tempio, assai poco nota, si
presenta come derivazione dal greco, riproduzione dell'ordine dorico,
ma con notevoli modificazioni. La colonna ne è elemento principale;
posa sopra una base, ha proporzioni più slanciate della dorica (cioè
7 diametri o 14 moduli); l'intercolunnio è assai ampio, rispondendo
ad uno spazio di quattro diametri. Il capitello è simile al dorico
con echino ed abaco. Sulle colonne posa l'architrave, non di pietra
viva ma di legno, onde per la pochezza del suo peso si spiega il largo
intercolunnio (v. =Atl.= cit., =tav. XVI=, n. 1). Le teste di travi
sporgenti, poggiate sopra l'architrave, e al di sopra di queste la
gronda (o cornicione), assai pronunziata, sostenevano un alto frontone
con ornamenti di terracotta.

L'insieme dell'edificio templare largo e basso mancava dall'armonica
severità dell'ordine dorico, e aveva invece un'apparenza greve e
tozza. È probabile poi che, per l'ampiezza degli intercolonnî, per
l'architrave di legno, per la qualità del materiale, in gran parte di
terracotte, gli edifizî non avessero sufficiente saldezza da resistere
al tempo, onde in parte si spiega come manchi reliquia di monumento
sopra suolo, da cui possiamo riconoscere le forme architettoniche
etrusche (ved. =Atl.= cit., =tav. XVII=). Solo pochi resti di base,
qualche frammento di capitelli si trovarono a Vulci. Colonne di
carattere dorico si riconoscono in alcune tombe di Bomarzo; tombe con
facciata a modo di tempio restano a Vulci e a Sovana; facciata di tomba
con accenni a colonne, a trabeazione con ispartimenti di diglifi, con
frontone ed acroteri vedesi a Norchia. E non mancano nelle edicole
sepolcrali o nei sarcofaghi, forme di capitelli che ricordano l'ordine
ionico ed il corinzio, con teste umane inserte tra il fogliame. Da
alcuni avanzi di edifizî già ricordati parlando di Marzabotto, appare
che le parti architettoniche s'abbellissero anche con la colorazione, e
s'avesse quindi un'architettura policroma (cfr. pag. 149 e segg.).

Di edifizî etruschi quali curie, ippodromi, teatri, ecc., mancano le
notizie letterarie, e poco significanti sono le scarsissime ruine;
avanzi d'un anfiteatro si hanno a Sutri, e di un teatro a Fiesole e ad
Adria, se pur queste non siano opere di tempo romano.

7. =La religione dei defunti presso i popoli Etruschi.= — Se perdute
sono le storie del popolo etrusco, e distrutti gli edifizî che sopra
il suolo essi avevano inalzato, le memorie sue si sono rifugiate, e
in qualche parte salvate, nelle tombe. Fra le genti italiche assai
religiose, religiosissima fu l'etrusca, che Livio disse _dedita
religionibus_, e Arnobio _genetrix et mater superstitionis_. Nella
religione etrusca la cura di onorare i trapassati di funerali, di tombe
e d'amoroso culto ebbe parte principalissima. Gli Etruschi sembrano
di continuo compresi dal pensiero del breve nostro vivere, _ch'è un
correre alla morte_, e del destino che attende l'anima oltre la tomba.
Alle tombe essi volgono il pensiero con fortissima persuasione di
fede e con viva carità delle famiglie, quasi a perpetuare il ricordo
della transitoria esistenza di quaggiù. Le anime dei morti credevansi
diventar divinità, genî, _Lari_, veglianti sui luoghi che abitarono in
vita; e le anime dei padri e degli avi coi nomi di Mani (Larve, Lemuri)
aggiravansi talvolta come spiriti benefici, protettori dei figli e dei
nipoti, talvolta come fantasimi terribili ai malvagi. Ad essi facevansi
onori d'offerte e di sacrifizi; indi le feste e i riti funebri, e i
molti monumenti che ancor sussistono ad ultimo ricordo della civiltà
degli antichissimi abitatori d'Italia.

8. =Le tombe etrusche e le loro varie forme.= — La grandissima
quantità di tombe etrusche, essendo scomparse quelle soprasuolo, sono
sotterranee, scavate in vario modo, secondo richiede la natura del
terreno, dove si allarga il piano; oppure sono superiori al piano dove
fianchi di colline e di monte offrono opportuna occasione; talvolta
scarpellate nel vivo masso, talaltra murate con grandi massi di pietre
squadrate.

Le sotterranee sotto il piano sono camere, precedute solitamente da
vestibolo, a cui si discende per via di scale. Talvolta le camere
sotterranee sono sormontate da tumuli di terra, contenuti e cinti
intorno da muri di grandi massi, ed erette sopra i tumuli erano
torri rotonde, o quadrate, o costruzioni coniche, con forme di grande
analogia con le tombe orientali di Lidia (ved. =Atl.= cit., =tav. XIX=,
n. 2).

Le tombe scavate nel fianco del monte sono grotte sepolcrali con
corridoi d'ingresso, che conducono al vestibolo ed alle camere
mortuarie. Talvolta all'esterno hanno facciate di edifizî, analoghe pur
queste a tombe scavate nel masso, che s'incontrano in Grecia, in Licia
e in Frigia.

L'interno delle tombe, formate di una o di più camere, tende a
rappresentare, o almeno a ricordare l'abitazione dei viventi, per un
progressivo sviluppo di quel concetto che già si è veduto improntato
nelle primitive urne-capanne. Sono camere, spesso sostenute da colonne
o pilastri, con soppalco orizzontale, a volta, od a tetto, essendo
nel soppalco scolpita nel vivo masso la travatura con cassettoni,
ad imitazione di soffitto. Nelle pareti sono porte che mettono a
camere contigue, ovvero anche porte finte, come anche vi sono finte
finestre. Intorno alle pareti, scarpellati nel masso, sono sedili e
letti funebri, con guanciali, e sopra distesi i cadaveri con loro vesti
ed armi. Le pareti sono ornate di bassorilievi, o di grandi pitture
murali, rappresentanti funerali e scene religiose, attinenti alle
credenze intorno allo stato delle anime nella vita giornaliera, appesi
alle pareti (ved. =Atl.= cit., =tav. XX= e =XXIV=). Presso i cadaveri
stanno deposti in quantità vasi o di bronzo o fittili, etruschi e
greci; armi ed ornamenti, proprî e cari al defunto, ed utensili usati
nel rito funebre o nella cena mortuaria.

Fra le tombe etrusche con monumento soprasuolo menzionasi solitamente
il grande sepolcro, detto di Porsenna, che sorgeva presso Chiusi, e
del quale abbiamo descrizione in Plinio[52]. Lo scrittore non vide
quel monumento che già al tempo suo sembra non esistesse più, ma ne
riferisce per tradizione (_fabulae etruscae_). Se ne diceva però tanto
oltre il credibile, che Plinio si difende con l'autorità di Varrone,
da cui prende la descrizione. Era un monumento di grandissima base
quadrata; nell'interno aggiravasi un labirinto di corridoi e di camere;
sopra la base si elevavano quattro piramidi, una per ciascun angolo, ed
una quinta nel mezzo; e, al disopra di queste, altre quattro ancòra,
e poi altre ancòra, con tale disposizione che assolutamente ha del
fantastico; e fantastica è da molti giudicata quella descrizione, che
sembra avere analogia col sepolcro d'Aliatte di Lidia[53].

Pur troppo conclusioni cronologiche sul tipo architettonico più o
meno sviluppato non si possono stabilire, non potendosi riconoscere,
contemporaneamente, un continuo sviluppo nelle singole località, e
mancando spesso gli oggetti di arredo determinabili e databili.

Tombe sotterranee scavate nel tufo con scale, corridoi e vestibolo, con
una o più camere, si hanno presso Vulci[54] (Pian di Voce, nel corso
inferiore della Fiora), a Chiusi, a Volterra. Di tombe sormontate da
tumuli, o scavate dentro un colle, che forma esso stesso un cumulo
naturale, recinto intorno di massi a secco, insigni sono quella di
Poggio Cajella e quella detta della Cocumella presso Vulci, tumulo
incominciato ad esplorare fin dall'anno 1829, ma non interamente
conosciuto. È quasi una collina, cinta intorno da muro di massi
quadrati; sull'alto sorgevano torri quadrate e rotonde; intorno alla
base e nell'interno del tumulo si trovarono bronzi, rappresentanti
animali fantastici, sfingi, grifoni, chimere, forse ivi deposte in atto
di vigilanza, di custodia del sepolcro.

Tombe scavate nel vivo masso abbondano presso Toscanella e a Cere,
dov'è l'ipogeo detto della _Volta piana_, dalla foggia del soppalco
orizzontale a cassettoni, simulante un soffitto con travature di legno;
e dov'è pure la bella tomba _Delle sedie_, con un vestibolo e due
camere laterali; il vestibolo conduce ad una gran camera principale,
che per tre porte mette ad altre tre minori: intorno girano letti di
pietra, e negli intervalli fra le porte sono scarpellate nel masso due
sedie, da cui l'ipogeo prende nome. Fra le grandi camere sepolcrali
con sostegno di pilastri nello stesso masso e con soppalco a travature,
notevole è la _Grotta dei Tarquinî_, presso Cere, dove è inscritto il
nome dei Tarquinii stessi: _Tarchinas_ (ved. =Atl.= cit., =tav. XXI=).

Tombe scavate nel masso con facciate simulanti prospetti di edifizî
sono specialmente a Castel d'Asso (fra Viterbo e Corneto), dove
vedonsi porte ornate con modanature ad orecchioni, di carattere
egizio; tali porte sono però solo apparenti, come allegoria della
chiusa, impenetrabile porta della morte, che separa per sempre l'uomo
dalla vita terrena. Facciate di templi vedonsi a Norchia, a Sovana, a
Bomarzo. Molteplicità e varietà grandissima di tombe, dalla semplice
fossa alle grandi camere dipinte, sono a Corneto-Tarquinia, i cui
sepolcri sono stati i primi ad essere conosciuti, illustrati ed anche
depredati (ved. =Atl.= cit., =tav. XX=, e specialmente =tav. XXII-XXIV=
ov'è disegnata la cosidetta _Grotta campana_). Tombe formate di grandi
massi, con volte fatte non ad arco, ma con la sporgenza delle pietre
(come i θόλοι) sono ad Orvieto.

Insigne è il grande sepolcro dei _Volunni_ a Perugia, composto di otto
camere contenenti sarcofaghi grandi e belli; è monumento dell'età
romana. Tombe etrusche trovansi anche oltre Tevere, ad Ardea; in
quest'ultimo luogo si vedono camere sotterranee, con letti e cuscini
intagliati nel masso, con soffitti a travature, con sarcofaghi, e
traccie di pitture murali; forse quelle stesse che Plinio vide, e disse
essere anteriori a Roma[55].


IV. — COSTRUZIONI DI FORMA SINGOLARE.

1. _Nuraghi._ — Sono questi monumenti, che per analogia con le
costruzioni etrusche, e particolarmente con tombe, vengono da alcuni
supposti opera del popolo etrusco. Sono torri a forma di cono troncato,
costrutto con grossi sassi, maggiori alla base, decrescenti verso
l'alto, informi, raramente lavorati, sovrapposti senza cemento.
Alla base è la porta, assai bassa, ma che, alzandosi nell'interno,
dà luogo ad un corridoio il quale introduce in una stanza terrena
circolare, a volta, con un diametro medio di cinque metri. A questa
è talvolta sovrapposta una seconda stanza, a cui si accede per via di
scale praticate nello spessore del muro. Il monumento termina con una
piattaforma, o terrazzo. La volta delle stanze interne è formata dallo
sporgere dei massi con modo analogo a quello dei θησαυροί greci.

L'altezza dei nuraghi varia da 9 a 15 metri; alcuni, ora mezzo
distrutti, giungevano sino a 20 m. Di queste torri alcune sono isolate,
altre servono come centro a tre o quattro torri minori disposte
all'intorno, e infine parecchi nuraghi si aggruppano insieme a poca
distanza fra loro. In Sardegna se ne contano ben tremila.

Quanto alla loro destinazione, s'è disputato assai. Probabilmente
furono tombe di capi tribù, le quali servirono poi ad uso sacro, come
centro religioso della tribù che s'adunava a compiere i riti intorno
alla tomba del suo eroe; e infine poi il centro religioso divenne
anche centro di difesa e fortezza, con uno svolgimento di pensiero e
di usi non diverso da quello delle acropoli greche. Non si deve dunque
assegnare ai nuraghi una sola ed esclusiva destinazione, nè una sola
età, ma bensì vedervi una successione di usi in un lunghissimo corso
di tempo. A qual popolo spettano essi? Le affinità con le costruzioni
etrusche non sono decisive: i caratteri di questi monumenti sono
piuttosto pelasgici, quali si vedono nei θόλοι e nei θησαυροί; nemmeno
la loro giacitura è favorevole a crederli opera di Etruschi stanziati
nella Sardegna, poichè, scarseggiando dal lato che guarda l'Italia,
abbondano sui lati opposti prospicienti l'Africa e la Spagna. Non
potendo quindi determinare queste opere come certamente etrusche, si
suppone siano eseguite da popolazioni libiche[56].


=B. — Plastica.=

(ved. =tav. 30-41=).


I. — ARTE FIGURATIVA.

1. =Osservazioni generali.= — L'abilità artistica degli Etruschi si
addimostrò specialmente nel lavoro delle terrecotte e dei metalli. Del
primo, ossia della plastica in senso proprio, dice Plinio (XXXV, 45):
_Elaborata haec ars Italiae et maxime Etruriae_; e sono menzionati in
Roma come esistenti già dal tempo di Numa collegî di vasai, composti di
artieri etruschi, essendo dai tempi più antichi in Roma assai pregiato
il _tuscum fictile_. La plastica d'argilla prima ornò i templi italici,
con antefisse, acroterî, bassirilievi e statue nei frontoni, e imagini
divine adorate nelle celle del tempio.

Le opere antichissime di plastica etrusca, di terracotta, di pietra o
di bronzo mostrano la durezza rigida e greve dello stile arcaico, in
cui manca la intelligenza e la buona imitazione della natura.

I caratteri dell'arcaismo sono proprî dell'arte etrusca, non soltanto
nel primo suo stadio, ma anche nella sua età fiorente, e lasciarono
qualche traccia di sè in una certa gravezza di forme, o impaccio alla
imitazione della natura, per cui l'arte etrusca non potè elevarsi ad
una vera espressione del bello. Per le analogie dello stile arcaico
con l'arte egizia si credette di nominare lo stile etrusco “stile
egizio od egittizzante„, supponendolo derivato per via di relazioni
degli Etruschi con l'Egitto; relazioni delle quali recentemente s'era
creduto trovare documento storico nel nome dei _Thursana_, o Tirseni,
o Tirreni, letto sopra monumenti egizî, ricordanti le imprese di
Menepthah I, figlio di Ramesse II, della XIX dinastia (secolo XV-XIV
a. C.). Ma quest'affermazione, accolta con favore in prima, oggi da
nuovo esame della critica viene confutata ed esclusa. Del resto non si
tratta di relazioni dell'Etruria con l'Egitto, ma piuttosto coi popoli
orientali in genere. Di relazioni dell'arte, anzi della vita etrusca
coll'orientale, i segni e le prove non mancano. Troviamo analogie di
stile, di soggetti rappresentati, ed anche oggetti identici a quelli
orientali, deposti nelle tombe etrusche, quali scarabei ed idoletti
egizî, ed ova di struzzo graffite e dipinte, vasetti unguentarî od
alabastri con caratteri geroglifici, e l'uso funebre dei canòpi e delle
maschere (ved. =tav. 30=).

   [Illustrazione: =Maschere, canopi e seggi cinerarî in bronzo e
   in terra cotta d'uso funebre e di lavoro etrusco.=

   =Tavola 30.=

   Ved. L. A. MILANI, _Monumenti etruschi iconici d'uso
   cinerario_ in _Museo Italiano di antichità classica_, vol. I.
   tav. VIII; cfr. il nostro Manuale, p. 165.]

La presenza di questi oggetti è conseguenza non di relazioni
dirette, ma d'importazioni commerciali per parte dei Fenici, i quali
comperavano nelle città litoranee d'Egitto _articoli_ egiziani e li
spargevano per le città del Mediterraneo. I Fenici poi avevano anche
una propria produzione d'arte industriale, ma senza un loro proprio
stile, lavorando e riproducendo per imitazione gli oggetti orientali
più ricercati e più pregiati. Questo indirizzo delle industrie di
Tiro e di Sidone ebbero anche le manifatture od officine dei Fenici
occidentali, cioè dei Punici, o Cartaginesi. Di prodotti orientali e
di prodotti dell'imitazione fenicia, cioè idoletti, amuleti, scarabei
di smalto, e di pietra dura, vasi ed ornamenti d'argento e d'oro, erano
inondati i mercati d'Italia, del Lazio e dell'Etruria, delle isole del
Mediterraneo, e singolarmente della Sardegna[57].

Tali importazioni di prodotti dell'industria orientale ebbero influenza
sull'arte etrusca, ed anche sull'arte italica in generale, per certe
forme, certi elementi ornamentali, non già per lo stile nell'intima sua
essenza. Non diremo adunque che lo stile arcaico etrusco sia effetto
d'imitazione egizia; esso è un prodotto naturale del momento e della
condizione dell'arte. “L'infanzia dell'arte è la medesima in ogni
nazione, dice il Lanzi[58], come in ogni nazione i bambini sono gli
stessi„.

Si aggiunga poi che lo stile rigido e duro dell'arcaismo ha un che di
propriamente consentaneo alla disposizione artistica etrusca, tanto che
esso, temperato da uno studio più attento della natura e da un maggiore
sviluppo della tecnica, forma il carattere di quello _stile toscanico_,
nel quale gli antichi scrittori trovavano analogia con l'arcaico greco,
non pure dei tempi più antichi (come sarebbe lo stile dell'Apollo di
Tenea), ma anche con quello più sviluppato della scuola eginetica di
Callon, le cui opere a Quintiliano parevano _duriora et Tuscanicis
proxima_[59].

Nei monumenti dell'arte etrusca noi vediamo in prima un arcaismo che
è naturale condizione dell'arte infantile, con mescolanza di elementi
di carattere orientale. Da questo arcaismo si svolge un'arte migliore,
ma pur ancòra di stile arcaistico, nel quale pare che gli Etruschi per
naturale condizione d'ingegno restassero limitati. Come dall'Apollo di
Tenea o dalle metope di Selinunte nell'arte greca si passa ai marmi
egineti, così in Etruria da certe figurine rozzissime si procede a
miglior lavoro. Ma in Grecia l'arte con forte slancio si alza a somma
perfezione; l'arte etrusca invece s'indugia in quel primo grado di
sviluppo, mancandole impulso e spirito per assurgere ad altezza d'arte
vera. Essa si viene modificando per dirette e continue influenze
greche, la cui prima efficacia potrebbe datare, secondo la tradizione,
dalla venuta di Demarato in Etruria, cioè dall'anno 660 circa av. C.;
ma l'efficacia sua larga e piena è certamente di tanto posteriore, che
per lo spazio di tempo precedente il secolo V di Roma, si potrebbe
ammettere sviluppo di uno stile e d'un'arte toscanica propria. Vi
sarebbero pertanto due periodi di svolgimento: uno dell'arte toscanica,
nella quale sta rappresentato lo stile, il carattere nazionale etrusco,
e che è il periodo dell'arte arcaica nazionale; l'altro il periodo
dell'arte che si sviluppa e modifica per l'efficacia dell'influenza
greca (ved. =tav. 31=).

   [Illustrazione: =Frammenti di una statua fittile d'Apollo, dal
   frontone del tempio di Luni.=

   =Tavola 31.=

   Ved. =L. A. Milani=, _I frontoni di un tempio tuscanico
   scoperti in Luni_ in _Museo ital. di antich. classica_, I,
   tav. IV, frontone _B_, figura centrale.]

2. =Stele e bassirilievi in pietra.= — Le cave del marmo di Carrara
(Luni) furono prese a lavorare solo nel tempo d'Augusto. Lavoravasi
marmo delle cave di Volterra, o il nenfro, o il peperino, e per i
bassorilievi usavasi il tufo calcare o la pietra arenaria; in ogni modo
non vi era a disposizione dell'Etruria un gran materiale.

In parecchie stele sepolcrali si trovano effigiati guerrieri di
profilo, ritti in piedi in quelle posture e quelle forme tozze che si
vedono, p. es., nelle stele di Sparta[60], anche con qualche carattere
che ricorda la stele del soldato maratonomaco[61]. Analogie di stile
sono con le metope di Selinunte; la figura della Gorgone sannita
nei bassirilievi etruschi si ripete frequentissima con quegli stessi
caratteri di orrido grottesco che ha nell'arte arcaica greca.

Ad intendere la diversa natura dello spirito greco dall'etrusco,
e il diverso sviluppo nell'arte, parmi possa valere appunto il
confronto dell'imagine della Gorgone, che, presso i Greci, dalla
forma puerilmente orribile della metopa selinuntina per gradi giunge
all'espressione della fiera, terribile bellezza divina, laddove
s'arresta in quella prima forma presso gli Etruschi, i quali,
nella rappresentazione delle divinità infernali, come, ad esempio,
nel loro _Charun_ (Caronte), non si discostarono mai da un tipo
orrido e volgare, mostrando una certa predilezione al fantastico
grottesco. In bassorilievi di are o di tombe si hanno larghe zone
con rappresentazioni di combattimenti, processioni, banchetti, scene
funebri, con disposizione di figure e con caratteri di stile che
ricordano il meno rigido arcaismo dei rilievi del monumento delle
Arpie[62] e dei vasi greci, dipinti a figure nere[63].

3. =Urne cinerarie e sculture in pietra.= — Una classe copiosa di
monumenti della statuaria etrusca è data dalle urne cinerarie, alte in
media un metro e mezzo, varie di forma e di materia (d'alabastro, di
tufo calcare, di travertino o di terra cotta) spesse volte avvivate
per mezzo di colorazione, adorne di sculture e di bassirilievi, e
sormontate dall'imagine del defunto, che sta coricato, o recumbente
sopra un letto; sotto l'imagine sta solitamente l'iscrizione col nome
del defunto (ved. =Atl.= cit., =tav. XXV=). Le statue e i rilievi di
questi monumenti, che abbondano specialmente nei dintorni di Volterra,
di Chiusi, di Perugia, per gli atteggiamenti, le proporzioni, per la
trattazione del nudo, e i panneggi, per la composizione del soggetto e
la distribuzione delle figure mostrano lo stile di un'arte pienamente
sviluppata, e informata all'arte greca. Esse sono veramente opere
dell'ultimo periodo dell'arte etrusca, com'è provato anche dalle
iscrizioni latine, che si accompagnano con le etrusche. Sono opere del
periodo romano imperiale, e probabilmente, per buona parte, dell'età
degli Antonini; e così come vi è cambiato al tutto lo stile, cambiata
pure è la materia delle rappresentazioni, tolta il più delle volte da
miti ellenici, foggiati all'etrusca e misti con concetti propriamente
toscanici, quali la grottesca figura di _Charun_, o i due genî del bene
e del male.

Mentre per molti rispetti questi lavori mostrano d'appartenere ad
un'arte pienamente sviluppata, hanno però nell'esecuzione alcun
che di comune e di volgare, che rivela lo scalpello dell'artefice
manuale; come pure l'esecuzione è inferiore d'assai al valore della
composizione, e la trattazione delle figure mostra lo sforzo vano
di riprodurre il bello dei modelli greci. Le figure recumbenti
offrono schietti tipi etruschi, con viso grosso, proporzioni tozze e
certa pinguedine del corpo da ricordare le proverbiali espressioni
di _pingues Tyrrheni, obesus Etruscus_. Del resto queste sculture
sono opere della decadenza etrusca, e per lo studio dell'arte hanno
un valore limitato, mentre acquistano importanza quando sono in
soggetti mitologici e con le scene della vita familiare, perchè allora
rischiarano lo studio delle credenze e delle costumanze etrusche[64].

4. =Scultura in bronzo.= — L'arte etrusca toccò singolare maestria
nel lavoro del bronzo; ma più ammirabile nella tecnica che non
nella espressione del bello, specialmente in opere d'arte applicata
all'industria, cioè nei vasi, nei candelabri, negli attrezzi domestici
ecc. Volsinii ed Arezzo ebbero nella fusoria del bronzo un'attività
non inferiore a quella d'Egina e di Corinto; fonderie celebri erano
a Cortona, Perugia, Vulci, Adria. Rimproverasi ai Romani d'aver
saccheggiato Volsinii per avidità di rapire le duemila statue di bronzo
che l'ornavano. Di bronzo erano le porte che Camillo tolse a Veii.

Le prime imagini di bronzo poste in Roma furono di lavoro etrusco;
e per via di Roma conosciamo il nome di un bronzista etrusco, il
solo ricordato, cioè Veturio Mamurio, artefice degli scudi ancili e
d'un'imagine di Vertunno[65]. Di lavoro etrusco fu la lupa lattante,
posta presso il _ficus ruminalis_[66]. I bronzi toscani erano diffusi
e pregiati anche in Grecia. Candelabri e vasi toscani ricordansi
in Ateneo, che ai Tirreni dà l'appellativo di φιλότεχνοι, ed anche
Plinio accennò al pregio ed alla diffusione dei bronzi toscani[67]. Un
colossale simulacro d'Apollo di bronzo, meraviglioso lavoro etrusco,
consacrò Augusto nella biblioteca del Palatino; detto appunto l'Apollo
del Palatino. Orazio ricorda i _Tyrrhena sigilla_, lavoretti in
piccolo, di gentile fattura, cercati a gran prezzo[68].

Quantità di lavori di bronzo si sono raccolti negli scavi e nelle tombe
d'Etruria; in questi bronzi si vede il progredire dell'arte, per il
quale dallo stile rigido, detto egizio, si passa ad una maniera meno
secca e dura, prossima all'arcaismo eginetico, e infine ad un fare più
libero, sebbene non mai perfetto. In questi lavori le figure d'animali
sono trattate con migliore stile, con intelligenza e buona imitazione
della natura, laddove le figure umane sono assai spesso scorrette nelle
proporzioni e di non belle fattezze.

Bronzi di stile arcaico rappresentano spesso divinità ritte, ignude,
con lunga cappelliera simmetricamente disposta, con gambe congiunte
e braccia strette al corpo, nell'atteggiamento dell'Apollo di
Tenea; ovvero vestite, specialmente le divinità femminili, di abiti
talari, spesso con quell'atto di sollevare un lembo della veste,
che è pur frequente nei bassirilievi arcaici greci, di cui si sente
ad ogni tratto un'influenza, voluta riprodurre quasi inalterata; o
rappresentano figure votive, con braccia stese in atto di oranti e di
offerenti; ovvero guerrieri con grave armatura, con alti elmi cristati,
in atto di vibrar la lancia[69].

   [Illustrazione: =Chimera in bronzo, ritrovata ad Arezzo, nel
   1554, di lavoro etrusco.=

   (Museo etrusco di Firenze).

   =Tavola 32.=

   Dall'opera di =Jules Martha=, _L'art étrusque_, pag. 310, fig.
   208; cfr. =W. Amelung=, _Führer durch die Antiken in Florenz_,
   Monaco, Bruckmann, 1897, n. 247, cfr. =L. A. Milani=, _Museo
   topografico dell'Etruria_, Firenze, 1898, pag. 3, e nota a
   pag. 134.]

Fra i più insigni bronzi etruschi oggi posseduti ricordiamo: Il Marte
della Galleria di Firenze, trovato negli scavi di Vulci (v. =Atl.=
cit., =tav. XXVIII=). È un guerriero con lo scudo imbracciato, con
alto elmo, vibrante l'asta. — Il Marte di Todi, ivi trovato nell'anno
1835, con inscrizione sul lembo della corazza[70]. È un guerriero in
tranquillo e nobile atteggiamento. Si confronti con questo l'altra
statua di guerriero trovata a Falterona[71]. — Il fanciullo coll'oca
del Museo di Leida (v. =Atl.= cit., =tav. XXVI=). — Il fanciullo
sedente, del Museo Gregoriano, nell'atto di sorgere da terra (forse
dono votivo, significante il ricupero delle forze, il sorgere del
convalescente). — La statua dell'arringatore, trovata presso il Lago
Trasimeno nell'anno 1573, ed ora nella Galleria di Firenze; rappresenta
uomo di nobile aspetto, vestito di tunica e di pallio, ritto in atto
di allocutore; l'iscrizione incisa in un lembo del pallio lo dice un
Aulo Metello, figlio di Velio, uno dei migliori documenti della perizia
degli Etruschi nella fusoria, ed una delle migliori opere dell'arte
etrusca nel pieno suo sviluppo, forse del V sec. circa a. C. (ved.
=Atl.= cit., =tav. XXVII=). — La Chimera d'Arezzo, ivi trovata nel
1534; è il mostro fantastico dalle forme di leone e di capra, notevole
per la forte espressione del furore belluino e per la finita esecuzione
(ved. =Atl.= cit., =tav. XXIX=, n. 2, e la nostra =tav. 32=). — La
lupa del museo Capitolino; si considera come il più insigne bronzo
etrusco, sincero esemplare di stile toscanico; è la lupa sotto cui
stanno lattanti i gemelli; le figurine di questi diconsi posteriore
aggiunzione; mirabile nella fiera è la naturalezza delle forme, la
vivezza dell'espressione; credesi la stessa statua che gli edili Ogulnî
avevano fatto porre nell'anno 458 di Roma, presso il Lupercale, grotta
dove la tradizione diceva allattati Romolo e Remo, a piedi del Palatino
(ved. =Atl.= cit., =tav. XXIX=, n. 1)[72]. — S'aggiunge la scrofa del
Museo di Leida, dove pure è notevole la vivace verità delle forme, il
carattere naturalistico dell'arte etrusca.


=APPENDICE II.=

=Osservazioni intorno all'arte plastica degli Etruschi.=

Si è veduto, nell'Appendice I, che anche l'arte, secondo il mio
debole parere, contribuisce a far credere gli Etruschi provenienti
dall'Oriente piuttosto che dall'Occidente, almeno fino a nuovi
ritrovamenti archeologici e soprattutto linguistici.

Ma questo non si è ancor dimostrato; il che facciamo ora brevemente,
come il luogo e la mole del lavoro ce lo permettono.

Vi è pertanto un assieme di fatti che non devono essere trascurati.
La stessa grandiosità delle costruzioni etrusche, delle applicazioni
fatte dagli Etruschi delle volte e delle armature, la stessa solidità
e vastità di piani nell'architettura etrusca si direbbe alunna di
quella egiziana, che fa meraviglia ancora oggi a quale perfezione sia
giunta. L'uso poi della decorazione geometrica, _l'horror vacui_, la
moda delle epigrafi incise direttamente sul monumento, il lusso delle
oreficerie con pietre preziose (ved. =tav. 35=), la predilezione per
gli ornamenti decorativi e pei vivaci colori, la frequenza di vasi a
rilievo, già usati nei paesi greci, l'impiego dei motivi plastici e
pittorici animaleschi, l'uso del Canopo o urna funeraria con ritratti e
la presenza delle maschere funebri (ved. =tav. 30=), sono tutti indizi
di affinità e di contatto prolungato con gli Orientali e coi Greci
Asiatici, e collegano la civiltà etrusca con quella micenea ed omerica
in genere.

C'è in tutta l'arte etrusca ed omerica quel convenzionalismo orientale
che mantiene anche nei suoi periodi più avanzati la rigidezza arcaica
delle mosse, la scelta dei tipi in piedi, senza moto e grazia, la
preferenza per rappresentazioni figurate d'indole decorativa, e
simbolica, mancanti della vera vita (ved. =tav. 33=).

   [Illustrazione: =Carro con cavalli alati= (Bassorilievo
   d'avorio di carattere cipriota, analogo a una classe di lavori
   etruschi arcaici).

   =Tavola 33.= — Si rinvenne a Corneto, e si trova ora al Louvre
   (Parigi).

   Ved. MELANI, _Manuale di scultura italiana antica e moderna_,
   Milano, Hoepli, 2ª edizione, tav. I.]

Nell'applicazione poi dei tipi e dei motivi dell'arte etrusca si vedono
i caratteri dell'importazione marittima, come di popoli venuti dal
mare, non per via di terra. Nulla ci suggerisce la civiltà del centro
d'Europa, che non ammette assolutamente quegli elementi orientalizzanti
e d'importazione, che noi troviamo nella civiltà etrusca, fino al punto
in cui si assimila la civiltà greca e romana, trasformandole entrambe.

Se noi, però, ci soffermiamo a considerare il valore intrinseco di
quest'arte etrusca, troviamo (d'accordo col Martha, com'egli esprime in
un'appendice al suo lavoro magistrale sull'arte etrusca), che mancavano
agli Etruschi l'invenzione e il sentimento artistico, mentre non si può
loro negare un certo spirito di realismo, e una forza di imitazione
e di assimilazione dei varî elementi artistici non minore di quella
dei Romani. — Questo spirito di verismo è però tale che impedisce
di aggiungere anche il menomo lato ideale alle rappresentazioni
artistiche, ammettendovi invece l'orrido più osceno e sgradito, purchè
risponda al concetto che essi se ne fecero, o se ne vogliono fare. Ciò
non toglie che nella pittura e nella plastica bisogna concedere agli
Etruschi una certa originalità pel ritratto e per la rappresentazione
delle scene intime, familiari. E difatti nel ritratto furono maestri ai
Romani, come lo furono nella predilezione per quei grandi bassirilievi
di processioni funerarie, o trionfali, che diedero ai Romani l'idea
di ornare i loro archi e monumenti dei noti bassirilievi storici,
nonchè di alcuni ritratti parlanti per somiglianza e vivezza di tratti
fisionomici.

Se gli Etruschi dovettero dibattersi tra la forma convenzionale
dell'Oriente e quella troppo ideale della Grecia, se non ebbero tempo
di immedesimarsi sempre e perfezionarsi negli elementi estranei coi
quali venivano a contatto, non si può negare alla loro arte, oltre
l'intuito della natura, del ritratto, del bassorilievo, anche il gran
merito di aver fatto riconoscere ed apprezzare ai Romani l'ellenismo
nelle sue varie forme, in modo che non si può studiar bene l'arte greca
in Roma, nè l'arte stessa romana senza rilevare la parte avuta dagli
Etruschi nel diffondere gli elementi dell'ellenismo nelle varie città
del Lazio e dell'Etruria.

Pur riconoscendo, però, che l'arte etrusca ha familiarizzato, per
così dire, Roma con l'ellenismo, è doveroso riconoscere pure che, per
la mancanza del senso estetico, venendo meno agli artisti etruschi
il concetto delle proporzioni esatte delle parti del corpo, il che è
fondamento della vera bellezza, non potè mai l'arte etrusca inalzarsi
a quelle sfere ideali e perfette che ammiriamo nell'Ellade e in Roma.
Lo stesso carattere, la stessa costituzione fisica, le abitudini, le
aspirazioni del popolo contribuivano a dare un'impronta tutta speciale
all'arte loro. Infatti gli Etruschi ebbero presto il concetto della
ricchezza, del fasto, e, per natura inclinati al piacere, sotto la
sua forma più grossolana, crearono un'arte materiale, verista al
sommo grado, lottante per di più con le superstizioni e le credenze
demoniche, molto vive nel popolo, e tali da ispirare un certo timore
e ribrezzo per quello che credevano utile di fare a vantaggio della
famiglia o dello Stato.

Gli Etruschi, venendo in Italia, portarono seco un patrimonio artistico
relativamente misero, che accrebbero immensamente a contatto coi Greci
asiatici e del continente, e coi Fenici. Ma nemmeno questo scambio di
idee, di costumi, di aspirazioni valse a togliere dall'arte etrusca
quell'impronta di rigidezza, di goffa asprezza, di sproporzione, che
essa presenta anche nei momenti dell'arte libera.

Tanto il Martha citato (ved. _Art étrusque_), quanto l'Amelung (_Führer
durch die Antiken in Florenz_) rilevano, però, come vi fosse negli
Etruschi, in compenso della mancanza del sentimento estetico e della
facoltà dell'invenzione, oltre il principio di assimilazione e di
verismo citati, anche una gran cura e quasi uno sfoggio nel ritrarre
i particolari dei vestiti, degli ornamenti, delle decorazioni, e un
gran culto per l'arte greca, che essi imitano, diffondono, e fanno
apprezzare, come s'è detto, anche ai Romani.


II. — TOREUTICA.

1. =Osservazioni generali.= — Abbiamo già notato che gli Etruschi
riuscirono più valenti nell'arte applicata o industriale, che non
in quella pura. La parola _toreutica_ veramente indica il lavoro
di cesello (τορευτική, lat. _caelum, caelatura_), ma il vocabolo si
estese con più largo senso alle varie forme di lavoro di incisione,
di rilievo, o di commessione dei metalli (oro, argento e bronzo).
Lavori di toreutica si hanno in gran numero nelle raccolte d'antichità
etrusche, perchè erano dei rami più produttivi e più sviluppati. Opere
di industria così fiorente erano candelabri, lampadari, tripodi,
bracieri, coppe, varie foggie di vasi, specchi, cofanetti o ciste,
patere, anelli, e le così dette _bulle_, che erano un ornamento portato
dai fanciulli, a guisa d'amuleto, d'origine e d'uso propriamente
etruschi, passato poi ai Romani; insomma ogni guisa d'ornamenti
femminili, fornimenti di cavalli, o _phalerae_, armi, utensili
domestici. La quantità di queste opere, mirabili per la ricchezza
della materia e la finitezza del lavoro, è prova della prosperità e
dell'inclinazione al lusso della nazione etrusca.

2. =Candelabri.= — Celebrati erano i candelabri tirreni di bronzo,
cesellati con varietà di figure e d'invenzioni ornamentali, e destinati
all'uso domestico e religioso. Di queste opere l'arte industriale
etrusca faceva esportazioni. Un frammento di Ferecrate, comico dei
tempi di Pericle[73], cita un candelabro tirrenico come un capolavoro.
Candelabri si trovarono nei sepolcri insieme con altri arredi sacri
o domestici. Constano generalmente di un'asta su base, con punte in
cima da infiggervi le candele, o con piattello o bacinetto per la
lucerna (_lychnuchus_). La grande varietà e l'eleganza delle forme
sono prova dell'ingegno inventivo degli Etruschi. Le basi sono o di
piedi belluini, o di ben composte forme umane od animali; le aste o
fusti raffigurano colonne, o alti steli terminati in capitelli varî, in
fiorami, in bacini, o coppe ornate. Su per il fusto sono spesso figure
rampanti d'animali, talora figure umane in vario atteggiamento fanno
da sostegno, ed altre si ripetono sull'estremo dell'asta (ved. =Atl.=
cit., =tav. XXX=).

I lampadarî pendenti dall'alto, con più fiamme, con ricchi ornati
usati dagli Etruschi, e in genere dagli Italici, nelle case signorili
e nelle tombe, sono designati col nome di _lychni_[74]. L'esemplare più
insigne di questa classe è il lampadario rinvenuto a Cortona nell'anno
1840, e ancòra conservato in quella città, mirabile per grandezza, per
figurazione assai ricca e variata, e per isquisita finezza di lavoro a
cesello in alto e basso rilievo[75].

3. =Specchi.= — Una classe singolare e assai importante di bronzi
etruschi è costituita dagli _specchi_; sono dischi piatti, con un
leggiero rialzo all'ingiro, con manubrio, lisci da un lato, ornati
di disegni nell'opposto, solitamente incisi o graffiti a punta,
più raramente fatti a rilievo. Si rinvennero nelle tombe etrusche,
e dapprima si chiamarono col greco nome di φιάλαι, o col romano di
_paterae_, cioè tazze da libazione nel sagrifizio; poi Inghirami li
riconobbe come specchi, loro attribuendo però un significato ed un
valore religioso e mistico; a questo dava special motivo il fatto
di trovarli frequentemente dentro cofanetti, o ciste, anch'esse
qualificate per mistiche. Oggi però è accettata l'opinione che
siano specchi comuni, come lo sono le ciste e la loro suppellettile
muliebre. L'uso di questi dischi come specchi comuni è comprovato dal
vederli rappresentati in mani femminili sui bassorilievi e sui vasi
dipinti. Le rappresentazioni incise a punta, e spesso accompagnate da
inscrizioni dichiarative delle figure, sono assai importanti per lo
stile dell'arte, per il contenuto mitologico, e per i nomi che vi sono
inscritti.

Il contenuto delle rappresentazioni è solitamente di miti greci
nazionalizzati etruschi. Frequenti sono le figure alate senza
inscrizioni, che soglionsi dichiarare per imagini della Fortuna
etrusca, il cui culto passò poi a Roma. Tali rappresentazioni
della Fortuna con suoi attributi si riferiscono allo scongiuro del
_fascinus_, o della jettatura, diffusissima superstizione italica.
Con la Fortuna si hanno imagini di altri Dei _averrunci_, quali, p.
es., i Penati. Le rappresentazioni di scene della vita comune sono
rare. Il progresso dello stile vedesi negli specchi, come negli altri
rami dell'arte etrusca. Alcuno ve n'ha con rappresentazione di stile
arcaico, che mi sembra prossimo a quello delle situle estensi (ved.,
per es., specchio etrusco di Castelvetro, illustrato dal Cavedoni[76]).
I più hanno uno stile diligente, ma stentato e penoso, e nelle figure
scorretto. In questi monumenti, come nelle urne o sarcofaghi, vedesi
l'arte etrusca, che tenta di ravvivarsi con la greca, o forse l'arte
greca che si corrompe in mano di artefici etruschi. La maggior parte
degli specchi ornati di figure viene dalle tombe dell'Etruria propria;
parecchi, ma con qualche differenza di carattere, da tombe del Lazio,
e specialmente da Preneste; pochi, e per lo più lisci, sulle due
faccie, salvo qualche leggier fregio di ornato, provengono dall'Etruria
Circumpadana (v. =Atl.= cit., =tav. XXXI=)[77].

4. =Le ciste a cordoni.= — Parlando delle scoperte felsinee si sono
ricordate le _ciste a cordoni_, deposte in tombe per contenervi ceneri,
ma effettivamente prima oggetti da toletta. La forma a cordoni è la più
antica, la primitiva per tali ciste; le quali per la maggior abbondanza
di ritrovamenti in regioni padane, a cominciar dalla prima scoperta
a Monteveglio, nel Bolognese, l'anno 1817, si credettero opera degli
Etruschi settentrionali. Altro genere di ciste, o a dir meglio, ciste
lavorate in tempo d'industria e d'arte assai più progredite, e fornite
quindi d'un maggior pregio intrinseco, ma derivanti dal tipo primitivo
della cista a cordoni, sono le ciste trovate in tombe dell'Etruria
propria, a forma di vaso cilindrico riposante su peducci lavorati,
chiuso da coperchio, ornato di rappresentazioni figurate, incise a
punta, o fatte a rilievo. Il passaggio dalla forma primitiva a questa
più sviluppata parrebbe rappresentato da una cista trovata a Vulci,
che ha il corpo ornato di quattro cordoni rilevati ed è sostenuta da
peducci ad unghia forcuta sormontati da testa di Medusa[78].

   [Illustrazione: =La celebre cista Ficoroni, ora al Museo
   Kircheriano in Roma.=

   =Tav. 34.= — Per l'epigrafe ved. =Serafino Ricci=, _Epigrafia
   latina_. Milano, Hoepli, 1898, tav. LII, e relativa
   bibliografia intorno alla cista Ficoroni.]

