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Title: Annali d'Italia, vol. 7 - dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750
Author: Muratori, Lodovico Antonio
Language: Italian
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                            ANNALI D'ITALIA

                     DAL PRINCIPIO DELL'ERA VOLGARE
                           SINO ALL'ANNO 1750


                              _COMPILATI_

                         DA L. ANTONIO MURATORI

                   E CONTINUATI SINO A' GIORNI NOSTRI


                        _Quinta Edizione Veneta_

                             VOLUME SETTIMO


                DALL'I. R. PRIVILEGIATO STAB. NAZIONALE
                       DI GIUSEPPE ANTONELLI ED.

                                  1846



ANNALI D'ITALIA

DALL'ANNO 1501 FINO AL 1750



    Anno di CRISTO MDCLXXV. Indiz. XIII.

    CLEMENTE X papa 6.
    LEOPOLDO imperadore 18.


L'anno fu questo del giubileo romano, aperto con gran solennità da
_papa Clemente X_, non avendo mancato il santo padre di contribuir
molte limosine in alimento de' poveri pellegrini, di lavar loro
i piedi e di regalarli. Più ancora avrebbe desiderato di fare, se
la nemica podagra non l'avesse per lo più sequestrato in letto. Il
concorso de' popoli non fu molto, perchè in troppi paesi bolliva
la guerra, ed era in certa maniera cessata da gran tempo la novità
di quella santa funzione. Gran tempo ancora continuò in Roma il
dibattimento della controversia insorta fra il _cardinale Altieri_
e gli ambasciatori delle corone, per l'editto pubblicato intorno
alla nuova imposta della dogana. Ma finalmente nel luglio dell'anno
presente, coll'interposizione del _cardinale Colonna_, ebbe fine, con
aver dichiarato esso Altieri, non essere mai stata sua intenzione di
comprendere in quell'editto i ministri delle corone, e che il papa
farebbe sapere ai lor padroni che non era mai stata diversa la mente
sua, con altri ripieghi di rispetto verso gli ambasciatori suddetti.
La politica del mondo coll'empiastro delle bugie suol bene spesso
sanar le piaghe. Si potea sulle prime terminar questa battaglia colla
confessione di ciò che, detto colle labbra, ma non col cuore, sì tardi
venne alla luce. Un grave sconcerto accadde nell'anno presente in
Toscana. A _Cosimo III gran duca_ avea la gran duchessa _Margherita
Luigia d'Orleans_ partoriti due principi, cioè _Ferdinando_ primogenito
e _Gian-Gastone_, ed una principessa, cioè _Anna Maria Luigia_,
che fu col tempo elettrice palatina. Fra questi due nobilissimi
consorti sorsero dissensioni ed amarezze tali, che passarono ad una
irreconciliabil divisione. Comunemente si credette che la vedova gran
duchessa madre del duca, cioè _Vittoria dalla Rovere_, non approvasse
la libertà franzese della nuora, e movesse il figlio a far delle
doglianze. Savio principe sempre fu il gran duca Cosimo. Disgustata
ritirossi la giovine gran duchessa in una casa di campagna con animo
risoluto di tornarsene in Francia; ma fu ivi fermata e custodita dalle
guardie postevi da esso gran duca, il quale non lasciò d'interporre,
quanti mai seppe, ambasciatori e cardinali per rimuoverla da questo
disegno, e persuaderle la riunione; ma senza che riuscisse ad alcuno di
far breccia nel suo cuore.

Andarono le ragioni dell'una e dell'altra parte a Parigi; e il re,
a cui non piaceva di disgustare un sovrano di tanto riguardo, e nè
pur voleva abbandonare una principessa sua cugina, spedì a Firenze il
_vescovo di Marsiglia_, sperando che alla di lui eloquenza e destrezza,
sostenuta dal carattere di suo inviato, potesse riuscire di riconciliar
gli animi loro. Ma questo prelato perdè la carta del navigare in tutto
il suo negozio, trovandosi più che mai ostinata nel suo proponimento
la gran duchessa. Sì fatte durezze cagion furono che il marito
anch'egli concepì una gran ripugnanza a riunirsi con chi ne mostrava
tanta verso di lui; e però venne alla risoluzione di lasciarla andare
con un convenevole, cioè ricco annuo assegnamento. Ma prima restò
concertato col re Cristianissimo, di consenso di lei medesima, che essa
in Francia si eleggerebbe un chiostro per passarvi il resto de' suoi
giorni, senza poter comparire alla corte. Sul fine dunque di giugno,
servita da tre galee, arrivò questa principessa a Marsiglia, portando
in Francia una rara bellezza e insieme una egual saviezza; passò dipoi
a chiudersi senza rigorosa clausura nel monistero di Montmartre, dove
il re e tutta la famiglia reale furono a visitarla. Questo divorzio
fece poi scatenare le lingue e penne maligne degl'interpreti delle
azioni altrui, imputandone chi all'una e chi all'altra parte il reato,
con vitupero di principi tanto sublimi. La verità si è, che tanto essi
principi che i mediatori della pace usarono la prudenza di non rivelar
questo arcano; e se lo penetrarono i Fiorentini pratici di quella
corte, seppero anche tirarvi sopra la cortina sì in riguardo alla
carità, che pel rispetto dovuto ai proprii sovrani. Certo è altresì
che mai più non si trovò maniera di riunirli: disgrazia memorabile
per l'insigne famiglia de Medici, che forse non sarebbe venuta meno
ai nostri giorni, se quella sì giovine e feconda principessa avesse
continuata la buona armonia col consorte, e prodotti altri figli atti a
supplire la poca fortuna dei primi.

Sul fine del gennaio dell'anno presente terminò il suo vivere, dopo
essere giunto a più di novant'anni, _Domenico Contarino_ doge di
Venezia, a cui succedette nel dì 6 di febbraio _Niccolò Sagredo_
procurator di San Marco. Similmente ebbe Torino di che piangere per
l'immatura morte di _Carlo Emmanuele II duca_ di Savoia, succeduta nel
dì 12 di giugno e da lui abbracciata con sentimenti di vera pietà e
di generosa costanza. Siccome egli avea sempre studiate le maniere di
farsi amar dai suoi popoli, praticando con tutti una somma affabilità e
cortesia, e una gran gentilezza verso le dame, onorandole del braccio,
e mostrandosi liberale, splendido e generoso in ogni sua azione; così
allorchè fu agli estremi della vita, volle che si aprissero le porte,
acciocchè il suo popolo potesse anche veder lui morire, ed egli godere
que' pochi momenti di vita della vista dei suoi cari sudditi. Oltre una
lunga memoria delle sue molte virtù, ne lasciò egli non poche altre,
per aver cotanto ingrandita ed abbellita la città di Torino, formata
di Monmelliano una inespugnabil fortezza, fabbricati ponti, rotte e
spianate montagne per far passar le carrozze, dove con difficoltà prima
passavano gli uomini. A lui succedette in età pupillare il principe
di Piemonte, cioè _Vittorio Amedeo_, unico suo figlio, che non aveva
peranche compiuto l'anno nono di sua vita, sotto la tutela e reggenza
di madama reale _Giovanna Maria Batista_ di Nemours, sua madre:
principe nato per esaltare la sua real casa ai primi onori, siccome
vedremo andando innanzi. Noi lasciammo la ribellata città di Messina
in gravi angustie sì per la mancanza dei viveri, perchè molto vi
volea a sostener tanto popolo, e sì perchè gli Spagnuoli maggiormente
stringevano quella città, con aver presa la torre del Faro, il Piè di
Grotta ed altri passi, dove attesero a ben fortificarsi. Ma eccoti
arrivar colà, nel dì 5 di gennaio, spediti dalla corte di Francia,
i _marchesi di Valavoir_ e di _Valbella_ con diecinove vascelli, che
sbarcarono molte milizie e copiosa provvisione di vettovaglie, così
che rimasero assai consolati quegli afflitti cittadini. Pure poco
giovò questo soccorso, perchè gli Spagnuoli non solamente andavano di
mano in mano accrescendo le lor forze per terra, ma eziandio con venti
vascelli da guerra e diecisette galee tenevano bloccato il porto di
Messina, e tentarono anche un dì di bruciare i legni franzesi: il che
loro non venne fatto. Il non poter entrare viveri nè per terra nè per
mare ridusse di nuovo in miseria quel popolo, ostinato nondimeno in
rifiutare il perdono esibitogli, non perchè nol desiderasse, ma perchè
temeva di avere a pagarlo troppo caro.

In rinforzo d'essa città giunse, nel dì 11 di febbraio, spedito da
Tolone, il _duca di Vivona_, conducendo anch'egli nove vascelli da
guerra, una fregata leggiera, tre brulotti e otto barche cariche di
viveri. Stava ancorata la flotta spagnuola, ed appena scoprì i legni
nemici, che salpò, e a vele gonfie andò a far loro il chi va là.
Attaccossi una battaglia che durò più ore; e già rinculavano i Franzesi
come inferiori di forze, quando il signor di Valbella, avvisato di quel
combattimento, uscì del porto di Messina con sei vascelli da guerra,
e diede alle spalle degli Spagnuoli. Ripigliato allora coraggio i
Franzesi, ricominciarono una fiera danza con tal successo, che gli
Spagnuoli con buon ordine si ritirarono fino a Napoli, lasciando
nondimeno in poter de' nemici un vascello di quaranta cannoni. Per lo
arrivo di questo aiuto gran festa si fece a Messina, tuttochè fosse
un piccolo bicchier d'acqua a chi avea tanta sete. Intanto tre mila
e cinquecento Tedeschi, ai quali aveano i Veneziani difficultato il
passaggio per l'Adriatico, pervenuti a Pescara, di là passarono con
secento altri fanti napoletani a rinforzare il campo che tenea bloccata
Messina. Ma sul principio di giugno anche agli assediati arrivò un
altro numeroso convoglio di più di cento vele, vegnente da Tolone,
sotto il comando del signore d'Almeras e del cavaliere di Quene, che
sbarcò sei mila fanti e mille cavalli con ogni sorta di munizioni.
Avendo poi questa gente tentato di levar la Scaletta e un altro posto
agli Spagnuoli, ed essendo anche passata ad assalir Melazzo, dove si
trovava in persona il vicerè, altro non ne riportò che delle buone
spelazzate. Pure s'impadronirono della città d'Augusta, e andarono
poi pel resto dell'anno facendo altre picciole fazioni, che non
importa riferire, se non che tornarono gli Spagnuoli ad impossessarsi
della torre del Faro, e per una tempesta perderono sette de' loro
vascelli. Intanto fra i Messinesi e Franzesi cominciò a scorgersi poca
intelligenza: il che accrebbe agli Spagnuoli la speranza di vincere
in breve quella pugna. Gran guerra fu in quest'anno in Germania e
Fiandra fra i collegati dall'una parte e i Franzesi dall'altra. Non
mancarono assedii, battaglie e barbarici saccheggi di paese. Il celebre
maresciallo di Francia _Arrigo della Torre d'Auvergne, visconte di
Turrena_, colpito da una palla di cannone, vi lasciò la vita nel dì
27 di luglio, essendo mancato in lui uno dei più insigni capitani
del secolo presente. _Carlo IV duca_ di Lorena, ma duca solo di nome,
perchè in mano de' Franzesi era il suo ducato, s'acquistò anch'egli
gran nome colla presa di Treveri, facendo quivi prigione il maresciallo
franzese _duca di Crequì_; ma poco sopravvisse egli a questa gloria,
essendo mancato di vita nel dì 17 di settembre. Ne' suoi diritti e
titoli succedette _Carlo V_ suo nipote, che col suo valore maggiormente
illustrò la nobilissima sua casa.



    Anno di CRISTO MDCLXXVI. Indiz. XIV.

    INNOCENZO XI papa 1.
    LEOPOLDO imperadore 19.


Non potè più lungamente reggere al peso degli anni e agl'insulti della
gotta _papa Clemente X_, ed infermatosi in età di più di ottantasei
anni, passò a miglior vita nel dì 22 di luglio dell'anno presente.
Di pochi furono le lagrime che accompagnarono il di lui funerale,
non già perchè alcuna delle virtù principali che illustrano la vita
e la memoria d'un romano pontefice, in lui si desiderasse, perchè
fu papa di bella mente, di gran pietà, di giustizia e clemenza; ma
perchè l'odio, che col suo governo universalmente si avea guadagnato
il _cardinal Paluzzo Altieri_, ridondava sopra l'innocente papa,
pieno sol di massime buone. Chi avea la fortuna di poter parlare a
sua santità, se le cose erano fattibili, potea sperar buon rescritto;
altrimenti ne riportava un bel no; ma il cardinale godeva il concetto
di esser di coloro che alla prima udienza con una sparata di carezze
e promesse incantano le persone, ma ritornando queste alla seconda
udienza, truovano nate delle difficoltà; alla terza poi nè pur son
conosciute per quelle che sono. Però dicevasi, e spezialmente lo
dicevano i Franzesi disgustati di lui, ch'esso porporato avrebbe potuto
tenere scuola aperta di artifizii e raggiri in Roma stessa, la qual
pure vien creduta assai addottrinata in questo mestiere. Ma quel che
più avea contro di lui aguzzata la satira, fu l'invidia, per aver
egli saputo profittar della fortuna ed autorità sua, con accumular
ricchezze, ed ingrandire la propria casa, tuttochè poi non si potessero
imputare a lui di quelle scandalose licenze che si videro in qualche
precedente nepotismo. Ora entrati i porporati nel sacro conclave,
dappoichè ebbero per cinquantun giorni consumata la quintessenza dei
lor politici maneggi per promuovere al trono pontifizio chi lor più
piaceva, finalmente, mossi da lume superiore, concorsero tutti nel
dì 21 di settembre all'elezione di chi sopra gli altri meritava, ma
non avea mai desiderato di maneggiar le chiavi di Pietro. Questi fu
il _cardinal Benedetto Odescalchi_ Comasco, nato nel 1611, che nel
precedente conclave era anche stato vicino al triregno, perchè voluto
da tutti i buoni, e fece poi in questa occasione quanta resistenza mai
potè, non per affettata modestia, ma per umiltà, alla santa risoluzione
de' sacri elettori. Prese egli il nome di _Innocenzo XI_ in memoria
d'_Innocenzo X_ che l'avea promosso alla sacra porpora. Non si può dir
quanto applauso conseguisse così fatta elezione, perchè l'Odescalchi
portò seco al trono la santità, e ne possedè molto più da lì innanzi
la sostanza che il titolo: personaggio di vita illibata ed austera,
di somma gravità e zelo pel ben della Chiesa; prodigo, se si può dire,
verso dei poveri, secondo il costume di sua casa, abbondante di ricco
patrimonio, e limosiniere al maggior segno. Nè tardò il buon pontefice
e buon servo di Dio a comprovar co' fatti l'espettazion comune
delle sue singolari virtù. Sotto i precedenti pontificati aveva egli
adocchiato tutti i disordini procedenti dal nepotismo, e con quanta
facilità si divorassero le sostanze della camera apostolica, e come
avesse tanta potenza il danaro. Volle provvedervi, e l'intenzione sua
era di metter freno in avvenire a tali eccessi con una bolla che fosse
sottoscritta dal sacro collegio, e giurata sotto pena di scomunica da
chiunque s'avesse da promuovere al cardinalato e al pontificato. Ma
viveano ed aveano gran polso alcuni de' nipoti degli antecedenti papi,
che fecero testa, parendo loro di sottoscrivere una sentenza contra
di loro stessi, qualora sottoscrivessero la condanna del nepotismo per
l'avvenire.

Giacchè dunque non potè il santo pontefice ottener questo intento,
coll'esempio suo almeno si studiò di abolire il pernicioso costume.
Non avea il suo predecessore _Clemente X_ nipoti proprii, e andò a
cercarne degli stranieri. _Innocenzo XI_, all'incontro, avea un nipote
di fratello, cioè _don Livio Odescalchi_; ma nol volle a palazzo, nè
ch'egli avesse parte alcuna nel governo, nè che ricevesse visite come
nipote di papa. Ed affinchè non restasse a lui di che dolersi per tanta
severità, gli rassegnò tutti i suoi beni patrimoniali, che co' proprii
d'esso nipote davano una rendita annua di trenta mila scudi, dicendo
che questo gli bastava per trattarsi da principe, senza participar
delle rugiade del pontificato. Coerentemente a questo glorioso sistema
elesse per segretario di Stato il _cardinale Alderano Cibò_, porporato
di somma integrità, di prudenza singolare e di zelo non inferiore a chi
l'elesse a tal carica. Lasciò ai Paluzzi Altieri e ad altri la pompa
de' titoli del generalato e d'altre cariche militari, ma con levar
loro gl'ingordi stipendii che per essi pagava la camera pontificia,
con dire che la Chiesa non avea guerra, nè voglia di farla, ed essere
perciò mal impiegate tante paghe. Riformò la tavola pontificia, e al
servigio suo non ammise se non persone di gran probità e modestia,
affinchè la famiglia sua servisse di una continua predica agli altri
di quel che conveniva a fare. Allo ambasciatore di un monarca, che gli
disse di avere il suo padrone ricevuta sotto la sua protezione la casa
Odescalchi, rispose: Ch'egli non avea casa nè letto, e che teneva in
prestito da Dio quella dignità per bene non già de' suoi parenti, ma
solamente della Chiesa e de' suoi popoli. E perciocchè gravissimi abusi
erano succeduti in addietro a cagion delle franchigie, pretese da'
ministri de' principi in Roma per l'asilo che in esse trovavano tutti i
malviventi, e per li contrabbandi che tuttodì si facevano, intimò loro
di rimediarvi; altrimenti, giacchè Dio l'avea messo in quel governo
con obbligo di vegliare alla quiete della città e al pubblico bene, vi
avrebbe egli trovato il rimedio. Tosto ancora spedì a tutti i principi
cristiani lettere esortatorie alla pace, esibendosi pronto ad andare
in persona ad un congresso, se fosse necessario, purchè si tenesse
in qualche città cattolica, a fin di procurare un tanto bene. Per lo
contrario, esortò il re di Polonia _Giovanni Sobieschi_ a sostener
la guerra contro de' Turchi, finchè avesse ricuperato dalle lor mani
Caminietz, e gl'inviò nello stesso tempo un sussidio di cinquanta mila
scudi. Con questi passi diede principio l'incomparabile Innocenzo XI
alla carriera del suo pontificato, continuamente pensando alla riforma
degli abusi, al sollievo de' suoi popoli e al bene della cristianità.
Qui perdè la voce Pasquino; e se internamente si lagnavano i cattivi
di sì rigoroso ad austero papa, ne esultavano ben pubblicamente tutti i
buoni.

Gran teatro di guerra fu in questo anno la Sicilia. Dacchè si avvide la
corte di Spagna che con tutti gli sforzi suoi apparenza non v'era di
snidar da Messina i Franzesi, e di rimettere alla primiera ubbidienza
quella città, fece ricorso alla collegata Olanda, per aver dei soccorsi
e forze tali da abbattere la flotta franzese, che ne' mari di Sicilia
mantenea la ribellion de' Messinesi. Fu dunque spedita una flotta
olandese composta di ventiquattro vascelli da guerra sotto il comando
del viceammiraglio _Ruyter_, il cui solo nome valeva un'armata per
le tante segnalate sue azioni in combattimenti navali. Giunsero gli
Olandesi sul fine del precedente anno a Melazzo, e, congiunti con nove
galee ed altri legni spagnuoli, andavano rondando per qualche impresa;
quando in quei mari capitò sciolta da Tolone e Marsiglia la flotta
franzese comandata dai _signor di Quene_, in numero di venti navi da
guerra e sei brulotti. Vennero alle mani presso di Stromboli, nel dì
7 di gennaio, le due nemiche armate; gran cannonamento, gran danno
seguì da ambe le parti. Dopo molte ore di fiera battaglia cessarono le
offese, con ritirarsi gli Olandesi a Melazzo, ed entrare i Franzesi nel
porto di Messina, dove sbarcarono le munizioni da bocca e da guerra
che seco aveano condotto. Seguì poscia una ben calda mischia nel dì
28 di marzo fra gli Spagnuoli e Franzesi uniti coi Messinesi; perchè
avendo i primi occupato il monistero di San Basilio fuor di Messina,
il _marchese di Vilavoir_ con sei mila armati andò ad assalirli.
Non solamente perderono gli Spagnuoli quel posto, ma ancora più di
ottocento dei lor soldati col conte di Buquoy, che li comandava. Già
dicemmo che nell'agosto dell'anno precedente s'erano impadroniti i
Franzesi della città di Augusta e delle sue fortezze. Al vicerè di
Sicilia stava sul cuore la perdita di quella città, e però nell'aprile
passò colà per tentare di riacquistarla, e pregò l'ammiraglio olandese
Ruyter di secondar l'impresa per mare, siccome egli fece spiegando le
vele a quella volta colla sua flotta. Colà comparve ancora il signor
di Quene comandante della dotta franzese, e nel dì 22 di aprile si
attaccò di nuovo fra loro un'aspra battaglia che durò più ore con
gravissimo danno dell'una e dell'altra parte, e con restar conquassati
i lor legni, ed esserne alcun d'essi affondato. Ognuno si attribuì la
vittoria, secondo il solito dei combattimenti dubbiosi, e massimamente
del mare, dove non è facile il conoscere l'altrui danno. Ma se non
altro, un grave colpo toccò agli Olandesi, perchè il loro famoso
Ruyter vi restò malamente ferito, e da lì a pochi giorni terminò la
vita in Siracusa, dove s'era ritirata la sua flotta, che poi passò a
racconciarsi a Palermo.

Ma qui non finì la voglia di combattere. Nel dì 21 di giugno
pervennero a Messina venticinque galee, partite da Marsiglia con
tre vascelli da guerra. Ingagliardito da questo soccorso il _duca di
Vivona_, viceammiraglio franzese, determinò di fare una visita senza
complimenti all'armata navale olandese e spagnuola che riposava nel
porlo di Palermo. Ventotto vascelli, venticinque galee e nove brulotti
componevano la di lui armata. Contavansi in quella degli Olandesi e
Spagnuoli ventisette vascelli e diecinove galee con quattro brulotti.
Nel dì 2 di giugno s'azzuffarono le nemiche flotte; le artiglierie,
ma spezialmente i brulotti, portarono un grande squarcio nella flotta
degli Spagnuoli, che vi perderono almen sette vascelli e due galee,
colla morte di gran gente, per confession degli stessi Olandesi. Ma,
secondo la relazion de' Franzesi, la perdita degli Olandesi e Spagnuoli
fu di dodici de' lor migliori vascelli, di sei galee, di settecento
pezzi di cannone e di cinque mila persone. In gran credito salirono
per questi conflitti i Franzesi, avendo fatto conoscere che non erano
invincibili gli Olandesi, tenuti in addietro per sì formidabili in
mare. E certamente di simili danze non ne vollero più essi Olandesi nel
Mediterraneo, e se ne ritornarono poscia a casa loro. Essendo dunque
rimasti i Franzesi padroni del mare in queste parti, ed avendo ricevuto
da Tolone nel settembre un rinforzo di tre mila uomini, e nell'ottobre
altri mille e cinquecento fanti e cinquecento cavalli, fecero in
appresso delle incursioni in Calabria; nella Sicilia s'impadronirono
dell'importante piazza di Taormina colla spada alla mano; presero la
Scaletta e la demolirono, e si impossessarono di alcuni piccoli luoghi
di quell'isola. Ancorchè mi faccia restare perplesso l'asserzione del
veneto elegante storico Giovanni Graziani, che riferisce al precedente
anno la morte di _Niccolò Sagredo_ doge di Venezia; pure, seguitando
io il Vianoli ed altre memorie, non crederei d'ingannarmi, con dirla
accaduta verso la metà d'agosto nell'anno presente. Un avvenimento poi
insolito, o almeno da gran tempo non veduto in quella sì ben regolata
repubblica, diede molto da discorrere alla gente. Secondo i riti
dell'ingegnoso ballottamento che si pratica per l'elezione dei dogi,
era caduta la sorte in _Giovanni Sagredo_, personaggio certamente degno
di quella dignità. Ma allorchè fu annunziato dal balcone il suo nome al
folto popolo, raunato nella piazza, cominciarono pochi dell'infinita
plebe a gridar con alte voci: _Nol volemo_; e crebbe appresso a
dismisura questo tumulto. Allora i saggi nel gran consiglio giudicarono
meglio non approvar la elezione del Sagredo, a cui per ricompensa
conferirono poscia altri dei principali onori della patria, ed elessero
doge Luigi Contarino. Seguitò ancora in questo anno l'ostinata guerra
della Francia contra de' collegati, le cui principali imprese furono
la presa di Filisburgo fatta dal _duca di Lorena_, e l'assedio di
Mastrich formato da _Guglielmo principe di Oranges_, ma con poca
riuscita, avendolo costretto i Franzesi a ritirarsi. Intanto era stata
destinata Nimega per trattarvi di pace colla mediazione di _Carlo II
re_ d'Inghilterra. Benchè si trattasse d'una città sottoposta agli
eretici, pure tale era la premura del pontefice per questo gran bene,
che s'indusse ad inviar colà _monsignor Bevilacqua_, per dar braccio
e calore alla concordia, per cui nondimeno s'impiegarono invano parole
e ripieghi nell'anno presente: sì alte erano le pretensioni d'ambe le
parti.



    Anno di CRISTO MDCLXXVII. Indiz. XV.

    INNOCENZO XI papa 2.
    LEOPOLDO imperadore 20.


Non rallentava i suoi pensieri lo zelante _pontefice Innocenzo XI_ per
mettere in istato l'alma città di Roma da poter servire d'esempio alle
altre nella riforma de' costumi. Sopra tutto mirava egli di mal occhio
il soverchio lusso, padre o fomentatore di molti vizii e divorator
delle famiglie. Dopo aver preceduto colla moderazione introdotta nel
proprio palazzo, dove era cessata la pompa e introdotta la modestia,
nè si ammetteva se non chi portava la raccomandazione della probità
di costumi, cassò anche una parte della guardia de' cavalli leggeri,
perchè accresciuta senza necessità e mantenuta con troppa spesa. Poscia
in concistoro fece un sensato discorso, riprendendo i cardinali, che
parendo dimentichi di essere persone ecclesiastiche, e personaggi
posti sul candelliere per dar luce agli altri, usavano sì superbe
carrozze e livree cotanto sfoggiate, raccomandando loro di regolarsi
più modestamente in avvenire. Non mancavano a lui persone che di mano
in mano il ragguagliavano di chi spezialmente della nobiltà menava
vita dissoluta. A questi tali era immediatamente intimato lo sfratto,
acciocchè il loro libertinaggio non animasse altri all'imitazione, o
non servisse agli scorretti di scusa. Furono in oltre vietati tutti
i giuochi illeciti, e le bische o case dove si tenevano assemblee
scandalose di giuochi da invito. E perciocchè pel suddetto lusso i
baroni romani, non volendo gli uni essere da meno degli altri, quanta
facilità mostravano a far dei debiti, altrettanta difficoltà provavano
a pagarli, con grandi sciami dei mercatanti e creditori; ne ordinò il
santo padre al _cardinale Cibò_ una esatta ricerca, e di fargli pagare
con danari della camera, la qual poscia avea delle buone maniere per
esigere quei crediti. E perchè si trovò non essere sufficiente un
tal rimedio, continuando quei nobili a far delle spese eccessive e
debiti, che in progresso di tempo condurrebbono alla rovina le lor
case; con pubblico editto proibì ai bottegai, merciai, fornaci ed altri
negozianti di vendere ad essi robe senza il danaro contante sotto pena
di perdere i lor crediti. Erano poi in addietro giunte all'episcopato
persone non assai degne di così illustre e gelosa dignità. Per ovviare
a sì fatto abuso deputò il sommo pontefice quattro dei più zelanti
cardinali e quattro prelati, per esaminar la vita, i costumi e il
sapere di chi aspirasse al pastorale impiego in avvenire.

Quel nondimeno che teneva in non poca agitazione l'animo del saggio
pontefice, era la prepotenza de' ministri ed ambasciatori delle corone,
che in Roma da gran tempo tagliavano le gambe alla giustizia, ed
erano giunti sì oltre, che non solamente nei lor palazzi prestavano un
asilo più sicuro che quel dei luoghi sacri a gran copia di sgherri, dì
scellerati e malviventi; ma pretendeano eziandio che si stendessero
i lor privilegii ed esenzioni anche a qualsivoglia lor dipendente e
patentato, e a tutte le case adiacenti e vicine ai lor palazzi. Fece
di gran doglianze Innocenzo XI per questo alle varie corti, ma senza
frutto; nè volendo sofferire che coll'arrogarsi tanta autorità gli
stranieri ministri si scemasse ed avvilisse la propria, cominciò con
petto forte ad opporsi a sì fatto abuso. Fu il primo passo quello
di vietar con rigoroso editto che niuno potesse alzar sopra le sue
case o botteghe le armi di qualsivoglia monarca e principe secolare
ed ecclesiastico, protestando di voler egli essere il padrone e
l'amministratore della giustizia in Roma, come erano gli altri principi
in casa loro. A quella augusta città giunto il _marchese del Carpio_
ambasciatore del re Cattolico, quivi si diede a far leva di soldati
pel bisogno della Sicilia, col pretesto che altrettanto avessero fatto
i Franzesi. Ma perchè la gente ricusava di prendere partito, per la
fama che non correano le paghe, e perchè si dicea maltrattato chi
si arrolava; si sparse voce, per essere mancate varie persone, senza
sapersi dove fossero andate, che gli Spagnuoli le avessero rapite, e
poi segretamente inviate in Sicilia. Vera o falsa che fosse tal voce,
la plebe romana tal odio concepì contro la nazione spagnuola, che ne
facea scherni dappertutto, e ne seguirono non poche baruffe con delle
morti e ferite: perlochè non osavano più gli Spagnuoli di uscir dei lor
quartieri, o ne uscivano con pericolo. Ancorchè il papa si studiasse
col gastigo dei più colpevoli di far conoscere la rettitudine sua e il
suo rispetto alla corona cattolica, non rifiniva l'ambasciatore di far
ogni dì più gravi doglianze, e di chiedere maggiori soddisfazioni. Nè
gli bastò di desistere dal portarsi all'udienza del papa, ma fece anche
negare dal vicerè di Napoli l'udienza al nunzio apostolico. Cagion fu
questo affronto che dopo essersi accorto il ministro quanta poca forza
avessero le braverie contra di un pontefice, a cui la giustizia dava
coraggio, allorchè in fine per suoi affari fu costretto a chiedere
l'udienza dal pontefice, se la vedesse negata. Necessario dunque
fu che il re Cattolico con sua lettera pregasse il santo padre di
ammetterlo; e così terminò quella pendenza, con restarne maravigliato
più d'uno, avvezzo al mirare quanta altura mostrassero i ministri di
Spagna in Roma, e con qual riguardo procedesse verso di loro la corte
pontificia. Nè si dee tacere che questo santo pontefice non sapea
sofferire che nella sacra corte si vendessero gli uffizii, benchè non
ecclesiastici, perchè o ne risultava danno alla camera, obbligata a
pagare i frutti ai compratori, o poco onore ai papi, che per vendere ad
altri quei medesimi uffizii promovevano compratori talvolta non degni
a cariche più cospicue. Abolì egli dunque in quest'anno il collegio di
ventiquattro segretarii apostolici, con restituir loro il già pagato
danaro. Meditava anche di far cose più grandi, e a questo fine andò poi
raunando grosse somme. Ma sopravvenute col tempo le guerre col Turco,
che l'impoverirono, lasciò la cura di sì bella impresa ad un altro
Innocenzo, che era stato suo mastro di camera, e consapevole delle sue
nobili e sante idee.

Nella Sicilia in quest'anno durarono le ostilità, ma senza fatti che
meritino di passare a notizia dei posteri. Quantunque gli Spagnuoli
soli, rimasti alla difesa di quell'isola, si trovassero assai stanchi,
poca nondimeno era anche la forza dei Franzesi, ai quali scarsamente
vennero soccorsi da Tolone e Marsiglia. Ben si scorgeva non essere
intenzione de' Franzesi di voler fermare il piede in quell'isola,
loro unicamente premendo le terre annesse e confinanti col regno.
Terminò intanto i suoi giorni il _marchese di castel Rodrigo_ vicerè
di Sicilia, e in luogo di lui prese _pro interim_ quel governo il
_cardinale Portocarrero_. Varie prodezze all'incontro furono fatte
in Fiandra e in Germania, dove sommamente prosperarono l'armi del
re Cristianissimo. Riportarono i Franzesi una vittoria a Montcassel
contro il principe d'Oranges nel dì 11 di aprile. S'impadronirono di
Valenciennes, di Cambrai, di Sant'Omer, di Friburgo e di altri luoghi.
Solo contra di tanti collegati il _re Luigi XIV_ facea tremar tutti,
e sempre più andava stendendo i suoi confini. Seguitavano intanto
i ministri e i mediatori in Nimega a trattar di pace; ma perchè,
secondo il costume, ognun la volea a suo modo, niun l'otteneva.
Possenti erano gli uffizii di _papa Innocenzo XI_ per dar fine a tante
turbolenze, e sopra gli altri efficacemente vi si adoperava _Carlo
II_ re d'Inghilterra, il quale, chiarito oramai che le parole erano
bombe vote, si diede a fare un grande armamento che recasse più vigore
alla sua mediazione, minacciando chi ripugnava ad accettar le oneste
condizioni d'un accordo. Ma passò anche l'anno presente senza che i
popoli giugnessero a provar questo bene. Erasi nell'anno addietro,
portata _Laura duchessa_ vedova di Modena ad abitare in Roma, perchè
avendo il giovane _Francesco II_ duca suo figlio prese le redini del
governo, sembrava a lei di non trovar più in Modena le convenienze
sue. Con tante preghiere nondimeno la bersagliò il figlio duca, che
nell'anno presente ella se ne tornò a convivere con lui.



    Anno di CRISTO MDCLXXVIII. Indiz. I.

    INNOCENZO XI papa 3.
    LEOPOLDO imperadore 21.


