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Title: Garibaldi e Montevideo
Author: Dumas, Alexandre
Language: Italian
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*** Start of this LibraryBlog Digital Book "Garibaldi e Montevideo" ***


cooperazione di correttori volontari, coordinati da Carlo
Traverso e Barbara Magni, utilizzando immagini rese
disponibili da Hathi Trust
(https://hdl.handle.net/2027/hvd.32044079134904).



                               GARIBALDI
                                   E
                               MONTEVIDEO

                                   DI
                            ALESSANDRO DUMAS


                           VERSIONE ITALIANA



                                 MILANO
                     DALLA TIPOGRAFIA DI F. MANINI
                                 1859.



                                  AGLI
                            EROICI DIFENSORI
                             DI MONTEVIDEO

                                        ALESSANDRO DUMAS.



Prefazione.


_Quando l'ombre della più fiera tirannide infestavano ogni contrada
Italiana, e gemeva incatenato il pensiero, ed i santi aneliti di
Patria e di Libertà conduceano al patibolo, un nostro concittadino
dava sdegnoso le spalle alla terra del servaggio, e ne' vergini lidi
d'America innalzava fiammeggiante e temuto il vessillo della Libertà.
E noi, vigilati da birri e oppressi dalla somma dei mali, che quattro
secoli di tirannia traggon seco, tendevamo pur fiduciosi l'orecchio al
magico nome di GARIBALDI, e la storia de' suoi trionfi ci inebriava
di animose speranze. Parve alla per fine giunto il dì del riscatto —
e il gran Battagliero di Montevideo toccò la sacra terra d'Italia. Il
suo valore parve ivi addoppiarsi: le sue imprese di Luino e di Roma a
tutti son note: GARIBALDI salvò faccia all'Europa l'onore delle armi
italiane._

_Sinistrati i nostri destini, e cacciato dalla sua terra natale, Egli
ricalcò le vie dell'esilio, e trovò nelle contrade, che noi chiamiam
barbare, ospitali accoglienze. Ma Egli, prode come Scipione, vive in
terra straniera povero come Fabrizio e Cincinnato, e le contingenze
in cui versa, son tali da sollevare un grido di sconoscenza contro i
suoi ingrati fratelli, se GARIBALDI potesse mandar mai altro grido che
d'_Indipendenza_ e _Libertà_._

_In una sua lettera che Egli scrive ad un amico di Genova noi vi
leggiamo queste parole, che diamo senza comenti. «Se alle volte
per inaspettato evento potessero i miei figli abbisognare del
necessario, io ti scongiuro ad impegnare, o vendere la mia spada, dono
dell'Italia.» E più sotto alludendo alla speranza di procacciare colla
sua industria una onorata sussistenza alla sua famiglia — «A difetto
poi _l'alte non temo, e l'umili non sprezzo imprese_ — e la mia destra
è capace ancora di stringere un ferro per il mio paese — od un remo per
alimentare i miei bimbi.»_

_Quest'Uomo, che ogni giorno in America poneva a repentaglio la sua
vita in difesa d'una libera causa, e che pur non avea con che accendere
un lumicino in sua casa — quest'Uomo che in Roma non prese mai soldo,
e che il dì prima dell'entrata de' Galli rifiutò 20 mila scudi romani
inviatigli dal marchese Constabili ministro delle finanze della
Repubblica, geme ora nelle più afflitte fortune e nel disagio d'ogni
bene più necessario alla vita. E noi suoi fratelli di patria, e d'amor
nazionale, non manderemo una voce che lo consoli, non spargeremo d'un
fiore il suo amarissimo esilio?_

_Egli è ben noto come la Stampa, inspirata dai feroci nemici
dell'Italia, nulla abbia omesso per gittare la menzogna e lo scherno su
quest'uomo generoso, chiamandolo _condottiero e capitano di ventura_.
Ma le voci dei pochi venduti al potere ebbero solenne mentita nella
testimonianza d'illustri intelletti, i quali ammirati del valore e
della virtù di GARIBALDI levarono a cielo il suo nome, e l'additarono
al mondo come uno de' più strenui campioni della causa de' Popoli.
Fra questi scrittori meritamente primeggia _Alessandro Dumas_, nome
ben caro alle lettere, il quale quasi a riprovazione de' tristi,
che tentarono macchiare del loro fango il sacro capo del _Prode_,
volle tributare agli eroici difensori di Montevideo il libro che noi
presentiamo._

_Le pagine che il gran Romanziere consacra all'Eroe di Sant'Antonio e
del Salto sono una protesta che la generosa Francia scaglia contro le
turpitudini e le calunnie della stampa austriaca. — In esse il lettore
italiano vedrà sviluppato il primo atto della grande Epopea della vita
di GARIBALDI, di cui il second'atto fu Roma, ed oggi s'inizia il terzo
con più ampia e più completa gloria._



Capitolo Primo


Al viaggiatore che viene d'Europa su quelle navi che i primi abitanti
di quel paese scambiarono per case volanti, prime ad aprirsi allo
sguardo, dopo il grido del marinaio in vedetta che annunzia la
terra, son due montagne. L'una di mattoni, che è la cattedrale, la
chiesa-madre, la _matriz_, come la si chiama; l'altra poi di massi e
verdura, su cui s'innalza un faro, vien detta il _Cerro_.

Quindi quanto più si avvicina, egli scorge dietro le torri della
cattedrale, le di cui cupole in porcellana scintillano al sole, alla
destra del faro che siede sul monticello onde si domina la vasta
pianura, egli scorge gl'innumerevoli _miradores_ (belvedere) dalle
forme bizzarre, quasi corona delle case, che bianche e rosse, porgono
nei loro terrazzi un dolce convegno la sera; poi al piede del Cerro, i
saladeros (vasti edifizii a salar carni); poi sulla riva della baja, le
ridenti _quintas_ (case di campagna) orgoglio e delizia degli abitanti,
che nei giorni festivi traggono in folla al _miguelete_[1] alla
_aguada_[2], all'_arroyo seco_ (ruscello secco)!

Poscia se avviene che si getti l'áncora fra il Cerro e la Città
dominata per ogni dove dalla gigantesca Cattedrale, quasi Leviátan tra
flutti di case; se il palischermo armato di sei rematori rapidamente
vi caccia alla riva; se durante il giorno si scorgono presso quelle
incantevoli _quintas_ gruppi di donne vestite all'ammazzone e di
cavalieri; se al cader della sera attraverso i veroni, da cui escono
torrenti di luce e d'armonia, si odono i concerti dei pianoforti, i
lamenti delle arpe, i trilli delle quadriglie o le meste note delle
romanze, cagione di questi incanti è Montevideo, la vice-regina di quel
gran fiume d'argento, di cui Buenos-Ayres si tien la regina, e che si
scarica nell'Atlantico con uno sbocco di ottanta leghe.

Primo Giovanni Dias de Solis scoprì nel 1516 la costa ed il fiume
della Plata; ed avendo la sentinella in vedetta, alla vista del Cerro
gridato, _montem video!_ ne toccò il nome alla città, della cui storia
si dà per noi un rapido schizzo.

L'audacia di Solis, che per aver da un anno scoperto il Rio-Janeiro,
volle, lasciate nella baja due delle navi, avventurarsi sulla terza
nell'imboccatura del fiume, ebbe a costargli la vita. Tratto in inganno
dai segni d'amicizia degli Indiani, diè in un'imboscata, per cui,
fatto a pezzi, venne arrostito e mangiato sulle rive d'un ruscello,
che in memoria di questo orribile misfatto, ritiene tuttora il nome di
_arroyo_ (ruscello) di Solis.

Quest'orda d'Indiani antropofagi, valorosi figli della primitiva tribù
dei _Charruas_[3], signoreggiava il paese del pari che all'estremo
continente gli Uroni ed i Sioux. Riuscita vana ogni prova agli
Spagnuoli per sottometterli, fu necessità fondar Montevideo tra
continui attacchi di giorno e di notte, e, grazie a questa resistenza,
Montevideo, che ha appena cent'anni di vita, è una delle più moderne
città del continente americano.

Da ultimo, sullo scorcio del passato secolo, sorse un uomo che a questi
naturali signori della costa, diè una guerra di sangue e d'esterminio.
Nei tre ultimi combattimenti, serrate le donne ed i figli in mezzo alle
schiere, come gli antichi Teutoni, caddero tutti senza dar addietro
d'un passo. Monumento di questa suprema disfatta, il viaggiatore che
tien dietro alle tracce della civiltà, Dea che segue il cammino del
sole d'oriente ad occidente, vede ancor oggi, ai piedi dell'_Acegua_
biancheggiare gli ossami degli ultimi _Charruas_.

Il nuovo Mario, vincitore di questi Teutoni novelli, era il comandante
della campagna, Giorgio Pacheco, padre del generale Pacheco y Obes in
missione per Montevideo presso il governo francese.

Ma questi aveva a combattere più gagliardi nemici e meno facili degli
Indiani, come quelli che avvalorava non una fede religiosa che venía
meno di giorno in giorno, sibbene un materiale interesse che andava a
mille doppi crescendo. Dessi erano i contrabbandieri del Brasile, che
dai selvaggi distrutti ricevevano tale eredità di vendetta.

Ora essendo il sistema proibitivo prima base del commercio
spagnuolo, una guerra ostinata tra il comandante della campagna ed i
contrabbandieri che ora per frode, ora per forza tentavano introdurre
sul territorio di Montevideo le loro stoffe e il loro tabacco era
conseguente necessità. La lotta fu dunque lunga, disperata, mortale.
Mentre Don Giorgio Pacheco, uomo di forze erculee, di figura gigantesca
e singolare perspicacia, tenea per fermo averli se non distrutti
(impossibile), allontanati dalla città, essi di bel nuovo comparvero
più vigorosi, più destri, più compatti sotto il freno di una volontà
unica, potente, coraggiosa.

Quale la causa di questa ostinatezza del nemico?

Le spie mandate a tal uopo dal Pacheco, ritornarono con un sol nome
sulla bocca; Artigas!

Era questi un giovine dai venti ai venticinque anni, di cuore come
un vecchio spagnuolo, destro come un _Charrua_, sveglio come un
_Gaucho_[4]. Egli tenea delle tre razze, se non il sangue, lo spirito.

La lotta fu allora singolarissima; da una parte la scaltrezza del
contrabbandiere prestante di gioventù e vigoria; dall'altra la
potenza del vecchio Pacheco, cui forse venía meno, se non la forza,
il volere. Durò per quattro o cinque anni la guerra, in cui Artigas
sempre battuto, non vinto, parea riprendesse nuovo vigore, ritornando
all'attacco. Finalmente l'uomo della città si ristette, e pari a un
antico romano che dell'orgoglio facea sacrifizio sull'altar della
patria, rassegnava i suoi poteri al governo spagnuolo proponendo in sua
vece Artigas, capo della campagna, come il solo che potesse frenare
il contrabbando. La Spagna accettò; e come un bandito romano, fatta
la sommissione al papa, passeggia ammirato le città, di cui poco anzi
era il terrore. Artigas entrò trionfalmente in Montevideo a riprendere
l'opera d'esterminio del suo predecessore. Diffatti nel giro d'un
anno i contrabbandieri eran dispersi. Ciò avveniva nel 1782 al 1783.
Artigas, in allora dell'età di 27 o 28 anni, vive tuttodì a 93 anni in
una piccola _quinta_ del Presidente del Paraguay. Quest'uomo bello,
coraggioso e fortissimo, segna l'epoca d'una delle tre potenze che
signoreggiarono Montevideo.

Don Giorgio Pacheco era il tipo di quel valore cavalleresco del vecchio
mondo, che traversò i mari con Colombo, Pizzarro, Vasco di Gama.

Artigas, l'uomo della campagna, rappresentava il partito nazionale che
tiene del portoghese e dello spagnolo; quello cioè degli stranieri alla
terra americana restati Portoghesi e Spagnoli dal loro soggiorno in
città, i cui costumi avevano l'impronta di queste nazioni.

Il terzo tipo, la terza potenza, che è il flagello delle città e delle
campagne, vien detto il _Gaucho_.

In Francia si dice falsamente _Gaucho_ l'uomo che vive in quelle vaste
pianure, in quelle immense steppe che si estendono dalle rive del
mare al versante orientale delle Ande. Fu il capitano Head inglese che
primo introdusse l'errore di confondere il Gaucho coll'abitante della
campagna, che ne sdegna non pur la somiglianza, benanco il confronto.

Il _Gaucho_ può dirsi il boemo del nuovo mondo; poichè privo di beni,
di casa, di famiglia, non ha che il suo _poncho_ (mantello), il suo
cavallo, il suo coltello, il suo _lazo_ (laccio), e le sue _Bolas_[5].
Il suo coltello è la sua arma, il suo _lazo_ e le sue _Bolas_
l'industria.

Artigas fu dunque salutato con grida da tutti, se ne togli i
contrabbandieri, comandante della campagna. Reggeva ancora tal carica
allo scoppiar della rivoluzione del 1810, per cui cadde il dominio
spagnolo nel Nuovo-Mondo.

Il moto cominciato nel 1810 a Buenos-Ayres, non cessò che in Bolivia
alla battaglia d'Ayacucho nel 1824.

Le forze insurrezionali comandate dal generale Antonio José de Sucre,
sommavano a 5000 uomini. Reggeva le truppe spagnole in numero di 11,000
il generale José de Laserna, ultimo vicerè del Perù. Come si vede non
si combatteva ad armi eguali; i patrioti difettanti di munizioni da
fuoco e da bocca avevano un sol cannone; temporeggiati, s'arrendevano;
attaccati, vinsero. Primo venne alle mani il generale patriota Alejo
Cordova; avanti! gridò a' suoi mille cinquecento soldati, innalzando il
cappello sulla sua spada. Richiesto, se al passo ordinario, o al passo
di carica dovea investirsi il nemico, al passo della vittoria rispose.
La sera l'armata spagnola era prigioniera di quelli che aveva a sua
discrezione il mattino.

Le simpatie d'Artigas per la rivoluzione lo avean messo alla testa
del movimento della campagna; veniva ora egli a rassegnare a Pachecho
il suo comando, come ei prima aveva fatto con lui, quando una
sorpresa fatta sul vecchio generale nel suo alloggio di _casa blanca_
nell'Uruguay, da una mano di soldati spagnoli, ne lo distolse. Però
ei non si ristette, e cacciati in poco tempo gli Spagnoli da tutta
la campagna, di cui s'era fatto signore, li ridusse alla sola città
di Montevideo, che per essere, dopo San-Juan-d'Ulloa, la città più
fortificata d'America, poteva frenare le irrompenti forze nemiche.
Quivi spalleggiati da un'armata di 4,000 uomini, erano convenuti
tutti i partitanti di Spagna. A questa piazza pose l'assedio Artigas
sostenuto dall'alleanza di Buenos-Ayres. Se non che un'armata
portoghese venuta in ajuto agli Spagnoli, fe' sbloccar Montevideo. Ma
nel 1812 il generale Rondeau per que' di Buenos-Ayres, e Artigas per
quei di Montevideo, unite le loro forze, tornarono all'impresa. Dopo
un assedio di 23 mesi, la capitale della futura Repubblica orientale,
venne per capitolazione in potere degli assedianti agli ordini del
generale in capo Alvear.

Come Artigas non tenesse più il supremo comando è facile a dirsi.
Dopo venti mesi d'assedio, e tre anni trascorsi in mezzo agli uomini
di Buenos-Ayres e di Montevideo, le disparità di usi e costumi, dirò
quasi di sangue, comechè prima semplici cause di dissenzioni, aveano
gradatamente preso l'aspetto di un odio inveterato. Fu allora che
Artigas si ritirò come Achille nella propria tenda, o meglio portatala
seco, cercò un asilo in quelle immense pianure ben note al giovane
contrabbandiere.

Di tal guisa Alvear alla capitolazione di Montevideo era generale in
capo dei _Portennos_.

Di tal nome vengon chiamati nel paese gli uomini di Buenos-Ayres;
mentre all'opposto diconsi Orientali que' di Montevideo. Ecco ciò che
li distingue.

L'uomo di Buenos-Ayres già da 300 anni fissato nel paese, dimenticò,
dopo un secolo, le tradizioni della madre patria, la Spagna; ed essendo
i suoi interessi attaccati alla terra che abita e lavora, è egli ora
più americano, di quello non lo fossero gli Indiani cacciati da lui.
Per opposto l'uomo di Montevideo, che occupa solo da un secolo il
paese, non ha punto scordato ch'egli è spagnolo; al sentimento della
nuova nazionalità, unisce le tradizioni della vecchia Europa, cui
tende per civilizzazione, mentre l'uomo della campagna di Buenos-Ayres
rientra gradatamente nella barbarie. Origine di queste così svariate
tendenze è forse lo stesso paese.

La popolazione di Buenos-Ayres disseminata in lande immense, avendo
per tetto mal costrutte capanne, lontane fra loro, in un paese
tristissimo, difettante d'acqua e di legna, contrae dall'isolamento,
dalle privazioni e dalle distanze, un carattere tetro, insocievole,
barbaro; i suoi istinti tengono dell'indiano selvaggio delle frontiere
del paese, da cui riceve le piume di struzzo, mantelli per i cavalli e
legno per lancie, oggetti tutti d'un paese, in cui la civiltà europea
non ha penetrato, scambiandoli coll'acquavite e col tabacco che gli
Indiani poi recano in quelle immense pianure dei Pampas donde presero
il nome, o cui forse diedero il loro.

La popolazione di Montevideo occupa invece un paese bellissimo,
irrigato da ruscelli, intersecato da valli. Se non ha le immense
foreste dell'America del Nord, può nelle sue amenissime valli riposarsi
all'ombra del _Quebracho_ dalla corteccia di ferro, dell'_Ubajè_
dai frutti d'oro, del _Sauce_ dai ricchi rami. Le case, le ville, le
tenute, come che a poco tratto le une dalle altre, forniscono agli
abitanti comodi alloggi e sanissimi cibi; quindi il suo carattere
franco ed ospitale ritrae della civiltà europea che il mare le reca
sulle ali del vento.

Tipo ideale della perfezione per il Gaucho di Buenos-Ayres è l'indiano
a cavallo; per quelli della campagna di Montevideo è l'uomo d'Europa.
II primo si reputa il più elegante d'America; facile all'ira e alla
calma, vince in fantasia il suo rivale; diffatti Varela e Lafinur,
Dominguez e Marmol poeti _Portennos_ nacquero a Buenos-Ayres.

Il secondo invece è più calmo e più fermo nei suoi progetti, nelle sue
risoluzioni; se il Gaucho crede superarlo in eleganza, egli si tien
primo in coraggio. Fra i suoi estri poetici brillano i nomi d'Hidalgo,
di Berro, di Figueroa, di Juan-Carlos Gomez.

Non è meraviglia, se pur la donna di Buenos-Ayres pretende al vanto
di bellissima tra le donne dell'America meridionale, dallo stretto di
Lemaire al fiume dell'Amazzoni.

Sono prime tra queste le signore Augustina Rosas, Pepa Lavalle e
Martina Linche. Però se la donna di Montevideo non è tanto incantevole,
la purezza delle sue forme, le sue mani, i suoi piccioli piedi, la
dicono di Siviglia o Granata: ha insomma quel non so che di piacevole
che vince di gran lunga la perfezione. Montevideo annovera con orgoglio
Matilde Stewart, Nazarea Rucker e Clementina Batle, come tipi di sangue
scozzese, sangue alemanno, sangue catalano.

Eravi dunque nei due paesi rivalità di coraggio e di eleganza tra
gli uomini; di bellezza e di grazia tra le donne; rivalità d'ingegno
nei poeti, veri ermafroditi sociali, perchè irritabili come uomini,
capricciosi al pari delle donne, e malgrado questo, ingenui talvolta
come fanciulli.

Da tutto ciò, fra Artigas ed Alvear, fra gli uomini di Montevideo
e di Buenos-Ayres, era conseguente non solo una separazione, non
solo un odio, sibbene una guerra. E per la guerra contro quelli di
Buenos-Ayres, seppe giovarsi di tutti gli elementi opposti, l'antico
capo dei contrabbandieri, poco curandosi dei mezzi, coll'unico
fine di cacciar dal paese i Portennos. Messosi quindi alla testa
dei boemi di America, _Gauchos_, con quanto aveva di risorse il
paese, bandì la guerra santa; cui non potè reggere nè l'armata di
Buenos-Ayres, nè il partito spagnolo, che ben s'avvedeva il ritorno
di Artigas a Montevideo, essere la sostituzione della forza brutale
all'intelligenza.