A questi cofanetti si volle attribuire un carattere religioso, come
destinati a qualche speciale uso nelle misteriose funzioni di Bacco,
e perciò le chiamarono _ciste mistiche_. Ma, come già si è detto, gli
oggetti in esse solitamente contenuti, spettanti al _mundus muliebris_,
cioè specchi, vasetti da unguento, fibule, aghi crinali, pettini di
metallo, di osso o di legno, strigili, ecc., e perfino un ricciolo
di capegli posticci (tanto è antico l'inganno delle belle chiome!)
dicono chiaramente che son scatole o _nécessaires de toilette_, senza
che tuttavia resti assolutamente esclusa la possibilità anche d'una
sacra destinazione. Le più delle ciste non si trovarono nell'Etruria ma
bensì nella città latina di Preneste, onde la denominazione di _ciste
prenestine_; esse valgono come antichi esempî dell'arte latina con
influenza greca; e quindi se ne riparlerà più avanti.

La singolare perizia degli Etruschi nel lavoro dei metalli, la
particolare loro disposizione non ai grandi concetti artistici, ma
al lavoro minuto e diligente, si rivela nei molti oggetti preziosi
d'ornamento, finissimi lavori d'oreficeria e di glittica. Di oro sono
collane, armille, corone di varissime foggie, fibule, bulle, anelli,
con varietà grandissima di invenzioni decorative e con perfezione non
mai superata. Buona parte di tali oggetti in tombe antichissime hanno
caratteri di gusto e di stile orientale, fenicio e babilonese, con
figure di sfingi, leoni, mostri alati, e collane con pendagli formati
di idoletti egizî (ved. =tav. 35=).

   [Illustrazione: =Oreficeria etrusca= (dal Museo del Louvre).

   =Tav. 35.= — _Bijoux_ di varia dimensione, forma e fattura;
   dall'opera di =J. Martha=, _L'art étrusque_, tav. I. — N.
   3, orecchino con granate. — 4, _collier_ con scarabei di
   cornalina. — 1, 9, 10, orecchini in filigrana d'oro con
   oggetti d'ornato in smalto.]

Del pazientissimo e difficile lavoro d'intagliare in un incavo le
pietre dure, che il Vasari disse “un lavoro al buio„, gli Etruschi
lasciarono esemplari ammirabili. Sono pietre incastonate in anelli,
o varie forme di amuleti da appendere al collo, specialmente quelli
all'egizia foggia di scarabei, cioè globuli d'agata, d'onice, di
sardonia (ved. =tav.= cit. =35=), bucati per il lungo, figuranti nella
parte superiore il sacro scarabeo colle elitre chiuse, e nell'inferiore
una faccia piana, incisevi con microscopica minutezza figurine ed
inscrizioni. Gli scarabei sono superstizione egizia, che considerava
quest'animaluzzo quale divinità, simbolo del principio virile. Queste
pietre incise, che trovansi nelle tombe etrusche più antiche, in parte
sono di importazione orientale, fenicia, in parte vera lavorazione
degli Etruschi, che per religiose superstizioni amavano ornarsi di tali
amuleti. L'esemplare più perfetto d'intaglio etrusco è una sardonice
orientale nel cui piccolissimo campo è rappresentata con esimio lavoro
una scena di guerra, cioè due soldati che sorreggono un compagno
ferito[79].


=C. — Pittura etrusca.=


I. — OSSERVAZIONI GENERALI.

La pittura fu molto esercitata dagli Etruschi, ma limitata alla
decorazione. La compiacenza nella vivacità del colore si mostra
nell'uso di colorire le parti architettoniche, dipingere i rilievi dei
sarcofaghi e perfino le statue. Questa predilezione per la policromia
tiene ancora qualche cosa dell'infantile, mostrando inclinazione
all'effetto, senza intelligenza o cura di naturalezza. Così ad
esempio, in pitture etrusche si vedono bizzarrie d'animali, metà di
un colore e metà di un altro, cavalli rossi con criniera azzurra,
o cavalli interamente azzurri con unghie rosse o verdi. La pittura
etrusca vincolata quindi dal simbolismo ieratico, limitata ad arte
decorativa, non ebbe libero sviluppo; manchevole la composizione delle
figure; mediocre il disegno, senza chiaroscuro, senza rilievo dei
corpi; il colorito convenzionale, inteso all'effetto, o voluto da una
significazione simbolica.

   [Illustrazione: =Danza bacchica e caccia.=

   (Tomba della _Querciola_ presso =Corneto=).

   =Tavola 36.=

   Ved. MELANI, _Manuale di pittura italiana antica e moderna_.
   Milano, Hoepli, 2ª ediz. tav. II.]

   [Illustrazione: =Pitture chiusine rinvenute nell'anno 1833.=

   =I. Danze e ludi varî. — II. Corse di bighe.=

   =Tavola 37.=

   Ved. _Monumenti inediti pubblicati dall'Istit. di Corr.
   Archeol._ di Roma, vol. V. (1849-53), tav. XXXIII; cfr. E.
   BRAUN in _Annali Ist. Corr. Arch._ 1851, p. 268-278.]

Dai grandi dipinti murali nelle tombe noi abbiamo i migliori documenti
della pittura etrusca; questi dipinti risalgono in parte a remota
antichità, ma forse non come farebbe credere Plinio anteriori alla
fondazione di Roma[80]. Le rappresentazioni solitamente si riferiscono
ai riti funebri e alla condizione delle anime dopo la morte, banchetti
funebri con uomini e donne sedenti su triclinî, incoronati con musiche
e danze, quasi a indicare la beatitudine dell'anima dopo la morte;
caccie, corse, ludi gladiatorî, scene mimiche e comiche (ved. =tav. 36=
e =37=), a propiziazione in favore dell'estinto per divinizzarlo, come
il cristiano con le preghiere e con le funzioni pei defunti ha fede
di contribuire alla sua beatitudine eterna (vedi =Atl.= cit., =tav.
XXXII=; _Achille sacrifica ai Mani dell'amico Patroclo_). Si hanno
inoltre rappresentazioni di anime discendenti all'Averno, condotte da
genî buoni e da genî mali; soggetti infernali tolti alla mitologia
come la tomba dell'Orco a Corneto; genî e divinità infernali fra
cui _Charun_, col naso adunco, lunghi denti, serpi attorgigliati al
corpo, carnagione verde. Si aggiungono animali e mostri fantastici,
disposti sopra il fregio fra l'incorniciatura e le volte, con fascie di
ornamentazione spesso assai belle. La colorazione era anche applicata
alle figure scolorite sui sarcofaghi, ornati spesso di pitture a
tempera sullo stucco, simulanti l'effetto del bassorilievo[81].
Talvolta nel mezzo delle pareti sono dipinte porte chiuse che,
simboleggiano l'ingresso al mondo delle anime, non più rivarcabile, e
insieme dividono in due campi la rappresentazione. Le figure staccano
con le tinte chiare delle carni, coi colori vivaci delle vesti sul
fondo or bruno, or rossastro delle pareti a stucco, e stanno allineate,
con poca prospettiva, e con rari particolari, come tra figura e figura
frondi e rami (ved. =tav. 40= _a_ e _b_), allusivi talora agli alberi
dei giardini d'Eliso. Le figure sono disegnate a contorno, gli spazi
interni riempiti di colore; nella colorazione c'è ricerca di effetto.

   [Illustrazione: =Dalla tomba del Citaredo a Corneto.=

   =Tavola 38.= — Testa di un citaredo.

   Ved. _Ann. Ist. Corr. Arch. di Roma_, 1863, tav. d'agg. _M_, e
   dall'opera di =Jules Martha=, _L'art étrusque_, pag. 438, fig.
   289.]

   [Illustrazione: =Dalla tomba del Citaredo a Corneto.=

   =Tavola 39.= — Testa di una danzatrice.

   Ved. _Ann. Ist. Corr. Arch. di Roma_. 1863, tav. d'agg. _M_,
   e l'opera di =Jules Martha=, _L'art étrusque_, pag. 438, fig.
   290.]


II. — LE DUE SCUOLE PITTORICHE PRINCIPALI.

Come si è veduto nella plastica, così nella pittura etrusca vi sono due
periodi e due scuole o maniere: l'arte arcaica nazionale o toscanica;
l'arte etrusco greca. Queste due scuole hanno avuto una successione
cronologica, e poi vissero anche insieme. Nelle pitture del periodo
arcaico vi è la solita rigidezza di disegno, durezza di atteggiamenti
e di mosse, con sforzo d'imitazione della realtà; le figure non mancano
di rilievo, ma stanno allineate; manca la viva espressione dell'azione,
mancando l'accordo fra il concetto e l'esecuzione artistica.

Succede un periodo intermedio fra l'arte nazionale e l'arte di
scuola greca, in cui c'è un arte più libera ed agile. Infine nel
seguente periodo dello stile compreso nell'influenza greca, vi
è un passo alla maniera propriamente pittorica (ved. =tav. 38= e
=39=); l'artista padroneggia gli strumenti dell'arte; traduce copia
maggiore d'idee, mostra sentimento del bello, piena intelligenza
delle forme; sollevandosi oltre la stretta imitazione della realtà,
tende a nobilitare i soggetti; i volti prendono espressione e tengono
del profilo greco (ved. =tav. 41=); le vesti seguono le movenze con
leggerezza di pieghe e di svolazzi (ved. =tav. 40= _b_). È probabile
che tale influenza venisse dalle scuole surte nel tempo dei Diadochi.

   [Illustrazione: =Danza bacchica.=

   (Tomba del _Triclinio_ a Corneto).

   =Tavola 40= _a_.

   Ved. =Melani=, _Manuale di pittura_ cit., 2ª edizione, fig.
   1.]

   [Illustrazione: =Danza bacchica.=

   (Tomba del _Citaredo_ a Corneto).

   =Tavola 40= _b_.

   Ved. =Melani=, _Manuale di architettura_ cit., 2ª ediz., fig.
   12.]

   [Illustrazione: =Dalla tomba dell'Orco a Corneto.=

   =Tavola 41.=

   Ritratto di _Arnth Velchas_.

   Ved. _Monumenti_, IX, tavola XIV; =Jules Martha=, _L'art
   étrusque_, cit. pag. 398, fig. 271.]

Non sempre però si può dire che un dipinto di stile toscanico sia d'età
anteriore ad uno di stile con influenza greca, giacchè o per condizioni
locali o per individualità dell'artista, eravi un arcaismo di maniera,
protratto oltre il periodo di suo naturale sviluppo, v'era la scuola
dei pittori toscanici, che continuavano a lavorare nel proprio stile
arcaico[82].


III. — =Ceramica etrusca.=

1. — OSSERVAZIONI GENERALI.

I vasi fittili di foggie e dimensioni variissime, dipinti a figure nere
su fondo chiaro, giallastro, o rosso, ovvero a figure chiare e rosse
su fondo nero, che uscirono dalle tombe etrusche, e principalmente
da Vulci in gran copia, e che si raccolsero in luoghi dell'Etruria
Settentrionale, ad Adria, a Marzabotto e nella necropoli della Certosa,
come già si è detto[83], sono prodotti di fabbriche greche, importati
nell'Etruria, dove, come doni e funebre suppellettile, erano assai
pregiati. Che tali vasi servissero ad ornamento è dimostrato dall'esser
tuttavia nuovi, senza vernici interne che impedissero l'assorbimento
dei liquidi, e spesse volte anche senza fondo. Importati in Etruria
dalle fabbriche di Corinto, Atene, Egina, e più tardi da fabbriche
italo-greche campane ed apule di Nola e di Ruvo, questi prodotti
diedero luogo al sorgere di officine ceramografiche etrusche imitanti
le greche. Così, mentre da suolo etrusco vengono vasi che rappresentano
i varî momenti e le varie maniere della ceramografia greca, si hanno
poi anche vasi dipinti propriamente etruschi, che in parte sono
prodotti originali etruschi, e in parte imitazioni di prodotti greci.

2. — VASI TOSCANICI.

Sono da classificare fra i prodotti ceramografici etruschi certi
vasi policromi, che per disegno e colorazione ripetono i caratteri
dell'arcaismo e certe peculiarità della pittura toscanica[84]. Sono
vasi di fondo nericcio, con figure umane e d'animali, di puerile
disegno e di bizzarra colorazione. Uno di essi porta il disegno di
due grandi occhi, quali vedonsi anche in vasi dipinti greci contro il
fascino, ossia il mal occhio, significato della figura gorgonica da
Luciano detta ἀποτρεπτικὸν τῶν δεινῶν, ed anche delle figure falliche,
talvolta occhiute.

3. — VASI D'IMITAZIONE GRECA.

Nella numerosa classe dei vasi dipinti al modo greco è facile di
riconoscere quelli di lavorazione propriamente etrusca; e i principali
criterî distintivi sono: le qualità delle rappresentazioni, riferentisi
a costumi etruschi, o a miti ellenici etruscizzati coll'intervento
frequente dei genî infernali e di _Charun_; lo stile del disegno
specialmente inferiore al greco, e con certi suoi caratteri
d'ineleganza, di sproporzione già accennati per le pitture sepolcrali e
per gli specchi; la qualità dell'argilla è meno fina e meno buona delle
vernici greche; infine le iscrizioni sono etrusche[85].

Secondo il Micali, fu copioso e vario l'uso dei vasi dipinti presso
gli Etruschi dal I al III sec. di Roma; migliorò la loro fattura nel
sec. IV; durò nel V e nel VI; ma al tempo di Cesare e di Augusto quei
vasi già parevano antichi, e cercavansi come oggetti d'antichità nei
sepolcri di Corneto e di Capua.

4. — VASI DETTI BUCCHERI.

(Ved. =tav. 42=).

Ma più antichi dei vasi dipinti sono i vasi etruschi di terra nera, che
si trovano in tombe, quasi non mai insieme con vasi dipinti, a Vulci,
a Corneto, a Cere, ed in maggior abbondanza a Chiusi, dove forse fu
il principal centro di tale fabbricazione, per il che diconsi anche
vasi chiusini; generalmente sono conosciuti col nome di _buccheri_.
Sono d'argilla nera, non cotti ma seccati al sole, con la superficie
di certa lucentezza metallica; hanno dimensioni e foggie assai varie,
talora belle, ma ricercate e bizzarre, assai lontane dall'eleganza
greca. Sono ornati di figure a rilievo assai basso, fatte a stampo,
con rappresentazioni allusive a misteri religiosi ed a riti funerarî,
con imagini di divinità infernali, con animali e mostri fantastici
di carattere orientale, quali vedonsi su vasi dipinti della maniera
più antica. Le proporzioni delle figure umane sono tozze, lo stile
del disegno è primitivo. Antichissimi, questi vasi forse vengono
sùbito dopo la ornamentazione geometrica. Helbig suppone che siano una
riproduzione dei vasi metallici, ed il loro stile un'imitazione dello
stile metallotecnico; li crede anche d'importazione forestiera, poichè
se ne sono trovati altri esemplari a Cuma ed anche a Cameiros[86].

   [Illustrazione: =Vasi etruschi in bucchero di varie forme,
   provenienti da Chiusi.=

   =Tavola 42.= — Dall'opera di =Nöel des Vergers=, _L'Étrurie et
   les Étrusques_, tavola XIX.]

5. — VASI ARETINI.

Vasi d'altra forma, _alabastri, canopici_.

Un gran centro d'industria ceramica era Arezzo, detta la _Samo
d'Italia_. Ma i suoi prodotti sembrano di un periodo meno antico,
rispondente all'ultimo secolo della Repubblica romana ed ai primi
dell'Impero. Gli _aretina vasa_, tanto spesso ricordati, sono d'un
bel rosso corallino, con vernice, e spesso con eleganti rilievi; da
scoperte di tali vasi fatte in altre località s'arguisce che fossero
molto diffusi, o facessero anche altrove sorgere fabbriche imitanti i
prodotti aretini. Difatti noi li troviamo in gran copia nelle tombe
di varie località anche settentrionali e meridionali d'Italia, come
suppellettile funebre comune, nè tutti hanno la leggerezza e finezza
della pasta, nè la lucentezza ed eleganza dei veri vasi aretini[87].

Si raccolsero nelle tombe etrusche vasetti unguentarî e balsamarî,
che solitamente si denominano _alabastri_, dalla materia di cui molti
di essi sono fatti, e la maggior parte erano fatti antichissimamente.
Sono vasetti da contenere profumi, essenze e balsami, generalmente di
forma cilindrica, arrotondati alla base con bocche a piccolo imbuto. Ve
n'ha d'alabastro, di vetro, d'argilla dipinta. Se ne trovano in tombe
asiatiche, greche ed italiche. Alcuni già ne abbiamo ricordati, trovati
in stazioni dell'Etruria propria; terminano a forma di testa o anche
d'intero busto femminile, con foggie e attributi orientali, e sono
certamente d'importazione fenicia[88].

S'incontrano pure nei sepolcri etruschi i vasi che diconsi _canopici_,
destinati a contenere le ceneri del defunto, e terminati o sormontati
nel coperchio da testa umana, o anche da busto con mani alzate o
ripiegate sul petto, ritraente le fattezze di colui le cui ultime
reliquie stanno nel vaso raccolte, secondo il costume seguito
normalmente dagli Egizî (ved. =tav. 30=).

Nella grande copia di vasi usciti da tombe etrusche vogliono essere
ricordati alcuni assai rari e belli, inargentati, ornati di teste
in rilievo, e di composizioni d'ottimo stile greco rappresentanti la
pugna delle Amazoni, Ercole col leone Nemeo, Socrate a colloquio con
Diotima. Trovati alcuni di essi a Orvieto ed a Bolsena, sono nuovi
documenti d'importazioni greche nell'Etruria, giacchè tali li dimostra
non solo lo stile, ma anche l'analogia di altri simili casi di officine
italo-greche di Apulia, e si sono diffusi tanto in tutta Italia, da
ritrovarne perfino nel Piemonte. Un bellissimo esemplare, p. es., c'è
al R. Museo delle antichità in Torino, nella sala dei cimelî piemontesi
sotto il dominio romano[89].


=APPENDICE III.=

=Le ultime ricerche sugli Etruschi e la fondazione del Museo
topografico dell'Etruria a Firenze.=

Molte scoperte delle antichità etrusche non vi furono in questi
ultimi anni, ma piuttosto vi fu coordinamento scientifico di quelle
già esistenti. Le varie scoperte sono state pubblicate sulle _Notizie
degli scavi_, della R. Accademia dei Lincei in Roma: gli studî più
importanti furono continuati nella parte archeologica ed epigrafica
dal Gamurrini, dal Milani, dal Ceci e da pochi altri[90], nella parte
glottologica soprattutto dall'illustre prof. Elia Lattes, di cui si è
già parlato[91].

Ma uno dei fatti più importanti è quello di coordinamento delle
antichità già esistenti, raccolte con cura intelligente e paziente a
Firenze al Museo etrusco dall'illustre suo direttore professor L. A.
Milani.

Già per merito dell'immortale abate Lanzi, dello Zannoni e del
Migliarini si erano costituite le RR. Gallerie di Firenze, da un
lato le prime collezioni egizie, dall'altro le prime collezioni
etrusche, divise fin dal tempo del Lanzi per serie e per soggetti,
perchè servissero alla storia dell'arte e allo studio intrinseco delle
antichità.

Ma gli oggetti, per l'incremento dato alla collezione sotto la
direzione generale del compianto Fiorelli, erano ormai pigiati nel
locale angusto di via Faenza, e solo nell'anno 1879 per la tenace
energia del R. Commissario prof. Pigorini trovarono più degna sede nel
Palazzo della Crocetta, che è tuttora quello contenente il R. Museo
archeologico di Firenze.

La distribuzione delle antichità era stata fatta seguendo il sistema
pratico del Gamurrini, della distinzione per serie, adottando poi
l'ordinamento geografico e topografico nel classare gli oggetti entro
le singole serie.

Ma il Milani, riconoscendo l'utilità se non più pratica, però molto
più scientifica (ed ora di capitale importanza per le indagini sulle
origini e sulla propagazione della civiltà degli Etruschi), che
era stata propugnata dal Genarelli, ebbe l'idea felice di attuarne
l'ordinamento topografico, che fino allora era stato, per le ragioni
suaccennate, messo in disparte e abbandonato.

Il Milani opportunamente cita nel suo magistrale lavoro sul _Museo
topografico dell'Etruria_[92] i criterî che avevano determinato
il Genarelli a proporre di preferenza la distribuzione geografica
e topografica delle antichità etrusche, e tali criterî il Milani
ripresenta come base del suo programma scientifico.

“Fermo il principio — scrive il Milani — che negli avanzi sculti e
figurati compresi nel campo dell'archeologia, si ha una miniera di
documenti atti a svelarci la vita, le costumanze, le fasi di prosperità
o di decadimento di un paese o di un popolo, l'ordinamento più
razionale e più utile di un Museo si è quello in cui i monumenti sieno
disposti geograficamente, nè già divisi per serie generali; ma, al
contrario, lasciata da parte la classe a cui appartengono per la forma,
per la materia e per l'arte, si trovino riuniti insieme e sistemati in
complesso tutti quelli che spettano ad un dato paese, il quale potrà
solo in siffatta guisa essere, per mezzo della scienza archeologica,
più sicuramente e più logicamente studiato e messo in evidenza„ (op.
cit., pag. 14).

Conseguentemente a questi concetti, il Milani, avendo materiale
archeologico a sua disposizione molto maggiore dei precedenti, ordinò
i monumenti di provenienza etrusca nel pian terreno del Palazzo della
Crocetta, in diciasette sale, ove figurano i principali centri della
civiltà etrusca raggruppati intorno alle città rispettive.

I centri rappresentati nel Museo sono: _Vetulonia_ sul Poggio di
Colonna nelle prime tre sale: prima sala delle tombe a pozzetto,
seconda sala delle tombe a circolo, terza sala del tumulo della
Pietrera; _Populonia_ (terza sala insieme con gli oggetti precedenti);
_Volsinii_ (quarta sala), comprendente le antichità di Orvieto e di
Bolsena; _Cortona, Arretium_ (Arezzo) con la celebre chimera in bronzo
e la Minerva; _Volaterra_ (Volterra), _Chiusum_ (Chiusi) nella quinta
sala, e Chiusi continua nella sesta sala, ove sono raccolti i monumenti
iconici, specialmente i cosidetti Canopi chiusini (ved. =tav. 30= di
questo _Manuale_), e nella settima, ove vi è disposta la Collezione
Vagnonville.

L'ottava sala conteneva le antichità di _Luna_, l'antica Luni, e
la nona quelle di _Falerii_, corrispondente a S. Maria di Falleri.
_Tuscania_, corrispondente a Toscanella, ci presenta il suo bel leone
di nenfro nella sala decima. Di _Visentia_, o _Visentum_ sul luogo
dell'attuale _Bisentium_ si può seguire la storia e le tracce dalle
origini fino al secolo V a. C., per mezzo soprattutto della ceramica
nella sala undecima. La sala duodecima contiene i frantumi del tempio
e le altre antichità minori di Telamone. Seguono poi le antichità
di _Tarquinii_ nella sala decimaterza, e da questa si passa molto
più lontano nella decimaquarta, ove sono raccolti tutti i monumenti
antichi, compresi, oltrecchè nell'àmbito della città di _Volci_
(Vulci), anche nel territorio fra l'Albegna e l'Arrone, cioè la Pescia
(romana) Succosa, Marsiliana, Poggio Buco, Pitigliano, Suana.

Seguono poi tanto nel Cortile, (XV), quanto nelle sale decimasesta e
decimasettima le antichità di _Florentia_. Nel cortile vi sono esposti
i resti architettonici, nella sala decimasesta la casa repubblicana e
le terme attigue, mentre nelle ultime sale il Milani raccolse tutte
le antichità primitive di Firenze, siano esse etrusche, siano anche
romane, con le quali finisce la distribuzione topografica del Museo
etrusco di Firenze.



III.

ARTE ROMANA


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II.

=OPERE DI CARATTERE SPECIALE=

=Architettura, Archeologia e Topografia.=

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Thon_. Roma, 1828.

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Roma, 1829-1838.

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dell'epoca imperiale_. Roma, 1850.

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scoverti tra la via Latina e l'Appia presso la tomba degli Scipioni_.
2ª edizione. Roma, 1852.

J. F. TURCONI, _Fabbriche antiche di Roma_. Milano, 1857.

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3ª edizione. Parigi, 1859.

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21).

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ibid. 1899, tav. XIII-XV, pag. 169 e segg.

=Plastica.=

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toreumata... a Fr. Valesio, Fr. Gorio, R. Venuto, notis illustratum.
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III.

Arte romana.


I. — =Osservazioni generali.=

I Greci signoreggiarono il mondo antico e ancòra hanno effetto sulla
vita moderna con l'arte, con le grazie e coll'espressione del bello;
i Romani invece con la forza, con la sapienza civile e politica. Come
nell'arte greca vi è uno sviluppo organico e continuo, dalle prime
forme rudimentali alla pienezza del suo fiorire, così un vero sviluppo
progressivo e naturale dagli ordinamenti comunali a quelli di vasto
impero sta nella romana costituzione, perchè come ai Greci lo spirito
artistico, così ai Romani fu congenito e proprio lo spirito politico.

Se però non si può affermare che i Romani fossero naturalmente propensi
all'arte, perchè rivolsero la loro attività a imprese ch'essi dicevano
di maggior momento, e furono difatti in principio causa del loro
progresso, sarebbe però eccessivo se s'intendesse negata ai Romani
ed agli antichi popoli italici in generale la naturale disposizione,
l'intuito per l'arte. Le disposizioni estetiche erano sopraffatte da
altre facoltà più vive e più impellenti, cosicchè quelle o stettero
latenti od ebbero un lento sviluppo; e quando per condizione interna
di maturità e per favore d'esterne circostanze poterono fiorire, allora
vennero arrestate e sopraffatte da irresistibili influenze di un popolo
che l'arte aveva portato alla massima esplicazione; come avviene d'un
ruscello che, dopo lungo corso, alimentato per altri rivoli accolti,
sta per divenire corrente, s'incontra in un maggior corso d'acqua, in
quello immette e vi si confonde.

Mentre in Grecia nella più antica età la poesia è già meravigliosamente
sviluppata con l'epica, e prepara la via all'arte figurativa con la
chiara percezione delle imagini divine e dei tipi eroici, in Roma
invece trascorre assai lungo spazio di sua storia prima che una poesia
s'addimostri formata con chiara intelligenza di tipi e d'imagini, prima
che le divinità cessino d'essere una confusa astrazione e con plastica
evidenza diventino fonte d'ispirazione all'arte. Roma dai primi suoi
tempi fino al VI secolo, tutta intenta a difendere l'indipendenza
sua ed a svolgere gli interni suoi ordinamenti, non ha sviluppo e
progresso d'arte. Con l'attività assorbita nella vita pratica, con
lo spirito inteso all'utile ed alla realtà del momento, senza slancio
verso l'idealità, senza vivace movimento del pensiero nelle imagini, il
popolo romano rimane, per il rispetto artistico, in condizione inerte,
passiva, pronto al ricevere, ma non già a produrre spontaneamente e con
originalità di concetti. E le cause di questo? Se si sta alla leggenda
delle origini, che dev'essere vera, altrimenti l'orgoglio patrio degli
storici l'avrebbe negata, l'accozzo di elementi diversi, discordi, con
tradizioni, credenze ed usi non fusi da tempo insieme impediva uno
stato di vita propenso a ciò che è il fine d'ogni civiltà, il culto
dell'arte.

Inoltre i Romani non ebbero tempo nei primi periodi di badare
all'ornamento dell'intelletto, perchè erano costretti a pensare,
come ho detto, all'ingrandimento e alla difesa della propria città e
dell'attiguo territorio. Non bisogna poi escludere una causa fisica,
cioè proveniente dalle condizioni del luogo e del clima, tanto diverso
da quello dei Greci, specialmente atto a promuovere e ad eccitare nella
bellezza e varietà della natura il sentimento del bello e del sublime
naturale e dinamico. Infine senza dubbio vi influì la più recente
origine di Roma, in modo che, quando questa era in condizione di fare
di suo impulso e genio, si trovò di fronte una competitrice invincibile
nell'arte, quale la Grecia, che l'ammaliò e la vinse col fascino della
sua bellezza propria, allora, come si è detto poc'anzi, perfetta.

Perciò il popolo romano sùbito piega sotto l'influenza greca. Se non
che un'altra influenza precedente, l'etrusca, aveva già modificati i
caratteri ingeniti del popolo romano.

Parve a molti di poter mostrare il genio latino indipendente
dall'influenza etrusca, ma questa non è così di leggieri negabile,
sebbene sia da ridurre dentro più stretti limiti di quelli che prima
le venivano assegnati. L'Etruria già sorgeva a grande civiltà quando
Roma era appena nascente; dalla parte del Tevere e da quella del Liri
e della Campania, dove un'etrusca federazione erasi formata (Etruria
Meridionale o Campana), essa cingeva il Lazio. È possibile credere
che uno stato nascente non risentisse della continua vicinanza d'uno
stato salito a potenza, a florida civiltà? Può essere esagerata, ma
infondata non è certamente la tradizione che lega di così stretti
vincoli la sorgente società romana con l'etrusca. Ma d'altra parte
però l'arte etrusca non aveva tale intima e sua propria vitalità
da produrre una efficacia penetrante, decisiva. Un genio artistico
creatore mancava alla gente etrusca, perciò pur essa a sua volta era
facilmente soggetta ad influenze straniere; e già riceveva elementi
dalla Grecia, e allo spirito ellenico s'inspirava, quando nel periodo
storico che si assegna ai Tarquinî l'arte etrusca prese, secondo la
tradizione, sviluppo e sèguito in Roma. Queste influenze prima etrusche
e poi greche, che nei tempi antichissimi s'infiltravano nel Lazio,
lungi dal cessare crebbero quando Roma, fatta potente, si sottomise
le nazioni di lei più anticamente civili, alle quali essa avrebbe dato
l'arte sua, così appunto come loro diede le sue leggi, se un'arte sua
propria avesse potuto avere. Prima era l'influenza greca che per via
di relazioni e di commerci s'insinuava nel Lazio; ma poi, quando la
forza latina soggiogò le regioni dove la greca civiltà aveva fiorito, a
questo pretesto si sottomise, e fu a sua volta il vincitore soggiogato
dal vinto. Pongasi mente, per breve istante, al diverso tempo nel
corso della civiltà greca e della romana. Si osservi come, al tempo
dello splendido fiorire del pensiero e del sentimento greco, nel sec.
V a. C. che prende gloria da Atene e nome da Pericle, Roma, ancora
piccolo comune, guerreggiasse per la sua indipendenza contro Volsci,
Ernici, Equi ed Etruschi, e nell'interno s'affaticasse nella penosa
lotta della plebe col patriziato per l'eguaglianza dei diritti civili
e politici. Si ricordi che, quando le città capitali dei regni sorti
nell'Oriente dallo smembrarsi dell'impero d'Alessandro divennero centri
vivi di studî nelle scienze, nelle lettere e nelle arti, e si produceva
quell'operoso movimento del pensiero antico che suolsi designare col
nome d'_ellenismo_, allora Roma, fatta sicura contro gli assalti dei
popoli più vicini al suo territorio, volgevasi un po' più lontano alle
guerre coi Sanniti, alle prime relazioni coi popoli della Magna Grecia;
ma era lungi dall'avere uno scrittore od un artista. La Grecia aveva
ormai dato il meglio delle sue forze produttrici, già da lungo aveva
trapassato il culmine del suo salire, e volgendo alla discesa ripensava
e ripeteva sè stessa, quando Roma, compita la conquista d'Italia (266
av. C.), aggiuntasi la Sicilia (241 av. C.), legava le prime dirette
sue relazioni con la Grecia propria. Nell'immediato contatto con la
civiltà greca lo spirito romano fu interamente vinto e soggiogato.

Roma, che per più di sei secoli della sua esistenza non aveva
avuto letteratura nè arte, o almeno avevale appena in germe, in
facoltà ancòra latenti, fu allora commossa di spirito artistico, che
penetrava nello spirito per esterno impulso. Quando nella conquista
d'Italia i Romani venivano in relazione con le greche città del
mezzodì, ammiravano, essi ancor rudi, le splendide opere d'arte per
le quali quelle città erano ricche e belle. La presa di Taranto,
e poi le legioni portate in Sicilia al tempo della prima guerra
punica, le relazioni con la Grecia nel tempo della guerra illirica e
dell'annibalica, la presa di Siracusa, città regina del mondo ellenico
occidentale, resero i Romani sempre più familiari con la civiltà greca.
Una nazione cui ancòra manchino letteratura ed arte, nuova allo studio
del bel dire e della filosofia, nuova alla rappresentazione delle belle
forme, la s'immagini messa in repentino contatto con l'altra nazione,
che in tutto il dominio dell'arte, nella parola, nella musica, nella
ritmica, nel disegno, nella plastica aveva toccato, anzi valicato
il sommo della perfezione, e si pensi ciò che quel popolo ancor rude
sia per risentirne. Le sue facoltà congenite, ma ancora incerte sono
sopraffatte, e in loro luogo cresce e vigoreggia uno spirito nuovo, che
in Roma fu l'ellenismo, il quale, dopo aver estesa la sua efficacia nel
mondo orientale, ora conquista l'Occidente, e nella potenza romana, non
che essere da essa spento, trova una forza che lo porta a nuova vita, a
più larga diffusione.

Chi primo desta la vita letteraria romana è un greco, Livio Andronico,
venuto a Taranto (a. 240 a. C.), che diede ai Romani una versione in
versi saturni dell'Odissea, ed una prima azione drammatica di soggetto
e di forma greca. Per impulso greco nasceva la poesia romana; Ennio
impersona l'invadere della coltura greca nel Lazio, egli che in sè
credeva trasmigrata l'anima d'Omero e ambiva di diventare l'Omero
latino.

Al tempo della seconda guerra punica le greche muse a volo spiegato
entrano nella bellicosa città di Romolo, secondo la bella imagine di
Licinio nel distico citato da Aulio Gellio[93]. Il cittadino romano
riconosceva il primato artistico della gente ellenica, e davanti a
tanto splendore di civiltà confessava sè stesso rude ed agreste, e
da quella civiltà richiamava gli inizî della propria, della Grecia,
dicendosi fiero vincitore con l'armi, ma discepolo con lo spirito[94].
Ma a questa lodevole quiescienza accompagnava un chiaro e profondo
sentimento della propria missione nel mondo, cioè l'unificazione delle
genti nell'ordine di un forte e grande impero. Il diverso destino
proposto alla nazione greca ed alla romana lo ha significato Virgilio
con la solenne magniloquenza dei suoi versi immortali[95].

V'erano però parti più corrispondenti al genio romano, come quelle
che concorrevano alla vita pratica, quali l'eloquenza, la storia,
l'architettura, la scoltura storica; e queste, pur mantenendosi greche
nel loro germe, svolgendo e variamente combinando i greci elementi,
si fecero romane veramente, e adattate agli usi, alle condizioni del
nuovo popolo, in sè portarono impressa la forza e la grandiosità di
questo. Così all'architettura, combinando l'elemento etrusco o italico
dell'arco e della volta, con gli elementi degli ordini greci, il
genio romano compose l'eleganza con la grandiosità, compì opere la cui
solidità attraversò i secoli, la cui bellezza innamorarono le menti;
quindi può dirsi che l'architettura tutta risplenda l'originalità
romana.

Bisogna però aggiungere sùbito che questa grande arte romana non
divenne mai popolare, poichè, non essendo la manifestazione nativa e
spontanea di popolari facoltà, divenne prerogativa, cura e diletto di
una parte eletta della nazione, d'una vera aristocrazia intellettuale;
e tale divenne quasi forzando la natura romana, non senza aver
combattuto un forte contrasto contro il sentimento dei molti, che,
tenendosi fedeli alle tradizioni della vita cittadina, agli ordinamenti
patrî sociali e religiosi, vedevano nel nuovo spirito d'ideali
speculazioni, negli intenti del pensiero alieno dalla vita reale e
pratica, una minaccia, un pericolo di crollo delle patrie istituzioni.
Catone seniore personifica in sè quest'opposizione dello spirito antico
romano contro la novità dello spirito greco. Egli innanzi al popolo
lamentava le ricchezze e il lusso dalla Grecia e dall'Asia introdotti
in Roma; egli temeva ormai che il popolo romano conquistasse quelle
ricchezze e magnificenze, ma da quelle fosse conquistato; dubitava
infesti alla città gli artistici simulacri da Siracusa portati in Roma;
per disgrazia della città molti ammirare gli ornamenti di Corinto
e di Atene, e spregiare beffardi le vecchie imagini fittili dei
tempî arcaici; le arti insomma essere _illecebrae libidinum_[96]. Ma
Catone in sè offre anche esempio di quanto quell'opposizione cedesse
vinta, quando egli in tarda età piegò la mente sua allo studio delle
lettere greche, perchè da vero Romano, come era prima convinto del
male che potessero portare e tenacemente le avversava, così, appena
riconosciutane l'opportunità per il suo popolo vincitore, fu primo a
disdirsi e a dare esempio di volontà virile nell'apprenderle.

Superate le barriere di quest'opposizione, le arti greche conquistano
gli animi romani, e in questi si tramutano e si sviluppano, però sempre
nel ristretto àmbito d'una parte della nazione, non già penetrando nel
fondo del popolo; si ha un'arte pertanto aristocratica, arte in gran
parte da principi, da Mecenati e da poeti.

La tradizione, l'esercitazione dell'arte, le idee dell'artistica
rappresentazione restano greche, nella massima parte, modificandosi
e svolgendosi secondo i nuovi bisogni e le mutate disposizioni di
gusto dei Romani. Si ha quindi in parte riproduzione od imitazione
delle antiche opere greche, o nuove combinazioni d'antichi elementi,
nei quali l'attività artistica si svolge in un ordine di pensieri
che possono essere anche romani; insomma un'arte più propriamente
_greco-romana_.


II. — =Storia dell'arte romana e greco-romana, e divisione nei suoi
periodi.=

La storia dell'arte romana e greco-romana si può distinguere in tre
grandi periodi, cioè:

I. — Dalle origini di Roma alla presa di Corinto (754-146 a. C.);
periodo nel quale si possono poi discernere due momenti, cioè: quello
fino al cadere del III secolo di R., in cui si ha il lento sviluppo di
un'arte latina con influenze etrusche, arte che a noi resta quasi del
tutto ignota; e il tempo posteriore al III secolo, quando con Damofilo
e Gorgaso, artisti scultori e pittori greci chiamati a lavorare in
Roma, incomincia e di poi cresce la influenza greca, in luogo della
toscana che prima dominava[97].

II. — Dalla presa di Corinto, da cui incomincia la massima efficacia
dell'influenza greca, fino al principiare del III secolo dell'èra
nostra, cioè all'età che segue gli Antonini (146 a. C.-192 d. C). È il
periodo del pieno sviluppo dell'arte greco-romana, che, incominciato
con la spogliazione delle città greche, tocca il massimo di sua
attività nei primi due secoli dell'Impero con le fiorenti scuole dei
tempi di Trajano e di Adriano, e col diffondersi dell'arte nel mondo
assoggettato a Roma.

III. — Dal principio del secolo III dell'èra nostra alla metà circa del
V secolo. È il periodo in cui l'arte greco-romana decade col decadere
di tutta la vita antica, per effetto delle invasioni barbariche e
dei mutamenti religiosi. Sulle rovine dell'arte classica sorge l'arte
cristiana (292-476 d. C.).


=PRIMO PERIODO=


I. — =ARCHITETTURA=


_A._ — =Parte Iª del Primo periodo.=

1. =I monumenti di Roma monarchica.= — Per maggior chiarezza, divido
lo studio di ogni singolo periodo nei tre rami principali dell'arte
antica, l'architettura, la plastica e la pittura, come è stato fatto
per la storia dell'arte greca. Le comunità del Lazio, quali Alba e
Roma, erano nelle prime origini villaggi di capanne. Questo è detto
nella storia e dimostrato dalle ricerche archeologiche. Le capanne,
secondo il tipo delle urne-capanne laziali, erano rotonde; questa
antichissima forma fu poi consacrata nei tempî di Vesta come forma
architettonica rituale del sacro focolare. Abitavano queste capanne
genti pastorizie ed agricole, che usavano di strumenti di selce e di
bronzo, e di suppellettili d'argilla, quali si rinvengono nelle antiche
stazioni laziali. Da questa popolazione agricola fu fondata Roma. La
prima sua grande costruzione fu la cerchia di mura, che cingeva il
Palatino e storicamente si disse, dalla conformazione di quel colle,
_Roma quadrata_, con le due porte _Mugionia_ e _Romanula_ (ved. =tav.
43=).

   [Illustrazione: =Il Colle Palatino e i suoi edifici con gli
   ampliamenti fatti durante il periodo imperiale.=

   =(Pianta degli scavi fino ai nostri giorni).=

   =Tavola 43.= — Ved. L. BORSARI, _Topografia di Roma antica_,
   Milano, Hoepli 1897, pag. 328 e 329. (Cfr. A. MELANI,
   _Architettura_, Milano, Hoepli, IIIª ediz., tav. XX).]

Romolo eresse i primi templi romani a Giove Feretrio ed a Giove
Statore. Altri luoghi sacri a italiche divinità edificò Tito Tazio,
quando furono in Roma congiunte le due stirpi latina e sabina. Sul
Quirinale, dopo la morte di Romolo, eresse Numa il tempio a Quirino;
questo re consacrò il tempio rotondo a _Vesta_ (ved. =tav. 44=) ed
altri templi alla _Fede pubblica_ e a _Giano_. Altre costruzioni dei
primi re furono il carcere Mamertino di Anco Marzio, la _Curia_ di
Tullo Ostilio; ma fu specialmente con la stirpe dei Tarquinî, secondo
la tradizione d'origine greco-etrusca, che Roma s'ampliò e si abbellì
di grandiose costruzioni.

Tarquinio Prisco pose i principî di molte opere che solo dopo di lui
furono compiute. Servio Tullio, come aveva in nuova forma composta la
cittadinanza romana nell'ordinamento civile e militare delle classi e
delle centurie, così in nuova cerchia di mura raccolse la città, già
ampliatasi, sui sette colli del Palatino, Aventino, Celio, Esquilino,
Viminale, Quirinale, Capitolino. L'_agger servianus_ era una cinta
di grandi e robuste mura (ved. =tav. 45=), interrotta da torri, di
cui alcuni avanzi si vedono recentemente scoperti tra il Viminale e
l'Esquilino. Eresse Servio Tullio anche il tempio alla Fortuna virile
(ved. =tav. 46=).

   [Illustrazione: =Il tempio di Vesta al Foro Romano.=

   =Tavola 44.=

   Ricostruzione del prof. =Auer= in =A. Schneider=, _Das alte
   Rom_, tav. III, (Cfr. _Denkschr. d. k. Akad. d. W. zu Wien,
   phil.-histor. Kl._ vol. 36, tav. VIII).]

   [Illustrazione: =Ruderi delle Mura Serviane= (parte interna
   con segni di scalpellino).

   =Tavola 45.=

   Ved. =A. Schneider=, _Das alte Rom_, tav. II, 3; cfr. =O.
   Richter=, _Baumeister, alte Denkm_. III, p. 1445 fig. 1591.]