Continuava il suo soggiorno in Roma la cattolica _regina di Svezia
Cristina_, con far divenire il suo palazzo un'accademia di tutti i
letterati. Ma non poteva ella più reggere al magnifico trattamento
suo fin qui mantenuto, perchè le guerre passate fra i re di Svezia
e Danimarca e l'elettore di Brandeburgo aveano portato non lieve
eccidio alle rendite ch'ella s'era riserbate nella Pomerania. Ebbe
ella ricorso al sommo pontefice, implorando il suo aiuto; nè indarno
l'implorò, perchè il santo padre le fece assegnare una pensione
annua di dodici mila scudi, da pagarsi alla medesima dalla camera
apostolica. L'anno fu questo in cui ebbe fine la ribellion di Messina,
e l'ebbe assai lagrimevole. Trattavasi, come già dicemmo, della
pace in Nimega. S'avvide il re Cristianissimo che gli era forza di
abbandonar la Sicilia: tante premure ne faceano gli Olandesi, non che
gli Spagnuoli. Però volendo risparmiare le tante spese che gli costava
il mantenimento di Messina, città che già s'avea da abbandonare, non
volle aspettare il tempo della pace, ed improvvisamente spedì ordine
al _maresciallo della Fogliada_, il quale era stato spedito colà con
richiamarne il _duca di Vivona_, che immediatamente con tutti i suoi
se ne tornasse in Francia. Dopo avere il maresciallo imbarcata quasi
tutta la sua gente col pretesto di voler fare un'impresa, portò questa
dolorosa nuova al senato, e rimise ai Messinesi le guardie di tutte
le fortezze. Indarno fu pregato di sospendere per un po' di tempo la
sua partenza. Rispose essere così pressanti gli ordini suoi, che gli
conveniva far vela in quel giorno, offerendo nondimeno di ricevere
nelle navi chiunque dei Messinesi volesse far partenza con lui.
Uscito ch'egli fu di quel luogo, furono molti di parere che bisognava
trucidar quanti Franzesi ivi erano, e voltare il cannone contro le lor
navi, e mandarle a fondo. Ma a sì bestial consiglio prevalse quello
dei timidi e saggi. Però ad altro non pensarono i nobili e popolari,
ch'erano stati più caldi nella ribellione, che di sottrarsi all'ira e
vendetta degli Spagnuoli, da loro riguardati come gente implacabile.
Che terribile scena, che compassionevole spettacolo fu mai quello! che
urli, che singhiozzi, che lagrime! Ben sette mila persone andarono per
imbarcarsi con somma fretta, perchè non più di quattro ore fu loro dato
di tempo. Chi lasciava moglie e figliuoli indietro, chi seco menava
la famiglia tutta, portando quel poco di meglio che poteva, ed altri
nulla prendendo: tanta era la loro ansietà d'imbarcarsi. Infatti due
mila, gridando invano misericordia, ne restarono in terra, perchè il
maresciallo, per timore di troppo carico fece sciogliere le vele, e se
ne andò.

Ciò fatto, quella città che prima avea da sessanta mila abitanti,
a ragion dei già morti nella difesa, o allora fuggitivi verso la
Francia, o precedentemente ricoveratisi altrove, ridotta a sole undici
mila persone, trovando sprovvedute di ogni munizion le fortezze, e sè
stessa impotente a poter resistere, spedì deputati al governator di
Reggio, pregandolo di venire a prenderne il possesso. V'andò egli, nè
molto stettero a giugnere colà da Melazzo i duchi di Bornonville e di
Conzano colle regie milizie, ai quali furono consegnate le fortezze.
Sopraggiunse dipoi anche il nuovo vicerè _don Vincenzo Gonzaga_,
che rallegrò l'infelice popolo con pubblicare un perdon generale
finchè venissero gli ordini della corte di Madrid. Vennero questi,
e pieni di fierezza. Cioè furono confiscati i beni di chiunque era
fuggito; privata d'ogni privilegio la città, distrutte case, piantate
memorie infami della ribellione; bandito chiunque avea cariche dai
Franzesi, con altri rigori che io tralascio: tali certamente che
quella illustre città per gran tempo rimase uno scheletro, nè mai
più ha potuto rimettere le penne, perchè circa trenta mila Messinesi
passati ad abitare in Palermo, e quivi abituati, non vollero più
mutar soggiorno. E tuttochè la benignità del regnante ora _Carlo re_
di Sicilia, compassionando lo stato di sì bella città, abbia slargata
la mano in beneficarla, difficil cosa è che mai torni al suo antico
splendore, e massimamente dacchè è rimasta affatto spopolata di
nuovo per l'ultima peste. Ora non si può dire in quante ingiurie e
villanie prorompessero i Messinesi contro la nazion franzese e contra
del _re Luigi XIV_, chiamandolo dappertutto ad alte voci un principe
senza fede, un traditore, un mostro d'inganni, e che niun più in
avvenire avea da fidarsi di promesse franzesi, per aver egli lasciato
quel popolo in preda all'indiscrezione e vendetta degli Spagnuoli,
senza procurar loro, o almen permettere, che gli stessi Messinesi si
procacciassero prima qualche indulgenza e miglior condizione dal re
Cattolico. Nè ammettevano per legittima scusa il dirsi da' Franzesi,
avere i Messinesi fatto credere in Francia che dava loro l'animo di far
ribellare Palermo e tutto il regno; perchè somiglianti promesse sapea
ben valutare per quel che pesavano l'accorto gabinetto di Francia; nè
già esso si mosse per questo ad abbracciar la difesa di Messina, ma sì
bene per valersi di quel troppo credulo popolo a battere gli Spagnuoli,
finchè così portasse il proprio interesse.

Qual poi fosse il fine dei poveri Messinesi condotti in Francia,
eccolo. Furono dispersi per varie città, e mantenuti per un anno e
mezzo alle spese del re; poscia obbligati sotto pena della vita ad
uscire di quel regno con tanto danaro da far viaggio fino ai confini.
Laonde si ridussero anche persone nobili a mendicare il vitto;
altri divennero banditi, cioè assassini di strada; e circa mille
e cinquecento dei più disperati passarono in Turchia, e rinegarono
la fede: Più di cinquecento altri con passaporti degli ambasciatori
spagnuoli se ne ritornarono alla patria, credendosi ben in sella; ma,
a riserva di quattro, gli altri dal vicerè _marchese de las Navas_
furono condannati alla forca od al remo. Se poi fosse più lodevole
ed utile sì gran rigore, oppure qualche misura di clemenza verso un
popolo che s'era punito da sè stesso, lo deciderà chi ha più senno
di me. Erano tuttavia in piedi i trattati di pace nel congresso di
Nimega, quando il _re Luigi XIV_, per migliorar le sue condizioni,
andò nel furore del verno a impadronirsi di Gante e d'Ipri. Poi si
diede a maneggiar con tante arti gli spiriti olandesi, adescandoli
specialmente colla restituzione dell'importante piazza di Mastrich, e
con altri vantaggi che li ridusse a far seco una pace particolare, la
quale fu stipulata nel dì 10 di agosto. Curiosa cosa fu il vedere che
_Guglielmo principe d'Oranges_ fingendo di nulla saper di quella pace,
o sapendolo, per altri suoi motivi andò all'improvviso ad assalire
l'armata franzese comandata dal _duca di Lucemburgo_, che allora
assediava la città di Mons. Restò indecisa la vittoria; ma gran sangue
costò all'una parte e all'altra il combattimento. Allora fu che gli
Spagnuoli furono forzati a dar mano alla pace, riuscita ben diversa
dalle precedenti lor lusinghiere speranze; perciocchè in mano del re
Cristianissimo restarono la Franca Contea, Valenciennes, Bouchain,
Condè, Ipri, Santo Omer, Cambrai ed altri luoghi. Le altre terre
conquistate tornarono alla Spagna. Fu sottoscritta questa pace nel dì
17 di settembre in Nimega; e se riuscisse disgustosa agli Spagnuoli,
non occorre a me di dirlo. Non si pose per questo fine alla guerra
dell'imperadore e di altri collegati contro la Francia; ma dappoichè
era riuscito ai Franzesi di staccar dalla lega Olandesi e Spagnuoli,
eglino maggiormente alzarono la testa, e non poco si pensò ad ottenere
una sospension d'armi, tanto che si trovasse maniera di condurre anche
questi altri ad una intera pace.



    Anno di CRISTO MDCLXXIX. Indizione II.

    INNOCENZO XI papa 4.
    LEOPOLDO imperadore 22.


Trionfò maggiormente in quest'anno _Luigi XIV re_ Cristianissimo con
dar la pace al resto de' principi già confederati contra di lui, e con
darla da vincitore, cioè colle condizioni che a lui piacquero, e che
gli altri furono necessitati ad accettare; giacchè scorgevano mancar
loro la forze per continuar la guerra soli contra di un re a cui tutta
la dianzi gran lega non avea potuto resistere. Però l'_imperadore
Leopoldo_ nel dì 5 di febbraio per mezzo de' suoi plenipotenziarii in
Nimega stabilì pace con esso re di Francia, cedendo a lui Friburgo,
e ritenendo in suo potere Filisburgo. Sì dura legge fu ivi prescritta
a _Carlo duca_ di Lorena, tuttochè marito della fu regina di Polonia,
sorella d'esso Augusto, ch'egli amò meglio di nulla ottenere per essa
pace, che di far qualche guadagno con approvarla. Di grandi proteste
furono anche fatte contra d'essa pace da altri sovrani, delle quali
si può credere che ridesse il re di Francia. Seguirono poscia altre
pacificazioni fra esso re Cristianissimo e il _vescovo di Munster_;
fra la corona di Svezia ed esso re di Francia dall'una parte, e il re
di Danimarca e l'elettore di Brandeburgo dall'altra, avendo la potenza
della corte gallica talmente sostenuto gl'interessi dello Svezzese suo
alleato, che gli fece restituire quanti Stati gli erano stati occupati
da' suoi avversarii. In somma non d'altro si trattò in questi tempi
che di posar l'armi, e di far fiorire dappertutto dopo tanti flagelli
d'una pertinace guerra, la sospirata pace. Ma una sorda guerra intanto
si esercitava in Inghilterra contra de' cattolici per una pretesa
cospirazione che da quegli eretici e religionarii si attribuiva a chi
seguitava la credenza della Chiesa romana: tutte cabale per impedire
la succession di quel regno a _Jacopo Stuardo_ cattolico duca di
Yorch, dacchè il _re Carlo II_ suo fratello mancava di legittima
prole. Fu perciò consigliato esso duca di Yorch di ritirarsi fuori del
regno colla duchessa sua consorte _Maria Beatrice d'Este_, finchè si
calmasse la mossa persecuzione contra di loro. Vennero essi all'Haya, e
poscia a Brusselles, dove anche si portò la duchessa vedova di Modena,
_Laura_, per visitar la figlia, ed assisterla nel conflitto di quelle
tribolazioni. Fermossi dipoi essa duchessa di Modena in Brusselles fino
all'anno 1684, per essere più alla portata dei bisogni della suddetta
sua figlia.

Godeva intanto anche l'Italia un'invidiabil quiete, ed attendeva il
sommo pontefice _Innocenzo XI_ alla riforma del clero e de' costumi,
mantenendosi in buona armonia con tutti i potentati. Non mancavano
zelanti che lo spronavano a farsi rendere conto dal _cardinale Altieri_
del maneggio suo nel precedente pontificato, per cui si vociferava
che avesse patito non lieve discapito anche la camera apostolica.
Non vi si potè egli indurre, siccome quegli che non amava, qualora si
scoprissero delle magagne in quel porporato, che queste ridondassero
in discredito del sacro collegio. E però al tribunale di Dio rimise
questo rendimento di conti. Nella corte di Mantova ne' tempi presenti
avea la dissolutezza preso un gran piede. Molto prima d'ora al piissimo
_imperadore Leopoldo_ erano state portate doglianze della poco lodevol
condotta della duchessa vedova _Isabella Chiara di Austria_ sua cugina,
e madre del giovine duca di Mantova _Ferdinando Carlo Gonzaga_. Per
prestarvi rimedio, aveva egli sotto pretesto d'altri affari spedito
a Mantova il conte di Vindisgratz con ordine di prendere segrete
informazioni. Saggiamente eseguì il conte le sue commissioni, ed avea
già concertato di condurre il giovinetto duca e la duchessa a Casale
per visitar quella piazza, e di rompere in tal congiuntura senza rumore
le tresche passate. Ma, scopertosi il segreto disegno, all'improvviso
la duchessa andò a ritirarsi nel monistero di Sant'Orsola, e il conte
Bulgarini prese l'abito di San Domenico; e questo bastò per quetar le
premure della corte cesarea. Già dicemmo presa in moglie dal suddetto
duca Ferdinando Carlo _Isabella Gonzaga_ principessa di Guastalla.
Se ne svaghì egli ben tosto, e diedesi in preda ad altri amori, non
solo illeciti, ma sconvenevoli anche di troppo alla sua dignità: al
qual fine si portava egli di tanto in tanto a Venezia, lasciando ivi
la briglia sul collo alle sensuali sue cupidità, che si veggono anche
descritte in libri stampati. Avvenne che _Ferrante Gonzaga_ duca di
Guastalla suocero suo cessò di vivere, lasciando solamente dopo di sè
due figlie. Per essere marito della primogenita, il duca di Mantova
volò a prendere il possesso di quegli Stati, reclamando indarno _don
Vincenzo Gonzaga_ cugino del defunto duca, ch'era vicerè in questi
tempi di Sicilia, ed ordinariamente abitava nel regno di Napoli, dove
la sua linea godeva i nobili feudi di Melfi e d'Ariano, credendosi egli
chiaramente chiamato dalle investiture cesaree al ducato di Guastalla
coll'esclusion delle femmine. Dispiacque non poco questa occupazione
ai duchi di Modena e di Parma, e fecero de' forti maneggi a Milano e
a Madrid, per sostener le ragioni di don Vincenzo; nè gli Spagnuoli
trascurarono questo emergente sulla speranza d'ingoiar essi Guastalla,
e contentar poscia esso don Vincenzo con altri Stati nel regno
suddetto. Spedirono per questo a Mantova un ministro; ma vi trovarono
orecchie sorde. Cominciarono dunque a rallentar la mano pel pagamento
del presidio di Casale di Monferrato; del che si dolse il duca alle
corti di Vienna e di Madrid. Quindi fu creduto che fin d'allora
cominciasse il duca un monopolio per vendere Casale al re di Francia:
risoluzione eseguita nei seguenti anni, siccome vedremo.



    Anno di CRISTO MDCLXXX. Indizione III.

    INNOCENZO XI papa 5.
    LEOPOLDO imperadore 23.


Tante imprese, tanti acquisti fatti dal _re Luigi XIV_ nelle passate
campagne; lo aver egli data la pace a tanti suoi nemici con tanto
suo vantaggio; ridotta la sua potenza e il suo gabinetto formidabile
ad ognuno; e portata oramai la Francia ad un'altezza tale, che parea
già tendere alla monarchia universale: stupore cagionavano ed encomii
riscuotevano da tutti gli amatori di quella gran monarchia. Nè più
tardarono i suoi popoli ad accordare il glorioso titolo di _Grande_ ad
un re che per tante ragioni ben sel meritava. Ma non mancavano persone
che avrebbono desiderato in quel monarca più giustizia e moderazione,
senza di che non potea mai tenersi per assai limpido e giusto il
titolo suddetto. Bolliva in questi tempi una gran lite tra esso re e la
corte di Roma, per aver egli con suo editto stesa la regalia (cioè il
preteso diritto di disporre delle rendite e de' benefizii delle chiese
vacanti) sopra tutte le chiese di nuova conquista, e sopra altre del
regno che non erano mai state sottoposte a questo peso dalla corona
di Francia. Pretendeva all'incontro il sommo pontefice _Innocenzo
XI_ che questa fosse un'usurpazione manifesta; e tanto più perchè la
stessa regalia, tal quale è di presente, s'è andata fondando a forza
di abusi, e contro le determinazioni degli antichi canoni. Ma il re
Luigi, che stimava aver più forza i suoi cannoni che i sacri canoni,
tenne saldo; ed inviò a Roma nell'anno presente il focoso _cardinal
Etrè_, non già per soddisfare il papa, ma per condurlo ad acquetarsi
al regio volere. Sostennero anche i vescovi di Francia le pretensioni
del re, e scrissero al pontefice con pregarlo di rilasciar su questo
punto il rigore de' canoni, giacchè si trattava d'un re che più
degli altri promoveva i vantaggi della Chiesa cattolica, spezialmente
coll'abbassamento dell'eresia. E ciò scrissero in tempo appunto ch'essi
faceano di molte premure a quel potentissimo re per liberar la Francia
dal peso degli ugonotti, siccome egli fece dipoi. Queste amarezze
fra la corte di Roma ed il re Cristianissimo partorirono, siccome
diremo, degli altri sconcerti che diedero di moleste agitazioni allo
zelantissimo pontefice di questi tempi. Nè si vuole ommettere, che,
quando si credeano per la pace di Nimega poste a dormire le spade, i
fucili e le artiglierie, si risvegliò dalla Francia un'altra specie
di guerra; perchè si sviscerarono gli archivii del parlamento di Metz
e de' vescovi di quella città, e di Tull e Verdun, e della camera di
Brisach, e si fecero muovere infinite pretensioni di feudi e luoghi,
o infeudati o alienati o usurpati anticamente; pretensioni, dico, per
la maggior parte rancide e distrutte dalla prescrizione, ma che in
mano di sì potente re divennero armi di mirabil forza. Se ne dolevano
a più non posso gli Spagnuoli, alcuni elettori ed altri confinanti,
fra' quali anche il re di Svezia pel ducato di Due Ponti; ma conveniva
ad ognuno chinare il capo. Per questa via si mise in possesso il re
di varie piazze e paesi nella diocesi de' suddetti vescovati e nella
bassa Alsazia; e ne patirono forte gli elettori Palatino e di Treveri,
allegando essi indarno le paci precedenti. Giunse in quest'anno esso
re Cristianissimo fino a proporre per re dei Romani il _Delfino_
suo figlio, che ne' tempi presenti sposò la principessa _Maria Anna
Cristina_, sorella del giovine elettor di Baviera.

Accadde nella corte di Savoia, parte nell'anno presente e parte
nel susseguente, un imbroglio ch'io racconterò tutto in un fiato:
imbroglio, dico, di cui non ben si conobbero le circostanze, tale
nondimeno che fece grande strepito nelle corti. Avea fin qui tenuto
il governo di quel ducato madama reale _Maria Giovanna Batista_ di
Nemours, vedova duchessa di Savoia, e fattasi conoscere per una delle
più saggie principesse del secolo suo: tanta era stata la sua prudenza
e giustizia, e tale la sua costanza in non lasciarsi mai smuovere
dall'arti franzesi e spagnuole, per entrare in impegni di guerra.
Essendo già il _duca Vittorio Amedeo_ suo figlio pervenuto alla età di
quindici anni, pensò ella a provvederlo di moglie. E siccome parte per
politica e parte per genio, perchè nata in Francia, si mostrava assai
divota di quella corona, così lasciò regolarsi dalle insinuazioni della
corte di Parigi, per istabilire il maritaggio del figlio coll'_infanta
di Portogallo_, la quale si credea che, per mancanza di maschi, avesse
da ereditar quel regno. Per quante pratiche avesse dianzi fatte il re
Cristianissimo a fine di ottenerla in moglie al Delfino suo figlio,
non potè conseguire l'intento, avendo avuto più forza i maneggi degli
Spagnuoli, ai quali non potea piacere di vedere un giorno unito il
regno di Portogallo col troppo potente di Francia. Studiossi dunque
la corte di Francia di strignere il trattato di matrimonio fra essa
infanta e il giovinetto duca di Savoia, co' fini politici (secondochè
fu creduto) di avere in questo principe, se diveniva re di Portogallo,
chi fosse ben affetto alla corona di Francia, e di promuoverlo anche
al regno di Spagna, qualora il _re Carlo II_ mancasse senza prole: nel
qual caso avrebbe egli facilmente compensata l'assistenza de' Franzesi,
con cedere loro la Navarra, oppure il ducato di Savoia e del Piemonte.
E già erano concluse in Portogallo queste nozze, quando all'improvviso
andò tutto in fascio con istupor della gente il concertato maritaggio.
De' motivi che tagliarono l'ordita tela parlarono molto gli speculatori
de' gabinetti principeschi. Altro non so dir io, se non che i
grandi della Savoia e del Piemonte aspramente si dolevano di questo
trattato, perchè fatto e sottoscritto senza menoma lor participazione
e consenso; e molto più perchè lo consideravano di sommo detrimento a
quegli Stati, tanto in riguardo al pubblico che al privato interesse.
Però animosamente si presentarono alla duchessa, rappresentandole la
dubbiosa eventualità della succession del Portogallo perchè poteano
nascere maschi a quel re, ed erano assai forti le pretensioni del re
di Spagna su quel regno. Aggiugnevano, che dovendosi mantenere il duca
lungi da' suoi Stati, per le grosse somme che annualmente converrebbe
somministrargli, tutti diventerebbero poveri. Peggio dipoi avverrebbe
per quegli Stati, qualora passasse nel duca la corona di Portogallo,
perchè diverrebbero provincie; del che peggio non può avvenire a chi
per sua fortuna ha il principe proprio; e che allora la Savoia e il
Piemonte, oltre alla disgrazia di rimanere spolpati per le rendite
ducali che passerebbono a Lisbona, facilmente ancora andrebbero in
preda alla insaziabilità de' Franzesi.

Nulla si profittò con queste querele. Madama reale ne fece consapevoli
i Franzesi, e questi si rinforzarono di gente a Pinerolo. Disperati
que' nobili aspettarono un dì che la duchessa fosse uscita di città,
e, presentatisi al _duca Vittorio Amedeo_, gl'intonarono le medesime
riflessioni, con aggiugnere che si trattava della sua rovina, avendo
la madre fatto tutto quel monopolio solamente per soddisfare alla
propria ambizione, e poter continuare nella di lui lontananza il suo
imperio; e doversi temere che i Franzesi il volessero lungi da' suoi
Stati per ingoiarli, o riceverli senza fatica da una principessa che
chiudeva in seno un cuor tutto franzese. Restò attonito il giovinetto
principe, e dimandò tosto che rimedio vi fosse. Non altro, risposero
essi, che di mettere in una fortezza la duchessa, la quale cotanto in
pregiudizio del figlio si abusava della sua autorità. E senza dargli
tempo di maggiormente riflettere, gli cavarono dalle mani un ordine da
lui sottoscritto, benchè colle lagrime agli occhi, per l'arresto della
madre. Ritiratosi poi il duca, e ripensando a questo caso, non sapea
trovar posa, quando ecco arriva la duchessa al palazzo, e il truova
tutto pensoso e malinconico; e chiestone il perchè, il vede prorompere
in un dirotto pianto. Tanto colle carezze e coi baci si adoperò la
valente duchessa, che gli trasse di bocca il segreto e il pentimento.
Però, dopo averlo ben imbevuto del retto suo operare, ordinò che si
rinforzassero le guardie del palazzo, mandò a prendere alcune poche
compagnie di soldati da Pinerolo, e successivamente fece prendere i
principali della congiura, facendo spargere voce ch'eglino avessero
tramato di dare in man degli Spagnuoli la persona del duca. Andò poscia
in fumo tutto il trattato delle nozze suddette, e fu creduto, che per
questa ripugnanza de' popoli si sciogliesse il contratto. Venuto colla
flotta portoghese il duca di Cadaval a Nizza nel giugno dell'anno
seguente, per condurre in Portogallo il duca Vittorio Amedeo, il trovò
per disgrazia infermo, e durò la sua creduta finta indisposizione
sino all'ottobre, in cui la flotta portoghese se ne tornò a Lisbona,
ed allora il duca di Savoia ricuperò tosto la sua sanità. Ma, a
riserva de' ministri, non arrivò alcuno a sapere il netto di quelle
risoluzioni. E perciocchè niun processo fu fatto di que' nobili, nè
si videro essi punto gastigati, inchinarono molti a credere che tutta
quell'orditura fosse un colpo di destrezza di madama reale per rompere
il matrimonio promosso con troppa forza da' Franzesi, ma troppo mal
veduto dagli Spagnuoli e da' Piemontesi, e ch'ella con questo ripiego
si facesse merito colla corte di Spagna, senza perdere per questo la
buona armonia con quella di Francia, giacchè in tal congiuntura avea
data a conoscere la sua confidenza con essi Franzesi. Nè ci volea meno
d'una principessa di gran senno come era questa, per saper navigare fra
Scilla e Cariddi. Merita bene che si faccia qui menzione che nel dì 17
d'ottobre di quest'anno venne a morte il _conte Raimondo Montecuccoli_
cavalier modenese, che per tanti anni stato generale dello imperadore,
immortalò il suo nome con tante sue segnalate imprese, ed anche colle
sue _memorie_, le quali poi date alle stampe, son riguardate come
un capo di opera nel genere suo per istruzione di chi si applica al
mestier della guerra.



    Anno di CRISTO MDCLXXXI. Indizione IV.

    INNOCENZO XI papa 6.
    LEOPOLDO imperadore 24.


La pace della Francia coi potentati cristiani non valea meno della
guerra al re Luigi XIV ne' tempi presenti. Il terrore dell'armi sue,
che dopo le passate sperienze faceano tremare tutti i confinanti,
prestava tal forza ad ogni sua pretensione, che niuno osava di
contraddire, se non con parole e proteste inutili, mentre esso re
Cristianissimo operando di fatto, e con isfoderar sole decrepite
pergamene, e con interpretare in suo favore le paci antecedenti,
si andava a mettere in possesso dei paesi ch'egli pretendeva a sè
dovuti. Però in quest'anno ancora diede varie pelate agli Spagnuoli
nella Fiandra e nel Lucemburghese. Arrivò fino a pretendere di sua
ragione Lucemburgo stesso. Indarno strepitavano i ministri di Spagna
e dell'imperadore. La luna seguita a far suo viaggio, senza mettersi
pena dell'abbaiar de' cani. Nella stessa guisa trattava egli _Innocenzo
XI_, pontefice costante in sostenere i canoni e i diritti della Chiesa,
che non volea cedere per le controversie della regalia. Vero è che il
_cardinale di Etrè_ rilevava nella corte romana i meriti singolari
del re Luigi, che in questi tempi promoveva a tutto potere nei suoi
regni la religione cattolica colla depressione della mala razza degli
ugonotti, ai figliuoli dei quali, giunti che fossero all'età di sette
anni, fu permesso di abbracciar la fede della Chiesa romana. Ma, oltre
al sapersi che anche per motivi politici il re era dietro a sterminar
quegli eretici, non conveniva già ch'egli si facesse pagare per questo
atto pio con altri atti pregiudiciali alle chiese. Quel nondimeno che
maggiormente sorprese ognuno in questi tempi, fu il segreto felicissimo
maneggio della corte di Francia per impadronirsi di Strasburgo, ossia
di, Argentina, capitale dell'Alsazia, una delle più belle, delle
più forti, delle più ricche città di Europa, e repubblica allora di
protestanti. Ciò che non possono parole, persuasive e ragioni, lo sa
fare infine l'oro ben adoperato dal gabinetto franzese. Con questo si
espugnarono prima gli animi dei principali di quella città, e poscia
coll'apparenza della forza; giacchè all'improvviso essendosi portate
sotto la medesima piazza numerose schiere e squadroni di Franzesi,
giunse il re Cristianissimo ad impossessarsi nel fine di settembre di
quell'importante città, e di rimettervi l'esercizio della religione
cattolica, senza pregiudizio dei privilegii della protestante.
Riuscì ben disgustoso a Cesare e ai principi della Germania questo
colpo, ma ne esultò in Roma ed altrove qualsivoglia vero amatore del
cattolicismo; e gran plauso ne riportò l'industria del re, che senza
adoperar la violenza unì un sì nobile acquisto al suo dominio.

Nel medesimo tempo un altro colpo di non minore riguardo venne fatto
in Italia da quel monarca, la cui indefessa vigilanza, aiutata da un
insigne primo ministro, cioè dal _marchese di Louvois_, si stendeva
dappertutto. Era gran tempo che esso re amoreggiava la città e
fortezza di Casale di Monferrato, posseduta, come vedemmo, in altri
tempi dall'armi franzesi. Accadde che _Ferdinando Carlo duca_ di
Mantova cominciò a risentir delle amarezze contro gli Spagnuoli, che
gli contrastavano il dominio di Guastalla, con sostener le ragioni di
_don Vincenzo Gonzaga_, a cui esso duca ingiustamente aveva usurpato
quel ducato. Non era egli men disgustato della corte di Vienna, perchè
_Carlo duca di Lorena_, al vedere il Mantovano mancante di prole, non
solamente per le ragioni della regina _Leonora di Austria_ sua moglie
cominciò a muovere delle pretensioni sul Monferrato, ma anche, vivente
esso duca Ferdinando, cercava di entrarne in possesso. Pertanto cadde
in pensiero al suddetto duca di Mantova di armarsi colla protezion
della Francia contra degli Austriaci. Ercole Mattioli Bolognese, suo
confidente, quegli fu che in Venezia mosse parola coll'_abbate di
Strada_, ambasciatore del re Cristianissimo, d'introdurre in Casale
presidio franzese, e l'ambasciatore non tardò ad informare ed invogliar
la corte di questo boccone. Succederono dipoi varie commedie in esso
affare. Imperciocchè, avendo spedito il duca a Parigi esso Mattioli,
non con altro fine, siccome egli protestava, che per far paura agli
Austrici, costui, valendosi d'un mandato che non si stendeva a Casale,
stabilì con quella corte le condizioni della consegna della cittadella
d'essa città. Penetrarono gli Spagnuoli questo segreto, e colle buone e
colle brusche indussero il duca a riprovar l'operato del suo ministro.
E infatti, o perchè dal Mattioli fosse veramente stato tradito, o
perchè si fosse pentito del patto imprudente fatto, sopra di lui
voltò tutta la colpa; e fu anche preteso ch'esso Mattioli, in passando
per Milano, con rilevar quel fatto al governatore, avesse toccato un
regalo di cinquecento scudi d'oro. Il bello fu che contuttociò fu egli
con titolo d'inviato spedito a Torino, ma lasciatosi attrappolar dai
Franzesi, che il chiamarono a Pinerolo, quivi terminò i suoi giorni in
una prigione.

Seguitò nulladimeno il re Cristianissimo a pretendere che si eseguisse
il concordato suddetto, ed inviò a Mantova il signor di Gaumont per
incalzare il duca, il quale all'incontro spedì l'abbate di Santa
Barbara a Parigi per placare sua maestà, facendole conoscere di
non essere tenuto ad un contratto troppo irregolarmente stipulato
da un infedel ministro. Finalmente nell'anno presente d'ordine
del re venne a Mantova l'abbate Morello, e contuttochè i ministri
dell'imperadore e di Spagna non omettessero diligenza alcuna per
iscavalcarlo, pur seppe trovar maniera di vincere il punto. Fama corse
ch'egli guadagnasse con regali i consiglieri del duca, e molto più
coll'esibizione di cinquecento mila lire di Francia il duca medesimo,
il quale, scialacquando le sue rendite in mille sfoghi d'intemperanza
di lusso, di sgherri, di musici, musichesse e buffoni, non ostante che
vendesse tuttodì titoli di marchese e conte, privilegii ed esenzioni
a chiunque ne volea, si trovava per lo più in necessità di danaro.
Fatto segretamente il contratto in Mantova, o pure in Parigi, dal
marchese Guerrieri ministro del duca, se ne vide tosto l'effetto. Erano
calati nella state in gran copia i Francesi a Pinerolo. Fu chiesto
il passo al duca di Savoia _Vittorio Amedeo_, uscito già di minorità;
ed ottenutolo, il _marchese di Bouflers_ si mosse colla vanguardia di
circa quattro mila cavalli, e gli tenne dietro il _signor di Catinat_
con otto mila fanti. Nel dì 30 di settembre il Bouflers arrivò a
Casale, e fece la chiamata alla cittadella, che non si fece pregare
a rendersi con uscirne la guernigione italiana di secento uomini.
Sopraggiunse poi la fanteria franzese, che entrò nella città, ma non
tardò poscia a ritornarsene in Piemonte, restando governatore della
cittadella il Catinat, e il governo civile in mano del duca di Mantova.
Ancorchè ad alcuni principi d'Italia non dispiacesse il mirare in man
dei Franzesi l'importante piazza di Casale, perchè questa serviva di
briglia agli Spagnuoli, soliti in addietro a voler dar la legge ad
ognuno; pure sommamente detestarono questa viltà del duca di Mantova
per altri motivi la corte di Savoia e la veneta repubblica; e molto più
ancora l'imperadore e il re Cattolico. Ora il duca Ferdinando Carlo
facea mille proteste, che contro sua volontà era seguito il fatto;
che i suoi ministri l'aveano tradito; fece anche mettere prigione il
marchese Guerrieri, benchè poi questa prigionia poco durasse. In oltre
detto fu ch'egli in Venezia giurasse sull'ostia sacra di non aver per
Casale tirato un soldo dalla Francia: proteste nondimeno che ebbero
la disgrazia di non trovar fede presso i più, e meno presso i saggi
Veneziani, i quali da lì innanzi il disprezzarono, gli tolsero il
commercio coi lor nobili, e alla di lui gente negarono ogni rispetto ed
esenzione; ancorchè egli non lasciasse per questo di portarsi a Venezia
nei tempi di carnevale a procacciarsi la gloria di superar tutti nella
ricerca de' piaceri.



    Anno di CRISTO MDCLXXXII. Indiz. V.

    INNOCENZO XI papa 7.
    LEOPOLDO imperadore 25.


Benchè fosse pace per tutta l'Europa, pure la corte di Francia non
lasciava godere pace ad alcuno, continuamente attendendo a rendersi
formidabile a tutti. Il maresciallo _duca di Crequì_, d'ordine del re
Cristianissimo, formò una specie di blocco intorno alla importante
città di Lucemburgo, di modo che impedendo l'entrata dei viveri in
essa, timore insorse che pensasse ad impadronirsene: il che recò
somma gelosia non solo agli Spagnuoli padroni di essa, ma anche
all'Inghilterra ed Olanda, le quali interposero i loro uffizii per far
desistere la Francia da quella novità, siccome in fatti avvenne. Era
parimente inquieta la corte di Vienna, perchè dopo essersi studiata
di quetare i torbidi dell'Ungheria, commossi dal Techelì e da altri
malcontenti e ribelli, quando men sel pensava, vide coloro più che mai
contumaci muovere aperta guerra alla casa d'Austria coll'impossessarsi
di varie città in essa Ungheria. Gravi sospetti (per non dire di più)
correano che l'oro della Francia fomentasse quella cancrena. Anzi
essendosi udito che il gran signore de' Turchi facesse un incredibil
armamento con disegno di venir egli in persona contra di Cesare nel
prossimo venturo anno, non pochi si figurarono che a tal guerra fosse
commossa la Porta dai medesimi Franzesi; tuttochè la stessa corte
di Francia quella fosse che scoprisse ai ministri di Cesare e degli
altri principi cristiani il disegno di quegl'infedeli: il che non
si accordava col suddetto supposto. Era intanto arrivata al colmo
l'insolenza de' corsari algerini; dolevasi ogni nazion cristiana della
lor pirateria; e nel precedente anno aveano avuto l'ardire di dichiarar
la guerra alla Francia. A questo affronto, proveniente da quella
canaglia, si mosse lo sdegno del _re Luigi_; e però contra di loro
inviò in quest'anno una flotta di dodici vascelli da guerra, quindici
galee e cinque galeotte, sotto il comando del signor di Quene. Arrivò
questi davanti ad Algeri nel dì 23 di luglio, e salutò quella città
nel seguente mese con alquante centinaia di bombe, che non poco danno
cagionarono in quel popolo, non avendo esso con tutta la furia e copia
delle sue artiglierie potuto impedir que' disgustosi saluti. Ma perchè
il mare ingrossò, non potè quel generale far di più, e riserbò all'anno
seguente il resto del gastigo.