Nè mal s'apponeano costoro. Uomini prima erranti, barbari, disordinati,
ora riuniti in un corpo d'armata sotto il generale Artigas, fatto
dittatore, segnarono un'epoca che ricorda il sanculottismo del 93.
Montevideo vide allora succedere il regno dell'uomo dai piè nudi ai
fluttuanti _calzoncillos_[6], alla _chiripa_[7] scozzese, al lacero
_poncho_, e al cappello abbassato sull'orecchio e assicurato dal
_barbijo_[8].

Scene inaudite, bizzarre, talvolta terribili funestarono allora la
città, e costrinsero le prime classi della società all'impotenza
d'azione. Artigas allora, meno la ferocia e più il coraggio, fu quello
che è Rosas al presente.

La sua dittatura, per quanto fosse una calamità, fu però brillante e
nazionale. Ne son prova le sue vittorie contro quei di Buenos-Ayres,
che ei vinse in ogni attacco, e la resistenza ch'ei durò ostinatissima
all'armata portoghese che nel 1815 invase il paese.

Pretesto a tale invasione furono il disordinato reggimento d'Artigas
e la necessità di salvare i popoli vicini dal pericolo di questo
contagio. Le classi illuminate, desiderose di porre un freno
all'anarchia, affrettavano coi voti una vittoria che sostituisse la
dominazione portoghese ad un potere che strascinava seco la licenza
e la brutale tirannia della forza materiale. A questo doppio nemico
Artigas contese il terreno per ben quattr'anni. Vinto alfine, dopo
quattro battaglie in campo aperto o piuttosto battuto alla spicciolata,
si ritirò nell'Entre-Rios, dall'altra parte dell'Uruguay; ove,
quantunque fuggitivo, serbavasi grande la potenza del suo nome. Se non
che Ramirez, suo luogotenente, tratti a rivolta tre quarti de' suoi
fedeli, movendogli contro, gli tolse ogni speranza di riscossa e lo
costrinse a sortir dal paese, in cui, nuovo Anteo, parea riprendesse
vigore toccando la terra.

Allora Artigas disparve, pari ad un turbine che dopo aver seminato
di rovine e desolazioni il suo passaggio si scioglie e svapora; e si
ritirò nel Paraguay, ove, or son due anni, lo vide un nostro amico,
nell'età di 93 a 94 anni, nel pieno esercizio di quasi tutte le sue
forze e delle sue facoltà intellettuali.

Dopo la sua caduta, la dominazione portoghese vi gettò ferme radici
sino al 1825, epoca in cui Montevideo e tutti i possedimenti portoghesi
in America, passarono al Brasile.

Occupata dunque Montevideo da una forza di 8,000 uomini ne parea
rassodato il possesso all'imperatore, quando un Orientale (egli
è di questo nome che noi chiamiamo gli uomini di Montevideo), che
proscritto, avea stanza in Buenos-Ayres, raccolti trentadue suoi
compagni nell'esilio, giurava con essi affrancare la patria o morire.
Preso il mare su due piccoli schifi, questo pugno d'audaci prendeva
terra all'Arenal-Grande.

Il loro capo Don Juan Antonio Lavelleja, già stretto di segrete
intelligenze con un proprietario del paese, mandava a chiederlo dei
cavalli all'impresa, secondo il convenuto. Costui rispondeva: ogni cosa
essere scoperta, i cavalli derubati, unica via di salute a Lavalleja e
consorti mettersi al mare e riafferrar Buenos-Ayres. Ma egli fermo nel
suo nobil concetto, rimandati i battellieri, prendea possesso co' suoi
compagni il 19 aprile delle terre di Montevideo in nome della libertà.

Al domani la piccola truppa, fatta una requisizione di cavalli, cui
aveano acceduto i proprietari, marciava alla volta della capitale,
quando venne incontrata da duecento cavalieri, quaranta dei quali erano
Brasiliani, gli altri Orientali. Lavalleja, comechè avesse modo di
evitare lo scontro, si fa loro innanzi, ma prima di venire alle mani,
richiese d'un abboccamento il comandante Giuliano Laguna suo antico
fratello d'armi.

— Che chiedete, e a che venite? dissegli questi.

— A liberar Montevideo dello straniero, rispose Lavalleja. Se siete per
me, unitevi meco. Se contro di me, rendetevi o preparatevi alla pugna.

— Rendere le armi mi è ignoto sinora, nè, spero, alcuno potrà
insegnarmelo.

— Dunque allora, in rango coi vostri, e vediamo qual'è la causa di Dio.

— Subito, riprese Laguna, e spronato il cavallo, raggiunse i suoi.

Ma spiegato il vessillo nazionale di Lavalleja, i centosessanta
Orientali passarono a lui, e i Brasiliani vennero suoi prigionieri.

Allora la sua marcia in Montevideo fu un vero trionfo e la Repubblica
Orientale, proclamata dal volere di tutto un popolo entusiasmato, ebbe
nome tra le nazioni.

Frattanto alto levavasi la fama di tale che dovea più tardi essere il
terrore della federazione Argentina.

Dopo breve tratto dalla rivoluzione del 1810, un giovane dai quindici
ai sedici anni, lasciava la città di Buenos-Ayres e prendea la
campagna; l'aspetto avea scuro, il passo concitato.

Questo giovane era Juan Manuel Rosas. Perchè egli, ancor fanciullo
fuggisse il tetto paterno, e riparasse alla campagna, è orribile a
dirsi. Quegli che un giorno dovea volgere le armi contro la patria,
avea levato le mani sulla madre e perciò la maledizione paterna lo
cacciava dalla casa che lo aveva visto bambino.

Un tale avvenimento non ebbe eco in mezzo allo svolgersi di più vitali
interessi. Ora mentre la gioventù correva alle armi sotto la bandiera
dell'indipendenza, egli perduto nelle immense foreste davasi alla vita
del _Gaucho_, ne adottava il vestire e i costumi, diventava insomma un
de' più destri nel domar cavalli, e nel maneggio del _lazo_ e delle
_bolas_, talchè al vederlo lo avresti scambiato per un uomo della
campagna, per un vero _Gaucho_ d'origine.

Rosas accomodavasi dapprima in qualità di _peon_ (giornaliere) in
un _estancia_[9]; fu quindi _capataz_ (capo de' giornalieri), poi
_mayordomo_ (agente); in quest'ultimo stato governava le proprietà
della possente famiglia Anchorena, principio delle sue grandi
ricchezze.

Essendo ora nostro disegno tratteggiare il carattere di Rosas in ogni
sua parte, vediamo qual fosse la disposizione del suo spirito, nello
avvicendarsi di tanti casi.

S'era egli trovato in Buenos-Ayres nei prodigi della rivoluzione
contro la Spagna; in quel tempo l'uomo di cuore domandava un nome ai
campi di battaglia, l'uomo di genio cercava la gloria nel reggimento
della pubblica cosa. Avido di fama, vedeasene Rosas preclusa ogni
strada, come quegli che non avea il coraggio della battaglia, nè il
senno del governo. I gloriosi nomi di Rivadavia, di Pasos, d'Aguero
come ministri; di San Martin, di Balcarce, di Rodriguez, di Las Heras
come guerrieri, lo scuotevano nell'orrore della sua solitudine, e
fermentavangli in cuore un tesoro d'odio per quella città che per tutti
aveva un trionfo, ma non per lui.

Fin da quest'epoca Rosas sognava e preparava l'avvenire. Errante nei
pampas[10], confuso tra i _Gauchos_, divideva le miserie del povero;
ora lusingando le antipatie dell'uomo della campagna, lo aizzava contro
l'uomo della città; ora contando sul numero, gli additava facile al
primo cenno assoggettar la città, che sì lungamente lo avea tenuto
schiavo. Ottenuto così l'impero sugli abitanti delle pianure, lascia
Rosas la sua solitudine.

Insorte nel 1820 le truppe di Buenos-Ayres contro il governatore
Rodriguez, un reggimento di milizie della campagna, i _colorados de
las Conchas_ (i rossi delle Conchas) entra nella città il 5 ottobre,
agli ordini d'un colonnello. Era Rosas. Ma venute il domani queste
a conflitto con quelle della città, il colonnello era scomparso;
un violento male di denti, cessato colla lotta, lo allontanava, suo
malgrado, dalla mischia. L'entrata di Rosas a Buenos-Ayres può dirsi
l'unica sua impresa guerriera.

Vinti gl'insorti della città, Rivadavia nominato ministro dell'interno,
afferra le redini del potere. Quest'uomo, figlio della rivoluzione,
ricco d'immensa erudizione, frutto de' suoi lunghi viaggi in Europa,
era caldo del più ardente e più puro amore di patria. Nell'intento
di recare in America i frutti della civiltà europea, fallì nei mezzi
d'applicazione in un popolo ancor tardo e fanciullo; volle essere
insomma all'America ciò che fu Pietro I alla Russia; ma privo degli
stessi elementi, ove quegli riuscì, ei venne manco, sebbene avrebbe
potuto riescire dissimulando; ma invece ferì gli uomini nelle
loro abitudini, che spesso sono una nazionalità. Schernì i costumi
americani, prese a disprezzo la _chaqueta_ (giacchetta) e la _chiripa_
dell'uomo della campagna, e simpatizzando nello stesso tempo per il
costume europeo, venne a perdere a gradi a gradi la sua popolarità e il
potere.

Malgrado di tutto questo, molte furono le istituzioni che lasciò in
dote alla patria. Il suo governo fu dei più prosperi a Buenos-Ayres.
Fondò università e licei, introdusse nelle scuole il mutuo
insegnamento. Chiamò i sapienti e gli artisti d'Europa, e n'ebbero le
arti e le scienze incremento; per lui infine Buenos-Ayres fu chiamato
nella terra di Colombo, l'Atene dell'America del Sud.

Sorvenuta la guerra del Brasile nel 1826, Buenos-Ayres soccorse alla
nazione con ogni sorta di sacrifizi. Assorbite le finanze, disordinata
l'amministrazione, indebolito il governo, nacquero i torbidi. Cresceano
intanto coi diversi interessi, varie le opinioni tra gli abitanti della
campagna e della città. Levatasi Buenos-Ayres a tumulto, la campagna in
massa assalì la città, e fe' Rosas suo capo, centro del potere. Eletto
egli nel 1830 governatore, malgrado l'opposizione della città, tenta
riconciliarsi con essa. Spogliati i selvaggi costumi del _Gaucho_,
come il serpente fa della pelle, finge rifarsi uomo della città. Ma
essa resiste, e la civilizzazione sdegna perdonare a un traditore che è
passato sotto la bandiera della barbarie. Se avviene ch'egli si mostri
in abito militare, è un chiedere sommesso in qual campo di battaglia
abbia Rosas guadagnato il suo grado; se parla in qualche convegno, si
domanda ove abbia appreso un simile stile; se arriva in una _tertulìa_
(conversazione serale) le donne segnandolo a dito, lo chiamano il
_Gaucho_ mascherato. In breve, Rosas è fatto segno dovunque ai pungenti
epigrammi, per cui i Porténnos godono alta la fama.

Questa lotta mortale al suo orgoglio durò tutti i tre anni del suo
reggimento, e quando cesse il potere, coll'odio nell'anima e il
fiele nel cuore, fatto certo che tra sè e la città era impossibile
un componimento, cacciossi di bel nuovo nei suoi fedeli _Gauchos_, e
nelle sue _Estancias_, di cui era il signore, ma col fermo proposito di
rientrare, quando che fosse, dittatore in Buenos-Ayres, come Silla in
Roma colla spada in una mano, la fiaccola nell'altra.

A tal fine egli richiese il governo d'un comando dell'armata che movea
contro i selvaggi Indiani. Il governo che lo temeva, avvisando di
allontanarlo coll'accedere al suo desiderio, gli diè tutte le truppe di
cui gli era fatto disporre, dimentico che correva a rovina accrescendo
le forze di Rosas.

Costui trovatosi a capo dell'armata, promossa una rivoluzione a
Buenos-Ayres che lo chiamò al potere, non volle accettarlo che a quelle
condizioni, che la forza armata del paese in sue mani poteva imporre, e
rientrò in Buenos-Ayres dittatore assoluto, cioè con _toda la suma del
poder público_; colla somma del pubblico potere.

Fu sua prima vittima il governatore generale Juan Ramon Balcarce, uomo
distinto nella guerra dell'indipendenza, e tra i capi del partito
federale di cui Rosas si diceva il sostegno. Nobil di cuore e d'una
fede nella patria ardentissima, credendo pure le intenzioni di Rosas,
s'era molto adoperato alla sua fortuna. Egli morì proscritto; e quando
il suo cadavere ripassò la frontiera, la famiglia non potè, per divieto
di Rosas, rendergli non solo i pubblici onori d'un governatore, ma
neppure gli estremi uffici dovuti al cittadino.

Il vero potere di Rosas ebbe dunque principio nel 1833. Gli istinti
crudeli, che procacciarongli poi una celebrità di sangue, non
mostraronsi in piena luce nei primi tempi del suo governo, se ne togli
la fucilazione del maggior Montero, e dei prigionieri di San Nicolò.
Non è però a tacersi che avvenivano in quel torno alcune morti oscure
e inaspettate, che la storia registra severa in lettere di sangue nel
libro delle nazioni. Diffatti scomparvero due capi della campagna di
cui Rosas potea temer la potenza; morirono del pari in quei giorni
Arbolito e Molina. È forse in tal modo che perivano i due consoli che
accompagnavano Ottavio alla battaglia d'Azio.

Ora ci corre debito far più intima conoscenza con Rosas già dittatore,
e che nondimeno tocca appena la soglia di quel potere, che non gli
fuggirà più dalle mani.

Nel 1833 Rosas ha trentacinque anni, di aspetto europeo, di biondi
capelli, di colorito bianchissimo, di occhi azzurri, porta soltanto la
barba tagliata all'altezza della bocca. Bello il suo sguardo se fosse
dato giudicarlo, avendo per costume volgerlo a terra anche in faccia
agli amici, ch'egli conosce avergli sempre nemici. Dolce la voce, e
all'uopo, insinuante la parola; d'animo vigliacco e ferocemente astuto:
proclive alle _mistificazioni_, ne faceva suo scopo esclusivo prima
ch'ei s'occupasse di cose più serie; ora gli è una distrazione e nulla
più. Come si vedrà da questi due esempi, le sue _mistificazioni_ erano
brutali, come il suo carattere che accoppia la scaltrezza alla ferocia.

Una sera invitato a commensale un amico, nascosto il vino destinato
alla cena, lasciò solo sulla mensa una bottiglia di quel Leroy, alla
cui fama non manca che l'esser nato al tempo di Molière. L'amico,
gustato il liquore e trovatolo abbastanza piacevole, ne votò la
bottiglia lungo la cena, mentre Rosas non prese che acqua. Nella notte
l'amico ebbe quasi a morirne. Rosas ne rise molto, e se quegli fosse
morto ne avrebbe, fuor di dubbio, riso moltissimo.

Era suo passatempo, allorchè veniva a lui qualche _pueblero_ (abitante
della città), costringerlo a salire i più sfrenati cavalli, e la sua
gioia era maggiore, se più grave la caduta del cavaliere.

Nel governo poi tra i più difficili affari, erano suoi consiglieri
i giullari e i buffoni. Nell'assedio di Buenos-Ayres nel 1829, avea
quattro di questi infelici presso di sè; creatili monaci, erasene, di
privata autorità, costituito priore; e li chiamava _fray_ Bygûa, _fray_
Chaja, _fray_ Lechusa, e fray _Biscacha_[11]. Amava pure immensamente
i confetti, ed aveane nella sua tenda d'ogni maniera, nè con minore
affetto li amavano i frati. Or come spesso avveniva che ne mancasse
buon numero, Rosas chiamava i fratelli a confessione. Sapendo essi
qual premio la menzogna aspettasse, il reo confessava, che spogliato
all'istante degli abiti, venia vergheggiato da' suoi compagni.

Tutti conoscono in Buenos-Ayres, Eusebio il molatto di Rosas, cui un
giorno di pubblica festa, prese il talento di fare per lui, ciò che
madama Dubbarry faceva a Lucienne del suo negro Zamore; ed Eusebio
vestito degli abiti del governatore ebbe a ricevere gli omaggi delle
autorità al luogo del suo signore.

Costui dunque notissimo, lo ripetiamo a Buenos-Ayres, fu vittima
d'un capriccio terribile, come solo Rosas può averne. Chiamatolo
a sè, accusandolo capo d'una cospirazione per pugnalarlo, ordinò
si arrestasse malgrado le sue proteste di devozione. I giudici,
cui bastava l'accusa di Rosas, per non inquietarsi se Eusebio
era colpevole o no, condannarono l'infelice alla pena del capo.
Preparatosi all'estremo supplizio, si confessò e fu tradotto sul luogo
dell'esecuzione, ove aspettavalo il carnefice co' suoi ministri. Allora
quasi per incanto, comparve Rosas e dicendo al meschino, presso a
morir di paura, che sua figlia Manuelita presa d'amore per lui, voleva
sposarlo, lo graziò!

Manuelita al dì d'oggi è sui vent'otto o trent'anni; se non può dirsi
una donna bella, è, ciò che val meglio, una piacevol persona, di figura
distinta, di tatto profondo, capricciosa come un'europea.

Come figlia di Rosas, fu fatta segno alle calunnie. La dissero erede
dei feroci istinti del padre e dimentica, come quelle figlie di
imperatori romani, dell'amore filiale per un amore più tenero e meno
cristiano.

Niente di più falso. Manuelita è rimasta zitella per molte ragioni;
Rosas talvolta sente il bisogno d'essere amato, e sa che l'unico su
cui possa contare, è l'amor di sua figlia; d'altronde nessuna potente
famiglia di Buenos-Ayres cercò di congiungersi col dittatore. Infine è
pur da notarsi che Rosas ne' suoi sogni di regno crede veder l'avvenire
di Manuelita fecondo di nozze più aristocratiche di quelle abbia
diritto a pretendere in questo momento.

Manuelita non è punto crudele; è anzi noto a tutti coloro cui non
offende amore di parte, che dessa è un freno continuo alla collera
del padre, sempre pronta ad irrompere. Fanciulla ancora, strappava le
grazie da Rosas con un mezzo stranissimo. Spogliato quasi degli abiti
il molatto Eusebio, ordinava gli mettessero la sella e le briglie come
un cavallo: addattati poi a' suoi piccioli piedi andalusi i _speroni_
del _Gaucho_, gli saliva sul dorso, e amazzone strana, venía su questo
bucefalo umano davanti a suo padre, che ridendo dei capricci della
fanciulla, accordavale la grazia richiesta.

Ora poi che tai mezzi non hanno più l'antico prestigio, ella circonda
suo padre, quasi sorella di misericordia, di cure incessanti. Studiato
il di lui cuore, ne conosce le vanità più secrete che lo tormentano;
ora indugiando, ora chiedendo, riesce talvolta ad ottenere, e se è vera
l'intimità che le appongono, noi oseremmo quasi asseverare, che il suo
delitto è non solo scusabile agli occhi di Dio, ma potrà tenerle luogo
d'una virtù.

Manuelita è la regina e insieme la schiava del tetto domestico; essa
governa la casa, presta a suo padre le più tenere cure, ed incaricata
di tutte le relazioni diplomatiche, può dirsi il vero ministro degli
affari esteri di Buenos-Ayres.

Diffatti per la _tertulìa_ di Manuelita, ora Manuela, ma a cui suo
padre dà sempre il nome d'infanzia, deve l'agente straniero far la sua
diplomatica entrata presso di Rosas.

Nella sua _terlulìa_ Manuela si rappresenta come entusiasta del padre.
Ivi, senza che cada in dubbio ad alcuno, si uniforma agli avvisi del
dittatore; e colle grazie della gioventù, e colla poca importanza
politica, che si suol dare ad una bocca ridente e a due begli occhi,
avviluppa lo straniero in tal guisa che a gran fatica egli può
sciorsene.