Le costruzioni incominciate dal primo Tarquinio furono condotte a
compimento da Tarquinio Superbo, ultimo re di Roma, con molto sudore di
popolo, secondo la tradizione narra. Fu allora finito il tempio alle
maggiori trinità pagane di Giove, Giunone e Minerva sul Capitolino,
detto prima Colle Saturnio; fu prosciugata la bassura di Roma con
condotti affluenti nel gran canale della _cloaca maxima_, che dal Foro
romano per il Velabro sbocca nel Tevere, come si vede nella parte che
dopo tanti secoli ancora oggi sussiste (ved. =tav. 47=). L'avvallamento
fra il Palatino, il Capitolino e il Quirinale, già da Romolo e da Tazio
diboscato e in parte prosciugato perchè servisse di convegno alle
due congiunte comunità romulea e sabina, fu dai Tarquinî recinto di
edifizî; onde ebbe propria forma ed abbellimento quello che si disse il
_Forum_, centro della vita politica di Roma.

A piedi del Palatino fu eretto il _circus maximus_ per gli spettacoli e
i giuochi romani (ved. =tav. 49=), i quali diconsi introdotti, insieme
forse con le forme dell'edifizio a ciò destinato, dall'Etruria; da
dove, sempre secondo la tradizione, vennero le insegne reali e il
costume della pompa trionfale. Ma il Circo non fu allora probabilmente
un vero e proprio edifizio, bensì solamente un terreno spianato e reso
adatto alle corse, con intorno preparati i posti per gli spettatori. La
tradizione, che fa i Tarquinî di origine etrusca, è a sè consentanea
quando loro attribuisce opere di costruzione che, per indicazioni
antiche e per loro carattere, sono da ritenere di lavoro etrusco. E noi
non possiamo contraddire una tradizione così verosimile.

2. =Il tempio di Giove Capitolino.= — Etrusco di fondamento, di
disposizione e di ordinamento architettonico era certamente il tempio
Capitolino, che, incominciato da Tarquinio Prisco per voto nella
guerra Sabina, fu costruito per mezzo di ingegneri ed operai chiamati
dall'Etruria[98] da Tarquinio Superbo, consacrato solo dopo la cacciata
di lui, dal console M. Orazio Pulvillo (510 av. C.). Similmente erano
etruschi gli aruspici, che dal capo trovato nel porre i fondamenti del
tempio avevano vaticinato la futura grandezza di Roma[99].

   [Illustrazione: =Tempio della Fortuna virile a Roma.=
   =Dedicato da Pio V. a S. Maria Egiziaca.=

   =Tavola 46.=

   Ved. A. MELANI, _Architettura_, Milano, Hoepli, IIIª ediz.
   pag. 91, tav. VII.]

   [Illustrazione: =La Cloaca Maxima al punto di confluenza nel
   Tevere col rivestimento superiore di pietra.=

   =Tavola 47.=

   Ved. =A. Schneider=, _Das alte Rom_, tav. II, n. 13. (Cfr.
   =Levy-Luckenbach=, _Das Forum Romanum_, pag. 6, fig. 2).]

Sorgeva il tempio sul Capitolino, la cui sommità si divide in due
vette, una rivolta a sud-ovest (dove ora è il palazzo Caffarelli)
l'altra a nord-est (dove sorge la chiesa di S. Maria in Aracoeli).
Le due vette sono separate da una interposta bassura, che oggi è la
piazza del Campidoglio. Fu lunga controversia su quale delle due vette
fosse posto il tempio, il più degli archeologi italiani inclinando a
collocarlo sulla parte di nord-est, gli archeologi tedeschi invece
su quella di sud-ovest; oggi si tiene generalmente questa ultima
opinione[100]. Era il tempio disposto secondo l'orientazione templare
etrusca, coll'ingresso o pronao volto a mezzodì. Nella sua forma
primiera stette per più di 400 anni, fino al 671 di Roma (83 av.
C.), nel quale anno fu distrutto da grande incendio, ma da Silla poi
interamente rifabbricato sui medesimi fondamenti. Incendiato nuovamente
al tempo della rivoluzione sotto Vitellio imperatore, fu restorato
da Vespasiano; e danneggiato poi nuovamente, fu una terza volta
rifabbricato e riconsacrato da Domiziano. Sebbene nelle età di queste
ricostruzioni il sistema del tempio romano fosse grandemente mutato per
l'influenza greca, pure il Capitolino, per rispetto religioso, stette
mantenuto nelle antiche sue forme, salvo che fu adornato con più ricco
materiale (Tacit. _hist._ III, 72 e IV, 53), come già s'era cominciato
nella ricostruzione di Silla, che l'ornò di colonne tolte dal tempio
di Zeus Olympios d'Atene. Una descrizione del tempio, qual'era dopo la
restorazione sillana, ci ha lasciato Dionigi (IV, 61), ed è principal
fondamento all'ideale ricomposizione dell'edifizio. Basato sopra una
costruzione di grossi blocchi a più ordini di gradini, dentro una
area di forma quasi quadrata (cioè con proporzione fra la profondità
e la fronte come di sei a cinque, mentre pel tempio greco era di sei
a tre) constava di due parti: una anteriore formante il pronao, ornato
di un triplice colonnato, cioè con sei colonne sulla fronte, e perciò
exastilo, e tre in profondità; l'altra parte posteriore formava la
cella della divinità. Da due punti estremi della fronte si stendeva
un'ordine di colonne sull'uno e sull'altro lato, in numero di sette.
La parte del tempio propriamente detto, ossia la cella, era divisa
dal pronao per una grande parete con tre porte conducenti a tre celle,
delle quali la mediana e maggiore era quella di Giove, le due laterali
minori erano sacre una a Giunone, l'altra a Minerva. Le colonne
d'ordine toscanico, disposte a larghi intercolunnî sostenevano la
trabeazione, su cui elevavasi il frontone. L'aspetto risultava alquanto
greve e tozzo. Il timpano del frontone, secondo l'uso etrusco, era
ornato di rilievi di terra cotta; di cotto erano anche una quadriga
posta sul culmine del frontone, gli acroterî, e le stesse statue delle
divinità nell'interno del tempio. Giove era raffigurato sedente col
volto dipinto di minio, e probabilmente vestito con la _tunica palmata_
e con la _toga picta_, costume dei trionfatori. Le altre due statue
di Giunone e di Minerva erano figurate entrambe stanti, come almeno
appare da rappresentazioni del tempio sopra monete di Vespasiano e di
Domiziano[101].

Come il tempio di Giove Capitolino è la più antica opera architettonica
di Roma, così anche quelle statue starebbero fra i primi monumenti
plastici che dall'Etruria furono portati in Roma. Autore della statua
di Giove e forse della rimanente ornamentazione fittile del tempio
dicesi _Turanius_ di Fregelle[102] (ma è assai contrastata lezione), il
quale avrebbe fatto pure d'argilla una statua d'Ercole, detta appunto
_Hercules fictilis_.

Si suppone che d'ordine toscanico fosse il tempio di Diana, eretto,
secondo la tradizione, da Servio Tullio sull'Aventino come sacrario
della lega romano-latina, dove le originali tavole del _foedus latinum_
erano ancora conservate al tempo di Dionigi di Alicarnasso[103].

3. =Il tempio e i tre ordini architettonici secondo l'uso romano. —
=Non si può ben comprendere l'architettura romana quale si presenta
dopo queste prime costruzioni toscaniche senza intrattenersi a parlare
tosto della forma del tempio quale i Romani riprodussero, modificando
quello toscanico con l'influenza greca.

La forma del tempio greco pei Romani più rispondente alle condizioni
del rito e della prima forma templare italica, è il _prostylos_,
con questa modificazione che la parte anteriore (pronao) fu avanzata
assai più, spingendosi oltre la cella di due od anche di tre ordini di
colonne, in guisa che lo spazio occupato dal pronao, misurato dalla
parete d'ingresso della cella alle colonne esterne della fronte,
eguagliasse in estensione quasi la cella stessa, e la porta della
cella, come luogo dell'augure nell'intersezione del _templum_, si
trovasse quasi nel mezzo dell'edificio (ved. =Atl.= cit., di _Arte
romana_ =tav. XXXV=, n. 1 e n. 2). Questo può dirsi il tipo proprio del
tempio romano. Tuttavia il prostilo di schietta, semplice forma greca,
col pronao sporgente d'un solo colonnato, non è raro; come anche si
ebbero esempi di _prostilo pseudoperiptero_, cioè con finto colonnato
intorno al muro della cella, (ved. =Atl.= cit. =tav. XXXVI=) cfr. Parte
Iª _Storia dell'arte greca_, pag. 37-38; =Atl.= di _Arte greca_, =tav.
XXV-XXVI; LV=.

Il tempio rotondo, che presso i Greci non trova ricordo se non di
qualche esempio assai raro, fu invece una forma usata presso i Romani,
giovando a ciò la volta, l'elemento architettonico proprio italico, che
i Romani svolsero in tutta l'estensione del suo valore, come vedremo
fra poco nell'applicazione di cupole, semicupole ed absidi. Il tempio
rotondo sembra essere stato destinato non solo a Vesta, ma anche a
Diana, ad Ercole, a Mercurio. Due specie ne distingue Vitruvio, il
_monoptero_, formato da un semplice colonnato circolare sorreggente
una trabeazione pure circolare, sulla quale posava il tetto a forma
di cupola; e il _periptero_, formato d'una cella rotonda di muratura,
sormontata dalla cupola, o di un colonnato che girava a porticato
intorno alla cella stessa. Di tal forma erano il tempio di Vesta a Roma
e quello bellissimo di Tivoli, dei quali esistono ancora ammirabili
rovine (ved. =Atl.= cit., =tav. XXXV, 3= e =tav. XXXVII=; cfr. la
nostra =tav. 44=).

Una terza forma di tempio rotondo, che però da Vitruvio non è indicata,
è quella di un corpo d'edifizio circolare, sul cui davanti sporge un
atrio a somiglianza del pronao di un tempio prostilo. È in questa forma
che il genio architettonico romano sembra aver toccato il suo apogeo
con la meravigliosa costruzione del Pantheon (ved. =Atl.= cit., =tav.
XLII-XLIV=).

I diversi ordini di colonne e di membrature architettoniche greche
furono dai Romani adottati nei templi di stile etrusco o greco, e in
altri edifizî; ma quei greci elementi ebbero modificazioni quali il
gusto della nazione richiedeva, con senso artistico inferiore a quello
dei Greci. Il dorico ed il jonico nella loro semplice eleganza poco
furono pregiati, o vennero in qualche parte alterati, prendendosi
il dorico probabilmente non dalla Grecia ma dall'Etruria con le
modificazioni, che nei frammenti di dorico-etrusco si vedono compite,
mettendo sotto la dorica colonna una base, variando con aggiunzioni
di fregi e fiorami i capitelli, e producendone forme interamente nuove
(ved. =Atl.= cit. =tavola XXXIII= n. 1 e 2).

Più assai del dorico o del jonico fu usato con predilezione il
corinzio, che, più ricco e pomposo, meglio rispondeva al gusto d'una
società ricca e fastosa, quale era la romana nell'età fra la Repubblica
e l'Impero, ed era anche più adatto come ornamento d'una architettura
fondata sulla grandiosità. Ma anche l'ordine corinzio, applicato
nel maggior numero d'edifizî romani esistenti, non è più il corinzio
genuino dei Greci, bensì con più ricchi viluppi di foglie d'acanto ed
anche d'ulivo, frammischiativi altri ornati. Si combinò poi il corinzio
con elementi del capitello jonico, cioè con le volute, le quali,
nascendo dal ricco fogliame dell'acanto, uscivano, e si ripiegavano
sopra questo, producendo quella nuova forma romana che si disse _ordine
composito_ (ved. _Atl._ cit. =tav. XXXIV=, n. 1 e 2). La colonna poi
si combinò coll'arco, cessando d'essere essenzialmente un mezzo di
sostegno, una parte organica dell'edifizio; perchè, essendo l'arco
intimamente connesso con l'ossatura dell'edifizio, unito e sorretto da
forti pilastri o da robuste murature, la colonna perdeva il suo ufficio
di fulcro e prendeva solo carattere esterno ornamentale (ved. =Atl.=
cit. =tav. XXXVI=, e la nostra =tav. 46=).

Cessarono quindi gli ordini greci d'avere nel corpo dell'edifizio la
loro ragione logica, cioè d'essere struttura ed ornamento insieme,
per convertirsi in semplice decorazione, e si adattarono con esterna
apparenza all'ossatura della fabbrica. Gli ordini di stile poi in un
medesimo edificio vennero accoppiati e sovrapposti a più piani, facendo
più serie di colonne con trabeazione, specialmente ad ornamento esterno
di teatri e d'altri edifizî di pubblico spettacolo.

4. =Monumenti funerarî e di pubblica utilità in Roma.= — Monumento
di carattere etrusco in suolo latino oggi ancòra esistente è quello
volgarmente designato col nome di tomba degli Orazî, o, secondo altri,
tomba di Arunte figlio di Porsenna, e che, senza essere di tanta
antichità quanto la leggenda vorrebbe, è tuttavia probabilmente del
tempo della Repubblica. Consiste di un basamento di forma cubica di
belle pietre squadrate di peperino, su cui si elevavano cinque coni,
uno per ciascun angolo ed uno centrale di maggiori proporzioni; due
coni sussistono ancora; gli altri sono diroccati. L'interno è una
camera sepolcrale. Questo monumento nelle sue linee generali ricorda la
descrizione della tomba di Porsenna[104].

Se ora passiamo dalla considerazione dei monumenti sepolcrali a quella
degli edifici di pubblica utilità, osserviamo che, nell'ultimo tempo
della monarchia, Roma già sorgeva a grande città, aveva dominio su
gran parte del Lazio; teneva testa contro gli Etruschi; aveva largo
commercio, stendeva lontane le sue relazioni, come prova il ben noto
trattato con Cartagine[105], che spetterebbe al primo anno della
Repubblica; e ornavasi di grandi costruzioni.

Ma questo suo grandeggiare come centro di forte e prosperosa monarchia
s'interrompe con la rivoluzione, che istituisce la Repubblica, e
che mette Roma in gravi condizioni per ribellione di città soggette
ed assalti di comunità vicine. In questo antichissimo periodo
l'architettura in Roma era etrusca, com'erano etrusche le prime
opere di plastica, almeno secondo le poche notizie conservate nella
tradizione.

Così nei primi tempi come nel corso dell'età repubblicana, il genio
pratico romano volse l'arte ad opere grandiose di pubblica utilità
piuttostochè ad opere belle. Nessuna altra classe d'edifizî quanto
quelli di pubblica utilità porta evidente, indelebile l'impronta di
grandezza e di forza del carattere romano. La miglior parte delle
ricchezze dello Stato non furono impiegate in costruzioni splendide
e care all'orgoglio di un principe, ma bensì usate ad utile del
pubblico, ai bisogni delle città e delle provincie, con grandi strade,
acquedotti, ponti, porti, arsenali, terme. A tali grandi costruzioni si
prestavano gli elementi architettonici italici, l'arco e la vôlta, la
cui invenzione sembra propriamente italica.

5. =L'introduzione dell'arco e della vôlta nell'architettura romana.= —
L'arco fu in uso in Etruria e in Roma nei primissimi tempi, mentre in
Grecia dicesi introdotto nell'uso da Democrito filosofo e matematico
in età relativamente tarda, cioè circa il 420 a. C. L'arco e la
vôlta sono elementi fondamentali dell'architettura romana; per essi
si ottenne lo sviluppo delle grandi proporzioni negate dalle leggi
statiche e per limitazione di materiali alla disposizione orizzontale
degli edifici greci. Con l'arco e con la sua combinazione a formare
la vôlta, specialmente nelle costruzioni di mattoni, ottenevasi
facilmente la solida congiunzione di opposti lati di vasti edificî,
piloni o muri, che in nessuna altra guisa avrebbero potuto esser uniti;
e quindi compivasi la conseguente riunione di parti d'edificio in un
gigantesco complesso. Per questi fondamentali elementi si poterono
coprire, senza bisogno di troppi sostegni mediani, vasti spazî murati,
dove nessuna copertura a sistema piano avrebbe potuto bastare. In
questa guisa gli spazî vuoti poterono acquistare una maggiore ampiezza,
aumentando d'assai il comodo uso degli edifizî; di qui nell'arte romana
uno sviluppo dell'architettura interna, quale la Grecia non aveva
conosciuto. Aggiungi ancora che le serie degli archi, variate con le
linee verticali e orizzontali d'altre membrature architettoniche,
producevano anche un bell'effetto estetico, cosicchè si produssero
nuove forme di edifizî della vita romana, quali i grandi acquedotti, i
monumenti onorarî e trionfali, e le terme.

6. =La derivazione delle acque; acquedotti, terme, fontane.= — Roma
difettava d'acqua potabile; le prime cure dell'ingegno costruttivo
romano si volsero a provvedere la città di copiose e buone acque.
L'arduo problema fu con tal sapienza risolto che Roma divenne ed è
ancora la città più ricca d'acque salubri, divise per le pubbliche e
private fontane, per laghetti, bagni e piscine. Le derivavano da luoghi
lontani per mezzo di grandi condotti sotterranei, oppure acquedotti ad
arco, talvolta anche a più arcate sovrapposte; così le acque venivano
portate sui punti più elevati della città. I canali mettevano capo a
serbatoi (_castella_), dove le acque dividevansi poi per le fontane
pubbliche e per le private. In vicinanza della città le arcate di un
acquedotto erano talvolta usate a sostenere due ed anche tre canali,
provenienti da luoghi diversi, e parte dell'acquedotto prendeva forma
monumentale di arco di trionfo o di porta, come vedesi ancora a Porta
Maggiore; erano opere gigantesche, delle quali gli antichi a ragione
gloriavansi, affermando non esservene altre maggiori al mondo, ed oggi
ancora colle loro rovine sembrano umiliare la civiltà moderna (cfr.
=Atl.= cit., =tav. XXXVIII=).

Il primo acquedotto fu costrutto nell'anno 312 a. C. dal censore Appio
Claudio Cieco, e prese nome di _Aqua Appia_. Seguì nell'anno 272 a. C.
un altro, fatto incominciare dal censore M. Curio Dentato e finito da
Fulvio Flacco, che portava in Roma le acque dell'Aniene prendendole a
Tivoli, e si trova designato col nome di _Anio vetus_, a distinzione
dell'_Anio novus_, che è altra derivazione d'acqua da Tivoli, fatta ai
tempi degli imperatori Caligola e Claudio.

Terzo fu quello dell'_aqua Marcia_, così detta dal nome di Q. Marcio
Re, che nell'anno 146 a. C. fece costruire l'acquedotto; è questa fra
tutte l'acqua più copiosa, più limpida e salubre: _clarissima aquarum_
la dice Plinio, annoverandola fra i doni che gli Dei concessero
a Roma. Altri acquedotti si costruirono di poi fino al numero di
nove, chè tanti ne conta Frontino, ingegnere dell'imperator Nerva,
messo alla sopraintendenza delle acque, e scrittore del trattato _de
aquaeductibus_. Ben osserva Frontino che innanzi ad opere di tanta
mole e di tanta utilità perdono pregio le fastose piramidi egizie, e
le opere più famose della Grecia. Procopio poi novera fin a quattordici
acquedotti.

7. =La sistemazione delle strade e della viabilità.= — I Romani
videro assai per tempo la necessità di numerose e comode strade
per ragione dei commerci, ma più assai per ragion militare. E dalla
città diramarono molte vie, che conducevano a varî punti d'Italia,
e coll'estendersi dell'Impero si prolungarono oltre le Alpi nelle
regioni occidentali e settentrionali d'Europa, vincendo ogni guisa
di difficoltà coll'alzare terrapieni, coll'assodare terreni paludosi,
colmando valli, buttando ponti robusti sui fiumi. Le grandi vie erano
spesso tutte lastricate di massi poligonali di dura pietra, ed erano
tutte segnate per mezzo di pietre miliarie che computavano le distanze.
Sono ora queste pietre miliarie, che rinvenute in gran numero e
controllate con i documenti dati dagli _itineraria_ pervenuti fino a
noi, ci permettono di ricostruire in gran parte le antiche _stationes_
e _mansiones_ dei Romani. Nelle prime di queste v'era fermata e cambio,
se occorreva, di cavalli, per corrieri e per la posta sopratutto, nelle
seconde v'era modo di _manere_, cioè pernottare, facendo riposare i
cavalli.


_B._ — =Parte IIª del Primo periodo.=

I. — L'ARTE IN ROMA SOTTO L'INFLUENZA GRECA.

1. =Osservazioni generali.= — Quanto Roma avesse preso dai Greci
nell'applicazione e nella trasformazione degli ordini architettonici si
è già poco prima veduto. Ma la conquista agevolò e diffuse l'imitazione
dell'arte greca in un periodo ancora relativamente antico.

Roma, incendiata dai Galli nell'anno 390 av. C. fu ricostrutta, ma
senza regolare disegno, in gran fretta, senza ricchezza di edifizî
pubblici e religiosi; i quali non incominciarono a sorgere se non
coll'allargarsi dello Stato, con la conquista delle città d'Italia e
più ancora poi di Sicilia e di Grecia, che Roma arricchivano di pingue
bottino. Nel periodo che precede l'anno 146 a. C. furono inalzati molti
templi, nei quali la fondamentale disposizione etrusca, o nazionale
italica, certamente già era variata coi principî dell'architettura
templare greca. Veramente la influenza greca si faceva sentire non pure
nelle forme architettoniche dell'edifizio consacrato al Nume, ma anche
nella stessa religione romana, variando la semplice religione italica
con la ricca mitologia ellenica; onde probabilmente le modificazioni
delle forme templari furono promosse da un'interna mutazione della
religione stessa, o almeno seguirono compagne a tale mutazione, la
quale è tanta che nel procedere di tempo si confondono miti greci e
romani, e in Roma sono rappresentate tutte le forme dell'architettura
templare greca.

Era però ancora di forma etrusca il tempio che Spurio Cassio dittatore
dell'a. 493 a. C. dedicò a Cerere, Libero e Libera, presso il Circo
Massimo, e che Vitruvio ricorda come esempio dell'ordine toscanico.
Ma nella medesima occasione la greca influenza segnò pur essa un
nuovo passo, perchè ad adornare quell'edifizio di pitture e di opere
plastiche d'argilla furono chiamati dalla Magna Grecia Damofilo e
Gorgaso, artisti di gran fama come pittori e scultori[106].

L'arte in Roma è importata per mezzo della conquista. Di opere greche,
che M. Marcello aveva tolto alla splendida città di Siracusa, da
lui espugnata, fu ornato il tempio della Virtù e dell'Onore, eretto
nell'anno 207 a. C. fra il Celio e l'Aventino, presso Porta Capena,
con disegno di Caio Muzio, che pare il più antico architetto romano,
ma che certo lavorava ormai sui principî dell'arte greca, essendo quel
tempio ricordato da Vitruvio, come esempio di _peripteros_. Marcello
stesso poi, secondo Plutarco, amava l'arte greca e si gloriava d'averla
con le sue vittorie insegnata ai Romani. Nè solo toglievansi statue
per ornare templi e nuovi edifizî in Roma, ma perfino si distruggevano
templi per usarne il materiale. Così fece il censore Q. Fulvio Flacco
nell'anno 173 a. C., che, per erigere un tempio alla Dea Fortuna, fece
diroccare il bellissimo tempio di Giunone Lacinia, sorgente fra Crotone
e Sibari sul promontorio che dalle rovine è detto oggi _Capo delle
Colonne_ (od anche _Capo di Nau_ dal ναός antico)[107]. Di statue di
bronzo rappresentanti le Muse, tolte ad Ambracia nella guerra etolica,
fu ornato il tempio di Ercole con le Muse, fatto erigere da M. Fulvio
Nobiliore; col bottino della Guerra Macedonica Q. Metello nell'anno 149
a. C. eresse due templi, uno a Giove Statore, di forma _peripteros_,
l'altro _prostylos_ a Giunone, con disegno e lavoro d'architetti e
di artisti greci. Autore di questi tempî era Ermodoro (o Ermodio) di
Salamina; lavoratori delle colonne e di altre parti dell'ornamentazione
erano Sauros e Batrachos lacedemoni, i quali, non potendo a quelle
opere apporre il loro nome, lo significarono per un simbolo sculpendovi
una lucerta (σαῦρος) e una rana (βάτραχος). Lo stesso architetto
Ermodoro è ricordato come autore di un tempio di Marte presso il
Circo Flaminio, eretto dopo l'anno 140 a. C. Gli stessi architetti
romani in questo tempo erano tanto formati al gusto greco che uno di
loro, Cossuzio, fu incaricato da Antioco, re di Siria, di compiere il
tempio di Giove Olimpico in Atene, lasciato interrotto fin dall'età di
Pisistrato.

Sono proprî di Roma e corrispondenti al suo carattere militare i
monumenti onorarî e trionfali, che per decreto del popolo e del
senato erano posti a ricordo di un fatto o ad onore d'un cittadino.
Antichissimo e forse primo esempio di colonna onoraria è quella
rostrata eretta nel Foro a ricordo della prima vittoria navale
romana ottenuta a Milazzo contro i Cartaginesi dal Console C. Duilio
nell'anno 260 a. C., e che stette come modello delle molte colonne
rostrate o navali erette nei tempi seguenti. La base della colonna
con la iscrizione, bel documento di latino arcaico, che conservasi
ancora oggidì, non credesi sia l'originale, ma bensì una riproduzione
posteriore[108].

2. =Colonne ed archi onorarî in Roma.= — L'arco trionfale potrebbe ad
alcuno parere monumento di importazione etrusca, essendo di etrusca
origine la pompa trionfale; ma non avendosi memoria od indizio d'arco
trionfale etrusco, meglio è dire questa forma propriamente romana.
La sua origine forse deriva da decorazioni provvisorie del festoso
ricevimento di un generale vincitore, cioè trofei d'armi, ornamenti,
festoni e ghirlande appesi con iscrizioni ad una porta d'ingresso della
città, od anche ad un arco posticcio. Non però sempre gli archi furono
eretti veramente per trionfo, molti furono posti come ricordo di altri
avvenimenti anche non guerreschi; nè d'altra parte gli archi servivano
tutti e sempre veramente alla pompa trionfale, ma il più delle volte
venivano eretti dopo la celebrazione del trionfo, in ricordo di esso.

Quanto più cresceva la potenza, la grandezza e la popolazione di Roma,
tanto più richiedevansi all'arte nuove forme d'edifizî corrispondenti
alle nuove condizioni della vita, più ampie di quelle della vita greca.
Luoghi di riunione per il popolo, per il senato, per i varî collegi
dei magistrati; archivî, sedi per l'amministrazione della giustizia
e per la trattazione degli affari di commercio; luoghi di convegno e
dilettevole ritrovo, costruzioni per gli spettacoli pubblici aprivano
un campo sempre più largo all'attività edificatrice ed artistica dei
Romani.

3. =Le basiliche.= — Una classe speciale di edificî destinati
al commercio, all'amministrazione della giustizia ed a ritrovo
d'uomini d'affari fu quella delle _basiliche_, così dette non tanto
dall'analogia con la βασιλικὴ στοά ateniese, quanto dall'aggettivo
_basilicus_ “sontuoso, reale„. Di tali edifizî nessuno fino all'anno
210 a. C.[109] era stato eretto in Roma; la prima basilica fu fatta
edificare dal censore M. Porcio Catone (184 a. C.), nel Foro presso la
Curia, e la si chiamò _Basilica Porcia_[110].

4. =I teatri e i circhi.= — Gli spettacoli pubblici non erano limitati
alle corse dei cavalli e dei cocchi od alle lotte atletiche, che già
dal tempo dei re erano state introdotte dall'Etruria e celebrate
nei Circhi; e gli spettacoli teatrali non si riducevano a rozze
rappresentazioni teatrali e a danze mimiche, etrusche o italiche, ma in
Roma era sorta una letteratura drammatica d'imitazione greca[111].

E come di derivazione greca è il drama, così greca fu anche la forma
dei teatri (ved. =tav. 48=). La costruzione di un teatro stabile
in Roma data però solo dai tempi di Pompeo; nei tempi anteriori
non si avevano se non temporanee costruzioni destinate a formare
scena alla rappresentazione, mentre la folla degli spettatori
intorno raccoglievasi in piedi. Fu nell'anno 154 a. C. che i censori
Valerio Messala e Cassio fecero erigere un teatro stabile (_theatrum
perpetuum_) con varî ordini di sedili; parve cosa dannosa al severo
costume antico, e i sedili furono tolti e proibiti. Ma più tardi,
dopo la presa di Corinto, introdotti drami greci con greci attori,
s'imitarono le forme del teatro greco, costruendo scene e impalcati
con sedili per gli spettatori; costruzioni posticcie e disfatte dopo la
rappresentazione delle feste (ved. =Atl.= cit. di _Arte romana_, =tav.
XL=-=XLI=).

5. =I monumenti sepolcrali.= — Scarse sono le reliquie di questi
monumenti dell'antico periodo repubblicano; uno dei più insigni dove
si vedono applicati gli elementi greci ma con mescolanze etrusche, è
il _Sepolcro degli Scipioni_, importante così nella storia dell'arte
come in quella della lingua latina per le sue epigrafi arcaiche. Un
monumento sepolcrale della famiglia degli Scipioni, ramo della _gens
Cornelia_, è menzionato in Cicerone, in Livio e in altri autori come
posto sulla via Appia, fuori porta Capena. E là fu trovato nell'anno
1780 un ipogeo sepolcrale, e in esso un sarcofago contenente i resti
di L. Cornelio Scipione Barbato console nell'anno 298 a. C., con
un'iscrizione in versi saturnî che ne ricorda le imprese[112]. Il
sarcofago rettangolare di peperino è ornato nella parte superiore
da un fregio dorico di triglifi con rosette inserite nelle metope, e
sormontato da una cornice a dentelli e con le estremità a volute, come
nell'ordine jonico. Il sarcofago è al Vaticano con altre iscrizioni
e un busto, forse del poeta Ennio, rinvenuto nel medesimo ipogeo[113]
(ved. =Atl=. cit., =tav. XXXIX=).


II. — =PLASTICA=.

1. =Osservazioni generali=. — Presso gli Italici, come pure presso
i Greci, le prime forme d'espressione del concetto divino furono
semplici simboli, come pietre, alberi, armi, creduti avere in sè del
divino[114]. Le prime vere imagini, secondo la tradizione e per effetto
della civiltà più progredita, vennero in Roma dall'Etruria.

I simulacri fittili di Giove, Giunone, Minerva, e la quadriga sul
frontone, e tutta la ornamentazione del tempio Capitolino, fu opera
etrusca. Mancò ai Latini la creatrice potenza fantastica dei Greci,
presso i quali, nella fantasia dei poeti e nella mente popolare il
tipo divino, nelle varie sue attribuzioni, si formò e si porse bello
all'arte figurativa. Se stiamo alle più antiche indicazioni di opere
plastiche menzionate nelle fonti letterarie, troviamo già nell'età più
antica opere di plastica raffiguranti persone e tipi individuali; la
qual cosa sembra conforme allo spirito romano pratico anche nell'arte
figurativa, e dà prova che quelle opere, o almeno l'arte che le
compiva, non erano nate dal processo formativo dell'arte popolare,
ma bensì erano prodotti di una nazione che l'arte già aveva bene
sviluppata, cioè degli Etruschi. Tali opere non si possono ascrivere
ai tempi a cui la tradizione le riferisce, ma da queste la tradizione
fa incominciare l'arte plastica romana. Nessuno penserà di porre fra
le opere dell'arte primitiva di Roma le statue d'Evandro, di Giano,
di Romolo, di Tazio, di Numa, d'Anco Marzio, di Atto Navio, di Giunio
Bruto, di Orazio, di Porsenna, e quella equestre di Clelia, ricordate
da Dionigi, da Livio, da Plinio e da altri scrittori, statue certamente
esistite e dagli scrittori vedute, ma opere di tempi posteriori.

L'arte figurativa per lungo periodo dell'antica età romana fu
esercitata assai scarsamente. Mancò a Roma una religione che fosse come
la greca un ricco centro poetico ed estetico. Le divinità propriamente
italiche espresse nella statuaria sono poche, molte invece quelle
italiche o romane grecizzate, e le divinità veramente greche introdotte
in Roma. E l'insinuarsi del mito greco in Roma diveniva esso pure un
mezzo efficace all'introduzione dell'arte greca. L'arte figurativa
romana si sviluppò a poco a poco coll'ampliarsi della vita politica,
della potenza dello Stato, quando o per nobile orgoglio delle famiglie,
o per riconoscenza del senato e del popolo si ponevano in privato od in
pubblico imagini d'uomini insigni.

Le _imagines maiorum_, che i nobili Romani conservavano negli atrî
delle loro case, con aggiunte, inscrizioni, a forma quasi d'alberi
genealogici, non erano statue, ma volti o maschere di cera, non opera
d'arte ma tale da contribuire allo sviluppo dell'arte. Di statue
poste a uomini insigni in tempi anteriori all'incendio gallico e di
simulacri di divinità consacrati nei templi, e formati all'uso greco,
con il ricavo del bottino di guerra, troviamo ricordi negli scrittori.
Ma del concetto, del carattere artistico degli autori di tali opere
mancano le notizie. Memorie d'una scuola di scoltura non troviamo,
ma invece alcuni nomi latini su monumenti del VI secolo; per primo,
p. es., quello di _Novios Plautios_ inscritto sulla rinomata _Cista
Ficoroni_[115], rinvenuta a Preneste (_Palestrina_) nel secolo passato
e illustrata più volte (ved. la nostra =tav. 34=).

2. =La plastica romana applicata alle ciste istoriate.= — Appartiene
quest'opera a quella classe di monumenti detti _ciste_, il cui numero
oggi si è venuto aumentando, e che, essendo abbondante nelle tombe
di Preneste, diede nome alle ciste Prenestine; se ne noverano ben
settantacinque. Come già s'è accennato, queste ciste sono vasi, o
cofanetti di forma cilindrica, e talvolta anche ovali, fatti di bronzo,
d'argento, o di bronzo con rivestitura d'una lamina d'argento, od
anche infine d'una lamina di legno rivestita di metallo od anche di
cuoio; muniti di coperchio con manico e sostenuti da tre peduncoli;
quasi sempre forniti di catenelle per chiudere il cofanetto e portarlo.
Vi si trovano specchi, strigili, balsamarî, aghi crinali, pettini,
suppellettili di toletta. Il corpo della cista è ornato di disegni,
graffiti nel metallo, come sugli specchi etruschi. Strano è che nel
corpo del cofanetto così istoriato sono infissi di solito quattro o
sei, ma talvolta fino ad otto o dodici anelli da tenere le catenelle,
ma che, così disposti, spezzano e guastano il disegno. Sarebbero
posteriori aggiunzioni?

I disegni di queste _ciste_ hanno in generale un valore artistico
assai ristretto, sono di carattere italico, cui manca il vivo spirito
estetico greco; si ascrivono ad un'età non posteriore alla metà del VI
secolo di Roma.

Per rilevare il posto che occupa la cista Ficoroni nella storia della
plastica bisogna studiare le tre piccole figure con forme tozze e
grossolane di stile italico formanti il manichetto, mentre sul corpo
della cista sono disegni di ottimo stile greco, rappresentanti favole
greche, quale l'approdar degli Argonauti alle spiaggie di Bitinia:
abbiamo nella Cista Ficoroni, pertanto, due indizi di diverso indirizzo
dell'arte in Italia: uno stile greco ed uno stile nazionale; doppio
stile che appare spesso manifesto anche in monumenti dell'arte etrusca
(ved. =tav. 34=).

_Novios Plautios_, greco, od osco di Capua, liberto della gens _Plotia_
avrebbe lavorato in Roma e vi sarebbe divenuto celebre[116].

Altro nome d'artista latino è quello di _Caius Ovius_ della tribù
Ufentina, aggiunto ad un piccolo busto di Medusa in bronzo di alto
rilievo, con l'inscrizione _C. Ovius Oufentina fecit_. La forma
delle lettere accenna ad un alfabeto proprio di città meridionali,
delle quali molte spettavano alla tribù Ufentina, che sembra essersi
costituita nell'anno 317 av. C. Forse l'autore è di questa regione
prossima alla Magna Grecia, e quindi più aperta alla greca influenza,
manifesta in questo lavoro.

Un _Caius Pomponius_ della tribù Quirina è autore d'una statuetta di
bronzo, cui si diede nome di Giove, raffigurante un giovine imberbe col
petto ignudo; e un mantello sul dorso; l'iscrizione dice _C. Pomponi
Quiri(na) opus_, e dai caratteri paleografici si giudica dell'età
intorno alla seconda guerra punica. Non mostra però questa statuetta
tracce d'influenza greca, ma è di stile prettamente italico, o forse
etrusco, se si giudica anche dalla sua provenienza da Orvieto.

Di artisti latini antichi non si hanno altri nomi, se non forse quello
di un _C. Rupius_, nome inscritto sopra una statua di terra cotta,
raffigurante giovane uomo (Ercole?) seduto, coperto d'una pelle di
leone. Lo stile ha molto del carattere etrusco, ma è già libero e
sciolto.

Opera dell'arte latina doveva essere certamente la statua di Giove
imperante, tolta a Preneste e portata a Roma nel tempio Capitolino da
Tito Quinzio dittatore, che vinse i Prenestini nell'anno 380 av. C. A
questa statua era apposta un'iscrizione in verso saturnio[117].

Indizio dell'arte antica latina dànno anche le monete, massime
dopo l'anno 271 av. C., in cui si cominciò a coniare l'argento;
e specialmente le monete dette consolari, o le familiari, segnate
coi nomi e coi tipi dei _tresviri monetales_, con l'effigie di Roma
galeata, dei Dioscuri, ovvero con altri tipi. L'arte di questi conî è
ancora rozza; l'impronta stanca; le figure tozze, il profilo di Roma
non bello; ma i tipi a poco a poco vanno migliorando in progresso di
tempo.


III. — =PITTURA=

La pittura in Roma sembra aver ricevuto, secondo le più antiche
memorie, fin dalle origini impulso e norma dall'arte greca, in sèguito
ai lavori di Damofilo e Gorgaso. Dopo questi stranieri troviamo
menzionato un primo artista romano, Fabio, detto Pittore appunto
dall'arte esercitata. Dipinse il tempio della Salute, edificato
nell'anno 304 av. C., le cui pitture, ricordate da Plinio e da
Dionigi, durarono fino ai tempi dell'imperatore Claudio. Dei soggetti
rappresentati e della tecnica artistica nulla sappiamo; dal passo di
Dionigi appare che le sue pitture fossero murali.

Pittore fu anche M. Pacuvio di _Rudiae_ (Rutigliano), più conosciuto
come poeta tragico, nipote di Ennio. Esercitò l'arte dipingendo il
tempio di Ercole nel Foro Boario. Pacuvio è della Magna Grecia, e
forse seguì nella pittura l'arte greca come nella poesia. Dopo di
lui, dice Plinio, l'arte più non fu in Roma esercitata dalle mani
di ingenuo cittadino, e ciò viene a valida riprova che l'arte, e la
pittura specialmente, non trovavano nella cittadinanza romana un vero e
spontaneo favore, restandone l'esercizio abbandonato a forestieri od a
liberti.

La pittura in Roma ricevette impulso quando fu usata a rappresentare
e a commemorare con imagini le grandi imprese di guerra, e ad
ornare i trionfi dei capitani vincitori. Il più antico esempio di
decorazioni pittoresche usate nei trionfi fu dell'anno 263 av. C.,
quando M. Valerio Massimo Messala fece esporre nella Curia Ostilia
una rappresentazione della battaglia da lui vinta in Sicilia contro
i Cartaginesi e contro Gerone di Siracusa. Seguì quest'esempio
Lucio Scipione, che nell'anno 190 av. C. consacrò in Campidoglio una
rappresentazione della sua vittoria sopra Antioco di Siria presso
Magnesia; e nell'anno 146 av. C. L. Ostilio Mancino, che primo era
entrato in Cartagine assalita e conquistata da Scipione, fece esporre
nel Foro una rappresentazione a modo di piano topografico della città
e delle opere d'assedio, dove il popolo poteva vedere ogni singolarità
e del luogo e dell'impresa; e tanto fu il favore popolare per tale
esposizione che Mancino ottenne per essa i voti al consolato[118].

Tali modi di rappresentazione ebbero una notevole efficacia, perchè
da essi si svolse la rappresentazione plastica in bassorilievo di
grandi ed estesi avvenimenti, quale appunto fu usata a decorazione di
archi trionfali e d'altri monumenti onorarî. Per queste decorazioni
trionfali, alle quali servivano abbondantemente oggetti rapiti alle
vinte nazioni, si condussero in Roma anche artisti greci. Così fece
Paolo Emilio, che nell'anno 168 av. C. da Atene condusse Metrodoro in
Roma ad _excolendum triumphum_; ma Metrodoro non solo era pittore,
ma anche filosofo insigne, e dagli Ateniesi proposto a Paolo Emilio
come precettore dei figli di lui; onde in lui abbiamo un nuovo esempio
della molteplice coltura degli artisti greci, e della diffusione
dell'ellenismo in Roma.


=SECONDO PERIODO=


Osservazioni generali.

=Le opere greche importate in Roma.= — L'arte concentrata in Roma in
questo periodo dà alla grande città tanti monumenti e tale artistica
energia da bastare per tutti i secoli avvenire. Ma non è un'arte
importata per conquista, per forza politica, essendone tolti dalle
proprie sedi i più antichi e più splendidi prodotti; è il focolare
dell'attività artistica trasportato a Roma. I conquistatori romani
nei loro trionfi portano in Roma gli oggetti d'arte più preziosi delle
città conquistate, come, con uno stesso sentimento ma in proporzioni
incomparabilmente minori, fecero i Francesi invasori d'Italia sul
finire del secolo passato. Prime ad essere spogliate furono le città di
Magna Grecia e di Sicilia, poi quelle della Grecia e dell'Asia.

Nell'anno 212 av. C. M. Marcello conquistava Siracusa, ne traeva molte
opere d'arte per decorare il tempio dell'Onore e della Virtù, fatto
erigere presso Porta Capena. Nell'anno 210 av. C., Fabio Massimo,
occupata Taranto, ne fece togliere per trasportarlo in Roma l'Ercole
colossale, opera di Lisippo.

Nell'anno 197 av. C., T. Quinzio Flaminino, vincitore di Filippo di
Macedonia, tolse grande quantità di statue di bronzo e di marmo, e vasi
preziosi di finissimo lavoro alle città macedoniche e greche[119].

M. Fulvio Nobiliore, vincitore e trionfatore degli Etoli e dei
Cefallenî nell'anno 589 av. C., portò in Roma ducento ottantacinque
statue di bronzo e ducento trenta di marmo[120].

Nell'anno 168 av. C. il trionfatore di Perseo, Paolo Emilio, che seco
conduceva dalla Grecia Metrodoro, portò in Roma ducento cinquanta
carri di statue e di quadri; fra queste opere d'arte era una Athena
di bronzo, lavoro di Fidia, posta poi nel tempio della Fortuna.
Tante spogliazioni non esaurivano la Grecia; in Macedonia trovò
molto da raccogliere ancora Metello Macedonico vincitore di Andrisco
Pseudo-Filippo nell'anno 148 a. C.; nel bottino fu compreso il grande
gruppo di Lisippo rappresentante Alessandro fra suoi generali alla
battaglia del Granico.

Quasi potrebbe dirsi che queste spogliazioni fossero come primi
assaggi in confronto alla quantità di opere onde si ornarono i trionfi
seguenti, dopochè L. Mummio ebbe conquistata Corinto nell'anno 146
av. C. E innanzi a tali e tanti prodotti di una civiltà artistica
così splendida, quale era la condizione di coltura e di sentimento
dei conquistatori? Basta a dimostrarlo l'aneddoto riferito da Vellejo
Patercolo (I. 13): L. Mummio console era tanto rozzo ed imperito che
ai soldati trasportanti quadri e statue dei più insigni maestri greci,
minacciava che, se mai avessero guaste o perdute quelle opere, le
avrebbero dovute restituire. E a questo aggiungi ancora che Vellejo,
scrittore dei tempi di Tiberio imperatore, ciò dicendo, pone quel
dubbio, tutto proprio della mente romana, se cioè per Corinto meglio
non fosse stato rimanersene rozza ed indotta, anzichè toccare il sommo
nella coltura di arti corruttrici.