Perchè poi continuava lo zelante _papa Innocenzo XI_ a non voler
accordare al re Cristianissimo l'estensione della regalia, questi,
già avvezzo a risolutamente volere tutto quanto era di sua volontà ed
interesse, fece raunar nell'anno presente l'assemblea di quei vescovi,
che più degli altri erano disposti a secondare i suoi voleri, e colla
loro autorità regolò essa regalia per l'avvenire, senza far più caso
delle vive preghiere e forti doglianze del pontefice. Nè qui si fermò
lo spirito di dispetto e di vendetta che avea preso luogo nel cuore di
quel monarca; imperciocchè fece accettare e pubblicar da esso clero
nel dì 23 di marzo quattro proposizioni che crudelmente ferivano i
diritti e privilegii della santa Sede, molto prima disseminate dai
Sorbonisti sotto lo specioso titolo di libertà della Chiesa gallicana.
Cioè, che il romano pontefice non ha autorità diretta o indiretta sopra
il temporale de' principi, nè può deporre essi sovrani, nè assolvere
dal giuramento di fedeltà i loro sudditi. Che i concilii generali sono
superiori ad esso pontefice. Che l'autorità dei decreti della Sede
apostolica spettanti alla disciplina riceve la sua forza dal consenso
delle altre chiese. E che nelle quistioni di fede non sono infallibili
le sentenze della santa Sede, e solamente tali divengono quando vi
concorre l'approvazion della Chiesa. Se così ardite proposizioni
dispiacessero al sommo pontefice e a tutta la corte di Roma, non
occorre che io lo dica. Fu incitato più volte il santo padre ne'
tempi susseguenti a condannarle; ma egli non vi si lasciò mai indurre,
affinchè non credesse la nazion francese, che egli più avesse ascoltata
la passione che la giustizia in sì fatta condanna. Però nè lasciò la
cura ai suoi successori. Furono solamente da varii dotti scrittori
confutate quelle opinioni, e questa battaglia si è rinnovata anche
negli ultimi nostri tempi. Fu in pericolo l'Italia nell'anno presente
del flagello della peste, che dopo essere stata a Vienna, in Boemia ed
in altri luoghi della Germania, era giunta fino a Gorizia e ad altri
confini dello Stato veneto. Tale nondimeno fu la solita vigilanza
di quella provvida repubblica, che non potè fare ulteriore progresso
questo fiero malore. Maggiore apprensione intanto si ebbe per li gran
preparamenti d'armi e di gente che facea la Porta ottomana per terra e
per mare. L'_imperadore Leopoldo_, perchè più minacciato degli altri,
si diede anch'egli a far gente ed altre provvisioni, ma colla lentezza
tedesca; fece anche aggiugnere delle fortificazioni alla sua capitale,
giacchè essa non andava esente dal timore per la vicinanza di tante
piazze, occupate in addietro nell'Ungheria dalla potenza de' Musulmani.
Cominciò in oltre esso Augusto a trattar varie leghe col principi più
potenti, le quali furono poi conchiuse solamente nell'anno seguente,
ma che nulla frastornarono il terribile tentativo dei Turchi, di cui
parleremo fra poco.



    Anno di CRISTO MDCLXXXIII. Indiz. VI.

    INNOCENZO XI papa 8.
    LEOPOLDO imperadore 26.


Se mai ci fu anno che tenesse la cristianità in agitazione, i corrieri
in moto, e l'universal curiosità in un continuo all'arme, certamente
fu questo. Imperciocchè finalmente si avverò il sospetto che il
gran signore aspirasse a cose inusitate in danno dell'augusta casa
d'Austria, essendo uscito in campagna il gran visir Mustafà Carà con
un'armata che più il timore che la verità fece ascendere a trecento
mila persone. Generalissimo dell'armi cesaree, ma armi troppo allora
deboli per resistere a sì gran torrente, fu dichiarato il prode _duca
di Lorena Carlo V_ cognato dello stesso _imperador Leopoldo_. Spedito
egli per contrastare il passo al potentissimo nemico esercito, ebbe
per grazia di potersene tornare indietro salvo, colla perdita nondimeno
di alcuni insigni uffiziali e di parte del bagaglio. Aveano trovato i
Turchi il varco per istradarsi alla volta di Vienna. Tale costernazione
perciò entrò in questa città allo scorgerne imminente l'assedio, che
l'Augusto Leopoldo con tutta la sua corte mossosi di là nel dì 7 di
luglio, si ritirò a Lintz, e poscia a Passavia, senza potersi esprimere
la terribil confusione di que' benestanti, per fuggire anch'essi con
quante carrozze e carra mai poterono trovare. Governatore di Vienna
restò il valoroso _conte Ernesto di Staremberg_, che si preparò a ben
ricevere gl'infedeli. Già erano stati atterrati i vasti e deliziosi
borghi di quell'augusta città; e intanto precorrendo gl'incendiarii
Turchi rovinarono col fuoco un amplissimo tratto dell'Austria,
distruggendo villaggi, palazzi, case e delizie. Circa dieci mila bravi
soldati formavano la guernigion di Vienna, oltre a tutti i cittadini
rimasti nella città, che, deposto il timore presero l'armi, concorrendo
anche i preti, i frati, le donne e i ragazzi a piantar le palizzate,
a cavar terreno, ove bisognava, e a prestare ogni altro possibile
aiuto. Entro la città furono poi spinte dal duca di Lorena alcune
altre migliaia di difensori. Nel dì 14 di luglio comparve l'esercito
turchesco, e cinse Vienna di assedio. Diedero costoro principio agli
approcci, a gittar bombe ed altri fuochi artificiali nella città, a
bersagliar colle batterie i baluardi, e a lavorar di mine: al quale
uffizio abbondavano di gente sperta, cioè di molti rinegati; laddove
Vienna si trovava quasi affatto priva di contraminatori. Non mi
fermerò io a far la descrizione di questo memorabile assedio, per
cui tutta anche l'Italia restò sbigottita, nè d'altro parlava che
d'un sì formidabile avvenimento. Tutti perciò correano alle orazioni,
avendo il pontefice pubblicato un solenne giubileo in tal congiuntura
per implorar la misericordia e la benedizione di Dio. Dirò dunque in
succinto che continuò per tutto l'agosto lo sforzo dell'armi turchesche
sotto Vienna, e giunsero esse a prendere il cammin coperto; a far più
mine e breccie nelle mura, a dar più e più furiosi assalti; ma che
maraviglie di valore fecero nella difesa anche i cristiani, sì col
rispingere i nemici, sì col far vigorose sortite, non risparmiando
il sangue proprio, e con tal felicità e bravura, che le migliaia di
Turchi lasciarono ivi le vite. Ma già aveano gli ostinati musulmani
fermato il piede nella punta d'un baluardo; e fu creduto che la città
non si sarebbe più potuta sostenere, se il gran visire avesse con un
generale assalto voluto sacrificar più gente. Forse fu ritenuto dalla
speranza di cogliere per sè i tesori della città, ottenendola a patti;
perchè col prenderla per assalto sarebbono le ricchezze cadute in mano
dei soldati vogliosi del sacco. Ma incoraggiti i difensori dal sicuro
avviso del vicino soccorso, più che mai attesero a nuove tagliate,
sortite, ed altre azioni coraggiose, per prolungare il più possibile
l'avanzamento de' nemici.

Avea ne' primi mesi di quest'anno l'_Augusto Leopoldo_ conchiuse
varie leghe, o per quiete o per difesa dell'imperio e degli Stati
suoi nella preveduta gran tempesta onde era minacciato. Spezialmente
per interposizione dello zelante pontefice _Innocenzo XI_ seguì una
confederazione fra lui e _Giovanni Sobieschi_ re di Polonia nel dì 31
di marzo. Quanto più vide esso Augusto crescere il pericolo, e poi
formato l'assedio della sua capitale, tanto più affrettò i principi
e i circoli della Germania, e il re suddetto di Polonia ad accorrere
in aiuto. La causa era comune. Caduta Vienna, dovea tremare ogni
principe e città di quei contorni. Concorsero dunque a sì urgente
bisogno il prode re polacco con circa trenta mila dei suoi nazionali;
_Massimiliano Emmanuele elettor_ di Baviera e _Giorgio elettor_ di
Sassonia, e molti principi volontarii, fra i quali quattro della casa
di _Sassonia_, due di _Neoburgo_ cognati dell'imperadore, _Eugenio
principe di Savoia_, due di _Wirtemberg_, due d'_Olstein_, quei di
_Analt_ e di _Bareit_, e il _principe di Waldech_ generale delle
milizie dei circoli. Unironsi quest'armi col generalissimo di Cesare,
cioè coll'invitto _Carlo V duca di Lorena_, il quale durante l'assedio
non era mai stato in ozio, ed avea battuto più corpi di Turchi,
che portavano viveri e munizioni al campo loro. Fecesi l'union de'
cristiani tedeschi e polacchi a Krems di là dal Danubio, e prese che
furono le più savie risoluzioni, passò di qua dal fiume il poderoso
esercito, consistente in ottantacinque mila combattenti, tutti ansanti
di combattere per la fede e per la pubblica salute contro i nemici del
nome cristiano. Divisa in tre corpi l'armata, con bella ordinanza calò
dalla montagna di Kalemberg nel felicissimo dì 12 di settembre. Andava
avanti il terrore, perchè i Turchi da' loro alloggiamenti scoprivano
sì fiorito e ben ordinato esercito animosamente scendere dal monte al
loro eccidio. Non fu lunga la resistenza fatta da coloro; perchè il
primo visire Mustafà Carà, ritiratosi in luogo alquanto distante dalla
battaglia, insegnò agli altri essere miglior partito il fuggire che
il menar le mani. Lasciarono dunque gl'infedeli in preda ai vittoriosi
Cristiani tutte le loro artiglierie, munizioni, viveri, insegne, tende
e bagagli. Al re polacco, che conducea l'ala sinistra, e ai suoi toccò
la fortuna di cogliere il quartiere del primo visire, nel cui superbo
padiglione trovò un immenso tesoro di arredi e contanti, e lo stendardo
principale dell'armata turchesca: il che produsse poi invidia e
doglianze nel resto dell'armata, perchè i soli Polacchi quei furono che
principalmente si arricchirono.

L'avere impiegato i soldati gran tempo nello spoglio, cagion fu che
non inseguirono i fuggitivi nemici. Entrarono nel seguente giorno
13 di settembre i trionfanti generali cristiani in Vienna, cioè il
re di Polonia, i duchi di Baviera, Sassonia e Lorena, e gli altri
principi, e alla vista de' mirabili lavori degli assedianti ed
assediati rimasero attoniti. Nel dì appresso giunse alla medesima
città, venuto pel Danubio, l'_imperador Leopoldo_ (il che raddoppiò
l'allegrezza), e non perdè tempo la maestà sua a rendere grazie a Dio
col far cantare un solenne _Te Deum_ per così insigne vittoria. Certo
non si può esprimere il giubilo che si diffuse per tutta l'Italia
all'avviso di quella sempre memorabil giornata. Le lingue d'ognuno si
sciolsero in inni di gioia e di ringraziamenti a Dio, e massimamente
in Roma, dove il pontefice _Innocenzo XI_ con molte migliaia di scudi
dati in limosina a' poveri, e con aprir le carceri e liberar tutti
i prigioni non capitali, soddisfacendo egli del suo pei debitori,
attestò la sua gratitudine al donator d'ogni bene. E perciocchè il
santo padre riconobbe sì felice successo dall'intercession della
Vergine santissima, essendo succeduta tal vittoria correndo l'ottava
della sua Natività, istituì dipoi la festa del Nome di Maria in quella
ottava. Fu poi dal re di Polonia inviato lo stendardo maggiore de'
Turchi alla santità sua: spedizione che fruttò al regio segretario
portator d'esso ricchi regali del _papa_, del _cardinal Francesco
Barberino_ e del _principe di Palestrina_. Coronarono l'armi di Cesare,
comandate dal duca di Lorena, la presente campagna con una vittoria
riportata contro i Turchi a Parcam, e coll'acquisto dell' importante
città di Strigonia nel dì 27 d'ottobre. Lo strepito di queste
gloriose azioni talmente sgomentò i dianzi ribelli Ungheri seguaci
del conte Emerico Techelì, che buona parte di que' comitati inviarono
a rendere ubbidienza al legittimo loro augusto sovrano. Diede molto
da discorrere, anzi da mormorare, in questi tempi la condotta del _re
Luigi XIV_, il quale di dì in dì minacciava nuova guerra alla Spagna,
insisteva nelle precedenti pretensioni, e ne sfoderava delle nuove;
ed oltre a ciò tenendo una potente armata ai confini della Germania,
tuttochè mirasse in tanto rischio la città di Vienna, e sì vicini i
Turchi alla depression de' cristiani; pure non alzò un dito per dar
soccorso al pericolante Augusto. E non è già ch'egli non l'esibisse
alla dieta di Ratisbona, ma ne voleva essere ben pagato, con pretendere
prima la cessione di Lucemburgo. Di sì generosa esibizione non vollero
prevalersi i ministri della dieta, perchè il pagamento sarebbe stato
certo; e qual fine potesse poi avere il lasciar entrare armato in
Germania un re sì potente e sì vago di conquiste, non appariva assai
chiaro. Certamente non sì potè levar di capo alla gente ch'esso monarca
non avesse, non dirò commossa la Porta ottomana contro di Cesare, ma
desiderata la caduta di Vienna, affinchè il corpo germanico si fosse
poi trovato in necessità d'implorar la sua protezione ed assistenza, la
qual forse sarebbe riuscita più pericolosa, che la guerra col Turco.
Tali erano le speculazioni dei politici d'allora: se ben fondate, io
nol so.

Sul fine di maggio in quest'anno tornò esso re Cristianissimo ad
inviare il signor di Quene con una flotta ad Algeri, per gastigar
quell'insolente nazione che nulla avea profittato della lezion
precedente. Tal terrore, tal danno recarono a quella città le bombe,
che i barbari inviarono a chiedere pace. Rispose loro il comandante
franzese di non poterne parlare se prima non restituivano tutti gli
schiavi cristiani. Nel termine di quattro giorni (era il fine di
giugno) ne condussero più di cinquecento. Ve ne restarono moltissimi
altri; contuttociò il signor di Quene diede luogo al trattato della
pace, e dimandò gli ostaggi. Uno d'essi fu Mezzomorto ammiraglio degli
Algerini. Costui, perchè alte erano le pretensioni de' Franzesi, nè
si concludeva l'accordo, dimandò di rientrare nella città, facendo
credere di poter levare gli ostacoli alla pace. Altro non fece costui
che commuovere a sedizione la milizia algerina; e fatto assassinare
Baba Hassan dei, ossia bei, ossia re d'Algeri, ottenne di esser egli
proclamato signore. Quindi ricominciò dopo la metà di luglio la guerra,
e con più furore di prima volarono le bombe, che cagionarono la rovina
di gran parte di quella città. Fecero que' Barbari alcune vigorose
sortite, ma furono sempre respinti. Se ne tornò poi nel settembre la
flotta franzese in Francia, senza avere stabilito accordo alcuno. Ma
perciocchè nell'anno seguente 1684 ebbe avviso il Mezzomorto che in
Francia si facea un più gagliardo apparecchio contra d'Algeri, spedì
a muovere proposizioni di pace, e questa poi si ultimò nel dì 23 di
aprile dell'anno suddetto con delle condizioni affatto onorevoli e
vantaggiose per la corona di Francia. Nel dì 30 di luglio dell'anno
presente terminò i suoi giorni _Maria Teresa d'Austria_ infanta
di Spagna e regina di Francia, che riempì di cordoglio tutto quel
regno: tanta era la sua pietà, la sua carità verso i poveri, la sua
inclinazione a tutte l'opere virtuose, la sua prudenza, e la sua
mirabil pazienza e disinvoltura, senza mai risentirsi de' pubblici
scandalosi adulterii del re consorte.



    Anno di CRISTO MDCLXXXIV. Indiz. VII.

    INNOCENZO XI papa 9.
    LEOPOLDO imperadore 27.


Altro non s'udiva in questi tempi che doglianze degli Spagnuoli contra
la Francia, la quale ogni dì si metteva in possesso di qualche luogo
e signoria con pretensioni di dipendenze, feudi ed altri titoli, che
in mano di sì gran potenza diventano sempre irrefragabili. Si vede
una lista di città, villaggi, castella ed altri luoghi occupati con
questa muta guerra dall'armi franzesi dopo la pace di Nimega, lista
ben lunga, e tale, che cagiona anche oggidì stupore e compassione verso
chi restava sì fieramente pelato, senza osare di far altra opposizione
che di lamenti. Intanto gli eserciti del _re Luigi XIV_ erano sempre
ai confini, cercando pur motivi di nuova guerra. Gli Spagnuoli in
Fiandra non potendo più reggere a tanta oppressione, cominciarono le
ostilità contra de' Franzesi fin l'anno precedente. Si fecero ridere
dietro, perchè nè forze proprie aveano, nè collegati per sostener
questo impegno. Non altro che questo sospirava la Francia; e però in
esso anno passate l'armi del Cristianissimo all'assedio di Courtrai,
s'impadronirono di quella città e di Dismuda. E mentre nell'anno
presente i buoni Olandesi si sbracciavano in un congresso tenuto
all'Haia per trattare di pace, o almeno di tregua, il re, che da gran
tempo facea l'amore all'importante città di Lucemburgo, e conobbe il
tempo propizio, trovandosi allora impegnate l'armi di Cesare contro
il Turco, nel dì 28 di aprile mandò l'armata sua all'assedio di quella
città. Era questa creduta inespugnabile, ma i marescialli di _Crequì_
e d'_Humieres_ disingannarono la gente, con aver obbligato alla resa
quel presidio nel dì 4 di giugno. Dopo un sì bell'acquisto non ebbe
difficoltà il re d'accordare, nel dì 29 di esso mese, una tregua di
venti anni coll'Olanda, la qual poscia, per non poter di meno, fu
accettata anche dal re di Spagna e dall'imperadore: con che il re
Cristianissimo restò in possesso della città e ducato di Lucemburgo,
con obbligarsi di restituire alla Spagna le città di Courtrai e
Dismuda, spogliate prima di fortificazioni. Ma le paci e tregue della
Francia in questi tempi non erano che sonniferi per addormentar le
potenze, e duravano fintanto che si presentava occasione di nuovi
acquisti. Pareva poi alla corte di Francia che il giovinetto duca di
Savoia _Vittorio Amedeo II_ mostrasse più incitazione a Madrid che a
Parigi. Però, quantunque _madama reale_ bramasse di dare al figlio in
moglie la principessa di Toscana _Anna Maria_ figlia del _gran duca
Cosimo III_, pure tante batterie ebbe dai ministri di Francia, che le
convenne accomodarsi ad un altro accasamento. Fu dunque in Versaglies,
nel dì 9 d'aprile, stipulato il maritaggio d'esso _duca di Savoia_
colla _principessa Anna_ figlia di _Filippo duca_ d'Orleans, fratello
unico del re Cristianissimo. Si mise in viaggio ben tosto questa
principessa con accompagnamento assai nobile, e fu ricevuta ai confini
dal duca suo sposo.

A queste allegrezze tenne dietro, nel seguente maggio, una dolorosa
tragedia, che un nuovo campo aprì alle mormorazioni contro la
prepotenza de' Franzesi, che avea fissato il punto massimo della sua
gloria in farsi ubbidire da tutti, e in far tremare ognuno. Gran tempo
era che non sapea sofferir quella corte di mirar la repubblica di
Genova, secondo l'inveterato suo costume, cotanto aderente a quella
di Spagna, e posta sotto il patrocinio del re Cattolico. Andava perciò
cercando motivi di lite con essi Genovesi; e mancano forse mai ragioni
al lupo, allorchè vuol divorare l'agnello? Pretesero i Franzesi di
tenere un magazzino di sale in Savona, per provvederne Casale di
Monferrato: novità che tornava in grave pregiudizio alle finanze della
repubblica, e però non si voleva accordare. Quattro nuove galee aveano
fabbricato essi Genovesi: diritto che niuno aveva mai contrastato
alla loro sovranità e libertà. Col pretesto che queste avessero da
servire per gli Spagnuoli, fu loro intimato di disarmarle. Più e più
affronti si videro fatti dalle navi franzesi a quelle de' Genovesi e
alle loro riviere; pure tollerava tutto la paziente repubblica. Fu poi
spedito a Genova con titolo di residente il signor di Saint Olon, e
poco si stette a conoscere mandato a cagionar dei garbugli, avendo egli
cominciato a proteggere i delinquenti, e a defraudar le gabelle (benchè
assegnato a lui fosse un regalo annuo di mille e cinquecento pezze per
sicurezza della dogana) e a far portare armi a' suoi dipendenti, che
impunemente ogni dì facevano delle insolenze. Ma, per venire al punto
principale, la corte di Francia, che prima coll'esempio d'Algeri, ed
ora con quel di Genova, voleva imprimere in chicchessia il terrore
della sua potenza, spedì con una flotta il _signor di Segnelay_,
figlio del celebre _signor di Colbert_, mancato di vita nel precedente
anno, che, presentatosi nel dì 17 di maggio sotto Genova, intimò alla
repubblica la disgrazia e i risentimenti del re, se immediatamente non
gli consegnavano i fusti delle quattro nuove galee, e non inviavano al
re quattro consiglieri a chiedere perdono, e ad assicurare la maestà
sua della loro intera sommessione agli ordini suoi. Perchè non si
vide pronta ubbidienza a questa intimazione, cominciarono le palandre
franzesi nel seguente giorno a flagellar quella bellissima città
colle bombe. Sino al dì 28 del mese suddetto seguitò quell'infernale
pioggia; nel qual tempo fecero i Franzesi anche uno sbarco di gente in
terra, sperando forse in quella costernazione della città di potervi
mettere il piede. Ma i Genovesi rinforzati da varii corpi di truppe
regolate che loro inviò il governatore di Milano, ed animati dall'amor
della patria e della libertà, renderono inutile ogni altro sforzo de'
nemici, i quali nel suddetto dì 28 fecero vela verso la Provenza, e
passarono dipoi ad esercitare la loro bravura contra degli Spagnuoli
in Catalogna. Gravissimi furono i danni recati alla città di Genova
e a San Pier d'Arena, per essere rimaste incendiate e diroccate varie
chiese, palazzi, monisteri e case; ma non sì grande fu quell'eccidio
come la fama lo decantò. E intanto ben molto soffrì nel suo materiale
e nello scompiglio del popolo quella repubblica, ma intatta seppe essa
conservare la gemma della sua sovranità. Qual fine poi avesse questa
tragedia, detestata da chiunque senza parzialità pesava le cose, lo
diremo all'anno seguente.

Compiè la carriera del suo vivere nel dì 15 di gennaio dell'anno
presente _Luigi Contarino_ doge di Venezia, a cui, nel dì 25 di esso
mese, fu sostituito _Marco Antonio Giustiniano_. Passavano in questi
tempi controversie fra _papa Innocenzo XI e la repubblica veneta_,
perchè, non volendo più soffrire il pontefice i tanti disordini che si
sovente accadevano in Roma per le franchigie pretese dagli ambasciatori
delle corone, avea dichiarato a tutti di voler libero il corso della
giustizia contra dei malviventi e di chi facea contrabbandi. Per
questa contrarietà aveano i Veneziani richiamato il loro ministro,
ed altrettanto avea fatto il papa per conto del suo nunzio, che si
ritirò da Venezia a Milano patria sua. Contuttociò il buon pontefice,
in cui prevaleva ad ogni altro riguardo il zelo della religione e il
bene della cristianità, con sommo vigore si adoperò per unire in lega
contro il nemico comune l'_imperadore Leopoldo, Giovanni Sobieschi re
di Polonia_ e la _veneta repubblica_. Restò conchiusa questa alleanza
nel dì 5 di marzo dell'anno presente. Quanto al re polacco, gli riuscì
di ricuperare la città di Coccino, ma senza poter fare altra impresa
di considerazione. Nè pur si mostrò molto favorevole alle armi cesaree
la fortuna in quest'anno. S'era determinato nel consiglio di guerra
d'imprender l'assedio della regale città di Buda. A questo fine,
essendo uscito in campagna il _duca Carlo di Loren_a, prima s'impadronì
di Vicegrado, poscia mise in isconfitta il bassà di Buda, uscito per
contrastargli il passo; e dopo aver presa Vaccia, e forzati i Turchi
a ritirarsi da Pest, valicò sopra più ponti il Danubio, e nel dì 14 di
luglio mise l'assedio a Buda. Tentò più d'una volta il saraschiere di
dar soccorso all'assediata città, ma sempre fu respinto; anzi nel dì 25
di luglio uscito dalle trincee esso duca di Lorena col _principe Luigi
di Baden_, col generale _conte Caprara Bolognese_, e la maggior parte
della sua armata, andò ad assalir quella del saraschiere suddetto, e le
diede una rotta con istrage e prigionia di molti Turchi, ed acquistò
di molte bandiere ed artiglierie. Nel dì 9 di settembre arrivò anche
l'_elettor di Baviera_ sotto Buda, il cui assedio ostinatamente fu
proseguito sino al fine d'ottobre; ma sostenuto con estremo vigore
dagl'infedeli, che fecero continue sortite, e lavorarono forte
di mine e contramine. Intanto per la perdita di molta gente negli
assalti, e più per le malattie, essendo scemata assaissimo l'armata
cesarea, si vide sul principio di novembre forzata a ritirarsi da
quell'assedio, e a cercare riposo nei quartieri d'inverno. Si stese
all'incontro la benedizione di Dio nell'anno presente sull'armi
venete. S'era fortunatamente ritiralo da Costantinopoli il bailo di
quella repubblica, travestito da marinaro, ed ella avea fatto un bel
preparamento di milizie e navi, con eleggere capitan general _Francesco
Morosino_, già celebre per molte sue segnalate precedenti azioni. Il
pontefice _Innocenzo XI_ somministrò quel danaro che potè in aiuto dei
Veneti, e non solamente spedì ad unirsi colla lor flotta cinque sue
galee, ma sette ancora di Malta, e ne ottenne quattro altre da Cosimo
III gran duca di Toscana. La prima fortunata impresa che fecero i
Veneziani, fu quella dell'isola di Leucate, dove, nel dì 6 d'agosto,
s'impadronirono dell'importante fortezza di Santa Maura, e poscia di
Vonizza, Seromero ed altri luoghi. Di là passarono ad assediare l'altra
non men gagliarda fortezza della Prevesa, che costrinsero alla resa.
Nello stesso tempo anche i Morlacchi occuparono Duare in Dalmazia. Con
questo bel principio si dispose la repubblica a cose maggiori.



    Anno di CRISTO MDCLXXXV. Indiz. VIII.

    INNOCENZO XI papa 10.
    LEOPOLDO imperadore 28.


Nel dì 16 di febbraio del presente anno per colpo di apoplessia mancò
di vita _Carlo II re_ d'Inghilterra; e morì, secondochè han creduto non
pochi storici, nella comunion della Chiesa e religion cattolica. A lui
succedette Giacomo II suo fratello, professore anch'egli, e pubblico,
della stessa religione. Si diferì poi la coronazione del novello re,
e di _Maria Beatrice d'Este_ sua consorte fino al dì 3 di maggio; e
questa fu celebrata con incredibil solennità e pompa. Al mirare sul
trono della Gran Bretagna un re cattolico, si dilatò l'allegrezza in
tutte le provincie del cattolicismo per la conceputa speranza di veder
cessare il funestissimo scisma di quel fiorito regno, e riunita un dì
alla Chiesa sua vera madre quella potente nazione. Ribellaronsi al
re Giacomo i conti d'Argile e il duca di Montmouth, figlio bastardo
del re defunto; ma egli ebbe la fortuna di atterrarli amendue e di
assodarsi sul trono. In quest'anno il _re Luigi XIV_ prese a gastigar
l'insolenza de' corsari tripolini con ispedire il _maresciallo d'Etrè_
alla lor città, il quale così ben regalò di bombe quel popolo, che
l'astrinse, nel dì 29 di giugno, a chiedere misericordia, a restituir
tutti gli schiavi franzesi, e a pagar per emenda di tante prede da lor
fatte cinquecento mila lire di Francia. Riportò il plauso d'ognuno
questo gastigo, perchè troppo meritato da que' ladroni infedeli. Ma
restò all'incontro disapprovato il rigore con cui quel monarca diede
la pace alla repubblica di Genova con una capitolazione sottoscritta in
Versaglies nel dì 22 di febbraio, per la quale fu obbligato quel doge,
cioè _Francesco Maria Imperiali_, con quattro senatori a portarsi in
Francia ai piedi del re per attestare alla maestà sua il dispiacere
di avere incontrata la sua indignazione. Furono anche obbligati i
Genovesi a disarmar le quattro nuove galee, a dar congedo alle milizie
spagnuole, e a rifare i danni cagionati dalle bombe franzesi a tutte
le chiese e luoghi sacri della lor città. Per tale aggiustamento s'era
adoperato vivamente il nunzio pontifizio _Ranucci_ d'ordine del sommo
pontefice, e perciò alla medesima santità sua fu rimesso il lassare
il pagamento intimato alla repubblica pel suddetto risarcimento.
Obbligò eziandio esso re, nel dì 30 d'agosto, i corsari tunisini alla
restituzion degli schiavi franzesi, con altre condizioni vantaggiose
alla Francia, anzi a qualunque cristiano che navigasse sotto la
bandiera franzese. Ma quel che fece maggiormente risonare il nome del
Cristianissimo monarca, fu l'editto da lui pubblicato nell'ottobre
di quest'anno con cui rivocò ed annullò l'editto di Nantes del 1598,
vietando in avvenire ne' suoi regni l'esercizio della setta calviniana.
Che lamenti, che esagerazioni facesse tutto il partito de' protestanti
per questa risoluzione del re Cristianissimo, non si potrebbe esporre
se non con assaissime parole. Declamarono essi sopra tutto contro
alcuni eccessi commessi nella conversion di quegli ugonotti, che o non
vollero o non poterono uscir di Francia. Rumoreggiarono altri contro
la poca economia del re, il quale lasciò partir dai suoi regni tante
migliaia di famiglie eretiche, e con esso loro tanti milioni d'oro, e
tanti artisti che andarono ad arricchir paesi stranieri. Ma il re volle
preferire al proprio interesse il ben della sua monarchia, la quale,
per gli esempli passati, non si trovava mai sicura, nutrendo nel seno
gente di religion diversa; che non cessava di tentar di nuocere, e
teneva sempre in sospetto la corona. In somma presso i cattolici sì pia
e generosa azione di _Luigi XIV_ tale fu, che basterà sempre a rendere
glorioso ed immortale il suo nome.

Nella campagna dell'anno presente fu risoluto dall'esercito cesareo,
comandato da _Carlo duca di Lorena_, di formar l'assedio di Neukaisel,
una delle piazze più forti che possedesse l'ottomana potenza
nell'Ungheria. A dì 7 di luglio si diede principio alle ostilità contra
di quella piazza. A questo avviso il saraschiere, forte di sessanta
mila persone si portò a Vicegrado e se ne impossessò, e passò poi a
stringere d'assedio la città di Strigonia. Allora il duca di Lorena,
lasciato il generale _conte Enea Caprara_ sotto Neukaisel, preso il
meglio dell'esercito cristiano, andò per affrontarsi col saraschiere.
Costui, ritiratosi da Strigonia, non voleva il giuoco; tanto fece
il duca, che il tirò a battaglia, e lo sconfisse con acquisto de'
padiglioni e di molte artiglierie, bandiere e munizioni. Animati
da questo buon successo i cristiani, giacchè era fatta la breccia a
Neukaisel, nè a tempo i Turchi presero la risoluzione di rendersi,
v'entrarono a forza, e tagliarono a pezzi tutto quel presidio.
Impadronissi dipoi il maresciallo Caprara di Eperies, Tokai e Kalò; e
venne all'ubbidienza sua anche la città di Cassovia. Così ai generali
_Mercy_ ed _Heisler_ riuscì di prendere la fortezza di Zolnoch, e
di disfare il ponte d'Essech. Altre prosperose azioni si fecero in
Bossina e Corbavia dall'armi cristiane. A queste imprese concorsero
ancora da Parigi i _principi di Contì_ e di _Roccasurion_ fratelli,
e il _principe di Turrena_, con lasciar ivi non pochi segni della lor
intrepidezza. Quanto a' Veneziani, inferiore non fu la felicità delle
lor armi sotto il comando di _Francesco Morosino_ capitan generale.
Nelle loro armate generale della fanteria era il _principe Alessandro_
fratello di _Ranuccio II_ duca di Parma. Militava parimente il
_principe Massimiliano di Brunwsich_ alla testa d'alcuni reggimenti del
duca suo padre. Tra molti volontarii si contò anche _Filippo principe
di Savoia_. Vi spedì _papa Innocenzo XI_ le sue cinque galee, otto ne
inviò la _religion di Malta_, e quattro il _gran duca_ di Toscana.
Rivoltesi pertanto le mire dei Veneziani al Peloponneso, che oggidì
porta il nome di Morea, passarono all'assedio della città di Corone.
Non solamente gran resistenza fecero Turchi e Greci abitanti in quella
città, ma forza fu di combattere più fiate con un esercito turchesco,
che nelle vicinanze trincierato andava tentando di soccorrere la
piazza. A costoro fu data una rotta nel dì 7 di agosto: il che fatto,
più coraggiosamente si continuarono gli approcci e le offese contra
di Corone. L'ostinazion de' difensori giunse a tanto, che i cristiani
a viva forza sboccarono nella città, mettendo a fil di spada quanti
incontrarono, e poscia a sacco tutte le abitazioni. Vi si trovarono
cento ventotto pezzi di cannone, tra i quali ottantasei di bronzo, con
abbondanti munizioni da bocca e da guerra. Rinforzata di poi l'armata
veneta da tre mila Sassoni, prese Zernata, e poi Calamata, Chiefalà,
Gomenizze ed altri luoghi. Con tali felici avvenimenti, che sparsero il
giubilo per tutte le contrade d'Italia, ebbe fine la presente campagna.



    Anno di CRISTO MDCLXXXVI. Indiz. IX.

    INNOCENZO XI papa 11.
    LEOPOLDO imperadore 29.