Infine del pari che Rosas è un essere eccezionale e diviso dalla
società, Manuelita è una strana creatura, che, incognita a tutti,
passa solitaria su questa terra, lungi dall'amore degli uomini e della
simpatia delle donne.

Infelice! essa sola può dire quanto è sventurata e quante lacrime versa
quando Iddio le chiede conto delle sue colpe, ed ella chiede conto a
Dio de' propri dolori.

Rosas ha pure un figlio, di nome Juan, di nessun peso nel sistema
politico del padre. Egli è un giovane d'aspetto comune, minore d'un
anno o due di Manuelita; privo di nome può dirsi non avrà mai che
quello che viene dai triviali amori e da corrotti costumi.



Capitolo Secondo


Giunto al sommo del potere, fu cura di Rosas spegnere la federazione.
Lopez, autore di questa, caduto malato, va a Buenos-Ayres sull'invito
di Rosas che lo vuole presso di sè. Lopez muor di veleno. Quiroga,
capo della federazione, sfuggito per incanto a venti sanguinosi
combattimenti, il cui coraggio e fortuna son proverbiali, muore
assassinato. Cullen, mente della federazione, governatore di Santa-Fè
per una rivoluzione suscitata da Rosas, gli è dato nelle mani dal
governatore di Santiago. Cullen muor fucilato.

Quanto v'ha di più alto nel partito federale corre le istesse fortune
de' più sommi in Italia sotto i Borgia; e a mano a mano Rosas
adoperando le istesse mene di Alessandro VI e suo figlio Cesare,
pervenne a dominare la Repubblica Argentina, la quale sebbene ridotta a
perfetta unità, continua nel titolo specioso di federazione.

Ora occorre di dare alcun cenno dei personaggi da noi nominati,
evocando un istante i loro accusatori fantasmi; tanto più che vi
ha in tutti questi uomini una tal quale primitiva selvatichezza che
merita se ne faccia caso. E per cominciare dal generale Lopez, un solo
aneddoto ci darà contezza non tanto di lui, sibbene ancora degli uomini
che trattava. Egli reggea Santa-Fè e contava in Entre-Rios un suo
personale nemico, il colonnello Ovando, che in seguito ad una rivolta
fu tradotto a lui prigioniero. Il generale era a mensa e ricevendo con
oneste accoglienze Ovando, l'invitò ad assidersi seco e si stabilì
fra essi un colloquio come in due convitati ne' quali l'eguaglianza
delle fortune comandi la più perfetta ed egual gentilezza. Se non che
a mezzo il desinare, Lopez interrompendosi a un tratto: Colonnello,
disse, s'io fossi caduto in vostro potere come voi nel mio e ciò
fosse avvenuto nell'ora dei cibi, che avreste voi fatto? — Io vi avrei
invitato a sedere alla mia tavola, come voi faceste con meco. — Sì,
ma dopo il convito? — V'avrei fatto fucilare. — Son soddisfatto che
una tale idea v'abbia balenato alla mente, essendo pure la mia; voi
sarete fucilato all'alzarvi di tavola. — Debbo io levarmi di subito,
o proseguire il mio pranzo? — Oh! continuate, Colonnello, non v'è poi
molta urgenza. Continuarono adunque, gustarono caffè e liquori, dopo
di che disse Ovando: — Credo che questo sia il tempo. — Vi ringrazio,
rispose Lopez, di non aver atteso ch'io ve lo rammemorassi. Indi,
chiamato un soldato, — La squadra è pronta? dimandò — Sì, mio generale,
rispose costui. Allora voltosi a Ovando, — Addio, Colonnello, gli disse
— Addio, rispose, non è lunga la vita nelle guerre come le nostre. E
salutandolo, sortiva. Cinque minuti dopo una fucilata alla porta di
Lopez, gli annunziava che il colonnello Ovando non era più.

In quanto a Quiroga, egli era un uomo della campagna al pari di
Rosas. Un tempo, sergente nell'armata di linea contro gli Spagnuoli,
s'era poi ritirato alla Rioja, suo paese natale. Fatto per le interne
discordie signor del paese, appena ebbe la somma del potere, si cacciò
a tutt'uomo nella lotta delle varie fazioni della repubblica, e per
queste fe' per la prima volta sentire il suo nome all'America.

Nello spazio d'un anno Quiroga era la spada del partito federale;
nessuno ebbe al pari di lui ad ottenere più felici successi col solo
suo valor personale, talchè il prestigio del suo nome potea dirsi
supplisse a un esercito. Cumulata nel calor della mischia intorno
a sè la somma dei pericoli, gettava allora il suo grido di guerra e
impugnata la lunga lancia, sua arma prediletta, volgeva in fuga anche i
più coraggiosi.

Quiroga, anzichè crudele, era feroce; ma d'una ferocia magnanima,
generosa; d'una ferocia non di tigre, ma di leone. Infatti il
colonnello Pringles, suo giurato nemico, è fatto prigione, poscia
assassinato. L'assassino agli ordini di Quiroga, che nella speranza
d'un premio, gli vien narrando il delitto, è fucilato.

Un bel giorno i suoi soldati, memori dell'accaduto, traggongli innanzi
due ufficiali nemici fatti allora prigioni. All'invito di disertare la
propria bandiera, l'uno rifiuta, l'altro consente.

— Orsù dunque, disse a quest'ultimo, a cavallo, andiamo a veder
fucilare il vostro compagno. — Egli obbedisce, e lungo la via vien
novellando con Quiroga, di cui già si crede aiutante di campo, mentre
in mezzo ai soldati il povero condannato va tranquillamente alla
morte. Giunti sul luogo, Quiroga ingiunge all'ufficiale che si rifiutò
al tradimento, di mettersi in ginocchio. Ma dopo il comando, pronti!
fermandosi:

— Orsù, disse a lui che si tenea già per morto, voi siete un prode,
ecco il cavallo del signore, partite.

E colla mano accennava al cavallo del rinnegato.

— Ed io? chiedeva egli.

— Tu non ne hai mestieri, chè sei presso a morire.

Nulla valsero i preghi dell'amico reso alla vita; pochi minuti dopo era
morto.

La gloria di batter Quiroga era serbata al generale Paz, il Fabio
americano, uomo per virtù e illibatezza specchiatissimo. Due volte
ei ne distrusse le armate nei terribili combattimenti della Tablada e
d'Oncativo. Ma fatto prigioniero il general Paz a cento passi dalla sua
armata per la caduta del suo cavallo, Quiroga opponendo alla tattica e
strategia di queste allora nascenti repubbliche, un indomito coraggio
ed una volontà di ferro, fu invincibile.

Cessata la guerra tra i federali e gli unitari, volle Quiroga visitare
le interne provincie. Nel ritorno assalito a Barranca-Jaco da una mano
di trenta assassini, una palla che traversò la vettura, in cui era
soffrente, lo colse nel petto. Quantunque ferito a morte, pallido,
grondante sangue, potè sollevarsi ed aprir la portiera. Alla vista
dell'eroe rizzato in piedi e quasi cadavere, gli assassini si diedero
alla fuga. Ma Santos-Perez lor capo trattosi innanzi a Quiroga, che
caduto gli abbracciava i ginocchi e lo fissava nel viso, l'uccise,
mentre gli altri assassini tornavano a dar compimento al misfatto.
Furono i fratelli Reinafi che reggeano Cordova, braccio di questa
spedizione d'accordo con Rosas. Ma egli riparatosi in una macchia onde
non esser visto, potè, prese le parti dell'innocente, farli arrestare e
condannare e fucilare.

Ora di Cullen. Nato egli in Ispagna, abitava la città di Santa-Fè,
ove strettosi con Lopez, ne era venuto il ministro e il consigliere.
L'influenza che ebbe ad esercitare nella repubblica argentina dal
1820 al 1833, epoca della sua morte, lo rese uomo d'alto rilievo. Le
oneste accoglienze di Cullen per Rosas, quando proscritto nel dì della
sventura riparò a Santa-Fè, non ebbero potenza di cancellare dalla
mente del futuro dittatore, che Cullen volea tornare la repubblica
argentina sotto l'impero delle leggi; seppe però, protestando eterna
amicizia, nascondere l'empio disegno.

Chiamato Cullen, per la morte di Lopez, al governo di Santa-Fè, datosi
con ogni studio a migliorar la provincia, lungi dal dirsi nemico
del blocco francese, esternava le sue simpatie per la Francia, come
leva potente alle sue idee di civiltà. Rosas allora, coll'appoggio
e concorso delle truppe, gli suscitò una rivoluzione, in cui vinto
Cullen fu costretto a riparar presso Ibarra suo amico governatore della
provincia di _Santiago dell'Estero_. Dichiarato Cullen _selvaggio
unitario_, si proposero trattative da Rosas per averlo in sue
mani, che lunga pezza tornarono vane. Teneasi quindi Cullen sicuro
riposando sulla fede del giuramento d'Ibarra, allorchè ad un tratto
inaspettatamente arrestato da' suoi soldati, fu condotto a Rosas.
Egli intesane la venuta, ordinava si fucilasse a mezza strada, poichè,
scriveva egli al nuovo governatore di Santa-Fè, _il suo processo era
fatto da' suoi stessi delitti_. Cullen avea gentili maniere e cuore
bennato; l'influenza che esercitò su di Lopez fu sempre rivolta al
perdono ed è sua gloria se il generale Lopez, a fronte delle preghiere
di Rosas, non condannò all'estremo supplizio alcuno dei prigionieri
fatti nella campagna del 1831, che mise in sua balìa i capi più
importanti del partito unitario. Di frivola istruzione, di mediocri
talenti, avea però l'esterno d'un uomo eminentemente civilizzato.

Con tali mezzi spenti gli eroi del partito federalista, Rosas,
povero d'ogni gloria militare, divenne il solo uomo importante della
repubblica argentina e il signore assoluto di Buenos-Ayres. Avuto
nelle mani il potere, cominciò le vendette contro le classi elevate,
che non ebbero per lui che disprezzo. Godea mostrarsi tra gli uomini
più aristocratici ed eleganti, quasi discinto, e sempre indossando la
_chaqueta_. Ai balli presieduti da sua moglie e sua figlia, cui non
intervenivano che carrettieri e macellai e la più vile bordaglia, ei
fu visto aprir la festa danzando con una schiava e sua figlia con un
Gaucho.

Nè qui s'arrestò il suo odio contro la nobil città. Proclamato il
principio, _chi non è con me è contro di me_, chiunque non gli andasse
a sangue, venia qualificato _selvaggio unitario_, nome per cui venia
meno ogni diritto alla libertà, alla proprietà, alla vita, all'onore.

A secondare praticamente queste teorie, ebbe vita sotto gli auspici
di Rosas la famosa società di _Mas-Horca_, che suona _Ancora forche_,
composta d'uomini più abbietti, di bancarottieri e di assassini. A
questa veniano affigliati per comando superiore, il capo della polizia,
i giudici di pace, tutti infine i preposti all'ordine pubblico; di tal
maniera che quando un cittadino minacciato in sua casa di saccheggio
o assassinio dai membri della società, ricorreva al braccio della
giustizia, tornava inutile ogni reclamo; niuno facea fronte a tali
violenze, poco monta venissero fatte in pien meriggio, o nel colmo
della notte; era una fatalità che bisognava subire.

E a comprovar coll'esempio, in quei giorni era moda degli eleganti di
Buenos-Ayres portar la barba e collare; ma col pretosto che tagliata in
tal guisa formasse la lettera U, e significasse unitario; la società,
arrestati questi infelici, con coltelli poco taglienti tagliava loro
la barba che cadeva unita a pezzi di carne, abbandonava quindi la
vittima alla più vile feccia del popolo, che lieta spettatrice dello
spettacolo, lo prolungava talora sino alla morte.

Usavano in quell'epoca le donne del popolo intrecciare ai capegli un
nastro rosso, chiamato monno[12]; un bel giorno la società convenuta
alle porte delle chiese maggiori, ne fregiò con catrame bollente il
capo delle infelici che ne erano prive. Un abito, un fazzoletto, un
nastro che accenasse al bleu od al verde era tale delitto, perchè la
donna che se ne adornava fosse nuda bastonata sulla pubblica strada.
Nè l'ingegno, la fama, o la fortuna erano scudo al bisogno; un semplice
indizio faceva temere del sommo pericolo.

Ora mentre gli uomini più distinti dell'alta classe, fatta segno alle
vendette di Rosas, cadeano vittime d'una prepotente violenza, veniano
a centinaja imprigionati tutti gli altri cittadini, le opinioni dei
quali non fossero in armonia con quelle del dittatore o osteggiassero
i calcoli della sua futura politica. Ignoti a tutti tranne che Rosas
che l'ordinava, la causa dell'arresto, venia pure dichiarato inutile
il giudizio; così le numerose non interrotte fucilazioni davano
luogo a nuovi prigioni. Le tenebre proteggevano il delitto; e la
città destavasi esterefatta al rumore di questi tuoni notturni che la
decimavano. Il mattino poi raccolti tranquillamente dai carrettieri
della polizia i corpi degli assassinati per le strade e dei fucilati
nelle carceri, venian tutti questi cadaveri anonimi cacciati in un
gran fosso alla rinfusa, negate perfino ai congiunti delle vittime
l'uffizio supremo. Queste scene di sangue avean luogo tra le risa e lo
sghignazzare atroce dei carrettieri che, recise le teste dei cadaveri,
e messe in un paniere, le offrivano al popolo, che, chiuse le case
fuggiva inorridito, e gridavano all'uso dei venditori di frutta:

— Ecco le belle pesche unitarie! chi compra le pesche unitarie?

Allora poi il calcolo tenne dietro alle barbarie, la confisca alla
morte; creare interessi inseparabili dai propri, mostrare ad una
classe della società la fortuna dell'altra, dicendole: è tua, fu
trovata necessità di regno. Da quel punto sulle rovine degli antichi
proprietari di Buenos-Ayres, s'elevarono le rapide e disoneste
ricchezze degli odierni parteggianti di Rosas.

Toccò Rosas il sommo della ferocia, cui non osò sognare alcun tiranno,
cui non soccorse la fertile mente di Nerone e di Domiziano, col divieto
al figlio di vestire a corrotto per il padre morto da lui. La legge
fu proclamata ed affissa in Buenos-Ayres; e v'era ben donde, chè ogni
famiglia aveva un caro da piangere.

Per tale tirannide si commossero gli stranieri e principalmente i
Francesi, co' quali Rosas si fea lecito ogni eccesso. La nota pazienza
di Luigi-Filippo toccò all'estremo e ne venne il primo blocco francese.

Ma le alte classi della società così dileggiate presero a fuggir
Buenos-Ayres e volsero lo sguardo sullo Stato orientale, ove quasi
tutta la proscritta città venne a cercare un asilo.

Allora la polizia di Rosas fe' ogni sua possa; punì per legge di morte
l'emigrazione, e vista ciò tornar vano, si volle circondare l'estremo
supplizio co' tormenti più atroci, ma l'odio e il terrore inspirato
da Rosas era più forte delle sue pene, e l'emigrazione cresceva ogni
giorno. Alla fuga d'un'intera famiglia bastava un battello; su questo
si cacciavano alla rinfusa padre, madre, figli, fratelli e sorelle, e
lasciando ogni loro fortuna approdavano allo Stato Orientale, tenendo
per tutta ricchezza gli abiti che avevano indossati. Nè alcuno ebbe
a pentirsi di avere sperato nella ospitalità del popolo orientale.
Dessa fu grande e generosa quale di antica repubblica e come il popolo
argentino dovea aspettarsi da amici, o meglio da fratelli, che tante
volte aveano combattuto sotto le stesse bandiere contro gli Inglesi,
gli Spagnuoli e i Brasiliani, nemici comuni e stranieri, però meno
crudeli di questo nemico figlio della stessa terra.

Gli Argentini giungevano a torme, e toccata la terra veniano dai
premurosi abitanti raccolti, come meglio ne aveano agio dai mezzi
di fortuna e dall'ampiezza delle abitazioni. Di nulla allora patiano
difetto questi infelici, che riconoscenti si davano tosto al lavoro,
onde gli ospiti loro ne fossero alleviati, e così potessero soccorrere
ai nuovi fuggenti. A tal fine gli uomini più comodi si accingevano ai
più bassi mestieri dando loro tanto più lustro, quanto più alto era il
loro stato sociale.

Di tal fatta i nomi più celebri della repubblica argentina brillarono
nell'emigrazione. Lavalle, la più valorosa spada della sua armata;
Florencio Varela, il suo più bel genio; Aguero, tra suoi primi
uomini di Stato; Echaverria, il Lamartine della Plata; Vega, il
Bajardo dell'armata delle Ande; Guttierez, il felice cantore delle
glorie nazionali; Alsina, il grande avvocato e l'illustre cittadino,
primeggiano tra gli emigrati; come pure Saenz Valiente, Molino Torres,
Ramos Megia, i ricchi proprietarii; come anche Rodriguez, il vecchio
generale delle armate dell'indipendenza e delle armate unitarie, e
Olozabal uno tra i più prodi di quell'armata delle Ande, di cui Vega,
come dicemmo, era il Bajardo. Scopo alla crudeltà di Rosas era tanto
_l'unitario_ che il _federista_, se poteva essere di ostacolo alla sua
dittatura. Ora devesi all'ospitalità accordata a' suoi nemici, l'odio
immenso che Rosas nutre per lo Stato Orientale.

All'epoca in cui or si fa cenno, era a capo della Repubblica il
generale Fructuoso Rivera. Costui è un uomo della campagna al paro
di Rosas e Quiroga. Differisce dal primo per le sue tendenze alla
civilizzazione. Come uomo di guerra e come capo di fazione non ha
eguali in valore e in generosità. Da trent'anni che ebbe tanta parte
nelle commozioni politiche del suo paese fu sempre primo a correre
all'armi, quando s'intese il grido di guerra allo straniero.

Nella rivoluzione contro la Spagna, egli fe' getto delle sue fortune,
essendo per lui il dare, bisogno irresistibile; anzichè generoso, egli
è prodigo. E Dio fu pur tale verso di lui. Gentil cavaliere (nel senso
della parola spagnuola, che comprende il soldato e il gentiluomo), di
bruno colore, di alta figura, di sguardo acuto, di cortesi maniere,
trascina gli astanti col fascino d'un gesto a lui solo concesso. Per
tali doti fu l'uomo più popolare dello Stato Orientale; ma è forza pur
dirlo, non vi fu chi più male di lui reggesse le finanze d'un popolo.
Come la propria, sprecò le fortune del paese, non già per sè, ma perchè
uomo pubblico ritenea le generose maniere dell'uomo privato. Però al
tempo in cui si ragiona non appariva ancora un tale dissesto. Rivera
sul primo della sua presidenza, erasi circondato degli uomini sommi
del paese. Obes Herrera, Vasquez, Alvarez, Ellauri, Luiz, Eduard Perez
governavano con lui la cosa pubblica e con questi non poteva fallire a
quel bel paese, progresso, libertà ed incremento.

Obes, primo tra gli amici di Rivera, tenea del carattere antico; il
suo patriottismo, i suoi talenti, la sua profonda istruzione lo fanno
annoverare tra i grandi Americani.

Morì proscritto, vittima tra i primi del sistema di Rosas nello Stato
orientale.

Luiz Edouard Perez, l'Aristide dello Stato orientale, repubblicano
severo, caldo patriotta, consacrò la vita sua lunga alla virtù, alla
libertà, alla patria.

Vasquez, uomo di talento e d'istruzione, fe' le prime sue armi
all'assedio di Montevideo contro la Spagna, e chiuse i suoi giorni
nell'assedio attuale, avendo sempre bene meritato del paese.

Herrera, Alvarez ed Ellauri cognati di Obes non furono secondi ad
alcuno. Essi appartengono come prodi guerrieri, non solo allo Stato
orientale, ma sibbene all'intera causa americana; e i loro nomi saranno
per sempre sacri alla terra di Colombo che dal capo d'Orno si stende
allo stretto di Barrow.