Nuovi e splendidissimi trionfi celebrarono poi Silla dopo
l'espugnazione di Atene nella prima guerra contro Mitridate, l'anno 86
av. C.; e Lucullo nell'anno 68 av. C., vincitore della seconda guerra
contro quel re; e Pompeo Magno, che in una terza guerra lo abbattè,
ridusse in soggezione tutta l'Asia anteriore, e celebrò un meraviglioso
trionfo nell'anno 61 av. C. E insieme con le antiche opere d'arte
affluivano in Roma gli artisti delle nuove scuole greche di Rodi, di
Pèrgamo, e d'altre città d'Asia, o come schiavi, o attràttivi dalle
molte e grandi occasioni di lavoro e d'onore che là si offrivano. Le
sculture, i quadri, i vasi e le relazioni con gli artisti destavano
in Roma se non un intimo e sincero amore, certo una grande ammirazione
per l'arte greca, che fu assunta come mezzo a render splendide le pompe
trionfali, le feste, gli spettacoli, con cui ricchi e nobili cittadini
cercavano guadagnarsi il favor popolare; o come mezzo per abbellire
le private dimore e per soddisfare al gusto ed al fasto delle classi
elette e colte della cittadinanza, cioè di coloro che designavano se
stessi come _intelligentes_, e che, ellenizzando, distinguevansi da
quelli che, fedeli al carattere nazionale romano, erano qualificati
come _idiotae_.


=A. — Architettura.=

I. — LE PRINCIPALI CLASSI DI MONUMENTI.

Roma, divenuta dominatrice del mondo, s'abbelliva di nuovi e sempre
più splendidi edifizî; tra il finire della Repubblica e il sorgere
dell'Impero, l'architettura diffondevasi anche in altre città lontane,
che, venute nel dominio romano, sorgevano a civiltà, nella Spagna,
nelle Gallie; e con certo movimento di riflusso ripassava ad abbellire
di nuove opere anche quelle città da dove l'arte era venuta in Roma,
cioè le città di Grecia e d'Asia minore. Sul finire della Repubblica,
Roma già aveva ogni genere di edificî pubblici e privati: templi,
curie, basiliche, grandi e sontuosi edifizî e porticati recingenti
piazze e fori, splendidi edifizî per gli spettacoli, magnifiche case
private, e ville, e tombe grandiose. Non è qui possibile non pur di
descrivere, ma nemmeno di noverare quanti e quanto sontuosi edifizî
sorgessero in Roma dalla presa di Corinto al finir della Repubblica, di
molti dei quali restano notizie negli scrittori ma scarseggiano, o più
veramente in tutto mancano, le rovine, avendo le costruzioni dell'età
repubblicana ceduto a quelle sopra edificatevi dell'età imperiale.
Della magnificenza e dell'arditezza romana nelle costruzioni dànno
saggio alcune notizie riferentisi ad edifizî teatrali d'un tempo,
quando ancora si edificavano non stabili, ma solo per uso temporaneo e
breve.

1. =I teatri e gli anfiteatri in Roma.= — Emilio Scauro aveva fatto
erigere nell'anno 58 av. C. un teatro capace, dicesi, di ottanta mila
spettatori. La scena era ornata di trecentosessanta colonne di marmo,
e distinguevasi in tre piani con rivestiture di marmi, di mosaici,
e di metalli; fra le colonne erano a più centinaja le statue. Tanta
magnificenza e ricchezza per un edifizio di breve destinazione pare
appena credibile. Plinio[121] narra cosa di non minore meraviglia
parlando del teatro di C. Curione, eretto nell'anno 50 av. C., cioè
quando già si aveva uno stabile teatro di pietra, edificato da Pompeo
Magno[122]. C. Curione, celebrando i funerali del padre suo, fece
costruire due grandissimi teatri di legno, l'uno accanto all'altro,
e così fatti che ciascuno era sospeso e mantenuto in bilico mediante
perni mobili. Alla mattina davansi in quei due teatri rappresentazioni
sceniche. Poi improvvisamente eran fatti girare, così che l'uno venisse
a trovarsi rimpetto all'altro, e, tolti i tramezzi e le tavole onde
componevansi le pareti delle due scene e fatte combaciare le estremità
delle file di sedili, risultava un doppio teatro, o anfiteatro, dove
davansi spettacoli gladiatorî. Di qui appunto credono venisse l'idea
dell'_amphiteatrum_, edifizio proprio dei Romani, come loro proprî
furono i combattimenti di gladiatori e di belve.

Il primo teatro stabile fu eretto da Pompeo Magno, e inaugurato nel
secondo suo consolato, (55 av. C.), non senza contrasto e biasimo
di coloro che giudicavano questa opera contraria al costume patrio;
cosicchè egli credette prudente di proteggerlo dandogli un carattere
religioso con l'edificare nella parte superiore del teatro un tempio
sacro a Venere vincitrice. Fu eretto in Campo Marzio, ed era capace di
quaranta mila spettatori. Al teatro, oltre il tempio di Venere, andava
connessa la Curia di Pompeo, dove il senato alcuna volta raccoglievasi,
e dove Cesare fu ucciso. Formavasi così un vasto complesso di edifizî
in uso della religione, della vita politica, degli spettacoli. Il
disegno di questo teatro e di parte degli edifizî con cui era connesso
vedesi nell'antica pianta di Roma dei marmi capitolini.

Da questa, ed ancora dalle descrizioni e da altri indizî, è provato
che, come il dramma romano è d'origine e di forme greche, così
il teatro romano altro non è se non la riproduzione, nelle linee
generali, del teatro greco (ved. =Atl.= cit., =tav. XL=, N. 1)[123].
Principale differenza fra l'uno e l'altro stava in ciò che nel teatro
romano erano più grandi e più robuste le costruzioni architettoniche,
invece il teatro greco solitamente veniva costrutto a piè d'un pendio
naturale del terreno con opportuna elevazione del luogo riserbato
agli spettatori; mentre nel teatro di Pompeo, e in generale nei
teatri romani, ordinariamente eretti dentro la città sopra terreno
piano, era necessario un corpo d'edifizio o di substruzione, che
sostenesse le gradinate decrescenti (ved. =tav. 48=), e il porticato
che coronava il sommo dell'edifizio, come vedesi nel teatro di Marcello
e nell'anfiteatro Flavio; perciò all'esterno il teatro presentava un
edifizio di maggiore grandiosità, riccamente ornato, dove i tre ordini
architettonici greci si sovrapponevano in piani diversi; al piano
terreno il dorico, al primo piano l'ionico, al secondo il corinzio, e,
se ve n'era un terzo, il composito (ved. =Atl.= cit., =tav. XLVII=).

   [Illustrazione: =Il Teatro minore di Pompei= (veduta interna).

   =Tavola 48.=

   Ved. =A. Melani=, _Architettura_, Milano, Hoepli, III ediz.,
   tav. XIII.]

Il teatro romano si divide in due parti principali, la _cavea_
e la _scena_. La _cavea_ (greco κοινόν) era luogo riserbato agli
spettatori, con sedili disposti in file semicircolari concentriche,
suddivise orizzontalmente in ordini (_moeniana_ e _praecinctiones_),
e verticalmente in iscompartimenti per mezzo di scale segnanti
come raggi dalla periferia al centro (_cunei_ e _scalae_). Dalle
porte esterne per iscale e corridoi si giungeva agli sbocchi nella
_cavea_ (_vomitoria_). Di fronte alle gradinate era la _scena_
(greco σκηνή). Fra la scena e le gradinate era lo spazio piano
semicircolare detto _orchestra_ (gr. ὀρχήστρα), dove nel teatro
greco sorgeva l'altare di Bacco, e intorno disponevasi il coro, che
era parte tanto importante della rappresentazione drammatica; invece
nel teatro romano l'orchestra, divisa dalla _cavea_ con un _podium_,
conteneva i sedili per i magistrati, pei senatori e pei cavalieri.
La _scena_ chiudeva rettamente, come un diametro, tutto l'insieme
della cavea e dell'orchestra, a cui essa si aggiungeva in forma
d'edifizio quadrilatero. Essa era stabile, con tre grandi entrate, che
dall'interno della scena (_postscenium_) mettevano sulla fronte, ossia
sul davanti di essa (_proscenium_). Del teatro di Pompeo non rimangono
rovine; esso sorgeva dove oggi è _Campo di Fiori_; in un vicino palazzo
si sono trovate traccie delle substruzioni del teatro, ed una colossale
statua di bronzo, raffigurante Ercole, oggi conservata nel Museo
Vaticano.

2. =I circhi e gli anfiteatri. I ludi gladiatorî.= — Ma oltre gli
spettacoli delle corse nel circo, e dei ludi scenici nel teatro, ebbero
i Romani altro modo di sollazzo a loro prediletto, e che invece repugnò
alla più umana e mite indole dei Greci; gli spettacoli gladiatorî,
in cui i Quiriti si piacevano di vedere umano sangue e di gustare gli
aneliti dei moribondi. Tale fierezza d'animo è per sè stessa una prova
dell'indole romana, aliena dai puri godimenti dell'arte, che richiedono
e producono gentilezza di costumi. Gli spettacoli gladiatorî, venuti in
Roma dall'Etruria, si celebrarono nel Foro fino agli ultimi tempi della
Repubblica, assistendovi il popolo da palchi o dalle loggie. Amavano,
oltre i ludi gladiatorî anche le caccie delle fiere in recinto chiuso
(_venationes_), le quali tenevansi nel circo (ved. =tav. 49=). Ma col
crescere del gusto e della frequenza di tali spettacoli fu necessario
uno special modo di edifizî anche per essi. E a ciò parve opportuna
quella disposizione che prima credesi esser risultata dalla riunione
dei due teatri di C. Curione, da cui sorse l'idea dell'anfiteatro. Con
questo nome si designò una costruzione temporanea di legno eretta da
Giulio Cesare; mentre il primo anfiteatro stabile fu edificato ai tempi
d'Augusto, nell'anno 29 av. C., da Statilio Tauro[124].

II. I MONUMENTI DEGLI IMPERATORI DELLA “GENS IULIA„.

Augusto volse ogni sua cura ad abbellire Roma di nuovi e splendidi
edifizî, e a questo fine diresse pure l'opera dei suoi ministri ed
amici, volendo fare di Roma la vera e degna capitale del mondo. D'altra
parte Roma riposava dalle lunghe guerre interne ed esterne, e, in una
certa condizione di pace e di splendore si volgeva al culto delle arti.

   [Illustrazione: =Il Circo Massimo a Roma.=

   =Tavola 49.=

   Ricostruzione secondo =A. Canina=, _Architett. rom._ tav.
   136. (Cfr. =Guhl-Koner-Giussani=, op. cit., II, pag. 207;
   =Schneider=, op. cit., XVI, 15).]

   [Illustrazione: =La “Aedes Concordiae Augustae„ a Roma.=

   Ricostruzione in base ai ruderi di quella di Tiberio e di
   Druso dell'anno 10 d. C.

   =Tavola 50.=

   Ved. =A. Schneider=, _Das alte Rom_, tav. VIII, 9. (Cfr.
   =Canina=, _Edifizi_, IV, tav. 35).]

1. =Il Foro d'Augusto.= — Quest'imperatore restaurò la città prima di
lui per incendî ed inondazioni danneggiata, e la abbellì nuovamente. Le
molte sue cure, spese sempre a vantaggio della città, sono ricordate
nel testamento di lui[125]. È noto il suo detto che, trovata Roma di
mattoni, la lasciava di marmo[126]. Fece erigere Augusto un tempio a
Marte Ultore presso il Foro romano (ved. =tav. 52=), chiudendolo in un
grande peribolo di colonnati e di muraglie, di cui rimangono imponenti
ruine, e decorandolo con molte statue de' più insigni capitani romani.
Fu questo il Foro d'Augusto, a lato del quale sursero poi altri Fori
imperiali ancora più sontuosi (ved. =tav. 53=).

Per opera d'Augusto furono eretti in Roma ben sedici templi, senza
dire dei molti che furono restorati; splendido era quello d'Apollo sul
Palatino, recinto da sontuoso porticato, con molte colonne di preziosi
marmi africani e bellissime statue greche; il porticato comprendeva la
biblioteca greca e quella latina.

In Campo Marzio Augusto fece edificare il Portico dedicato ad Ottavia,
sua sorella; ed il teatro (detto di Marcello dal compianto nipote), del
quale rimangono ancora ruderi bellissimi (ved. =Atl.= cit., =tav. XL=
n. 2 e =tav. XLI=).

   [Illustrazione: =I “Rostra„ d'Augusto sul Foro Romano.=
   (Ricostruzione).

   =Tavola 51.=

   Ved. =A. Schneider=, _Das alte Rom_, tav. VII, n. 4. (Cfr. =Richter=
   in _Jahrbuch_, 1889 (IV), pag. 8).]

   [Illustrazione: =Il Foro di Augusto a Roma.= (Tempio di _Mars
   Ultor_).

   =Tavola 52.=

   Ved. =Strack=, _Baudenkmäler des alten Rom_, tav. 8.]

   [Illustrazione: =Il Foro d'Augusto a Roma.= (Ricostruzione).

   =Tavola 53.=

   Ved. =Schneider=, _Das alte Rom_, VII, 11, dietro schizzi
   dello =Hülsen= e del =Rauscher=.]

Il Campo Marzio, vasta estensione di terreno che dalle pendici del
Capitolino e del Quirinale si allargava fra il _collis hortorum_
(Pincio) e il Tevere[127], destinato alle assemblee del popolo ordinato
nelle centurie, agli esercizî ginnastici ed equestri della gioventù,
era rimasto in gran parte libero fino ai tempi di Pompeo, che vi fece
costruire il suo teatro, e di Giulio Cesare che vi edificò i _Septa_
per le riunioni dell'assemblea del popolo. Sul finire della Repubblica,
e principalmente ai tempi d'Augusto, sursero colà molti edifizî, che
resero assai bella, nell'età imperiale, quella parte della città sulla
quale si formò la Roma moderna. Ivi Cornelio Balbo edificò un teatro,
che portò il suo nome, e Statilio Tauro, come s'è detto, il primo
stabile anfiteatro che avesse Roma; ivi sorse quello che è il massimo
monumento della romanità, cioè il tempio che M. Vispanio Agrippa,
genero d'Augusto, eresse consacrandolo alle divinità della stirpe
Iulia, Marte, Venere e al divo Giulio, e fu detto il _Pantheon_ (ved.
=Atl.= cit., =tav. XLII= (pianta) e tav. =XLIII= (sezione)). Unito con
le terme d'Agrippa, formava con esse un gigantesco corpo d'edifizio in
Campo Marzio non lungi dalla curia e dal teatro di Pompeo.

2. =Il Pantheon=[128]. — È questo il più bello e il meglio
conservato dei monumenti romani; è la più grande e più completa
opera d'architettura che può considerarsi come propriamente romana,
appartenendo alla classe dei templi rotondi coperti di cupola, con
atrio a forma del pronao di un prostilo, che è forma speciale dell'arte
romana progredita.

_a. Struttura del tempio._ — Consta il Pantheon di due parti: la
rotonda e l'atrio. La rotonda è formata di un grande e solidissimo
muro circolare. Questo grande cilindro, o tamburo murale, è distinto
in tre zone mediante tre cornicioni, sull'ultimo dei quali s'alza
una serie di gradoni da cui spicca poi l'ardita cupola; nel mezzo di
questa s'apre il gran lucernario dal quale piove abbondante la luce.
Sul davanti dell'edifizio circolare sporge l'atrio, come una grande
aggiunta, formato di un massiccio sporto murale, da cui s'avanzano
quattro colonnati di tre colonne in profondità, che dividono l'atrio in
tre grandi navate, e presentano una fronte di otto colonne di ordine
corinzio-romano. La mediana delle tre navate è la maggiore e guida
alla porta d'ingresso; le due laterali minori finiscono a due grandi
nicchioni, dove erano poste le statue di Augusto e di Agrippa. L'atrio
è sormontato da due frontoni, uno poggiante sullo sporto murale per cui
l'atrio si connette al corpo rotondo; l'altro è posato sull'architrave,
ed è veramente il frontone di prospetto, il cui timpano era ornato di
bassirilievi. Sulla trabeazione c'è l'inscrizione _M. Agrippa L. F.
cos, tertium fecit_, a grandi lettere, mentre un'altra iscrizione sotto
questa, in lettere minori, ricorda la restorazione di quell'edifizio
fatta da Settimio Severo e da Caracalla. Nell'interno il muro circolare
non è liscio, ma, variato da otto grandi aperture, s'alterna la
forma quadrata con la rotonda, cioè con nicchie o cappelle; di queste
aperture una è l'ingresso. Ciascuna nicchia, o cappella è fiancheggiata
da pilastri di stile corinzio, e nell'apertura di esse sorgono due
colonne dello stesso ordine, eccetto nell'apertura d'ingresso e
nell'altra di fronte a questo, quella della tribuna. Nell'intervallo
da una nicchia all'altra sono applicate alle pareti delle edicole. Al
disopra delle colonne è un cornicione, sul quale elevasi un attico,
variato e ornato con incrostazioni di marmi preziosi. E infine da un
altro cornicione incoronante l'attico si dispicca la grande vôlta della
cupola, che misura 43 m. di diametro, ed è distinta in cinque zone
concentriche di ventotto cassettoni ciascuna, che vanno decrescendo
con mirabile effetto fin dove si apre il lucernario che illumina
il tempio (ved. =Atl.= cit., =tav. XLIV=). L'esterno era riccamente
rivestito di marmi e di stucchi; l'interno di preziosi marmi colorati;
il tetto dell'atrio era sostenuto da travi di bronzo; di bronzo è la
porta antica ancora conservata; di bronzo è il cerchione che fascia
l'occhio del lucernario misurante quasi nove metri di diametro; credesi
che di lastre di bronzo fosse coperta l'intera cupola. Forse a questa
grande e ricca opera di Agrippa pensava Virgilio, quando del tempio che
costruiva Didone diceva

          . . . . . . nexaeque
    Aere trabes, foribus cardo stridebat ahenis[129].

Secondo l'iscrizione sulla fronte, il tempio data dal consolato
d'Agrippa, nell'anno 27 av. C., secondo Dione[130] dal 25 av. C.:
si intende che nel 27 fosse finito e nel 25 solennemente dedicato.
Architetto, secondo Plinio, ne fu un Valerio Ostiense[131]. La
ricchissima ornamentazione era opera di Diogene ateniese, il quale
aveva scolpito figure di Cariatidi, che ornavano l'interno; forse
erano disposte a sostenere le edicole erette fra gli intervalli
dei nicchioni, alle quali furono poi sostituite in tempi posteriori
colonnette di porfido e di giallo. Di queste Cariatidi si crede di
riconoscere ancora alcune fra quelle conservate nel Museo del Vaticano
e nel palazzo Giustiniani; presentano una grande somiglianza con le
Cariatidi dell'Eretteo sull'Acropoli d'Atene[132]. Non pare che l'atrio
o pronao entrasse nel primo concetto di questo edifizio, ma forse fu
una modificazione del disegno. Secondo Dione, Agrippa voleva porre
nell'interno la statua d'Augusto e denominare il tempio da lui; ma
Augusto non volle, perciò nell'interno fu posta la statua di Cesare,
e quella d'Augusto con l'altra del fondatore del tempio fu posta
all'esterno nei nicchioni del pronao. Davanti al tempio stendevasi
una piazza cinta da porticato; il tempio andava connesso con le terme;
annessi a così grande complesso di fabbriche erano giardini, stagni, un
euripo.

_b. Storia delle vicende del tempio._ — Dagli antichi ammirato come
una delle più grandi costruzioni, il tempio d'Agrippa ha resistito
all'opera distruttrice del tempo e degli uomini. Soffrì danni nel
grande incendio del tempo dell'imperatore Tito; Domiziano lo restorò;
percosso dal fulmine, regnante Trajano, ne riparò i danni Adriano.
Nuove ristorazioni vi fecero Settimio Severo e Caracalla, come dice
l'inscrizione soggiunta a quella d'Agrippa. Nell'anno 399 per la
legge d'Onorio contro i templi pagani forse fu chiuso. Bonifazio
IV nell'anno 609 lo consacrò al culto cristiano, intitolandolo a S.
Maria _ad martyres_, perchè vi fu portata quantità d'ossa di martiri
o credute tali, tolte dalle catacombe. Incominciarono poi le opere
di spogliazione: Costante II, imperatore d'Oriente, nell'anno 663
saccheggiò Roma e fece togliere la copertura di bronzo dal Pantheon,
che più tardi e a più riprese fu coperto di piombo. Urbano VIII
Barberini nell'anno 1632 fece levare le travature di bronzo del
pronao; quel metallo servì a formar le colonne coclidi dell'altare di
S. Pietro, e ottanta pezzi d'artiglieria con cui fu guernito Castel
S. Angelo[133]. Altri pontefici però cercarono di riparare ai guasti.
Raffaello Sanzio ordinò nel testamento che a sue spese si ristorasse e
s'abbellisse uno degli altari, scegliendolo come sua sepoltura, dove
fu deposto il 6 di aprile dell'anno 1520. Col re dell'arte moderna
riposano ivi Annibale Caracci, Pierin del Vaga, Giovanni d'Udine,
ed altri artisti insigni. Ora il Pantheon è divenuto degna tomba
del primo Re d'Italia una, Vittorio Emanuele, sepoltovi nel gennaio
dell'anno 1878. Così la grande opera d'Agrippa traversa i secoli come
monumento che la romana grandezza trasmette con lieto auspicio alla
rinata Italia. Intorno al grande edifizio s'erano venute accalcando
case, casette e botteguccie, togliendogli lo spazio in cui bellamente
campeggiare. Si fecero più volte disegni e tentativi di allargamento;
ma non ebbero esecuzione compita se non fra gli anni 1881 e 1883 per
impulso del ministro Baccelli[134]. Fu isolato il monumento, trovate
reliquie della sua ornamentazione, rimesse in luce le rovine delle
terme d'Agrippa, e infine abbattuti gli orecchioni del Bernini.

   [Illustrazione: =Il Mausoleo di Augusto a Roma.=
   (Ricostruzione).

   =Tavola 54.=

   Ved. =Schneider=, _Das alte Rom_, tav. VIII, n. 14.]

3. =Il Mausoleo D'Augusto.= — Degli edifizî sepolcrali del tempo
d'Augusto, rimase famosa la sua tomba, o mausoleo, così detto per la
grandezza e magnificenza sua, degna di quella della tomba eretta a
Mausolo, re di Caria[135]. Sorgeva nell'ultima parte del Campo Marzio,
tra la via Flaminia e il Tevere. Sopra una grandiosa substruzione
quadrata posava un edificio rotondo, tutto di marmo che comprendeva
le camere sepolcrali; e sopra questo un tumulo a cono, distinto a
viali e terrazzi, con piantagioni di cipressi. In vetta al tumulo
grandeggiava la statua di bronzo d'Augusto (ved. =tav. 54=). Il muro
esterno circolare del corpo d'edifizio era variato da grandi nicchie.
Sulla parte anteriore sporgeva, come nel Pantheon, un pronao exastilo
con ampia gradinata. All'uno e all'altro fianco del pronao erano due
obelischi egizî, che qui furono trovati nel sec. XVI e trasportati uno
sulla piazza di S. Maria Maggiore, l'altro sul Quirinale, fra i due
colossi di Montecavallo[136].

Dietro al Mausoleo stendevasi, un gran parco, nel cui mezzo
l'_ustrinum_ per la combustione dei cadaveri. In questa tomba sontuosa
prima di Augusto furono deposte le ceneri di Marcello, Agrippa, Ottavia
e Druso; e dopo Augusto vi riposarono Livia, Germanico e Agrippina
seniore. Oggi rimangono rovine dei muri, e fanno parte dell'anfiteatro
Corea[137].

4. =L'Obelisco di Monte Citorio e altri monumenti di stile egizio.=
— Non lungi dal Mausoleo, Augusto fece collocare un grande obelisco
di granito rosso, trasportato da Eliopoli a Roma, e destinato a nuovo
uso di orologio solare (_solarium_), essendo sul terreno lastricato di
travertino tracciata una meridiana. Spezzato e sepolto fra le immense
ruine di Roma, fu raccolto e ricomposto, e sotto Pio VI nel 1792
collocato presso Monte Citorio. Di obelischi tolti all'Egitto abbondava
Roma, dove le varie forme dell'architettura greca e dell'orientale
erano rappresentate o da opere trasportatevi, o da nuovi monumenti
eretti, e specialmente da templi costrutti per divinità orientali,
poichè Roma accoglieva in sè liberamente ogni religione.

Molti obelischi ancora sorgono in Roma, dei quali il maggiore è quello
di S. Giovanni in Laterano trasportato da Tebe, dove era stato eretto
regnando il Faraone Toutmes IV. Un nuovo obelisco fu scoperto fra
le ruine di un Iseo, o tempio d'Iside nell'anno 1883; è di mediocri
proporzioni, ma assai ben conservato e ricorda il regno di Ramesse II,
del XIV sec. av. C.[138].

   [Illustrazione: =La Piramide di C. Cestio a Roma fuori Porta
   S. Paolo= (Porta Ostiensis).

   =Tavola 55.=

   Ved. =Schneider=, _Das alte Rom_, tav. IV, n. 15.]

   [Illustrazione: =L'Isola Tiberina a Roma.=

   =Tavola 56.=

   Sostruzioni in marmo a forma di nave nell'Isola nel Tevere.
   _Ved. Annali dell'Instit._ 1867, tav. d'Agg. K. 1.]

Esempio di monumento di stile egizio, applicato a un monumento
sepolcrale, è la piramide che sorge fuori di Porta S. Paolo (_Porta
Ostiensis_) eretta dagli eredi di C. Cestio, magistrato romano. La
piramide di mattoni rivestita di marmo misura ben 37 metri d'altezza;
nel suo interno è la camera sepolcrale ornata con fregi di stucco,
e con pitture, di cui appena restano traccie. La parte esteriore del
monumento era una volta ornata di colonne e di statue, di cui intorno
si trovarono frammenti (ved. =tav. 55=)[139].

5. =I monumenti sepolcrali; i “Columbaria„.= — Di carattere prettamente
romano sono invece gran parte dei monumenti sepolcrali che sorgevano
fuori le porte di Roma, sulla _Via Appia_, che è come la _Via dei
Sepolcri_ a Pompei. La Via Appia da Porta Capena s'allontanava per un
gran tratto tutta fiancheggiata di grandi sepolcri, tra i quali celebre
quello ancora esistente a Cecilia Metella, figlia di Metello Cretico e
moglie di Crasso (ved. =Atl.= cit., =tav. XLV=, 1).

Una particolare forma di monumento sepolcrale è il _Columbarium_ dei
liberti di Livia, moglie d'Augusto, sulla stessa Via Appia. Consta
di parecchie camere, nelle cui pareti s'addentrano grandi nicchioni,
e dentro questi sono praticate e ordinate in sette file sovrapposte
moltissime piccole nicchie o fori, che dànno appunto l'aspetto d'una
colombaia, come si vede in Roma anche in varî monumenti sepolcrali
cristiani; dentro queste nicchiette sono deposte le piccole urne
cinerarie (_ollae_); sopra ciascuna nicchietta è una targhetta col nome
del defunto. In terra eranvi anche dei sarcofaghi grandi e ben ornati
(ved. =Atl.= cit., =tav. XLV=, 2).

6. =Gli archi trionfali.= — Di monumenti trionfali dell'età d'Augusto
credesi aver testimonianza nell'arco che sorge presso Porta S.
Sebastiano e che denominasi da Druso, supponendosi sia l'arco trionfale
eretto a Claudio Druso Germanico, figliastro d'Augusto e fratello
di Tiberio, nell'anno 8 av. C., per le vittorie riportate contro
i Germani. L'arco è di travertino rivestito di marmo, decorato di
colonne; sull'attico erano trofei ed una statua equestre, come appare
dal disegno di una moneta di Claudio imperatore[140]. Al di sopra
di quest'arco venne poi fatto passare il canale dell'acquedotto che
alimentava le vicine terme di Caracalla. È questo il più antico fra gli
archi trionfali ancor esistenti[141].

Non solo Roma, ma anche le città d'Italia s'abbellirono di grandi
e sontuosi edificî; poichè le provincie, sempre più strettamente
legate con Roma, erano sotto l'Impero assai più civilmente governate
che non sotto l'aristocrazia repubblicana, e quindi prosperarono
nelle civili istituzioni. Con lo stabilirsi dell'Impero nella pace
del mondo, incomincia un'età nuova, nasce un nuovo e miglior ordine
di cose: _magnus ab integro saeclorum nascitur ordo_, come cantava
Virgilio[142]. Il mondo riceve da Roma pace, ordine e leggi; è finito
il tempo della conquista, comincia quello dell'unione nella civiltà
romana, cioè della “romanizzazione„, e tanto l'arte quanto la scienza
s'accordano nel mostrarlo. Allora Roma appare la mente ordinatrice del
mondo; essa è l'unificatrice delle genti, come cantava il poeta:

      Fecisti patriam diversis gentibus unam,.....
    Urbem fecisti quod prius orbis erat.


III. I MONUMENTI DEGLI IMPERATORI DELLA “GENS CLAUDIA„.

1. =L'“Aqua Claudia„ e l'“Anio Vetus„ a Roma.= — Sotto gli imperatori
della famiglia Claudia, almeno fino a Nerone, gli abbellimenti di
Roma non continuarono con quella vivezza e abbondanza che ebbero sotto
Augusto. Tiberio, severo e misurato amministratore, di carattere chiuso
e alieno dalle dolcezze dell'arte, restorò qualche edificio, ma poco o
nulla costrusse; e similmente Caligola. Claudio si volse a costruzioni
di pubblica utilità, facendo fare il gran porto di Ostia, introducendo
in Roma nuovi corsi di acque salubri (_Aqua Claudia, Anio Novus_)[143]
e facendo agire un canale scaricatore delle acque traboccanti del
Lago Fucino. L'opera compiuta dall'imp. Claudio fu poi nuovamente
distrutta. Il Lago Fucino (ora di Celano) non fu prosciugato se non ai
dì nostri dopo un ventennio di grandi lavori dall'anno 1855 al 1875,
per cura del principe Torlonia; il quale, come dice l'epigrafe della
medaglia decretatagli dal re Vittorio Emanuele, compì _aere suo opus
imperatoribus ac regibus frustra tentatum_[144].

2. =La “domus aurea„ di Nerone.= — Imperando Nerone s'ebbe il grande
incendio di Roma (nel luglio del 64 d. C.), che durò lo spazio di più
giorni e distrusse molta parte della città, incendio spaventevole di
cui l'imperatore appose la colpa con terribili pene ai cristiani, e
che la storia invece apporrebbe alla feroce pazzia dell'imperatore
stesso[145]. I quartieri incendiati furono poi rifabbricati con un
piano regolare, con larghe e diritte strade, fiancheggiate di case
e di portici. Nerone, nello spazio che dal Palatino si estende al
Celio ed all'Esquilino, costrusse un suo palazzo, a cui lo splendore
di meravigliosa ricchezza acquistò nome di _domus aurea_. Architetti
ne furono Celere e Severo, che già per lo stesso imperatore avevano
formato arditissimo disegno di risanare le Paludi Pontine scavando
un canale navigabile dal Lago d'Averno ad Ostia; palazzi, porticati,
giardini, viali, praterie, canali e stagni si avvicendavano in questa
immensa costruzione romana; nell'interno una delle sale girava ad
imitare il movimento del mondo; dorature, marmi e materie preziose
erano a profusione[146]. Ma tanta magnificenza non è veramente per sè
sola una prova del valore dell'arte; e Nerone, che si vantava artista,
forse lo era di cattivo gusto; più che al bello egli intendeva allo
sfarzoso, allo straordinario, all'inverosimile.


IV. I MONUMENTI DEGLI IMPERATORI DELLA “GENS FLAVIA„.

1. =L'Anfiteatro Flavio o “Colosseo„.= — =La sua struttura.= — Il
grande monumento dei Flavî è l'anfiteatro che eternò il loro nome.
Si dice che Augusto avesse disegnato la costruzione nell'interno
della città di un grande edifizio per gli spettacoli dei gladiatori
e delle belve, la cui feroce passione cresceva in Roma e in Italia.
Anfiteatri già avevano le città italiche e provinciali, o temporanei
di legno, o stabili di pietra. Un anfiteatro di legno ruinò a Fidene,
imperando Tiberio, e vi furono tra morti e feriti ventimila spettatori.
Il pensiero di dare a Roma un grande anfiteatro fu rinnovato, ma non
eseguito da Caligola. L'anfiteatro di Statilio Tauro erasi incendiato
sotto Nerone. Vespasiano, ritornando al disegno d'Augusto, pose i
fondamenti della grande opera a sud-est del Foro romano, nella bassura
fra il Celio e l'Esquilino, dov'era un laghetto dei giardini di Nerone.
L'opera fu compita da Tito nell'anno 80 d. C.; si disse l'Anfiteatro
Flavio; il nome di Colosseo gli venne, pare, verso il secolo VIII,
dalla colossale statua di Nerone che vi si trovava vicina.

Capace di ottantasette mila spettatori, constava d'una grande elissi
(il cui asse maggiore misura 188 m., il minore 156), racchiudente
un'elissi minore che forma l'arena (misurante 76 m. di lunghezza per
46 di larghezza). Lo spazio intermedio fra le due elissi comprendeva le
gradinate per gli spettatori. La cinta esterna, alta 48 m., componevasi
di tre ordini d'arcate sovrapposte, in numero di ottanta per ciascun
ordine; il primo e più basso dei quali era ornato di colonne doriche,
il secondo di colonne ioniche, il terzo di corinzie; sopra questo
un quarto piano è formato d'un muro con aperture a modo di finestre,
divise da pilastri di stile corinzio. Fra le arcate del secondo e del
terzo ordine erano collocate statue, come appare da rappresentazioni
dell'edifizio sopra monete imperiali di Tito e di Domiziano[147]. Le
arcate del primo ordine, distinte con numeri dal I all'LXXX, davano
adito alle scale ed ai corridoi interni.

Il piano generale dell'interno del Colosseo, come d'ogni anfiteatro,
consisteva della _cavea_, luogo per gli spettatori, e dell'_arena_,
luogo dei combattimenti. L'arena, sotto la quale erano androni e
camere sotterranee per contenervi le fiere e gli attrezzi (questa
parte sotterranea è specialmente evidente nell'anfiteatro di Capua),
era recinta intorno dal _podium_, nel quale erano i posti per la
famiglia imperiale, per i magistrati e per le vergini Vestali. Sopra il
podio elevavansi tre sezioni di gradinate (_moeniana_) con scale che,
convergendo dalla periferia verso il centro, tagliavano le gradinate a
_cunei_. Le sezioni delle gradinate, o _moeniana_, erano distinte da
larghi pianerottoli (_praecinctiones_) con muri di cinta (_baltei_),
in cui erano aperte porte o sbocchi (_vomitoria_), che dagli androni
interni mettevano alle gradinate. In alto, sopra l'ultima sezione
di gradini (_summum moenianum_), correva tutto in giro un porticato
destinato alle donne della plebe. Sopra il porticato elevavansi le
antenne, a cui erano tese le corde per distendere l'immenso _velarium_,
ombreggiante tutta la vastissima cavea. All'esterno nell'ultimo piano
del Colosseo, vedonsi ancora le mensole di sostegno delle antenne.
Tutta la parte d'edifizio compresa fra la linea obliqua delle gradinate
e la verticale del muro esterno di cinta era occupata da scale,
corridoi, passaggi per cui gli spettatori, muniti delle _tesserae_
segnanti il posto di ciascuno, accedevano ai _vomitoria_, e di qui
ai loro seggi. Questa è l'ossatura dell'anfiteatro Flavio, a cui
l'immaginazione dovrebbe aggiungere la sontuosa decorazione; i muri
divisorî dei _moeniana_, e specialmente quello più degli altri elevato
fra il secondo e il terzo _moenianum_, erano riccamente ornati di
preziosi marmi e di scolture; di fregi e di varie sculture erano ornate
anche le balaustre dei _vomitoria_ (ved. =Atl.= cit., =tav. XLVI= e
=tav. XLVII=).

_b. Storia delle vicende del Colosseo._ — Terminato e inaugurato da
Tito, dicesi con spettacoli, nei quali si videro 5000 belve feroci,
l'Anfiteatro Flavio ebbe nuove cure da Domiziano; di alcuni danni
sofferti lo restorò Antonino Pio. Sotto Macrino s'incendiò nella parte
superiore, dove nel _summum moenianum_ e nel portico le gradinate erano
di legno; per qualche tempo non vi si diedero spettacoli; ne incominciò
la restorazione Eliogabalo, la compì Alessandro Severo. L'imperatore
Filippo nell'anno 248 vi celebrò le grandi feste del millesimo
anniversario natalizio di Roma. Onorio nell'anno 405 proibì gli
spettacoli gladiatorî; ma caccie di fiere nel Colosseo si fecero ancora
fino ai tempi di Teoderico. Nel Medio Evo il Colosseo servì di fortezza
nelle lotte intestine delle fazioni romane. Poi la barbarie e la rapina
lo convertirono in una cava di pietra; il palazzo della Cancelleria, i
palazzi Farnese e Barberini furono per buona parte costruiti con pietre
del Colosseo, tolte dalla demolizione del muro esterno; così quasi due
terzi della grande costruzione furono distrutti.

Fra le costruzioni dei Flavî è da ricordare il tempio della Pace,
intorno a cui allargavasi il Foro di Vespasiano. Il tempio ornato con
opere tolte dalla _domus aurea_ e con ricche spoglie della conquistata
Gerusalemme avevasi per uno de' più sontuosi di Roma.

   [Illustrazione: =La casa dei “Vettii„ a Pompei. Il cortile.=

   =Tavola 57.=

   Ved. _Arte italiana decorativa e industriale_, diretta da =Camillo
   Boito=, anno IX (1900), n. 3, tav. 14, 1.]

   [Illustrazione: =La Casa dei “Vettii„ a Pompei.=

   =Il fregio degli amorini orafi.=

   =Tavola 58.=

   Da una riproduzione cromolitografata posseduta dalla SOCIETÀ
   NUMISMATICA ITALIANA in Milano. (Cfr. _Arte decorativa
   industriale_ diretta da =Camillo Boito=, anno IX, 1900, n. 3,
   pag. 23, fig. 44.)]

2. =Le terme di Tito.= — Poco lungi dal Colosseo, sull'estremo
dell'altura dell'Esquilino, furono erette le Terme di Tito. Il bagno
aveva una grande importanza nella vita romana, almeno nei tempi ultimi
della Repubblica. Per l'importanza che presero i bagni caldi s'ebbero
poi le _thermae_, edificî destinati non solo al bagno, ma a luogo di
ritrovo e di piacere, con un carattere affine a quello dei ginnasî
e delle palestre greche. Non la sola Roma, ma ogni città d'Italia
o delle provincie, ancorchè piccola, ebbe le sue _Terme_[148]. Esse
componevansi di vasti locali e camere poggianti sopra altre camere
sotterranee (_suspensurae_), dove era la fornace (_hypocausis_) e tutto
quanto risguardava il riscaldamento e la trasmissione delle acque calde
e del vapore. Al di sopra distendevansi le sale e le celle da bagno,
con variissima destinazione: il _caldarium_ o sala per i bagni d'acqua
calda, e il _frigidarium_ per quelli d'acqua fredda; il _tepidarium_,
sala per traspirazione mediante riscaldamento; il _laconicum_, per una
più alta temperatura; l'_apoditerium_ o spogliatoio; il _destrictorium_
e l'_unctorium_ per le frizioni del corpo e le unzioni; a cui poi
sono da aggiungere cortili da passeggio, vasche da nuoto, sale da
conversazione e ricreazione, biblioteche, gallerie. Tutti questi locali
erano ornati d'opere d'arte, e non poche delle belle statue giunte fino
a noi si raccolsero fra rovine di terme[149]. Le prime terme erette in
Roma credonsi quelle di Agrippa; a cui prossime sorsero poi quelle di
Nerone; e in terzo luogo quelle di Tito, delle quali ancor rimangono
dei ruderi, dai quali si riconoscono anche tracce di parte degli
edifizî della _domus aurea_. Le sale di queste terme erano riccamente
dipinte, ed ornate di statue di grande valore artistico[150].

   [Illustrazione: =La casa dei “Vettii„ a Pompei. Parete dipinta
   nel piccolo “oecus„.=

   =Tavola 59.=

   Ved. _Arte italiana decorativa e industriale_, diretta da
   =Camillo Boito=, anno IX (1900) n. 3, tav. 13.]

   [Illustrazione: =Vasi di metallo per diversi usi.=

   =Ritrovati a Pompei e ad Ercolano, ora nel Museo Nazionale di
   Napoli.=

   =Tavola 60.=

   Ved. _Arte italiana decorativa e industriale_, diretta da
   CAMILLO BOITO, Anno IX (1900) tav. XVIII.]

   [Illustrazione: =Vasi in metallo ritrovati a Pompei e ad
   Ercolano.=

   =Tavola 61.=

   Ved. _Arte decorativa e industriale_, diretta da =Camillo
   Boito=, anno IX (1900) n. 3, tav. 18.]

3. =L'Arco di Tito.= — Dei monumenti onorarî dei Flavî è ancora
sussistente e degno di ammirazione l'Arco di Tito, presso l'elevazione
del Velia, al principiare della Via Sacra. Eretto dal popolo e dal
Senato in memoria della presa di Gerusalemme, fu compìto e dedicato
dopo la morte dell'imperatore, come appare dall'iscrizione in cui
l'imperatore ha il titolo di _divus_, e dalla rappresentazione
dell'apoteosi che fa parte dei bassi rilievi del monumento. L'arco ha
un solo passaggio; i lati hanno quattro finte colonne, che sono uno dei
più antichi ed anche dei più begli esempi d'ordine composito; sormonta
a queste una trabeazione con fregio, sopra cui viene poi l'alto attico.
Il disegno è semplice, ma assai elegante, e così per l'architettura
come per la decorazione plastica è uno dei più bei monumenti dell'arte
romana (ved. =Atl.= cit., =tav. LXVII= e =LXVIII=; cfr. la mia
_Epigrafia latina_, =tav. XXVIII=[151]).

   [Illustrazione: =Il Foro di Nerva a Roma.=

   Portico di Minerva, detto “Le Colonnaccie„.

   =Tavola 62.=

   Ved. =Strack=, _Baudenkmäler des alten Rom_, tav. 29.]

4. =Opere dell'imperatore Domiziano. I “Fora„ minori.= — Sotto
Domiziano fu restorato il tempio di Giove Capitolino ed ampliato il
palazzo imperiale sul Palatino; fu inoltre restorato il Foro, dove
fu posta una colossale statua equestre rappresentante l'imperatore.
Una sontuosa villa imperiale fu eretta a piedi del Monte Albano. Fu
incominciato da Domiziano e condotto a compimento da Nerva il tempio di
Minerva posto fra quello di Marte Ultore di Augusto e il tempio della
Pace di Vespasiano.