Si moltiplicarono in quest'anno le allegrezze per tutta l'Italia a
cagion dei continuati progressi dell'armi cristiane, tanto cesaree
che venete contro il comune nemico. Città italiana non c'era, dove
giugnendo di mano in mano le felici nuove di questi avvenimenti, non
si facessero falò ed innumerabili fuochi di gioia, con giubilo de'
popoli, i quali non d'altro parlavano che di Turchi sconfitti e di
città conquistate. Allora fu che il nome dell'imperadore ricuperò
ancora in Italia il genio e l'amore dei più delle persone. Diede
principio alle militari azioni degl'imperiali il _generale conte
Mercy_, con rompere i Turchi e Tartari nei contorni di Seghedino. Il
generale _Antonio Caraffa_ s'impadronì del castello di San Giobbe.
Tanta era la fiducia del prode duca di Lorena, che fu risoluto di
nuovo l'assedio di Buda. Colà passato l'esercito, trovò abbandonata
la picciola città di Pest, e dopo aver valicato il Danubio sopra un
ponte, cinse d'intorno quella città capitale dell'Ungheria. Trovata
poca resistenza nella città bassa, tutte le forze si rivolsero contro
il fortissimo secondo recinto. Carcasse, bombe, artiglierie faceano un
orrido fuoco; erano frequenti e vigorose le sortite dei nemici, ora
contro i Brandeburghesi e cesarei, ed ora contro i Bavari comandati
dal loro elettore, con felice o pur con infelice riuscita. Si venne a
più assalti, che costarono gran sangue, più sempre agli assalitori che
agli assaliti. Aveano già i cristiani preso posto nel terzo recinto,
quando si avvicinò il primo visire con un'armata di circa sessanta mila
combattenti, voglioso di dar soccorso alla piazza. Fece costui molti
tentativi, sacrificò anche della gente, e gli riuscì di far entrare
alcune centinaia di fanti nella piazza; ma i cristiani per questo non
rallentarono punto le offese. Uscì il duca di Lorena delle trincee
con animo di far giornata col Barbaro, il quale giudicò meglio di
ritirarsi; e però nel felicissimo dì 2 di settembre, dato un generale
furioso assalto, colla forza entrarono i valorosi cristiani nell'ultimo
recinto, e tutta restò in lor potere quella regal città. Grande fu
la strage dei musulmani, a cui tenne dietro il saccheggio dato dalle
avide milizie vincitrici. Ritrovaronsi nella città e castello almen
trecento cannoni di bronzo, sessanta mortari, oltre ad una gran copia
di attrezzi militari. Vi si trovò anche non lieve parte della suntuosa
biblioteca, già ivi formata dal re _Mattia Corvino_, i cui manoscritti
passarono di poi all'augusta libreria di Vienna. Che strepito facesse
sì glorioso acquisto, non si può abbastanza esprimere. Parve che
Dio avesse rivelato questo fortunatissimo giorno al santo pontefice
_Innocenzo XI_, perchè egli nello stesso dì rallegrò infinitamente
Roma colla tanto differita e tanto sospirata promozione di ventisette
cardinali. Nel dì 9 del suddetto mese giunse a Roma il corriere con
sì lieta nuova; e però nel dì 12 col suono di tutte le campane, colla
salva di tutte le artiglierie, con fuochi innumerabili di gioia, e
poscia con solenne messa si celebrò il rendimento di grazie a Dio.
Continuarono dipoi gran tempo ancora cotali allegrezze, non sapendo
il popolo romano far fine al giubilo. Altrettanto ancora avvenne
in assaissime altre città. Nè qui si fermò il corso delle vittorie
cesaree. Venne sottomessa dal generale conte _Federigo Veterani_ la
ricca e mercantile città di Seghedino sul Tibisco. Occupò il _principe
Luigi di Baden_ Cinque Chiese, Siclos e Dardo al Dravo. In somma non
v'era settimana che non portasse qualche nuovo motivo di letizia agli
amatori del nome cristiano.

Veniva poi questa mirabilmente accresciuta da altri felici
progressi delle armi venete in Levante. Erasi il capitan bassà nella
primavera presentato sotto Chiefalà nella Morea con forte speranza
di ricuperarla. Arrivò a tempo il capitan generale Morosini; ma
quando si credea di dover cacciare colla forza que' Barbari dal loro
accampamento, trovò che col benefizio della notte se n'erano fuggiti
lasciando indietro l'artiglierie. Avea la repubblica eletto per
primario generale delle sue armate di terra il _conte Ottone Guglielmo
di Konigsmarch_ Svezzese; e dopo aver presa i generali la risoluzione
di passar contra di Navarino, a quelle spiagge approdarono nel sacro dì
della Pentecoste. Due sono i Navarini cioè il vecchio e il nuovo. Il
primo non volle liti, e con buoni patti immantenente si arrendè; però
passò il campo intorno al nuovo, piazza assai forte, contro la quale si
diede principio a un terribil fuoco di bombe e artiglierie. Avvicinossi
il saraschiere con un corpo d'armata per tentare il soccorso. Usciti
i cristiani, con tal bravura andarono a trovarlo, che il costrinsero
a prendere la fuga, lasciando indietro cinquecento padiglioni, fra'
quali il suo composto di sette cupole e varie stanze, che occupava
trecento passi di giro. A questa vittoria tenne dietro la resa di
Navarino. Di là senza perdere tempo si voltarono i Veneti addosso alla
città di Modone, che non fece lunga difesa. Quindi impresero l'assedio
di Napoli di Romania, dove si trovò gran resistenza. In que' contorni
allora comparve il saraschiere; ma non gli diedero tempo i cristiani
di afforzarsi; perciocchè, iti a trovarlo, fecero di nuovo menar
le gambe alla sua gente; dopo di che s'impadronirono ancora d'Argo,
abbandonata da' Turchi. Perduta la speranza del soccorso, anche Napoli
capitolò la resa. Oltre a ciò, Arcadia e Termis vennero all'ubbidienza
della repubblica. Restò anche espugnata in Dalmazia la considerabil
fortezza di Sign dal generale Cornaro nel mese di ottobre. Per questi
avanzamenti delle cristiane armate giubilava il pontefice _Innocenzo
XI_, sviscerandosi intanto per inviar quanti mai potea soccorsi di
danaro all'imperadore Veneziani e Polacchi, tuttochè questi ultimi
nulla di rilevante operassero contra del comune nemico.

Un'altra singolar consolazione provò il santo padre e Roma tutta per
l'arrivo colà nel precedente anno del _conte di Castelmene_, spedito
ambasciatore da _Jacopo II re_ cattolico della Gran Bretagna alla santa
Sede. Un'ambascieria tale, dopo quasi un secolo e mezzo di disunione
di quella nazion potente, veniva considerata da tutto il cattolicismo
come un grandioso regalo della divina provvidenza, se non che quel
ministro procrastinava il mettersi in pubblico. Parimente nel dì 9
di aprile di quest'anno comparve a Roma _Ferdinando Carlo duca_ di
Mantova, i cui lunghi colloquii col papa diedero non poca gelosia ai
Franzesi, che erano in rotta colla santità sua. Colà poscia pervenne
ancora nel novembre di quest'anno _Francesco II duca_ di Modena
coll'accompagnamento di molta nobiltà e famiglia, per visitare la
_duchessa Laura_ madre sua e della regina d'Inghilterra, che tornata a
quell'augusta città, avea quivi fissata l'abitazione sua. Ancorchè il
santo padre, per cagion della podagra che il tenea per lo più confinato
in letto, desse poche udienze, pure ne diede una di quattro ore a
questo principe, compartendogli ogni possibil onore e dimostrazione di
amore e di stima. Passò dipoi esso duca per sua ricreazione anche alla
gran città di Napoli, dove il _marchese del Carpio_ vicerè sorpassò
l'espettazione d'ognuno nelle tante finezze che praticò con questo sì
illustre pellegrino. Un solo intrico era quello che teneva in grave
agitazione l'animo del buon pontefice Innocenzo. Era mancato di vita
nel precedente anno il cattolico _Carlo conte palatino_, ed elettore
del Reno, senza succession maschile; e ne' suoi Stati, per dritto
proprio, e in vigore ancora del suo testamento, era succeduto il
duca di Neoburgo _Filippo Guglielmo_, fratello di _Leonora Maddalena_
moglie augusta dell'_imperador Leopoldo_. Mosse tosto pretensioni sopra
l'eredità del defunto elettore la _duchessa d'Orleans Elisabetta_,
sua sorella, tenendosi ella chiamata a quegli Stati, o almeno a tutti
i beni allodiali: laddove il duca di Neoburgo sosteneva il suo punto
colle leggi dell'imperio, esclusive nelle femmine, e col testamento
suddetto. Non fu pigro a prendere la protezion della cognata il _re
Lodovico XIV_, e fin d'allora si cominciò a prevedere inevitabile una
guerra a cagion di questo emergente. Contuttociò il re Cristianissimo
con rara moderazione consentì di rimettere tal pendenza alla decisione
del regnante pontefice; ma, questi dopo aver fatto esaminar le
ragioni, sentendo troppo alte le pretensioni delle parti, non osava di
discendere a laudo alcuno, per la chiara conoscenza che disgusterebbe
l'una delle parti, e forse anche amendue. Siccome padre comune, e
sommamente bramoso di conservar la pace fra i principi cristiani,
in tempo spezialmente che procedeva sì felicemente la guerra contra
de' Turchi, forte s'affliggeva per questo litigio, e moveva tutti
i principi, affinchè, interponendo i loro uffizii, non si venisse a
rottura. Dalle premure del re Cristianissimo fu mosso in quest'anno
_Vittorio Amedeo II_ duca di Savoia a pubblicare un editto, per cui
si comandava l'esercizio della sola religion cattolica nelle quattro
valli abitate dai Valdesi, ossia dai Barbetti eretici: editto che niun
buon esito produsse. Portossi dipoi questo sovrano sul fine dell'anno
presente a Venezia, per godervi di quel carnevale, e ricevette da quel
saggio senato tutti i maggiori attestati di stima. I curiosi politici
immaginarono in tale andata non pochi misteri.



    Anno di CRISTO MDCLXXXVII. Indiz. X.

    INNOCENZO XI papa 12.
    LEOPOLDO imperadore 30.


Col taglio di una pericolosa fistola al _re Luigi XIV_ salvò in
quest'anno la vita un valente chirurgo. Avrebbe ognun creduto, che
quel monarca, avvisato con questo malore della fragilità della vita
umana avesse da deporre o almen da moderare la sua fierezza. Ma non
fu così. Anzi più che mai risentito, dopo aver fatto provar la sua
potenza a tanti inferiori, volle anche farla sperimentare a chi meno
egli dovea, cioè all'ottimo pontefice Innocenzo XI. Siccome più volte
abbiam detto, era gran tempo che gli ambasciatori delle teste coronate
si erano messi in possesso delle franchigie in Roma, pretendendo esenti
dalla giustizia ed autorità del pontefice non solamente i lor palagi,
ma anche un'estensione di molte case nei contorni, che servivano di
sicuro ricovero a tutti i malviventi e banditi. Con questi indebiti
asili non si potea nè esercitar la giustizia, nè mantener la pubblica
quiete in quella nobilissima città. Perchè il pontefice avea dichiarato
di non volere riconoscere nè ammettere all'udienza ambasciatore alcuno,
se non rinunziava alla pretension delle franchigie, non si trovava
più in Roma alcun d'essi, a riserva del _duca d'Etrè_ ambasciatore del
re Cristianissimo, in riguardo di cui avea il santo padre promesso di
chiudere gli occhi durante solo la di lui ambasceria. Venne questi a
morte, e il papa ordinò tosto, che i pubblici esecutori liberamente
entrassero nelle strade e case già pretese immuni. Nè pure in Madrid
in questi medesimi tempi si volea più sofferire un somigliante eccesso
degli stranieri ministri. Ma il re Luigi, a cui certo non piaceva
che in Parigi alcun degli ambasciatori facesse in questa maniera da
padrone, era nondimeno intestato che fosse un diritto della sua corona
la franchigia del suo ministro in Roma, la quale, quantunque dovuta
a lui e alla sua famiglia, pure irragionevole cosa era il pretendere
che si avesse a stendere a quella esorbitanza che praticavasi allora
in Roma sotto gli occhi del pontefice sovrano. Ma se Innocenzo XI era
inflessibile su questo punto, con essere anche giunto a pubblicare una
bolla che vietava sotto pena della scomunica le franchigie, anche dal
canto suo Luigi XIV si mostrava costante in voler sostenere sì fatto
abuso; nè per quante ragioni sapesse adurre il _cardinal Ranucci_
nunzio apostolico, si lasciò smuovere da sì ingiusta pretensione.

Ora quel monarca, risoluto di far tremare anche Roma, scelse per suo
ambasciatore _Arrigo Carlo marchese di Lavardino_; e quantunque sapesse
le proteste del papa di non ammetterlo come ambasciatore, qualora non
precedesse la rinunzia delle franchigie, pure lo spedì nel settembre
di quest'anno alla volta di Roma con trecento persone di seguito. Fece
anche imbarcare a Marsiglia e Tolone sino a quattrocento cinquanta
tra uffiziali e guardie, che sul Fiorentino s'unirono col Lavardino.
Con questo accompagnamento, come in ordinanza di battaglia, entrò in
Roma il marchese nel dì 16 di novembre, essendo tutte in armi quelle
centinaia di uffiziali e guardie, e con questo fasto andò egli a
prendere il possesso del palazzo Farnese e di tutti gli adiacenti
quartieri. Fece chiedere udienza al papa, nè la potè ottenere; e
siccome egli pubblicamente contravveniva alla bolla pontifizia, così
tenuto fu per incorso nella scomunica. Cominciò più baldanzosamente
con superbo corteggio di carrozze e di ducento guardie a cavallo, tutti
uffiziali, e ben armati, a passeggiar per Roma. Teneva in oltre nella
piazza del palazzo suddetto trecento guardie a cavallo con ispada
sfoderata in mano, spendendo largamente per cattivarsi il popolo, e
facendo ogni dì conviti e magnificenza in casa sua, ridendosi del papa,
e minacciando trattamenti peggiori contra di lui: azioni tutte che non
si sapeva intendere come si permettessero o volessero da chi si gloria
di essere il primo figlio della Chiesa. Non mancavano persone, che
consigliavano il santo padre di non tollerar questi affronti, e di far
gente per reprimere tanto orgoglio; ma il saggio sofferente pontefice,
risoluto di voler più tosto dimenticarsi di esser principe, come
mansueto pastore non altro rispondeva, se non le parole del salmo: _Hi
in curribus et in equis: Nos autem in nomine Dei nostri invocabimus_.
Certamente fra le glorie di Luigi XIV non si può contare l'aspro
trattamento da lui fatto a _papa Alessandro VII_. Molto meno poi si
potrà lodare il più sonoro praticato coll'ottimo _papa Innocenzo XI_;
perchè ragione non c'è da poter mai giustificare le franchigie, tali
quali s'erano introdotte in Roma, nè la violenza usata dal Lavardino
con evidente ingiuria alla sovranità e all'eccelso grado di chi è
vicario di Cristo. Perchè poi esso Lavardino fece nel dì del Natale
del Signore celebrar messa solenne nella chiesa di San Luigi, e vi
assistè con tutta pompa, si vide sottoposta quella chiesa coi sacerdoti
all'interdetto.

Un altro grave affanno provò in questi tempi il pontefice, per
essersi scoperto in Roma autore di una pestilente setta (appellata
dipoi il _Quietismo_) Michele Molinos prete spagnuolo, che colla sua
ipocrisia s'era tirato addietro una gran copia di seguaci, anche di
alto affare. Lo zelantissimo pontefice, allorchè da saggi e dotti
porporati restò ben informato dei falsi insegnamenti di costui, e delle
perniciose conseguenze della palliata di lui pietà, ne comandò tosto
la carcerazione; e di gran faccende ebbero successivamente i teologi e
il tribunale della santa inquisizione per opprimere ed estirpare questa
mala gramigna, che insensibilmente s'era anche diffusa per altre parti
di Italia. Furono severamente proibiti i libri d'esso Molinos, e con
bolla particolare del sommo pontefice nel dì 28 d'agosto fulminate
sessantotto proposizioni estratte da essi libri. Si proseguì poi con
severità, ma non disgiunta dalla clemenza, il processo contro l'autore
di tal setta, e di chiunque l'avea o imprudentemente o maliziosamente
adottata, di modo che, proseguendo le diligenze, da lì a qualche tempo
se ne smorzò affatto l'incendio, e ne restò la sola memoria del nome.
Non rallentò papa Innocenzo XI le sue premure per la guerra contro il
Turco nell'anno presente; nè solamente inviò in aiuto de' Veneti le
sue galee, ma ottenne ancora che la repubblica di Genova v'inviasse
le sue. Tornossene da Roma in Inghilterra, ossia in Francia il conte
di Castelmene ambasciatore del _re Giacomo II_. E _Francesco II duca_
di Modena, dopo aver goduto singolari finezze in Napoli, si restituì
nel febbraio ai suoi Stati, senza aver potuto condur seco la _duchessa
Laura_ sua madre, la quale nel susseguente luglio, con fama di rara
pietà e saviezza, diede fine al suo vivere in Roma, lasciando lui erede
de' suoi beni nel Modenese, e de' posseduti da lei in Francia la regina
della Gran Bretagna _Maria Beatrice_ sua figlia.

Mirabili furono in quest'anno ancora gli avanzamenti dell'armi
cristiane contro la potenza ottomana. Nell'anno precedente s'era
portato a Vienna, e poscia all'assedio di Buda, _Ferdinando Carlo
duca_ di Mantova con un copioso accompagnamento de' suoi bravi, e volle
intervenire anche alla campagna dell'anno presente. Della bravura di
lui e de' suoi non fu parlato con gran vantaggio in Italia. Ora il
valoroso generalissimo duca _Carlo di Lorena_ e _Massimiliano elettor
di Baviera_, risaputo che il primo visire con esercito, creduto
di sessanta mila combattenti, tragittato il Savo, s'inoltrava per
frastornar le imprese de' cristiani, si mossero contra di lui. Poi
consigliatamente fecero una ritirata, la quale, presa per indizio
di timore dal musulmano, lo animò a passare anche il Dravo. Nel dì
12 d'agosto a Moatz vennero alle mani le due possenti armate, e ne
andò sconfitta la turchesca. Insigne fu questa vittoria, perchè tra
uccisi dal ferro ed annegati nel Dravo vi rimasero più d'otto mila
Turchi; incredibile il bottino per sessantotto cannoni, dieci mortari,
immensità di provvigioni da bocca e da guerra, cavalli, buoi, bufali
e cammelli, cassette d'oro e tende. Il padiglione del gran visire
toccò all'elettore, che fu il primo ed entrarvi. Fu detto che tenesse
un quarto di lega di giro, e quivi fu cantato un solenne _Te Deum_.
Occuparono poscia i cesarei la città e castello di Essech; costrinsero
alla resa la città di Agria, e poscia la fortezza di Mongatz. Quello
che maggiormente accrebbe la gloria al duca di Lorena, fu ch'egli
animosamente entrò nella Transilvania, ed obbligò la città di
Claudiopoli, ossia Clausemburgo, e quella di Ermenstad capitale della
provincia e tutte le altre della Transilvania ad ammettere presidio
cesareo. Ritiratosi nel castello di Fogaratz l'_Abaffi_ principe di
quella contrada, si vide astretto, nel dì 27 d'ottobre, a capitolare
col duca, mettendosi sotto la protezion di Cesare, ed accordando
le contribuzioni e i quartieri d'inverno. Nel dì 9 di dicembre di
quest'anno in Possonia tenuta fu la gran dieta del regno di Ungheria,
a cui intervenne l'_imperadore Leopoldo_; ed ivi restò proclamato e
coronato re d'Ungheria lo _arciduca Giuseppe_, primogenito di esso
Augusto.

Colle sue benedizioni accompagnò la divina clemenza anche l'armi della
repubblica veneta; giunta in questo felicissimo anno a liberar tutto
il regno della Morea dalla tirannia de' Turchi, e ad inalberarvi le
bandiere della croce. Sbarcò l'armata veneta nel dì 20 di luglio alle
spiaggie dell'Acaia, con disegno di assalire la città di Patrasso; ma
perciocchè il saraschiere s'era in quelle vicinanze acquartierato,
si videro i generali cristiani in necessità di rimuovere prima
quest'ostacolo. Ora il _conte di Konigsmarch_, primo fra essi, seppe
trovar maniera di passar colà, e di attaccar la mischia co' nemici,
i quali dopo qualche resistenza diedero a gambe, lasciando indietro
alcune centinaia di morti, artiglierie ed insegne. A cagion di questo
avvenimento si ritirarono in salvo anche le guernigioni turchesche
di Patrasso e del castello di Morea. Maravigliosa cosa fu il mirare,
come presi da panico timore quegl'infedeli, appiccato il fuoco alle
munizioni del castello di Romelia, che gran resistenza far potea,
facessero saltare in aria i suoi torrioni, e poi se ne fuggissero.
Giunse lo sbigottimento a tale, che si trovò abbandonata da essi la
città di Lepanto, dianzi infame nido di corsari. Lo stesso saraschiere
uscì coll'esercito suo di Morea; e in fine la città di Corinto, cioè
la chiave di quel regno, venne senza fatica in poter de' cristiani,
che vi trovarono quaranta pezzi di bronzo, parte inchiodati e parte
fatti crepare. Anche Mistrà, che si crede nata dalle rovine della poco
lontana Sparta, impetrò buone capitolazioni dalle vincitrici armi
cristiane. Restò dipoi deliberata la conquista d'Atene e della sua
acropoli, cioè della fortezza che difende quel borgo, giacchè un borgo
è divenuta l'antica celebre città d'Atene. Fu colla forza ancor questa
obbligata alla resa; imprese, che per tutta l'Italia, e spezialmente in
Venezia, furono solennizzate con incessanti feste. Nè qui si fermarono
le glorie venete. Oltre all'avere il _generale Cornaro_ fatti ritirare
i Turchi dall'assedio della fortezza di Sign, invogliò il senato veneto
di liberar l'Adriatico da un barbarico asilo di corsari, coll'acquisto
di Castel nuovo in Dalmazia. A questo fine fu ottenuto che le galee
del papa e di Malta concorressero all'impresa, ed ivi s'impiegarono
anche due mila e cinquecento soldati oltramontani che erano destinati
per l'armata di Levante: risoluzione di non lieve detrimento, perchè, a
ragion di questa mancanza, siccome diremo, finì poi male la conquista
di Negroponte, saggiamente ideata dal capitan generale _Morosino_.
Con centoventi legni sul fine di agosto si presentarono i Veneziani
sotto la suddetta riguardevol città e fortezza di Castelnuovo. Di gran
fatiche costò la sua espugnazione, ma in fine ne uscirono i presidiarii
e gli abitanti, lasciandone il possesso ai cristiani, che vi trovarono
gran copia di munizioni e cinquantasette cannoni di bronzo. Ora
tanto abbassamento della potenza ottomana cagionò sollevazioni in
Costantinopoli, fu deposto il sultano Maometto, e sollevato al trono
suo fratello. Non mancò la Porta in questi tempi di muovere a Vienna
proposizioni di pace, e v'inclinavano alcuno de' consiglieri cesarei,
giacchè si prevedeva vicino lo scoppio di nuove guerre dalla parte
del re Cristianissimo. Ma prevalse il sentimento del duca di Lorena, a
cui sembrava molto disdicevole il deporre le armi in mezzo al corso di
tante vittorie, e mentre sì invitti e sgomentati si trovavano i dianzi
sì orgogliosi musulmani.



    Anno di CRISTO MDCLXXXVIII. Indiz. XI.

    INNOCENZO XI papa 13.
    LEOPOLDO imperadore 31.


Più feroce che mai si scoprì il _re Luigi XIV_ nell'anno presente
contra del buon pontefice _Innocenzo XI_, sperando pure col
moltiplicare le violenze di ottenere ciò che egli non dovea pretendere,
perchè contrario alla giustizia, alla pietà e alla riverenza professata
dai re Cristianissimi alla Sedia apostolica. Ordinò dunque al marchese
di Lavardino di far ben conoscere al popolo romano il suo disprezzo
per le censure pontifizie, di sostener più che mai vigorosamente
il possesso delle franchigie, e di camminare per Roma con più fasto
che mai, come se si trattasse di città sottoposta ai gigli, e in cui
avesse da prevalere all'autorità del pontefice sovrano quella del re
di Francia. Il santo padre mirava tutto senza scomporsi, risoluto di
vincere colla pazienza l'indebita persecuzione. Gli furono proposte
leghe; ma egli riponeva tutta la sua difesa nella protezion di Dio e
nella giustizia della sua causa. Portossi una mattina il Lavardino
colla guardia di trecento uffiziali da trionfante alla basilica
Vaticana, ed ebbe non so se il contento, oppure il rammarico di veder
fuggire i sacerdoti dagli altari, per non comunicare con chi era
aggravato di censure. Non contento di passi cotanto ingiuriosi il re
Luigi, fece interporre dal parlamento di Parigi un'appellazione al
futuro concilio contro la pretesa ingiustizia del papa, il quale non
altro intendea che di poter esercitare la giustizia in casa sua, come
usano nelle loro città gli altri principi, e massimamente la corte di
Francia. Richiamato da Parigi il nunzio pontifizio _cardinal Ranucci_,
il re non volle lasciarlo partire, e gli mise intorno le guardie
col pretesto della sua sicurezza. Tanto innanzi andò l'izza di quel
monarca, tuttochè fregiato del titolo di Cristianissimo, che mandò le
sue armi a spogliare il pontefice del possesso di Avignone, come se
questi avesse imbrandite l'armi per far guerra alla Francia. Al punto
di sua morte non si sarà certamente rallegrato quel gran re di avere
così maltrattato il capo visibile della religione da lui professata,
e per una pretensione che niun saggio potrà mai asserire appoggiata al
giusto.

Nella primavera di quest'anno arrivò al fine de' suoi giorni
_Marc'Antonio Giustiniano_ doge di Venezia. Tale era il merito
acquistatosi dal capitan generale _Francesco Morosino_ in tante sue
passate prodezze, che i voti di tutti concorsero a conferirgli quella
dignità, unita al comando dell'armi: unione troppo rara in quella
prudente repubblica. Mentre egli dimorava nel golfo di Egina, gli
arrivò questa nuova nel dì primo di giugno, e gran feste ne fece tutta
l'armata. Otto galee di Malta comparvero in aiuto dei Veneti con un
battaglione di mille fanti, e poscia quattro altre galee, e due navi
del gran duca di Toscana con ottocento fanti e sessanta cavalieri.
Ma andò a male un grosso convoglio di genti e munizioni spedito nella
primavera da Venezia: colpo, che fu amaramente sentito dal Morosino.
Contuttociò si prese nel consiglio militare la risoluzione di tentar
l'acquisto dell'importante città di Negroponte, capitale della grande
e ricca penisola appellata dagli antichi Eubea, conosciuta oggidì collo
stesso nome di Negroponte. Ma non furono ben conosciute le maniere per
progredire in così difficile impresa, e si cominciarono gli approcci
dove non conveniva. Si venne al generale assalto di un gran trincierone
fabbricato dagli infedeli, e fu superato con istrage loro, ed acquisto
di trentanove pezzi di cannone e di cinque mortari; ma per questo e
per tanti altri assalti, e più per le malattie cagionate dall'aria
cattiva essendo periti lo stesso generale _conte di Konigsmarch_ ed
assaissimi altri valorosi uffiziali con gran copia di soldati; venuto
che fu l'autunno, si trovò forzato il doge Morosino a ritirarsi ben mal
contento da quello sfortunato assedio, senza poter fare altra impresa
nella campagna presente. Maggior fortuna si provò in Dalmazia, dove il
provveditor generale _Girolamo Cornaro_ s'impadronì della fortezza di
Knin, benchè armata di tre recinti, e poscia di Verlicca, Zounigrad,
Grassaz e delle torre di Norin. Tali acquisti non compensarono già
l'infelice successo di Negroponte, per cui rimase sommamente afflitta
la veneta repubblica.

Ebbe all'incontro la corte cesarea motivi di singolar allegrezza per
la prosperità delle sue armi nell'anno presente. Alba Regale città
dell'Ungheria, che può contendere il primato colla regal città di
Buda, fu bloccata nella primavera; ed allorchè quel bassà e presidio
videro giunte le artiglierie da Giavarino, il dì 10 di maggio si
esentarono da maggiori perigli, cedendo quella città ai cristiani
con assai onorevoli condizioni. Si formò in questi tempi anche il
blocco di Zighet e Canissa, piazze di molta conseguenza. Spedito
eziandio il _conte Caraffa_ alla città di Lippa, dacchè ebbe alzate
le batterie e formata la breccia, vi entrò, essendosi ritirati tutti
i Turchi nel castello, il quale bersagliato dalle bombe, da lì a poco
ottenne di rendersi con buoni patti; siccome ancora fece Titul. Nè
pure il general _conte Caprara_ stette in ozio, avendo col terrore
fatto fuggire dalle due fortezze di Illoch e Petervaradino i nemici.
Nella stessa maniera l'importante posto di Karancebes, chiave della
Transilvania, fu preso dal general _Veterani_. In somma davanti ai
passi delle cesaree armate marciava dappertutto la vittoria. Imprese
più grandi meditava intanto il prode _elettor di Baviera_, giunto nel
dì 29 di luglio all'esercito primario di Cesare, che era composto di
quaranta mila bravi Alemanni, oltre agli Ungheri del partito austriaco.
Le mire sue erano contro l'insigne città di Belgrado capitale della
Servia. Passò felicemente di là dal Savo la coraggiosa armata, ancorchè
in faccia le stesse il saraschiere con circa dodici mila cavalli e
alcuni corpi di Tartari ed Ungheri ribelli, comandati dal Tekely.
Quindi s'inoltrò a Belgrado, con trovare abbandonata da coloro una
gran trincea, che potea far lunga difesa, e dati alle fiamme tutti i
borghi della città, dove si contavano migliaia di case. Accostavasi il
fine d'agosto, quando giunsero da Buda le artiglierie, le quali tosto
cominciarono a fracassar le mura della città. Nel dì 6 di settembre
tutto fu all'ordine pel generale assalto, a cui inanimato ciascuno
dalla presenza e dalle voci dell'intrepido elettore, allegramente
volò. Superata la breccia, vi restava un interno fosso; ma nè pur
questo trattenne l'ardor dei soldati, che penetrarono vittoriosi
nel cuor della piazza, e sfogarono dipoi la rabbia, la sensualità e
l'avidità della roba coi miseri abitanti. Restituita la croce in quella
nobil città, nel dì 8 d'esso mese quivi si renderono grazie a Dio
per sì maravigliosi successi. Passò dipoi con magnifico corteggio e
passaporto un'ambasceria del nuovo gran signore Solimano all'_imperador
Leopoldo_, per chieder pace. Anche nella Schiavonia in questi tempi
_Luigi principe di Baden_, generale di gran grido, si rendè padrone
di Costanizza, Brodt e Gradisca al Savo, e diede appresso una rotta
al bassà di Bossina, o, come altri dicono, Bosna. Sicchè per tanti
felici avvenimenti ben parea dichiarato il cielo in favore dell'armi
cristiane, nè da gran tempo s'erano vedute sì ben fondate le speranze
dei fedeli per iscacciar dall'Europa il superbo tiranno dell'Oriente.

Ma, bisogna pur dirlo: fu parere di molti che sempre sarà invincibile
la potenza ottomana, non già per le proprie forze, ma per la protezione
d'una potenza cristiana che non ha scrupolo di sacrificare il riguardo
della religione, affinchè troppo non s'ingrandisca l'imperador de'
cristiani. Almen comunemente fu creduto, che per reprimere cotanto
felici progressi dell'armi cesaree contro del Turco, il _re Luigi
XIV_ movesse in questo anno l'armi sue contro la Germania. Se vere o
apparenti fossero le ragioni del re suddetto di turbar la quiete della
cristianità, meglio ne giudicheranno altri che io. Le pretensioni
della cognata duchessa d'Orleans, almen sopra i beni allodiali del fu
suo padre e fratello, erano tenute in Francia per giuste; ma non per
motivi da mettere sossopra la Germania. Volea quella corte sostener le
ragioni del cardinale _Guglielmo di Furstemberg_, eletto alla chiesa
di Colonia da una parte dei canonici in concorrenza del principe
_Clemente di Baviera_ fratello dell'elettore; benchè al primo mancasse
il breve dell'eligibilità e si trattasse d'un affare spettante al
corpo germanico, e che si sarebbe dovuto decidere dal romano pontefice
e dal capo dell'imperio. Si fecero anche gravi querele dal re Luigi,
perchè l'imperadore, il re di Spagna e molti principi della Germania,
nei dì 28 di giugno del 1686, in Augusta avessero formata una lega a
comune difesa. Veniva questa considerata a Versaglies per un delitto.
Pertanto nel settembre di quest'anno esso re, pubblicato un manifesto,
a cui fu poi data buona risposta, improvvisamente mosse l'armi contra
dell'imperatore, le cui forze si trovavano impegnate in Ungheria, senza
che fosse preceduta offesa o ingiuria alcuna dalla parte di Cesare.
Filisburgo fu preso; s'impadronirono le armi franzesi di Magonza,
Treveri, Bonna, Vormazia, Spira e di altri luoghi. Penetrarono nel
Palatinato, occupando Heidelberga, Manheim, Franckendal ed ogni altra
piazza di quell'elettorato. Avvegnachè la maggior parte di quegli
abitanti fossero seguaci di Calvino, pur fecero orrore anche presso
i cattolici le crudeltà ivi usate, perchè ogni cosa fu messa a sacco,
a ferro e fuoco, con desolazion tale, che le più barbare nazioni non
avrebbero potuto far di peggio. Stesesi questo flagello anche a varie
città cattoliche, dove, benchè amichevolmente fossero aperte le porte,
neppure gli altari e i sacri templi e i sepolcri, non che le case dei
privati, andarono esenti dal lor furore. Per atti tali, accaduti in
tempo che niun pensava alla difesa, e contra di tanti innocenti popoli,
coi quali niuna lite avea la Francia, un gran dire dappertutto fu della
prepotenza franzese.