Ora un governo che aveva a capi uomini di tempra siffatta, ebbe
naturalmente a signoreggiare lo slancio nazionale, quando per la
Repubblica orientale, venne l'ora di combattere a viso aperto il
sistema di Rosas. Così, mentre il popolo soccorreva pietoso a tanti
infelici, il governo sceglieva i sommi tra questi, ed assoldava i
guerrieri argentini dichiarati traditori da Rosas, onorandoli con ogni
maniera di cure e rispetto. Ed a ciò potentemente dava opera la stampa,
che libera nello Stato orientale, metteva in luce i delitti di Rosas,
facendolo segno all'esecrazione universale.

È quindi facile il comprendere, come la vendetta di Rosas si addensò
sul capo di Rivera, primo tra' suoi nemici, e sul paese ch'egli
reggeva; però, forte nell'alimentarla, era debole poi nel metterla in
atto. Si limitò dunque ad una guerra sorda, favorendo con ogni maniera
la rivoluzione scoppiata nel 1832 contro Rivera, e questa fallita, non
si tenne ancora per vinto.

La presidenza di Rivera cessava nel 1834. Succedevagli il generale
Manuel Oribe per l'influenza di Rivera stesso che vedeva in lui un
amico al proprio sistema, e lo avea prima d'ora creato generale e
ministro della guerra.

Oribe appartiene alle prime famiglie del paese, per la cui difesa,
dopo il 1811, combattè sempre da prode. Egli è di poco spirito, e corta
intelligenza; ne è prova l'alleanza di Rosas che egli abbracciò a tutta
possa, alleanza che trae a rovina quell'indipendenza da lui stesso
propugnata più volte.

Come generale è di nessuna capacità; le sue violente passioni lo fanno
crudele, mentre come privato è uomo dabbene. Come amministratore fu
miglior di Rivera, nè per lui crebbe il debito pubblico. Però su di
lui pesa la rovina dello Stato orientale. Obliando che ad esser capo
di parte, non basta il volerlo, sdegnò d'unirsi alla causa nazionale
che aveva per capo Rivera, e volendo fare da sè, eccitò diffidenza
e sospetto; onde atterrito, si gettò un bel giorno nelle braccia di
Rosas. Il paese n'ebbe sentore dalla guerra che il governo moveva
all'emigrazione argentina, e come forte era l'odio al sistema di
Rosas, s'unì a Rivera quando egli nel 1836 si mise alla testa d'una
rivoluzione contro di Oribe. Questi però, spalleggiato dall'armata
rimasta fedele e dagli aiuti di Rosas, potè sino al 1838 rimuovere il
pericolo che lo premea d'ogni lato.

Qui cade in acconcio rettificare un errore troppo comune. Si crede
generalmente, che all'influenza de' Francesi debbasi la caduta di
Oribe, mentre ebbe a soli nemici gli Orientali. Il suo potere fu
distrutto alla battaglia di Palmar, ove tra' suoi nemici non si contava
un solo straniero, mentre egli cadde in mezzo a loro; e n'è certa
prova, essersi trovato, dopo la capitolazione della città di Paysandu,
un intero battaglione argentino in questa città. Ora gli Argentini
sono stranieri allo Stato Orientale del pari che gli uomini del Chili o
dell'Inghilterra.

Oribe rinunziò al potere officialmente davanti alle Camere, e chiestone
alle stesse il permesso, lasciò il paese. Ciò fatto Rosas lo costrinse
a protestare contro tale rinuncia, e, cosa inaudita in America, egli lo
riconobbe per capo del governo d'un paese a lui pure vietato. Era, come
se Luigi Filippo esule avesse dato un vicerè alla Repubblica francese.
Si rise a Montevideo di questa follia del dittatore, che intanto si
preparava a mutare il riso nel pianto, e ne fu conseguenza naturale la
guerra tra le due nazioni, che dura dal 1838.

Riafferrato il potere, Rivera appoggiò con ogni sua possa il blocco
francese, e n'ebbe soccorsi d'uomini e di danaro contro il nemico
comune. In tali strettezze avrebbe Rosas facilmente inchinato l'animo
alle esigenze europee quando l'arrivo dell'ammiraglio Mackau nel
1840 diè luogo al trattato che porta il suo nome, per cui si rialzò
la potenza di Rosas già presso al tramonto e sola nella lotta durò
la Repubblica orientale. Così si combattè diversamente fino al 1842
quando l'armata orientale toccò la disfatta di Arroyo-Grande. In
questo intervallo, una gran parte della Repubblica argentina, fidando
sul poter della Francia, erasi contro di Rosas levata a guerra eroica
e nazionale. Ma questa lotta ineguale avea cresciuto il numero dei
patriotti argentini martiri della crudeltà del dittatore.

Intanto, vinta la battaglia d'Arroyo-Grande, l'armata di Rosas, forte
di 14,000 uomini, si gettò sul territorio dello Stato Orientale. A
questo torrente erano unico argine 600 soldati agli ordini del generale
Medina, e 1,200 reclute sotto il generale Pacheco y Obés, allora
colonnello, che riunitesi insieme sotto il fuoco dell'avanguardia
nemica presero a capo il generale Rivera, cui si congiunsero 4 o 5 mila
volontarii accorsi al pericolo.

Allora si vide, miracolo stupendo, 6,000 uomini disordinati e quasi
inermi, disputarsi palmo a palmo il terreno all'armata di Rosas.
Costretti a marciare per contrade incendiate dal nemico, questi eroici
difensori della patria, raccolsero tutte le fuggenti famiglie e tra
immensi pericoli ne protessero la ritirata a Montevideo, ove cercò un
asilo quasi tutta la popolazione della campagna.

Il primo febbraio 1843 l'armata orientale ordinatasi sulle alture
di Montevideo vide il nemico; ma lungi dal riparare in città, cui
raccomandò le protette famiglie, chieste armi e munizioni, si gettò
alla campagna onde provvedere alla guerra, dicendo ai cittadini:
difendetevi e contate sopra di noi!



Capitolo Terzo


Wright, l'autore dell'_Assedio di Montevideo_, esponendo la situazione
nella quale si trovò la Repubblica orientale dopo la battaglia
dell'Arroyo-Grande, chiude quella lugubre narrazione con queste tristi
parole: «Il sole di dicembre, tuffando i suoi raggi nell'Oceano, ne
lasciò:

  Battuti al di fuori,
  Senza armata,
  Senza soldati anche nell'interno,
  Senza materiale di guerra,
  Senza danaro,
  Senza rendite,
  Senza credito.»

E questo quadro non era esagerato.

Il generale Rivera era allora il capo della Repubblica. E noi dando
un giudizio imparziale su di lui come su tutti gli uomini che abbiamo
cercato di tratteggiare, giudicio che apparterrà alla posterità —
perchè nei giudicii politici e letterarii la distanza equivale ai tempi
e fa il presente imparziale come l'avvenire — noi abbiamo detto in
quale compassionevole stato avesse ridotte le finanze del paese.

Per ciò poi che riguarda l'armata, essa risentivasi delle false
idee che aveva sulla guerra il generale Rivera, delle quali diremo
l'origine.

Rivera aveva fatto le sue prime armi sotto Artigas, il quale non era
un generale, ma un capo di fazione. Le sue battaglie consistevano in
sorprese e colpi di mano. Allievo di tal maestro, Rivera ne trattava in
egual modo la guerra, benchè gli affari e gli uomini avessero cambiato
di aspetto.

Alcuni ufficiali, patriotti intelligenti, tentarono di far mutare tale
sistema a Rivera, credendo che la sua maniera di combattere fosse un
sistema e non una pratica; ma per quanto ascendente potettero prendere
su di lui, dovettero accontentarsi d'introdurre, e a gran fatica, pochi
ed isolati miglioramenti che non facevano che vieppiù appalesare il
difetto del partito a cui si atteneva. L'armata quindi restò quale il
suo capo la voleva; indisciplinata, senza ordine, senza unità, vera
armata d'avventurieri — quale infine era sotto Artigas, meno Artigas.

Componevasi essa di due piccoli battaglioni di fanteria formati
intieramente di negri e di qualche migliaio di cavalieri, che
lasciando vuote le squadre anche negli accampamenti militari, non
correvano sotto la bandiera che nei giorni del pericolo. Aveva un
considerevole materiale d'artiglieria leggiera, ma il personale di
quest'arme si conduceva come quello della cavalleria; il servizio
dello stato maggiore come quello dell'armata potea dirsi nullo essendo
anche frammezzo ai comandanti superiori, uomini cui sarebbe riuscito
malagevole il comandare una manovra.

Le diverse divisioni dell'esercito confidate a comandanti generali
patian difetto esse pure d'una organizzazione militare. Invano avresti
cercato un arsenale da guerra su tutto il territorio della repubblica.
E siccome a nessuno cadeva in pensiero che la repubblica potesse
toccare una disfatta, questa avvenendo sarebbe stata irreparabile.

Montevideo poi già da molto non era più città di difesa; le sue mura
erano state atterrate fino dal 1833. Il governo che vi aveva stabilito
residenza era composto di uomini deboli, capaci sì di fare il loro
dovere nelle circostanze ordinarie, ma incapaci di forti risoluzioni in
caso disperato.

Ora la condizione di Montevideo era terribile. Alla nuova della perdita
della battaglia d'Arroyo-Grande, la popolazione fu come colta da
fulmine e tutti i patriotti curvarono il capo, mentre che gli amici
di Oribe, cioè i partigiani dello straniero, apersero l'animo alle
speranze e cospirarono apertamente per Rosas per distruggere così la
Repubblica orientale.

Allora alcuni uomini di patriottismo e d'azione che trovavansi a
Montevideo spinsero il governo a energiche misure per la difesa della
città. E fu per essi che si decretò un'armata di riserva nominando a
comandarla il generale Paz rifugiato in Montevideo, che si chiamarono
alle armi tutti gli uomini dai 14 ai 50 anni, che si affrancarono gli
schiavi onde farli soldati; ma tutte queste misure avevano l'impronta
della debolezza ed erano perciò spoglie d'ogni autorità. Esse venivano
dettate non con quella fede sincera nella possibilità della difesa,
fede che avrebbe fatto la loro forza, ma chiaramente per salvare la
responsabilità di quelli che le dettavano e che sostituivano così
l'agitazione all'attività, la febbre all'energia; e fin d'allora
le risorse dell'autorità furono esauste, e il governo si vide male
obbedito, perchè non rispettato.

Fu da mezzo il campo che s'alzò il primo vero grido di guerra contro
l'armata nemica e quel grido venne dal comandante generale del
dipartimento di Mercédès, dal colonnello Pacheco y Obes.

Appena il disastro d'Arroyo-Grande fu conosciuto, il colonnello Pacheco
y Obes, non ricevendo consiglio che dal suo patriottismo, prese sul
momento le misure le più energiche per organizzare una forza militare.
Prima ancora del governo egli aveva colla sola sua autorità individuale
proclamato la libertà degli schiavi, cassando con un sol frego di penna
questa grande quistione che si dibatte da un secolo in Europa e innanzi
a cui si ritrae da sessant'anni il governo degli Stati-Uniti.

Il distretto di Mercédès comprendeva tre piccole città dai due ai
tremila abitanti ciascuna. Pacheco fatta una leva in massa inreggimentò
i cittadini, li armò, li disciplinò, creò fabbriche d'armi, e
senz'altre risorse in fuori di quelle che egli seppe trarre dal
patriottismo del paese al quale egli fece appello, venti giorni dopo la
battaglia d'Arroyo-Grande, si presentava alla sua volta in campo con
1,200 uomini armati ed equipaggiati, che ebbero l'onore di scambiare
coi soldati di Rosas i primi colpi di fucile che furono tratti per la
santa difesa del paese.

I suoi caldi e risoluti proclami, la sua fede nel trionfo della causa
nazionale rialzarono l'entusiasmo accasciato, e siccome era chiaro che
un uomo che agiva in tal modo doveva sperare, — ognuno sperò. Ecco poi
come s'esprime il giornale officiale di Montevideo del 31 dicembre del
1842 parlando della condotta del colonnello Pacheco y Obes.

«Noi sappiamo di offendere la modestia del prode capo del distretto
di Mercédès; ma come tacersi mentre ogni giorno mostrasi ai nostri
occhi un nuovo segno della sua incessante attività, della sua nobile
coscienza, della sua alta capacità? Il colonnello Pacheco y Obes ci
prova che noi abbiamo alla circostanza uomini d'azione, di consiglio e
di governo atti a salvare la patria».

Così pensavano di lui tutti i patriotti dello Stato orientale.
Dappertutto questi domandavano un cambiamento di governo e l'opinione
pubblica chiamava a prendere parte al potere il colonnello Pacheco y
Obes.

Il generale Rivera cedette al voler del paese, e prima di partire per
l'armata nominò un nuovo ministero di cui facea parte Pacheco y Obes
per la guerra e marina, Santiago Vasquez per l'estero e l'interno, e
Francesco Munnoz per le finanze. Il 3 febbraio 1843, il nuovo ministero
entrò in funzioni; fu chiamato ministero Pacheco y Obes, e devesi
alle pronte misure dei primi giorni della sua esistenza, l'incredibile
difesa di Montevideo.

Questo ministero agiva sotto la direzione del presidente del senato che
teneva la presidenza della Repubblica in assenza del generale Rivera.
Il nome di questo magistrato era Joaquin Suarez, uno dei più ricchi
proprietarii dello Stato orientale, l'uomo tra' più onorati di questo
popolo cui egli ha consacrata tutta la sua vita. Ora egli tiene il
posto di presidente, essendo successo a Rivera, il cui tempo legale era
spirato col 1 marzo 1843.

II 16 febbraio del medesimo anno l'armata nemica comandata da Oribe
si presentava davanti Montevideo nella certezza di entrarvi senza
trar colpo o al più di averla con un colpo di mano. Ma nel tempo che
era trascorso dalla sua installazione, il nuovo governo aveva fatto
di Montevideo una piazza di guerra capace d'arrestare i vincitori
d'Arroyo-Grande.

Tutti gli uomini atti a portare le armi erano stati inreggimentati,
e nessun riguardo era scusa al proprio dovere. Niuna eccezione fu
ammessa. Il ministro della guerra dettava i decreti e s'incaricava
egli stesso di farli eseguire; e tutti sapevano che nulla valeva ad
arrestare la sua volontà di ferro.

Fu in questo frattempo che si riorganizzarono i battaglioni di guardia
nazionale che da sett'anni renderono tanti segnalati servigi alla città
stretta d'assedio. Fu allora che egli scelse a comandanti di queste
masse improvvisate codesti uomini, stranieri fino allora alla guerra,
che nel seguito sono divenuti tanti eroi e che noi chiamiamo: Lorenzo
Batlle, Francisco Tage, José Maria Munnoz, José Solsona, Juan Andres
Gelly y Obes, e Francisco Munnoz. Tutti erano negozianti od avvocati al
principio dell'assedio. Tutti sono in oggi colonnelli, e mai le nobili
insegne di questo grado furono portate più nobilmente. Francisco Munnoz
è morto. Tutti gli altri quasi per miracolo vivono ancora, perchè
in tutti i giorni di questo lungo assedio furono veduti in mezzo al
pericolo provocare la morte che li rispetta.

I corpi di linea, alla testa dei quali figuravano pure uomini nuovi,
furono riorganizzati e messi sotto gli ordini di Marcelino Sosa,
l'Ettore di questa nuova Troia, di César Diaz, di Manuel Pacheco y
Obes, e di Juan Antonio Lezica. E tutti questi altri nomi che citiamo
sono già istorici, e sarebbero nomi immortali se avessero a cantore un
altro Omero.

Sosa è morto e noi racconteremo e la sua morte d'eroe e alcune delle
sue gesta, che rendendolo il terrore dell'armata nemica, gli hanno
conquistata l'ammirazione della città assediata.

Presentemente è il colonnello Cesare Diaz che regge l'armata. Uomo di
grandi talenti, gode la riputazione da nessuno contestata d'essere il
miglior tattico d'infanteria che si trovi fra le due armate.

Il colonnello Batlle, attuale ministro della guerra e delle finanze, è
presso a poco sui trent'anni; la natura gli è stata più che prodiga;
essa l'ha fatto bello, prode, spiritoso, d'ingegno; infine uno di
quegli uomini il cui avvenire è destinato a risplendere nella futura
istoria d'America. Fu egli che con un pugno d'uomini sorprese nel
1846 le forze che assediavano la Colonia e che la battè completamente
obbligandoli a levare l'assedio. E tanto valore mostrato da questa
giovane armata messa su d'improvviso è ascritto in parte al generale
José Maria Paz, che ne era duce, primo tra i migliori maestri nell'arte
della guerra, mentre d'altra parte vi contribuivano con tutte le loro
forze ed il loro sangue gli Argentini rifugiati a Montevideo, formatisi
in legione per la difesa del paese che aveva dato loro l'ospitalità.

Vennero pure eletti capi molti stranieri che in certa guisa stavano
a rappresentanti delle idee di libertà e di progresso non del tutto
spente nel mondo e che non hanno per anco trovato una nazione in cui
possano mettere profonde radici. Tra questi capi che concorsero alla
difesa di Montevideo e che saranno ricompensati dei loro sacrificii,
non solo dalla riconoscenza d'una città, ma d'una nazione, primeggia
GIUSEPPE GARIBALDI.


GIUSEPPE GARIBALDI, proscritto d'Italia perchè aveva combattuto per
la libertà, proscritto dalla Francia dove aveva voluto combattere per
la stessa causa, proscritto da Rio-Grande per avere contribuito alla
fondazione di quella Repubblica, venne ad offrire i suoi servigi a
Montevideo. Noi cercheremo di far conoscere ai nostri contemporanei
sotto i rapporti tanto fisici che morali quest'uomo potente, che
nessuno ha potuto attaccare che colla calunnia.

GARIBALDI è un uomo sui 40 anni, di mezzana statura abbastanza
proporzionata, con lunghi capelli biondi, occhi cilestri, e col
naso, la fronte ed il mento greco; può dirsi tipo di vera bellezza.
Porta lunga la barba; il suo vestire ordinario è una _redingota_
stretta al corpo ed abbottonata senza alcun'insegna militare. Le
sue mosse sono preziose, la sua voce armonica, somiglia ad un canto.
Nello stato normale di vita sembra piuttosto un uomo di calcolo che
d'immaginazione; ma se intende le parole d'indipendenza e d'Italia,
allora egli si scuote come un vulcano, getta fiamme e spande la sua
lava. Giammai fu visto, se non nella pugna, indossare armi; venuto il
momento, snudata la spada che prima gli viene alle mani, ne getta il
fodero e si caccia contro il nemico.

Nel 1842 fu nominato comandante della flottiglia; egli sostenne poco
dopo nel Paranà un combattimento accanito contro forze superiori tre
volte alle sue, ma veduta di poi l'impossibilità di resistere, fece
naufragare, noi non diremo le sue navi, ma le sue barche, appiccandovi
fuoco; e ritirandosi alla testa del suo equipaggio sul territorio della
repubblica presentossi uno dei primi per la difesa di Montevideo.

Il ministro della guerra Pacheco y Obes, comprese il proscritto. Questi
due uomini non ebbero che a vedersi per intendersi e strinsero fin
dal primo abboccamento una di quelle amicizie assai rare nell'epoca
attuale.

Montevideo, stretta d'assedio dalla parte di terra, venne pure
bloccata dalla flottiglia di Rosas. Il ministro della guerra volle
allora organizzare sul mare una resistenza eguale a quella che egli
aveva improvvisata per terra, e benchè la Repubblica non disponesse
che di piccoli bastimenti, aiutato da GARIBALDI, egli venne a capo di
realizzare il suo progetto. Prima ancora di due mesi quattro piccoli
bastimenti, portanti la bandiera orientale, prendevano il mare e
combattevano le forze marittime di Rosas, comandate da Brown. Questi
quattro bastimenti dovevano portare i nomi di Suarez, Munnoz, Vasquez
e Pacheco y Obes; ma Pacheco cangiò il nome del suo legno in quello di
_Libertà_. I due più forti tra questi, che erano quelli di _Suarez_
e _Libertà_, portavano ciascheduno due cannoni, gli altri due non
ne avevano che un solo. Allora si vide il singolare spettacolo d'una
lotta nella quale 60 marinai, 4 barche e 6 pezzi di cannone andavano ad
attaccare 4 bastimenti con 100 pezzi di grosso calibro e più di 1000
uomini d'equipaggio. GARIBALDI n'era comandante, e la sua voce ben
conosciuta al nemico tuonava, nella pugna, comandando la morte, assai
più forte de' propri cannoni.