Intorno al tempio di Minerva stendevasi un'area recinta da ricco
colonnato, che costituì un nuovo Foro, detto di Nerva, e che, servendo
di passaggio o di congiunzione fra il Foro di Vespasiano e quello
d'Augusto, è indicato spesso anche col nome di _Forum transitorium_ o
_Forum pervium_. Era chiuso all'intorno da un gran muro di travertino,
dal quale aggettavano colonne corinzie sorreggenti una magnifica
trabeazione formante cornice tutto all'ingiro; al di sopra di questa
alzavasi un attico. Di questo bellissimo recinto rimangono ancora
poche ma assai belle vestigia, in due grandi colonne corinzie, per
metà affondate nel terreno, dette le _Colonnacce_, con una parte
d'architrave riccamente ornato di bassi rilievi figuranti donne che
attendono a domestici lavori, sotto la protezione di Minerva operatrice
(come l'ateniese _Ergane_), la cui imagine vedesi in un alto rilievo
dell'attico (ved. =tav. 62=). Il tempio della Dea è ancora in buona
parte conservato su disegni del secolo XV; ma fu distrutto ai tempi di
Paolo V (1605-1621), per usare del materiale in altre costruzioni.


V. MONUMENTI DEGLI IMPERATORI TRAIANO ED ADRIANO.

L'età in cui l'arte greca ebbe un ultimo splendore di rinnovamento
nell'arte romana è quella degli imperatori Trajano ed Adriano; il primo
dei quali ebbe consigliere e ministro delle sue grandi opere l'insigne
architetto Apollodoro, e l'altro fu egli stesso artista. L'uno e
l'altro nel momento in cui il mondo romano riposava in prospera pace
arricchirono l'impero di costruzioni e di monumenti.

Apollodoro, artista greco orientale di Damasco, può dirsi l'ultimo
grande architetto delle scuole greche. Saviamente Trajano lo prepose
alla direzione delle nuove opere ch'egli in Roma non solo, ma anche
in altri luoghi dell'Impero, edificava. Apollodoro disegnò e curò
la costruzione di un teatro rotondo, detto _Odeum_, di un nuovo
edificio di Terme, di un Circo per le corse dei cavalli, del gran
ponte sul Danubio, il quale credesi rappresentato in alcuni rilievi
e sopra monete dell'imperatore Trajano[152]; infine fece costruire il
grande e splendidissimo Foro Trajano, di cui ancora rimangono alcune
vestigie (ved. =tav. 63=). Apollodoro sembra aver avuto grandiosità di
concetti congiunta col sentimento delle proporzioni e col gusto di una
semplicità elegante e graziosa.

   [Illustrazione: =Il Foro Trajano a Roma. La Colonna Trajana e
   i ruderi della “Basilica Ulpia„.=

   =Tavola 63.=

   Ved. =Strack=, _Baudenkmäler des alten Rom_, tav. 16.]

   [Illustrazione: =Il Foro Trajano a Roma.=

   Pianta della “Basilica Ulpia„.

   =Tavola 64.=

   Ved. =Melani=, _Architettura_, 3.ª edizione, Milano, Hoepli,
   pag. 113, fig. 63.]

1. =Il Foro “Trajano„ e i suoi monumenti.= — Il Foro Trajano, posto in
continuazione di quello d'Augusto, fra il Quirinale e il Capitolino, fu
il maggiore di tutti i Fori imperiali, i quali constavano di un'area
con un tempio nel mezzo, recinta da un ricco peribolo (ved. =Atl.=
cit., =tav. XLVIII=)[153]; quello di Trajano, destinato ad essere sede
di trattazioni giuridiche e di relazioni scientifiche, artistiche e
talora anche religiose, constava di un largo complesso d'edificî. A
prepararne l'area fu necessario di spianare parte della pendice del
Quirinale, per un'altezza segnata dall'altezza della colonna Trajana,
secondo dice l'inscrizione di questa. Per un grande arco trionfale si
accedeva ad un vasto spazio (_Area Fori_), a modo quasi di un grande
atrio tutto recinto di porticato; in due lati di questo si allargavano
due grandi absidi rotonde, e nel lato di fronte all'ingresso sorgeva la
_Basilica Ulpia_ (ved. =tav. 64=). Nel mezzo dell'_Area_ grandeggiava
la colossale statua equestre dell'imperatore. La _Basilica_ formava
come il corpo di mezzo del Foro, coperta di bronzo, ricinta da
colonnati, e terminata essa pure da due absidi; aveva prossimi, nella
parte opposta a quella dell'_Area_, due separati edifizî che formavano
la _Biblioteca Ulpia greca e latina_; nello spazio fra l'una e l'altra
biblioteca ergevasi la colonna onoraria dell'imperatore. Al di là di
questa, allargavasi un altro spazio come peribolo di un tempio, che
da Adriano fu consacrato al nome di Trajano. A disegno così grandioso
corrispondeva una meravigliosa ricchezza di decorazione, della quale
possiamo formarci alcun concetto parte con le notizie degli antichi
scrittori, che celebrano quel _forum_ come _miraculum_, e parte con
la vista della colonna Trajana, che ancora sorge sul primitivo suo
luogo[154]. L'imperatore Costanzo a Roma davanti a quell'opera, unica
al mondo, degna dell'ammirazione fino degli stessi Dei, rimaneva
attonito, guardando quelle gigantesche costruzioni che nessuna
generazione di mortali più saprebbe rifare. Costanzo espresse allora
il desiderio d'aver una statua equestre come quella di Trajano, posta
in mezzo all'area del Foro. E Ormisda, un regale persiano ch'era con
lui, accennando agli edificî circostanti, disse: “Sì, principe, ma al
cavallo fa di preparare una stalla come questa„[155].

2. =La Colonna “Trajana„.= — La colonna inalzata fra le due biblioteche
è ad un tempo monumento sepolcrale ed onorario, perchè, rappresentando
nei grandi suoi bassirilievi le imprese di Trajano nella Dacia, serviva
anche, dice la tradizione, come tomba all'imperatore, le cui ceneri
trasportate dalla Siria, dove era morto, chiuse in un'urna d'oro,
furono deposte nella cameretta sepolcrale che è nella base della
colonna. Ma quando Sisto V nel 1585 fece aprire la camera appiè della
colonna, la trovò vuota. S'eleva la colonna sopra un alto zoccolo
quadrato; il fusto è formato di molti giganteschi rocci tamburi di
marmo sovrapposti, e termina con gran capitello, sul quale ergesi il
piedestallo che sostenne già la statua di Trajano, ed ora la statua di
San Pietro fattavi porre da Sisto V. L'altezza totale della colonna è
di m. 29; è vuota nell'interno, con una scala a chiocciola che mette
fino alla cima. Siccome la colonna è riccamente istoriata dalla base
fino al capitello, s'è dovuto supporre che gli edifizî vicini, forse
le due biblioteche, avessero loggiati a più piani, prospicienti i
lati della colonna, donde si potesse godere di quelle rappresentazioni
plastiche (ved. =Atl.= cit., =tav. XLIX= e =tav. LXIX=).

L'arco trionfale che, contiguo al Foro d'Augusto, formava ingresso al
Foro di Trajano, è conosciuto solo per qualche rappresentazione sopra
monete di quell'età[156]. La fronte era ornata di sei colonne, fra
le quali s'incavavano nicchioni con statue, e sopra questi nicchioni
grandi bassirilievi; l'attico portava l'inscrizione dedicatoria, e
sull'alto ergevasi una sestiga circondata da vittorie e da trofei.
Molte delle sculture dell'arco trionfale di Trajano furono trasportate
ed adornano l'arco di Costantino.

3. =Opere dell'imperatore Trajano.= — Grandiose e importanti opere di
pubblica utilità si compirono sotto l'impero di Trajano: fu ampliato il
Porto d'Ostia, costruito il bel Porto d'Ancona, dove ancora sussiste
ben conservato l'arco dedicato a lui e a Plotina sua moglie, e a
Marciana sua sorella in memoria di quell'opera. Altro porto fu aperto a
Civitavecchia, detto _Portus Traiani_; riparate le vie diramate per le
regioni dell'Impero, e altre nuove costruite; restorata la via Appia, e
diramatone da Benevento un nuovo tronco per Brindisi.

L'arco bellissimo di Benevento, detto _Porta Aurea_, fu eretto
nell'anno 114 d. C. a memoria di questo savio e munifico
imperatore[157]. Oltre il gran ponte sul Danubio, altro ne fu
costrutto sul Tago ad Alcantara, sul quale si eleva anche un arco
trionfale consacrato pur esso a Trajano. Questa grandiosa opera è
dovuta a C. Giulio Lacero, architetto. Quanto impulso desse Trajano a
quest'attività edificatrice che abbelliva le città dell'Impero appare
dalla corrispondenza sua con Plinio juniore. A provveder i mezzi
di tante costruzioni cooperò grandemente quel decreto dato regnante
Trajano e noto col nome di Senato-consulto Aproniano, pel quale le
città riconosciute come enti civili furono rese capaci di ricevere
eredità e legati. E conviene osservare che il patriottismo municipale
era allora assai più vivo ed efficace che non oggidì, e che allora
non vi avevano congregazioni che attirassero a sè le liberalità dei
morenti, onde le donazioni abbondanti fornivano modo alle città di
arricchirsi di belle ed utili opere. Così le città dell'Impero da
Trajano alla fine degli Antonini ebbero acquedotti, terme, teatri,
basiliche, tempî, ponti, strade, e un meraviglioso fiorire di vita
civile. Da Trajano veniva tanto impulso di attività ai pubblici lavori,
che meritamente la storia lo riconosce[158].

Apollodoro sopravvisse a Trajano; ma fra lui, che sentiva il giusto
orgoglio dell'artista, e l'imperatore Adriano, che aveva le pretensioni
del dilettante, non poteva esser buona pace. Narrasi che, avendo
Adriano al greco architetto presentato un suo proprio disegno del
tempio di Venere e Roma, questi liberamente lo giudicò, in alcune parti
acutamente criticandolo. L'imperatore ebbe facile rivincita contro
l'artista, facendolo condannare a morte[159].

Se le arti potessero fiorire per protezione di principi, in nessuna età
certamente sarebbesi avuto arte più prospera che nell'età d'Adriano.
Egli amatore e cultore dell'arte, egli squisitamente formato allo
studio della greca eleganza, egli veramente anima greca in toga
romana, salito al dominio nel tempo in cui l'Impero era nella maggiore
estensione di confini, nella ricchezza della pace, potè dare alle
arti favore ed aiuto; ma non potè ad essa nè ispirare un soffio di
vita nuova, nè prolungare oltre il termine d'un breve periodo quel
rinvigorimento che avevale infuso; cosicchè con lui abbiamo il massimo,
ma insieme l'estremo fiorire dell'arte greco-romana.

4. =Il gran tempio di Venere e Roma sotto Adriano detto= _templum
Urbis_. — Una delle maggiori opere architettoniche dell'età d'Adriano
è il gran tempio di Venere e Roma, dedicato nell'anno 135, e ricordato
spesse volte col nome di _templum Urbis_, eretto tra il Foro romano e
l'Anfiteatro Flavio. Era un doppio tempio pseudodiptero, decastilo,
cioè un recinto templare chiuso da un porticato di tal larghezza da
contenere un doppio ordine di colonne, le quali erano dieci sulla
fronte e venti sui lati; la cella, che sorgeva nel mezzo di questo
grandioso colonnato, era, a metà della sua lunghezza, distinta in
due parti, ciascuna delle quali formava cella per se e terminava in
due grandi absidi o nicchie circolari, coperte di semicupole ornate
di cassettoni romboidali. Le due nicchie si opponevano toccandosi
coll'estradosso, ed era posto in una il simulacro di Venere, nell'altra
quello di Roma. Le due celle, coperte da volta a botte, avevano
ciascuna un pronao a forma di tempio in _antis_, con quattro colonne
fra i due pilastri estremi. Il tempio riccamente ornato di colonne,
di lacunari, di fregi, di bassirilievi, di statue, ergevasi sopra un
ampio terrazzo chiuso da un grande porticato. Oggi ne avanzano alcune
maestose ruine, fra il Colosseo e Santa Francesca; e ancora sono
visibili i resti delle due absidi con parte delle semicupole ornata di
cassettoni romboidali (ved. =Atl.= cit., =tav. L=).

5. =La Villa d'Adriano a Tivoli.= — Era questa villa prediletta
dall'imperatore pel suo soggiorno; un palazzo imperiale con altri
edifizî di nome e di stile straniero, specialmente greci ed egizî,
quali un Liceo, un'Academia, un Portico Pecile (cioè ornato di varî
dipinti) una Lesche (sala di riunione), una Palestra, un Canopo; ivi
erano raccolte statue ed opere insigni dell'arte egizia e greca; come
lo mostrarono i molti ritrovamenti. V'erano giardini e parchi con
molte piante esotiche, con piani ed alture e corsi d'acque, il tutto
disposto ad imitare paesaggi famosi, quali, ad esempio, la greca Tempe,
il Peneo, l'Alfeo. Queste notizie sono chiara prova del carattere
imitativo ed eclettico dell'arte al tempo di Adriano con tendenze verso
il pittoresco e l'arte paesista. Ciò che l'imperatore aveva ammirato
ne' suoi viaggi qui volevasi rappresentato, quasi in un microcosmo, in
cui l'imperatore rievocava le soddisfazioni provate nel salir l'Etna,
nel mirare dal Monte Casio la levata del sole.

   [Illustrazione: =Il Ponte Elio e il Mausoleo di Adriano in
   Roma= (oggi Castel S. Angelo).

   =Tavola 65.=

   Ved. =A. Schneider=, _Das alte Rom_, tav. XII, 19.]

Distrutta l'imperiale residenza di Tivoli nel secolo VI da Totila, oggi
appena rimangono scarsissime vestigia di tanti sontuosi edifizî[160].

6. =La “Mole Adriana„ o Mausoleo dell'imperatore Adriano.= — Il
Mausoleo d'Augusto, che aveva accolto le ceneri di molti della stirpe
Iulia e Claudia, dicesi che per ultimo ricevesse anche Nerva; le
ceneri di Trajano furono deposte sotto la sua colonna; Adriano volle
a sè ed ai suoi preparare un monumento, che, eretto sulla sponda del
Tevere opposto a quello di Augusto, non fosse a questo inferiore. La
tomba d'Adriano, condotta a compimento da Antonino Pio e detta essa
pure _Mausoleo_, od anche _Mole Adriana_, congiunta con la città per
mezzo del ponte _Aelius_ a cinque grandi arcate, il più bello fra i
ponti romani, era conformata sul tipo del Mausoleo d'Augusto, ma di
maggiori dimensioni. Una grande costruzione quadrata formava base ad
una colossale rotonda di travertino, tutta rivestita di marmo greco;
sulla rotonda sorgevano due ordini di colonnato degradanti a scale,
con molte statue verosimilmente collocate fra gli intercolunnî; sembra
che il monumento si coronasse d'un gran tetto conico sormontato da
una colossale statua d'Adriano, ma secondo altri invece dalla grande
_pina_ che ancora si conserva nel giardino del Vaticano. Spogliato
per gli assalti di Alarico, Vitige e Totila, il nucleo dell'edifizio
sussistette a formare il maschio di Castel S. Angelo; parte delle
colonne dei due portici circolari, di prezioso marmo orientale, credesi
fossero da Onorio usate ad ornare la basilica di S. Paolo, e andarono
poi distrutte nel grande incendio dell'anno 1823 (ved. =tav. 65=).

7. =Opere minori dell'imperatore Adriano.= — Adriano viaggiò
accompagnato da una corte di architetti e di artisti, per ogni
provincia dell'Impero, dall'Eufrate alla Senna, dal Danubio
all'Atlante; a lungo soggiornò nelle città principali, che restorò ed
ornò con nuovi edifizî. Moltissime sono le provincie e le città che
fecero coniare monete in onore di Adriano con la leggenda _restitutori_
(cioè all'imperatore che restora), in memoria dei benefizî ricevuti.
Molte sono le opere di pubblica utilità che noi troviamo ricordate dal
suo biografo Elio Sparziano, o sulle iscrizioni. Viaggiò con religiosa
ammirazione la Grecia, a lungo e con amorosa compiacenza soggiornò
in Atene, ch'egli pensava di far capitale del mondo ellenico; e gli
Ateniesi, vedendo l'imperatore prender abito greco, esser liberale
di benefizî, farsi loro cittadino, ragionare con gli artisti, ambire
d'essere arconte, credettero la loro patria fosse per rinascere agli
splendori dell'età di Pericle. Adriano fece restorare il vecchio tempio
di Giove Olimpio; altro nuovo ne fece erigere a Giove Panellenio ed
a Giunone, e costrusse portici e ginnasî, e sale da biblioteche, e in
breve un intiero nuovo quartiere a lato alla vecchia città, il quale si
disse Adrianopoli; al suo ingresso fu posto un arco, che ancora esiste;
sul lato che guarda Atene è scritto: _questa è la città di Teseo_;
sul lato del quartiere nuovo: _questa è la città di Adriano_. Altre
città, dall'imperatore o fondate o rinnovate sulle antiche, presero il
nome di Adrianopoli; Gerusalemme stessa fu mutata interamente in città
romana, con foro, teatro e tempio di Giove, e con nuovo nome fu detta
_Elia Capitolina_; donde il sentimento nazionale tanto s'accese, che
gli Ebrei tentarono una ultima infelice sollevazione contro il dominio
di Roma. Soggiornando l'imperatore nell'Egitto, Antinoo, il bellissimo
suo favorito, annegò nel Nilo; fu divinizzato e nuovi templi ed una
città intera, di stile greco, Antinoopoli, gli fu eretta in Egitto.
Mai il mondo non vide una più alacre attività di costruzioni, una più
ricca floridezza d'ornamenti; mai gli artisti ebbero un più potente
e più amoroso fautore[161]. L'arte greca dalla mano d'Adriano era
ricondotta a riabbellire le greche città, che, da lungo tempo decadute
e impoverite, languivano; l'arte greca rinnovata dalla forza romana si
distese fino agli ultimi termini dell'Impero, come fattrice di civiltà,
nella florida pace mantenuta dal governo d'un principe intelligente e
forte.

   [Illustrazione: =Il tempio di Antonino e Faustina=

   (oggi S. Lorenzo in Miranda a Roma).

   =Tavola 66.=

   Ved. =Strack=, _Baudenkmäler des alten Rom_, tavola 16.]


VI. I MONUMENTI DEGLI ANTONINI E DOPO GLI ANTONINI.

Tanto fervore d'operosità presto s'allentò sotto gli Antonini, che per
massima parte s'accontentarono di restorare gli edificî danneggiati da
incendî o da altri disastri. Pure un bell'edifizio abbiamo del tempo
d'Antonino Pio, successore di Adriano, ed è il tempio che, eretto in
onore della moglie sua Faustina, il Senato poi dedicò al nome anche
dell'imperatore, dicendolo d'Antonino e Faustina; di esso ancor oggi
rimane parte del muro della cella e il pronao con belle colonne, che
racchiudono la chiesa di S. Lorenzo in Miranda (ved. =tavola 66=)[162].
Il tempio era esastilo, d'ottimo stile corinzio, con ricca eleganza
d'ornamenti; sull'architrave delle colonne è scolpito un frammento
di fregio con bellissimi ornati di fiorami, di grifi, di candelabri,
di vasi, che stettero come modello di stile classico e fondamento
di continue variazioni nell'ornamentazione architettonica dei secoli
seguenti.

   [Illustrazione: =La Colonna onoraria a Marco Aurelio= (in
   Piazza Colonna a Roma).

   =Tavola 67.= — Ved. =Strack=, _Baudenkmäler des alten Rom_,
   tav. 18; cfr. il nostro testo a pag. 282, nota 1.]

Lucio Vero e Marco Aurelio alla memoria di Antonino eressero una
colonna di granito rosso, trasportata dall'Egitto, della quale
rimane, pregevole monumento per la storia della scoltura, la base.
Resta ancora intera la colonna che il popolo e il Senato consacrarono
a M. Aurelio, imitando quella di Trajano; forse sorgeva davanti ad
un tempio consacrato all'imperatore. Anch'essa è tutta istoriata di
rappresentazioni guerresche; ha nell'interno una scala che mette alla
cima, sulla quale da Sisto V fu posta la statua di S. Paolo (ved. =tav.
67=)[163].

Di un arco di M. Aurelio, pur esso eretto in memoria delle guerre
contro i Marcomanni, rimanevano nell'anno 1600 ruine presso il Corso;
alcuni suoi bassirilievi si conservano nel Museo del Campidoglio.

Dopo M. Aurelio e Commodo non cessarono le grandi e magnifiche
costruzioni, anzi l'architettura romana, animata di una vera, propria
e robusta vita, si prolungò assai più lontana che non altra delle arti
sorelle; ma quanto al gusto e alla bellezza delle forme, incominciò
la decadenza, sfoggiandosi tanto più in pompa e ricchezza quanto più
perdevasi d'armonia e di semplicità. Grandi edifizî sorgevano in Roma,
in Italia, nelle provincie d'Occidente, in quelle d'Asia e d'Africa,
e in essi conservavasi sempre la grandiosa solidità romana; ma gli
elementi architettonici venivano da nuove forme alterati, cessando
d'esser parti integranti della costruzione per diventare semplici
elementi ornamentali, e sovraccaricandosi di decorazione. La semplicità
delle linee verticali ed orizzontali si volle variata con linee
spezzate di cornicioni sporgenti e di nicchioni; la bella armonia delle
proporzioni fu alterata per un continuo sforzo a conseguire effetti
variati e nuovi ed una ricca apparenza. A questo fortemente contribuì
il gusto orientale dei popoli asiatici assoggettati a Roma, quando una
stirpe imperiale di origine siriaca ebbe il dominio dell'Impero, la
stirpe discendente da Bassiano, sacerdote del Sole in Emesa, dai membri
della quale vennero Giulia Domna, moglie di Settimio Severo, madre di
Caracalla e Geta, e Giulia Mesa, madre di Soemia e di Giulia Mammea, da
cui nacquero poi Elagabalo e Alessandro Severo. Indi i culti orientali
d'Iside, di Mitra e del Sole, che in Roma già s'erano insinuati, si
fecero più diffusi e più splendidamente celebrati[164]; indi coi nuovi
culti nuovi sentimenti, e novità di forme e strana pompa d'ornamenti
nell'arte, e infine la decadenza di essa.


B. — Plastica.


I. OSSERVAZIONI GENERALI.

È strano il dirlo, ma vero che noi dobbiamo in gran parte la conoscenza
dei capilavori antichi alla depredazione delle opere d'arte nelle
città greche da parte dei Romani, anche dopo la presa di Corinto (146
a. C.). Quando la romana Repubblica ereditò da Attalo le ricchezze del
regno di Pergamo (133 av. C.), furono tolte di là molte opere d'arte
della sua scuola[165]. Nuovo bottino si trasse da Atene, da Delfi, e da
altri luoghi nei saccheggi al tempo della seconda guerra Mitridatica
(86 a. C.), e dalle città asiatiche, quando, per la spedizione di
Lucullo e per quella finalmente vittoriosa di Pompeo, la regione
dell'Asia anteriore cadde in potere di Roma. Nè solo i conquistatori,
ma anche gli annuali magistrati amministratori di provincie spigolavano
avidamente quanto di bello fosse rimasto. L'esempio di Verre in
Sicilia è prova eloquente della rapacità di tali dilettanti d'arte.
Di greche opere riempivansi gli edifizî romani dell'ultimo tempo
della Repubblica; sculture arcaiche di Bupalos e di Athenis, maestri
di Chio, e con esse l'Apollo Citaredo di Scopa abbellivano il tempio
e la biblioteca d'Augusto sul Palatino; statue di Hegias, di Mirone,
di Fidia ornavano il portico d'Ottavia; il grande gruppo dei Niobidi,
opera della giovane scuola ateniese, fu collocato nel tempio di Apollo
Sosiano; il grande gruppo d'Achille colle deità marine, capolavoro
di Scopa, era da Domizio Enobarbo consacrato nel tempio di Nettuno;
Asinio Pollione, E. Scauro, M. Agrippa, Mecenate, Nonio Vindice
formavano ricchissime collezioni artistiche; una galleria d'arte era
necessario ornamento d'ogni ricca dimora romana. Caligola imperatore
aveva spedito a un suo legato nelle città greche a racimolare quanto di
bello possedessero. Nerone mandò simile legazione per ornare la _domus
aurea_, e nella sola Delfo trovò ancora da rubare a centinaia le statue
di bronzo: tanto meravigliosamente feconda era stata l'arte greca! Alla
depredazione seguiva spesso la distruzione, o per accidentali sventure,
quali gli incendi del tempo di Nerone, di Vitellio, di Tito; od anche
per barbarico capriccio, come fu di Caligola, che fece decapitare
molte statue greche per porre su quelle la propria effigie. Avvenne
allora questo fatto degno di osservazione, che Roma, spenta la Grecia,
e divenuta sacraria dei capilavori delle varie scuole greche, si formò
come un gran museo e, quantunque dell'arte non avesse che il senso
riflesso, divenne la capitale dell'arte[166].

Però, siccome questo fatto non proveniva da ingenita disposizione
artistica, ma da avidità di conquista e brama avida di raccogliere,
lo studio dell'arte vi diventò preziosa curiosità, lavoro da
collezionisti, e ciò fin dalle conquiste nella Grecia e per tutto
l'Impero. Già Cicerone, che pure pregiava ed intendeva l'arte greca,
si scusa e quasi nasconde il gusto e l'intelligenza sua[167]. Ma
quando poi tal ritrosia fu vinta, la conoscenza dell'arte greca
divenne parte d'una ben finita educazione letteraria, ma ristretta
ad un'intellettuale aristocrazia, con carattere di cultura storica
e d'erudizione, di ostentazione di dottrina. La Grecia era meta del
pensiero e del desiderio di ogni ben educato romano; Cicerone, padre
e figlio, Virgilio, Orazio l'avevano visitata a scopo di studio; già
era nata la poesia e la melanconia delle ruine; si facevano viaggi in
paesi lontani e ormai spopolati solo per ammirarvi qualche capolavoro
scampato alle mani dei depredatori; per null'altro era visitata Tespie
di Beozia che per vedervi l'Eros di Prassitele; e l'Afrodite di questo
maestro faceva accorrere gente a Cnido. Ma assai troppo spesso erano
viaggi di lusso e di curiosità, per dire: “ho veduto„. Nè pare che il
sentimento artistico della nazione romana se ne avvantaggiasse più
di quello che s'avvantaggi il gusto estetico della gran massa della
nazione inglese per i tesori del Museo Britannico, o per gli incessanti
viaggi in Italia. Acquistar opere d'arte, aver una ricca collezione era
moda, e per sola ostentazione molti profondevano in ciò patrimoni[168].
Indi le pretese d'intendersene, e il fare della finezza del gusto
e dell'abilità della critica un pregio sommo[169]. A molte opere
d'arte spesso davasi gran pregio, non per valore intrinseco ma per
rarità storica; per questo rispetto estimavansi assai oggetti d'arte
posseduti da uomini insigni, ed opere non finite, quando fossero lavoro
di celebre maestro. È cosa evidente che tale passione si limitasse
ad un ordine privilegiato di cittadini, ai ricchi _dilettanti_.
Vuolsi tuttavia osservare che tanta copia di greche opere esposte in
pubblico dovevano svegliare alcun amore e sentimento artistico anche
nel popolo; e potrebbe esserne testimonianza il malcontento popolare
contro Tiberio, quando aveva fatto togliere dalle Terme l'_Apoxuomenos_
di Lisippo[170]. Ma era sempre un sentimento d'ammirazione per l'arte
straniera, non già il destarsi d'un vero spirito artistico. I Romani ci
si presentano non come continuatori dell'arte greca, ma come un popolo
di Mecenati, che con la potenza e con la ricchezza diedero rinnovamento
a quell'arte che nelle città di Grecia decadute e impoverite più
non trovava alimento. L'arte greca, dunque, spenta, come ho detto,
in Grecia, ebbe sua nuova sede in Roma; ma essa aveva allora già da
assai tempo percorso ogni suo grado, aveva davanti a sè un cumulo di
tradizioni e di prototipi, che, soffocando ogni nativa aspirazione,
produceva un lavoro di riflessione e di riproduzione. La quantità
d'opere raccolte in Roma rappresentava le varie scuole che producevano
uno stile accademico, senza diretta ispirazione dalla natura, ma inteso
alla rinnovazione e alla ricomposizione dei pregi delle scuole antiche.


II. ARTISTI GRECI IN ROMA.

1. =Pasitele, Stefano e Menelao.= — Della plastica greca rinnovata
in Roma il rappresentante maggiore è Pasitele, nativo dell'Italia
Meridionale, la cui attività artistica si estende dai tempi di Pompeo
Magno ad Augusto. Egli e lo scolare suo Stefano, e Menelao discepolo di
Stefano, sembrano avere con le opere loro cercato non l'espressione di
nuovi concetti, ma piuttosto la manifestazione di belle forme secondo
i tipi perfetti, lavorando sopra un canone riconosciuto, fusione
del canone di Policleto con quello più slanciato di Lisippo, ma con
tendenza alla semplicità.

2. =Arcesilao.= — Altro artista greco che lavorò in Roma, contemporaneo
di Pasitele, è Arcesilao, del quale è ricordata da Plinio (XXXV, 155)
una statua di Venere genitrice per il tempio a questa Dea consacrato
da Giulio Cesare nell'anno 46 a. C.[171]. Significante per il carattere
artistico d'Arcesilao è il soggetto d'un opera sua[172]. Aveva scolpito
in marmo una leonessa imbrigliata da genietti o da amorini, dei quali
alcuno traeva la fiera legata, altri la forzavano a bere versando da
un corno, altri la calzavano di pantofole; soggetto che spetta alla
classe delle rappresentazioni scherzose erotiche (ἰρωτοπαίγνια), e che
dimostra ad un tempo la fantasia leggiadra e vivace dell'artista, e la
franca abilità e leggerezza della sua mano, comprovata anche da altra
notizia di Plinio, cioè che di Arcesilao, valentissimo nel plasmare,
fossero ricercati e caramente pagati i bozzetti o modelli. Altra
opera scherzosa ed erotica d'Arcesilao erano i centauri cavalcati da
ninfe. Nel contrasto delle robuste ferine forme della leonessa e dei
centauri con le forme graziose e morbide degli amorini e delle ninfe,
e nella rappresentazione della forza selvaggia domata dall'amore,
trovava l'artista leggiadria e festività di concetto, e opportunità
di sfoggiare nell'esecuzione. Tali erotiche rappresentazioni sono
proprie della poesia anacreontica; ma certamente Arcesilao primeggiò
in questo genere leggiadro e festivo, donde tolsero tanti soggetti e
tante ispirazioni i pittori delle case di Pompei, e i moderni imitatori
dell'arte classica.

3. =Zenodoro.= — Un altro greco, Zenodoro, che aveva tentato con la
statuaria colossale di rialzare l'abilità ormai decaduta della fusoria
nel bronzo, aveva compito un gigantesco simulacro d'Apollo per una
città della Gallia, e con questo aveva meritato d'esser chiamato ad
eseguire il colosso di Nerone, collocato presso la _domus aurea_, dal
quale pare prendesse poi nome il Colosseo.


III. ARTISTI ROMANI.

=Coponio e Decio.= — Scultori di nome latino troviamo ricordati assai
pochi; si possono menzionare Coponio, che ornò il teatro di Pompeo con
quattordici statue, personificazioni di quattordici nazioni, forse
quelle da Pompeo soggiogate; Decio, che sembra aver lavorato statue
colossali. La statuaria di grandiose proporzioni aveva ripreso vigore
sotto i Cesari, non più servendo, come nei tempi più belli dell'arte
greca, all'elevazione dello spirito verso la grandezza del Nume, bensì
ad un fine più terreno, ma non meno grandioso per lo Stato romano, alla
glorificazione dell'immagine dell'imperatore.


IV. L'ARTE DELLE PERSONIFICAZIONI NELLA PLASTICA ROMANA.

In mezzo a tante copie ed imitazioni di lavori greci antichi, che
oggi conservansi nei musei in ripetuti esemplari, non si può però
disconoscere originalità d'invenzione nell'arte romana tanto per le
personificazioni di idee astratte e di cose naturali, quanto per i
ritratti. Quanto alla personificazione di idee astratte, di concetti
tradotti in forme umane, (_Aequitas, Fides, Pax, Securitas, Pudicitia,
Annona_), o anche di ritratti idealizzati sotto forma d'alcuna virtù,
come p. es., le donne delle famiglie imperiali, vi è sempre mirabile la
convenienza degli attributi e delle espressioni.

Entrano in questa classe delle personificazioni anche le imagini di
città, di popoli, di fiumi, di genî dei luoghi, usate quando nelle
pompe e nei monumenti trionfali volevasi in modo visibile significare
la potenza e la vittoria. Entrano in questo novero le quattordici
nazioni di Coponio; e forse abbiamo un saggio di tali rappresentazioni
nella statua di donna pensosa e mesta, conservata sotto la Loggia dei
Lanzi a Firenze, che da alcuno fu creduta Tusnelda, moglie d'Arminio,
da altri una _Germania devicta_. Rappresentazioni di sessanta nazioni
galliche ricordasi che ornarono un altare eretto ad Augusto a Lione.
Questo modo di rappresentazioni può segnare il punto di passaggio
dall'arte greca ad un'arte più veramente romana, cioè alla scultura
storica.


V. L'ARTE DEL RITRATTO IN ROMA.

1. =I ritratti della Repubblica.= — Ma la parte della plastica che
si può dire più originale di tutte in Roma e che durò dai tempi più
antichi della Repubblica fino al decadere dell'impero fu l'arte del
ritratto, nella quale davvero i Romani furono maestri[173].

Rispondeva infatti il ritratto alla loro indole pratica e bramosa
di gloria, e favoriva l'esaltazione storica delle imprese illustri
degli _imperatores_ della Repubblica e dell'Impero. Anche nei busti di
uomini pubblici e privati s'ammira pienezza di vita e corrispondenza
d'espressione fra il volto e il carattere morale. L'uso di porre
imagini ad uomini insigni, ed anche a semplici privati cittadini,
era in Roma assai diffuso, come s'è veduto, dai tempi più antichi,
tanto che i censori dovettero alcune volte proibirle. Se nel tempo
in cui era in vigore lo spirito repubblicano potè aver qualche freno
la costumanza d'onorare di pubbliche imagini i cittadini, questa
s'accrebbe invece col declinare degli usi antichi, quando l'imagine di
Cesare, ancor vivente, fu impressa sulle monete, quando gli stessi suoi
uccisori seguirono quell'esempio, e quando infine ai liberi ordinamenti
succedettero la servitù e l'adulazione.

Allora si moltiplicarono le imagini erette in pubblico a persone
appartenenti alla famiglia imperiale; ma dei tempi della Repubblica
pochi sono i ritratti in forma di busto, o in forma di statua, a
noi conservati; e per quelli che rappresentano persone dei tempi più
antichi, se derivano da un tipo preso sul vero, forse però sono opere
di tempi posteriori, poste ad ornare come ricordi storici i luoghi
pubblici; così, ad esempio, di molte statue di grandi cittadini
romani aveva Augusto abbellito il suo _Forum_. Fra i busti più
antichi ricordiamo quello in marmo raffigurante Cornelio Scipione nel
Museo Capitolino (ved. =Atl.= cit., =tav. LI=), il busto in bronzo
raffigurante Annibale; i busti di Mario, di M. Bruto (ved. =Atl.= cit.,
=tav. LII=), di M. Antonio (ved. =Atl.= cit., =tav. LV=); di M. Agrippa
(ved. =Atl.= cit., =tav. LVII=); di Cesare (ved. =Atl.= cit., =tav.
LIII=); di Cicerone (ved. =Atl.= cit., =tav. LVI=). Oltre un bel busto
del Museo Capitolino, di Cicerone si conserva uno creduto più antico e
di maggiore autenticità nella Galleria di Madrid.

Fra i ritratti in forma di statua vuolsi ricordare la grande statua
di Pompeo, di marmo greco, trovata nell'anno 1555 nel luogo dov'era
il teatro nominato da lui, e conservata nel palazzo Spada. Raffigura
il grande rivale di Cesare in aspetto eroico, cioè ignudo con
la clamide avvolta sul braccio e con appesa al balteo la piccola
spada (_parazonion_); tiene nella destra un globo, attributo del
conquistatore glorioso; nel volto spira tranquillità dignitosa.

Si hanno statue rappresentanti Giulio Cesare, in aspetto eroico ed
anche vestito della toga (ved. =Atl.= cit., =tav. LIV=). Bella assai
è la statua di M. Agrippa, del palazzo Grimani a Venezia; esso pure
è figurato al modo greco eroico, con la clamide e il _parazonion_,
appoggiato ad un delfino, attributo di sue imprese navali; può supporsi
sia il tipo della statua posta ad Agrippa ancor vivo in uno dei
nicchioni dell'atrio del Pantheon.

2. =I ritratti dell'Impero.= — La scultura dei ritratti ci ha lasciato
un gran numero di monumenti dell'età imperiale, rappresentanti i
principi che ressero il romano impero, e persone di loro famiglia (ved.
=Atl.= cit., Tiberio a =tav. LIX= e =tav. LX=). Queste opere, salvo
eccezioni, sono contemporanee delle persone figurate. Vario è il loro
pregio artistico. In quelle del tempo dei primi Cesari si ammira un
aspetto magistrale, pieno di forza e di verità senza studiate finezze;
di grandiosa semplicità, e di stile nobile, quali nella letteratura lo
stile di Livio e di Tacito. Nelle teste giovanili d'Augusto spira una
pensosa fierezza (ved. =Atl.= cit., =tav. LVIII=); torvo e minaccioso
è Caligola (ved. =Atl.= cit., =tav. LXI=); buono ed equilibrato
Trajano. Però gran parte di questi ritratti imperiali sono lavori
manuali, di un carattere ufficiale, poichè provengono da municipî,
da città provinciali, da piccole comunità, quali pubbliche imagini
dell'imperatore e della sua famiglia.

3. =I “simulacra iconica„ e le statue idealizzate.= — Diversi sono i
modi di rappresentazione, nei ritratti, sia per l'atteggiamento, sia
per l'abito. Distinguiamo due classi: l'una di quei ritratti in cui
l'individualità è resa netta ed intera, serbata la realtà dell'aspetto
e dell'abito (_simulacra iconica_); l'altra invece è di quelli, nei
quali la figura individuale è presentata sotto un aspetto idealizzato,
cioè in sembiante di nume o d'eroe; sono queste le statue che per
l'aspetto eroico troviamo da Plinio nominate _Achilleae_, delle quali
già abbiamo ricordato esempio coi ritratti di Pompeo e di Agrippa.

Nelle statue di ritratti idealizzati vediamo una continuazione
dell'arte greca, che in sembianza di nume aveva più volte rappresentato
Alessandro Magno; così anche gli imperatori romani sono figurati
come divinità, ignudi, con scettro o fulmine nelle mani, o stanti o
sedenti, con atteggiamento che talvolta ha qualche rimembranza del
Giove Olimpico. Qualche imperatore, o persona di sua famiglia prende
sembianza di quel nume col quale aveva legami di religione o di favore;
così, p. e., Nerone, citarista e cantore, rappresentato in aspetto di
Apollo; Commodo in sembianza di Ercole con la pelle di leone; Antinoo,
il bellissimo favorito d'Adriano, per la perfezione delle sue forme
e per sentimento d'ossequio o d'adulazione all'imperatore, fu dagli
artisti figurato in variissimi modi. Della grande quantità di statue
consacrate a quel fiore di giovanile bellezza è prova il copioso
numero che ancòra ne resta; fra tutte bellissima è quella ignuda del
Museo Capitolino. Alcune sono in marmo colorato, e dànno esempio della
tendenza alla vivacità dell'effetto, che è un carattere dell'arte
figurativa di questa età. Talora più marmi diversi fra loro erano usati
per distinguere le carni dal vestito, e il marmo colorato qualche volta
aveva poi alcuna casuale relazione con la persona ritratta: così, p.
es., sappiamo che in figura di marmo nero era rappresentato Pescennio
Nigro.

Nella classe dei _simulacra iconica_, ossia dei ritratti riproducenti
la persona nella sua realtà, si distinguono le statue _civili habitu_,
o _togatae_ (ved. =Atl.= cit., =tav. LXIII=), che rappresentano
l'imperatore od altro personaggio in costume di pace, e le statue
_thoracatae_, in costume di guerra. Le statue togate rappresentano
i personaggi romani, specialmente i magistrati e l'imperatore, nelle
loro funzioni civili, oratori o presidenti del Senato. Alcuna volta la
toga è alzata e ravvolta sopra il capo, a modo d'un velo, e mostra il
personaggio nell'esercizio delle funzioni sacerdotali.

Le statue _thoracatae_ presentano l'imperatore nell'abito di guerra,
come condottiero degli eserciti, capo supremo dell'ordine militare,
ora con la destra appoggiata ad una lancia, o reggente lo scettro
con sembianza di vincitore, ora invece con la mano alzata nell'atto
dell'_adlocutio_. Non solo l'atteggiamento era curato perchè la figura
si presentasse in tutta la sua dignità, ma il lavoro delle armature, e
specialmente della lorica e corazza, offriva nuovo campo alla maestria
dell'arte, col raffigurarvi teste di Medusa, grifoni, vittorie, o più
vaste rappresentazioni. Fra le statue _thoracatae_ bellissima è quella
d'Augusto trovata nell'anno 1863 poco lungi da Roma, a Prima Porta, fra
le rovine d'una villa di Livia Augusta, ed ora ammirata in Vaticano.
L'imperatore, alquanto maggiore del vero, veste solo la tunica e la
corazza, ed una clamide che si ravvolge sul braccio sinistro; con la
destra alzata è in atteggiamento dignitoso; la testa spira nobile
espressione; la rappresentazione della corazza per il soggetto e
per l'artistica esecuzione merita lode[174] (ved. =Atl.= cit., =tav.
LXIV=).

Anche delle donne della casa imperiale si conservano molte e assai
belle statue; esse pure sono raffigurate ora nella realtà del loro
aspetto e costume, ora in sembianza di divinità, o in personificazione
di alcuna virtù che loro fosse propria od attribuita. Bellissima fra le
statue femminili è quella di Agrippina seniore nel Museo Capitolino;
sedente con quell'atto di abbandono e di altera virtù propria della
moglie di Germanico. Le vesti scendono in artistiche pieghe, di minuta
finitezza, che mirabilmente disegnano le belle linee del corpo (ved.
=Atl.= cit., =tav. LXVI=).

4. =Statue equestri.= — Una propria classe formano le statue equestri,
le quali in gran numero ornavano i monumenti trionfali, poste nelle
quadrighe o nelle sestighe sull'alto degli archi. Di queste ultime
abbiamo solo rappresentazione in qualche bassorilievo e nelle monete
imperiali. Poche sono le statue equestri conservate; a tutti conosciuta
è quella di Marco Aurelio sul Campidoglio, uno dei maggiori monumenti
dell'arte romana, e sta come modello delle statue equestri per l'arte
moderna. Siede l'imperatore filosofo sul cavallo, con semplicissimo
vestito, senz'armi, placido e sicuro; con espressione di maestosa
dolcezza nel volto, stende la destra in atto di perdonare e di
rassicurare i vinti nemici (ved. =Atl.= cit., =tav. LXV=).


VI. LA SCULTURA STORICA IN ROMA.

1. =Osservazioni generali.= — Anche nelle grandi composizioni dei
bassirilievi che ornavano monumenti storici, si rileva elevatezza
di concetto e sicurezza di composizione artistica nella scultura
romana; anzi si può affermare, senza tema di errare, che sono questi
i documenti dell'arte per sentimento e per esecuzione veramente
romani (ved. p. es. =tav. 68=). I grandi bassirilievi dei monumenti
trionfali, archi o colonne, sono tutti dell'età Imperiale; essi hanno
intima analogia di carattere con le grandi rappresentazioni pittoriche
d'imprese guerresche, esposte in pubblico ad ornamento, come si vede,
della pompa trionfale.