Ma qui non finirono le tragedie dell'anno presente. Avea, nel dì 18
di giugno, la regina d'Inghilterra _Maria Beatrice d'Este_ dato alla
luce un principino, che oggidì con titolo di re Cattolico della Gran
Bretagna e col nome di _Jacopo III_ soggiorna in Roma. All'avviso
di questo parto mirabilmente esultarono i regni cattolici, per poco
tempo nondimeno; perciocchè verso il fine d'autunno riuscì a _Gugliemo
principe d'Oranges_ coll'aiuto degli Olandesi di occupare il trono
della Gran Bretagna, con obbligare alla fuga il cattolico _re Giacomo
II_, il quale colla moglie e col figlio si ricoverò in Francia.
Allora fu che per questo lagrimevole avvenimento maggiormente si
scatenò l'universale risentimento contra del re Luigi, che collegato
col suddetto re britannico, tuttochè vedesse gli Olandesi fare da
gran tempo uno straordinario armamento di genti e di navi, pure niun
riparo, siccome egli poteva, vi fece: tanta era la sua smania per far
conquiste nella Germania, e, se lice il dirlo (giacchè universale fu
questa doglianza), per salvare da maggior tracollo il nemico comune.
Esibì egli veramente al re Giacomo venti mila Franzesi, che non furono
accettati, perchè truppe straniere avrebbero maggiormente irritata
la feroce nazione inglese. Tuttavia se il re Luigi avesse inviato un
esercito a chiedere conto all'Olanda di quel grandioso preparamento
d'armi, per sentimento dei saggi, non sarebbe seguita la dolorosa
rivoluzione dell'Inghilterra, la quale a me basterà di averla solamente
accennata. Così Dio permise, e a quel gabinetto ognun di noi dee
chinare il capo. Seguì nel presente anno il maritaggio di _Ferdinando
de Medici_ principe di Toscana colla principessa _Violante Beatrice_,
figlia di _Ferdinando elettore e duca di Baviera_, la quale condotta
dipoi a Firenze, fu ivi accolta con sontuose solennità. Rovesciò in
quest'anno un terribile tremuoto quasi tutte le fabbriche e mura di
Benevento, e recò l'eccidio ad altre circonvicine città, e gravissimo
danno anche a quella di Napoli. Fu considerato per miracolosa protezion
del cielo che il piissimo cardinale _Vincenzo Maria Orsino_ arcivescovo
di Benevento, seppellito fra le rovine, salvasse la vita, avendolo
destinato Dio a governar la Chiesa universale sulla sedia di San
Pietro, siccome a suo tempo vedremo.



    Anno di CRISTO MDCLXXXIX. Indiz. XII.

    ALESSANDRO VIII papa 1.
    LEOPOLDO imperadore 32.


Il bell'ascendente, in cui si trovavano l'armi cesaree e venete, di
dare una scossa maggiore alla sbigottita e cadente potenza de' Turchi,
cominciò a declinare per colpa (non si può già negare) della terribile
invasione dell'armi franzesi nella Germania. Buona parte di quelle
truppe e forze che l'_Augusto Leopoldo_ avrebbe potuto impiegare
contra de' Turchi, convenne rivolgerla alla difesa delle provincie
germaniche. Nè i Veneti poterono far leve di gente in essa Germania,
perchè ognun di quei principi pensava alla casa propria che ardeva, o
pur temeva di un pari incendio. Erano venuti gli ambasciatori della
Porta a Vienna per trattare di pace o di tregua, e colà ancora si
portarono i plenipotenziarii di Polonia e della repubblica veneta; ma
perchè troppo alte erano le pretensioni delle potenze cristiane, ad
altro non servì il congresso che ad un mercato di parole. Per conto de'
Veneziani, sì indebolito era l'esercito loro in Levante, che formarono
bensì il blocco di Napoli di Malvasia, dove seguì qualche azion di
valore, ma senza poterla soggiogare sino all'anno seguente. Sorpreso
in questo mentre da febbre il doge _Francesco Morosino_, capitan
generale dell'armata, impetrò di tornarsene a Venezia, e quivi sul
finir dell'anno fu accolto con tutto l'onore, ma senza quegli applausi
che pur erano dovuti a conquistatore sì glorioso, non per altro che
per l'infelice esito dell'impresa di Negroponte: quasichè il merito di
tante belle azioni si fosse perduto, per non averne fatta una di più.
Quanto alle armi cesaree in Ungheria, comandate dal valoroso principe
_Luigi di Baden_, non erano già esse molto vigorose; e pure tenne
lor dietro la felicità con far conoscere quanto più si sarebbe potuto
sperare, se non avesse dovuto Cesare accorrere in Germania per impedire
i maggiori progressi del re Cristianissimo. Non avea il Baden più di
venti in ventiquattro mila combattenti. Con questi, dopo un ostinato
blocco, forzò l'importante fortezza di Zighet a rendersi. Quindi, senza
far caso che il saraschiere si fosse inoltrato con poderoso esercito,
per dar animo al quale era giunto sino a Sofia lo stesso gran signore
col primo visire, marciò al fiume Morava. Dacchè l'ebbe valicato,
venne alle mani coi nemici, e, data loro una gran rotta, s'impadronì
de' lor padiglioni e bagagli, e almeno di cento pezzi di cannone. Gli
restavano solamente sedici mila soldati, ma sì valorosi, che giunto
egli alla città di Nissa, ne ordinò tosto l'assalto. Furono ivi di
nuovo sbaragliati i Turchi, presa la città; fatti prigioni tre mila
spahì coi loro cavalli; il ricco bottino divenne premio alla bravura di
sì pochi Tedeschi. Anche la fortezza di Widdin sulla riva del Danubio,
attorniata dall'esercito cristiano, non si fece pregare a rendersi.
Appressatosi dipoi alla città d'Uscopia, posta ai confini della
Macedonia, la ritrovò vota degli abitanti: tutte testimonianze della
troppo allora infievolita possanza dei Turchi, e del credito con cui
marciavano gli eserciti vittoriosi.

Bolliva intanto la guerra al Reno. _Carlo duca di Lorena_ e gli
_elettori di Brandeburgo_ e _Baviera_ comandavano le armi cesaree.
Tutto ancora l'imperio, l'Olanda e l'Inghilterra si trovavano in
lega per reprimere i Franzesi. Magonza e Bonna furono ricuperate, ma
a costo di assaissimo sangue. _Giacomo II_ re cattolico della Gran
Bretagna, assistito da una flotta franzese ben provveduta di munizioni,
con uno sbarco in Irlanda tentò la sua fortuna; ma ritrovatala sul
principio ridente, poco stette a provarla contraria. Fin qui avea
passati felicemente i suoi giorni in Roma _Cristina regina_ cattolica
_di Svezia_, quando venne la morte a richiederle il tributo a cui
son tenuti tutti i viventi. Passò all'altra vita nel dì 19 d'aprile,
lasciando una illustre memoria della vivacità del suo spirito, della
sua magnificenza e religione: del che diede ancora un bell'attestato
nell'ultimo suo testamento. L'insigne sua raccolta di manuscritti
passò per la maggior parte nella Vaticana, cioè nella biblioteca la
più celebre e ricca del mondo. Ordinò il buon papa _Innocenzo XI_
che a questa principessa eroina si erigesse un convenevole sepolcro
nella basilica Vaticana in faccia a quello della gloriosa contessa
Matilda. Ma non tardò lo stesso pontefice a tenerle dietro nel viaggio
dell'altra vita, dopo aver provata somma consolazione, perchè il re
Cristianissimo avesse richiamato in Francia il _marchese di Lavardino_
suo ambasciatore. Si partì di Roma questo ministro nel dì ultimo
d'aprile, con che cessarono in quella gran città le turbolenze da lui
cagionate, ma con durar tuttavia il mare turbato nella corte di Parigi.
Avea questo insigne pontefice con somma pazienza sofferto anche negli
anni addietro molti penosi incomodi di sanità, per cagion dei quali
poco si lasciava vedere in pubblico, senza che questi nulladimeno
gl'impedissero punto le applicazioni al buon governo. Nel mese d'agosto
divennero sì violenti le febbri, che si cominciò a perdere ogni
speranza di sua salute. Restarono vacanti dieci cappelli cardinalizii;
per quanto si studiassero i porporati e palatini d'indurlo alla
promozione, adducendo anche apparenti motivi di obbligazione per
questo, egli stette saldo in riserbare al suo successore la scelta de'
soggetti, giacchè in quello stato non sembrava a lui di godere quella
serenità di mente che si richiedeva per provedere la Chiesa di Dio
di degni ministri. Senza aver potuto il nipote _don Livio_ vedere per
cinquanta dì la faccia del languente pontefice, finalmente fu ammesso.
Non ne riportò che saggi consigli di seguitar le pedate de' suoi
maggiori in sollievo de' poverelli e degl'infermi, di non mischiarsi
negli affari della Chiesa, e molto meno nel futuro conclave, acciocchè
restasse una piena libertà agli elettori. Gli ordinò ancora d'impegnare
cento mila scudi per le opere pie, secondo la dichiarata sua mente, e
il rimandò colla benedizione apostolica.

Con ammirabil costanza fra i dolori del corpo e con singolar divozione
spirò egli poscia l'anima, in età di sessantotto anni, nel dì 12
d'agosto, avendo corrisposto la sua morte santa alla riconosciuta
santità della sua vita apostolica. Tali certamente furono le virtù e
le piissime azioni di questo buon pontefice, che unironsi le voci ed
acclamazioni di tutte le spassionate persone, e massimamente del popolo
romano, per crederlo degno del sacro culto sugli altari. Essendosi a
questo fine formati col tempo i convenevoli processi, giusta speranza
rimane di vederlo un dì maggiormente glorioso in terra, dacchè
tanti motivi abbiamo di tenerlo più glorioso in cielo. Gran tempo
era che nella cattedra di san Pietro non era seduto un pontefice sì
esente dal nepotismo, sì zelante della disciplina ecclesiastica, sì
premuroso della giustizia e del bene della cristianità, nulla avendo
egli mai cercato pel comodo proprio o dei suoi, ma bensì impiegati i
suoi pensieri in bene del cristianesimo, e le rendite della Chiesa
in aiuto de' potentati cristiani contra de' Turchi, e in sollievo
ancora de' popoli suoi. Aveva un orrendo tremuoto quasi smantellata,
siccome accennammo, la città sua di Benevento, sformate varie città
della Romagna, recati immensi danni anche a Napoli e ad altre città di
quel regno. Sovvenne a tutti il misericordioso padre con profusione
d'oro; siccome ancora verso dei poverelli non venne mai meno la sua
liberalità ed amore. Però non è da meravigliarsi se il popolo romano
con incredibil concorso e divozione il venerò morto, e raccomandossi
alla di lui intercessione, e fece a gara per ottenere qualche reliquia
di lui. Chi non potè averne, quai pegni ben cari, tenne da lì innanzi
in venerazione i suoi Agnus-Dei. Si contano ancora assaissime grazie
impetrate da Dio per mezzo di questo incomparabil pastore della sua
Chiesa. Dopo varii dibattimenti nel conclave, appena giunti i cardinali
franzesi, concordemente seguì l'elezione al pontificato del _cardinale
Pietro Ottoboni_, patrizio veneto, personaggio dei più accreditati
nel sacro collegio. Prese egli il nome di Alessandro VIII. L'età
sua di settantanove anni non avea punto scemato il vigore della sua
mente, con cui andava unita una rara prudenza ed accortezza, e una
piena conoscenza degli affari del mondo. Perciò se ne sperò un buon
governo, se non che sotto di lui tornò in campo il nepotismo, avendo
egli senza perdere tempo creato generale di santa Chiesa _don Antonio_
suo nipote, e creato cardinale _Pietro Ottobono_ suo pronipote, assai
giovine, conferendogli il grado di vicecancelliere, e molte badie e
benefizii vacati sotto il precedente pontefice, e poscia la legazione
d'Avignone; di modo che fu creduta colata in lui una rendita di più
di cinquanta mila scudi annui. Ornò eziandio della porpora e dichiarò
segretario di Stato _Giam-Batista Rubini_ vescovo di Vicenza, suo
pronipote per sorella. Finalmente accasò _don Marco Ottoboni_ altro suo
nipote con _donna Tarquinia_ principessa _Altieri_. Non andò molto che
la corte di Francia, ben affetta a questo nuovo pontefice, riconobbe la
giustizia, non mai voluta riconoscere in addietro, delle pretensioni
del santo pontefice Innocenzo XI, avendo il duca di Chaulne, già
spedito ambasciatore del re Cristianissimo al conclave, rinunziato
alle franchigie: punto di somma quiete ed allegrezza alla città di
Roma e alla santa Sede. Avea in questi tempi _Ferdinando Carlo Gonzaga_
duca di Mantova preso a fortificar Guastalla, e fu creduto con danari
della Francia. Comparve colà all'improvviso il _conte di Fuensalida_,
governator di Milano, con armata sufficiente a farsi ubbidire, e quelle
fortificazioni furono demolite. Di gravi doglianze e schiamazzi fece
il duca alle corti per questa violenza, ma senza riportarne altro che
compatimento. Riparò egli in breve i suoi disgusti colla continuazion
de' piaceri, dietro ai quali era perduto.



    Anno di CRISTO MDCXC. Indiz. XIII.

    ALESSANDRO VIII papa 2.
    LEOPOLDO imperadore 33.


Le applicazioni del novello pontefice _Alessandro VIII_ erano tutte
rivolte a rimettere la buona armonia fra la santa Sede e tutti i
principi cattolici. Cessarono perciò le controversie che da gran
tempo bollivano colla città di Napoli. Il re di Francia restituì
Avignone con tutte le sue dipendenze al sommo pontefice, il quale dal
canto suo mostrò buona propensione verso quel monarca, e si dispose
ancora ad inviare a Parigi un nuovo nunzio; ma insistendo egli che
i vescovi franzesi ritrattassero le proposizioni da lor pubblicate
contro l'autorità dei romani pontefici, vi trovò delle difficoltà
insuperabili. Intanto non mancò il santo padre di procurar la pace
fra i principi cristiani, e di sovvenir con danari, e colla spedizion
delle sue galee e di quelle di Malta, la veneta repubblica, le cui
armi avendo ostinatamente proseguito il blocco di Napoli di Malvasia,
e stretto poscia maggiormente l'assedio, finalmente ebbero la gloria
di entrar vittoriosi, nel dì 12 d'agosto, in quella città. Dopo un
tale acquisto il capitan generale _Girolamo Cornaro_ pensò a quello
della Vallona, fortezza, pel sito sulle rive dell'Albania, assai
riguardevole. La presa del vicino forte della Canina pose tal terrore
nei Turchi, che, fuggendo dalla suddetta fortezza, benchè ben fornita
di artiglierie e munizioni, ne lasciarono libero il possesso ai
Veneziani. Ma quivi, sorpreso poscia da malattia, lasciò la vita anche
l'antedetto generale Cornaro. Terminò questa campagna coll'avere i
Veneti forzata alla resa Vergoraz, situata sulla cima d'un alto greppo,
con che stesero il loro dominio sopra un gran tratto di quel littorale.
Non si mostrò già così favorevole la fortuna all'armi di Cesare in
Ungheria, anzi si provò affatto contraria. Fin qui avea _Carlo V
duca di Lorena_, generalissimo dell'_Augusto Leopoldo_ suo cognato,
date pruove d'insigne prudenza e valore in tante conquiste fatte in
Ungheria e al Reno, di maniera che il titolo di uno de' primi guerrieri
e capitani del suo tempo gli era giustamente dovuto. Nel venir egli a
Vienna per assistere ad un consiglio di guerra, assalito da catarro
alla gola in vicinanza di Lintz, quivi in età di quarantotto anni
diede fine al suo vivere, ma non già alla sua gloria, che vivrà sempre
immortale nella storia.

Restò dunque appoggiato il primo comando dell'armi in Ungheria al
principe _Luigi di Baden_; ma, per saggio che sia un capo, per valoroso
che sia un general comandante, s'egli manca di braccia, a poco servirà
la sua saviezza e valore. Grande armata aveano allestita i Turchi; a
poco più di quindici mila Tedeschi si stendeva la cesarea in quelle
parti. Essendo morto _Michele Abassi_ principe di Transilvania, colà
accorse il Techely, ed oppresso il generale _Heisler_, che con quattro
reggimenti custodiva quelle contrade, se ne impadronì. Fu dal Baden
ricuperata quella bella provincia, e lasciato ivi con sette reggimenti
il generale _Veterani_; nel qual tempo, cioè nel mese d'agosto,
il primo visire con potente esercito piombò addosso alla Servia.
Obbligò Nissa a capitolar la resa, riacquistò Widdin e Semendria, e
quindi prese ad assediar Belgrado, alla cui difesa stava il _duca di
Croy_, e i conti di _Aspremont_ ed _Archino_ Italiani con sei mila
scelti Alemanni. Forse la bravura di questi combattenti e la stagione
inoltrata avrebbono potuto sostenere quell'importante città, se per
malizia, come fu comunemente creduto, degli uomini non si fosse nel dì
8 di ottobre acceso il fuoco nella torre del castello, che la fe' col
magazzino volare in aria; e comunicato agli altri, dove giaceva polve
da cannone, cagionò un vasto e deplorabil eccidio. Da sì fieri tremuoti
rimasero conquassate le case della città; sopraggiunse anche il fuoco
a fare del resto. In quella orribil confusione aiutati i Turchi da
qualche traditore, non trovarono difficoltà ad entrar nella città,
dove misero a fil di spada quanti soldati e terrazzani incontrarono,
de' quali solamente settecento co' tre suddetti comandanti ebbero la
fortuna di sottrarsi al furore delle loro sciable. Venne poscia alle
lor mani anche l'isola di Orsova e la città di Lippa. Tante perdite
sommamente afflissero la corte di Vienna, e non men quella di Roma;
e il santo padre non tardò a destinar cento mila scudi in soccorso
dell'imperadore, principe, la cui cassa contrastava sempre col bisogno,
ed ora spezialmente che conveniva attendere anche alla guerra contro
i Franzesi. Di questa io nulla parlerò, chiamandomi l'Italia a riferir
ciò che più importa.

Erano già passati molti anni che in queste provincie si godeva la
tranquillità della pace; ad altro non si pensava che a divertimenti e
piaceri. La musica, e quella particolarmente de' teatri, era salita in
alto pregio, attendendosi dappertutto a suntuose opere in musica, con
essersi trasferito a decorare i musici e le musichesse l'adulterato
titolo di _virtuosi e virtuose_. Gareggiavano più delle altre fra
loro le corti di Mantova e di Modena, dove i duchi _Ferdinando Carlo
Gonzaga_ e _Francesco II d'Este_ si studiavano di tenere al loro
stipendio i più accreditati cantanti e le più rinomate cantatrici,
e i sonatori più cospicui di varii musicali strumenti. Invalse in
questi tempi l'uso di pagare le ducento, trecento, ed anche più doble
a cadauno de' più melodiosi attori ne' teatri, oltre al dispendio
grande dell'orchestra, del vestiario, delle scene, delle illuminazioni.
Spezialmente Venezia colla suntuosità delle sue opere in musica e con
altri divertimenti tirava a sè nel carnevale un incredibil numero di
gente straniera, tutta vogliosa di piaceri e disposta allo spendere.
Roma stessa, essendo cessato il rigido contegno di papa Innocenzo XI,
cominciò ad assaporare i pubblici solazzi, ne' quali nondimeno mai non
mancò la modestia; e videsi poscia Pippo Acciaiuoli, nobile cavaliere,
con tanto ingegno architettar invenzioni di macchine in un privato
teatro, che si trassero dietro l'ammirazione d'ognuno, e meritavano ben
di passare alla memoria de' posteri. Ma eccoti la guerra, gran flagello
de' poveri mortali, che viene a sconvolgere la quiete della Italia e i
suoi passatempi. Gran tempo era che il giovane duca di Savoia _Vittorio
Amedeo II_, principe che in vivacità di mente non avea forse chi
andasse al pari con lui, non sapea digerire il dominio dei Franzesi nel
forte di Barraux, e in Pinerolo (fortezza situata nel cuore de' suoi
Stati e sì vicina a Torino), e in Casale di Monferrato, troppo contiguo
ai medesimi suoi Stati. Spine erano queste, per le quali non pareva
a lui mai di poter vivere quieto in casa propria; e però ad altro
non pensava che a scuotere questa specie di schiavitù. In occasione
che l'imperadore, l'imperio, la Spagna, l'Inghilterra e l'Olanda
erano entrati in guerra colla Francia, anch'egli si trovava impegnato
nell'armi per domare i Valdesi, con altro nome chiamati Barbetti,
sudditi suoi, ma eretici. Fece per questo gran leva di gente: nel qual
medesimo tempo anche il _conte di Fuensalida_ governator di Milano era
occupato in un gagliardo armamento: il che diede per tempo a temere che
si volesse dar principio eziandio a qualche sconvolgimento in Piemonte.
Stava perciò attentissima la corte di Francia a tutti gli andamenti
del duca, e il suo ministro in Torino spiava continuamente ogni sua
azione. Essendosi portato esso duca in un carneval precedente a Venezia
per divertirsi, non potè scostarsi dai fianchi quel ministro; e fu
poi creduto che questo principe segretamente trattasse in quella città
coll'elettor di Baviera e con altri principi. Aveva egli anche ottenuto
dall'imperadore il titolo di re di Cipri e di altezza reale, fin qui a
lui contrastato da quella corte; ed anche l'investitura di ventiquattro
feudi nelle Langhe, per li quali pagò cento venti mila doble alla
camera cesarea. Scoprirono inoltre i Franzesi un commercio di lettere
fra esso duca e _Guglielmo principe di Oranges_, che sedeva sul trono
della Gran Bretagna, quasichè fosse un delitto al sovrano della Savoia
la corrispondenza con chi era nemico della Francia.

Poco si stette a vedere quali risoluzioni producessero questi sospetti
nella corte di Parigi; perciocchè, venuta la primavera, calarono in
Piemonte sedici o diciotto mila Franzesi, il comando dei quali fu
dato al _signor di Catinat_, luogotenente generale e governator di
Casale. Si cominciò allora a parlar alto col duca _Vittorio Amedeo_,
e fu creduto che questi esibisse di starsene neutrale. Ma perciocchè
il Catinat (e questo è certo) richiese per sicurezza della fede del
duca di mettere presidio nella cittadella di Torino e in Verrua,
una briglia sì disgustosa non si sentì voglia quel principe generoso
di volerla accordare, risoluto piuttosto di sacrificar tutto che di
accrescere le sue catene. S'andò egli schermendo, finchè potè, per
dar tempo al _conte di Fuensalida_ di unir le sue truppe in aiuto
suo, e di conchiudere i suoi negoziati di lega con altri principi.
L'abbate _Vincenzo Grimani_ Veneziano, testa da gran maneggi, quegli
principalmente fu che mosse il duca ad entrare in questo impegno, e
che manipolò il restante di quegli affari; perciocchè, ad istanza
dei Franzesi, fu poi proscritto dal senato veneto. Non mancarono
persone che credettero stabilita molto prima d'ora l'alleanza del duca
coll'imperadore, Spagna, Inghilterra ed Olanda; ma i pubblici atti
presso il Du-Mont ed altri ci fan vedere la sua lega col re di Spagna
sottoscritta nel dì 3 di giugno del presente anno; l'altra con Cesare
nel dì 4 seguente, e quella con la Gran Bretagna ed Olanda nel dì 20
di ottobre. Si obbligarono i primi di somministrar possenti aiuti di
milizie al duca, e gli altri la somma di trenta mila scudi per mese.
Era intanto pressato il duca dal Catinat con vive minaccie, affinchè
dichiarasse le sue intenzioni; e la dichiarazion sua fu di non poter
ammettere le dure condizioni proposte dal re Cristianissimo, e ch'egli
intendeva di volersi difendere dalle ingiuste di lui violenze. Si
proclamò dunque la guerra; uscirono manifesti; accorsero a Torino sei
mila cavalli ed otto mila fanti dello Stato di Milano; l'imperadore e
gli elettori di Brandeburgo e Baviera fecero marciare alcuni reggimenti
in Italia al soccorso suo, e tutto si vide in armi il Piemonte. Fu
dichiarato il duca generalissimo delle armi collegate, e destinato
il principe _Eugenio di Savoia_ sotto di lui al comando delle truppe
imperiali. Un corpo di alquante migliaia di soldati milanesi fu
inviato a ristrignere la guarnigion franzese di Casale, ch'era molto
ingrossata. Seguirono varie azioni di ostilità nei mesi di giugno e
luglio, che io tralascio, finchè nel dì 8 d'agosto si venne ad un fatto
d'armi. Ardeva di voglia il giovine duca Vittorio Amedeo di sperimentar
la sua fortuna. Trovando egli il suo campo molto superiore di numero
al franzese. Non aveva egli peranche imparato che alle truppe di nuova
leva, quali buona parte erano le sue, e quelle dello Stato di Milano,
si può far apprendere ben facilmente l'esercizio dell'armi, ma non già
il coraggio. Perciocchè l'accorto Catinat avea risoluto o fatto finta
di voler sorprendere Saluzzo, si mosse a quella volta anche il duca
di Savoia con tutto l'esercito, e, passato il Po, trovò che il Catinat
si ritirava; quando ecco, disposto un aguato di genti e di artiglierie
franzesi presso la badia della Staffarda in certi paduli, diede un sì
strano saluto alla vanguardia, oppure all'ala sinistra del duca, che
la disordinò. Avanzatosi dipoi Catinat colla cavalleria, ristringendo
la nemica, che avea ai fianchi il Po, la costrinse a prender la fuga.
Si combattè, ciò non ostante, per cinque o sei ore. La fanteria dello
Stato di Milano attese a salvarsi; le sole truppe spagnuole e tedesche,
piuttosto che cedere, salde nei loro posti, venderono ben caro le loro
vite. Rimasero i Franzesi padroni del campo. Il duca Vittorio Amedeo,
che non s'era mai trovato a battaglie, fece maraviglie di valore, e
si ritirò poscia a Carignano con parte delle sue truppe. Circa quattro
mila dei suoi rimasero estinti o annegati, e fra essi più di sessanta
uffiziali; forse più di mille furono i prigioni, colla perdita di otto
pezzi di cannone, di trentasei bandiere e di parte del bagaglio: se
pur mai si può sapere la precisa verità delle perdite nelle giornate
campali.

Le conseguenze di questa vittoria furono, che il Catinat trovò evacuato
dalla guarnigion savoiarda Saluzzo, e i cittadini ne portarono a lui
le chiavi. Non finì l'anno che anche la città e il castello di Susa
vennero alla di lui ubbidienza. In questo mentre con altro corpo
d'armata attesero i Franzesi a conquistar la Moriena e la Tarantasia.
Sciamberì ancora con tutta la Savoia senza resistenza s'arrendè ai
medesimi, a riserva di Monmegliano, fortezza per la sua situazione
quasi inespugnabile, che restò da lì innanzi bloccata. Per questi
cotanto sinistri avvenimenti era un gran dire dappertutto del duca
di Savoia, censurando assaissime persone, chi per amore, chi per
contrarietà di genio, la di lui condotta. Non trovavano essi prudenza
nell'essersi egli imbarcato contro la formidabil potenza del re di
Francia, la qual facea paura, e dava delle percosse a tutti i suoi
nemici. Già parea a chi così la discorreva, di veder mendichi tutti
i sudditi del duca, e lui stesso vicino ad essere spogliato di tutto
il suo dominio, e ridotto colla corda al collo a chiedere quella
misericordia che forse non avrebbe potuto ottenere. Lo stesso sommo
pontefice, commiserando il suo stato, gli esibì di trattar di pace.
Ma il coraggioso principe, che ben sapea non potersi senza noviziato
addestrare al mestiere dell'armi, invece di confondersi per le finora
sofferte sciagure, tutto si diede a rimettere la sua armata, e ad
animar le sue speranze per migliori soccorsi in avvenire. Gli giunsero
infatti più di due mila Tedeschi calati dalla Germania; il Fuensalida
gli spedì tosto circa quattro mila fanti; laonde in breve si trovò
forte di venti mila combattenti, coi quali tornò in campagna assai
vigoroso, e frastornò i maggiori progressi del Catinat. Nella dieta
d'Augusta, dove si portò sul fine del presente anno l'_imperador
Leopoldo_, fu proposta l'elezione in re dei Romani di _Giuseppe re
d'Ungheria_, suo primogenito, ancorchè sembrasse l'età sua non peranche
capace di tanta dignità. Concorsero in essa i voti degli elettori
nel dì 24 di gennaio dell'anno presente, e seguì la coronazione sua
con gran giubilo degli amatori dell'augusta casa di Austria. Attento
sempre il pontefice _Alessandro VIII_ a sbarbicare gli errori dalla
Chiesa di Dio, procedette in questi tempi contro chiunque restava o per
inavvertenza o per corrotto animo macchiato dei perversi insegnamenti
di Michele Molinos. Condannò ancora in questo e nel seguente anno
molte proposizioni contrarie alla sana teologia scolastica e morale,
ed accrebbe la gloria della Chiesa cattolica colla canonizzazione
di cinque santi. Entrò in quest'anno e prese piede la peste in
Conversano e nei luoghi circonvicini; il che sparse gran terrore per
tutta la Italia, e ognun si diede a precauzionarsi contra di questo
formidabil nemico. Nel dì 3 d'aprile dell'anno presente _Dorotea
Sofia_ principessa di _Neoburgo_, che avea per sorelle un'imperadrice,
una regina di Spagna ed una di Portogallo, fu sposata in Neoburgo a
nome di _Odoardo Farnese_ principe ereditario di Parma, e condotta
in Italia. La magnificenza con cui il duca _Ranuccio II Farnese_ suo
padre celebrò queste nozze in Parma, empiè di maraviglia chiunque ne
fu spettatore, e superò l'espettazion d'ognuno; sì suntuose riuscirono
le opere in musica fatte in quel gran teatro, e nel giardino della
corte, sì ricche le livree, sì straordinarie le macchine, i caroselli,
i balli, le illuminazioni, i conviti e il concorso dei principi e
nobili forestieri. Per tante spese non s'incomodò poco quel sovrano, ma
certamente fece parlare assaissimo dell'animo suo grande, benchè alcuni
vi trovassero dell'eccesso.



    Anno di CRISTO MDCXCI. Indizione XIV.

    INNOCENZO XII papa 1.
    LEOPOLDO imperadore 34.


Tuttochè il pontefice Alessandro VIII fosse pervenuto all'età di
ottantun anni, pure il vigor della sua complessione e la vivacità della
sua mente faceano sperare alla gente più lungo il suo pontificato;
ma non già a lui, che spesso andava dicendo di essere vicine le
ventiquattro ore, e di tenere il piede sull'orlo della fossa. Infatti
sul principio dell'anno presente si affollarono i malori addosso
alla sua sanità, e talmente crebbero, che nel primo di febbraio con
somma esemplarità egli passò ad una vita migliore. Non s'era mai
stancato il suo zelo in addietro per ridurre i prelati di Francia a
ritrattar le quattro proposizioni da lor pubblicate in pregiudizio
dell'autorità della santa Sede, ma senza mai poter vincere la pugna.
Il cardinal Fussano di Fourbin, chiamato anche di Giansone, uomo di
mirabil attività e destrezza, l'avea fin qui trattenuto con belle
parole e proposte di poco soddisfacenti ripieghi. Ora il santo padre,
veggendosi vicino a comparire al tribunale di Dio, non volle lasciar
indecisa quella controversia; e però condannò le proposizioni suddette,
confermando una bolla già preparata fin sotto il dì 4 d'agosto
dell'anno precedente. Inoltre un giorno prima della sua morte scrisse
su questo affare un amorevole paterno breve al re Cristianissimo. Nel
dì 11 del suddetto febbraio si chiusero nel conclave i cardinali.
Grandi ed eccessivamente lunghi furono i dibattimenti loro per
l'elezione del novello pontefice, essendo spezialmente stato sul
tappeto il _cardinale Gregorio Barbarigo_, vescovo di Padova, uomo di
santa vita, desiderato dai zelanti, ma rigettato dai politici. Stanchi
ormai di sì prolisso combattimento, e spronati da caldo estivo, che
più si fa sentire nelle camerette di quella sacra prigione, concorsero
finalmente i porporati nell'elezione d'uno de' più degni soggetti del
sacro collegio, cioè nella persona del _cardinale Antonio Pignatelli_,
patrizio napoletano, ed arcivescovo di Napoli, che s'era segnalato
in varie nunziature, e mastro della camera apostolica avea raffinate
le sue virtù sotto la disciplina del santo papa Innocenzo XI. Seguì
la di lui elezione nel dì 12 di luglio, e fu da lui preso il nome
d'_Innocenzo XII_ in venerazion dell'insigne pontefice che l'avea
promosso alla porpora nel 1681. Sì nota era la sua probità e saviezza,
che ognun si promise da lui un ottimo pontificato, e niuno in ciò
s'ingannò. L'età sua passava i settantasei anni; personaggio d'ottima
volontà, desinteressato, dotato di dolci ed amabili maniere, pieno
di carità verso i poveri, e di un costante zelo per ben della Chiesa.
Nel dì 15 dello stesso luglio fu solennizzata la di lui coronazione;
e quantunque trovasse esausto l'erario della camera papale, pure non
tardò ad inviare quanti soccorsi mai potè al re di Polonia e alla
repubblica di Venezia per la guerra che tuttavia durava contra dei
Turchi. Con occhio paterno ancora rimirò le miserie di que' popoli del
regno di Napoli, contra dei quali inferociva la peste, e sopra d'essi
diffuse le rugiade dell'incessante sua carità. In una parola, tosto
comparve aver Dio eletto colla voce degli uomini un pastore che nulla
cercava per sè, nulla voleva per li suoi parenti, e solamente i suoi
pensieri e desiderii impiegava a far del bene alla sua greggia.