Ora, a chi fosse vago di conoscere quale soldo ricevesse in premio
della sua vita esposta tutti i giorni, quest'uomo che i giornali
francesi hanno chiamato un _Condottiero_, e che fummo lieti di trovare
a Roma perchè egli dasse colla sua eroica difesa il ridicolo a questa
spedizione, noi lo diremo.

Nel 1843, Don Francisco Agell, uno tra i più rispettabili negozianti
di Montevideo, s'indirizzava al colonnello Pacheco y Obes per dargli
contezza che nella casa di GARIBALDI, nella casa del capo della legione
italiana, del comandante della flotta nazionale, dell'uomo sempre
pronto a versare il proprio sangue per Montevideo, in quella casa non
s'accendeva di notte il lume, perchè nella razione del soldato — _unica
cosa sulla quale contava GARIBALDI per vivere colla sua famiglia_ — non
erano comprese le candele. Il ministro della guerra mandò per mezzo
del suo aiutante di campo, José Maria Torres, cento _patacconi_ (500
franchi) a GARIBALDI; ma egli, presa solo la metà della somma, restituì
l'altra onde fosse recata ad una vedova ch'egli indicava e che, a suo
parere, versava in maggiori strettezze.

Cinquanta patacconi (250 franchi) ecco l'unica somma che GARIBALDI ha
ricevuto dalla repubblica nel corso dei tre anni che la difese[13].

Come parte di bottino, spettavagli un giorno la somma di mille
patacconi, cioè 5,000 franchi. Il ministro delle finanze, fatto invito
a GARIBALDI di toccar quella somma, ebbe alla sua lettera d'avviso
tale una risposta, che stimò opportuno ragguagliarne il suo collega, il
ministro della guerra. Allora Pacheco y Obes, come amico di GARIBALDI,
s'incaricò di chiamarlo a sè onde capacitarlo. Venuto a lui GARIBALDI,
col suo cappello bianco rasato, i suoi stivali in pezzi, ad informarsi
di ciò che volesse il ministro; appena sentì di ciò che era questione,
poco mancò non si stizzisse col suo amico quasi gli fosse stato
straniero; e a lui che instava togliesse quella somma almeno per la
legione italiana, GARIBALDI rispose: «La legione non pensa diversamente
da me, tenete ciò per i poveri della città[14].»

Egli conosceva a fondo i generosi esuli che aveva sotto i suoi ordini,
perchè nel medesimo anno il generale Rivera avendogli fatto dono di
parecchie leghe di terreno e di qualche migliaia d'armenti, ricevuti
a capo del suo stato-maggiore i titoli di proprietà dal colonnello
Don Augusto Pozolo, e interrogata cogli occhi tutta la sua legione,
li stracciò dicendo: «La legione italiana dà la sua vita a Montevideo,
ma essa non la scambia con terre e bestiami; ella dà il suo sangue in
cambio d'ospitalità e perchè Montevideo combatte per la sua libertà.»

Nel 1844 un'orribile tempesta flagellava la rada di Montevideo; eravi
nel porto una goletta a bordo della quale stavano parecchie famiglie,
tra le quali quella dei sigg. Carril che andava a Rio-Grande; la
goletta stava affidata ad una sola áncora avendo perdute le altre;
informato del pericolo GARIBALDI si getta in una barca con sei de' suoi
marinai, porta seco un'altra áncora, e la goletta è salvata.

L'8 febbraio 1846 il generale GARIBALDI, alla testa di 200 Italiani,
viene attorniato da 1,200 uomini di Rosas comandati dal generale
Servando Gomez, fra i quali sono 400 d'infanteria. Che farà GARIBALDI?
Forse ciò che avrebbe fatto il più coraggioso in tale frangente,
mettersi in luogo a meglio secondar la difesa? No certo. GARIBALDI e i
suoi 200 legionarii attaccano i 1,200 soldati di Rosas, e dopo cinque
ore di combattimento accanito, l'infanteria è distrutta, la cavalleria
demoralizzata si ritira dal combattimento, e GARIBALDI resta padrone
del campo di battaglia.

Sempre il primo al combattimento, GARIBALDI lo era egualmente a
raddolcire i mali che portava la guerra. Se talvolta compariva nelle
sale del ministero, era per chiedere la grazia d'un cospiratore, o
soccorsi a qualche infelice; ed all'opera di GARIBALDI, Don Miguel
Molina y Haedo, condannato dalle leggi della repubblica, dovè la vita
nel 1844. A Gualeguaychu fa prigioniero il colonnello Villagra, uno
dei più feroci capi di Rosas, e lo rilascia in libertà con tutti i
suoi compagni fatti con lui prigionieri. A Ytapevy mette in fuga il
colonnello Lavalleja, la cui famiglia resta in suo potere; egli forma
a questa famiglia una scorta composta di prigionieri stessi e la rinvia
al colonnello Lavalleja con una lettera tutta cortesia e generosità.

Noi lo ripetiamo ancora una volta, in tutto il tempo che GARIBALDI fu
a Montevideo, egli visse, in un colla sua famiglia, nella più estrema
povertà. Egli non ebbe mai abiti diversi da quei del soldato, e molte
volte i suoi amici si appigliarono a sutterfugii onde sostituire
a' suoi laceri panni, un nuovo vestito. Scrivete a Montevideo,
signori pubblicisti, che avete trattato GARIBALDI da condottiero
e d'avventuriero, scrivete agli uomini del governo, scrivete ai
negozianti, scrivete alle persone del popolo, e voi sentirete che
mai un uomo fu più universalmente stimato ed onorato di GARIBALDI in
questa repubblica di cui voi repubblicani predicate l'abbandono. Ma è
vero che il governo che ha abbandonato la causa dell'Alemagna per il
re Guglielmo, l'Austria e l'Italia per l'Imperatore Francesco, Napoli
e la Sicilia per il re Ferdinando, questo stesso governo ci può ben
predicare l'abbandono di Montevideo e l'alleanza di Rosas. Ma ponete un
istante Garibaldi l'uomo che egli calunnia in faccia a Rosas che egli
esalta, e giudicate.

Ora che per noi si è detto alcun che del primo, l'ordine vuole si vegga
ciò che facesse allo stesso tempo il secondo.

Noi leggiamo negli stessi rapporti fatti a Rosas dai suoi officiali
ed agenti; nè ci dimentichiamo queste _tavole di sangue_, pubblicate
dall'America del Sud e sulle quali, come una madre addolorata del
presente ed una dea vendicatrice dell'avvenire, ella ha registrato
diecimila assassinii.

Il generale Don Mariano Acha, che serve nell'armata nemica a Rosas,
difendeva San-Juan, ma il 22 agosto del 1841 è costretto ad arrendersi
dopo 48 ore di resistenza; Don Josè Santos Ramirez, officiale di Rosas,
trasmette allora al governatore di San-Juan il rapporto officiale di
quell'avvenimento. Si trova in esso questa frase scritta testuale: —
_Tutto è in nostro potere, ma col perdono e colla garanzia per tutti i
prigionieri, tra loro si trova un figlio di La Madrid._ — Pubblicisti
dell'Eliseo, prendete il N. 3067 del _Diario de la Tarde_[15] di
Buenos-Ayres, del 22 ottobre 1841, ed a comparazione del rapporto
officiale di José Santo Ramirez, che dichiara il perdono e la garanzia
della vita a tutti i prigionieri, voi potrete scrivere dall'altro lato
questo paragrafo.

                                     «Desaguadero, 22 settembre 1841.

»Il preteso selvaggio unitario, Mariano Acha è stato decapitato ieri, e
la sua testa esposta agli sguardi del pubblico.

                                          »_Firmato_ ANGELO PACHECO.»

Quest'Angelo Pacheco è un cugino del generale Pacheco y Obes, ma che
segue, come si vede, una strada differente da quello. Voi avete letto
sul rapporto di Santos Ramirez anche la frase: _tra loro_, cioè fra i
prigionieri, _v'ha un figlio di La Madrid_. Ebbene aprite la _Gaceta
Mercantile_, N. 5703, del 21 aprile 1842 e vi troverete questa lettera
scritta da Nazaro Benavidès a don Juan Manuel Rosas:

                              «Mira florès, in marcia, 7 luglio 1842.

«Nei miei dispacci precedenti io vi ho detto i motivi per i quali io
riteneva il selvaggio Ciriaco La Madrid (figlio del Peloso); ma sapendo
che quest'ultimo s'è indirizzato a parecchi capi della provincia
per trascinarli alla defezione, _io ho fatto, al mio arrivo a Rioja,
decapitare il primo come pure il selvaggio unitario, Manuel-Julian
Frias_, nativo di Santiago.

                                      » _Segnato_: NAZARO BENAVIDèS.»

Il generale Don Manuel Oribe, colui che gli organi di Rosas chiamano
l'_illustre_, il _virtuoso_ Oribe, ha comandato per qualche tempo le
armate di Rosas, incaricato di sottomettere le Provincie argentine.
Una delle sue divisioni disfece, il 15 aprile 1842, sul territorio di
Santa-Fè, le forze comandate dal generale Juan Pablo Lopez. Nel numero
dei prigionieri si trovò il generale Don Apostol Martinez. Leggete il
bullettino del fatto d'arme, pubblicato a Mendoza, questo bullettino
contiene una lettera segnata dall'illustre e virtuoso Oribe; essa è
indirizzata al generale Aldao governatore della provincia:

                               «Dal quartier generale delle Barrancas
                                       de Coronda, il 17 aprile 1848.

» ...... Trenta e tanti morti e parecchi prigionieri, fra i quali il
preteso generale selvaggio Juan Apostol Martinez, _al quale è stata
tagliata ieri la testa_, ecco il risultato di questo fatto onorevole
per le nostre armi federali. Io mi congratulo con voi di questo
glorioso successo e mi dico vostro servitore devoto

                                                          »M. ORIBE.»

Già che abbiamo nelle mani questa _Gaceta Mercantile_, apriamo il N.
5903, alla data del 20 settembre 1842, e noi vi troveremo un rapporto
officiale di Manuel-Antonio Saravia, impiegato nell'armata d'Oribe.
Questo rapporto contiene una lista di diciassette individui, fra i
quali un capo battaglione ed un capitano che _furono fatti prigionieri
a Numayan e subirono il castigo ordinario della_ PENA DI MORTE.

Giacchè parliamo dell'_illustre_ e _virtuoso_ Oribe, ci sosterremo
alquanto; noi troviamo il suo nome nel N. 3067 del Diario de la Tarde
del 22 ottobre 1841 in occasione della battaglia di _Monte-Grande_, di
cui egli ha fatto il rapporto; in questa relazione officiale si leggono
le linee seguenti:

                                        «Quartier generale al Ceibal,
                                                   14 settembre 1841.

»Fra i prigionieri s'è trovato il traditore selvaggio unitario
ex-colonello Facundo Borda, _che fu giustiziato sull'istante medesimo_
unitamente ad altri sedicenti officiali tanto di cavalleria che
d'infanteria.

                                                          »M. ORIBE.»

Un traditore dà nelle mani di Oribe il governatore di Tucuman ed i suoi
officiali: ed egli, l'_illustre_, il _virtuoso_ dà quella nuova a Rosas
in questi termini:

                                         «Quartier generale di Metan,
                                                      3 ottobre 1841.

»I selvaggi unitarii che mi ha consegnato il comandante Sandeval,
e che sono: Marcos, M. Avellaneda preteso governatore di Tucuman,
colonnello J. M. Vilela, capitano José Espejo ed il luogotenente in
primo, Leonardo Sosa, sono stati sul momento giustiziati, nella forma
ordinaria, ad eccezione d'Avellaneda, cui ho ordinato di _tagliare
il capo_ per essere esposto agli sguardi del pubblico sulla piazza di
Tucuman.

                                                          »M. ORIBE.»

Ma Oribe non è il solo luogotenente di Rosas che sia incaricato delle
esecuzioni del dittatore, vi è pure un certo Maza che gli organi di
Rosas si sono dimenticati di qualificare l'illustre ed il virtuoso, e
che non per tanto merita questo doppio titolo, come si può vedere in
questa lettera inserita nel numero 5483 della _Gaceta_, in data del 6
dicembre 1841.

                          «Catamarca, il 29 del mese di _Rosas_ 1841.

                 _A Sua Eccellenza il sig. Governatore
                         D. Cl. A. Arredondo._

»Dopo oltre due ore di fuoco, e dopo avere passato a fil di spada
tutta la fanteria, anche la cavalleria è stata messa alla sua volta in
rotta, ed il capo solo fuggì per il Cerro d'Ambaste con trenta uomini;
presentemente lo si insegue, e la sua testa sarà bentosto sulla piazza
pubblica, come vi sono già quelle dei pretesi ministri Gonzales y
Dulce, e d'Espeche.

                                                 »_Firmato_ M. MAZA.»

»Viva la federazione!»

  _Lista nominativa dei selvaggi unitarii sedicenti capi ed
    officiali, che sono stati giustiziati dopo il fatto del 29._

«Colonnello: Vincente Mercao.

»Comandanti: Modesto Villafane, Juan Pedro Ponce, Damosio Arias, Manuel
Lopez, Pedro Rodriguez.

»Capi di battaglione: Manuel Rico, Santiago de La Cruz, Josè Fernandes.

»Capitani: Juan de Dios Ponce, José Salas, Pedro Araujo, Isidoro Ponce,
Pedro Barros.

»Aiutanti: Damasio Sarmiento, Eugenio Novillo, Francisco Quinteros,
Daniel Rodriguez.

»Luogotenente: Domingo Diaz.

                                                 «_Firmato_ M. MAZA.»

E giacchè siamo a Maza, continuiamo, dopo verremo a Rosas.

                                         «Catamarca, 4 novembre 1841.

»Vi ho già scritto che qui noi abbiamo messo in rotta completa il
selvaggio unitario Cubas, che era inseguito e che noi avremmo avuto
presto la testa del bandito.

»Infatti è stato preso, al Cerro di Ambaste, nel proprio letto; di
conseguenza la testa del detto brigante Cubas è esposta sulla piazza
pubblica di questa città.

»_Dopo il fatto._ Si sono presi diciannove officiali che seguivano
Cubas. Non fu loro dato quartiere; il trionfo è stato completo, neppur
uno c'è sfuggito.

                                                 »_Firmato_ A. MAZA.»

Guardiamo di volo nel Boletin de Mendoza, n. 12, una frase scritta
in una lettera diretta dal campo di battaglia d'Arroyo-Grande e
indirizzata al governatore Aldao dal colonnello D. Geronimo Costa.

«Noi abbiamo fatti prigionieri più di cento cinquanta capi ed
officiali, che furono giustiziati sull'istante.»

Ho promesso di parlare di Rosas; debbo tener parola.

Quando il colonnello Zelallaran fu ucciso, si portò la sua testa a
Rosas; questi passò tre o quattro ore a rotolarsela fra i piedi e
sputarvi sopra. Sa che un altro colonnello, compagno d'arme di quello,
è prigioniero, pensa subito di farlo fucilare, ma poi cambia di
parere, in luogo della morte lo condanna alla tortura e comanda che il
prigioniero per tre giorni resti due ore a guardare quella testa mozza
posta sopra d'un tavolo.

Nel 1833, Rosas faceva fucilare in mezzo alla piazza San-Nicolas
una parte dei prigionieri dell'armata del general Paz. Fra quelli si
trovava il colonnello Videla, antico governatore di Saint-Louis. Al
momento del supplizio il figlio del condannato gli si getta fra le
braccia; separateli, dice Rosas; ma il ragazzo si afferra a suo padre;
allora, fucilateli tutti e due, dice Rosas; ed il padre ed il figlio
cadono morti stretti nelle braccia l'uno dell'altro.

Nel 1834, Rosas fece condurre su di una piazza di Buenos-Ayres ottanta
indiani prigioni, ed in pieno giorno, su quella piazza, davanti a
tutti, li fece scannare a colpi di baionetta.

Camilla O'Gorman, giovane di diciott'anni, d'una delle prime famiglie
di Buenos-Ayres, viene sedotta da un prete di ventiquattr'anni.
Lasciano tutti e due Buenos-Ayres rifugiandosi in un piccolo villaggio
di Corrientes, nel quale, dicendosi maritati, aprono una specie
di scuola. Corrientes cade in potere di Rosas; il giovane vien
riconosciuto da un prete e denunciato a Rosas colla sua compagna;
ambidue sono ricondotti a Buenos-Ayres, dove senza nessun giudicio,
Rosas ordina che sieno fucilati.

— Ma dite a Rosas che Camilla O' Gorman è incinta di otto mesi.

— Battezzate la pancia, risponde Rosas, se volete salvare l'anima
di quel fanciullo; e battezzato il ventre, Camilla O' Gorman viene
fucilata: tre palle attraversano i bracci dell'infelice madre che per
un movimento naturale, ella aveva stesi per proteggere suo figlio.

Ora, come avvenne che la diplomazia si fece nemica di GARIBALDI, e
amica di Rosas? Egli è che l'Inghilterra una volta imponeva a tutti la
sua volontà.



Capo Quarto


Tornando ora a Montevideo, da cui ci allontanarono un poco Achille
e Tersite, abbiam già detto, come il 3 febbraio 1843 non vi fosse
denaro, nè viveri, nè depositi, nè materiali di guerra. In quel giorno
il ministro della guerra chiedeva a quel delle finanze quali fossero
le risorse onde organizzar la difesa, e ne avea per tutta risposta,
potersi reggere a stento sino al ventesimo giorno.

— E quanto tempo resistettero gli Spagnuoli nel primo assedio? gli
chiedeva di nuovo.

— Ventitrè mesi, rispose il ministro delle finanze, ed erano in
migliore situazione di noi.

— Ebbene, noi terremo per ventiquattro, disse Pacheco y Obes; vergogna
a noi, se ciò che fecero gli stranieri per la tirannide non lo potremo
noi a difesa della libertà.

Montevideo resiste da ben sett'anni!

Egli è però vero che il primo decreto del ministro della guerra diceva:

— La patria è in pericolo! —

— Il sangue e l'oro dei cittadini appartiene alla patria. —

— Chi ricuserà alla patria il suo oro o il suo sangue, sarà punito di
morte. —

Benchè le molli abitudini di Montevideo fossero d'inciampo a tali
misure, e che gli individuali interessi levassero alta la voce, pure
tutti i cittadini, niuno eccettuato, ebbero a contribuire col loro
sangue e denaro. E primo il ministro della guerra ne fe' l'applicazione
sulla propria famiglia. L'armata nemica era alle porte di Montevideo, e
mancava tuttora una ambulanza ai futuri feriti delle battaglie future.

Il colonnello Pacheco y Obes, visitando la famiglia, che fuggita la
campagna, avea riparato in città, s'accorse che l'edifizio occupato
per essa, si prestava ad ospitale; e chiamate a sè le sorelle, annunzia
loro la necessità di abbandonare la casa.

— Ma la nostra madre ammalata sarà senza tetto!

— Oh! s'aprirà una porta in Montevideo ad ospitare la madre del
ministro della guerra.

Diffatti la madre e le due sorelle fuggitive sono raccolte, e l'armata
assediata ha un ospedale.

Due giovani cugini germani del ministro, ed uno tra' suoi teneri
amici che volevano sotto l'egida dell'amicizia e del sangue eludere
il decreto, sono per ordine del ministro strappati alle loro case e
condotti all'armata.

La famiglia del generale Rivera, presidente della Repubblica orientale,
aveasi, in onta alla legge, riservato due schiavi, tenendosi sicura
all'ombra del potere e del nome. Ma il colonnello Pacheco y Obes
recatosi in persona dal generale Rivera, affrancati i due schiavi, li
fe' soldati.

Don Luis Baëna, negoziante tra' primi della città, convinto di tener
pratiche col nemico, viene secondo la legge condannato dal tribunal
militare alla fucilazione. Allora i commercianti stranieri convenuti
per impetrarne la grazia, conoscendo le strettezze del pubblico tesoro,
offrono in riscatto la somma di L. 300,000 a vestire l'armata. Proclivi
al perdono erano gli altri membri del governo, solo il colonnello
Pacheco reclamando l'applicazion della legge:

— Se la vita d'un uomo potesse riscattarsi coll'oro, diss'egli,
l'erario per quanto povero riscatterebbe quella di Baëna, ma la vita
d'un traditore non si riscatta mai. E Baëna vien fucilato.