   [Illustrazione: =Bassirilievi marmorei dell'età di Augusto
   dell'ARA PACIS AUGUSTÆ.=

   =Inalzati il 4 luglio dell'anno 23 a. C., dedicati il 30
   gennaio dell'anno 9 d. C. (Villa Medici a Roma).=

   =Tavola 68.=

   Ved. MELANI, _Architettura_, Milano, Hoepli, IIIª ediz.
   pag. 48 e 49, fig. 10 e 11; cfr. PETERSEN, _Römische
   Mittheilungen_, 1894. pag. 171-228; BORSARI, _Topografia di
   Roma antica_, Milano, Hoepli, 1897, pag. 310 e 311.]

Le grandi rappresentazioni di guerre, di pompe regali, di religiose
cerimonie avevano esercitato l'attività dell'arte orientale, come
vedesi nei monumenti Assiri. A questi erasi ispirata in parte l'arte
greca, come vedesi, a cagion d'esempio, nei bassirilievi del monumento
delle Nereidi[175]; ma invece di sviluppare la rappresentazione in
grandi masse di figure, gli artisti greci amarono di dividere la
composizione in singoli gruppi, con un carattere plastico più vero. Gli
artisti romani invece si attennero piuttosto ad una forma pittorica di
composizione estesa e continuata.

Fra i monumenti di scultura storica si devono citare per primi i
bassirilievi dell'arco di Tito: constano di uno stretto fregio che
corre al di sotto dell'attico, con la rappresentazione della pompa
trionfale, e di tre grandi quadri nei lati interni e al sommo della
volta dell'arco, rappresentanti altre scene del trionfo, e l'apoteosi
dell'imperatore (ved. =Atl.= cit., =tav. LXVIII=). Nel fregio sono
scolpiti i tori ornati di _infulae_, condotti dai vittimarî; i
sacerdoti e i ministri del sacrifizio con vasi ed utensili; cittadini
con insegne militari; soldati, che sopra una barella portano la
statua personificante il Fiume Giordano, emblema della vinta regione.
L'invenzione e la composizione del soggetto mancano di spirito e
di vivacità; le figure si seguono allineate, senza vita: più d'ogni
discorso, a intendere la differenza dell'arte greca dall'arte romana,
basterebbe mettere a raffronto i disegni del fregio dell'arco di Tito
con quelli del fregio del Partenone.

Di maggior pregio artistico per concetto e per esecuzione sono i quadri
di rilievo nell'interno dell'arco, dove, nella rappresentazione del
carro trionfale dell'imperatore da una parte, e delle spoglie giudaiche
portate dai soldati dall'altra, vediamo una viva e vigorosa animazione,
una bella varietà di mosse e di atteggiamenti; quantunque per il
soverchio agglomerarsi di figure la composizione prenda del carattere
pittorico piuttosto che del carattere plastico. Sono questi rilievi da
porre fra i più belli esemplari di scultura romana.

2. =I bassirilievi della Colonna Trajana.= — Una singolare estensione
di rappresentazioni storiche svolgesi intorno al fusto della colonna
Trajana, a modo di gran fascia spirale alta un metro e lunga ben
duecento. È una storia figurata delle guerre di Trajano contro i Daci,
illustrata in una serie di oltre cento rappresentazioni, con duemila e
cinquecento figure umane, oltre quelle d'animali e di luoghi. L'impresa
vi è illustrata in tutti i singoli momenti, marcie di legioni, passaggi
di fiumi, costruzioni di ponti, e d'accampamenti, approvvigionamenti
d'eserciti, battaglie, assedî e assalti (ved. =Atl.= cit., =tav. LXIX=;
ved. =tav. XLIX= e la =tav. XXVI= del Manuale di scultura del MELANI),
corti giudiziarie presiedute dall'imperatore, ambascerie, sottomissioni
di vinti, sagrifizî; la figura dell'imperatore ora tiene l'_adlocutio_
all'esercito, or guida la battaglia, o protegge donne e fanciulli[176].

In quest'immensa quantità di figure è una meravigliosa varietà di
motivi, una singolare ricchezza di composizione, un felice studio per
offrire la rappresentazione del soggetto nella sua realtà; varie e
vivaci sono le espressioni dei volti di schietto tipo romano. Si vede
un'arte che intende il vero, e sa esprimerlo con buone forme.

   [Illustrazione: =Bassirilievi dei plutei marmorei o
   “anaglypha„ dell'età di Trajano=

   =posti di fronte l'uno all'altro sul Foro Romano a N.-E. della
   Colonna di Foca, sul luogo ove ritornarono alla luce l'anno
   1872.=

   =Tavola 69.=

   Il 1º bassorilievo, che è qui rappresentato in alto,
   significa l'abbruciamento della lista arretrata dell'imposta
   detta _vigesima hereditatium_; il 2º in basso la benefica
   istituzione di Trajano a vantaggio dei _pueri et puellæ
   alimentariæ_. (Ved. BRUNN-BRÜCKMANN, _Denkmäler griechischer
   und römischer Sculptur_, tav. n. 404, cfr. BORSARI, op.
   cit., pag. 248 e 249). Quanto alle sculture d'animali sul
   rovescio di questi plutei ved. l'_Arte italiana decorativa
   industriale_, diretta da CAMILLO BOITO, Hoepli, anno IX (1900)
   n. 2, tav. VIII.]

   [Illustrazione: =Rilievo marmoreo dell'età di Adriano.=

   (Palazzo dei Conservatori in Roma).

   =Tavola 70.=

   Ved. =Brunn-Brückmann=, _Denkmäler griechischer und römischer
   Sculptur_, n. 405 _a_.]

I medesimi pregi si osservano in alcuni bassirilievi che dal distrutto
arco di Trajano furono trasportati a quello di Costantino, ed anche in
alcuni rilievi rinvenuti nel Foro, l'anno 1872, con rappresentazioni
delle istituzioni alimentarie di Trajano, e del condono dei debiti
delle città italiche verso l'erario imperiale (ved. =tav. 69=).

L'impero di Trajano segna il momento in cui l'arte storica romana
fiorisce; mentre riceve poi un carattere più ideale dall'indirizzo
greco del periodo d'Adriano. Quantunque operosa la buona scoltura
romana anche sotto gli Antonini, presenta già segni di decadenza con un
realismo più volgare, con un'aumentata confusione delle forme e delle
proporzioni, con una certa durezza di disegno.

3. =Altri bassirilievi storici in Roma.= — Ad Antonino Pio avevano
eretto una statua M. Aurelio e Lucio Vero, e se ne conserva la base con
l'apoteosi dell'imperatore; in bassorilievo v'è raffigurata Roma dea,
sedente; di fronte la personificazione del Campo Marzio, luogo della
consacrazione, come giovane giacente che tiene un obelisco; nel mezzo
il genio dell'eternità, con gli attributi d'un globo e d'un serpe,
levasi a volo, e fra le sue ali siedono, in piccola figura, Adriano e
Faustina, con due aquile volanti, simbolo dell'apoteosi. La invenzione
è chiara, l'esecuzione buona, ma povera la disposizione delle figure,
rigido l'atteggiamento del genio, il nudo non bene modellato. Inferiori
ai rilievi della colonna Trajana sono quelli che adornano il fusto
della colonna eretta dal popolo e dal Senato in onore di Marco Aurelio
(ved. =tav. 67=).

   [Illustrazione: =Rilievo marmoreo dell'età di Adriano.=

   (Palazzo dei Conservatori in Roma).

   =Tavola 71.=

   Ved. =Brunn-Brückmann=, _Denkmäler griechischer und römischer
   Sculptur_, n. 405 _b_.]

Rappresentano le imprese dell'imperatore contro i Marcomanni, le varie
scene di guerra, i costumi delle genti germaniche. Per questa ragione
l'opera ha singolare valore come illustrazione storica; ma come opera
d'arte manca di varietà nella invenzione e nella composizione, mostra
minore abilità nell'esecuzione di quella della colonna Trajana. Fra
i molti episodi vi è storicamente importante quello che rappresenta
l'ajuto del cielo (raffigurato come Giove Pluvio) ai Romani contro
i Quadi, con un improvviso acquazzone suscitato dalle preghiere dei
cristiani della _Legio fulminatrix_ (cfr. =tav. 70-71=).


VII. LA SCULTURA SEPOLCRALE IN ROMA. I SARCOFAGHI.

Una classe assai importante di monumenti scultorî dell'età degli
Antonini sono i _sarcofaghi_, in cui deponevansi interi i cadaveri
quando il rito della cremazione già cedeva luogo all'umazione. Sono
anche di pietra capaci di uno o due corpi, sormontati di coperchio, sul
quale è la figura del defunto; prendono talvolta forme architettoniche
di casa, di tempio o d'altare, e si adornano di sculture sulla faccia
anteriore e sulle due laterali minori, restando liscia la faccia
posteriore addossata di solito al muro. Gli ornamenti plastici sono
fiorami, festoni, frutti, puttini, medaglioni coi ritratti dei defunti
e i nomi inscritti in tavolette sostenute da genietti; molti sarcofaghi
hanno vaste rappresentazioni, ora di scene familiari, o mortuarie,
ora di scene mitiche ed eroiche con simboliche relazioni ai funerali e
alle credenze pagane d'oltre tomba, come, p. es., il mito di Endimione
(significante il sonno seguito da un risveglio nella beatitudine
celeste), o il mito di Amore e Psiche (simbolo della trasmigrazione
dell'anima a più felice soggiorno, o dell'anima purificata dall'amore
divino); ed altri tolti dal ciclo Dionisiaco, che però ha sempre
riferimento in tal caso, al tripudio della vita d'oltretomba, sciolta
dai dolori di quella terrena.

Tali rappresentazioni sono assai importanti come fonti per la
conoscenza di nuove idee nella religione romana, e di nuove tendenze
del sentimento.

Ma quanto all'arte questi sarcofaghi, salvo eccezioni, sono opera
manuale o industriale; per lo stile molti accennano alla decadenza
dell'arte, o sono lavori quasi inartistici e fatti alla lesta con
figure affollate, scarsa varietà di motivi, esecuzione negletta,
malgrado il ricordo nella composizione di classici modelli[177].

Noi qui non possiamo che tener conto di quelli eseguiti in buon stile,
che risente ancora dello spirito artistico greco.


VIII. ARTI MINORI.

La buona condizione dell'arte nell'età imperiale fino al tempo
degli Antonini si rende manifesta anche in opere minori, applicate
all'ornamentazione od all'industria, cioè nella toreutica, nel conio
delle monete (ved. =Atl.= cit., =tav. LXX=)[178], nella glittica o
lavoro delle pietre dure e nell'arte dei vetri. Nella glittica si
ricordano come celebri Dioscoride, Erofilo, Eutiche, artisti di nome
e d'origine greca, ed altri ancora. Bellissimi camei si conservano
rappresentanti persone delle case imperiali Iulia e Claudia,
quale è la gemma Augustea del Gabinetto di Vienna, con Augusto in
sembianza di nume, in trono, circondato dalle personificazioni della
Terra, dell'Oceano, dell'Abbondanza, colle imagini di Tiberio e
di Germanico e con legionari romani e prigionieri barbarici (ved.
=Atl.= cit., =tav. LXXI=). Bellissimo è il cameo del Gabinetto di
Parigi, che pur rappresenta Augusto assunto al cielo e accoltovi da
Enea e dal divo Giulio, e più in basso sono figurati Livia, Tiberio,
Germanico, Agrippina, Caligola, e genti barbariche significanti le
vinte nazioni germaniche ed orientali. Si pone con questi il cameo
Olandese, che rappresenta Claudio trionfante con Messalina, Ottavia e
Britannico[179].

Per il lusso delle case e per la straordinaria ricchezza delle
suppellettili la toreutica era in fiore[180]. Cercavansi a gran prezzo
le opere degli antichi maestri greci, e da abili artisti si imitavano.
I nomi degli artisti cesellatori, che di quest'età sono ricordati, sono
greci, e di greco stile sono le migliori opere che ancora ci rimangono.

Sul finire della romana Repubblica la coniazione delle monete acquista
carattere di artistica bellezza. Ma è specialmente nelle monete e nelle
medaglie dei primi due secoli dell'Impero che si ammira la bellezza dei
tipi, dal netto e fine contorno, dallo spiccato rilievo e dalla vivace
espressione delle teste[181].

Dopo gli Antonini, con le agitazioni che portano al reggimento
dell'Impero uomini africani ed asiatici, col prevalente influire
d'elementi barbarici, coll'invadere di nuovi sentimenti ed
ideali religiosi mediante i culti orientali e il grandeggiare del
Cristianesimo, l'arte classica grandemente si altera nello spirito e
nella forma, e piega a quella decadenza che è estinzione dello spirito
e della tradizione antica e preparazione di concetti e di forme nuove.
A preservar l'arte da questo interno lavorío di trasformazione e di
disfacimento non valeva alcun sostegno od impulso esterno di liberali
e possenti fautori; dei quali certamente non vi fu difetto; nei grandi
edifizî imperiali anche dopo gli Antonini all'arte schiudevasi ancora
largo campo in cui svolgere le sue forze. Ma questi favori ben potevano
prolungare la senilità dell'arte classica, non ringiovanirne la
vita, la quale si dissolveva per forza di due elementi, la prevalenza
barbarica e la trasformazione religiosa.


C. — Pittura.


I. OSSERVAZIONI GENERALI. — PITTORI GRECI.

Come la plastica, così la pittura greca invase Roma con le conquiste,
e portò seco il suo carattere speciale, che era quello delle
scuole che sursero alle corti delle città orientali, cui piaceva la
rappresentazione patetica ed erotica. Naturalmente greci erano anche
gli artisti. Timomaco di Bisanzio, ultimo rinomato pittore di scuola
greca, dipinse ai tempi di Cesare; di lui erano assai pregiate alcune
tavole rappresentanti Ajace, Medea, Oreste ed Ifigenia, soggetti, tolti
dal ciclo tragico[182]. Seguono poi artisti di nome romano dei primi
tempi dell'Impero. Alcuni imperatori furono dilettanti di pittura,
quale Nerone, ed anche Adriano, cui piaceva trattare il piccol genere
di _natura morta_, per cui si racconta che l'architetto Apollodoro gli
abbia detto con disprezzo: “Va a dipinger zucche?„ Anche M. Aurelio
s'addestrò nel disegno, avendo avuto insegnamento da maestro greco,
Diogneto.


II. PITTORI ROMANI DELLA REPUBBLICA E DELL'IMPERO.

Se noi ora dalle considerazioni generali e dal favore imperiale dato
alla pittura passiamo a trattare dei singoli pittori romani, vediamo
pur troppo scarso il numero di essi, perchè scarse sono anche le
notizie, anzi pare che i Romani abbiano contribuito, volontariamente o
no, a questa scarsezza di notizie.

1. =Ludio paesista.= — Nei tempi d'Augusto venne in fama Ludio, pittore
di prospettiva e di paesi, che ornava le pareti di vedute campestri e
marine avvivate da piacevoli macchiette. Pare che egli abbia dato un
nuovo e vigoroso sviluppo alla pittura decorativa.

2. =Turpilio veneto, Titidio Labeone Narbonese e altri minori.= — Sono
citate in Plinio anche un veneto Turpilio, di cui ammiravansi opere in
Verona; Titidio Labeone, magistrato nella Gallia Narbonese, rinomato
per piccoli quadretti; Quinto Pedio, ed un Fabullo Amulio, che lavorò
nella _domus aurea_ di Nerone; Cornelio Pino ed Azzio Prisco, che
dipinsero in un tempio all'età di Vespasiano[183]. Plinio aggiunge a
quei nomi alcune notizie di curiosità, insignificanti per il valore
artistico, e nulla più, cosicchè nulla sappiamo dello stile delle loro
opere, nè dell'indirizzo dell'arte loro; pare però che la pittura di
tavole, di veri quadri, in questo tempo fosse trascurata in confronto
della pittura decorativa, richiesta dal lusso delle case e della vita,
ed a cui ben rispondeva la scenografia, o pittura di prospettive con
certo carattere fantastico, quale ancora si vede in alcuno dei dipinti
pompeiani.

   [Illustrazione: =Dipinto della casa di Livia rappresentante Io
   liberata da Ermes.=

   (al Palatino, Roma).

   =Tavola 72.=

   Ved. =Melani=, _Pittura_. Milano, Hoepli 2ª. edizione, tav.
   IX.]


III. I DIPINTI CELEBRI A NOI RIMASTI.

1. =Le Nozze Aldobrandine.= — Non molti, ma però scelti sono i dipinti
che i monumenti ci hanno lasciato per giudicare della pittura in Roma.
Fra questi tiene primo luogo il fresco conosciuto col nome di _Nozze
Aldobrandine_, rinvenuto in Roma nell'anno 1606, posseduto prima dal
cardinale Cinzio Aldobrandi, ed ora conservato in Vaticano (ved. =Atl.=
cit., =tav. LXXII=). Rappresenta i preparativi d'un ricco maritaggio,
secondo il costume greco, e forse il dipinto è copia od imitazione di
alcuna famosa opera greca non pervenuta fino a noi, come parrebbe far
credere l'analogia fra la composizione dell'affresco e quella d'un
basso rilievo sopra un'ara di Villa Albani rappresentante l'unione di
Dioniso e Cora.

2. =I dipinti delle terme di Tito.= — Sono questi dipinti murali
molto distinti che pare siano avanzi ancora intatti delle stanze
della _domus aurea_ di Nerone, con motivi ornamentali di festoni,
meandri, intrecciamenti, dai quali dicesi che Raffaello togliesse il
concetto dei bellissimi suoi fregi scoperti nelle Logge Vaticane. Buoni
esempi di composizioni di soggetto mitologico, chiuse dentro riquadri
architettonici ornamentali con intrecci di festoni e di fiorami, si
hanno nelle stanze sul Palatino scoperte nell'anno 1869[184].

   [Illustrazione: =Dipinto pompeiano=

   rappresentante una Amazzone seduta.

   =Tavola 73.=

   Ved. =Melani=, op. cit., fig. 11, pag. 43.]

   [Illustrazione: =Parete dipinta di una casa romana=

   =messa allo scoperto nella Villa Farnesina (Museo Nazionale
   alle Terme).=

   =Tavola 74.=

   Ved. MELANI, _Pittura_, op. cit., 2ª ediz., tav. XI.]

3. =I dipinti della Villa di Livia a Prima Porta.= — Buon saggio di
pitture di verzure e di vedute, nel genere in cui fu perfetto Ludio,
e forse anche opera di questo stesso artista, offrono le pareti della
Villa di Livia a Prima Porta, scoperta nell'anno 1863. La pittura
gira continua sulle quattro pareti d'una camera; questa pare fosse
destinata a godervi la frescura nei caldi estivi, e quindi volevasi in
essa produrre l'illusione d'un giardino, dipingendovi alberi da frutto,
meli, melograni, alberi da ornamento, e uccelli che volano, cantano,
covano nei nidi; manca la figura umana. Vi si ammira un tratteggio
molto fine, un pennelleggiare largo e fermo, con giusta distinzione
nella diversa qualità dei frondeggi (ved. =tav. 74= per uno stile
analogo al precedente nella villa La Farnesina)[185].

Altri dipinti di verzure e giardini che simulano d'esser veduti
nell'incorniciatura di finte finestre furono scoperti sull'Esquilino,
dov'erano gli Orti di Mecenate. In queste pitture decorative v'è
pure pregio di mano esperta nel disegno, di correttezza delle forme
e dei contorni, con un fino sentimento del valore e degli effetti del
colorito; scarso pare l'effetto del chiaro scuro e quindi del rilievo,
e l'arte è convenzionale, di maniera ornamentale, che non procede da
profonda conoscenza della natura.

4. =Gli affreschi murali d'Ercolano e di Pompei.= — Dove però si può
studiare con maggior messe di confronti la pittura greca in Roma è
dagli affreschi d'Ercolano e di Pompei, che per buona parte oggi si
conservano trasportati nel Museo nazionale di Napoli. Questi dipinti
sono veramente prodotti dell'arte greca (ved. =tav. 73=), perfino
in qualche caso i nomi dei pittori, o le iscrizioni sono greche. Di
soggetti romani (fatta astrazione dalle scene della vita familiare)
non si ha qualcuno se non in via di eccezione, cioè una pittura che si
crede raffigurare Sofonisba e Massinissa, ed alcuna altra che sembra
prendano motivo dall'_Eneide_; gli altri soggetti derivano tutti dal
mito greco. Sono riproduzioni, o variazioni di modelli più antichi: il
concetto e la composizione si mostrano spesso di un valore superiore a
quello dell'esecuzione. Pompei non aveva pittori di singolare valore,
ma artisti manuali di sufficiente abilità[186]. I modelli, sulla cui
guida lavoravano i pittori di Pompei, sembra fossero le opere degli
artisti della scuola fiorita nel tempo dei successori di Alessandro,
detta alessandrina od ellenistica. La società romana tolse per sè i
modi di ornamentazione greca, forse con più sontuosa ricchezza, ma
con minor senso dell'arte. I soggetti preferiti dall'arte che facevasi
elegante, graziosa, e dagli artisti, che avevano portato a perfezione
l'abilità tecnica, erano i miti patetici ed erotici (ved. =tav.
72=), le scenette da idilio, le galanterie e gli amorini, soggetti
che appaiono prediletti anche nella letteratura alessandrina per la
correlazione evidente fra tutti i rami dell'arte, e specialmente fra
i poeti e i pittori nella scelta di soggetti analoghi di linea e di
pittura, p. es., l'episodio dell'abbandono di Arianna che risale a
Callimaco, narrato da Catullo, ripetuto negli affreschi pompeiani.
Se non chè, essendo questa pittura romana imitazione della greca nel
concetto e nelle forme, non solo il dipinto veniva spesso da greca
fonte letteraria, ma l'affresco pompeiano proveniva da celebre dipinto
greco; come, p. es., dicesi di quello di Medea che medita l'uccisione
dei figli, il quale deriva da una famosa tavola di Timomaco di
Bisanzio; un altro rappresentante il sacrifizio d'Ifigenia offre i
caratteri ben conosciuti del quadro di Timante (ved. =Atl.= cit., =tav.
LXXIII=); e altre pitture pompeiane possono essere illustrate da molti
versi dell'_Antologia greca_ dedicati alla descrizione di famosi quadri
antichi. Oltre i soggetti tolti alla mitologia ed alle leggende greche,
abbondano le scene della vita pompeiana, le vedute di paesi e di marine
(ved. =Atl.= cit., =tav. LXXV=; cfr. la nostra =tav. 78=), le pitture
d'animali e di natura morta.

   [Illustrazione: =La Battaglia d'Isso (?) tra Alessandro Magno
   e Dario III di Persia=, avvenuta nell'anno 333 a. C.

   =Musaico rinvenuto nella casa del Fauno a Pompei, ed ora nel
   Museo nazionale di Napoli.=

   =Tavola 75.=

   Ved. MELANI, _Pittura_, Milano, Hoepli, 2ª ediz., tav. III.]

   [Illustrazione: =Scene della vita di palestra=

   =Dipinte in un pavimento a mosaico rinvenuto a Frascati=
   (Tusculum).

   =Tavola 76.=

   Ved. MELANI, _Pittura_, op. cit., 2ª ediz., tav. XIV.]

   [Illustrazione: =Parete dipinta nella casa della “Parete nera„
   a Pompei.=

   =Motivo parietale del triclinio.=

   =Tavola 77.=

   Ved. MELANI, _Pittura_, op. cit., 2ª ediz., tav. XII.]

   [Illustrazione: =Scena di paesaggio antico.=

   =Dipinto rinvenuto sull'Esquilino (ora nella Biblioteca
   Vaticana a Roma).=

   =Tavola 78.= — Ved. MELANI, _Pittura_, op. cit., 2ª ediz.,
   tav. X.]

5. =Dei quadri “di genere„.= — Nelle rappresentazioni di scene
della vita reale, o, come si direbbe, nei soggetti di _genere_, si
distinguono due modi: Alcune sono un abbellimento della realtà, una
tendenza all'idealismo anche nella rappresentazione di cose volgari,
(scene di vendemmia, di caccia, dell'esercizio dei mestieri di
falegname, di panattiere, di calzolaio, ecc.), fatte per mezzo di
genietti e di leggiadri amorini (ved. =tav. 58=), e questi sono opere
più conformi allo spirito greco; altre pitture invece mostrano tipi
comuni e reali, con carattere realistico; e queste sono rispondenti
allo spirito ed al gusto romano. Comune poi ad entrambi gli indirizzi
artistici è l'uso frequente appunto nei dipinti pompeiani di
quadri architettonici, di fregi, arabeschi, ornamenti fantastici,
intramezzati da figure grottesche e da piccole vedute, secondo l'uso
invalso nell'età d'Augusto. Le pareti hanno un fondo monocromo, di
rosso carico, di giallo, talvolta anche d'azzurro o di nero (ved.
=tav. 74-77=); svelte colonnine, ghirlande e festoni a colori vivi
segnano i riquadri; in basso corre una fascia a modo di zoccolo, e
un'altra fascia a modo di fregio si estende in alto. Nel mezzo del
campo così delimitato è dipinto il quadro, ovvero spiccano isolate
figure volanti, leggiere, aeree di danzatrici, di Amori, di Ninfe, di
Menadi, di Centauri, di Satiri, di donne spargenti fiori. Il colorito
è chiaro, vivace; nel colorito, nella disposizione, nelle belle forme
delle figure, nel vivo sentimento che spirano, v'ha un effetto gaio,
armonico, il soffio e l'attrattiva d'una vita piacevole, gioconda
qual era quella che i Greci godettero come vincitori, e poi come
vinti, e insegnarono agli austeri Romani, a poco a poco ingentiliti
e ammolliti in un gusto artistico di moda (ved. =Atl.= cit., =tav.
LXXVI-LXXVII=)[187].

   [Illustrazione: =Casa dell'edile Pansa= (Pompei).

   =Tavola 79.=

   Ved. =Melani=, _Architettura_, IIIª. ediz., pag. 145 e fig.
   73.]

   [Illustrazione: =Casa dell'edile Pansa a Pompei.=

   (Sezione longitudinale)

   =Tavola 80.=

   Ved. =Melani=, _Architettura_, op. cit., IIIª. ediz., pag.
   147, fig. 74.]

   [Illustrazione: =Atrio della casa di Sallustio=

   a Pompei.

   =Tavola 81.=

   Ved. =Melani=, _Architettura_, op. cit., pag. 148, fig. 75.]

   [Illustrazione: =Il “Septizonium„ di Settimio Severo.=

   Edificio decorativo sul Palatino (_ricostruzione_).

   =Tavola 82.=

   Il _Settizonio_ fu distrutto sotto Sisto V. Ved.
   =Schneider=, _Das alte Rom_, XIII, 9; Cfr. 46º _Berliner
   Winckelmannsprogramm_. di =Hülsen-Gräf= (tav. IV).]


TERZO PERIODO.


A. — Architettura.

L'impero degli Antonini segna la decadenza delle arti in Roma. A volta
si rianima anche dopo l'attività edificatrice nell'Impero romano; ma
sempre maggiore è la deviazione dalle forme architettoniche antiche
e l'introduzione di elementi nuovi, con prevalenza del pomposo e del
ricco in luogo del semplice e del bello. Si moltiplicano le forme
e gli elementi accessorî degli ornamenti, la chiarezza del pensiero
architettonico si offusca; mensole a sostegno di statue, colonne per
semplice ornamento posate su cornicioni sporgenti, colonne e pilastri
finti, un moltiplicarsi di archi posanti sulle colonne dànno ricchezza
e varietà agli edifizî, che rimangono ancora mirabili per solida e
sontuosa grandiosità. Testimonianza di tali caratteri dànno le notizie
e le ruine dei grandi edifizî posteriori agli Antonini, che in gran
numero abbellirono Roma e le città dell'Impero.

1. =Il Settizonio.= — Settimio Severo a piedi del Palatino fece erigere
il _Septizonium_, del quale rimanevano ancora grandi avanzi nel secolo
XVII. Sembra fosse un edifizio sepolcrale di ricchissimo lavoro a sette
ordini di colonne (ved. =tav. n. 82=).

2. =L'arco di Settimio Severo.= — Di varî archi costruiti sotto
Settimio Severo esiste ancora quello trionfale, che all'imperatore
ed ai figli suoi Caracalla e Geta fu eretto dal Senato e dal popolo a
piedi del Capitolino, nell'estremo del Foro romano. Messo a confronto
coll'arco di Tito dà prova evidente di quel gusto sontuoso che faceva
deviare dalle norme della semplicità antica. Sono tre le arcate, una
grande mediana fiancheggiata da due minori; ne risulta che il monumento
ha proporzioni maggiori in larghezza che non in altezza, formando una
massa grandiosa ma alquanto greve. Le due fronti sono ornate di quattro
colonne d'ordine composito, su cui posa la sporgenza del cornicione;
negli spazî intermedî fra le colonne s'inquadrano molti bassirilievi
rappresentanti le vittorie riportate contro i Parti, gli Arabi, gli
Adiabeni (ved. per l'epigrafe: S. RICCI, _Epigr. lat._ =tav. XLIII=).

3. =L'Arco di Costantino.= — Le medesime forme e il medesimo stile
vedonsi nell'arco di Costantino presso il Colosseo, che, eretto dopo
l'anno 312 in ricordo della vittoria riportata da Costantino contro
Massenzio a Ponte Milvio, può riguardarsi come il monumento che
inaugura la ricognizione del Cristianesimo; straricco di statue e di
bassirilievi, ma non genuino, perchè per la fretta del costruire, o per
l'impotenza dell'arte, porta seco molte opere plastiche tolte dall'arco
di Trajano; perciò nell'arco di Costantino, con un anacronismo strano,
trovansi insieme raccolti i saggi di due momenti dell'arte romana,
nei quali i buoni lavori dell'età di Trajano in confronto con quelli
dell'età più tarda mostrano la decadenza dell'arte in Roma (ved.
=Atl.= cit., =tav. LXXVIII=); per l'epigrafe S. RICCI, op. cit., =tav.
XLIV-XLV=[188].

   [Illustrazione: =Pianta del Circo di Massenzio a Roma=

   (conosciuto sotto il nome di “Circo di Caracalla„).

   =Tavola 83.=

   Ved. =Melani=, _Architettura_ cit., pag. 123, fig. 67.]

   [Illustrazione: =Pianta delle Terme di Caracalla a Roma.=

   =Tavola 84.=

   Ved. =Melani=, _Architettura_ cit., pag. 121, fig. 66; cfr. idem.
   tav. XI (_“Frigidarium„ delle Terme di Caracalla a Roma, secondo
   una ricostruzione ideale_).]

4. =Le Terme di Caracalla e di Diocleziano e le loro opere d'arte.=
— Testimonianza dei grandiosi monumenti di quest'età dànno le rovine
delle Terme di Caracalla, fra il Celio e l'Aventino, il più grande e
più splendido edificio balneare che fosse in Roma (ved. =Atl.= cit.,
=tav. LXXIX=). Alimentate dall'acqua che passava sull'arco di Druso,
comprendevano le terme di Caracalla ampî spazî aperti e gran numero
di vastissime e sontuose sale, e porticati destinati, oltrechè ai
bagni, anche ad esercizî ginnastici, a giuochi, ad academie e a dotte
riunioni. Tutti i porticati e le sale erano ornati con singolare
ricchezza di opere d'arte, di grandi mosaici, e di sculture de' più
insigni maestri dell'antichità (ved. =tav. 84=). Dalle rovine delle
terme di Caracalla e da altri edifici si trassero il gruppo del Toro
Farnese, l'Ercole di Glicone, il torso di Belvedere, per non dire di
molte altre opere minori[189].

Ma nemmeno queste sontuose terme[190] non bastarono al lusso ed alla
mollezza romana; altre nuove e ancor maggiori ne edificò Diocleziano;
in una delle ampie sale di queste terme fu poi inalzata la chiesa di S.
Maria degli Angeli[191]. E altre ancora ne costrusse Costantino.

Alle cause interne che alteravano o svigorivano lo spirito dell'arte
ancòra se ne aggiungevano di esterne; già erano incominciate le
invasioni barbariche oltre i confini dell'Impero, e ai tempi di
Gallieno eransi spinte fino al settentrione d'Italia; in pari tempo
l'Impero era scosso all'interno, come fu nella lunga contesa dei
trenta tiranni. Per queste due cause di fatto cresceva ed estendevasi
l'attività edificatrice, sia per munire con opere di difesa le città
minacciate ed anche la stessa capitale, sia per abbellire nei lunghi
respiri di pace queste ed altre città, che, o nello smembramento
dell'Impero o per importanza strategica della loro posizione, erano
elette a sede di principi. Ma in queste città gli elementi nuovi, le
straniere o barbariche influenze acquistarono sopra le forme antiche
una prevalenza sempre maggiore, e l'architettura romana, considerata
nei suoi elementi estetici, alteravasi appunto con l'estensione
maggiore. Al principiare del III secolo crebbero in importanza e
s'abbellirono di molte opere Milano, Verona, Treviri, Cartagine,
Nicomedia, Petra sul Mar Rosso, Antiochia ed Eliopoli, e Tadmor, o
Palmira in Siria.

5. =Le rovine di Palmira.= — Quest'ultima città, fondata ai tempi
di Salomone, cioè nell'XI sec. a. C., divenne un grande emporio
commerciale, fu sede dell'Impero del re Odenato e della regina Zenobia,
e venne da Aureliano conquistata l'anno 273 d. C.; fra le sue grandiose
rovine sorgenti nel deserto ammirasi lo stile corinzio del III secolo.

   [Illustrazione: =Pianta del Palazzo di Diocleziano a Spalato.=

   =Tavola 85.=

   Ved. =Melani=, _Architettura_, cit., pag. 177, fig. 76.]

6. =Il palazzo imperiale a Spalato= (_o Spálatron_). — Splendido
esempio dell'architettura romana ai tempi di Diocleziano abbiamo nelle
grandi reliquie del palazzo imperiale a Spalato (ved. =tav. 85=).
Quello che già fu osservato per Adriano potrebbe ripetersi anche
per Costantino, cioè che, se per favore di principe l'arte potesse
rifiorire, nuovo splendore avrebbe trovato al tempo in cui, trasferita
la capitale a Bisanzio, l'imperatore ornava la sua città di molti e
grandiosi edificî, di fori, d'ippodromi, di terme, di circhi, d'archi
e di colonne trionfali, affinchè degnamente rivaleggiasse con Roma,
mentre restorava altre città dai danni patiti, e fondava scuole per
lo studio delle arti. Ma invece con Costantino l'arte classica ha suo
fine; nel IV secolo il mondo pagano in sèguito alla proclamazione
del Cristianesimo si dissolve; nasce l'arte cristiana. Il tempio
dell'antico politeismo più non risponde al nuovo pensiero religioso,
e si costruisce la basilica cristiana, che non ha di comune con
la pagana se non il nome, e si sviluppa e si forma per altri e ben
diversi ufficî. Uno spirito nuovo informava l'arte, che non spezzava
interamente il legame con l'antico, bensì tramutavasi con un lento e
graduale svolgimento, poichè il pensiero animatore dell'arte mutava,
ma le forme dell'espressione rimanevano ancora antiche, e, malgrado
l'aborrimento dei Cristiani, era inevitabile che questi usassero
materiale antico e pagano per riedificare ed ornare i nuovi monumenti.
L'arte classica si spense col cessare di quelle forze che in Roma
le avevano dato rinvigorimento di vita. La potenza politica romana
trasse a sè la vita artistica del mondo ellenico; se non chè, siccome
il centro della vita politica era spostato a Bisanzio, l'opera di
spogliazione della Grecia continua, ma la preda è trasportata nella
nuova capitale dell'Impero, dove Costantino e Teodosio cercano di dare
nuovo impulso all'arte, e dove essa più da presso sente gli influssi
orientali e barbarici, dai quali si sviluppa lo stile bisantino.

   [Illustrazione: =L'Arco di Giano Quadrifonte all'ingresso del
   Foro Boario a Roma= (verosimilmente dell'età costantiniana).

   =Tavola 86.= — Ved. =Strack=, _Baudenkmäler des alten Rom_,
   tav. 32; cfr. =Borsari=, _Topografia di Roma antica_, Milano,
   Hoepli, 1897, pag. 371-372.]

   [Illustrazione: =Pianta della Basilica di Costantino a Roma.=

   =Tavola 87.=

   Ved. =Melani=, _Architettura_, pag. 115, fig. 64.]


B. — Plastica.

Nelle opere di plastica dopo gli Antonini fino a Diocleziano splende
spesso ancòra bellezza di forme e vigoria d'espressione. Le statue
eroiche di Pertinace, di Alessandro Severo, di Elagabalo, e quelle
di Giulia Mammea, di Giulia Soemia in aspetto di Venere, di Giulia
Domna in sembiante di Pudicizia tengono i pregi di forza o di
eleganza dell'arte classica. Ma le sculture dopo Diocleziano mostrano
l'offuscamento del senso delle belle forme, dell'armonia delle
proporzioni, della vigoria delle linee e del rilievo.

Non mancavano già all'arte cure e favori, chè anzi sappiamo come ai
tempi di Libanio si disertassero le scuole di retorica e di filosofia
per correre a quelle di disegno e di pittura; ma le alte mercedi ai
maestri non dànno ispirazione all'arte, la quale ha i suoi momenti di
decadenza o di transizione e di trasformazione, contro cui non vale
opera alcuna di Mecenati.

La plastica antica fu una divinizzazione della bellezza corporea; ma
la nuova religione prevalente nel mondo romano iniziò un'era nuova, e,
aborrendo dalla bellezza corporea, esaltava soltanto la bellezza dello
spirito, la quale non pareva, come parve agli antichi, rivelarsi nella
bellezza esterna, bensì più viva rifulgere quando una bell'anima viveva
in un corpo vile e deforme. La scultura dell'arte cristiana perdette
quindi il pregio che viene dall'amore sentito per la forma, e quasi ne
fu abbandonato l'esercizio, giacchè per l'ornamentazione delle chiese
si diede preferenza alla pittura e al grande musaico[192].


C. — Pittura.

La pittura dell'ultima età classica non ci ha lasciato di sè documenti;
cosicchè dalle pitture pompeiane passiamo ai dipinti delle catacombe,
i quali nell'esecuzione e in certi elementi decorativi sono ancòra
prodotti dell'arte classica, ma per il contenuto della rappresentazione
sono documenti dell'arte cristiana. Assunta poi la pittura alla piena
luce della basilica, perdette ogni memoria dell'antica tradizione
artistica, e si trasmutò in quello stile secco e severo, a cui si
estende, sebbene non propriamente, l'epiteto di bisantino. L'arte
classica però non giacque spenta; risorse, e col suo _rinascimento_
portò a nuova grandezza l'arte in Italia[193].

   [Illustrazione: =La “Sacra Via„ del Foro Romano durante gli
   scavi recenti a Roma.=

   =Tavola 88.= (da fotografia).]



=APPENDICE.=

=Degli scavi e delle scoperte recenti sul Foro Romano.=


METODO ED ESTENSIONE DEGLI SCAVI RECENTI.

Già da molto tempo era stata riconosciuta dai dotti la necessità di
iniziare degli scavi sistematici e strettamente scientifici sull'area
del Foro Romano, perchè vi si potesse leggere la storia di Roma dal
periodo della monarchia a quello del Basso Impero con sicurezza di dati
archeologici ed epigrafici, ma solo per mezzo dell'intelligente energia
dell'on. ex Ministro Baccelli e della rara competenza dell'architetto
Boni poterono avere effetto e conclusioni scientifiche durature.

Il Boni, coadiuvato da un'eletta schiera di valenti archeologi ed
epigrafisti, sorretto dalla fiducia e dall'aiuto dell'ex Ministro e
del Governo, scelse come criterio archeologico di ricerca l'esame
stratigrafico del Foro, saggiando sempre per mezzo della sezione
verticale dei pozzi la successione degli strati archeologici e
geologici, in modo da tener conto d'ogni minimo particolare sulla
natura, sulla provenienza e sull'impiego dei materiali antichi,
cosicchè questi, alla luce della storia e della critica archeologica,
poterono essere meglio vagliati e studiati, e in base a questo studio
poterono essere operati gli scavi definitivi.

Bisogna pertanto attendere dalle pubblicazioni ufficiali le notizie
sicure sull'orientazione e sulla cronologia dei varî monumenti, con la
nuova sistemazione dei quali è legato ormai indissolubilmente il nome
dell'onor. Baccelli e dei benemeriti archeologi romani.

In poco meno di due anni, i risultati degli scavi del Foro furono
notevolissimi, perchè misero alla luce il famoso _niger lapis_, o
strato di pietra nera, di cui fu selciata parte del Foro, la stele
ormai celebre per la difficoltà della sua interpretazione, i _rostra_
del Comizio e l'ara di Cesare, le celle sotterranee del tempio di Vesta
e la _domus publica_, la _Regia_, la nuova sistemazione delle cloache e
il ritrovamento di una cloaca anteriore a quella _maxima_, e orientata
diversamente da questa, nonchè la nuova direzione della _Sacra Via_ non
sempre identica a quella tradizionalmente creduta come tale.


LA “SACRA VIA„

Incominciamo da questa maggiore arteria del Foro. Se ne è modificata
la direzione in sèguito allo sterro eseguito dinanzi la Basilica di
Costantino; si è distinta la parte di costruzione dell'epoca imperiale
da quella antichissima repubblicana, e si sono rinvenuti due muri di
fondazione che intersecavano la Via Sacra e tra i due muri vestigia di
edifici distrutti, di cui uno del periodo repubblicano, a costruzione
reticolata (ved. =tav. 87=).

   [Illustrazione: =Veduta esterna del “niger lapis„ scoperto a
   Roma= negli scavi recenti sul Foro Romano.

   =Tavola 89.= (da fotografia).]

“La vita secolare e intensa del popolo che finì col dominare il mondo
antico — scrive l'arch. Boni[194] — dovette mutare l'aspetto primitivo
della piccola valle in cui sorsero il Comizio, il Foro e i Sacrarî
di Stato, e la cui struttura geologica ha per certo influito nel
distribuire i centri della vita religiosa, civile e politica romana,
sul percorso della _Sacra Via_, che li collegava„.

Perciò si credette opportuno nell'eseguire il rilievo della _Sacra Via_
di fare anche quello di tutti gli edifici adiacenti, nell'area compresa
fra il _Colosseum_ e il _Tabularium_, e questo rilievo fu eseguito nel
maggio scorso[195] da quarantasei alunni del secondo corso della Scuola
d'applicazione degli ingegneri della R. Università di Roma, divisi
in cinque squadre, sotto la direzione del prof. Reina, coadiuvato da
cinque assistenti della Scuola stessa[196], ed è qui riprodotto nella
nostra =tavola n. 96=.

Gli scandagli che intanto l'architetto Boni andava compiendo
confermarono che “i ruderi visibili rappresentavano l'ultimo
capitolo di uno dei più preziosi libri della storia umana, sepolto
sotto selciati medioevali rifatti nel Cinquecento, o più di recente
sofisticati; e sotto un fitto velo di terriccio e di lastrami di
pietra, che dinanzi alla storia hanno il valore delle imbiancature che
in certe chiese ricordano le pestilenze del Seicento, ma nascondono gli
affreschi di Giotto„[197].