Nulla ebbe in quest'anno da rallegrarsi la veneta repubblica delle sue
armi in Levante, anzi ebbe di che attristarsi. Era stato eletto capitan
generale delle sue armate _Domenico Mocenigo_, che sciolse le vele de
Venezia con un convoglio numeroso di milizie e provvisioni da guerra.
Ma più forti di lui si trovarono poscia i Turchi, e questi risoluti
di riacquistar le fortezze di Canina e Vallona. Vennero in fatti
quegl'infedeli all'assedio d'esse per terra. Da che fu creduto che
non si potessero sostenere, furono minate le fortificazioni di Canina,
tirato il presidio colle artiglierie e munizioni nelle preparate navi.
Scoppiarono le mine e fornelli, riducendo quel luogo in un mucchio
di pietre. La medesima determinazione fu presa ed eseguita per la
Vallona, che tutta andò sossopra; sicchè i Turchi non acquistarono
che due deserti. Arrivò bensì in soccorso dei Veneziani la squadra
di otto galee maltesi con mille bravi fanti da sbarco, ma non già la
pontifizia, ritenuta per la succeduta morte del papa. Nulla di più
operarono dipoi i Veneziani; scorsero l'Arcipelago con desiderio di
affrontarsi colla nemica flotta, senza nondimeno trovare un'egual
voglia in quegl'infedeli. Cagion fu questo infelice andamento di cose
che la repubblica sospirasse più che mai la pace; e di essa appunto si
esibì in questi tempi di trattarne l'ambasciatore d'Inghilterra alla
Porta. Maggior prosperità goderono l'armate cesaree in Ungheria. Aprì
la campagna il principe _Luigi di Baden_ con forte esercito, come fu
fama, di quasi sessanta mila combattenti, la maggior parte Tedeschi
veterani. Superiore contuttociò di numero era il turchesco, condotto
da Mustafà primo visire, glorioso per avere ricuperata la Servia con
Belgrado. Sapeva costui il mestier della guerra, ed ora con gagliardi
trincieramenti deludeva l'ardor dei cristiani per una battaglia; ora,
dando loro delle spetezzate sì nell'offesa che nella difesa, si faceva
conoscere gran capitano. Non mancavano a lui ingegneri franzesi.
Ridusse egli a Salankemen presso il Danubio talmente in ristretto
il principe di Baden, che per mancanza di viveri si vide questi col
consiglio degli altri generali costretto a tentare una battaglia,
benchè con grande svantaggio, perchè s'ebbe ad assalire l'oste nemica
ne' suoi trincieramenti. Il dì 18 d'agosto fu scelto per quella
terribil danza. Se l'ardire dei cristiani si mostrò incomparabile
nell'assalto, minore non comparve quel dei giannizzeri e spahì, che,
usciti delle trincee colla sciabla alla mano fecero rinculare l'ala
destra dei Tedeschi, e poco mancò che non la mettessero in rotta.
Accorso con alcune truppe fresche il Baden, sostenne l'empito dei
musulmani, finchè riuscì all'ala sinistra di entrare in battaglia,
di superar dal canto suo le trincee, e di cominciare un orrido
macello dei nemici, che sconfitti cercarono lo scampo colla fuga. La
vittoria fu completa coll'acquisto di cinquanta cannoni di bronzo,
delle tende e della cassa di guerra. Perì lo stesso primo visire nel
conflitto insieme coll'Agà dei Gianizzeri, e con molti bassà; e la
fama, ingranditrice di sì fatti successi, fece ascendere il numero
degli uccisi sino a diciotto mila, oltre alla gran copia de' feriti.
Non aveano da gran tempo combattuto i Turchi con tanta bravura; e
però dichiarossi ben la vittoria in favor de' cristiani, ma fu da
essi comperata collo spargimento di gran sangue, essendovene restati
uccisi da quattro mila, ed altrettanti feriti, colla perdita di molti
insigni uffiziali. Di grandi allegrezze si fecero in tutta l'Italia,
e massimamente in Roma, per così gloriosa vittoria. Tuttavia restò sì
indebolita l'armata cesarea, che niun vantaggioso avvenimento le tenne
dietro, fuorchè quello della città di Lippa, che fu presa dal _generale
Veterani_; poichè pel gran Varadino, assediato dal Baden, furono ben
presi i due primi recinti di quella città, ma l'ostinata resistenza del
terzo rendè inutili tutti gli altri di lui sforzi per impadronirsene,
e convenne battere la ritirata. Perchè Belgrado si trovava troppo ben
guernito di gente e di munizioni, troppo pericolosa impresa fu creduto
il tentarne l'acquisto.

Continuò in quest'anno ancora la guerra del Piemonte. Il _principe
Eugenio di Savoia_ con grosso corpo di gente tenea in dovere la
guernigion di Casale, che facea di tanto in tanto delle sortite;
e in più riscontri vi perirono da cinquecento Franzesi. Intanto
il Monferrato era malmenato da' Tedeschi, con gravi doglianze di
_Ferdinando Carlo duca_ di Mantova a tutte le corti. E perchè era
creduto questo principe di cuor franzese, e fece anche leva di alquante
milizie, cominciò la corte di Vienna a pretendere ch'egli licenziasse
da Mantova l'inviato del re Cristianissimo; con che imbrogliarono
forte i di lui affari. Le prodezze dei Franzesi contro il duca di
Savoia nell'anno presente consisterono in ridurre alla loro ubbidienza
la città di Nizza col suo castello, e il forte di Montalbano e
Villafranca, luoghi posti sulla riva del Mediterraneo. Ciò avvenne
nel mese di marzo e sul principio di aprile. Inoltre verso il fine
di maggio il Catinat s'impadronì d'Avigliana, distante da Torino non
più di dieci miglia, e ne restò prigioniera la guernigione. Prese
anche Rivoli, e, passato di là all'assedio di Carmagnola, nel dì 9 di
giugno quel presidio forte di due mila persone gli rilasciò la piazza
con ritirarsi a Torino. Non potea il duca _Vittorio Amedeo_ impedir
questi progressi de' Franzesi, perchè inferiore di forze. Passarono
baldanzosi essi Franzesi anche sotto Cuneo, e il signor di Feuquieres
governatore di Pinerolo, che comandava quell'assedio, in diecissette
giorni di trinciera aperta, non ostante la gran difesa di quel presidio
e de' terrazzani, s'inoltrò sì avanti con gli approcci, che sperava
in breve di far cadere quella città. Avendo egli dipoi dovuto passare
a mutar la guernigion di Casale, restò la direzion dell'assedio al
signor di Bullonde. Mossosi in questo tempo il _principe Eugenio_ con
quattro mila cavalli per dar soccorso alla quasi agonizzante piazza,
il Bullonde atterrito precipitosamente levò il campo, lasciando
anche indietro un cannone, tre mortari, e gran provvision di bombe,
polve ed altri attrezzi di guerra, siccome ancora di pane e farine,
oltre a molti uffiziali e trecento soldati malati o feriti, che
erano nel convento de' minori riformati. Cagion fu questa ritirata
ch'egli processato fece dipoi una lunga penitenza in prigione. Per
li precedenti acquisti, e perchè i Franzesi trattavano con crudeltà
il paese, era entrato il terrore fino in Torino; laonde la duchessa
credette meglio di ritirarsi a Vercelli. Ma dopo la liberazion di
Cuneo si rinvigorì il coraggio dei Piemontesi, e incomparabilmente più,
perchè otto mila Tedeschi, cioè parte dei soccorsi che si aspettavano
dalla Germania, sul principio d'agosto pervennero a Torino: con che
trovossi il duca in istato di campeggiare contro i nemici. Poscia nel
dì 19 d'esso mese l'_elettore duca di Baviera_ in persona con altre
milizie sì di fanteria che di cavalleria accrebbe il giubilo di quella
corte e città, dove entrò accolto con sommo onore. Ascesero questi
soccorsi almeno a quindici mila bravi combattenti, che diedero molto
da pensare al Catinat. Anche _Guglielmo re_ di Inghilterra, ossia
principe d'Oranges, avea inviato il _duca di Sciomberg_, valoroso
signore, perchè servisse di generale al duca di Savoia. Accresciute
in questa maniera le forze de' collegati, nel dì 26 di settembre la
loro armata passò il Po, e il _principe Eugenio_ fu spedito con mille
e cinquecento cavalli ad investire Carmagnola, dove poi comparve anche
l'esercito intero. Continuò l'assedio sino al dì 7 d'ottobre, in cui
i Franzesi capitolarono la resa, con patto di andarsene liberi colle
lor armi e bagaglio. Ma perchè nell'aver essi nel precedente giugno,
allorchè presero la medesima Carmagnola, contravvenuto ai patti, con
avere spogliati i Valdesi che v'erano di presidio, loro fu renduta
la pariglia in tal congiuntura. Tolsero i Valdesi l'armi e parte del
bagaglio a quella truppa, e i Tedeschi per non essere da meno, li
spogliarono del resto. Ricuperò ancora l'esercito collegato Avigliana
e Rivoli. Intanto il Catinat abbandonò Saluzzo, Savigliano e Fossano;
e perciocchè restava tuttavia contumace nella Savoia la fortezza di
Monmegliano, e volevano i Franzesi levarsi quella spina dal piede,
nella notte precedente al dì 18 di novembre aprirono la trincea sotto
quella piazza, che fu bravamente difesa, per quanto mai si potè, da
quel governatore marchese di Bagnasco. Le artiglierie, le bombe e
le mine con tal frequenza e vigore tempestarono quelle mura, case e
bastioni, che nel dì 20 di dicembre con molto onorevoli condizioni
convenne capitolarne la resa.

Un'altra scena sul principio di novembre accaduta nel Monferrato
diede molto da discorrere ai curiosi politici. Fin qui avea tenuto
_Ferdinando Carlo Gonzaga_ duca di Mantova nella città di Casale
un governatore con guernigione, restando i Franzesi padroni della
cittadella. All'improvviso il marchese di Crenant, governatore d'essa
cittadella, nel dì 7 del mese suddetto, chiamato a desinar seco
il marchese Fassati governatore della città, il ritenne prigione,
imputandogli di aver tramato col generale cesareo _Antonio Caraffa_
di dare ai Tedeschi l'entrata in quella città. Quindi s'impossessò
di tutte le porte della città medesima, e disarmò il reggimento che
ivi era pel duca. Non si seppe mai bene il netto di questa faccenda.
Pretesero alcuni che il duca di Mantova fosse complice di quella
novità; altri ch'egli non vi avesse parte, e che il solo marchese
Fassati fosse il colpevole; ed altri in fine che questa fosse una
soperchieria de' Franzesi, i quali non si facessero scrupolo di
anteporre il proprio interesse alla buona fede, e volessero assicurarsi
che il duca di Mantova loro non facesse qualche beffa. Maggiore
strepito fecero ancora le novità della corte imperiale contro i
principi d'Italia. Giacchè i Franzesi aveano spedito di là de' monti
gran parte della lor cavalleria a' quartieri, anche le milizie cesaree,
mancando di sussistenza nel desolato Piemonte, si rivolsero a cercarla
ne' feudi imperiali d'Italia. Al conte Antonio Caraffa, commissario
generale di Cesare, data fu l'incombenza di provvedere a tutto: uomo
pien di boria, di crudeltà, di puntigli; che tale si fece conoscere
anche allo stesso duca di Savoia. Poco e nulla avea egli fin qui
operato in favor di quel principe; gli fu ben più facile il far da
bravo con gli altri sovrani d'Italia. Intimò egli dunque non solamente
i quartieri, ma anche sì esorbitanti contribuzioni al gran duca di
Toscana, ai Genovesi, ai Lucchesi, ai duchi di Mantova, Modena, e agli
altri minori vassalli dell'imperio, che nè pur oso io di specificarne
la somma, per non denigrare, a cagion di sì barbarica risoluzione, la
fama del piissimo _imperador Leopoldo_, benchè sia da credere ch'egli
non sapesse tutto, o non consentisse in tutto a sì fiera ed insolita
estorsione, per cui si sviscerarono le sostanze degl'infelici popoli.

Neppure andò esente da questo flagello _Ranuccio II Farnese duca_ di
Parma, tuttochè i suoi Stati fossero feudi della Chiesa, e dovette dar
quartiere a quattro mila cavalli, avendo il Caraffa fatto valere il
pretesto che quel principe riconoscesse lo Stato Pallavicino, Bardi,
Campiano ed altri piccioli luoghi dall'imperio. Sovvenne il buon
duca di Modena _Francesco II d'Este_ con gran sforzo del suo erario i
proprii popoli, e contuttociò convenne impegnar tutte le argenterie
delle chiese, e far degli enormi debiti, perchè dalle minaccie di
saccheggi andavano accompagnate le domande del barbaro ministro.
Certo è che il Caraffa non altre leggi consultò in questa congiuntura
che quelle della forza, le quali portate all'eccesso, se riescano di
gloria ai monarchi, niuno ha bisogno d'impararlo da me. Infatti il nome
dell'imperadore, che dianzi per le guerre e vittorie contra dei Turchi
con dolcezza si memorava per tutta l'Italia, cominciò a patire un
grave deliquio, altro non sentendosi che detestazioni di sì ingiusto e
smoderato rigore; e dolendosi ognuno che il sangue dei poveri Italiani
avesse anche da servire, trasportato in parte a Vienna, a far guerra
in Germania, e a satollar que' ministri. E però il buon pontefice
_Innocenzo XII_, commiserando l'afflizione di tanti popoli, più che
mai si accese di premura, per condurre alla pace le guerreggianti
potenze, e spedì calde lettere, e propose un congresso; ma senza che
si trovasse per ora spediente alcuno alle correnti miserie. Esibì
anche il re di Francia, a cui pesava forte la guerra d'Italia, come
troppo dispendiosa, delle plausibili condizioni di pace, che non
piacquero, e furono rigettate. Invece del _conte di Fuensalida_, che fu
richiamato in Ispagna per le istanze del duca di Savoia, e portò seco
le imprecazioni de' popoli dello Stato di Milano, venne al governo di
quella provincia _don Diego Filippo di Guzman marchese di Leganes_,
cavaliere che per essere di un tratto amorevole e manieroso, fu
ricevuto con molto applauso. Si conchiuse in quest'anno il maritaggio
della principessa _Anna Luigia de' Medici_, figlia di _Cosimo III_ gran
duca di Toscana, con _Giovan-Guglielmo conte palatino_ del Reno, ed
elettore. Nel dì 29 d'aprile in Firenze a nome d'esso elettore la sposò
il gran principe _Ferdinando_ suo fratello, e da lì a pochi dì seguì la
sua partenza per Lamagna. Anche il duca di Baviera, perchè dichiarato
governator della Fiandra, s'inviò a quella volta dall'Italia.



    Anno di CRISTO MDCXCII. Indizione XV.

    INNOCENZO XII papa 2.
    LEOPOLDO imperadore 35.


Tanto seppe adoperarsi l'industrioso _cardinale di Fourbin_, appellato
anche di _Giansone_, che a forza di gloriose promesse indusse il
pontefice _Innocenzo XII_ nell'anno presente ad accordar le bolle ad
alquanti novelli vescovi del regno di Francia. Moltissime di quelle
chiese da gran tempo erano vacanti, e all'ottimo pontefice troppo
dispiaceva il veder tante greggie sì lungamente prive di pastore.
Questa sua indulgenza fu mal intesa da alcuni, perchè non si tirò
dietro alcuna soddisfazione della corte di Francia alla santa Sede;
ma non lasciò d'essere lodata dai saggi. Avea desiderato il santo
pontefice _Innocenzo XI_, tutto pieno di belle idee, di tramandare
a' successori pontefici l'abborrimento da lui stesso professato al
nipotismo, sul riflesso di tanti disordini provenuti in addietro dal
soverchio amore de' papi ai proprii parenti. Fu anche voce costante che
avesse stesa una bolla in questo proposito, ma che incontrasse delle
difficoltà a sottoscriverla in alcuni cardinali, che aveano profittato
in addietro di questa prodigalità, quasichè un processo anche contra
di loro stessi fosse il solo provvedervi per l'avvenire. Comunque sia,
il buon _Innocenzo XII_, degno allievo dell'_XI_, seriamente sempre vi
pensò, e col proprio esempio preparò gli animi d'ognuno a così santa
e lodevol riforma. Il bello fu che non pochi maligni politici d'allora
spacciavano per una semplice velleità quest'invenzione del papa, anzi
s'aspettavano ogni dì che anch'egli, a guisa di _Alessandro VII_,
soccombesse in fine alla tentazione, e lasciasse comparir trionfanti
sui sette colli i suoi nipoti. Ma era troppo ben radicato il vero
pastorale e principesco zelo in questo insigne vicario di Cristo;
e però, dopo aver ben preso le sue misure, e fatta sottoscrivere
da tutti i cardinali la bolla con cui si vietava da lì innanzi ogni
eccesso in favor de' nipoti pontificii, la pubblicò nel dì 28 di giugno
dell'anno presente, con obbligar tutti i porporati presenti e futuri
all'esecuzione di essa, e a ratificarla con giuramento nei conclavi,
ed ogni eletto pontefice a giurarla di nuovo. Dì consenso ancora,
o pure d'ordine d'esso santo padre, fu impiegata la felice pena di
_Celestino Sfondrati_ abbate di San Gallo, che poi venne promosso
alla sacra porpora, in esporre i mali effetti del nepotismo: il che
egli animosamente eseguì, con tessere la serie di tutti quei papi che
non si erano guardati dall'eccessivo e sregolato affetto verso del
proprio sangue; tutte a mio credere, incontrastabili giustificazioni
della libertà che ho giudicato competere anche a me, per non tacere in
questi Annali un disordine che mai più da lì innanzi non ha conosciuto
nè deplorato la santa Sede, e chiunque lei ama e riverisce. Per
questa nobil risoluzione non si può dire quanto plauso e credito si
acquistasse il pontefice _Innocenzo XII_ presso i cattolici tutti, e
fin presso i protestanti medesimi.

Venne in quest'anno a Roma, a Venezia, a Genova e agli altri principi
d'Italia spedito dal re Cristianissimo il conte di Rabenac, con
commissione di sollecitare ognuno ad unirsi contro l'imperadore,
ch'egli rappresentava come oppressore dell'Italia colle smisurate
contribuzioni e coi gravosi quartieri, dei quali abbiam favellato.
Ma ebbe un bel dire; grande impegno era la tuttavia ardente guerra
col Turco; troppo gagliarde in queste parti le forze cesaree, e però
altro non riportò che ringraziamenti ai suoi generosi consigli. Non
lasciarono il papa e i Maltesi di spedire anche per la presente
campagna le squadre delle lor galee in rinforzo de' Veneziani.
Desiderosi questi di qualche segnalata impresa, andarono all'assedio
della Canea, città forte dell'isola di Candia, e nel dì 17 di luglio,
fatto lo sbarco, diedero principio alle offese, e il capitan generale
_Domenico Mocenigo_ prese le migliori disposizioni per effettuare il
disegno. Ciò non ostante, sì vigorose furono le sortite dei Turchi, sì
ostinata la difesa, sì fortunati i soccorsi inviati dal saraschiere
all'assediata città, che dopo molto spargimento di sangue convenne
levare l'assedio; e tanto più perchè il saraschiere, avendo passato lo
Stretto, minacciava la Morea. Fu in fatti assediata da' Musulmani la
città di Lepanto, ma ne furono essi anche respinti. Niun'altra azione
di vaglia si fece dipoi. Intanto il generale cesareo _Heisler_ ebbe
ordine di mettere il campo al Gran Varadino, città e fortezza di molta
importanza nella Transilvania sulle frontiere dell'Ungheria. Gran tempo
e sangue si spese per arrivarne all'acquisto. Ma finalmente, nel dì 3
di giugno si videro forzati i Turchi a rendersi a buoni patti, e nel
dì 5, festa solenne del Corpo del Signore, quivi s'inalberò la croce
con giubilo inesplicabile degli amatori della religion cattolica.
Gran festa ne fu fatta in Roma e per tutta l'Italia. Nè pur ivi altra
maggiore impresa si fece nell'anno presente.

Per conto della guerra del Piemonte, dacchè fu richiamato in Germania
il general Caraffa, che avea trovata la maniera di farsi pel suo
orgoglio, e più per la sua crudeltà, odiar da tutti in Italia, fu
spedito al comando delle truppe cesaree il maresciallo _Caprara_
Bolognese, uomo di gran credito per tante sue belle militari azioni.
S'infermò egli in Verona, nè potè prima del dì 13 di luglio arrivare a
Torino. Tenutosi consiglio da tutti i generali, giacchè non fu gradito
d'imprendere l'assedio di Pinerolo, fu risoluto di penetrare nel
Delfinato con dieci mila cavalli e sedici mila fanti, lusingandosi i
collegati di veder le migliaia di ugonotti, che, cavatasi la maschera,
si unissero all'esercito loro. Scomunicate erano le strade per li
dirupi delle montagne: pure la speranza di arricchir tutti coll'ideato
bottino metteva l'ali ai piedi d'ognuno. I generali erano lo stesso
_duca di Savoia_, il _marchese di Leganes_, il _maresciallo Caprara_
e il _principe Eugenio_. Presero Guilestre sulle prime, e quindi
con assedio obbligarono la poco forte città d'Ambrum a presentar
loro le chiavi. Quella eziandio di Gap senza fatica venne alla loro
ubbidienza, e fu poi barbaramente saccheggiata, ed anche data alle
fiamme; crudeltà usata dai Tedeschi per dovunque passarono. Vi fu
chi credette che se fosse proceduta innanzi quest'armata, Granoble e
Lione avrebbero aperte le porte. Ma caduto infermo di vaiuolo il duca
_Vittorio Amedeo_, ed avendo il Caprara e il Leganes ordini segreti di
risparmiar le truppe, all'udire che accorrevano da ogni parte Franzesi,
ad altro non si pensò che a ritornarsene indietro. Per varie strade
ripassò quell'armata. L'infermo duca, portato come in un letto entro
agiata seggetta, giunse a Cuneo, seco avendo la duchessa consorte, che,
al primo avviso del suo male, coi medici avea valicato quelle aspre
montagne. Non prima del dì 4 d'ottobre giunse a Torino, e quindi in
villa, dove si convertì il suo malore in quartana doppia, che divenne
poi continua, di modo che più volte si dubitò di sua vita. Verso la
metà di novembre ricuperò egli la sanità primiera. Ed ecco dove andò a
terminare questa che ognun si credea dovesse riuscire molto strepitosa
campagna. Ma se pochi allori colsero allora i Tedeschi nel Delfinato,
riuscì ben più felice la guerra da loro portata di nuovo ai paesi
dei principi d'Italia, che soggiacquero anche nel seguente verno ad
orride contribuzioni e quartieri intimati dal _conte Prainer_, degno
delegato del tanto abborrito in Italia conte Caraffa, che poi nel
seguente anno fu chiamato da Dio a render conto del suo incredibile
orgoglio, e dell'aver riposta la sua gloria nell'assassinar gl'Italiani
coll'esorbitanza delle contribuzioni. Continuò similmente il Prainer
quei barbarici trattamenti, per li quali convien confessare che allora
troppo divenne esosa in Italia la nazione tedesca; e fin lo stesso duca
di Savoia ne fece amare doglianze alla corte di Vienna, dolendosi che
quegli aiuti avessero servito, non già a migliorare gl'interessi suoi,
ma solamente ad arricchirsi con ispogliare nemici ed amici, e a rendere
anche lo stesso duca odioso agl'Italiani, come autore di questa guerra
in Italia.

Era succeduta un tempo innanzi una ribellione del popolo di Castiglione
delle Stiviere contra del principe loro signore _Ferdinando Gonzaga_;
e questa in occasion delle imposte da lui messe in congiuntura delle
contribuzioni tedesche. Saccheggiarono coloro il di lui palazzo; e
s'egli non avesse avuta la fortuna di salvarsi colla principessa moglie
nella rocca, non perdonavano alla sua vita. Ricorso egli al conte
Caraffa, ricevè delle truppe; furono puniti i capi della ribellione; ed
egli riassunse il comando. Ma essendo ricorsi a Vienna i suoi sudditi,
con rappresentare nata la lor sollevazione da altri insoffribili
aggravii loro imposti dal principe a cagion della moglie di casa Pico
della Mirandola, affinchè ella si potesse divertire nei carnevali di
Venezia, venne ordine al _generale Palfi_ di arrestare il principe e la
principessa, e si diede principio ai processi che non ebbero mai più
fine. Si trattò più volte di rimettere quel principe nel suo dominio;
ma perchè protestava il popolo (tanto era il suo odio) di voler
piuttosto prendersi un volontario esilio, che di tornar sotto il di lui
abborrito giogo, restò sempre incagliato l'affare, e resta tuttavia,
dimorando oggidì in Ispagna i principi di lui figli, sovvenuti dalla
generosità di quella real corte. Fu creduto che _Ferdinando Carlo
Gonzaga_ duca di Mantova soffiasse in quell'incendio; ma questo sovrano
ricevette anche egli nel presente anno un man-rovescio dalla politica
spagnuola. Già dicemmo occupata da lui la città di Guastalla sul Po per
le mendicate ragioni della duchessa sua consorte, figlia dell'ultimo
duca di Guastalla, quando per le investiture cesaree era chiamato a
quel feudo il cugino d'esso defunto duca, cioè _don Vincenzo Gonzaga_,
il quale a nome del re di Spagna avea governata la Sicilia. Assistito
egli dalle milizie spagnuole e tedesche, improvvisamente fu messo in
possesso di Guastalla; e datosi quindi a pretendere dal duca di Mantova
le rendite indebitamente percette per tanti anni addietro, col tempo
ottenne che gli fossero assegnate le due terre di Luzzara e Reggiuolo
coi lor fertili territorii. Così portava la giustizia; ma in cuore
del duca di Mantova restò tanta amarezza, che nei tempi susseguenti,
siccome vedremo, prese risoluzioni tali, che il trassero all'ultimo
precipizio. Era già pervenuto all'anno trentesimo terzo di sua età
_Francesco II d'Este_ duca di Modena, senza che avesse peranche presa
la risoluzion di accasarsi. Fu creduto alieno dalle nozze, perchè bene
spesso languente per la sua debole complessione, e molto più per la
podagra e chiragra, sue familiari compagne. La verità nondimeno è,
che il _principe Cesare d'Este_, da cui era aiutato, ed anche più del
dovere, al governo, gli sturbò tutti i trattati di maritaggio, per
timore di scapitare nella sua privanza. Ma finalmente sposò egli nel
dì 14 di luglio del presente anno la principessa _Margherita Farnese_,
figlia di _Ranuccio II duca_ di Parma, che condotta a Sassuolo fece poi
la sua solenne entrata in Modena nel dì 9 di novembre.

Intanto commosso da tenerezza il cuore del pontefice _Innocenzo XII_
al mirare lo stato lagrimevole dell'Italia per l'ostinata guerra
del Piemonte, e gli oppressi e divorati popoli dalle smoderate
contribuzioni e violenze di chi mostrava di essere calato di Germania
per difendere dai Franzesi la libertà di queste provincie, raddoppiò
le sue premure e i suoi uffizii per tutte le corti cattoliche a
fin di promuovere la pace. Ma inutili furono anche per ora le sante
sue intenzioni, e solamente ebbero effetto quelle che da lui solo
dipendevano pel buon regolamento e vantaggio di Roma e della sacra
sua corte. Con sua bolla soppresse varie giudicature straordinarie
che si esercitavano per privilegio, e servivano a prolungar le liti
e le sofisticherie con gravissimo danno di chi avea da litigare,
rimettendo tutte le cause ai consueti giudici ordinarii. Giacchè più
non serviva d'abitazione ai romani pontefici il vasto palazzo del
Laterano, determinò il santo padre di farne miglior uso con formarne
un ospizio ai poveri invalidi, e pensò tosto a provvederlo di rendite
convenienti al bisogno. Sua intenzione sulle prime fu di raccoglier
ivi tutti gli storpii, ciechi ed inabili a lavorare, e di levar da
Roma la molestia di tanti mendicanti oziosi, che ristretti potrebbero
in buona parte guadagnarsi il pane in qualche lavoro. Ma col tempo si
mutò questa idea, e lasciate le sole donne in quel palazzo, si provvide
ai maschi poveri nell'insigne ospizio di Ripa, siccome accennerò a
suo tempo. Con la bolla poi pubblicata nel dì 20 di maggio dell'anno
seguente confermò il suddetto ospizio lateranense, e i fondi e proventi
assegnati pel mantenimento di esso. Conoscendo ancora qual profitto
potrebbe provenire dal porto di Cività Vecchia, se vi si stabilisse un
buon commercio con varii privilegii, con fabbriche di case e magazzini,
e col concorso di negozianti, si applicò a questa impresa, e diede
gli ordini opportuni, acciocchè si purgassero ed accrescessero gli
acquedotti, e si formassero nuove fabbriche. Fece anche alzare nella
basilica Vaticana un magnifico mausoleo alla santa memoria d'_Innocenzo
XI_ suo benefattore, e preparare il proprio sepolcro, ma con poca
spesa, col non volere in esso altra inscrizione che il semplice suo
nome. In somma era nato questo sempre memorando pontefice per cose
grandi, e dimentico di sè stesso e de' suoi, altro non avea in mente
che il pubblico bene.



    Anno di CRISTO MDCXCIII. Indizione I.

    INNOCENZO XII papa 3.
    LEOPOLDO imperadore 36.


Per quanti passi e dibattimenti si fossero fatti fin qui, per comporre
le differenze che passavano fra la corte di Roma e di Parigi a cagion
delle proposizioni adottate dai vescovi di Francia in pregiudizio
dell'autorità della santa Sede, nulla s'era potuto ottenere che
soddisfacesse al sommo pontefice. Finalmente nel presente anno d'ordine
del _re Luigi XIV_ scrissero que' prelati a papa _Innocenzo XII_ una
lettera piena di sommessione, in cui disapprovarono gl'insegnamenti
suddetti; e però giacchè non s'era potuto ottenere di più, fu creduto
meglio di rimettere l'armonia primiera, e di conferire il resto
delle chiese vacanti nel regno di Francia. Avea nell'anno precedente
l'indefesso santo Padre cominciata un'altra gloriosa impresa e le diede
il pieno suo compimento nel presente. Da gran tempo per varie necessità
della santa Sede s'era introdotto il vendere alcuni non ecclesiastici
uffizii della curia romana, e spezialmente i posti di auditore e
tesorier della camera, e de' cherici d'essa camera. Andava ben alto
il loro prezzo, perchè grandi ancora n'erano i proventi. Se alcuno
de' prelati compratori d'essi uffizii veniva promosso al cardinalato,
restavano vacanti quegli uffizii, e si vendevano ad altri. Intorno
a questi vacabili v'ha un trattato del famoso cardinale de Luca nel
tomo ultimo delle sue opere. Non si potea trattener la gente maligna
dall'aguzzar le lingue contra di questo costume, quasichè fosse stata
questa invenzione per vendere la sacra porpora sotto colore palliato
a chi potea spendere; e quantunque non si promovessero per lo più
se non persone degne, prese dai posti suddetti, pure sembrava aperto
l'adito anche agl'immeritevoli, purchè danarosi, di conseguire le prime
dignità. Volle ancor qui l'ammirabil pontefice chiudere la bocca agli
amatori della maldicenza; e però nel dì 23 d'ottobre del precedente
anno suppresse le venalità dei suddetti uffizii ed avendo procurato a
lieve frutto più d'un milione di scudi, restituì ai compratori tutto
il danaro da essi speso in acquistarli. Ora nell'anno presente a dì 3
di febbraio pubblicò un'altra bolla, con cui ordinò che da lì innanzi
gli uffizii e luoghi di monti vacabili per la promozione alla sacra
porpora non si perdessero, ma o si rassegnassero o se ne continuasse
a tirare il frutto, di maniera che niun vantaggio risultasse alla
camera apostolica dall'esaltazione di que' prelati. In pro nondimeno
della stessa camera ritornò il risparmio di molte propine che dianzi
godeano i prefati compratori. Immensa fu la lode che riportò per
queste segnalate azioni l'ottimo pontefice, il quale in benefizio
d'essa camera avea dianzi tagliate le penne anche al grado dei vice
cancellieri della Chiesa romana; e poscia ancora minorò il lucro de'
cardinali vicarii, e finalmente soppresse la legazion d'Avignone,
applicandone i proventi alla camera apostolica.

Poichè sembrava che la fortuna non andasse d'accordo col capitan
generale de' Veneziani _Domenico Mocenigo_, fu egli destinato pretore
a Vicenza. Trattossi dipoi nel maggior consiglio per eleggere a sì
riguardevol impiego altro personaggio, ed i più concorsero nello stesso
doge _Francesco Morosino_, già stato capitano generale, e glorioso
conquistatore della Morea. Si scusò egli colla sua avanzata età d'anni
settantaquattro; ma rinforzate le preghiere, si trovò in fine risoluto
a sacrificare il resto de' suoi giorni in servigio della patria. Di
grandi preparamenti si fecero per la di lui partenza, e passò egli in
Levante; ma gran tempo impiegò nel viaggio, e spese il resto in varie
disposizioni per assalir Negroponte nell'anno venturo, quando sul
fine dell'anno, trovandosi a Napoli di Romania, fu colto da mortale
infermità, che dì 6 del seguente gennaio mise fine ai suoi giorni e a
tutte le sue gradezze umane. Riuscì in quest'anno al generale cesareo
_Heisler_ di conquistare la fortezza di Gena nell'Ungheria superiore
verso le frontiere della Transilvania; dopo di che il general supremo
_duca di Croy_, avendo fatto credere al saraschiere con lettera finta
di voler imprendere l'assedio di Temiswar, all'improvviso si portò
a cignere di gente Belgrado. Più di quel che credeva trovò i Turchi
disposti a vendere care le lor vite, ed inoltre si udì venire a gran
passi il primo visire col Cam de' Tartari, per tentare il soccorso;
laonde, dopo avere perduto in un mese sotto quella città da due
mila soldati, parve di più spediente lo sciogliere quell'assedio e
ritirarsi. Facevasi intanto guerra da' Franzesi in Fiandra, al Reno, in
mare e in Catalogna con felicità delle lor armi, e queste riportavano
palme anche in Piemonte. Il duca _Vittorio Amedeo_ restò ancora in
quest'anno aggravato da sì pericolosa malattia, che nel dì 7 di marzo
gli fu ministrato il santissimo viatico. Riavuto che fu, nel dì 30
di luglio si portò a bersagliare il forte franzese appellato di Santa
Brigida, che gli costò molto sangue, e nel dì 14 d'agosto finalmente
si diede per vinto. Questo fu poi smantellato. Per tre giorni ancora
la città di Pinerolo restò fieramente travagliata dalle bombe. Intanto
rinforzato di molte nuove truppe il _maresciallo di Catinat_ si
andò accostando colla sua alla nemica armata, e trovandosi amendue a
fronte, vennero nel dì 4 d'ottobre ad una fiera battaglia in vicinanza
di Orbazzano. Questa riuscì favorevole ai Franzesi, in maniera che,
secondo i lor conti (a' quali si dee far la sua detrazione), vi
rimasero sul campo uccisi circa otto mila dei collegati, e restarono
due mila d'essi prigioni, coll'acquisto di quasi cento insegne, quattro
stendardi e gran copia d'artiglierie. Due mila Franzesi vi perderono la
vita. Pretesero gli altri che la perdita de' Franzesi ascendesse a sei
mila persone, e ad altrettanto quella de' collegati. Dall'una parte e
dall'altra grande fu il numero degli uffiziali morti o feriti; ma certo
è che i collegati riceverono una fiera percossa, laonde il Catinat
stese largamente le contribuzioni ed anche gl'incendii in quelle parti.
Restò nulladimeno anche dopo tal perdita sì forte l'esercito alleato,
che i Franzesi non poterono impadronirsi, a riserva di Revel e Saluzzo,
d'alcun altro luogo di conseguenza. Ora non mancò il re Cristianissimo
di prevalersi di questa congiuntura per insinuar di nuovo proposizioni
di pace al duca di Savoia, ma nol potè peranche smuovere dal
proponimento suo. Andarono poscia a' quartieri d'inverno le truppe
alemanne, attendendo a scannare anche in questa vernata il paese de'
principi dell'Italia, senza commiserazione a' popoli, che gridavano
alle stelle per le esorbitanti estorsioni, credendo che di peggio non
avrebbero fatto i Turchi nemici del nome cristiano.