Di tal modo procedea la difesa tanto dal lato morale, se così è lecito
esprimersi, che dal fisico.

In allora Montevideo non avea che una linea di fortificazioni appena
tracciata, difesa da soli cinque cannoni. Antichi pezzi d'artiglieria,
che per essere inutili, serviano a riparo delle strade, furono
estratti; e collocati sui carri, e improvvisata una fonderia, e una
fabbrica di polvere, la linea delle fortificazioni in poco d'ora
ridotta a termine, potè ricevere cento cannoni; molti de' quali però
nel mietere largamente le vite dell'inimico, erano talvolta fatali agli
artiglieri che ne aveano il governo.

A datare dal 16 febbraio fu d'uopo mettere in campo questa armata di
giovani coscritti, in cui vedevi confuso il ricco signore al povero
operaio, l'uomo di lettere allo schiavo restituito alla libertà, a
fronte d'un esercito di veterani superbi degli antichi trionfi e forti
del terrore che la loro barbarie incuteva. E pure tale prodigio ebbe
a compirsi, poichè reggevali in guerra il generale Paz; alla cui lunga
esperienza, e sommi talenti, e nobile patriottismo, era dato ottenere
insperati successi.

Nè dal suo canto venia meno l'opera del ministro della guerra, che co'
suoi forti partiti, colle sue infuocate parole, e colla fede immensa
nell'onor nazionale, aveva trasfuso nell'armata uno slancio potente.
Di tal modo l'esercito severamente disciplinato alle scaramuccie,
alle fazioni, ai combattimenti d'ogni giorno, divenne in breve un
pugno d'eroi. E noi diciamo ogni giorno, e ci giova ripeterlo perchè
difficile a credersi, sì, ogni giorno si veniva alle mani, e la città
ogni giorno si intratteneva, come Troia, d'un eroico fatto de' suoi
difensori, o d'una barbara azione de' suoi nemici. Così la difesa traea
nuovo vigore dal doppio fomite dell'entusiasmo e dell'odio.

Delle crudeltà dell'armata assediante, necessità vuole che per noi
si tenga ancora parola, perchè incredibili, e perchè sappia l'Europa
a quali uomini è riservata l'America del Sud, se sventuratamente
Montevideo, ultimo propugnacolo della civiltà, fia che cada nelle lor
mani.

Giammai dagli assedianti fu graziato del capo un sol prigioniero, e
felice colui che moriva senza torture.

Si svolga per poco la storia dell'assedio di Montevideo; e si legga
alla pagina 101 la dichiarazione di Pedro Toses capitano nell'armata
d'Oribe, fatta davanti la polizia di Montevideo.

Egli dichiara:

Non ricordare il numero dei prigionieri fatti dalle truppe di Rosas
alla battaglia de l'Arroyo-Grande; sapere bensì, perchè testimonio
oculare, che fu mozzato il capo a cinquecento cinquantasei uomini. «Si
conduceano le vittime a venti a venti, nude, colle mani legate: ed ogni
drappello tenea dietro uno strangolatore. Giunti sul luogo destinato al
supplizio i prigionieri, fattili ad uno ad uno inginocchiare, loro si
squarciava la gola.»

Tanto si facea per il comune dei martiri, ma gli officiali superiori
otteneano terribili distinzioni.

Pedro Toses asserisce aver visto mettere a morte il colonnello
Hinestrosa; spogliato degli abiti, fu da prima mutilato. Un tale
supplizio era sino a' dì nostri solo retaggio degli Abissinj.
Mozzategli poi le orecchie, gli venne a pezzi strappata la carne,
finchè il suo corpo non fu che una piaga: allora i soldati del
battaglione di Rincon lo stremarono a colpi di baionetta, e per farne
dono al lor capo ne trasser la pelle.

Aggiunge poi (senza dettagli sulla di lui morte) che seconda vittima fu
il luogotenente colonnello Leon Berutti.

Che il colonnello Mendoza fu strangolato;

Che il maggiore Stanislas Alonzo venne ucciso a colpi di bastone;

Che il maggiore Giacinto Castillo, il capitano Martinez, e il
sottotenente Luigi Lavagna furono fatti a brani;

Che il luogotenente Arismendi, pria mutilato, fu strangolato;

Che il luogotenente Acosta spogliato vivo, morì gridando: Viva la
libertà;

Infine che il luogotenente Gomez fu strangolato, del paro che il
sottotenente Cabrera y Carillo.

A tali enormezze si erano abbandonati gli assedianti, nella speranza,
che inorriditi a simile macello i difensori di Montevideo sarebbero
venuti meno all'impresa. Ma si ingannavano a partito, poichè fatti
accorti che venendo alle mani di Rosas era vano lo sperar grazia,
compresero la necessità di battersi sino alla morte.

Ma questi nuovi soldati ora combattendo in imboscate, o in terreni
accidentati, o dietro le fortificazioni non aveano peranco provato
al nemico di quanto fossero capaci in campo aperto. Il ministro della
guerra prese a sciogliere questo problema.

A tale effetto, la notte del 10 marzo 1843 ei si recava con una
divisione ai piedi del Cerro, e l'undici quella parte d'armata che
assediava questa fortezza era completamente battuta.

Il 10 giugno 1843 e il 28 marzo 1844 le armi di Montevideo capitanate
sempre dal ministro della guerra trionfavano delle forze nemiche; e in
questa giornata il generale Angel Nunnez, circondato dai cadaveri di
molti tra' suoi soldati, moriva sul campo di battaglia. Egli, il più
prode degli officiali di Rosas, era un traditore, poichè sui primi dì
dell'assedio, abbandonata l'armata orientale, erasi dato in braccio al
dittatore.

In questo stesso terreno il generale Paz batteva il 26 febbraio 1844
una divisione nemica; e il 24 aprile dello stesso anno vi avea luogo
tra le due armate un lungo combattimento indeciso; e finalmente il 30
settembre, 100 cavalieri di Montevideo sotto il colonnello Flores, vi
battevano 500 cavalieri nemici.

Di tal modo l'infausto nome del Cerro venia mutato in quello di _campo
fortunato_.

Ora nel mentre che Montevideo sentia tuttodì quasi alle porte tuonare
il cannone nemico, la città porgeva agli occhi delle nazioni lo
spettacolo ammirando dell'unione nel pericolo, dell'unità nella
costanza. Gli uomini tutti di cuore eransi fatti attorno al governo
e lo appoggiavano in ogni maniera a misura de' propri mezzi con un
patriottismo, di cui forse l'istoria non ricorda un esempio secondo.

È dolce per noi il nominar qui, onde sappiano che son noti all'Europa,
Francisco J. Munnoz, Andres Lamas, Manuel Herrera y Obes, Julian
Alvares, Alexandro Chucarro, Luis Penna, Florencio Varela, Fermin
Ferreira, Francisco Agell, Joaquin Sagra, Juan Miguel Martinez;
cittadini tutti di Montevideo, che saranno cittadini del mondo in
quel giorno che tutti i popoli saranno fratelli in una repubblica
universale.

Lamas, allorchè Pacheco y Obes entrò al ministero, fu scelto a prefetto
di Montevideo, e diè prova di una attività straordinaria e d'un
patriottismo ardentissimo. Uomo di rari talenti e d'immensa istruzione,
va annoverato tra' primi poeti dello Stato Orientale. Egli tenne poi
il ministero delle finanze, ed ora è rappresentante della repubblica al
Brasile.

Noi abbiam detto come la famiglia del colonnello Pacheco y Obes si
fosse ricoverata a Montevideo, e come la stessa fortuna avessero
seguito gli abitanti della campagna. Meglio di quindicimila persone
eran fuggite innanzi al nemico, di nulla altro curanti che della
propria salvezza. Era dunque debito del governo fin dal principiar
dell'assedio soccorrere ai bisogni di tante infelici famiglie, e
assicurare un pane ai poveri della città; talchè più di 27 mila persone
veniano alimentate e vestite dal pubblico tesoro.

Erasi pure provvisto agli ospedali, e la famiglia del Pacheco y Obes,
come abbiam detto, cedeva la propria casa a cotal fine. I letti che vi
sommavano a più di mille, concessi dalle famiglie più agiate, erano
segno alle cure d'una pietà che sentia di magnificenza. I farmacisti
fornivano gratis i medicamenti, i medici prestavano senza compenso la
loro opera, mentre le signore, organizzate in associazione di carità,
vegliavano pietose al letto dell'ammalato.

Nei giorni felici di Montevideo, all'epoca delle cavalcate che noi
descrivemmo, allorchè i musicali concerti si diffondeano dalle case
e per le strade, le sue _tertulias_ gareggiavano in brio con quelle
di Lisbona, di Madrid, di Siviglia, e i modi gentili, e la franca
ospitalità degli abitanti formavano l'ammirazione degli europei, che
in questa vergine terra rinvenivano il lusso e la coltura del vecchio
mondo.

Ora invece durante l'assedio nei convegni serali era unica cura
preparare filacce, e il conversare comune erano i combattimenti, le
azioni eroiche, e i feriti del giorno.

Le grandi sciagure partoriscono le grandi virtù; e ne die' prova
il dottore Fermin Ferriera, uno dei medici più distinti che vanti
l'America.

Abbandonata, sui primi dì dell'assedio, la sua clientela, si consecrò
al servizio degli ospedali e dei poveri. Da quel punto ei non ebbe
riposo; avresti detto che questo uomo, spogliato quasi l'umana natura,
non patisse difetto di cibo e di sonno. Sempre al letto dei malati e
dei feriti li curava con amore di padre. Ridotto all'estremo, venduto
per vivere ogni suo avere, nonchè i gioielli della moglie, parea
che la miseria avvivasse il suo patriottismo. Ora chirurgo in capo
dell'armata, e presidente dell'assemblea dei notabili, si trova, al
paro di tutti i difensori di Montevideo, nelle maggiori strettezze.

E come se ogni cosa dovesse ritrarre l'impronta da tanto amore alla
patria, l'assedio di Montevideo, epoca di stenti e miserie, ha visto
nascere i più belli de' suoi stabilimenti di pubblica utilità.

Il ministro della guerra, Pacheco y Obes, fondò gli ospedali militari
civili, e la casa degli invalidi, creò primo le pubbliche scuole,
organizzò la società di mutuo soccorso.

Lamas, il capo politico, diè i nomi alle strade della città, e diè vita
all'istituto istorico e geografico.

Herrera y Obes, ministro dell'interno, creò l'università.

Ad istanza di Bernardina Rivera, le signore eressero la società di
beneficenza sotto il nome di _Società delle signore orientali_.

Anche durante l'assedio si coniò la prima moneta della Repubblica.
Lamas ne ebbe il pensiero, e il ministro della guerra offerti gli
argenti suoi e della famiglia e degli amici, fe' poscia appello al
patriottismo del popolo che non fu sordo alla chiamata; e coll'aureo
incensorio del sacerdote diè perfino lo sperone d'argento del
cavaliere.

La moneta battuta a Montevideo portava queste sole parole: — _Assedio
di Montevideo_.

Di tal modo la capitale della Repubblica orientale con un atto
d'indipendenza individuale protestava contro gli attacchi di Rosas alla
pubblica indipendenza.

Un fatto, taciuto sinora da noi, e che avrebbe dovuto aver gran
peso nella nostra politica, era l'essere Montevideo una città quasi
francese; poichè tra i suoi cinquantamila abitanti, ben ventimila
appartenevano alla Francia. Ora costoro stretti alla popolazione per
interessi di commercio e famiglia, era impossibile fossero stranieri
agli eventi, e accettata la causa della patria adottiva, presero con
ardore le armi alla difesa.

A tutto questo si aggiungevano le antipatie che dal 1839 erano nate
tra i Francesi e i soldati di Buenos-Ayres. In allora autorizzati dal
governo avean tolto le armi contro Echagüe, che poi venne da Rivera
distrutto. Così, per gli antichi rancori verso i nostri compatriotti,
si udiano i soldati di Rosas gridare agli avamposti di Montevideo:

«Che fanno dunque i Francesi che altre volte si armarono a vane
comparse? perchè non armansi adesso che si combatte davvero?»

Malgrado tali parole la popolazione francese restò neutrale.

Ma una lieve favilla bastava ad accender gran fiamma. Essa venne dalla
circolare d'Oribe, del primo aprile, in cui lagnandosi dei torbidi
suscitati dagli _stranieri_, minaccia di considerarli quai selvaggi
unitarii, ove non siano prudenti a nascondere le loro simpatie.

Levossi un grido di sdegno all'insolente provocazione, i Francesi
corsero alle armi e s'organizzarono in legione; legione sacra, che
sostenne, malgrado il governo, l'onor della Francia; legione invitta,
che seppe resistere al fuoco ed alle seduzioni, e che ora spunta
un'arme più terribile di quelle di Rosas, la calunnia dei giornali
francesi.

La legione conta già ben sett'anni di vita; al suo nascere provvide da
per sè stessa al vestito ed alle armi, nè toccò mai soldo, e lontana 3
milla leghe dalla patria, involta nella miseria oggimai a tutti comune,
scalza e cenciosa, coperta di cicatrici, come la propria bandiera, va
fiera della sua nudità per le vie di Montevideo, il cui abitante saluta
il francese come fratello e lo venera come difensore.

E di vero, non v'ha palmo di terra nell'immensa linea di
circonvallazione che difende Montevideo, che non sia bagnato di sangue
francese; e sappianlo i ministri e il governo che gli ha abbandonati,
più di mille de' nostri sono caduti a datar dall'origine della legione
francese a questo giorno.

Il colonnello Thiébaut, antico uffiziale dell'armata imperiale, è capo
di questa legione, e il colonnello Brie, già negoziante distinto, ora
prode soldato, tiene il comando dei cacciatori baschi; il tenente
colonnello Des Brosses, il dottore Martin de Moussy, e quasi tutti
i francesi stabiliti a Montevideo ebbero parte nel formare questa
legione.

Noi sappiam che a taluni è di niun prezzo l'ingiuria, di grandissimo
invece la lode; noi diremo a costoro: Rosas ha versato l'oro a piene
mani onde provocare la diserzione. Ebbene! da sette anni, un sol uomo
ha disertato, ei si chiama Pelabert. Comandante del primo battaglione,
fe' l'estremo d'ogni sua possa per trascinarlo con sè, e non ebbe al
delitto che soli due complici.

Tre traditori in tremila uomini! ébberne più gli Spartani che contarono
un fuggitivo sovra trecento.

Alla formazione della legione francese tenne dietro quella degli
Italiani scossi alla voce di GARIBALDI, avido di avventure e di
pericoli.

Un nuovo campo si apriva a lui, che già comandante della flotta
nazionale, sentiasi scosso dai colpi del cannone che tuonava alla
campagna; e fu visto così lo stesso giorno governare il proprio
naviglio, marciare alla baionetta alla testa d'un battaglione
d'infanteria, e caricare in mezzo alla cavalleria uno squadrone nemico.

Ma il sospiro d'Italia gli giungeva sull'aure del Mediterraneo, e
allora tutto cessò per lui; solo un sacro dovere poteva rimuoverlo dal
compire un sì nobile sacrifizio.

A canto di GARIBALDI brilla un nome illustre nella legione italiana. È
quello di Francesco Anzani, uomo di sommo coraggio e di severi costumi
da paragonarsi agli antichi. Mai non fu visto in Montevideo che in
mezzo a' soldati, vestito come essi, dividendo i loro cibi, sognando la
libertà di Italia, combattendo per quella del Nuovo-Mondo. La libertà
era la speranza, il sospiro della sua vita.

Quando nel 1847 GARIBALDI lasciò Montevideo, con un centinaio de'
suoi legionarii per venire a combattere in Italia, Anzani gravemente
infermo volle a ogni costo imbarcarsi, e moriva tre giorni dopo il
suo arrivo in Italia, pensando all'indipendenza della patria, per cui
GARIBALDI allora dovea combattere inutilmente, tenendo l'occhio però a
quell'avvenire che oggi finalmente si è maturato.



Capitolo Quinto


L'ordine degli avvenimenti ci ha per poco allontanati dall'armata di
Rivera, che lasciata Montevideo, non era rimasta inoperosa.

Il nemico, forte di 6,000 fanti e 900 cavalieri, avea messo l'assedio
alla città; sulle traccie di Rivera erasi spedito il resto delle sue
forze. Allora ebbe principio una lotta ammirabile, dovendo Rivera
co' suoi talenti, colla conoscenza de' luoghi, col coraggio de' suoi
soldati, forte appena di 5,000 cavalieri, tenere a bada un nemico che
contava 6,000 uomini di cavalleria, un battaglione di fanti, ed una
batteria di cannoni.

Ma per colmo di sventura la marcia di Rivera si facea di giorno in
giorno più faticosa e più grave, essendochè i paesani impediti di
rifugiarsi a Montevideo, traevano a lui numerosi, facendo così del
suo piccolo esercito una tribù, che negli ultimi tempi contava da
ben quattrocento carri ingombri di donne e fanciulli, oltre un numero
maggiore di fuggitivi, che privi dei mezzi di trasporto tenean dietro
all'armata a piedi o cavallo.

Come una tal gente inabile alta guerra, d'inciampo negli accampamenti,
di ritardo nelle marcie, li esponesse a un totale esterminio, era noto
a Rivera e a' suoi soldati, che nullameno fedeli a un tal dovere,
durarono nella lotta due anni in cui sempre battuti, non vinti,
rendeano le vittorie del nemico peggiori d'una sconfitta.

Venne infine Rivera completamente battuto nella funesta giornata di
Paso de la Paloma; tali però erano i mezzi di quest'uomo, tale era
l'aura popolare che lo circondava, tanto insomma l'amor della patria
che infiammava gli orientali tutti, che la vittoria di Solis gli rese
quel prestigio ch'egli aveva per un tratto perduto.

Ma Urquisa alla testa di 4,000 uomini venne a trar d'impaccio il
nemico, e sconfisse Rivera a Malbajar ed a Aréquita, il quale ad onta
di tali rovesci, volle il 28 marzo 1845 nelle pianure d'India-Muerta
presentar la battaglia ad Urquisa.

Le forze erano eguali d'entrambe le parti. Avanti di venire alle mani,
il generale Rivera comandò che i carri che trasportavano le donne e i
fanciulli si avvicinassero alle frontiere del Brasile, per guadagnarle
nel caso d'una sconfitta. Si perdè la battaglia, e fu così salva questa
errante tribù, insieme a una parte dell'esercito stesso.

Da quel giorno famiglie ed esercito hanno stanza in Rio-Grande; nè
le reiterate promesse di Rosas ebbero peranco il potere di far loro
traversar la frontiera che li divide dalla patria. Tanto è l'odio
inspirato da Rosas, che al suo dominio preferiscono l'esilio e la
miseria.

L'armata della campagna, distrutta alla battaglia d'India-Muerta,
avea fatto più del dovere, lasciando sul campo i tre quarti delle sue
forze. Questi gloriosi combattimenti vennero illustrati dal sangue di
tanti martiri, e l'istoria del popolo orientale ricorderà con amore i
nomi d'Aguar, di Silva, di Cuadra, di Blanco e di Luna che primi tra'
capitani di quest'armata caddero per la indipendenza della patria. E
la storia fedele dirà pure che i disastri toccati non vanno attribuiti
alla truppa od a' capi, sibbene al solo generale Rivera, che mai volle
organizzar militarmente le sue forze, ed a uomini disciplinati fece una
guerra non di soldato, ma d'avventuriere.

Dopo la battaglia d'India-Muerta, allorchè il resto dell'esercito
passò la frontiera di Rio-Grande, un solo tra i capi, cui la morte in
patria era certa, sdegnò trar la vita in esilio. Egli era il tenente
colonnello Brigido Silveira. Con una mano di prodi decisi a morire
con lui volle continuare la lotta, e ritiratosi nel distretto di
Maldonado[16] traendo partito dal terreno ineguale, cominciò una guerra
d'imboscate, e di attacchi notturni, cui il nemico non si attendeva.

Da quel punto non vi fu distaccamento dell'armata di Oribe, non vi
fu avanguardia che si avventurasse alla campagna, che non venisse
attaccata da questi infaticabili soldati cui era nota ogni sua mossa.
Quando poi infuriava la tempesta, Brigido Silveira, cogliendo il destro
dal cozzar degli elementi, si cacciava persino tra le tende nemiche a
levare il suo grido di guerra.