IL “COMITIUM„ E IL “NIGER LAPIS„.

Intimamente connesso con la _Via Sacra_ è il _Comitium_, che
l'architetto Boni sterrò alacremente, mettendo allo scoperto la
parte anteriore della chiesa di S. Adriano fino al livello attribuito
all'imperatore Diocleziano. Ritornò in luce dinanzi alla chiesa il
pavimento del Comizio e un'importantissima iscrizione, che si reintegra
_c]uriam sen[atus_. Oltre ritrovamenti di blocchi di travertino
dell'età repubblicana e di molti pozzetti sull'area del Comizio, ciò
che più interessa è il ritrovamento del _niger lapis_, che si credette
sùbito la tomba di Romolo e fu oggetto di discussioni molte e vivaci
(ved. =tav. 89=).

   [Illustrazione: =Il cippo inscritto rinvenuto sul Foro
   Romano.=

   =Tavola 90.=

   Ved. =Domenico Comparetti=, _Iscrizione arcaica del Foro
   Romano_. Firenze-Roma. Bencini. 1900, fig. a pag. 7.]

Da un lato il Boni, il Vaglieri ed altri dotti sostennero potersi
il _niger lapis_ riferire di fatto alla tomba di Romolo, dall'altro
lato l'Hülsen in una conferenza all'Istituto archeologico germanico
dimostrò doversi attribuire a Massenzio, restauratore come Costantino
dell'antichità, e tanto l'Hülsen quanto il Pais più recentemente
sostennero trattarsi di una dedica a Marte non a Romolo, per cui i
dotti concluderebbero che il niger lapis possa essere un lastricato,
fatto anche in tempo più tardo, ma a memoria del luogo sacro che,
secondo le tradizioni antichissime, e forse per qualche scavo fortuito,
era indicato quale tomba di Romolo: questo restauro verosimilmente si
attribuirebbe a Massenzio.


LA STELE INSCRITTA DEL COMIZIO.

Sotto il _niger lapis_ si rinvennero basamenti decorati con gola
etrusca e congiunti da una striscia di tufo formante gradone e con
altri oggetti e frammenti un cippo di tufo in forma di tronco di
piramide quadrangolare a spigoli sfaccettati, con la iscrizione di
dubbia interpretazione, che affaticò lo studio e l'ambizione di molti
dotti (ved. =tav. 90=).

Riferire qui tutta la bibliografia relativa al _niger lapis_ e
soprattutto all'epigrafe in questione sarebbe assunto impari alla mole
di questo _Manuale_ e alle mie forze: basti dire che il chiarissimo
prof. Tropea, che con sagace intendimento seguì e riunì tutti i lavori
relativi alla stele arcaica[198], riunì la cronaca delle discussioni in
tre articoli o parti, e l'argomento non è ancora esaurito.

Dirò soltanto che non solo gravi furono e sono tuttora i dubbi circa
il significato e la interpretazione dell'epigrafe, ma anche circa la
cronologia dell'epigrafe stessa, che molti vollero determinare con
criterî puramente archeologici.

La rottura del cippo e la manomissione dei basamenti sarebbero dovuti,
secondo il Boni (che ne fece insieme col Gamurrini e col Ceci una
_Relazione_ ufficiale[199]), a un'opera di distruzione violenta e
premeditata, che fu poi espiata con un sacrificio. Ora si credette,
ben vagliando i detriti del sacrificio, di fissare la data, ma il Pais
prima[200], il dott. Savignoni poi[201] riconobbero che il criterio
della stipe votiva non dev'essere quello esclusivamente scientifico da
seguire, in quanto che è incerto e abbraccia un periodo di tempo troppo
esteso.

   [Illustrazione: =L'iscrizione della stele del Comizio,
   rinvenuta negli scavi del Foro Romano.=

        16 (b) oiviovio d . . . . . . . .
        1 quoi ho (n) [ce . . . . . . .
        . . . . s] akros es-
        3 ed sord . . . . . . . . . . . . .
        a (i f) as
        5 regei (lo) . . . . . . . . . . .
        mave . . . . . . . . . . . . . . .
        7 quos r(i) . . . . . . . . . . .
        . . . . . . . m kalato-
        9 rem ha(b) . . . . . . . . . .
        . . . . . . . (i)od iouxmen-
        11 ta kapia[d] dota v . . . .
        m. iter (pe) [r . . . . . . . . .
        13 . . . . . . . (m) quoi ha-
        velod nequ [oi . . . . . . . .
        15 . . . . . . . o [d] diou estod.

   =Tavola 91.= — Ved. D. COMPARETTI, _Iscrizione arcaica del
   Foro Romano_, tav. di fronte alla pag. 8.

   N.B. — L'iscrizione è una riproduzione fototipica del disegno
   esatto di tutte le faccie dell'epigrafe, ridotte ad un
   sol piano, ed ha di fianco la trascrizione per agio degli
   studiosi. Le parentesi tonde segnano le lettere incomplete o
   incerte, le quadre segnano le complementari.]

“In conclusione — scrive il Savignoni — abbiamo una suppellettile la
cui cronologia varia dal VI secolo (e per qualche caso forse anche dal
VII) al secolo I av. Cr.; per altro i gruppi più abbondanti sono il
più antico e il più recente. Tutti gli oggetti descritti furono trovati
confusi insieme nello strato di cenere e carboni, non già stratificati
a seconda delle loro diverse epoche; sicchè si tratta evidentemente
di un materiale, non già proprio di un deposito formatosi a mano a
mano, ma lì trasportato da altra parte e tutto in una volta ad uso di
riempimento. Il che viene confermato dal fatto che esso è un materiale
in massima parte frammentario, e che degli oggetti più grandi ed
importanti, come, p. es., del vaso greco con Bacco, abbiamo non già
tutti o quasi tutti i frammenti, bensì il contrario, ossia solo qualche
frammento.

“Il luogo che doveva essere ricolmato e coperto ha tutta l'apparenza
di un luogo sacro; e non senza intenzione sarà stato adibito per ciò,
prima d'ogni altra cosa, un materiale anch'esso evidentemente sacro,
preso da una o più stipi votive, e frammisto ad abbondanti resti
di sacrifici: il che, oltre a contribuire al rialzamento del suolo
secondo le nuove esigenze topografiche, faceva sì che si conservasse,
quasi sotto sigillo, alla divinità quello che la pietà romana le aveva
dedicato.

“Ciò avvenne dopo che il luogo stesso era stato devastato, e dopo che
più tardi fu sgombrato dai rottami dei monumenti venerandi, i resti dei
quali sono rimasti nascosti da quel tempo fino ai dì nostri.

“Ma quando avvenne non è facile precisare; io mi limito a notare che
per la soluzione del problema è d'uopo, a mio avviso, tener d'occhio
piuttosto il materiale più recente che il più antico.„

Riconosciuto incerto il criterio della stipe, i più si volsero a
spiegare epigraficamente e glottologicamente l'epigrafe. Primeggiano
in questo lavoro, dopo la _Relazione_ del prof. Ceci, i proff. Pais e
Comparetti, i quali pubblicarono studî riassuntivi e geniali che fanno
onore alla scienza italiana[202].

Ma l'Hülsen, il Milani, il Ceci, il Gamurrini, il Mariani, il De
Cara, il De Sanctis e altri ancòra[203] non cessarono di aggiungere
ciascuno osservazioni proprie alla critica altrui, e da tutta questa
congerie di opinioni e di lavori ne venne la conclusione, fino a nuovi
risultati esaurienti, che l'epigrafe della stele ha carattere sacro,
e si riferisce al luogo ove sorge, e che l'area dove sorge era sacra
a Marte, e quindi anche a Romolo, non escludendo che in tempo tardo
abbiano voluto, con quei residui di stipe votiva e col selciato nero
sovrapposto, meglio consacrare alla venerazione dei posteri un luogo
consacrato già dalla tradizione patria. Per me l'iscrizione non è tanto
antica, nè tanto recente quanto alcuni vorrebbero, ma è piuttosto
del principio della Repubblica che non della Monarchia, o del tempo
dell'incendio gallico, e contiene senza dubbio prescrizioni e divieti
di carattere sacro, del genere così chiaramente esposto dal senatore
Comparetti„ (ved. =tav. 91=)[204].

Fra le varie e talora opposte opinioni che furono esposte in proposito
un'altra merita di essere ricordata non solo per la sua originalità,
ma anche per l'intima relazione che ha con tutto il complesso della
religione, del diritto sacro e della storia prisca di Roma, l'opinione
del ch. prof. Milani, direttore del R. Museo archeologico di Firenze e
degli scavi di Etruria[205].

La scoperta quasi contemporanea di un simile _locus sacer_ a Fiesole,
della quale diede conto all'Accademia dei Lincei, rende la sua
interpretazione evidente. Secondo un'ipotesi già emessa, il cosidetto
sepolcro di Romolo sarebbe originariamente il _mundus_, o centro
augurale della città, costituito _etrusco ritu_, di cui parla Dionigi
d'Alicarnasso.

In Roma vi erano due _mundi_ antichissimi, uno sul Palatino e l'altro
nel Foro; quest'ultimo era stato coperto da un'ara, che il Milani
riconosce nel postamento di tufo dietro le note basi sagomate. Questo
postamento dell'ara sta probabilmente sopra un lastricato che copriva
il _mundus_, detto _lapis manalis_, e questo _lapis_, di cui si coprì
il _mundus_ e il _templum romuleum_, venne naturalmente considerato
nella tradizione popolare come l'_heroon_, ossia il sepolcro di Romolo.

   [Illustrazione: =Veduta delle differenti strutture= che
   costituiscono il rudere del Sacrario di Vesta sul Foro Romano.

   =Tavola 92.=

   Ved. _Notizie degli Scavi di antichità_, maggio 1900, 163,
   fig. 5.]

L'importanza grande di cui parla il Milani starebbe anche nel fatto
che il _lapis manalis_, il _mundus romuleus_, le basi sagomate, su
cui stavano i _duos leones_, di cui parla Varrone, e su uno dei quali
stava la pietra, simbolo aniconico e feticio di _Tellus_, dea della
vita e della morte, tutto questo insieme monumentale costituisce il
_templum augurale_ etrusco, quale conosciamo da Marziano Capella e
da un ricordato _templum_ sacerdotale di Piacenza, ed ha riscontro
e spiegazione nel rilievo monumentale coi leoni della porta
settentrionale di Micene, che il Milani dichiarerebbe un emblema
araldico della città micenea e un indice religioso dei sepolcri degli
Atridi, trovati presso detta porta (ved. =tav. 8= e cfr. =tav. 9=).

Quanto al Foro Romano, le cose sarebbero rimaste intatte finchè, per il
naturale rialzamento del suolo e per le esigenze delle nuove fabbriche,
secondo il piano regolatore del Foro di Giulio Cesare, furono obbligati
a rialzare il livello del _niger lapis_ di 60 centimetri.

Venendo poi alla epigrafe della stele piramidata, egli la dichiara
dell'età regia e probabilmente serviana (_lex regia_); ma questa
conclusione parte dall'analisi della stipe votiva, che non risponde a
quella fatta dal dott. Savignoni.

Il Milani pertanto avrebbe ragione per conto suo, se rimanessero salde
le basi cronologiche della stipe, da lui assegnata parte al secolo VIII
e VII av. C. e parte al VI. “Nessun oggetto della stipe vera e propria
esiste, secondo egli afferma in modo assoluto, che possa riferirsi ai
secoli V, IV, III e II a. C. Esistono soltanto dei cocci eterogenei
alla stipe del secolo IV e I a. C.; quelli del IV si riferirebbero al
primo _conseptum maceria_, fatto per sostenere il _lapis_; quelli del I
al tempo di Cesare.

E il Milani a questo proposito conclude eloquentemente che questi
ultimi cocci del I secolo a. C. mostrano appunto “che vi è stato
un rimaneggiamento e un rialzamento del _lapis_, riducendolo di
proporzioni, ma curando che le sacre reliquie, raccolte intorno al
_mundus_ e al _templum_ dei re di Roma, si conservassero intatte, là
dove erano, tra i monumenti dei re„.


IL TEMPIO DI VESTA E LA “DOMUS„ DELLE VESTALI SECONDO LE RECENTI
ESPLORAZIONI.

Su questo argomento così interessante per la storia di Roma, potè
riunire tutti i risultati più importanti degli ultimi scavi lo stesso
direttore di questi, l'illustre direttore Boni in uno dei fascicoli
delle _Notizie degli Scavi_[206].

La _aedes Vestae_ possedeva il focolare dello Stato e sorgeva al basso
della falda settentrionale del Palatino: il fuoco veniva alimentato
_diebus noctibusque_ dalle vergini Vestali, con legname di quercia o
d'altro albero.

Il rudere del Sacrario di Vesta aveva subìto squarci notevoli, e
giaceva sotto il peso di ostinate definizioni, contro le quali si
ristudiò con metodo e con scavi opportuni, facendo tornare in luce
la favissa centrale o _cella penaria_, la platea circolare del podio,
avanzi di sacrifici e confini del temenos, in modo da poter studiare
le strutture di età diverse, e determinare l'ampiezza dell'edificio
al quale appartengono i frammenti architettonici che si conoscono, che
sono parte del tardo restauro imperiale.

Il Boni, nel lavoro magistralmente condotto che ho sopra citato, dopo
averci dato l'_aedes Vestae_ e i ruderi attigui, i quali appaiono da
una sua fotografia fatta a 500 metri d'altezza con un pallone del Genio
militare, e dopo avere rappresentato il _Sacrario di Vesta_ quale si
vede in un bassorilievo della Galleria degli Uffizi; stabilisce in
due clichés distinti la veduta del Sacrario di Vesta nel 1898 e quella
stessa, quale risulta dalle ultime esplorazioni, ben determinata nei
suoi differenti strati archeologici corrispondenti alle differenti
strutture, che costituiscono il rudere del Sacrario stesso (ved. =tav.=
cit. =92=). Seguono la pianta e le sezioni: una traversa il _cardo_,
l'altra traversa il _decumanus_.

Il calcolo di cinquanta piedi di m. 0,29574 per il diametro di m.
14,80 circa della muratura riposante sulla platea circolare del rudere
confermò l'opinione più volte espressa dall'illustre Pigorini, che
i terramaricoli, popolo divenuto italico prima degli Etruschi e dei
Greci, avessero un'unità metrica corrispondente circa al piede romano
di m. 0,2963, e che tracciassero le loro costruzioni in base a questa
unica misura.

La parte più antica del rudere del Sacrario di Vesta si deve attribuire
ai Flavî, come mostra l'analogia dell'_opus quadratum_ con quello del
_templum Sacrae Urbis_.

Il nucleo severiano è composto invece di scheggioni di tufo gialliccio,
a struttura pisolitica; la favissa, o _cella penaria stercoraria_,
ha pianta quadrangolare, quasi trapezoidale, e fa ricordare la forma
della _Roma quadrata_, quella del _niger lapis_ e della città dei
terramaricoli, illustrate dal Pigorini. L'angolo acuto della favissa
di Vesta è rivolto a nord-ovest, e si deve confrontare con l'angolo
acuto dell'_agger_ nelle terremare, il quale serviva come spartitore
dell'acqua, che ne alimentava la fossa. È incerto l'uso della favissa,
ma l'averla trovata senza aperture laterali, piena di resti di
sacrificio e di vasi etrusco-campani, potrebbe far credere o al _locus
intimus_, ove dovevano stare gli oggetti misteriosi (le sacra fatalia
col Palladio e i Penati portati da Troia, che avrebbero trovato posto
comune in quelle specie di sotterranei), oppure al luogo dove tenevansi
custodite le spazzature e i rifiuti animali, finchè al 15 giugno si
portavano alla _Porta Stercoraria_ del Clivo Capitolino.

   [Illustrazione: =Base dell'ara della “Basilica Iulia„=
   recentemente scavata sul Foro Romano.

   =Tavola 93.= (da fotografia).]

Gli avanzi frammentosi del restauro Severiano e forse di un altro più
tardo ancora, potrebbero venire rialzati a posto, qualora si avessero
dati più certi del loro postamento e l'altezza dei piedestalli. I
frammenti rimasti sono in marmo lunense e il Boni ne dà le riproduzioni
in zincotipia.

La ricostruzione in ogni modo doveva essere di tempio circolare con
tetto a cupola, di cui si scopersero pure frammenti, cosicchè noi
possiamo ancora passare attraverso le modificazioni dei restauri
architettonici al _Sacrarium_ della _Regia_, contenente il fuoco sacro
con la tradizionale arcaica forma dell'urna a capanna del periodo
italico preromano, a pareti intessute di vimini e a pali ritti di legno
per sbarrare la capanna e per aggiungerle una specie di portico coperto
(cfr. =Atlante= cit., =tav. VII=).


ALTRI CENTRI MINORI D'ESCAVO.

L'attività dell'architetto Boni e de' suoi bravi operai si rivolse
inoltre al luogo del rogo di Cesare, ai _rostra_, dove si scopersero
quattro gradini di fondamenta delle vestigia curvilinee che già
conosciamo e alla _Basilica Iulia_ (ved. =tav. 93=).

La _Regia_, questo centro religioso e politico di Roma monarchica,
fu pure oggetto di cure speciali, che portarono al ritrovamento di
una struttura quadrata in tufo con rialzo circolare nella superficie
superiore, una specie di altare, o di _sacrarium_ della _Regia_, forse
il luogo di custodia delle tradizionali aste di Marte (ved. =tav.
94-95=).

   [Illustrazione: =La “Regia„ e un tratto della “Sacra Via„
   durante gli scavi recenti del Foro Romano.=

   =Tavola 94= (da fotografia).]

   [Illustrazione: =Scavi recenti sull'area della “Regia„ al Foro
   Romano.=

   =Tavola 95= (da fotografia).]

Molto vi sarebbe a dire anche sulla _Basilica Aemilia_, per la quale
rimando al lavoro esauriente dell'illustre prof. Lanciani[207]. Mi
preme soltanto di far notare che si rinvennero le gradinate per le
quali si accedeva a una specie di basamento rotondo, molto logoro, che
si crede un sacello. Inoltre fu messa allo scoperto meglio di prima la
grande aula della _Basilica_, col pavimento in marmo africano, porta
santa e giallo antico.

Maggior luce venne inoltre con gli ultimi scavi alla storia della
costruzione del _templum Antonini et Faustinae_, del quale uscì nella
sua primitiva grandezza lo stilobate, e si potè studiare tutto il
perimetro, essendo ora isolato.


LA “CLOACA MAXIMA„.

Una conseguenza non inaspettata, ma in ogni modo fortunatissima degli
scavi sistematici del Foro Romano fu lo studio profondo e minuzioso
di tutto il sistema stradale del centro della vita romana, nonchè di
quello sotterraneo con lo scavo delle cloache e dei pozzetti che misero
in luce la complicata canalizzazione della fognatura e dello scolo
delle acque in Roma.

Mi limiterò solo ad accennare al fatto importantissimo, messo in luce
dalle ricerche del Boni, che la _cloaca maxima_ (ved. =tav. 47=),
risulta costrutta di massi tolti da edifici repubblicani; non sarebbe
stata opera dei re Tarquinii, ma lavoro dell'ultimo periodo della
Repubblica, mentre l'antica cloaca che si attribuisce ai Tarquinii pare
esista in un altro luogo, ove si vedono vestigia considerevoli più a
levante della _maxima_. Quella prima grande cloaca sarebbe stata poi
abbandonata quando i Romani costrussero la _Basilica Aemilia_.


                                 FINE.


   [Illustrazione: SACRA · VIA · ET · CONTINENTIA · AEDIFICIA

   =Tavola 96.= — Rilievo grafico generale dello stato attuale
   del Foro Romano, risultante dalla connessione a penna nella
   scala di 1:500 dei rilievi altimetrici parziali, eseguiti
   l'anno 1900 dagli alunni della R. Scuola d'applicazione degli
   ingegneri in Roma nell'area compresa tra il Colosseo e il
   _Tabularium_. (Cfr. _Notizie degli Scavi_, giugno 1900, pag.
   220 e segg.).]



NOTE:

[1] Ved. MARQUIS DE NADAILLAC: _Moeurs et monuments des peuples
préhistoriques_. Parigi, Masson, 1888, pag. 4; SALOMON REINACH, _Le
Musée de l'empreur Auguste_ (_Revue d'anthropol._ di Parigi, Serie
terza, IV, pag. 28-36); ETTORE REGALIA, _Sul Museo dell'imperatore
Augusto_ (_Arch. per l'antrop._, XIX). Firenze, 1889.

[2] Le indicazioni bibliografiche intorno agli studî di paletnologia
e di archeologia preistorica in Italia si trovano tutte raccolte,
almeno quelle di opere pubblicate avanti al 1874, e diligentemente
ordinate nelle due utili pubblicazioni del professore LUIGI PIGORINI,
_Bibliografia paleoetnologica italiana dal 1850 al 1871_; e _Matériaux
pour l'histoire de la paléoethnologie italienne_. Parma, 1874. — Dopo
l'anno 1874 si consulti soprattutto il _Bullettino di paletnologia
italiana_, diretto appunto dall'illustre Pigorini, pubblicazione che fa
onore al nome italiano, e che contiene, oltre le relazioni sugli scavi
varî e sui nuovi ritrovamenti, anche una bibliografia paletnologica
molto accurata in ordine cronologico. Uno studio generale, ma
abbastanza esatto, della paleoetnologia, si trova nel Manuale Hoepli di
Innocenzo Regazzoni. Milano, 1885; più recente e dotto il bel lavoro
d'indole generale del ch. E. BRIZIO, _Storia politica d'Italia; epoca
preistorica_. Milano, Vallardi, 1899-1900.

[3] Esemplari vari e numerevoli di queste figure trovansi, p. es., al
R. Museo di Antichità di Torino, nelle sale delle antichità preromane,
provenienti da Lomello. Cfr. _Atti della Società di Archeologia e Belle
Arti_ per la provincia di Torino.

[4] Molte e chiare riproduzioni grafiche di questi oggetti di uso e
d'ornamento dei popoli preistorici d'Italia si trovano nel magistrale
Album del Montelius, unito all'opera: OSCAR MONTELIUS, _La civilisation
primitive en Italie, depuis l'introduction des métaux_: I Parte:
_Italie Septentrionale_, Stokholm. Imprimerie royale, 1895 (Testo e
Atlante). Da questo atlante riproduco qui qualcuna delle tavole più
importanti inserite nel testo.

[5] Sull'esistenza di questo popolo nella vallata del Po scrissero un
libro importantissimo gli archeologi ALESSANDRO BERTRAND e SALOMONE
REINACH, _Les Celtes dans les vallées du Pô et du Danube_. Parigi,
Leroux, 1894. Ved. per le antichità di Golasecca e Castelletto Ticino
le tav. 6 e 7.

[6] =Bibliografia sulle terremare=: Sulla loro costituzione e sulla
storia della loro scoperta ved. PIGORINI, op. cit.; cfr. _Nuova
Antologia_. 1870, pag. 347: _Boll. Ist. Corr. archeol. di Roma_,
1876, pag. 107: G. CHIERICI, _Le antichità preromane della provincia
di Reggio nell'Emilia_, 1871; cfr. _Boll. cit. di paletnologia ital.,
passim_, specialmente le prime annate. — Sulla questione etnografica,
si consulti, per l'opinione che i terramaricoli fossero Umbri: W.
HELBIG, _Die Italiker in der Poebene_, Leipzig 1879; per l'opinione
che fossero piuttosto Liguri: E. BRIZIO, _Nuova Antologia_. aprile e
ottobre 1880 (_Liguri nelle Terremare_); la _Coltura_, fasc. II, 1881.
Oltre i lavori generali di NICOLUCCI, _La stirpe ligure in Italia_, e
di MARIOTTI, _Sugli scavi di Velleja_, cfr. L. SCHIAPARELLI, _Le stirpi
Ibero-Liguri nell'Occidente e nell'Italia antica_, 1880.

[7] Ved. tav. 10 a pag. 31, e cfr. tav. 9 a pag. 30.

[8] Cfr. la figura qui di fronte, e GOZZADINI, _Di alcuni sepolcri
della necropoli felsinea_, pag. 20; cfr. BERTRAND-REINACH, _Les Celtes
dans les vallées du Pô et du Danube_. Parigi, Leroux, 1894. — Per
Micene, Ved. anche _Atl. di arte greca_, Manuali Hoepli, tav. IV, e la
figura a pag. 29 (tav. 8).

[9] Ved. DESOR, _Revue archéolog._, 1871, pag. 409. L'opera esauriente
sull'argomento è quella di ANTONIO ZANNONI, _La Fonderia di Bologna_.
Testo e Atlante. 1888.

[10] Circa l'opinione sostenuta precedentemente che l'opera appartenga
alla civiltà etrusca, ved. ZANNONI, _Scavi della Certosa_, CONESTABILE,
_“Compte rendu„ del Congresso di Bologna_, 1871; pag. 272. Ved. oggetti
funebri del periodo etrusco della Certosa in Bologna più avanti, nelle
tavole che illustrano la parte etrusca.

[11] Per i sepolcreti umbro-felsinei, ved. E. BRIZIO, _Monumenti
archeologici della provincia di Bologna_, nell'opera: _Appennino
bolognese, descrizioni e itinerarî_, Bologna, 1881, pag. 208; G.
GOZZADINI, _Sepolcri dell'Arsenale_, Bologna, 1875, e _Scavi Arnoaldi
Veli_, 1877; A. ZANNONI, _Scavi Benacci_, nel _Bollett. di Corr.
Arch._, 1875, pag. 177 e 299. Per gli oggetti di questi e di altri
ritrovamenti, ved. il Museo Civico di Bologna, che ha una sala
speciale pei _Monumenti della necropoli felsinea_, e cfr. il _Catalogo
scientifico del Museo_ dello stesso ch. prof. BRIZIO. Per la situla
istoriata ved. specialmente _Scavi della Certosa_, atlante, tav. XXXV.

[12] Anzi per il Gozzadini Villanova è dei Proto-etruschi (sec. X-IX;
ved. op. cit. a pag. 6, 52), mentre per lo Zannoni è di diverse genti
in epoche successive (_Boll. Ist. Corr. Arch._, 1875, pag. 46, 713);
per il Desor e per il Brizio, degli Umbri (_Grotta del Farnè_, pag.
46).

[13] Cfr. FR. GNECCHI, _Monete romane_, Milano, Hoepli, 1896, 1ª ediz.,
pag. 15 e segg.; cfr. S. AMBROSOLI, _Numismatica_, Milano, Hoepli,
1895, pag. 79.

[14] Che siano rasoi, crede lo ZANNONI, _Bollett. Ist. Corr. Arch._
1875, pag. 45; cfr. ibidem, pag. 14, l'opinione dello Helbig, che crede
importato l'uso del radersi per mezzo del commercio (cfr. _Atti Accad.
Lincei_, 1879-80, pag. 180) mentre pel prof. Lignana fu patrimonio
comune degli Arii (_Boll. Ist. Corr. Archeol._ 1875, pag. 16).

[15] _Boll. Ist. Corr. Arch._, 1875, pag. 51.

[16] Intorno alla necropoli di Villanova ved. GOZZADINI, _La nécropole
de Villanova découverte et décrite_. Bologna, 1890; cfr. _Boll. Ist.
Corr._, 1875, pag. 270: A. FABRETTI, _Archivio Storico italiano, Nuova
Serie_, Tom. I, parte 1, pag. 220; tom. IV, parte 1, p. 227.

[17] Ved. HELBIG, _Boll. Ist. Corr. Arch._, 1875, pag. 14 e 15.

[18] _Compte rendu du Congrès de Bologne_, 1871, pag. 195, 445 e segg.;
cfr. MICHELE DE ROSSI, _Boll. Ist. Corr. Archeol._, 1867, pag. 5; 1868,
pag. 116; 1871, pag. 247; cfr. _Annali Ist. Corr. Arch._, 1876, pag.
324.

[19] Intorno alle urne-capanne ved. ALESS. VISCONTI, _Atti Accad. rom.
d'Archeol._, parte 2ª; P. NICARD, _Revue Archéologique_, 1876, pag.
337; LISCH, _Über die Hausurnen...._, 1856; GHIRARDINI, _Notizie degli
Scavi_, 1881, 1882; R. VIRCHOW, _Über die Zeitbestimmung der italischen
und deutschen Hausurnen_, Berlino, 1883; A. TARAMELLI, _I cinerarî
antichissimi in forma di capanna scoperti nell'Europa_ (_Rendic. della
Accademia Lincei_, V, vol. II, classe di scienze morali); O. MONTELIUS,
_Zur ältesten Geschichte dés Wohnhausés in Europa, speciell in Nordin_
(_Arch. f. Anthrop._, XXIII).

[20] Ved. _Ann. Istit. Arch._ 1871, pag. 34-53. Cfr. GNECCHI, op. cit.,
pag. 19 e segg.; AMBROSOLI, op. cit., pag. 80 e segg.

[21] Ved. la _casa Romuli_ del Palatino rispondente alle descrizioni di
Dionigi (I, 78) e di Ovidio (_Inst._ III. 183): _Quare fuerit nostri,
si quaeris, regia nati | Aspice de canna viminibusque domus_.

[22] Si sono rinvenuti oggetti simili a questo, in bronzo a Corneto
Tarquinia.

[23] Ved. GHIRARDINI, _Notizie degli Scavi_, febbraio 1883.

[24] Ved. A. STOPPANI, _L'ambra nella storia e nella geologia_.
Milano, 1886; _Bull. di paletn. ital._, XII (1886), pag. 47 e segg.;
XIII (1887), pag. 21 e segg.; HELBIG, _Commercio dell'ambra_, pag.
10; id., _Das homer. Epos_, 2ª ediz., p. 89; BLÜMNER, _Technologie_,
ecc., II, pag. 385; BARNABEI in _Monum. ant._, IV, col. 386 e segg.; S.
RICCI, _Oggetti ornamentali provenienti dal territorio di Golasecca_
in _Bull. di paletn._, XXI (1895), pag. 89 e segg.; J. SZOMBATHY,
_Zur Vorgeschichte des Bernsteins_. Vienna, 1895; KLEBS, _Der
Bernsteinsschmuck der Steinzeit_; HOERNES, _Urgesch. d. bild. Kunst_.
Vienna, 1898, pag. 21 e segg.; 124, 128, 316, 376.

[25] Ved. L. BENVENUTI, _Museo euganeo-romano di Este_, 1880;
PROSDOCIMI, _Notizie degli Scavi_, 1882, pag. 5 e segg.; _Boll. Ist.
Corr. Arch._, 1881, pag. 70; HELBIG, _Bollett. Ist. Corr. Arch._, 1882,
pag. 74. Il Ghirardini completò e modificò alquanto nella maggiore e
più chiara distinzione sua quella dei quattro periodi Prosdocimi in
_Notizie degli Scavi_, 1888.

[26] Ved. intorno a queste scoperte interessantissime il lavoro dello
HELBIG, _Boll. Ist. Corr. Archeol._, 1875, pag. 233.

[27] Ved. _Boll. Ist. Corr. Arch._ 1835, pag. 216; cfr. GAMURRINI e
CONESTABILE, _Sopra due dischi di bronzo italici_, ecc. (_Memorie R.
Accad. di Scienze di Torino_, XXXVIII, 1876, serie II); cfr. il recente
ed ottimo lavoro dello GSELL, _Fouilles de Vulci_. Parigi, 1891.

[28] Ved. su Corneto-Tarquinia: GHIRARDINI, _Notizie degli Scavi_,
1881, pag. 342; 1882, pag. 136: HELBIG, _Boll. Istit. Corrispond.
Archeolog._, 1882.

[29] Cfr. pag. 40 e =tav. 15=.

[30] Cfr. FR. GNECCHI, =Monete romane=. Milano, Hoepli, 1900. 2ª ediz.,
pag. 85-89.

[31] Per gli scavi della Certosa ved. specialmente l'opera dell'ing.
A. ZANNONI, _Scavi della Certosa_, descritti ed illustrati. Bologna,
1876; C. CONESTABILE, _Compte rendu du Congrès_, pag. 263; E. BRIZIO,
_Bollett. C. A._, 1872, pag. 12 seg.; _Monumenti archeologici della
provincia di Bologna_, 1881.

[32] Intorno a Marzabotto ved. C. GOZZADINI, _D'un'antica necropoli
a Marzabotto_, Bologna, 1865; _Nuove scoperte a Marzabotto_, Bologna,
1870; C. CONESTABILE, _Rapport sur la Nécropole... in Compte rendu du
Congrès..._, pag. 242; cfr. G. CHIERICI, _Antichità preromane della
provincia di Reggio d'Emilia_, in cui l'autore espone l'opinione, in
parte dibattuta, che Marzabotto fosse un borgo abitato.

[33] Intorno a Cacrilio ved. HELBIG, _Die Italiker in der Poebene_,
pag. 125, con l'appendice del LÖSCHCKE su quel figulinaio.

[34] Ved. parte etrusca. Intorno alle ciste ved. CAVEDONI, _D'una cista
di Castelvetro_ in _Ann. Ist. Corr. Arch._, 1842, p. 67 (cfr. 1847,
pag. 71); ZANNONI, in _Memorie R. Accademia delle Scienze di Torino_,
1876, vol. XXVIII, pag. 111; HELBIG, _Bronzi di Capua_ in _Annali
dell'Ist. di Corr. Arch._, 1880, pag. 223, 240, ecc.; cfr. _Annali Ist.
Corr. Archeolog._ 1881, pag. 214.

[35] Ved. SEMPER, _Der Stil_, citato nella _Bibliografia_ che precede
questo Manuale, pag. 9.

[36] G. C. CONESTABILE, _Sopra due dischi di bronzo antico italici del
Museo di Perugia_ in _Memorie dell'Accad. delle Scienze di Torino_,
Tom. XXVIII (1876), serie II, pag. 26 e segg.; cfr. CONZE, _Zur
Geschichte der Anfänge der Griech. Kunst_, Vienna, 1870.

[37] HELBIG, _Sulla provenienza della decorazione geometrica_ in _An.
Ist. Corr. Arch._, 1875, pag. 221 e segg.

[38] Ved. CONZE, sostenitore più tardi di un primo studio di disegno
e ornamento geometrico presso tutti i popoli in _Ann. Ist. Corr.
Archeol._, 1877, pag. 354 e segg. (sopra oggetti di bronzo trovati nel
Tirolo Meridionale).

[39] La voce greca che genericamente indica “seppellire„ cioè θάπτειν,
nel valore primo della sua radicale ταφ, dice “ardere, abbrucciare„, ed
ha per riscontro la rad. _tep._ di _tep-eo_ e _tep-idus_ nel latino,
e per riprova τέθρα, “la cenere„ e l'uso della voce θάπτειν in senso
d'incenerire i morti, presso Omero (_Iliade_, XXI, 323: _Odissea_, XII,
12. XXIV, 417).

[40] Per es., nelle sepolture umbro-felsinee e di Villanova la
proporzione sarebbe di 4 umati per 100 combusti.

[41] Questo risulta da esplicita dichiarazione di Cicerone nel _de
legibus_ (II, 22), ripetuta da Plinio (_h. n._ VII, 54). Nel libro XI
dell'_Eneide_, Virgilio descrive i funerali dei caduti nella battaglia
fra Rutuli e Troiani: nel campo troiano tutti i morti sono arsi, nel
campo italico molti arsi e molti sotterrati.

[42] Ved. J. GRIMM, _Über das Verbrennen der Leichen_, in _Atti
Accad._, Berlino, 1849, pag. 191; BIONDELLI, _La cremazione dei
cadaveri_ in _Rivista italiana di Scienze e Lettere_. Milano, 1874; J.
MARQUARDT, _Handbuch der römischen Alterthümer_ (B. VIII, Th. I), pag.
330 e segg.

[43] Sui Pelasgi ved. A. VANNUCCI, _Storia dell'Italia antica_, vol.
I; L. SCHIAPARELLI, _I Pelasgi nell'Italia antica_, Torino, 1879;
MICALI, _L'Italia avanti il dominio dei Romani_, I, pag. 181; II, pag.
157; _Storia antica dei popoli italici_, I, pag. 195; PETIT RADEL,
ved. _Il Museo pelasgico d'Italia e d'altre regioni_ (Biblioteca
Mazarino a Parigi); cfr. _Bollettino e Annali dell'Ist. Corr. Arch.
di Roma_, 1829, 1830, 1831; C. A. DE CARA, _Le necropoli pelasgiche
d'Italia e le origini italiche_, Roma, 1894; V. DI CICCO, _Le città
pelasgiche nella Basilicata_ (in _Arte e Storia_, gennaio, 1896);
L. MAUCERI, _Sopra un'acropoli pelasgica esistente nei dintorni di
Termini Imerese_. Palermo, 1896; A. C. DE CARA, _Gli Hethei-Pelasgi
in Italia_. Opuscoletti varî tratti dalla _Civiltà Cattolica_, serie
XVI, vol. XI-XII; E. LATTES, _Di due nuove iscrizioni preromane trovate
presso Pesaro in relazione cogli ultimi studî intorno alla quistione
tirreno-pelasgica_, con 3 tavole (_Rendic. d. Acc. Lincei_, Classe
di Scienze morali, Ser. V, vol. II e III). Cfr. PIGORINI in _Boll. di
paletnol. ital._, 1889, fasc. 7-9, pag. 201-202 (_Le città pelasgiche
italiane_).

[44] Intorno agli Etruschi ved. C. O. MÜLLER, _Die Etrusker_ e nei
_Kleine deutsche Schriften_, vol. I, pag. 129; G. SCHWEGLER, nella
_Römische Geschichte_, volume I; MICALI, _Storia dei popoli italiani_,
vol. I; VANNUCCI, _Storia dell'Italia antica_, vol. I; NÖEL DES
VERGERS, _Les Etrusques_. Ved. l'esposizione delle più recenti opinioni
sugli Etruschi in uno studio del prof. BERTOLINI, _Nuova Antologia_
(maggio 1872). — Per l'arte etrusca in generale ved. C. O. MÜLLER, _Die
Kunst der Etrusker_ (_Kunstarchaeologische Werke_, vol. 3º, pag. 118) e
LANZI, _Saggio di lingua etrusca_, 1824, vol. 2º; Cfr. MARTHA, _Manuel
d'archéologie étrusque et romaine_. Paris Quantin, s. a.; _L'arte
étrusque_. Parigi, Firmin, Didot, 1889.

[45] Per le citazioni classiche, ved. NÖEL DE WERGERS, _L'Étrurie et
les Étrusques_, 2 vol., 1862.

[46] E. BRIZIO, _La provenienza degli Etruschi_ in _Atti_ cit., e
_Nuova Antologia_, 1890; ora, recentemente, in _Storia politica
d'Italia, Epoca preistorica_, Milano. Vallardi, 1899-1900, pag.
CXXXVIII-CXXXX.

[47] J. MARTHA, nell'_Art étrusque_, già citata.

[48] Ved. _Annali_, 1883, pag. 5-104.

[49] Ved. O. MÜLLER, _Die Etrusker_; CORSSEN, _Die Sprache der
Etrusker_, 1870-72; DEECKE, _Etruskische Forschungen_; DEECKE e PAULI,
_Etruskische Forschungen und Studien_; PAULI, _Altitalische Studien_.
Pei lavori del Lattes, cfr. la pagina seguente, not. 1.

[50] Ai lavori già citati dell'illustre Lattes (cfr. pag. 99 e 107),
aggiungiamo qui alcuni altri dei principali, che mostrano chiaramente
la sua attività e competenza nel campo dell'epigrafia e glottologia
etrusca dal 1890 fino ad oggi (cfr. un mio cenno nella _Rassegna
Nazionale_ dell'ottobre 1895). — 1890: Iscrizione metrologica di
un'anfora (_Rend. Ist. Lomb._). — 1891: Epigrafia e note di epigrafia
etrusca; La nuova iscrizione sabellica; La grande iscrizione del
cippo di Perugia tradotta ed illustrata; Un'iscrizione etrusca alla
Trivulziana (_Rend. Ist. Lomb._) — 1892: Le iscrizioni paleolatine dei
fittili e dei bronzi di provenienza etrusca (_Memorie Ist. Lomb._);
Primi appunti ermeneutici intorno alla Mummia di Agram (_Atti della
Regia Accademia di Scienze, Torino_). — 1893: Saggi ed appunti intorno
all'iscrizione etrusca della Mummia (_Memorie Istituto Lombardo_) —
1894: L'iscrizione etrusca della Mummia e il nuovo libro del Pauli
intorno alle iscrizioni tirrene di Lemno (_Rendiconti dell'Istituto
Lombardo_); L'ultima colonna della iscrizione etrusca della Mummia
(_Memorie R. Accad. Scienze, Torino_). — 1895: Etrusca _φui Fuimu_
per lat. _fui, fuimus_ (_Rend. Istit. Lomb._); Studî metrici intorno
all'iscrizione etrusca della Mummia (_Memorie Ist. Lomb._); Il vino
di Naxos in una iscrizione preromana dei Leponzi in Val d'Ossola
(_Atti R. Accad. Scienze, Torino_): I giudizi dello Stolz e del
Thurneysen.... e i nuovissimi fittili di Narce (_Riv. di Filologia e
d'Istruzione class._). — Inoltre nei volumi IV, V e VII degli _Studi
italiani di Filologia classica_ il Lattes pubblicò varî lavori critici
sugli otto fascicoli del nuovo _Corpus Inscriptionum Etruscarum_.
— 1896: Recensione dei primi quattro fascicoli come sopra (_Riv. di
Filologia e d'Istruz. class._); Le iscrizioni latine col matronimico
di provenienza etrusca (_Atti R. Accad., Napoli_); Ueber das
Alphabet und die Sprache der Inschriften von Novilara (_Hermes_, vol.
XXXI). — 1899: Di un'iscrizione etrusca trovata a Cartagine; di due
antichissime iscrizioni etrusche testè scoperte a Barbarano di Sutri;
La iscrizione anteromana di Poggio Sommavilla; Il numerale etrusco
θυ ecc.; Primi appunti sulla grande iscrizione etrusca trovata a S.
Maria di Capua (_Rendic. R. Ist. Lomb._). — Indagatore intelligente
ed esatto è uno scolaro del Lattes, ex-allievo della nostra Accademia
Scientifico-Letteraria, il dott. Bartolomeo Nogara, autore del
libro _Il nome personale nella Lombardia_, il quale da parecchi anni
inserisce nei nostri annuari dell'Accademia delle succinte _Relazioni_
intorno ai suoi viaggi epigrafici nei centri italiani rappresentati da
documenti epigrafici etruschi.

[51] Ved. MICALI, _Stor. dei pop. it._, tav. CVIII. — Credo piuttosto
che la prima origine di quest'uso sia provenuto dalla barbara
costumanza di appendere le teste dei generali nemici fatti prigionieri
ed uccisi, per spaventare il nemico stesso e in atto di tripudio per la
vittoria ottenuta.

[52] Ved. PLINIO, _Natur. histor._, XXXVI, 19.

[53] Ved. ERODOTO, _Stor. greca_, I, 93.

[54] Cfr. STÉPHANE GSELL, _Fouilles dans la nécropole de Vulci_.
Parigi, Thoia, 1891.

[55] Ved. PLINIO, _Natur. historia_, XXXV, 6; cfr. A. VANNUCCI, _Storia
dell'Italia antica_, vol. I, e la bibliografia relativa; cfr. L. A.
MILANI, _Il Museo topografico dell'Etruria_. Firenze, 1885.