Per questi flagelli funestissimo fu l'anno presente, ed anche per un
altro sommamente lagrimevole spettacolo, cioè per un tremuoto nella
Sicilia, le cui scosse non son già forestiere in quella per altro
fortunata isola, ma senza che vi fosse memoria fra la gente d'allora
di averne mai provato un sì terribile e micidiale. Cominciò nel dì 9
di gennaio a traballar la terra in Messina, e ne' susseguenti giorni
andò crescendo la violenza delle scosse, talmente che atterrò in
quella città gran copia delle più cospicue fabbriche, e parte ancora
delle mura d'essa città, ma con poca mortalità, perchè il popolo,
avvertito dal primo scotimento, si ritirò alla campagna e a dormir
nelle piazze. Le relazioni che corsero allora, alterate probabilmente
dallo spavento e dalla fama, portano che in altre parti della Sicilia
incredibile fu il danno. Che la città di Catania, abitata da diciotto
mila persone, andò tutta per terra, colla morte di sedici mila abitanti
seppelliti sotto le rovine delle case. Che Siracusa ed Augusta, città
riguardevoli, restarono diroccate, colla morte nella prima di quindici
mila persone, e di otto mila nell'altra, in cui anche la fortezza,
per un fulmine caduto nel magazzino della polve, saltò in aria. Che
le città di Noto, Modica, Taormina, e molte terre e castella al numero
di settantadue furono desolate, ed alcuna abissata in maniera che non
ne rimane vestigio alcuno. Che più di cento mila persone vi perirono,
oltre a ventimila ferite e storpie. Che in Palermo fu rovesciato il
palazzo del vicerè. Che la Calabria e Malta risentirono anch'esse
non lieve danno. Che il monte Etna, o sia Mongibello, slargò la sua
apertura sino a tre miglia di giro. Io non mi fo mallevadore di tutte
queste particolarità. Certo è solamente che miserie e rovine immense
toccarono alla Sicilia per sì straordinario tremuoto, e che non si
possono invidiare ai Siciliani le ricche lor campagne e delizie,
sottoposte di tanto in tanto al pericolo di una sì dura pensione.



    Anno di CRISTO MDCXCIV. Indizione II.

    INNOCENZO XII papa 4.
    LEOPOLDO imperadore 37.


Dopo la morte del celebre _Francesco Morosino_ fu conferita la
dignità di doge di Venezia a _Silvestro Valiero_ figlio del già
doge _Bertuccio_. Cominciarono i Veneti quest'anno la lor campagna
in Dalmazia con l'assedio di Citclut, fortezza pel sito assai
considerabile, e di gran gelosia per li Turchi, perchè antemurale ad
un buon tratto del loro paese. Comandava l'armi venete il provveditor
generale _Delfino_, il quale, dopo aver sottoposto varii luoghi
all'intorno, obbligò in fine il presidio turchesco a cedere la piazza,
dove con giubilo de' cristiani fu ripiantata la croce. Bisogna ben
credere che di molta importanza fosse quella fortezza, perchè la Porta
ordinò che si facesse ogni sforzo per ricuperarla. Raunato ch'ebbe
un esercito, il saraschiere ne imprese l'assedio. Fu ben ricevuto dal
vigoroso presidio cristiano, e formò bensì egli le trincee, ma da più
d'una sortita degli assediati furono queste rovesciate: laonde, dopo
la perdita di molta gente, si vide obbligato a ritirarsi, con lasciare
sul campo molti attrezzi militari. Ridussero poscia i Veneti alla loro
ubbidienza un'altra ben forte rocca appellata Clobuch. Ma non passò
gran tempo che i Turchi, più che mai vogliosi di torre Citclut dalle
mani de' cristiani, vi tornarono sotto con oste più poderosa. Neppur
questa volta trovarono propizia la fortuna, e con poco lor gusto
dovettero sloggiare di là. La più utile nondimeno e gloriosa impresa
fatta da' Veneziani nell'anno presente, fu l'acquisto della rinomata
isola di Scio. Dacchè giunsero ad unirsi colla veneta armata navale
le galee pontifizie e maltesi, _Antonio Zeno_, dichiarato capitan
generale, sciolse le vele a quella volta, e nel dì 8 di settembre
vi fece lo sbarco. La città dominante di quell'isola porta lo stesso
nome di Scio; intorno ad essa accampatosi l'esercito cristiano, diede
principio alle offese. I vescovi latino e greco, già abitanti in
quella città, n'erano usciti. Non più di otto giorni ebbero a faticar
le artiglierie e le mine per prendere il castello di mare, e mettere
sì fatto spavento in quegli Ottomani, che la stessa città con più di
cento cannoni di bronzo e con tutti gli schiavi venne in poter de'
Veneti. Che deliziosa, che fruttifera isola sia quella, e massimamente
pel privilegio di produrre il mastice, è assai noto; e però di grandi
allegrezze si fecero in Venezia per così vantaggiosa conquista.
Nell'Ungheria troppo tardi uscirono in campagna i Tedeschi sotto il
comando del maresciallo di campo _conte Caprara_; niuna impresa si fece
degna di memoria, a riserva dell'acquisto di Giula, piazza di non lieve
momento verso le frontiere della Transilvania.

Nel Piemonte le nemiche armate si andarono in quest'anno guatando di
mal occhio, ma senza che alcuna d'esse si sentisse voglia di venire
alle mani. Solamente fu sempre più stretto il blocco da gran tempo
cominciato di Casale di Monferrato, e in quelle vicinanze tolto fu ai
Franzesi il forte di San Giorgio. Venuto l'autunno, tutte le truppe
tedesche si scaricarono di nuovo sui paesi de' principi italiani, con
avere intimato il _conte Prainer_, commessario generale di Cesare,
secondo il solito, insoffribili contribuzioni. A costui da lì a poco la
morte anch'essa intimò di sloggiare dal mondo, e di dar fine alle sue
estorsioni. Tante nondimeno furono le doglianze portate alla corte di
Vienna, che mosso a pietà l'_Augusto Leopoldo_ ordinò che si sminuisse
il rigore di tanti aggravii; ma non già per _Ferdinando Carlo duca_
di Mantova, di cui si dichiaravano mal soddisfatti i Tedeschi, perchè
creduto di genio franzese. Non poteano essi sofferire che dimorasse
in Mantova il signor Duprè inviato del re Cristianissimo; però
oppressero con aggravii i di lui sudditi, senza riguardo veruno agli
ecclesiastici; e inoltre il generale cesareo _conte Palfi_, coll'abbate
Rainoldi residente del re Cattolico, gli intimò di licenziare esso
inviato franzese, e tre suoi proprii principali ministri, creduti
fomentatori del di lui genio, entro il termine di quindici giorni,
minacciando gravi ostilità se non ubbidiva. Ebbe il duca un bel dire,
un bel gridare: gli convenne inghiottir la pillola, e congedare chi
non piaceva alle corti di Vienna e di Madrid. Giacchè non potea reggere
alla gotta, che passò al petto, _Francesco II d'Este_ duca di Modena e
Reggio, nel dì 6 di settembre dell'anno presente terminò la carriera
del suo vivere, compianto da' sudditi suoi, perchè amorevolissimo e
giusto principe, sotto di cui aveano goduto de' lieti giorni, siccome
può vedersi nelle mie Antichità Estensi. Perchè non produsse alcun
frutto il suo matrimonio colla principessa _Margherita Farnese_, a
lui succedette nel governo di questo ducato il _principe Rinaldo_ suo
zio paterno, allora cardinale, che poi nell'anno seguente rinunziò
la sacra porpora, ed assunse il titolo di duca. Fu parimente chiamata
da Dio a miglior vita nel dì 6 di marzo _Vittoria della Rovere_, già
moglie di _Ferdinando II de Medici_, gran duca di Toscana, principessa
impareggiabile per le tante sue belle doti. Venne anche a morte nel
dì 11 di dicembre dell'anno presente _Ranuccio II Farnese_ duca di
Parma e Piacenza, uomo de' vecchi tempi, principe di buon cuore, pio,
generoso e pieno di lodevoli massime, e pure più tosto temuto che amato
da' sudditi suoi. Lasciò di belle memorie nella città di Parma, e nel
suo ducal palazzo, e un nome degno di vivere anche ne' secoli venturi.
Era premorto a lui nel dì 5 di settembre dell'anno precedente 1693 il
_principe Odoardo_ suo primogenito, soffocato, per dir così, dalla sua
esorbitante grassezza; e questi dalla principessa _Dorotea Sofia di
Neoburgo_ sua consorte avea ricavato un figlio per nome _Alessandro_,
che fu rapito dalla morte nel suddetto precedente anno. Di esso Odoardo
solamente restò una principessa per nome _Elisabetta_, nata nel dì 25
d'ottobre del 1690, oggidì gloriosa regina di Spagna. Altri due figli
viventi lasciò il duca Ranuccio II, cioè _Francesco_ ed _Antonio_, il
primo de' quali succedette al padre nel ducato, e nell'anno seguente
con dispensa pontificia sposò la suddetta principessa Dorotea sua
cognata. Funestissimo riuscì quest'anno al regno di Napoli per un
furioso tremuoto, non inferiore a quel di Sicilia dell'anno precedente.
Seguì nel dì 8 di settembre lo scotimento suo. Nella città di Napoli
incredibil fu lo spavento, e il danno si ridusse solamente alla
scompaginatura di molti palazzi, chiese, monisteri e case. Ma in terra
di Lavoro alcune castella e villaggi andarono per terra. In Ariano e
Avellino assaissime persone perirono, e quasi tutte le case caddero.
Nella città Capoa, di Vico, Cava, e massimamente in Canosa, Conza
ed altre parti, si patì gran rovina di edifizii, accompagnata dalla
perdita di molte anime. Anche a quegl'infelici paesi si stese la mano
misericordiosa e limosiniera del romano pontefice. Questo infortunio
cagion fu che il vicerè di Napoli non potesse poi inviare quel rinforzo
di genti e danari, per cui tante premure gli venivano fatte dall'armata
collegata in Piemonte.



    Anno di CRISTO MDCXCV. Indizione III.

    INNOCENZO XII papa 5.
    LEOPOLDO imperadore 38.


Non si stancava il magnanimo papa _Innocenzo XII_ di pensar tuttodì
a sempre nuovi ed utili regolamenti per ben della Chiesa e de' suoi
Stati. Aveva egli proposto di mettere freno al soverchio lusso di Roma,
che, oltre all'impoverir le famiglie, portava fuori delle contrade
ecclesiastiche immense somme di danaro. A questo grandioso disegno
trovò egli, più di quel che pensava, delle gagliarde opposizioni, a
cagion de' forestieri che capitano a Roma, e per li contrarii maneggi
non men segreti che pubblici de' Franzesi, soliti a profittar della
troppa bontà per non dir balordaggine degl'Italiani, i quali provveduti
dalla natura di quanto può bisognare al loro nobile trattamento,
invasati della novità delle mode, e più che d'altro vaghi delle
manifatture oltramontane, pagano eccessivi tributi a' principi non
suoi. Un'altra insigne impresa si propose il vigilantissimo pontefice,
cioè la riforma di certi ordini religiosi (e non erano pochi) scaduti
dall'antica lor santa disciplina, e divenuti delle lor regole poco
osservanti, spezialmente del voto della povertà. Qui ancora, più
che nell'altra, si scoprirono difficoltà senza fine, ripugnando chi
già era ammesso in quegli ordini a mutar maniera di vivere, e ad
accettar la vita comune, perchè diceano di esser sottomessi a quelle
regole, non quali furono nei tempi antichi, ma colle interpretazioni
ed usanze del loro secolo. Ordinò pertanto il pontefice che non
s'inquietassero i già arrolati sotto quelle bandiere, ma che niuno
in avvenir si ammettesse senza professare la riforma prescritta
dalla congregazione deputata da sua santità, in cui fra gli altri
monsignor Fabroni, che fu poi promosso alla sacra porpora, personaggio
zelantissimo, ebbe la disgrazia di tirarsi addosso l'indignazione e
l'odio di moltissimi cappucci. Furono anche destinati per ciascun
de' suddetti ordini rilassati due conventi, nei quali si facesse
il noviziato e si osservasse il rigore suddetto. Il tempo fece poi
conoscere che un _Lodovico XIV re_ di Francia seppe ben introdurre la
riforma nei religiosi claustrali del suo regno; ma Roma non arrivò
a tanto in Italia. Patì quella città nel verno del presente anno
un'inondazione del Tevere, che si stese per le campagne, col danno
di non poche fabbriche e di molto bestiame, e con servire di veicolo
ad una epidemia che dipoi sopraggiunse. Diede questa disgrazia al
santo padre motivo di maggiormente esercitare la sua carità verso la
povera gente che si rifugiò per soccorso in Roma. Inoltre, nel dì 10
di giugno un orribil tremuoto riempiè di terrore e danno il Patrimonio
e i paesi circonvicini. Bagnarea andò tutta per terra con perdita di
molte persone. Quasi interamente restò smantellato Celano, Orvieto,
Toscanella, Acquapendente, ed altre terre e ville di quei contorni
risentirono gran danno. Il lago di Bolzena, alzatosi due picche, inondò
per tre miglia all'intorno il paese. Non fu men funesto un altro simile
tremuoto che si sentì nella marca trivigiana nel dì 25 di febbraio.
Nella sola terra d'Asolo rimasero dai fondamenti distrutte mille e
cinquecento case; più di altre mille e ducento inabitabili; i templi
colle lor torri diroccati; molti uomini colle lor famiglie seppelliti
sotto le rovine.

Questa sciagura parve un prognostico di molte altre che nell'anno
presente afflissero non poco la veneta repubblica. Per la perdita della
riguardevole isola e città di Scio si era inferocita la Porta, e fin
nell'anno addietro avea ammannita gran copia di legni e di gente per
ricuperarla. Con questa flotta, condotta dal saraschiere, nel dì 8 di
febbraio, prima che approdasse a Scio, determinò il capitan generale
_Antonio Zeno_ di misurar le sue forze; ma furono poco ben prese le
misure; laonde cantarono la vittoria i Turchi, e malconcie ne restarono
le navi e le galee venete. Fu cagione sì sinistro colpo, ed un altro
appresso, che Scio si rilasciasse alla discrezion de' musulmani con
incredibil dolore de' cristiani abituati in quel delizioso paese, che
tutti elessero un volontario esilio per non soggiacere alla vendetta e
rabbia de' Turchi. Al capitan general Zeno, imputato di mala condotta,
siccome ancora a Pietro Quirini provveditore ordinario, toccò di finire
i lor giorni in carcere. Rimasero altri assoluti, ma dopo una prigionia
di tre anni. _Alessandro Molino_ venne poi creato capitan generale.
Seguirono ancora ne' mesi seguenti altre lievi battaglie tanto in
mare che sotto Argo, nelle quali maggior fu la perdita degl'infedeli
che de' cristiani, ma senza che alcun di questi vantaggi compensasse
il gravissimo danno patito per l'abbandonamento di Scio. Del pari in
Ungheria si mutò la ruota della fortuna. Avea l'_Augusto Leopoldo_
ottenuti otto mila Sassoni dall'elettore _Federigo Augusto_, il quale
col titolo di generalissimo delle armi cesaree s'era indotto a passare
in persona contro de' Turchi. Solamente ai 10 d'agosto pervenuto esso
elettore al campo, quivi trovò i marescialli _Caprara_ e _Veterani_,
e l'altra uffizialità con cinquanta mila guerrieri alemanni, oltre
ad alcune migliaia di milizie unghere. Avrebbe ognun creduto che con
sì fiorito esercito avessero i cristiani a far prodigii in quelle
parti. Trovarono essi lo stesso gran signore Mustafà venuto in persona
a dar calore alla poderosa sua armata, con cui sperava anch'egli di
operar gran cose. In poche parole, i Turchi occuparono Lippa, e la
smantellarono. Poco tempo ancora spesero ad impadronirsi della forte
piazza di Titul; e trovato il suddetto _conte Federico Veterani_
maresciallo, staccato con sette mila bravi Tedeschi dal grosso
dell'esercito per coprire la Transilvania, l'andarono ad assalir con
tutte le lor forze, e v'era in persona lo stesso Sultano. La difesa
che fece questo valoroso comandante per più ore contro quel torrente
d'armati, fu delle più gloriose che mai si udissero, e costò la vita
a più di quattro mila Turchi. Sopraffatto in fine dall'esorbitante
superiorità de' nemici il prode generale, con buona ordinanza si
ritirò; ma coprendo in persona la retroguardia, riportò varie ferite;
e perchè condotto via s'incagliò in una palude il cavallo, in cui
era sostenuto, quivi restò poi trucidato dai musulmani. Anche Lugos
e Caransebes caddero in mano di quegl'infedeli: con che nell'anno
presente ebbe fine la sventurata campagna degl'imperiali in Ungheria.

Osservavasi oramai in Italia una più che mai prossima disposizione
e risolutezza di _Vittorio Amedeo_ duca di Savoia, del _marchese di
Leganes_ governatore di Milano, e de' comandanti cesarei, per cacciar
da Casale di Monferrato i Franzesi. Era quella forte città, con un
castello e con una molto più forte cittadella, come spina continua
nel cuore degli Spagnuoli e del duca di Savoia, per la vicinanza de'
loro Stati. L'aveano essi tenuta bloccata da gran tempo; ma da che
ebbero concertato coll'ammiraglio inglese _Russel_ di tenere a bada
il _maresciallo di Catinat_ colla sua potente flotta, che minacciava
ora Nizza ed ora la Provenza, il duca e il marchese suddetto col
_principe Eugenio di Savoia_, e col _millord Gallowai_ generale
delle milizie pagate dall'Inghilterra, si presentarono coll'armata
collegata verso la metà di giugno davanti ad esso Casale. Nel dì 26
del medesimo mese venendo il dì 27 fu aperta la trinciera tanto contro
la città che contro la cittadella. Ancorchè il _marchese di Crenant_
facesse una gagliarda difesa, pure meravigliosa cosa parve che dopo
soli dodici giorni di offese, e colla perdita di soli secento soldati
dalla parte degli assedianti, egli si vedesse obbligato ad esporre
bandiera bianca. Fu segnata la capitolazione della resa nel dì 9 di
luglio; ed accordato che si demolissero le fortificazioni della città,
del castello e della cittadella; e che, terminato l'atterramento, ne
uscisse la guernigion franzese con tutti gli onori militari, otto pezzi
di cannone e quattro mortari; e che tornasse quella città in pieno
dominio del duca di Mantova, come era ne' tempi andati. Restò eseguita
la capitolazione, e tolto dalle viscere della Lombardia quel mantice
di discordie e d'incendii. Si trovarono nella città settanta pezzi
d'artiglieria di bronzo, nel castello ventotto, e nella cittadella
cento venti. Per sì felice impresa in Milano e Torino gran festa si
fece, ed essendo solamente nel dì 18 di settembre usciti i Franzesi
di Casale, non s'impegnarono l'armi cesaree in alcun'altra azione, ed
unicamente pensarono a ristorar le truppe ne' quartieri d'inverno. Non
si potè intanto levar di capo a certi politici, che in quell'assedio
si sparassero dagli assediati i cannoni senza palle, e che quella
impresa fosse concertata fra il saggio duca di Savoia e la corte di
Francia; la qual ultima, se restò priva di una buona fortezza, ne privò
anche d'essa l'avidità degli Spagnuoli, perchè, facendo rendere Casale
al duca di Mantova, deluse le speranze di quei che probabilmente lo
desideravano, e poteano pretenderlo a titolo di acquisto. Nè si vuol
tacere che nel dì 9 di settembre del presente anno in Roma terminò i
suoi giorni il cavaliere Gian-Francesco Borri Milanese in castello
Sant'Angelo. S'era egli meritata quella prigione per essere stato
eretico visionario anzi autore di una setta, che appena nata ebbe
fine, e solennemente fu da lui abiurata. In essa Roma, in Milano ed in
altre città d'Italia, e in Inspruch, Amsterdam, Amburgo, Copenaghen,
ed altri luoghi dell'Olanda e Germania, fece egli risuonare il suo
nome, spacciando miracoli segreti, e spezialmente quello che tanto
adesca alcuni troppo corrivi privati, e talvolta i principi stessi,
con votar d'oro le borse loro, ed empierle di fumo. A lui si ricorreva
come a medico universale per ogni sorta di malattia, e fin da Parigi
si vedeano passar nobili malati ad Amsterdam per isperanza d'essere
guariti da lui. Gran figura aveva egli fatto in quella città col
magnifico equipaggio, e trattato col titolo di eccellenza. In una
parola, trovossi in lui un chimico creduto impareggiabile, un gran
ciarlatano, e per conseguente un bravo trafficante della semplicità de'
mortali.



    Anno di CRISTO MDCXCVI. Indizione IV.

    INNOCENZO XII papa 6.
    LEOPOLDO imperadore 39.


Non rallentava il buon pontefice _Innocenzo XII_ i suoi sospiri e
le sue premure per rimettere la pace fra i principi cristiani; e, a
fin d'impetrarla colle preghiere da Dio, pubblicò sul fine dell'anno
precedente un giubileo, che nel presente per tutta l'Italia fu preso.
Non lasciò ancora di eccitare i principi cattolici alla concordia,
con inviar loro nuove paterne lettere; e spezialmente ne fece premura
a _Vittorio Amedeo_ duca di Savoia, il cui impegno avea tirato in
Italia tanti imitatori de' Goti e de' Vandali a spolpare i miseri
popoli. Sempre sono e saran da lodare le sante intenzioni dei romani
pontefici per questo fine; ma l'interesse, che è il cominciator
delle guerre, quello è ancora che le finisce. Che nondimeno il saggio
pontefice s'internasse ancora in segreti maneggi per accordare il re
Cristianissimo col duca di Savoia, comunemente fu creduto per quel
che poscia accadde. Ed appunto questo principe si vide fare nel marzo
del presente anno un viaggio alla santa casa di Loreto a titolo di
divozione. La gente maliziosa, che non credeva cotanto divoto quel
principe da scomodarsi per andar sì lontano ad implorar la protezion
della Vergine, si figurò piuttosto che sotto il manto della pietà si
coprisse un segreto abboccamento con qualche persona incognita intorno
a' suoi affari (e questa fu, per quanto portò la fama, un ministro
franzese travestito da religioso) giacchè sono talvolta ridotti i
principi a somiglianti ripieghi, per deludere i ministri esteri che
vanno spiando ogni menomo loro andamento e parola nelle corti. Spedì
ancora in questo anno il pontefice le sue galee unite a quelle di Malta
in soccorso de' Veneziani; e sul principio di maggio, al dispetto dei
medici, volle portarsi a Cività Vecchia, per visitar quel castello,
quegli acquedotti e le fabbriche ivi fatte, giacchè gli stava fitto in
capo il pensiero di fare di essa città un porto franco, libero ad ogni
nazione, fuorchè ai Turchi. Per varie ragioni, e per le segrete mene
del gran duca di Toscana, riuscì poi vano un siffatto disegno. Quanto
ai Veneziani, perchè stava loro sul cuore la fortezza di Dolcigno,
situata in Albania sopra una rupe inaccessibile, siccome infame nido di
corsari infestatori dell'Adriatico, ne fu da essi risoluto l'assedio.
Per quanto operassero i cristiani con varii assalti, con alquante mine,
e con rispignere due volte i soccorsi inviati dai Turchi, a nulla
servirono i loro sforzi, e però convenne ritirarsi. Andò intanto il
capitan generale _Molino_ colla sua flotta in traccia dell'ottomana,
condotta dal Mezzomorto capitan bassà ed ammiraglio. Nel dì 9 d'agosto
furono a vista le due nemiche armate, e già la veneta s'era tutta messa
in ordinanza per venire a battaglia, quando si scoprì non accordarsi
a questo giuoco l'astuto Mezzomorto, al quale non mancò mai l'arte di
tenere a bada i cristiani, e di sempre sfuggire il combattimento. Così
senza alcun vantaggio, e insieme senza danno alcuno, se la passarono
i Veneziani in Levante per tutto quest'anno; ma con gravi lamenti di
quel senato, veggendo inutilmente impiegati tanti convogli e tesori in
quelle parti.

Cominciò in questi tempi a fare risonar il suo nome _Pietro
Alessiovitz_ czaro della Russia, che divenne poi col tempo incomparabil
eroe, con aver tolto a' Turchi sul Tanai l'importante città e fortezza
di Asac, ossia Asof. Propose quel principe con gran calore di entrare
in lega con Cesare e co' Veneziani ai danni del comune nemico, e
infatti ne furono stabiliti i capitoli in Vienna. Non dissimile dalla
fortuna de' Veneti fu quella degl'imperiali in Ungheria nell'anno
presente. Si portò alla forte cesarea armata di nuovo l'_elettor di
Sassonia_ col titolo di supremo comandante; la direzion nondimeno
delle militari operazioni era appoggiata a un capo di maggiore
sperienza, cioè al maresciallo _conte Caprara_. Ma che? In quelle
contrade comparve ancora di bel nuovo il sultano in persona, bramoso di
segnalarsi in qualche impresa. Conduceva anch'egli una potente armata,
qual si conveniva ad un pari suo. Invece dunque di accudire alla
premeditata idea dell'assedio di Temiswar, o di Belgrado, nel consiglio
militare fu preso il partito di provocare a battaglia i nemici. Si
trovò attorniato da paludi e ben trincierato l'esercito musulmano, nè
la furia delle cannonate potè muoverli ad uscire all'aperta campagna.
Solamente seguirono alcune calde scaramucce, nelle quali il commissario
generale _Heisler_ valorosamente combattendo lasciò la vita, e qualche
migliaio di soldati dall'una e dall'altra parte perì. Ritiraronsi
poscia i Turchi, e senz'altro onore anche le milizie cristiane vennero
ripartite ai quartieri. Assai curiosa, ma non già inaspettata, fu la
scena che si rappresentò sul teatro del Piemonte nell'anno presente.
Troppo rincresceva oramai alla Francia la guerra del Piemonte, perchè
più dispendiosa di tutte le altre, dovendosi mandar tutto per montagne
in Italia, e non potendo l'armata godere del privilegio di ballare
e nutrirsi sul paese nemico. Alla riflessione del troppo impegno e
dispendio si aggiunsero i premurosi impulsi del pontefice _Innocenzo
XII_, commosso a pietà spezialmente verso i principi d'Italia,
sì maltrattati dalle sanguisughe tedesche in occasione di questa
guerra. Però il re Cristianissimo _Luigi XIV_ tali esibizioni fece a
_Vittorio Amedeo_ duca di Savoia, che questo principe segretamente
entrò in trattato, e coll'accortezza, che in lui fu mirabile, ne
carpì dell'altre vantaggiose condizioni. Leggesi presso varii autori
il trattato di pace sottoscritto nel dì 29 d'agosto di quest'anno
dal _conte di Tessè_ luogotenente generale franzese, e dal _marchese
di San Tommaso_, primo ministro del duca suddetto; certo essendo
nondimeno che alcuni mesi prima era stabilito il concordato fra loro.
I principali punti di esso accordo furono che in vigor d'essa pace il
re Cristianissimo restituiva al duca tutti gli Stati a lui occupati
della Savoia, di Nizza e Villafranca; e inoltre gli cedeva Pinerolo
co' forti di Santa Brigida ed altri, con che se ne demolissero tutte
le fortificazioni; e finalmente, che seguirebbe il matrimonio di _Maria
Adelaide_ principessa di Savoia, primogenita di sua altezza reale, con
_Luigi duca di Borgogna_ primogenito del Delfino, allorchè fossero in
età competente; e che intanto essa principessa passerebbe in Francia,
per essere ivi allevata alle spese del re. Vi ha chi scrive promessi
anche quattro milioni di franchi al duca dal re Cristianissimo per
compenso de' danni sofferti, ma con obbligo di tenere in piedi a spese
del re otto mila fanti e quattro mila cavalli, qualora i collegati
ricusassero di abbracciar quel trattato.

Accordate in questa maniera le pive, inviò il re Cristianissimo nella
primavera qualche reggimento di più del solito al _maresciallo di
Catinat_, il quale fece anche spargere voce di aver forze maggiori,
e minacciava anche di rovinar Torino colle bombe. Mostravane il duca
grande apprensione e paura, per colorir le risoluzioni prese e da
prendersi; quando spedite furono da esso maresciallo per mezzo d'un
trombetta le vantaggiose condizioni che il _re Luigi XIV_ offeriva
al duca _Vittorio Amedeo_ per la pace di Italia. Andarono innanzi e
indietro proposte e risposte; e finalmente restò accordata fra loro
una sospension d'armi per quaranta giorni, cioè per tutto il mese
d'agosto, che fu poi anche prorogata sino al dì 16 di settembre, a fin
di proporre alle corti alleate la neutralità d'Italia sino alla pace
generale. Comunicata questa ai ministri di Cesare, della Spagna ed
Inghilterra, esistenti in Torino, niun d'essi v'acconsentì; ma il duca
come generalissimo lo volle. Allorchè giunse alle corti questa novità,
si proruppe in gravi schiamazzi, e furono spedite esibizioni gagliarde
al duca di Savoia, per mantenerlo in fede. Ma egli, che non isperava
di acconciar sì felicemente i proprii interessi colla continuazion
della guerra, come facea colla particolar sua pace coi Franzesi,
stette saldo nel suo proposito. Inclinavano veramente gli Spagnuoli
ad accettare la tregua, perchè scarsi di danaro, e con gli Stati
esposti all'irruzion de' nemici, e nemici che con l'union del duca
divenivano tanto superiori di forze; ma non mirando mai venire alcuna
decisiva risposta dalle potenze confederate, attendeva il marchese
di Leganes solamente a ben presidiare e fortificare le frontiere del
ducato di Milano. Intanto, prima che spirasse il termine dell'accordata
sospension d'armi, il maresciallo di Catinat fece nel dì 5 di settembre
sfilar la sua armata, e, passato il Po, andò a trincierarsi in Casale
di Monferrato. Spirato esso termine, senza che la neutralità fosse
abbracciata dai collegati, eccoti unirsi le truppe di Savoia con quelle
di Francia, formando un esercito di circa cinquanta mila persone.
Ed ecco chi il giorno innanzi era generalissimo dell'armi collegate
in Italia, uscire in campo nel dì seguente generalissimo dell'armi
franzesi contra d'essi collegati, e nel dì 18 di settembre cignere
d'assedio Valenza.

Mi trovava io allora in Milano, e mi convenne udire la terribil
sinfonia di quel popolo contro il nome, casa e persona di quel sovrano,
trattando lui da traditore, e come reo di nera ingratitudine, che si
fosse servito di tanto sangue e tesoro degli alleati per accomodare i
soli suoi interessi, con altre villanie che io tralascio. Ma d'altro
parere si trovavano le persone assennate, considerando che egli, dopo
aver liberato lo Stato di Milano dalla dura spina di Casale, ora,
stante la cession di Pinerolo e la ricupera dei suoi stati, serrava in
buona parte la porta dell'Italia ai Franzesi: con che si scioglievano
i ceppi non meno suoi che del medesimo Stato di Milano. Se in quel
bollare di passioni non riconobbe la gente questo benefizio, poco
stette ad avvedersene; e tanto più perchè, era incerto se, proseguendo
la guerra, si fosse potuto ottenere tanto vantaggio. Certamente tutti
i principi d'Italia fecero plauso alla animosa risoluzione del duca
Vittorio Amedeo, non già che piacesse loro il vedere quasi chiuso in
avvenire il passo in Italia all'armi franzesi per tutti i loro bisogni
(e dico quasi, perciocchè restarono ai Franzesi le Fenestrelle, che
essi poi fortificarono), ma perchè si veniva a smorzare un incendio che
li avea malamente scottati tutti per l'insoffribile ed ingiusta avidità
e violenza de' Tedeschi in succiare il sangue degli infelici popoli.
Continuava intanto con vigore l'assedio di Valenza, e già quella piazza
si accostava all'agonia, quando il _conte di Mansfeld_ plenipotenziario
dell'imperadore, e il _marchese di Leganes_ governator di Milano, per
evitar mali maggiori, si diedero per vinti, ed accettarono l'esibita
neutralità. In Vigevano nel dì 7 di ottobre fu stabilito l'accordo
con obbligarsi Tedeschi e Franzesi di evacuare quanto prima l'Italia.
Ma perciocchè ai Tedeschi troppo disgustoso riusciva il dire addio
ad un paese, dove aveano trovato alle spese altrui tante dolcezze, e
gridavano per le paghe ritardate, e inoltre per l'avanzata stagione
non si voleano muovere: altro ripiego non si trovò che di promettere
loro ben più di trecento mila doble, compartendo questo aggravio sopra
i principi d'Italia, cioè settantacinque mila doble al gran duca di
Toscana, al duca di Mantova quaranta mila, altrettante al duca di
Modena, trentasei mila al duca di Parma, quaranta mila ai Genovesi; al
Monferrato venticinque mila, ai Lucchesi trenta mila; a Massa quindici
mila, al principe Doria sei mila, a Guastalla cinque mila, e il resto
agli altri minori vassalli dell'imperio. Doveansi immediatamente pagare
cento mila doble, e l'altre ducento mila e più, con respiro e in certe
rate. Tutto fu puntualmente pagato e con piacere per questa volta,
lusingandosi i principi e popoli di dover da lì innanzi respirare,
e non soggiacere alle inudite estorsioni delle milizie imperiali.
Lo stesso pontefice (tanto gli premeva l'uscita di Italia di quella
nazione) non isdegnò di pagare quaranta mila scudi per accelerarne i
passi. Di mala voglia, siccome dicemmo, abbandonarono i Tedeschi la
Lombardia. Si dee ora aggiungere un'altra ragione, cioè, perchè tenendo
l'occhio alla monarchia di Spagna, di cui si prevedeva vicina la
vacanza per la poca sanità del _re Carlo II_, già aveano fatti i conti
di piantare la picca nello Stato di Milano, e di assicurarsene per ogni
occorrenza. Ma non andò loro propizia la fortuna, e bisognò tornarsene
in Germania, carichi nondimeno di preda e di danari. Un impulso anche
alla Francia di terminar questa guerra fu lo stesso motivo della
sospirata succession del regno di Spagna. Furono poi smantellate le
fortificazioni di Pinerolo e degli altri forti, restituito tutto al
duca di Savoia, e tornò la quiete in Italia.