Indarno Oribe a dar la caccia a questi prodi spingeva tremila de' suoi
cavalieri ora stretti in un corpo, ora divisi a drappelli. Due lunghi
anni durarono a sterminarli, non però d'un sol colpo, ma quando dal
primo all'ultimo caddero tutti, solo Brigido Silvera miracolosamente
sorvisse, ed ebbe modo di rientrare in Montevideo, ove vive tuttora.

La battaglia di Balbajar, anteriore a quella d'India-Muerta, avea
luogo nel gennajo del 1844. Un pugno di cinquecento uomini, sfuggiti
al disastro, concepito il progetto di aprirsi una strada sino a
Montevideo, giunse inatteso dietro le linee dell'assedio, le ruppe, e
sui cadaveri nemici entrò trionfante nella fortezza del Cerro.

Alla testa di questi prodi erano i colonnelli Flores ed Estibao,
che presentatisi al governo colle spade alla mano ancor tinte di
sangue, «l'armata, dissero, della campagna è battuta, e noi, incerti
se potrà rialzarsi, siam venuti a dividere la sorte dei difensori di
Montevideo.»

E per vero fu provvidenziale un tale rinforzo, poichè la guarnigione
scemata ogni giorno non poteva rimettersi, mentre il nemico tenea da
Buenos-Ayres sempre nuovi aiuti di truppe.

Diffatti le file dei difensori di Montevideo erano diradate di molto,
sommando a più di tremila i soldati che erano caduti, coi colonnelli
Sosa, Torres, Neira e buon dato d'altri capi e ufficiali.

Sosa, che ben a ragione può dirsi l'Ettore della nuova Troia, era un
di quegli uomini per cui non esistono pericoli di sorta. Al pari di
Nelson, potea chiedere, non a dodici, ma a trenta anni: che cosa è la
paura? Lo avresti detto disceso dagli antichi Titani, nulla essendovi
per lui d'impossibile.

Fu visto un giorno con soli quattordici cavalieri attaccare ben cento
Baschi spagnuoli e metterli in fuga.

Fu visto altra volta in mezzo a quattordici cavalieri che gli erano
sopra, certi di farlo prigione, aprirsi strada una uccidendone due, e
ritornare al corpo onde era stato disgiunto.

Un altro giorno che aveasi a fronte un distaccamento nemico, il capo
di Sosa avendo esternato il desiderio di alcuni schiarimenti che solo
potea dare un prigioniero, Sosa cacciatosi sopra il nemico, afferrò il
primo uomo che gli venne fatto di raggiungere, e messolo a traverso sul
cavallo lo presentò a lui dicendo:

«Ecco, mio colonnello, ciò che voi avete richiesto.»

Così parea che la morte rispettasse quest'uomo che seco lei avea tanta
dimestichezza.

Diffatti un giorno uno dei più prodi uffiziali dell'armata nemica
incontratosi con Sosa nel caldo della mischia, appunta contro di lui
la sua pistola e fa fuoco. Ma il colpo non parte, ed egli invece cadde
trafitto da Sosa.

Conversando una volta con cinque de' suoi soldati presso d'un bosco
di frutti, diè in un agguato che gli tese il nemico nel bosco vicino.
I suoi cinque soldati cadono a terra dai colpi di fucile tratti a un
quarto di tiro, solo Sosa rimase illeso. Egli allora invece di darsi
alla fuga o battere in ritirata, si caccia nel bosco, e cinque minuti
dopo ne sorte sano e salvo colla spada insanguinata.

Le prodezze di Sosa erano il soggetto del conversare d'ogni brigata in
città, come del pari egli era il terrore del nemico.

Perciò il giorno 8 febbraio 1844, fu giorno di lutto per Montevideo.
Essendo egli in tal dì agli avamposti, fu colpito come Turenne e come
Brunswick da una palla di cannone; ma non cadde com'essi da cavallo,
quantunque per la ferita perdesse quasi tutte le viscere. Scese a terra
dicendo a' suoi soldati: «Io credo d'esser ferito.» Ma fatto accorto
che non solo era ferito, ma ferito a morte; _Amici_, diss'egli, _io mi
muoio, ma voi, voi restate a difendere e salvare la patria_.

La nuova ne giunse alla città quasi portata dal colpo di cannone che
avealo ferito. Il ministro fu a vedere il morente, la cui faccia era
appena suffusa d'un leggiero pallore. Al vederlo, sollevatosi alquanto,
gli stese la mano, e gli diè conto dell'operato con una sì tranquilla
serenità da non parere toccasse al suo fine. Ascoltavalo il ministro
a capo chino, come quei che in Sosa perdeva non solo un de' più prodi
capitani dell'esercito, sibbene uno de' suoi più teneri amici.

La voce di Sosa venne meno d'un tratto. Egli era morto. L'armata tutta
vestì il lutto, non per comando, ma per potente bisogno del cuore;
essendochè a ciascuno parea colla sua morte aver perduto un fratello o
un amico.

A tanta virtù era poca la riconoscenza degli uomini, onde il governo
non fe' che emanare il seguente decreto:

                     MINISTERO DI GUERRA E MARINA.

                                        Montevideo, 10 febbraio 1844.

Il governo non dee ricompense a quei che combattono per la patria; essi
non fanno che il debito loro; ma deve alla gloria nazionale l'onorare i
nobili fatti a pro della Repubblica, eternando la memoria dei valorosi,
e circondandoli della riconoscenza generale, che è la più bella corona
dell'eroe.

Per tale motivo, memore che il colonnello Marcellino Sosa, morto il
giorno 8 di questo mese, ha consacrato con eroica abnegazione tutta
la sua vita al servizio della patria; ch'ei fu in guerra primo tra i
prodi, in pace cittadino integerrimo; che in ogni tempo bene meritò
della patria;

Il governo ha deciso e decreta:

Art. 1. Il primo reggimento di cavalleria della guardia nazionale
prenderà in avvenire il nome di _reggimento Sosa_, e porterà queste
parole nella sua bandiera: _Marcellino Sosa, prode tra i prodi. La
patria lo perdè l'8 febbraio 1844_.

Art. 2. Non si provvederà mai al grado di colonnello di questo
reggimento, in cui Marcellino Sosa figurerà come colonnello effettivo,
dovendo la di lui famiglia toccare gli appuntamenti cui egli ha
diritto, ed ove questa non li riceva in uniformità della legge del 12
marzo 1829, saranno devoluti alla casa degli invalidi dell'armata.

Art. 3. . . . . . . . .

Art. 4. Quando l'esercito che assedia la capitale sarà distrutto, la
spoglia di Sosa sarà recata al luogo in cui fu ferito, e s'innalzerà
alle spese del tesoro un monumento semplice che porti il suo nome, il
giorno della sua morte e le sue estreme parole:

                     _Compagni, salvate la Patria!_

                                                   _Firmato_; SUAREZ;
                                                      PACHECO Y OBES.

Il ministro della guerra disse le lodi del gran cittadino. Involto
della bandiera del suo squadrone, Sosa fu chiuso nella tomba della
famiglia Pacheco y Obes. Tra coloro che ne portarono la salma al
sepolcro, era il colonnello Tajes, che dall'armata è ora tenuto in quel
pregio che prima Sosa.

Sosa era un bell'uomo grande, robusto, eccellente cavaliere, d'una
generosità eguale al coraggio. Cavalcava di solito un superbo cavallo
nero, la cui bardatura era tutta d'argento. Nell'ora poi della pugna,
si spogliava dell'uniforme, e rimboccate le maniche, impugnata la spada
o la lancia lo avresti detto un eroe d'Omero, od un paladino del secolo
di Carlomagno.

Così era egli circondato da degni e prodi soldati, avvegnachè ogni
giorno dell'assedio di Montevideo sia una pagina di gloria per i capi
degli assediati.

Ieri, era il colonnello Munnoz che con un pugno di ottanta uomini
attaccava una posizione fortificata e 400 soldati i quali devono la
libertà ai rinforzi sopraggiunti.

Oggi è il colonnello Solsona che con un battaglione resiste a tutta
l'ala dritta nemica. Tra coloro che combattono sotto i suoi ordini,
sono i tre suoi fratelli; l'uno de' quali, il capitano Miguel, ferito
alla testa da un colpo di fucile cade per terra; ma rialzatosi afferra
uno schioppo, e continua a battersi, quasi non fosse caduto che per
raccogliere un'arma.

Domani, Lezica e Batlle che al Pantanoso con soli 300 soldati resistono
a cinque battaglioni nemici.

Quindi il maggior Carro che con trenta dragoni attaccando trecento
nemici, resta con vent'otto de' suoi sul campo di battaglia.

Poscia il colonnello Tajes che alla testa di ottanta uomini distrugge
il secondo reggimento di Rosas; e il colonnello Vilagran, che nell'età
di sessantacinque anni, alla testa di pochi cavalieri carica ogni
giorno il nemico, sempre in numero quattro volte maggiore. Onde può
dirsi a ragione che Montevideo sarebbe salva, se a tanto avesse bastato
l'abnegazione e il coraggio.

Nel giugno del 1844, il generale Paz, chiamato al comando delle armi
di Corrientes, lasciò Montevideo. Allora il colonnello Pacheco y Obes
unitamente al ministero della guerra prese il comando delle truppe
e giunse a dominare il nemico che in due brillanti fatti d'arme ei
batteva.

Era quindi facile a credersi che la lotta toccasse al suo termine, e a
ciò conseguire apprestavasi una battaglia finale, quando l'8 ottobre,
un accidente imprevisto mutò la faccia alle cose, ed ebbero origine le
sventure di Montevideo.

Sulla piccola squadra governata da GARIBALDI, aveano, a di lui
insaputa, cercato ricovero due disertori brasiliani. Ora l'ammiraglio
del Brasile che avea nelle acque di Montevideo quattro corvette, senza
previo riclamo, mosse verso la squadriglia orientale, con una goletta
seguita da molte imbarcazioni. Giunto a tiro di pistola, gettata
l'áncora, intimò si rendessero i due disertori, minacciando far fuoco
ad un rifiuto.

Inteso un tale procedere, il ministro della guerra rese noto agli
altri membri del governo: portarsi egli stesso a bordo della squadra
a provvedere all'onor nazionale, rispondere di tutto, nè potersi
transigere colle brutali esigenze del brasiliano. Ma venuto a bordo
ebbe l'ordine dal governo di rilasciare i due disertori, e, cosa
strana, un tale ordine gli fu intimato da un officiale d'ordinanza
dell'ammiraglio brasiliano. Egli vi si rifiutò, e insistendo il
governo, diè la sua dimissione, dichiarando ad un tempo che non
lascierebbe il suo posto, se prima le forze nemiche non cessassero dal
minaccioso contegno. Ritiratisi allora, Pacheco y Obes mise piede a
terra.

Il governo accettava la dimissione del ministro della guerra, perchè
antiche ire tra il colonnello e il generale Rivera veniano dagli amici
di quest'ultimo suscitate, sì perchè le rozze maniere del primo aveano
ferito alcuni membri del governo, e specialmente coloro che vili
interessi moveano ad accostarsi a Rivera il quale, come dicemmo, facea
getto del pubblico denaro.

L'armata, istrutta della dimissione del colonnello Pacheco y Obes,
prese le armi e si ribellò. Per ben tre giorni fu un'ansia incessante
in Montevideo di vedere l'orrendo spettacolo d'un governo rovesciato
dalla forza militare. Pacheco y Obes che avea le simpatie del soldato,
seppe resistervi, e sortito dal paese ritirossi a Rio-Janeiro. Egli
rese immensi servigi alla sua patria, e fu de' più caldi alla difesa
di Montevideo; l'odio che gli portano i nemici del paese, è un titolo
incontestabile alla riconoscenza de' buoni cittadini.

Giunto al potere, era stato suo primo studio introdurre la probità
nell'amministrazione, stabilire in principio i diritti della nazione
ai sacrifici d'ogni cittadino, distruggere infine, coltone il destro
dalle condizioni di Montevideo, le personali influenze, e sostituirvi
l'imparziale impero delle leggi.

Intorno a lui avea fatta corona un'eletta di uomini nuovi zelanti
d'amore al paese; onde venne meno il potere del generale Rivera,
potere che riebbe alcuni momenti di vita alla caduta del colonnello
Pacheco y Obes dopo la rivoluzione di aprile; ma che dovette cedere
all'eccellenza del sistema dell'ex-ministro della guerra.

Nulladimeno, è duopo convenirne, il colonnello Pacheco y Obes spinse
troppo oltre le sue idee di riforma, o non ne colse il tempo opportuno;
poichè essendo Rivera il vero capo del partito nazionale, non doveasi
attaccare la di lui influenza, nel momento stesso che durava la guerra
contro il dominio straniero; ond'è che, lui caduto, ne nacque la
divisione e lo scompiglio. D'altra parte l'estrema ostinatezza del
carattere del colonnello Pacheco y Obes che mai non piegava a consigli,
staccò da lui molti uomini egregi, che ebbero poi tanta parte alla sua
caduta. Ma egli ebbe sempre l'amore del popolo e la riconoscenza del
soldato in premio delle cure operose nel migliorarne la sorte.

Il ritiro del colonnello Pacheco y Obes segnò la decadenza della
difesa. Avendo egli costituito un'autorità forte cui tutto cedeva e
obbediva, questa, dopo lui, venne ad essere raccolta da uomini deboli,
e mancò così quella mano potente che avea dato l'impulso alla pubblica
cosa. La guerra si continuò allora fiacca, non vigorosa, lo stesso
entusiasmo per la difesa venne meno, e per colmo di sventura, quattro
mesi dopo l'armata di Rivera fu distrutta a India-Muerta.

Gli orientali erano allora soli all'impresa, e la nuova d'una tale
sconfitta, che toglieva ogni speranza di trionfo, fu quasi un colpo di
fulmine agli assediati.

Il ministero che in tali frangenti si fè attorno al vecchio presidente
Suarez era composto di Vasquez, di Bausa, e di Santiago Sayago. Mosso
da nobile inspirazione, smessa ogni idea di una capitolazione, che
pareva inevitabile, fè un appello all'armata, ed esposto lo stato delle
cose, le ordinò di combattere o morire.

«Noi non possiamo scendere a patti col nemico, diceva la nota officiale
al comandante, e noi dobbiam dunque, se non puossi la nazionalità,
salvare almeno l'onor del paese.»

Scosso l'esercito a queste parole, comprese ciò che doveva alla patria,
e si accingeva ad una battaglia estrema, disperata, quando i legni, che
recavano la nuova dell'intervento anglo-francese, gettarono l'áncora
innanzi a Montevideo. Gli incaricati delle due nazioni instavano
presso il governo a procrastinare, impegnando la fede, che la Francia
e l'Inghilterra non domandavano che il tempo necessario ad imporre
ed esigere la pace da Rosas; che nel caso d'un rifiuto del dittatore,
Montevideo avrebbe le due nazioni alleate.

Il governo si arrese, e l'armata rientrò nei quartieri, e da
quest'epoca, 5 aprile 1845, la Repubblica orientale aspetta indarno si
compiano le fatte promesse.

Per ben cinque volte fu presentato a Rosas un ultimatum con minaccia
di annientarlo ove si ponesse sul niego; altrettante egli rispose con
maggiore insolenza. Un tale insulto non fu vendicato, e la Repubblica
orientale, costretta all'inazione, sfinita da inutili e lunghi
sacrifizi, ha toccato l'estremo delle sventure politiche e della
miseria privata.

Egli è vero altresì che al primo rifiuto di Rosas le potenze
mediatrici risposero con fatti che accennavano alla volontà ferma di
proteggere Montevideo. Le forze anglo-francesi penetrarono nel Paranà,
Buenos-Ayres fu stretta di blocco, Rosas fu battuto ad Obligado dagli
alleati che si internarono nel Paraguay.

Si soccorse anche con mezzi al governo orientale, che richiamato
Pacheco y Obes al comando dell'esercito, erasi posto in grado di
riprendere vigorosamente la guerra. Già prima d'ora una divisione agli
ordini di GARIBALDI e di Batlle veniva mandata ad occupare Colonia, e
fortificare il Salto, posizione importante, che, per essere vicina alle
frontiere del Brasile, era un punto d'appoggio e di rannodamento agli
emigrati, un migliaio dei quali aveano a poco a poco ingrossate le file
dell'armata nazionale.

Invano il nemico tentò con ogni mezzo scacciare Batlle dalla Colonia,
GARIBALDI dal Salto, il numero cesse al valore.

Stretto da tutta l'armata d'Urquisa avanti di essersi fortificato,
GARIBALDI sostenne per ben sei ore un attacco in cui 4000 uomini
irruppero disperatamente contro 500 soldati, e vennero con perdite
enormi respinti. Mosse più tardi Servando Gomez all'assedio della
città. Ma GARIBALDI, anzichè aspettarne l'assalto, veniva di continuo
ad attaccarlo, ed ogni sortita era per lui una vittoria. Da ultimo ebbe
luogo il celebre fatto di S. Antonio, in cui 200 Italiani stettero
a fronte in aperta campagna contro 1200 soldati di Servando Gomez,
tra' quali contavansi 500 fanti. Abbiamo già tenuto parola di questa
giornata, in cui dopo cinque ore di combattimento GARIBALDI perdeva
la metà delle sue forze, e il nemico 400 uomini. Padrone del campo di
battaglia dopo un'ora di sosta e di disfida, si ritirava con tutti i
feriti al Salto. In premio di tanto valore, la legione italiana ha la
dritta nell'armata orientale.

In quel torno il governo innalzava al grado di generali Pacheco y Obes
e GARIBALDI, che sdegnosi di ricompensa, piegarono ciò nondimeno alla
volontà degli amici.

Intanto Pacheco y Obes dava opera alla riorganizzazione dell'esercito,
e dividealo in due corpi; era scopo dell'uno vegliare alla difesa di
Montevideo; egli alla testa dell'altro tener la campagna, unirsi a
GARIBALDI, e reggere la somma della guerra. Sventuratamente Rivera
tornò a Montevideo; la rivoluzione d'aprile 1846 scoppiò, per cui
Pacheco y Obes chiesta la sua dimissione ebbe a successore Rivera.

Il quale partito per la campagna, ottenne sul bel principio felici
successi: ma si trovava alla testa di un'armata che avea rotto ogni
vincolo di disciplina, e di cui un battaglione si ribellava al primo
sinistro. Egli volea disarmarlo; era appunto il momento che il nemico
movea grosso a vendicare le toccate sconfitte. Rivera non accettò la
battaglia, e s'internò nel paese; fu di bel nuovo battuto, riparò
a Maldonado; e in tal modo vennero meno la preconcette speranze di
salvare il paese.

La rivoluzione d'aprile fu l'ultimo lampo della popolarità di Rivera;
l'ultimo tentativo de' suoi partigiani è la sola macchia della difesa
di Montevideo, poichè in quel giorno nefasto si sparse il sangue dei
più generosi propugnatori della Repubblica.

Le terribili scene del capitanato del porto lascieranno una ricordanza
indelebile a Montevideo. In uno di questi tumulti, il colonnello
Giacinto Estibao venne assalito da 800 ribelli. Egli non era uomo
da arrendersi e lottò per due ore. Tutti i suoi fidi gli caddero al
fianco, ed ei restò solo con un aiutante di campo. Allora, grondanti
sangue dalle molte ferite, guadagnarono un terrazzo, ove dopo una
resistenza inaudita, disperata, ambedue furono uccisi.

Estibao veniva a buon diritto tenuto in conto tra i più begli ingegni
della Repubblica Orientale. Giovane, prode, scrittore elegante, di
ottimo cuore, d'una fede inconcussa nel bello e nel buono, eran per
lui nomi vani la doppiezza, la menzogna, il tradimento. Egli era
fratello d'armi al generale Pacheco y Obes. Nella lotta che per lui
fu l'estrema, gli ammiragli francese ed inglese lo persuasero, onde
salvarlo, a lasciare il suo posto, essendovi a poca distanza un
distaccamento di 300 marinai delle due nazioni. Ma Estibao rispondeva:
«il generale mi troverà vivo o morto al posto che mi ha assegnato.»