[56] Sui _Nuraghi_ ved. E. PAIS, _La Sardegna prima del dominio romano_
in _Atti Accadem. dei Lincei_, VII, 1880-81, pag. 277. Cfr. REGAZZONI,
_Manuale di Paletnologia_, Milano, Hoepli, 1885, pag. 159-165. —
Ne parlano anche SFANO, _Paleoetnologia sarda_Alb. Lam, Cagliari,
1871; ALB. LAMARMORA, _Itineraire de l'Ile de Sardaigne_, tom. II;
GUIDO DALLA ROSA, _Abitazioni dell'epoca della pietra nell'Isola
Pantellaria_, Parma, 1871; BURTON, _Note sopra i Castellieri e rovine
preistoriche nella penisola istriana_, Capo d'Istria, 1877. Cfr. _Bull.
di Paletnol. ital._, IX (1883), pag. 74, 77, ove sono citati altri
lavori speciali sull'argomento.

[57] Ved. W. HELBIG, _Arte fenicia_ in _Ann. Ist. Corr. Arch._ 1876, p.
197.

[58] Ved. L. LANZI, _Saggio dello stile di scultori antichi_, p. 18.

[59] QUINTILIANUS, XII, 10; cfr. OVERBECK, _Die antiken Schriftquellen
zur Geschichte der bild. Künste bei den Griechen._ Lipsia, Engelmann,
1888, pag. 78-79.

[60] Cfr. vol. I, _Arte greca_, pag. 50, 51 della Iª edizione GENTILE,
tav. XXXIV.

[61] Cfr. vol. I, _Arte greca_ id., pag. 69, tav. XLVI.

[62] Cfr. vol. I, _Arte greca_ id., pag. 67, tav. XLI.

[63] Cfr. vol. I, _Arte greca_ id., pag. 210, 214, 219, tav.
CXXXVI-CXXXIX.

[64] Per le urne etrusche, ved. MICALI nelle tavole aggiuntive alla
_Storia dei popoli italici_, e nei _Monumenti inediti_: UHDEN negli
_Atti dell'Accademia di Berlino_, 1816, 1818, 1827-29; BRUNN _I rilievi
delle urne etrusche_, Roma, 1870.

[65] Ved. PROPERZIO, IV, 2, 61.

[66] Ved. DIONIS., I, 79.

[67] Ved. PLINIO, _Natur. histor._ XXXIV, 16; _Signa tuscanica per
terras dispersa, quae in Etruria factitata non est dubium_.

[68] Ved. ORAZIO, _Epistole_, II, 180.

[69] Ved. MICALI, _Storia dei popoli ital. antic._, tav. XXII-XXXVII; e
_Monum. inedit._, tav. XVII.

[70] Ved. _Bollettino Istit. Corr. Archeol._, 1837, pag. 7; _Annali_,
1837, pag. 26.

[71] Ved. MICALI, _Monum. inedit._, tav. XII.

[72] DIONISIO, I, 70. Cfr. HELBIG, _Führer_, traduzione francese di
Toutain (_Guide dans les musées d'archéologie classique de Rome_,
Lipsia, Baedeker, 1893, pag. 461, n. 618).

[73] Ved. ATENEO, _Deipnosofisti_, XV, 18.

[74] Ved. VIRGILIO, _Eneide_, I, 727; _..... dependent lychni
laquearibus aureis..... incensi....._

[75] Ved. disegni in MICALI, _Mon. ined._ IX e X e pag. 72; cenno della
scoperta in _Boll. C. A._, 1840, pag. 164, e studio di ABEKEN, negli
_Annali I. C. A._, 1842, pag. 53.

[76] CAVEDONI, _Annali Ist. Corr. Arch._, 1842, pag. 75.

[77] Per gli specchi etruschi ved. GERHARD, _Über die Metallspiegel der
Etrusker_ (_Abhandl. der koniglichen Akad. d. Wissensch. zu Berlin_,
1836, pag. 323), e la maggior opera dello stesso autore, _Etruskische
Spiegel_, 1840. Molti disegni e illustrazioni negli _Annali_ e nei
_Monumenti dell'Ist. d. C. A._

[78] _Boll. Ist. Corr. Arch._, 1880, pag. 213. Ved. per la cista
Ficoroni la nostra =tav. 34=.

[79] Ved. MICALI, _Mon. ined._, tav LIV.

[80] Ved. PLINIO, _N. H._, XXXV, 6. Egli dice che i dipinti di
Ardea, città per lo meno di occupazione etrusca, siano anteriori alla
fondazione di Roma.

[81] Ved. p. es., _Annali Ist. Corr. Arch._, 1873, pag. 239.

[82] Intorno alla storia della pittura etrusca ved. Helbig, _Ann. Ist.
Corr. Archeol._, 1863, pag. 336; BRUNN-HELBIG, ibid., 1866, 1870.
Intorno alla policromia ved. BRAUN, _Bollett. Ist. Corr. Archeol._,
1841, pag. 2; Martha, L'art étrusque già più volte citata.

[83] Ved. questo nostro _Manuale_ a pag. 78 e segg.

[84] Ved. MICALI, _Monum. ined._, tav. IV e V.

[85] Ved. p. es., _Monum. Istit. Corr. Archeol._ II, 8, 9, in cui sono
rappresentati due vasi, l'uno con Atteone sbranato dai cani, e con
Aiace che s'abbandona sulla spada; l'altro con Aiace che immola un
uomo ignudo, assistito da Charun, faccia mostruosa che si rivede sullo
stesso vaso con tre imagini femminili. Opera di pennello volgare e
non antico, ma prettamente etrusco. Cfr. pei vasi greci l'_Atl. d'arte
greca_, tav. CXXXVI e segg.

[86] Ved. _Annali Ist. Corr. Arch._, 1875, 98; cfr. _Bollettino_, 1874,
pag. 241. — Circa la composizione dei buccheri, ved. _Bollettino Ist.
Corr. Arch._, 1837, pag. 28; ibid., 1842, pag. 164, e recentemente
l'ill. prof. BARNABEI, che ritrattò la questione con nuovi esperimenti
e copia di prove critiche e bibliografiche in _Monum. Ant._ della _R.
Accad. dei Lincei_, IV, 1894.

Quanto ai disegni varî dei buccheri ved. MICALI, cit., _Monumenti
ined._, tavole XXVII-XXVIII, pag. 156; NÖEL DES VERGERS, _Atlante_ tav.
XVII e segg..

[87] Ved. A. FABBRONI, _Storia degli antichi vasi fittili aretini_.
1841.

[88] Ved. MICALI, _Mon. ined._, tav. IV, 2, pag. 40.

[89] Ved. KLÜGMANN, _Annali Ist. Corr. Arch._, 1871, pag. 1; _Mon._,
vol. VIII, tav. 26.

[90] Molti scritti pubblica l'avv. Giuseppe Fregni di Modena sulle
iscrizioni etrusche ed umbre, sulla Grotta di Corneto Tarquinia, sulla
Colonna di Foca (1897-1900), ma lascio agli specialisti in materia il
giudizio sul merito scientifico dei suoi lavori.

[91] Cfr. pag. 117-118.

Fin dal 1893 uno degli alunni del Lattes, il dott. Bartolomeo Nogara,
già citato, (cfr. pag. 118), raccolse calchi e disegni di iscrizioni
etrusche da lui fatti nel Museo di Perugia, (1º viaggio epigrafico
1893), e un primo manipolo di iscrizioni messapiche depositate con
quelle etrusche presso la R. Accademia Scientifico-Letteraria nel 1895
(2º viaggio epigrafico). Incoraggito dai premi Lattes, il dott. Nogara
continuò le sue ricerche e le sue collezioni di calchi e disegni per
gli anni successivi in altre città dell'Etruria fino all'anno scorso
(3º viaggio 1896; 4º, 1897; 5º, 1898; 6º-7º 1899); ved. _Relazioni_
nell'Annuario della R. Accademia Scientifico-Letteraria, dall'anno 1894
fino al 1900.

[92] L. A. MILANI, _Museo topografico dell'Etruria_. Firenze-Roma,
Bencini, 1898.

[93] Ved. GELLIO, _Nott. att._, XVII, 21.

[94] Ved. ORAZIO, _Epistol._ II. 1, 156-57. _Graecia capta ferum
victorem cepit et artes Intulit agresti Latio._

[95] Ved. VIRGILIO, _Aeneis_, VI, 843-853.

[96] Ved. LIVIO, _Stor. Rom._, l. XXXIX, c. 4 (orazione di Catone per
la legge Oppia).

[97] Su Damofilo e Gorgaso, che lavoravano al tempio di Cerere (493 a.
C.), ved. PLINIO, _N. H._, XXXV, 154: _Ante hanc aedem tuscanica omnia
in aedibus fuisse auctor est Varro_. Quindi i due artisti greci sono
per lo meno anteriori a Fidia e a Polignoto.

[98] Ved. LIVIO, I, 56: _Fabris undique ex Etruria accitis_.

[99] LIVIO, I, 55: _Arcem eam imperii caputque rerum fore_.

[100] Ved. intorno al tempio di Giove Capitolino la descrizione di
DIONIGI D'ALICARNASSO, IV, 61, 3, 4, e la ricostruzione in DURM,
_Baukunst der Etrusker und Römer_. Cfr. un suo disegno in un rilievo
di Aureliano (DURM, op. cit., pag. 45); B. V. KÖHNE, _Der Tempel des
kapitolin. Jupiter nach den Münzen_, Berlino, 1870.

[101] DONALDSON, _Architect. num._, pag. 6-11, tav. 3; COHEN, _Méd.
impér._ I^2, Vespas. n. 409; Domiz. n. 174 (?); cfr. _Ephem. epigr._
VIII 1892, tav. II, 5 (DRESSEL).

[102] Su TURANIUS ved. PLINIO, XXXV, 45.

[103] Sul _foedus latinum_ ved. DIONIS. IV, 26; cfr. S. RICCI,
_Epigrafia latina_, Milano, Hoepli, 1898, pag. 160-161.

[104] Ved. per la tomba di Porsenna, GUHL-KONER-GIUSSANI, op. cit. II,
pag. 116.

[105] Il trattato ci è conservato da Polibio nella sua storia romana,
III, 22.

[106] Cfr. pag. 196; ved. PLIN., _N. H._, XXXV, 154.

[107] Ved. LIVIO, _Stor. rom._, XLII, 3, _Populum romanum ruinis
templorum templa aedificantem_.

[108] Ved. S. RICCI, _Epigrafia latina_, Milano, Hoepli, 1898, pag. 144
e segg., tav. XXVI.

[109] Ved. LIVIO, _Stor. rom._, XXVI, 27.

[110] F. v. QUAST, _Die Basilika der Alten_, Berlino, 1845; O. MOTHES.
_Die Basilikenform bei den Christen der ersten Jahrhunderte._ Lipsia,
1865: HOLTZINGER, _Die römische Privatbasilika (in Repertorium für
Kunstwerke)_: K. LANGE, _Excursus_, II; _Basilica Ulpia_. — LESUEUR,
_La basilique Ulpienne_ (Roma), Parigi, 1877; cfr. DONALDSON,
_Architectura numismatica_, 1859; utilissimo per lo studio delle monete
rappresentanti basiliche romane.

[111] Ved. TACITO, _Annali_, XIV, 21.

[112] Ved. S. RICCI, _Epigrafia latina_, cit., p. 141 e segg. e tav.
XXIII-XXV. A tav. XXV e pag. 143 si corregga “_quonoro_ per _quorum_„
sfuggiti per errore, in “_duonoro_ per _bonorum_„.

[113] Cfr. Sui sarcofagi romani in confronto coi greci e coi cristiani,
ved. GUHL-ENGELMANN, MATZ, _Über den Unterschied der griech und
römischen Sarkophage_, dall'_Archäol. Zeitung_, XXV, pag. 16 e segg.;
RENÉ GROUSSET, _Étude sur l'histoire des sarcophages chrêtiens_.

[114] Ved. GENTILE, _Storia dell'arte greca_ cit., pag. 43.

[115] Cfr. S. RICCI, _Epigrafia latina_ cit., tav. LII. È ora nel Museo
Kircheriano al Collegio romano in Roma. L'iscrizione in carattere del
VI sec. di R. dice: _Dindia Macolnia filea[i] dedit | Novios Plautios
med Romai fecid_. La dama prenestina Dindia Macolnia passò in regalo
la cista alla figlia. Si corregga quindi al luogo cit. dell'_Epigrafia
latina_ la voce _filea_ in _filea[i]_, come richiede il senso. Ved. per
la Cista Ficoroni inoltre: E. BRAUN, _Die Ficoronische Cista_, Lipsia,
1830; O. JAHN, _Die Ficoronische Cista_, 1852; cfr. SCHôNE, in _Ann.
Istit. Corr. Arch._, 1868, pag. 150; e inoltre _Annali_, 1864, pag.
356; 1866, pag. 357; 1876, pag 105.

[116] Le tombe prenestine sono abbondanti di ciste e d'oggetti
d'ornamento muliebre. Fra le varie ciste una per la rappresentazione
sua singolarmente importante è quella in cui pare raffigurata l'unione
di Enea con Lavinia, onde sarebbe indicata la piena e diffusa esistenza
della leggenda già nel VI secolo di Roma. Degli oggetti di toletta
muliebre contenuti nelle ciste molti sono orientali, cioè vasetti
d'alabastro, smalti, oreficerie, e provano le relazioni commerciali che
fra il Lazio e i paesi transmarini erano mantenute da mercanti fenicî.

[117] Ved. LIVIO, _Storia rom._, VI, 29.

[118] Ved. PLINIO, _H. N._ XXXV, 22 e segg.

[119] Ved. LIVIO, _Stor. rom._ XXXVI, 52.

[120] Ved. LIVIO, itid. XXXIX, 5.

[121] Ved. PLINIO, _N. H._, XXXVI, 2; cfr. GUHL-KONER e GIUSSANI,
_La vita dei Romani_, Torino, Loescher, 1891; BORSARI, _Topografia
di Roma_, Milano, Hoepli, 1897, pag. 165, 271 e segg.; FRIEDLÄNDER,
_Sittengeschichte Roms_, II, pag. 322 e segg. della 5ª ediz. (1881).

[122] Ved. PLINIO, _N. H._, XXXVI, 24.

[123] Ved. sui teatri in generale: FR. WIESELER, _Theatergebäude und
Denkmäler des Bühnenwesens bei den Griechen und Römern_, Göttingen,
1851; SCIP. MAFFEI, _Dei teatri antichi e moderni_, Verona, 1753;
ÖHMICHEN, _Bühnenwesen_ nell'_Handbuch di_ IWAN MÜLLER; W. DÖRPFELD-E.
REISCH, _Das griechische Theater_, Roma, Loescher, 1895. Una
bibliografia molto copiosa sui varî teatri ho cercato di riunire nel
lavoro: S. RICCI, _Il teatro romano di Verona_, Venezia, 1895, Memorie
dell'Istituto di Scienze, Lettere ed Arti.

[124] Sugli anfiteatri leggasi, dopo i lavori di GIUSTO LIPSIO,
Antwerpen, 1528 e di POLENI e MONTENARI, Vicenza, 1735, le osservazioni
del NISSEN, _Pompejanische Studien_, e del FRIEDLÄNDER, in MARQUARDT,
_Staatsverwaltung_, III^2, 2, 556 e segg. — Sui circhi ved. G. L.
BIANCONI, _Descrizione dei circhi, particolarmente di quello di
Caracalla_, Roma, 1789; cfr. BURGESS, _Descrizione del circo sulla
Via Appia presso Roma_, Roma, 1829; FRIEDLÄNDER, in MARQUARDT'S,
_Staatsverwaltung_, III^2, 504 e segg.

[125] Il testamento di Augusto essendo infisso su lastre di marmo
del tempio d'Augusto e di Roma in Ancira, è detto il _Monumentum
Ancyranum_: vedasi S. RICCI, _Epigrafia latina_, Milano, Hoepli, 1898,
pag. 187, not. 1 e pagg. 195-203. L'opera capitale intorno a questo
è del MOMMSEN, _Res gestae divi Augusti ex monumentis Ancyrano et
Apolloniensi_, Berlino, Weidmann, 1883; alle pagg. 197-198 del mio
Manuale precitato vi è unita tutta la bibliografia relativa.

[126] Ved. SVETONIO, _Vit. Aug._, 29: _Marmoream se relinquere quam
latericiam accepisset_.

[127] BORSARI, _Topografia di Roma antica_, Milano, Hoepli, 1897, pag.
261-265.

[128] Oltre il nostro _Atlante_, sulle tavole qui sotto citate hanno
illustrazioni del Pantheon, come anche dei principali monumenti di Roma
imperiale, che saranno in sèguito descritti: H. STRACK, _Baudenkmäler
des Alten Rom_, Berlino, Wachsmuth, 1890; A. SCHNEIDER, _Das alte Rom.
Entwickelung seiner Grundrisse und Geschichte seiner Bauten auf 12
Karten und 14 Tafeln dargestellt_. Per uso didattico sono abbastanza
utili, i _Kunsthistorische Bilderbogen, zusammengestellt_ del Dottor
MENGE. Il nostro MELANI ha pure illustrazioni della parte romana nei
suoi _Manuali_, con speciale trattazione delle piante e degli stili
degli edifizî nel volume dell'_Architettura_; delle riproduzioni
romane di capilavori greci in quello della _Scultura_; degli affreschi
soprattutto pompeiani in quello della _Pittura_ (Milano, Hoepli, 1900).
Il prof. Archinti di Milano ha pure edito un volume sulla storia
dell'Architettura e degli stili con molte e belle tavole (Milano,
Vallardi, 1889), e il Melani un altro sull'ornamento artistico. Cfr.
per altre opere il mio indice bibliografico generale e speciale.

[129] VIRGILIO, _Eneide_, I, v. 448-449.

[130] Ved. DIONE, l. III. 27.

[131] Ved. PLINIO, _N. H._, XXXVI, 24.

[132] Ved. GENTILE, _Storia dell'arte greca_, Milano. Hoepli, 1892,
vol. I, pag. 83, 115. Cfr. _Atlante_, tav. LVII, LIX, LXXXIII.

[133] Da questo fatto della fusione del bronzo per i pezzi
d'artiglieria sorse il proverbio: _Quod non fecerunt barbari fecerunt
Barberini_. I due piccoli campanili laterali che stettero un pezzo alla
disapprovazione di tutti erano stati posti dal Bernini per ordine dello
stesso papa Urbano VIII, ed erano detti _gli orecchioni del Bernini_.

[134] Ved. LANCIANI, _Notizie degli Scavi_, 1881, anche per la
bibliografia.

[135] GENTILE, _Storia dell'arte greca_, Milano, Hoepli, 1883, pag. 87,
135-138, cfr. _Atlante_ (parte greca) tav. LXIV-LXV; CV-CVIII.

[136] Cfr. F. CERASOLI, _Documenti inediti medievali circa le terme di
Diocleziano_ in _Bull. Comm., archeol. comunale_. Roma, 1895, pag. 301
e seg.

[137] Ved. BORSARI, op. cit. pag. 87, 311-313; Cfr. MIDDLETON, _Ancient
Rom_ II, 282, 288-292; LANCIANI, _Forma Urbis_, t. 8.

[138] Ved. O. MARUCCHI, _Gli Obelischi egiziani in Roma_, in _Bull.
Comm. Arch. com._ Roma, 1896.

[139] Ved. GUHL-KONER-GIUSSANI, _La vita dei Greci e dei Romani_. Parte
II, _i Romani_, pag. 120 e segg., fig. 101: _Piramide di Cestio_.

[140] COHEN, _Médailles imperiales_, I^2, pag. 252, 254, n. 25-29; 48.

[141] Ved. intorno agli archi BELLORIUS e DE RUBEIS, _Veteres arcus
Augustorum, triumphis insignes_, Roma, 1690, 1824; L. ROSSINI,
_Gli archi di trionfo degli antichi Romani_, Roma, 1836. — GRÄF,
_Triumphbogen_, inserito nel dizionario di archeologia e di antichità
del BAUMEISTER, _Denkmaeler_, III, pag. 1865 e segg.

[142] Ved. _Bucoliche, Ecloga IV,_ 5.

[143] Ved. GENTILE, _Atl._ cit. (Parte romana), tav. XXXVIII; _Porta
Maggiore in Roma_ (acquedotto di Claudio imperatore).

[144] R. LANCIANI, _Commentarii di Frontino intorno le acque
ed acquedotti di Roma_, Roma, 1880. In quest'opera è citata la
bibliografia precedente, specialmente RAFFAELE FABRETTI, _De aquis et
aquaeductibus veteris Romae_, Roma, 1680; 2ª edizione, 1738; CASTRO,
_Corso delle acque antiche_, Roma, 1757, 2 voll.; DE PRONY, _Réchérches
sur le systeme hydraulique de l'Italie_; A. SECCHI, _Avanzi di opere
idrauliche antiche nell'Alatri_, Roma, 1865.

[145] Intorno all'opinione che l'incendio debba veramente attribuirsi
ai Cristiani ved. G. NEGRI, _Nerone e il Cristianesimo_ (_Rivista
d'Italia_, 1899, fasc. 8, 9); C. PASCAL, _L'incendio di Roma e i primi
cristiani_, Milano, 1900; A. COEN, _La persecuzione neroniana dei
cristiani_ (_Atene e Roma_, 1900, n. 21-23).

[146] Ved. TACITO, _Annali_, XV, 425; SVETONIO, _Nerone_, 31; cfr. per
maggiori particolari GUHL e KONER cit. II, pag. 104 e segg.; BORSARI,
_Topografia di Roma antica_, Milano, Hoepli, 1897, pag. 130, 132,
143-145, 349.

[147] Ved. le monete con l'Anfiteatro Flavio in COHEN, _Médailles
impériales_, vol. I^2, n. 399. È riprodotto anche su un conio del
Padovanino; Cfr. C. FONTANA, _L'Anfiteatro Flavio, 1725_; Haag, 1776;
C. WAGNER, _De Flavii Anphithéatro_, Marburg, 1829-31; cfr. anche A.
POMPEI, _Studî intorno all'anfiteatro di Verona_, Verona, 1877, che
contiene ottime osservazioni per lo studio generale degli anfiteatri.
Altri particolari sul Colosseo aggiunge il BORSARI, op. cit., pag. 132,
134.

[148] Intorno alle terme romane in generale ved., oltre il lavoro
di BACCIO sulle terme libr. VII, Venezia, 1588: ANDREA PALLADIO,
_Les thermes des Romains_, ediz. di Londra 1732, Vicenza, 1785: CH.
CAMERON, _The baths of the Romains_, Londra, 1772; MIRRI, _Le antiche
camere delle terme di Tito_, Roma, 1776; id. _Descriptions des bains
de Titus_, Paris, 1786; ANT. DE ROMANIS, _Le antiche camere Esquiline
dette Terme di Tito_, Roma, 1822. Delle Terme di Tito e adiacenze si
tratta anche in S. RICCI, _La_ Ξυστικὴ Σύνοσος e la _“Curia athletarum„
presso S. Pietro in Vincoli_, Roma, 1891, (_Bullettino della
Commissione Comunale di Roma_: LANCIANI, ibidem, 1891-1892).

[149] P. es., il celebre gruppo del Laocoonte, ora nel Vaticano, fu
rinvenuto nell'anno 1566 in una nicchia di queste stesse terme di
Tito; il così detto _Toro Farnese_, cioè il celebre gruppo di Zetos
ed Anfione, Dirce ed Antiope, che ora si ammira nel Museo nazionale
di Napoli, fu rinvenuto nell'anno 1546 nelle terme di Caracalla: ved.
GENTILE, _Storia dell'arte greca_; op. cit., pag. 171, 176; cfr.
A. HÄCKERMANN, _Die Laocoonsgruppe_, Greifswald, 1856; COLLIGNON,
_Histoire de la sculpture grecque_, Parigi, Didot, II, 533.

[150] Si osservi qui per incidenza quanti utili cimelî per la
conoscenza dell'arte e della vita si traggano dai monumenti dissepolti.
Intorno alla vita dei Romani, specialmente privata, per es., basti
rammentare quanti documenti autentici siansi tratti appunto dalle
rovine di Ercolano e di Pompei, e quanto ancora si tragga intorno alla
condizione della ricca civiltà romana del I secolo dell'Impero. Ved.
per queste città e per gli scavi relativi: OVERBECK-MAU, _Pompei_,
citato nell'_Indice bibliogr._

Di somma importanza per la storia della decorazione pittorica
sono i ritrovamenti della _Domus Vettiorum_ a Pompei, dei quali si
occuparono, si può dire, tutte le Riviste d'archeologia e d'arte
italiane e straniere. Cfr. A. SOGLIANO, _La casa dei Vettii_ nei
_Monumenti antichi_ per cura della R. Accademia dei Lincei, VIII, 1898;
PASQUALE D'AMELIO, _Nuovi scavi di Pompei — Casa dei Vettii_. Non meno
importanti per gli affreschi e per l'uso di case alte più piani sono
i ritrovamenti recentissimi di Boscoreale e di Ercolano (ved. =tav.
57-61=). Cfr. _Mittheil. d. k. d. arch. Inst. Röm. Abth._, 1894, p.
349 e segg.; 1896, pag 131-140, tav. III; A. MAU, _Pompei in Leben u.
Kunst_, Lipsia, 1900.

[151] Intorno all'Arco di Tito ved. S. REINACH, _L'arc de Titus et
les dépouilles du temple de Jerusalem_, Parigi, 1890. Sugli archi
trionfali, oltre le opere capitali del BELLORIUS e del DE RUBEIS, si
studî quella già citata di L. ROSSINI, _Gli archi di trionfo degli
antichi Romani_, Roma, 1836, e in particolare il lavoro del MANCINI
sull'arco d'Augusto a Fano, Pesaro, 1826; del PETERSEN sull'arco
di Trajano a Benevento, _Röm. Mittheil_, VII, pag. 239 e segg.; del
MASSAZZA e del PONSERA sull'arco antico di Susa, Torino, 1750, 1841.

[152] Ved. COHEN, _Médailles impériales_, II^2, n. 545 fol., Circo; n.
542-544 pel ponte sul Danubio.

[153] H. THÉDENAT, _Le Forum romain et les forums impériaux_, Parigi,
1898. Cfr. MELANI, _Archit._, 3.ª ediz., tav. X (_Ricostruzione_).

[154] Ved. ALBERTOLLI, _Fregi trovati negli scavi del Foro Trajano con
altri esistenti in Roma e in diverse altre città_. Milano, 1838. Per
la bibliografia intorno alla Colonna Trajana vedasi più innanzi; cfr.
F. CERASOLI, _I restauri alle colonne Antonina e Trajana ed ai cavalli
marmorei del Quirinale al tempo di Sisto V_, in _Bull. comm. archéol.
com._ 1896, pag. 179 e segg.

[155] Ved. AMMIANO MARCELLINO, _Rerum gestarum_ XVI, 10.

[156] Ved. COHEN, _Méd. impér._, II^2, n. 167-170.

[157] Ved. A. V. DOMASZEWSKI, _Die politische Bedeutung des
Trajansbogen in Benevent_ in _Jahresheft des österreisch. archäol.
Instituts_ II, 2, pag. 173 e seg.; FROTHINGHAM, _Der Trajansbogen in
Benevent_ in _Academie des inscriptions et belles lettres_ VII, 30.

[158] Si riferisce che Costantino anzi, ridendo, forse con mal simulata
invidia, dicesse il nome di Trajano esser così benemerito e noto e
ricordato dapertutto da parere l'erba parietaria che alligna sopra ogni
parete.

[159] Ved. DIONE CASSIO, LXV, 4.

[160] Intorno alle ville romane ved. all'Indice nostro bibliografico
speciale “Architettura„, i nomi CASTELL, MARQUEZ, MOULE, MAZOIS.

[161] Ved. CH. LUCAS, _L'empéreur-architecte Adrien_, Parigi, 1869.

[162] Ved. BORSARI, _Topografia di Roma antica_, cit., pag. 241. Una
delle opere più importanti nei lavori d'escavo del Foro Romano fu
l'isolamento del tempio, dietro alla cui area si può ora liberamente
passare fra il _templum Sacrae Urbis_ e la _Basilica di Costantino_
(Ved. l'Appendice sugli scavi del Foro romano).

[163] Intorno alla colonna di Marco Aurelio è uscito un lavoro
esauriente per cura del Petersen e del Domazewski con le contribuzioni
del Mommsen e del Calderini: _Die Marcussäule auf Piazza Colonna
in Rom_, herausgegeben von E. PETERSEN und von DOMASZEWSKI, mit
Beiträgen von MOMMSEN und G. CALDERINI, Monaco, Bruckmann, 1896. Cfr.
R. SCHRÖDER, _Germanische Rechtssymbolik auf der Marcussäule_ (_Neue
Heidelberger Jahrbücher_, VIII, 2 pag. 248 e segg.).

[164] Ved. C. REICHEL, _De Isidis apud Romanos cultu_. Berlino, Schade,
1849; L. PRELLER, _Les dieux de l'ancienne Rome_, trad. DIETZ, II
partie: _Cultes égyptiens: Isis et Sérapis_; G. LAFAYE, _Histoire
du culte des divinités d'Alexandrie_ (Sérapis, Isis, Harpocrate et
Anubis), Parigi, Thorin, 1884; A. VEYRIES, _Les figures criophores
dans l'art grec, l'art gréco-romain et l'art chrétien_. Parigi, Thorin,
1884.

[165] Sulla Scuola di Pergamo ved. GENTILE, _Storia dell'arte greca_,
Milano, Hoepli, 1883, pag. 164 e seg.; cfr. _Atlante_, id., tav., e
COLLIGNON, _Histoire de la sculpture grecque_, II, pag. 500.

[166] In questo volume non si tien conto che delle statue e delle opere
d'arte più specialmente romane, riservando lo studio degli originali
e delle copie dei capilavori greci al volume della _Storia dell'arte
greca_, che si sta preparando interamente rifatto sull'edizione del
prof. Gentile, (Milano, Hoepli, 1883), e che ha già a sua illustrazione
un _Atlante_ di 149 tav. (Milano, Hoepli, 1892).

[167] CICERONE in _Verr._, IV, 2.

[168] Ved. ORAZIO, _Satire_, 3, 64: _Insanit veteres statuas Damasippus
emendo_.

[169] Occorre il detto di Trimalcione: _Meum intendere nulla pecunia
vendo_, e l'osservazione di Stazio circa la bravura del riconoscere
l'autore d'un'opera anche senza essere segnato: _Silvae_, IV, 6:
_Artificium veteres cognoscere ductus — et non inscriptis auctorem
reddere signis_.

[170] Ved. GENTILE, _Storia dell'arte greca_ cit., pag. 145. Cfr.
_Atlante_ id., tav. CXV.

[171] Ved. PLINIO, _N. H._, XXXVI, 155.

[172] Ved. PLINIO, _N. H._, XXXVI, 41.

[173] Ved. BERNOUILLI, _Römische Ikonographie_, nell'_Indice bibl._ e
in altri autori, p. es. in CAMILLO SERAFINI, _L'arte nei ritratti della
moneta romana repubblicana_ in _Bull. Comm. arch. com._ di Roma 1897,
pag. 3 e segg., tav. I. Pei confronti con lo stile dei ritratti greci,
cfr. R. FOERSTER, _Das Porträt in der griech. Plastik_. Kiel 1882.

[174] Ved. _Boll. dell'Ist. di Corr. Arch. di Roma_, 1863.

[175] Ved. GENTILE, _Storia dell'arte greca_, Milano, Hoepli,
1883, pag. 136 e segg., con la bibliografia a pag. 137-138. Cfr. M.
COLLIGNON, _Histoire de la sculpture grecque_. Parigi, Didot, 1897, II
vol. pag. 215 e segg.

[176] Intorno alla Colonna Trajana. Ved. ALPH. CIACCONI, _columnae
trajanae orthographia_, Roma, 1773; FROEHNER, _La colonne trajane_.
Parigi, 1872-74; F. BOUCHER, _Die Charakterköpfe der Trajanssäule_,
1893; C. CICHORIUS, _Die Reliefs der Traianssäule, herausgegeben und
historisch erklärt_. Berlino, Reimer, 1896. I _Tafelband: Die Reliefs
des ersten dakischen Krieges_ (gran folio 57 tavole in eliotipia) — II
_Text-band: Commentär dazu_ (8 gr).

[177] Intorno ai sepolcri, ai sarcofaghi, ai monumenti sepolcrali in
genere ved. all'Indice generale, BIANCHINI, BARTOLI e BELLONI, inoltre
G. P. CAMPANA, _Illustrazioni di due sepolcri del secolo di Augusto
scoperti tra la via Latina e l'Appia presso la tomba degli Scipioni_,
Roma, 1852, 2ª ediz. Per i monumenti sepolcrali etruschi ved.
nell'_Indice generale_ BINDSEIL e ORIOLI.

[178] Per errore è stato considerato dal Gentile (tav. LXX cit., n. 2)
quale imperatore in piedi uno schiavo giudeo con le mani legate, e fu
per svista ripetuto l'errore nella mia _Epigrafia latina_. (Tav. LX, n.
2).

[179] Intorno ai camei e alle gemme, ved. KING, _Antique Gems, their
origin, uses_, Londra, 1872; CHABOUILLET, _Catalogue général des camées
et pierres gravées de la Bibliothèque impériale_. Quanto all'arte della
vetreria, non si può tenerne special conto se non nell'archeologia
propriamente detta: cfr. pertanto DEVILLE, _Histoire de l'art de la
verrerie dans l'antiquité_, Parigi 1873.

[180] Ved. sui bronzi GUILLAUME, _La sculpture en bronze_, 1868;
FRIEDERICHS, _Kleiner kunst und Industrie in Alterthum_, Berlino,
1871; LONGPÉRIER, _Notices des bronzes antiques du Louvre_, 1879.
Vedi per l'argenteria e la gioielleria, QUARANTA, _Di quattordici vasi
d'argento dissotterrati in Pompei_, Napoli, 1835; ARNETH, _Die antiken
Gold und Silbermonumente der k. k. Münz- und Antiken Cabinettes in
Wien_, 1850; MICHAELIS, _Das Corsinische Silbergefäss_, 1859; WIESELER,
_Hildesheimer Silberfund_, Gottinga, 1869. Intorno ai tesori di
Boscoreale presso Pompei, ved. _Notizie degli scavi_, 1894, pag. 385;
1895, pag. 109, 207, 235; 1896, pag. 204, 230; 1899, pagina 14. Uno
studio a parte meriterebbe la ceramica, ma a chi non vuol dar polvere
negli occhi occorre uscire dal tema per trattarne degnamente. Si
confronti la letteratura nella parte greca e si aggiunga: VON ROHDEN,
_Die Terracotten von Pompei_, Stuttgart, 1880.

[181] Lavori d'indole generale sulle monete, i quali però possono
dare un concetto esatto delle varie classi di monete antiche, sono:
MOMMSEN, _Histoire de la monnaie romaine_, Parigi, 1865-1875, 4 volumi;
LENORMANT, _La Monnaie dans l'antiquité_, 3 vol., 1879; IMHOOF-BLUMER,
_Portraitköpfe auf römischen Münzen der Republik und der Kaiserzeit_,
Lipsia, 1879; FROEHNER, _Les medaillons de l'empire romain_, Parigi,
1878; CH. ROBERT, _Études sur les medaillons contorniates_; S.
AMBROSOLI, _Manuale di numismatica_, Milano, Hoepli, 1895, 2ª ediz.,
pag. 79-145; FR. GNECCHI, _Monete romane_, Milano, Hoepli, 1896.
Di quest'opera _è stampata_ ora la 2ª ediz. di molto accresciuta,
anzi interamente rifatta dall'autore. Importantissimi articoli sulla
numismatica romana sono anche inseriti nella _Rivista italiana di
Numismatica_, diretta dai cavv. E. e FR. GNECCHI. — Sulle relazioni che
la storia dell'arte e l'architettura hanno con la numismatica, ved.
DONALDSON, _Architectura numismatica_, Londra, 1859, ove sono citati
gli autori precedenti. Cfr. per le considerazioni d'indole artistica
S. RICCI, _Intorno all'influenza dei tipi monetari greci su quelli
della repubblica romana_. Introduzione al lavoro: _L'arte greca nella
numismatica romana della Repubblica e dell'Impero_. Estratto dalle
_Mémoires du Congrès international de Numismatique_ del 1900, pp.
170-204.

[182] Di Timomaco scrisse F. BRANDSTÄTTER, _Timomachos' Werke und
Zeitalter_, Lipsia, 1889.

[183] PLINIO, _H. N._, XXXV, 20.

[184] LÉON RENIER-PERROT, _Les peintures du Palatin_, in _Rev.
Archéol._, serie XXI e XXII; F. SCHWECHTEN, _Wanddekoration aus den
Kaiserpalästen auf dem Palatin in Rom_, Berlino, 1878.

[185] Ved. _Alte Denkmäler_, Vol. I, 11; cfr. SITTL, _Archeöl. d.
Kunst_, pag. 739, nota 10. Cfr. per gli affreschi nella villa “La
Farnesina„ i _Monumenti_ cit., vol. XI. tav. 44-48. XII, tav. 5-8;
17-34; cfr. _Wand- und Deckenschmuch eines röm. Hauses aus der Zeit des
Augustus_. Berlino, 1891.

[186] Degne di nota sono le opere del Mau intorno ai dipinti e
agli scavi in genere di Pompei, le quali sono nella maggior parte
inserite nella _Römische Abtheilung delle Mittheilungen des deutschen.
Archäolog. Instituts_. Vi è anche una guida archeologica di Pompei
curata recentemente dal Mau. Cfr. PRESUHN, _Die pompejanischen
Wanddekorationen_. Lipsia, 1882.

[187] Ved. per Pompei: W. HELBIG, _Wandgemälde der von Vesuv
verschutteten Städte Campaniens_, Lipsia, 1868; O. DONNER, _Abhanlung
über die antiken Wandmalereie in technischer Beziehung_; ibidem,
Appendice al libro precedente. Cfr. G. BOISSIER, _Revue des deux
mondes_, ottobre, 1879; FIORELLI, _Relazioni sugli scavi_, dall'anno
1861 all'anno 1872; _Pompei e la regione sotterrata dal Vesuvio_.
(Ved. _Annali Ist. Corr. Arch._). A. MAU, _Pompeji in Leben und
Kunst_, Lipsia, Engelmann, 1900. Per le varie piante e sezioni di case
pompeiane, ved. =tav. 314, 315, 316= (=tav. 79-81=).

[188] Ved. E. PETERSEN, _I rilievi tondi dell'arco di Costantino.
Mittheil. d. k. d. arch. Instit.: Röm. Abtheil._ vol. IV (1889), pag.
314-339, tav. XII. Cfr. A. MONACI, _Le sculture aureliane sull'arco di
Costantino_ in _Bull. Com. arch._ di Roma, 1900, pag. 75 e segg.

[189] Ved. GENTILE, _Storia dell'arte greca_, op. cit., pag 171, 189,
190-91.

[190] Sulle terme di Caracalla ved. BLOUET, _Restauration des thermes
d'Antonin Caracalla_. Parigi, 1828. Su quelle di Diocleziano ved. E.
PAULIN, _Les thermes de Diocletien (Restauration des mon. ant.)_. Cfr.
gli studi su altre terme, come p. es., su quelle di Civitavecchia:
G. TORRACA, _Delle antiche terme taurine esistenti nel territorio di
Civitavecchia_. Roma. 1761; su quelle di Pisa: C. LUPI, _Nuovi studi
sulle antiche terme pisane_. Pisa, 1885; per Pompei: _Terme stabiane_,
in NISSEN, _Pompejanische studien_. pag. 140 e segg. Ved. S. A.
IWANOFF, _Aus den Thermen des Caracalla. Mit Erlaüterungen von_ CHR.
HÜLSEN. Berlino, 1891.

[191] Cfr. FR. CERASOLI, _Documenti inediti medievali circa le terme di
Diocleziano e il Mausoleo di Augusto, in Bull. Comm. arch. comun._ di
Roma 1895, pag. 301 e segg.

[192] Cfr. C. F. MAZZANTI, _La scultura ornamentale romana nei bassi
tempi_, in _Archivio Storico dell'arte_, s. II, anno II, fasc. 1 e 2 p.
33 e segg.; fasc. 3, p. 161-185.

[193] Tutto questo periodo dell'arte in Italia, che dalla decadenza
dell'arte perfetta in Roma si estende fino al Rinascimento, è ora
trattato egregiamente dall'illustre prof. Venturi nel suo recentissimo
libro _La Storia dell'arte in Italia_ (Milano, Hoepli, 1901), di cui
è uscito il primo volume, che giunge fino a Giustiniano, opera ricca
di tavole e di illustrazioni. Sono già in corso di stampa il secondo
volume, che tratterà del periodo _Dal tempo dei Longobardi all'inizio
dello stile nazionale_, e il terzo: _Dal secolo XIII alla fine del
Trecento._

[194] Ved. _Notizie degli Scavi di antichità comunicate alla R.
Accademia dei Lincei._ Roma, giugno 1900, pag. 220 e segg.

[195] Ved. tavola allegata alle _Notizie degli Scavi_ citate, a pag.
220-221: _Sacra Via et continentia aedificia_; cfr. _Atti dei Lincei,
Memorie della classe di Scienze mor._, Serie 5ª, vol. VIII.

[196] Ved. REINA, _Triangolazione della città di Roma in Rivista di
topografia e catasto. 1896_.

[197] Ved. l'arch. BONI, in _Notizie degli Scavi_, cit., pag. 229.

[198] G. TROPEA, _La stele arcaica del Foro Romano, cronaca della
discussione_. III. Messina, tip. della _Rivista di storia antica e
scienze affini_. 1900. Cfr. Parte Iª e IIª nella _Rivista_ medesima,
1892.

[199] Ved. _Notizie degli Scavi di Antichità comunicate alla Regia
Accademia dei Lincei_, maggio 1889, pag. 151 e segg.

[200] Ved. _Nuova Antologia._ 1 genn. 1900; cfr. 16 nov. 1900.

[201] Ved. _Notizie degli scavi_, aprile 1900, pag. 143 e segg.

[202] Il Pais ne discusse in varie riprese e recentemente
nell'articolo: _Le scoperte archeologiche e la buona fede scientifica_
inserito nella _Rivista di storia antica e scienze affini_ di Messina;
il Comparetti invece pubblica un lavoro a sè, intitolato: _Iscrizione
arcaica del Foro Romano_. Firenze-Roma, Bencini. 1900.

[203] A scanso di dimenticanze, ved. la cronaca citata dal prof. Tropea
in op. e luogo citati.

[204] Queste opinioni espressi già a suo tempo, nell'articolo di
divulgazione dell'_Almanacco italiano_ pel 1901, trattando delle
_Recenti scoperte archeologiche di Roma negli scavi del Foro Romano_
(ved. pag. 372 e segg.).

[205] Da un articolo sul _Popolo Romano_ del 23 maggio scorso il prof.
Tropea trae un riassunto dei capisaldi dell'opinione del Milani, mentre
si attende la sua pubblicazione nei _Rendiconti_ della R. Accademia
dei Lincei e nella seconda puntata dei suoi _Studî e materiali di
Archeologia e Numismatica_.

[206] _Notizie degli Scavi d'antichità comunicate alla R. Accademia dei
Lincei._ Roma, maggio 1900, pag. 159 e segg.

[207] Ved. in _Bollettino della Commiss. archeologica comun. di Roma
del 1900_. Cfr. anche il GATTESCHI nell'Indice bibliografico delle
opere speciali.



Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
senza annotazione minimi errori tipografici. Grafie alternative o
arcaiche sono state analogamente conservate (terramare/terremare,
sacrifizio/sagrifizio). Nelle sezioni bibliografiche, i titoli non
italiani sono stati riprodotti fedelmente, tranne nel caso di evidenti
errori.





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