Quando più non gli restavano che 8 soldati superstiti, uno di questi
avvicinatosi a lui, colonnello, gli disse, noi non possiam più
resistere. Allora egli, comecchè già avesse rotto il braccio diritto,
afferrata colla mano sinistra la canna della sua pistola, schiacciò col
calcio la testa a quest'uomo che non sapeva, che quando non si potea
più resistere, bisognava morire.

Si pianse pure in quel giorno a Montevideo la morte del maggiore Bedia,
giovane di belle speranze, prode officiale, che, le ore tolte alla
guerra, consecrava allo studio; talchè all'età di 24 anni potea dirsi
matematico eccellente.

Egli avea cinque fratelli tutti soldati. Il maggiore, Gioachino, era
luogotenente colonnello, e comandava in secondo l'artiglieria orientale
alla battaglia d'Arroyo-Grande.

Allorchè sinistrarono le sorti della giornata, gli artiglieri volsero
in fuga. Condottogli da un soldato il cavallo, invece di profittarne,
lo ferì della spada. Il cavallo, strappato il freno, fuggì mandando per
dolore acutissimi nitriti. Allora, come l'infanteria nemica irrompeva a
masse compatte, fattosi presso ad un cannone ancor carico, vi mise il
fuoco, e tirò così l'ultimo colpo della giornata. In quel punto egli
cadeva di venti colpi di baionetta.

Gli altri quattro superstiti fratelli hanno fama di prodi e
intelligenti ufficiali. L'un d'essi comanda uno squadrone d'artiglieria
a Montevideo.

Nello stesso giorno la Repubblica perdeva pure il capitano José Batlle,
fratello del colonnello, giovane di merito sommo.



Capo Sesto


I disastri del generale Rivera fruttarono un cangiamento di governo,
o meglio una reazione contro il di lui sistema. Il ministero si
organizzò definitivamente, come è al dì d'oggi. Gli uomini che lo
compongono, seguaci delle idee di riforma del generale Pacheco y Obes,
amministrarono rettamente la pubblica cosa; e può dirsi a ragione che
su di essi pesò più grave l'incarico della difesa, poichè, esausti gli
elementi di vita della Repubblica, e costretti ad una cieca dipendenza
dal governo francese, piegarono alle promesse della Francia di Luigi
Filippo, che mai tenne fede.

Così, dopo sett'anni di resistenza, la miseria di questo popolo
infelice è venuta all'estremo. Non v'ha famiglia che non viva nelle
maggiori strettezze, avendo anche i più ricchi venduto a vil prezzo
ogni loro fortuna; talchè tutti indistintamente gli abitanti traggono
l'esistenza dalla pubblica annona.

Il vecchio presidente Suarez ha dato ogni suo avere; i due suoi
ministri vivono, come l'ultimo cittadino, del pane del soldato.
Essi vivono, in mezzo a tanta miseria, col dolore di non poterla
alleviare, vedendo esauriti i mezzi della difesa, e vicino il trionfo
dell'inimico. Essi soffrono come gli altri, primi a darne l'esempio,
consolati da una sola speranza, che nel giorno in cui cadrà Montevideo,
la vendetta di Rosas pesando terribile sul loro capo, risparmierà
quello de' proprii concittadini.

Il sussidio mensile di 180,000 franchi che il governo francese paga
a Montevideo, anzichè un sollievo alle pubbliche gravezze, si è
fatto un dolore, una vergogna; poichè gli agenti di Luigi Filippo
a ciò incaricati lo rendono amaro ai bisognosi con ogni maniera di
dileggio e di scherno. Onde può dirsi, che presso costoro soltanto,
le illustri imprese, i nobili sacrifizi, l'eroico patriottismo degno
dell'antichità, per cui si immortalarono i difensori di Montevideo, non
abbiano valore di sorta.

Montevideo, avanti l'assedio, contava 60,000 abitanti; ora son ridotti
a meno di 24,000. La maggior parte della popolazione, meno i Francesi,
abbandonò la città, e i pochi rimasti, ebbero a provare la fame, la
peste e la miseria. Questi tre flagelli, e i quotidiani combattimenti
diradarono il numero degli abitanti. Ma giammai popolo alcuno durò con
maggiore costanza e virtù nell'impresa, per quanto sia il danno che ne
venga ad ogni classe di cittadini. Già da gran tempo il suo commercio
è cessato. I possidenti videro a poco a poco ogni loro proprietà
dileguarsi; il proletario cerca invano da lunga pezza il lavoro.
Ogni uomo è soldato od uffiziale: ora nè all'uno nè all'altro vien
retribuito stipendio di sorta. Le donne poi hanno in cura i feriti,
e rattoppano gli abiti della truppa, mentre i vecchi vegliano alla
sicurezza interna della città, e i ragazzi, quando tuona il cannone,
lasciate le scuole, provvedono di cartucce i combattenti. Un giorno nel
1844, una donna si presentava al ministro della guerra, e mostrando
un garzone che traea per mano, gli disse: «Oggi mio figlio compie i
quattordici anni dalla legge richiesti; io ve lo presento, affinchè
egli serva la patria come i suoi quattro fratelli son morti per essa».

Tutti conobbero a Montevideo questa madre spartana, la signora Carrea,
che perduti tre figli nello istesso combattimento, dicea quasi morta
dal dolore: _Perchè non ho altro figlio da offerire alla patria?_

Noi abbiamo, tra mille, accennati soltanto questi due fatti, poichè,
se gli uomini in que' tristissimi giorni diedero prova di coraggio
e di abnegazione, le donne furono sublimi per virtù e per sacrifizi.
Non vi fu tra esse chi nell'ora del pericolo abbia distolto il padre,
il marito, il figlio o l'amante dal prendervi parte; tanto più che da
ogni punto della città si faceano sentire i colpi di quei combattimenti
d'ogni giorno, in cui tutte le famiglie contavano un congiunto. Allora
lo straniero che si trovava a Montevideo potea credersi all'assedio
di Sparta. Ogni donna, madre o sposa, era una Lacedemone. Tu le vedevi
salir sui terrazzi, fissi gli occhi con ansia sul campo di battaglia,
pallide, ma tranquille e rassegnate attendere le novelle, che spesso
erano una terribile sciagura.

Cessata la pugna, i messi spediti dai superstiti percorrendo la città
distribuivano ad ogni famiglia la sua parte di dolore. Talvolta a vece
d'un messo giungeva a casa una lettiga, su cui morto o morente tornava
insanguinato colui che ne era il sostegno.

Non v'è quasi famiglia a Montevideo, che nel lungo assedio non abbia
vestito il lutto; ma non vi fu sventura, per grande che fosse, che
abbia fatto venir meno il patriottismo della donna. Coloro che erano
prime per fortuna e posizione sociale, lo furono pure per coraggio e
per sacrifizi.

Questa donna, all'incesso regale, pallida e vestita a nero, che muore
all'ospedale delle Signore-Orientali, è Cypriana Munnoz; è la moglie
di Francisco Joaquin Munnoz, uno dei fondatori della nazionalità
orientale; è la madre di Francisco Munnoz, luogotenente-colonnello,
morto per la patria; è la madre di Josè Maria Munnoz, uno dei più
distinti colonnelli dell'armata; è la madre ancora di due altri
difensori di Montevideo.

All'ospedale tu la vedrai curare i feriti del battaglione di suo
figlio; entrare poi nella casa della vedova e dell'orfano per
rendergli un istante la madre perduta; parlare calde parole al soldato
per infiammarne il coraggio, all'uomo di Stato consigliandolo a
forti propositi; e se in questo affaticarsi in opere di carità e di
sacrifizio, il cannone tuona, la madre non tremerà per il figlio, ma la
cittadina per le sorti della patria.

Quando una nazione ha nel suo seno simili donne, gli uomini che
combattono sotto i lor occhi diventano eroi.

Ma a queste scene di dolore e di patriottismo che noi esponiamo
all'Europa il governo di Luigi Filippo risponderà: ma la Francia
protegge Montevideo! Sì, a Montevideo agonizzante la Francia recita
le preghiere dei morti. L'intervento della Francia nella Plata portò
frutti maggiori di questi inutili soccorsi ai feriti a morte?

Sovra il magnifico fiume che bagna ad un tempo Buenos-Ayres e
Montevideo sventola il vessillo della Francia. Ma alla vista di questo
vessillo, che l'Italia, che Napoli, Milano e Venezia hanno abituato
a tale orrendo spettacolo, i prigionieri della città sono sgozzati;
gli stessi Francesi che dividono la sventura di Montevideo, mutilati,
martoriati gettano nell'ultima agonia un grido di maledizione a questa
bandiera infedele. Infine alla vista del vessillo francese, i nemici di
Montevideo col dileggio e lo scherno sulle labbra appongono a delitto
alle vittime che essi immolano, lo aver creduto alle promesse della
Francia.

Il governo di Luigi Filippo chiese a Rosas ben quattro volte la pace,
ed ottenne un insultante rifiuto che la Francia allora ingoiava
d'accordo coll'Inghilterra, e questa pativa tranquillamente una
tale vergogna perchè nelle sue mire politiche segnava il decadimento
dell'influenza francese nell'America del Sud.

Invano allora i difensori di Montevideo domandavano alle due potenze di
sciogliere la contesa ad ogni partito; poichè non avendo nè la pace, nè
la guerra, la città legata a questo bugiardo intervento, vedea a poco
a poco sfumare gli elementi della difesa, senza la speranza di cercare
salute in una battaglia ultima, disperata.

A colorire un tale procedere il governo di Luigi Filippo metteva
in campo gli accordi fatti coll'Inghilterra; ma questa cessò
dall'intervento per la rivoluzione del 1848, e la Francia repubblicana
fè sola sventolare la sua bandiera sulle rive della Plata.

A questa grande novella ripresero animo i difensori di Montevideo.

E di vero come supporre che la giovane Repubblica non si mostrasse
a loro riguardo forte e leale? Qual dubbio sugli uomini arrivati al
potere, che dal 1830 accusavano sui giornali e colle proteste Luigi
Filippo di prostituire l'onore della Francia?

Montevideo era dunque risorta alle speranze dell'avvenire, quando sullo
scorcio del 1848 la città fu scossa da una lieta novella. L'ammiraglio
Le Prédour, comandante le forze navali della Francia nella Plata, erasi
presentato al governo dichiarando, aver ricevuto ordine di rendersi
a Buenos-Ayres onde proporre a Rosas la pace; non essere, diceva,
trattative diplomatiche, ma un ultimatum delle volontà della Francia.

La partenza dell'ammiraglio teneva dietro a tale dichiarazione, e ad
ogni istante si aspettava il ritorno. Ma si attese per quattro mesi il
ritorno dell'ammiraglio Le Prédour!

Seppesi alfine che questo ultimatum avea preso sembianza di trattativa.
Il governo di Montevideo protestò altamente, ma non cessarono per
ciò i negoziati con Rosas. Intanto si pose in opera ogni modo onde
la popolazione francese abbandonasse l'assediata città: si diceva
pubblicamente che la Francia proteggerebbe Montevideo, mentre si
gettava sordamente lo scoramento nel popolo, la diffidenza verso i
ministri, la defezione nell'armata.

Ma, come sempre, Montevideo non rispose alle speranze de' suoi nemici.
Eppure la città non avea, sino allora, versato in maggior pericoli:
la divisione avea messo radici nelle file de' suoi difensori. Pacheco
y Obes volea si protestasse contro la piega che le trattative avean
preso; volea, che malgrado la presenza dell'ammiraglio Le Prédour a
Buenos-Ayres, si rompesse la guerra con tutti i mezzi di cui potea
disporre il paese.

Herrera y Obes, ministro degli affari esteri, credea opportuno
attendere il risultato delle trattative e a lui accedeva il presidente
e i negozianti della città. Del parere di Pacheco y Obes erano l'armata
ed il popolo.

Il colonnello Battle, che seguia le parti del generale Pacheco y Obes,
diè la sua dimissione da ministro della guerra; e forte era il timore
di tristissimi fatti, quando ad un tratto ricomparve a Montevideo
l'ammiraglio Le Prédour portatore del suddetto trattato.

Questo trattato, in cui Montevideo viene sacrificata, e che assicura
il trionfo di Rosas, ebbe potere di riunire nella comune sventura i
difensori di Montevideo.

L'ammiraglio tentò imporlo alla città, minacciando di ritirarle
l'appoggio della Francia, ove trovasse ostacolo la sua volontà. Ma il
governo rispondea energicamente e degnamente, essere piuttosto deciso a
seppellire la città sotto le proprie rovine.

Per tale rifiuto, il trattato fu rimesso alla Francia, e il generale
Pacheco y Obes fu incaricato di tutelare a Parigi gli interessi
della Repubblica Orientale, e di ottenere uno scioglimento qualunque
all'interminabile questione della Plata.

Giunto in Francia, il generale parlò forti, e, qual di soldato, severe
parole. Egli disse alla Francia: Montevideo è il centro della vostra
prosperità commerciale nell'America del Sud. Se lo chieggono i vostri
interessi, soccorrete a Montevideo; nel caso contrario, lasciatela
in balìa dei proprio destino: poichè val meglio morire d'un colpo che
soffrire la crudele agonia, cui da cinque anni ci condanna il vostro
impotente intervento.

Il generale mostrò ciò che toccherebbe alla Francia, cadendo
Montevideo. Provò i delitti di Rosas, provò l'incompatibilità di questi
colla civilizzazione e colla vita futura dell'America. Ad onta di tutto
ciò si ripresero nuove trattative appoggiate da una mano di soldati
impotenti a sostenere la dignità della Francia, e che saranno, per la
loro impotenza, testimoni dolorosamente impassibili dei nuovi soprusi
di Rosas.

Un tal partito, noi lo ripetiamo, della Francia repubblicana, che nulla
parve togliere alla politica della Francia monarchica, deve ferire al
cuore Montevideo, la cui fioca voce in faccia ad una grande nazione
come la Francia, non fu da sett'anni, ancora tanto potente da metter
fine a' suoi lunghi dolori. Forse verrà un giorno, e certo è vicino, in
cui la disperazione porrà un termine a questa eroica difesa, e allora
Montevideo scomparirà dalla faccia della terra; allora, alla fama di
questa caduta, che giungerà sino in Europa, e farà battere di simpatia
più d'un cuore, si dirà:

Non è nulla; continuate il vostro buon sonno, è una città che è caduta.

E s'inganneranno a partito. Montevideo non è soltanto una città,
è un simbolo; non è solo un popolo, è una speranza; è il simbolo
dell'ordine, è la speranza della civiltà. Caduta Montevideo, ultimo
asilo dell'umanità nell'America meridionale, un potere antisociale
stenderà la sua ombra dalla vetta delle Ande alle rive dell'Amazzoni,
distruggendo per lungo tempo, se non eternamente, l'opera di Colombo
fecondata per quattro secoli dall'incubazione europea. Gli uomini che,
sotto Rosas, seminano sui loro passi la distruzione, e apportano la
barbarie, sono il simbolo di quegli Indiani, che, impugnata la lancia,
respingevano dalle sponde dell'America coloro che dal vecchio mondo
portavano loro la luce dell'Oriente; coloro che dietro le smantellate
mura di Montevideo pugnano contro Rosas, sono invece i rappresentanti
delle idee di umanità e civilizzazione che il soffio europeo fè
germogliare nel Nuovo-Mondo.


FINE



NOTE

[Footnote 1: _Miguelete_. — Ruscello che scorre due leghe distante da
Montevideo le cui rive sono sparse di amene case di campagna.]

[Footnote 2: _Aguada_. — Spiaggia di mare ove poco distante sorgono
alcuni casolari che ad una certa lontananza sembrano un piccolo paese.]

[Footnote 3: _Charruas_. — Sono una razza d'indiani che vivevano
anticamente nella campagna orientale.]

[Footnote 4: _Gauchos_ si chiamano i nati alla campagna, cui solo
mestiere è l'aver cura degli animali sparsi pei campi. Talvolta si
appropria anche questo nome ad una persona rozza ed incolta.]

[Footnote 5: _Il lazo_, di cui si serve il _gaucho_ per prendere gli
animali, è formato di lunghe liste di cuoio intortigliate a modo di
fune. II _gaucho_ montato sul suo cavallo prende di mira una bestia
qualunque, sia toro, sia cavallo, la insegue colla maggior velocità,
slancia così correndo il suo laccio e fa cadere a terra l'animale, che
resta preso o per le gambe o per la testa. Tale è la destrezza che ha
il _gaucho_ nel gettare il laccio, che raro è non colga nel segno.
Talvolta poi si serve d'un altro ordigno chiamato _Bolas_, formalo
questo d'una lunga corda di cuoio che sulla cima si divide poi in tre
capi, della lunghezza ciascuno di circa tre palmi. All'estremità d'ogni
capo vi è attaccata una _bola_, ossia pallottola di legno, fasciata di
cuoio. Le _bolas_ colpiscono anche a maggiore distanza del _lazo_ ed
in mano dei _gauchos_ sono un'arma potentissima. Il famoso general Paz,
di cui si parla nel presente libro, con le _bolas_ venne rovesciato da
cavallo da un _gaucho_ e fatto quindi prigioniero.]

[Footnote 6: I _gauchos_ portano per calzoni una specie di mutande di
tela, che si chiamano _calzoncillos_.]

[Footnote 7: _Chíripa_ è quel fazzoletto che i _gauchos_ si legano alla
cintura a mo' di grembiale.]

[Footnote 8: Quel cordone per lo più di seta nera, che serve ad
assicurare il cappello sotto il mento, si chiama _barbijo_.]

[Footnote 9: _Estancia_ si dice quell'area di terreno in cui i
proprietarii tengono i loro bestiami. Alcune di queste stanze
contengono più di centomila animali.]

[Footnote 10: _Pampas_ si chiamano quei popoli ancora oggigiorno
incolti, che abitano la campagna di Buenos-Ayres.]

[Footnote 11: _Fray Bigiia_, _Fray Chajà ecc_. — Questi sono nomi
proprii di volatili di America; quelli di _Lechusa_ e _Biscacha_
corrispondono ai nostri di Civetta e Becaccia.]

[Footnote 12: Le donne argentine sono obbligate dal dittatore Rosas a
portare in testa un nastro di color rosso detto _Mono_ per distintivo
federale, e guai a quella che tralasciasse di metterselo, essa verrebbe
bastonata in pubblica strada. Agli uomini poi è prescritto un nastro
pure di color rosso con il ritratto di Rosas, col motto: _vivan los
federales; mueran los selvages unitarios_ — _Rosas o Muerte_. Tale
nastro lo portano all'occhiello della _chaqueta_ (giacchetta), foggia
di vestito prescritto dal dittatore indistintamente per tutte le classi
di persone.]

[Footnote 13: Ecco a questo proposito che cosa dice di GARIBALDI il
generale Pacheco: _Le géneral_ GARIBALDI _placé a Montevideo à la tête
d'une legion_ QUI N'A JAMAIS REÇU UN SOU DU PAYS QU'ELLE DEFENDAIT, _a
été le soldat le plus subordonné, l'ami le plus prononcé de l'ordre et
le defenseur le plus ardent de la liberté; car c'est pour la liberté et
la civilisation que l'on combat à Montevideo_.]

[Footnote 14: Tutti gli stranieri fanno giustizia alla rigidezza dei
principii di GARIBALDI, Lord Howden, ministro inglese, inviato per la
pacificazione delle Repubbliche della Plata, nella tornata dei Pari
in Londra del mese di luglio 1849 pronunciava queste solenni parole:
«Il presidio di Montevideo era quasi per intero composto di Francesi e
d'Italiani, ed era comandato da un uomo cui son felice di poter rendere
testimonianza che _solo era disinteressato fra una folla d'individui
che non cercavano che il loro personale ingrandimento_. Intendo parlare
d'un uomo dotato di gran coraggio e di alto ingegno militare, che ha il
diritto alle nostre simpatie per gli avvenimenti straordinarii accaduti
in Italia, del generale GARIBALDI.]

[Footnote 15: _Diario de la tarde_. — Giornale della sera.]

[Footnote 16: _Maldonado_ è una delle città che si trovano nel
territorio della Repubblica Orientale, ed ha porto di mare come
Montevideo che ne è la capitale.]



Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
senza annotazione minimi errori tipografici.





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