Era venuto per ambasciatore di Cesare a Roma _Giorgio Adamo conte di
Martinitz_. Non si sa bene se per l'alterigia sua propria, o pure
perchè la corte di Vienna facesse la disgustata col papa a cagione
dei non continuati sussidi per la guerra contra del Turco, egli in
questo anno cercò di far nascere del torbido in quella sacra corte.
Contro il costume e rituale de' tempi andati pretese esso Martinitz di
non voler cedere la mano al governatore di Roma nella processione del
Corpo del Signore; laonde per ischivar gl'impegni, ordinò il pontefice
che il governatore per quella volta si astenesse dall'intervenire
alla funzione. Fecesi la processione, in cui lo stesso santo padre
portava il Venerabile; e l'ambasciatore all'improvviso si spinse fra
i cardinali diaconi, pretendendo di andar con loro del pari. Grande
imbroglio e non lieve scandalo si suscitò per questo, e cagionò
che la procession si fermasse, e durasse per quattro ore, con grave
incomodo del papa, mentre facea gran caldo. A queste sconsigliate
bizzarrie del cesareo ministro seppe per qualche tempo mettere freno
la prudenza del romano pontefice; laonde non seguì per ora altro
maggior inconveniente, se non che quel ministro continuò con molto
orgoglio, sino a rendersi intollerabile al mansueto pontefice in grave
pregiudizio del cesareo monarca. _Rinaldo d'Este_ già cardinale, poi
divenuto duca di Modena, avea nel precedente anno conchiuso il suo
matrimonio colla principessa _Carlotta Felicita di Brunsvich_, figlia
di _Gian-Federigo_ duca cattolico di _Hannover_, e di _Benedetta
Enrichetta di Baviera_, palatina del Reno. Nel dì 28 di novembre
d'esso anno seguì lo sposalizio di questa principessa con pompa nel
palazzo ducale di Hannover, secondo i riti della santa Chiesa romana:
con che si vennero a riunire le due linee degli Estensi d'Italia e di
Germania, procedenti dal comune stipite, cioè dal _marchese Azzo II_,
e divise circa l'anno 1070 come il celebre Leibnizio allora dimostrò,
ed anche io con documenti chiarissimi provai poscia nelle Antichità
Estensi. Accompagnata questa principessa dalla duchessa sua madre, e
da un gran treno di famiglia e di calessi, ricevette nel Tirolo per
parte dell'imperadore distinti onori, e più magnifici ancora per lo
Stato veneto dalla consueta splendidezza di quella repubblica. Fece
dipoi il suo ingresso in Mantova, accolta con somma solennità e varietà
di divertimenti dal duca _Ferdinando Carlo_. Condotta finalmente pel
Panaro da gran copia di superbissimi bucentori sino a Bomporto, nel
dì 7 di febbraio entrò in Modena con quella grandiosità di seguito,
di apparati e di solazzi ch'io brevemente accennai nelle suddette
Antichità Estensi. Un rigoroso editto fu pubblicato in quest'anno dal
santo pontefice _Innocenzo XII_, con cui si proibiva a tutti i sudditi
il giocare e far giocare ai lotti di Genova, Milano e Napoli, giacchè
si toccavano con mano i gravi danni provenienti da queste invenzioni
dell'umana malizia per succiare il sangue de' malaccorti mortali.



    Anno di CRISTO MDCXCVII. Indiz. V.

    INNOCENZO XII papa 7.
    LEOPOLDO imperadore 40.


Godevasi oramai la serenità della pace in Italia, per esserne partite
le milizie alemanne, ed avere il duca di Savoia e il governator di
Milano disarmato, con ritener solamente le truppe necessarie per
le guarnigioni delle piazze. Avea anche la Francia puntualmente
data esecuzione a quanto s'era stabilito col duca di Savoia, la cui
primogenita condotta in Francia, e sposata col duca di Borgogna, seco
per due ore stette in letto alla presenza di molti testimoni, ma con
riserbare a tempo più proprio la consumazione del matrimonio. Era
intanto il pontefice _Innocenzo XII_ intento a fabbriche ed imprese
che tornassero a servigio di Dio e in benefizio de' sudditi suoi. A
questo fine nel mese d'aprile niuno il potè trattenere che con lieve
accompagnamento non passasse a Nettuno, bramoso pure di provvedere
Roma e lo Stato ecclesiastico di un buon porto nel Mediterraneo, e
di far divenire questo anche porto franco. Nettuno, o per dir meglio
Anzio vicino a Nettuno, gli era stato rappresentato per più comodo
a Roma, e di miglior aria che Cività Vecchia. Dappertutto ricevette
superbi regali da' baroni romani, e più degli altri ne profittarono i
poveri. Diede egli ordine che non già a Nettuno, ma al vicino Anzio
si fabbricasse il porto, ed assegnò ad opera tale delle rilevanti
somme, e massimamente per fabbricarvi un forte capace di ripulsare le
insolenze de' corsari di Barberia. Ma mentre il santo padre era tutto
occupato a promuovere i vantaggi de' suoi Stati, venne a gravemente
turbarlo un passo ardito ed offensivo fatto dalla corte di Vienna e
dal suo ministro. Cioè fu dal conte di Martinitz ambasciatore cesareo,
nel dì 9 di giugno, pubblicato ed affisso al suo palazzo in Roma un
editto, dato nel dì 29 d'aprile in Vienna dall'_imperador Leopoldo_, in
cui supponendosi molti feudi imperiali in Italia usurpati, ed altri,
dei quali da lungo tempo i possessori non aveano presa l'investitura,
s'intimava a tutti l'esibire i documenti per legittimare i lor
possessi, e di prenderne o rinnovarne l'infeudazione nel termine di tre
mesi. Altamente ferito restò l'animo del buon pontefice e di tutta la
sacra corte per questa novità, non solo perchè lesiva della sovranità
pontificia, ma perchè assai si scorgeano le segrete intenzioni di
Cesare di eccitar nuove turbolenze in Italia, ed anche nello Stato
pontificio. Però il santo padre, oltre all'aver con altro editto,
dato fuori dal _cardinale Altieri_ camerlengo nel dì 17 dello stesso
giugno, dichiarato nullo l'editto cesareo ed intimate pene a chi
vi si sottoponesse, nello stesso tempo fece passar le sue doglianze
all'_Augusto Leopoldo_ per sì grave attentato. Le ragioni addotte dal
nunzio _Santa croce_, la disapprovazione di quella novità mostrata
dal re Cattolico e dal duca di Savoia, in tempo massimamente che si
trattava la pace universale, cagion furono che Cesare desistesse per
allora dal mosso impegno, e facesse delle rispettose scuse al sommo
pontefice. Nondimeno anche nell'anno seguente durarono le scintille di
questo incendio.

Un gran moto si diede in fatti il re di Francia _Luigi XIV_ nell'anno
presente per condurre alla pace le potenze alleate contra di lui; e
benchè sì potente monarca, e fin qui gran conquistatore, da accorto
come era, fu egli stesso che corse dietro ai nemici con ingorde
esibizioni di lasciar buona parte delle prede fatte. Troppo gli stava
a cuore l'affare della già cadente monarchia di Spagna, ch'egli forte
amoreggiava. Guadagnò segretamente prima degli altri _Guglielmo
principe di Oranges_, con offerirsi pronto a riconoscerlo per re
della Gran-Bretagna, e ad abbandonar la protezione del detronizzato
_re Giacomo Stuardo_. Però si aprì il congresso in Olanda presso al
castello di Riswich, e quivi i plenipotenziarii dei sovrani colla
mediazione di _Carlo XI_, e poi di _Carlo XII_, regi di Svezia, diedero
principio al duello delle lor pretensioni; e intanto il re di Francia
continuava le sue conquiste in Catalogna e in America. Finalmente
la concordia seguì, essendosi sottoscritta, nel dì 20 di settembre,
la pace, prima coll'_Olanda_, poi con _Guglielmo III_ re della
Gran-Bretagna, e con _Carlo II_ re delle Spagne. Restarono tuttavia
renitenti i plenipotenziarii imperiali; ma dacchè videro restar solo
in ballo l'augusto loro padrone, giudicarono meglio d'abbracciar
anch'essi la desiderata quiete, e nel dì 30 di ottobre sottoscrissero
i capitoli della pace. Ampia fu la restituzion di città, fortezze e
paesi, che fece in tale occasione il re Cristianissimo alla _Spagna_,
all'_imperadore_, al duca _Leopoldo di Lorena_, al _palatino del
Reno_ e ad altri principi. Venne ivi eziandio ratificato in favore del
duca di Savoia il trattato di Vigevano dell'anno precedente. Nominò
poscia il re Luigi per compresi in questa pace i principi d'Italia, e
spezialmente il romano pontefice, il cui ministro per l'opposizione dei
protestanti non avea potuto intervenire a quella pace.

Pacificati in questa maniera fra loro i principi cristiani, restava
tuttavia nel suo fervore la guerra dell'imperadore e de' Veneziani
contra del Turco; e questa nel presente anno fu assistita dalla mano
di Dio. Giacchè l'_elettor di Sassonia_ si trovava tutto applicato
a conseguir la vacante corona di Polonia, al qual fine, abiurato il
luteranismo, avea fatta professione della religion cattolica romana; e
il _principe di Baden_, a cagione della poca sanità, si era ritirato
ai suoi stati, e il _maresciallo Caprara_ Bolognese per l'avanzata
suo età si scusava di non poter sostenere il comando delle armi in
Ungheria; l'_Augusto Leopoldo_, come si può presumere, ispirato da
Dio, scelse per supremo comandante di quella sua armata il principe
_Eugenio Francesco di Savoia_, nato nell'anno 1665 a dì 18 di ottobre
da _Eugenio Maurizio di Savoia_, conte di Soissons. Più di un saggio
di sua prudenza e valore avea dato questo principe nell'ultima guerra
d'Italia, comandando le armi cesaree; ma il suo nome non era forse
conosciuto finora alla Porta Ottomana, ancorchè avesse già militato
dianzi nella stessa Ungheria. Colà si portò egli, affrettato dal
grandioso preparamento d'armi, di munizioni e di flotta nel Danubio,
fatti dal sultano _Mustafà II_, che, gonfio di speranze per le
favorevoli campagne dei due precedenti anni, volle anche nel presente
condurre in persona il poderoso esercito suo, promettendosi nuovi
allori, e ridendosi degli avvisi che si trattava la pace della Francia
coi potentati della cristianità. Nel dì 27 di luglio arrivò al campo
cesareo il principe Eugenio, e colle truppe venute dalla Transilvania
trovò dipendente da' suoi cenni un esercito di circa quarantacinquemila
Alemanni, gente veterana, che conosceva ben le ferite, ma non la paura.
Inoltratosi poi il Gran signore col suo, si appigliò al consiglio del
Tekely d'imprendere l'assedio di Peter-Waradino, e dopo avere occupato
Titul, s'inviò a quella volta. Gli conveniva prima impadronirsi di
Seghedino: e a questo fine formato un ponte sul Tibisco, lo passò.
Avvertito dalle spie il principe Eugenio, marciò coi principi di
_Commercy_ e di _Vaudemont_, e col conte _Guido di Staremberg_, e con
tutte le sue forze, per impedir gli ulteriori progressi al nemico; e
nel dì 11 di settembre pervenne a Zenta, terra sul Tibisco, trovandola
incendiata dai Turchi. Si era trincierato alla testa del suo ponte
l'esercito musulmano, quando il Gran signore, avvertito essere l'oste
cristiana più forte di quel che gli era stato supposto, determinò di
ripassare il Tibisco; e infatti nel dì e notte precedente lo ripassò
egli con alcune migliaia di fanti e cavalli, lasciando di qua il
rimanente dell'armata che dovea seguitarli.

Non restavano più che tre ore e mezza di giorno quando l'avveduto
principe di Savoia, scoperta la situazion dei nemici, coraggiosamente
spinse i suoi all'assalto de' trincieramenti; e superato il primo,
poscia il secondo, entrò la sua gente con furia nel campo nemico.
Allora immensa fu la strage degl'impauriti infedeli, che tentarono
colla fuga pel ponte di sottrarsi alle sciable tedesche; ma imbarazzato
il ponte dalla folla e da quei che cadevano, loro chiuse in breve il
varco. Però incalzati da' vincitori, altro scampo non restò ad essi
che di gittarsi nel fiume, nelle cui acque trovarono ciò che temeano
d'incontrare in terra. Più relazioni portarono che dei Turchi tra
uccisi ed annegati più di venti mila perderono ivi la vita. Altri
scrissero fino a trenta mila, e fra questi il primo Visire, l'Agà
dei giannizzeri, e dicisette bassà. Furono presi settantadue pezzi
di cannone, sei mila carrette di munizioni da bocca e da guerra,
ottantasei tra bandiere e cornette; e gran bottino fecero i soldati,
dappoichè tornarono indietro dall'inseguire i fuggitivi nemici,
giacchè solamente allora fu data dal saggio capitano ad essi licenza
di raccogliere le spoglie. Il sultano colla testa bassa, e con alcune
poche compagnie di cavalli, spronando forte se ne tornò a Belgrado
assai disingannato della bravura e fortuna de' suoi. Una vittoria sì
segnalata non s'era riportata fin qui sopra i Turchi, e il più mirabil
fu, che non costò ai cristiani che mille morti ed altrettanti feriti.
Voltò poscia il principe Eugenio le armi vittoriose addosso alla
Bossina, e prese Dobay, Maglay ed altre castella. La mercantile città
del Serraio, abbandonata da' Turchi, fu messa a sacco ed incendiata;
ma non si potè prendere il castello. Anche il generale _conte Rabutin_
sottomise a forza d'armi Vilpanca e Ponzova, e un gran tratto di paese
saccheggiato rallegrò di nuovo le cristiane milizie. Quanto salisse in
alto per sì gloriosa campagna il nome del _principe Eugenio_ ognun sel
può immaginare.

L'armi venete in Levante, assistite anche in quest'anno dalle galee
del papa e di Malta, altro non fecero che tentar di combattere senza
mai potere ridurre le turchesche ad accettar daddovero la disfida.
In tre siti e in tre diversi tempi venne la veneta flotta contro
l'ottomana, e furono anche principiate le offese, ma senza considerabil
vantaggio delle parti; e si vide l'astuto _capitan bassà Mezzomorto_
sempre cedere il campo a' cristiani e ritirarsi. Giubilò in questo
anno il vecchio papa _Innocenzo XII_, sì per la pace universale
conchiusa in Riswich, come ancora per l'insigne vittoria riportata
in Ungheria contra de' Turchi. Per terzo motivo di allegrezza si
aggiunse l'avere _Federigo Augusto_ elettor di Sassonia professata
pubblicamente la religion cattolica; il che servì a lui di scala per
salire sul trono della Polonia. Solenne ringraziamento a Dio fu fatto
in Roma per la vittoria suddetta, e diede questa motivo al pontefice
di ammettere alla sua udienza il _conte di Martinitz_, che per le sue
disobbliganti maniere e per le violenze passate n'era da gran tempo
escluso. Attento il santo padre a tutto ciò che riguardava l'aumento
della fede cattolica, assegnò nell'anno presente un fondo considerabile
per le missioni della Etiopia, giacente nel cuor dell'Africa, giacchè
gli erano state date speranze di rimettere di nuovo la concordia di
quei cristiani scismatici colla Chiesa romana. Intenzione sommamente
lodevole, per essere quei paesi di smisurata estensione, ben popolati
e forniti da Dio di molti beni, e poco nella credenza lontani dal
cattolicismo; ma intenzione fin qui priva di effetto, parte per
l'odio conceputo da quei popoli contro gli Europei, e parte perchè
le conquiste fatte da' Turchi rendono troppo difficile oggidì e
pericoloso l'accesso a quelle contrade. Liberò anche il papa i suoi
popoli da alcune imposte, spezialmente sopra il grano; acquistò con
danaro la città d'Albano per la camera apostolica; e da' cardinali
zelanti si lasciò indurre a comperare il teatro di Tordinona, per
impedir le recite delle commedie. Pensando il _gran duca Cosimo III de
Medici_ di provvedere al matrimonio finora sterile del gran principe
_Ferdinando_ suo figlio, conchiuse in quest'anno il maritaggio di
_Anna Maria Francesca_ figlia di _Giulio Francesco_ ultimo duca di
_Sassen-Lavemburg_, che portava gran dote, col principe _Gian-Gastone_
suo secondogenito. Seguì tale sposalizio nel dì 2 di luglio, e questo
principe passò ad abitare dipoi con poca felicità in Germania. Nè
si dee tacere, che circa questi tempi _Pietro Alessiovitz_ czaro di
Moscovia, ossia della Russia, principe di mirabil comprensione, e di
straordinarie massime, prese a viaggiare incognito, ma cognito quando
voleva, per imparar le arti europee, e spezialmente quelle della
marinaresca. Comparve come uno dei suoi ambasciatori in Prussia, in
Olanda, in Inghilterra e a Vienna. Sua mente era eziandio di visitare
l'inclita città di Venezia; ma mentre vi si disponeva, gli convenne
tornarsene in fretta alle sue contrade, chiamato dalle sedizioni contra
di lui macchinate da que' popoli barbari, instabili, e non per anche
ridotti alla civiltà ch'ora si mira in quelle parti.



    Anno di CRISTO MDCXCVIII. Indizione VI.

    INNOCENZO XII papa 8.
    LEOPOLDO imperadore 41.


Dopo la memorabil vittoria riportata dall'armi imperiali a Zenta
colla fuga dello stesso Gran signore _Mustafà II_, ognun si aspettava
maggiori progressi di Cesare in Ungheria; tanta era la costernazione
de' Turchi e la lor debolezza. Tempo ancora più favorevole di questo
non potea darsi, dacchè l'_Augusto Leopoldo_, sbrigato dalle guerre
colla Francia, si trovava in istato di operar con braccio forte contro
il comune nemico, e a ciò l'animavano i Veneziani, e lo zelantissimo
pontefice prometteva gagliardi soccorsi in danaro. Ma in Vienna si
macinavano altre idee, stante la vacillante sanità di _Carlo II_ re
di Spagna, colla cui morte, appresa sempre per vicina, verrebbe a
vacare quella gran monarchia per difetto di prole. A tal successione
aspirava l'imperadore per l'_arciduca Carlo_ suo secondogenito, sì
perchè retaggio dell'augusta casa d'Austria, e sì perchè la linea
austriaca di Germania era chiamata a quei regni da' testamenti dei
precedenti re dell'altra linea di Spagna. L'Inghilterra e l'Olanda,
siccome interessate anche esse nella preveduta mutazion di cose, non
cessavano d'ispirare a Cesare la necessità di prepararsi a questo
grande avvenimento, acciocchè l'oramai troppo possente corona di
Francia non ne profittasse. Quindi nacque nell'Augusto monarca il
desiderio di pacificarsi colla Porta; e però la corte di Inghilterra,
che s'era esibita di trattarne, spedì ordini premurosi al _milord
Paget_ suo ambasciatore a Costantinopoli, di farne l'apertura col
primo _visire Cussein_, da cui fu ben ricevuta sì fatta proposizione.
Il piano di questa pace o tregua si riduceva ad un punto solo, cioè
che tanto l'imperadore, Veneziani, Moscoviti e Polacchi, quanto i
Turchi, restassero possessori di tutto quanto aveano conquistato negli
anni addietro. Se ne mostrò pago il divano, e per conseguente furono
eletti i plenipotenziarii di tutte le potenze, e scelto per luogo del
congresso Carlowitz posto fra Salankement e Peter-Waradino, dove si
cominciarono colla mediazione degl'Inglesi e Olandesi a spianare le
difficoltà occorrenti che consistevano in determinare i confini, e in
pretendere la demolizione d'alcuni forti e piazze. Si andò per tutto
quest'anno combattendo fra i plenipotenziarii, nè si potè smaltire
tutto sino al gennaio dell'anno seguente, che pose fine alle lor
contese, e sigillò, siccome diremo, la tregua fra loro. Intanto sì i
Veneziani che Cesare continuarono, più in apparenza che in sostanza, la
guerra anche nell'anno presente. Per quanto potè si studiò il capitan
generale _Delfino_ di tirare a battaglia il Mezzomorto bassà comandante
della flotta turchesca, ma costui cauto andò sempre schivando il
cimento, se non che nel dì 21 di settembre si attaccarono l'armate
nemiche. E pure il Musulmano seppe a tempo battere la ritirata e
sottrarsi al periglio. Altro dipoi non operarono i Veneziani, che
bruciare il paese nemico per terra, ed esigere contribuzioni colle
scorrerie di mare in varie contrade de' Turchi.

Intanto nei gabinetti segretamente si lavorava per prevenire un
nuovo sconvolgimento di cose, qualora mancasse di vita _Carlo II_
re di Spagna. Massimamente ne trattò con gli Inglesi ed Olandesi il
ministro di Francia; e all'Haia, nel dì 11 d'ottobre fu sottoscritto
un trattato di partaggio della monarchia di Spagna, rapportato dal
Lunig, dal Du-Mont e da altri; per cui, venendo il caso suddetto, al
_principe elettorale_ figlio di _Massimiliano elettor di Baviera_
e dell'_arciduchessa Antonia_, cioè di una figlia dell'_imperator
Leopoldo_, e di _Margherita Teresa_ sorella del regnante suddetto re
Carlo, fu assegnata la successione dei regni di Spagna, siccome più
prossimo dei discendenti dal _re Filippo IV_, eccettuati alcuni pezzi
di essa monarchia. A _Luigi Delfino_ primogenito del re Cristianissimo
per le ragioni della regina sua madre e dell'avola, amendue spagnuole,
furono riservati i regni di Napoli e Sicilia, colle fortezze poste
nella maremma di Siena, il marchesato del Finale, e la provincia di
Guipuscoa colle piazze di San Sebastiano e Fonterabia. Similmente
all'_arciduca Carlo_ secondogenito dell'imperadore, in compenso
delle pretensioni delle auguste due linee, avea da toccare il ducato
di Milano. In caso poi che mancasse prima del tempo il principe
elettoral di Baviera, fu dichiarato a parte, che l'elettore suo padre
succederebbe nella suddetta monarchia, colle riserve sopra espresse.
Il gran concetto in cui è il gabinetto di Francia di superar tutti gli
altri in accortezza, fece credere alla gente sensata, che il _re Luigi
XIV_ contuttociò tendesse ad assorbire l'intera monarchia di Spagna
per uno dei suoi nipoti, e che non ad altro fine acconsentisse a quello
spartimento, che per tirar dalla sua con questo spauracchio i ministri
della corte di Spagna, conosciuti troppo abborrenti da ogni divisione
dei lor dominii. E certamente ben seppero i Franzesi far giocare
questa carta in Ispagna, dove in questo mentre il lor ambasciatore
non lasciava indietro diligenza e dolcezza alcuna, per guadagnarsi il
cuore di chiunque era più potente presso al re Carlo e alla regina sua
moglie. All'incontro il _conte di Harrach_, ambasciatore cesareo alla
corte di Madrid, non sapea trovar la carta del navigare, e commise vari
passi falsi ed errori, de' quali è da vedere il primo tomo della storia
di Europa del marchese Francesco Ottieri: libro saggiamente composto, e
pure sì indegnamente trattato, per aver solamente detto quell'autore,
che nell'elezione di _Augusto re di Polonia_, l'abate di _Polignac_,
poscia cardinale, non aprì ben gli occhi in tal occasione. Era stato
richiamato in Ispagna il _marchese di Leganes_, e destinato al governo
di Milano _Carlo principe di Vandemont_ della casa di Lorena, il cui
figlio militava nelle truppe dell'imperadore. Giunse questo principe
a Milano colla principessa sua moglie nel dì 24 di maggio, e cominciò
un trattamento superiore a quello de' suoi predecessori. Fra le altre
sue pompe uscendo egli per la città, era tirato il suo cocchio da
otto maestosi cavalli. Si applicò egli tosto a liberar lo stato dagli
assassini, che in gran copia infestavano le strade e gli abitanti.

Nel giugno dell'anno presente fu presa da gran costernazione la città
di Napoli per l'orribile strepito che faceva il monte Vesuvio. Vomitò
esso da lì a poco sì sterminata quantità di cenere, che scurò l'aria,
e coprì i tetti e le piazze di quella città all'altezza di un piede.
Quindi sfogò la sua collera con una gran pioggia di sassi, e con
cinque fiumane di fuoco, composte dì materie bituminose a guisa di
ferro fuso. Da questi torrenti, che scesero alla Torre del Greco in
mare, non solo restò ridotto come un deserto quel luogo, ma i contorni
ancora colle deliziose vigne e palazzi andarono tutti in rovina. Più
di seimila persone, avendo prima presa la fuga, si rifugiarono in
Napoli, e furono ben accolte e alimentate dalla singolar pietà del
_cardinal Cantelmo_ arcivescovo. Un altro non men grave flagello toccò
nel dì 20 di giugno alla cittadella di Torino. Svegliatosi per aria un
gran temporale sul far del giorno, da un fulmine figlio della terra
o delle nuvole, venne attaccato il fuoco al magazzino della polve,
coperto in maniera da potere resistere alle bombe: disavventura, a cui
sono soggetti i ricettacoli di molta polve da fuoco. Sì orribile fu
lo scoppio, che rovesciò tutte le fabbriche di essa cittadella colla
morte di dodici ufiziali e di quattrocento soldati, oltre ai feriti.
Si scossero tutte le case della città; ogni finestra e gran copia di
mobili andò in pezzi, s'aprirono le porte delle chiese, e si credettero
gli abitanti di essere al fine dei lor giorni. Il danno recato dalla
violenza di questo accidente si fece ascendere a tre milioni di lire;
e maggiore incomparabilmente sarebbe stato, se il fuoco del magazzino
non avesse volto verso la campagna lo scagliamento delle pietre. Per
segnali dell'ira di Dio e per preludi di maggiori sciagure furono presi
questi sì funesti avvenimenti. E certamente era ben seguita la pace,
ma già si scorgea non doversene sperare se non breve la durata, stando
ognuno in apprensione di maggiori sconvolgimenti in Europa, a cagion
della monarchia di Spagna vicina a restar vedova. E già la Francia e il
duca di Savoia _Vittorio Amedeo_ faceano grandi armamenti, per essere
pronti alle rivoluzioni, che non poteano mancare, mancando di vita il
_re Carlo II_. Nel dì 2 di luglio di questo anno a _Rinaldo d'Este_
duca di Modena nacque il suo primogenito _Francesco Maria_, oggidì
duca, con somma consolazione dei popoli suoi. Era vacato in Roma per la
morte del _cardinal Paluzzo Altieri_ il riguardevol posto di camerlengo
della santa romana Chiesa, posto in addietro venale e di gran lucro.
Con sua bolla pubblicata nel dì 24 d'agosto il pontefice _Innocenzo
XII_ soppresse e vietò per l'avvenire la venalità di questa carica, con
applicar buona parte de' frutti d'essa all'ospizio dei poveri, o alla
stessa camera apostolica.



    Anno di CRISTO MDCXCIX. Indiz. VII.

    INNOCENZO XII papa 9.
    LEOPOLDO imperadore 42.


Nel dì 26 di gennaio dell'anno presente fu finalmente stabilita in
Carlowitz una tregua di venticinque anni fra l'_Imperadore Leopoldo_
e il sultano de' Turchi _Mustafà II_, siccome ancora la pace fra
i Polacchi e lo stesso Gran-signore. Perchè insorsero controversie
fra i ministri della Porta, e _Carlo Ruzini_ plenipotenziario della
repubblica di Venezia, mentre questi differiva l'acconsentire ad
alcuni punti, i plenipotenziarii cesareo e polacco, e i mediatori
inglese ed olandese, stipularono essi la concordia fra essa repubblica
e il sultano nella forma che si potè ottenere, con gloria nondimeno
e vantaggio del nome veneto. Il maneggio di questa concordia, per
quel che riguarda i Veneziani, vien descritto nella Storia Veneta del
senatore Pietro Garzoni, e in quella del pubblico lettore di Padova
Giovanni Graziani, e presso il Du-Mont se ne legge la dichiarazione
o strumento, senza che fosse specificato a quanto tempo si dovesse
stendere la tregua con essi: il che solamente dopo alquanti mesi
restò conchiuso, dopo essere stato il senato in un gran batticuore a
cagion di tanta dilazione. Per questo accordo restarono i Veneziani
in possesso e dominio del regno della Morea, colle isole d'Egina e
di Santa Maura, di Castelnuovo e Risano, e delle fortezze di Knin,
Sing, Citelut, e Gabella nella Dalmazia, con altre particolarità ch'io
tralascio. Fu poi ratificata questa tregua dal senato di Venezia nel
dì 7 di febbraio, siccome ancora furono destinati da tutte le potenze i
commessarii per regolare e determinare i confini coll'imperio ottomano:
cosa che portò seco gran tempo, somme applicazioni e dispute, prima che
se ne vedesse il fine. Di grandi allegrezze si fecero in Venezia per sì
glorioso fine di sì lunga guerra, e del pari in Vienna, essendo restato
Cesare padrone dell'Ungheria e Transilvania a riserva di Temiswar;
siccome ancora in Polonia, per essere tornato quel regno in possesso
dell'importante fortezza di Gaminietz. Avea preventivamente anche il
czaro _Pietro Alessiovitz_ conchiusa coi Turchi una tregua di due anni,
che poi con altro atto, nel 1702, fu prorogata a trent'anni.

Non solamente era riuscito a _Massimiliano elettor di Baviera_ e
governator della Fiandra, di far concorrere il re Cristianissimo
_Luigi XIV_ e le potenze marittime nell'esaltazione del figlio suo
_Ferdinando_ alla corona di Spagna; ma eziandio con gravissime spese
e regali avea in guisa guadagnati i ministri della corte di Madrid,
che lo stesso _re Carlo II_ giunse a dichiararlo erede dei suoi regni
nel suo testamento: la qual nuova portata a Vienna avea servito a
conchiudere con precipizio la suddetta pace o tregua di Carlowitz.
Dovea anche esso principe elettorale fra pochi mesi passare a Madrid,
per essere allevato in quella corte all'uso spagnuolo in espettazione
di tanta fortuna. Ma chi non sa a quali vicende e peripezie sieno
sottoposti i gran disegni e le imprese dei mortali? Dacchè si seppe
la destinazion di questo principe fanciullo al trono di Spagna, non
passarono tre mesi, che eccoti venir la morte a rapirlo nel dì 5 di
febbraio dall'anno presente: colpo che trafisse d'inestimabil dolore
il cuore dell'elettor suo padre; e tanto più, perchè non mancò gente
maligna, che seminò sospetti di veleno, cioè quella calunnia che si
è da noi trovata sì facile, allorchè i principi soggiacciono ad una
morte immatura. Restarono perciò sconcertate tutte le misure prese dal
re Cattolico dall'una parte, e dalla Francia, Inghilterra ed Olanda
dall'altra, di modo che si videro necessitate queste tre potenze
a ricorrere ad altro ripiego, e si cominciò di nuovo nelle corti a
trattar della maniera di conservare la tranquillità nell'inevitabil
deliquio della monarchia spagnuola. Ma intorno a ciò quei potentati non
arrivarono ad accordarsi insieme, se non nell'anno susseguente, siccome
vedremo. Da gran tempo pensava l'_augusto Leopoldo_ di provvedere di
una degna consorte _Giuseppe re dei Romani_ suo primogenito. Fu in
qualche predicamento _Leonora Luigia Gonzaga_ principessa di Guastalla;
ma le determinazioni della corte cesarea terminarono nella principessa
_Amalia Guglielmina di Brunsvich_, figlia del fu duca di Hannover
_Gian-Federigo_, e sorella di _Carlotta Felicita_ duchessa di Modena.
Abitava questa principessa nei tempi presenti in essa corte di Modena
colla duchessa sua madre _Benedetta Enrichetta_ di Baviera, nata
palatina del Reno. Qui appunto, nel dì 15 di gennaio di quest'anno
seguì lo sposalizio di questa principessa con indicibil pompa e
solennità. Videsi allora piena di nobiltà straniera, di ambasciatori
e d'inviati la città e corte di Modena, e fra gli altri vi comparve in
persona con insigne corteggio il cardinale _Francesco Maria de Medici_,
e poscia il cardinale _Jacopo Boncompagno_, arcivescovo di Bologna, con
titolo di legato apostolico, e con suntuosissima corte, a complimentare
la novella regina. Le splendide feste in tal occasione fatte dal
duca _Rinaldo_, e il viaggio della stessa regina alla volta della
Germania, coi grandiosi trattamenti che ella ricevette da _Ferdinando
Carlo Gonzaga_ duca di Mantova, e dalla splendidissima _repubblica
di Venezia_, perchè io gli ho abbastanza accennati nelle Antichità
Estensi, mi dispenso ora dal rammemorarli.

Non fu minor la consolazione e gioia della corte di Torino in questi
tempi per la nascita del primogenito principe di Piemonte, succeduta
sul principio di maggio, che con grandi allegrezze venne dipoi
solennizzata. Gli fu posto il nome del padre, cioè di _Vittorio
Amedeo_. Era nell'età sua giovanile principe di grande aspettazione;
ma nel dì 22 di marzo del 1715, fu poi rapito dalla morte con immenso
cordoglio del padre e di tutti i sudditi suoi. Di grandi faccende
avea avuto la sacra corte di Roma negli anni addietro per le forti
premure del _re Luigi XIV_, acciocchè fosse esaminato il libro delle
Massime dei Santi, già pubblicato dal celebre _monsignor di Fenelon_
arcivescovo di Cambrai. Molte congregazioni di cardinali e teologi
furono tenute per questo affare in Roma, e un esatto esame ne fu fatto.
Finalmente nel dì 12 di marzo pubblicò il santo padre una bolla, in
cui furono condennate ventitrè proposizioni di esso libro, riguardanti
la vita interiore. Gran lode riportò quel dottissimo prelato, per
avere con tutta umiltà e sommessione accettato il giudizio della santa
Sede, e ritrattate sul pulpito le stesse sue sentenze. Dopo questo
dibattimento poco stette a venire in campo un'altra controversia di
maggiore e più strepitosa conseguenza, cioè quella dei riti cinesi
praticati dai neofiti cristiani nel vasto imperio della Cina, e pretesi
idolatrici da una parte di quei missionarii. Acri e lunghe dispute
furono per questo, ma non giunse papa _Innocenzo XII_ a deciderlo,
e ne restò la cura al suo successore, siccome diremo. Avea risoluto
la vedova regina di Polonia Maria Casimira de la Grange, già moglie
del re _Giovanni Sobieschi_, e figlia del _cardinale di Arquien_, ad
imitazione di _Cristina_ già regina di Svezia, di venire a terminare
il resto de' suoi giorni nell'alma città di Roma. Arrivò essa colà nel
dì 24 di marzo, e prese il suo alloggio nel palazzo del principe _don
Livio Odescalchi_ duca di Sirmio Bracciano. Distinti onori furono a lei
compartiti dal pontefice e da tutta quella sacra corte. In questi tempi
esso santo padre, sempre ansioso di nuove belle imprese in profitto de'
popoli suoi, concepì il grandioso disegno di seccar le Paludi Pontine;
e fece anche i preparamenti per eseguirlo. Ma a lui tanto di vita non
rimase da poter compiere sì gloriosa risoluzione. Si applicò eziandio
alla correzione di quegli ecclesiastici che in Roma non viveano colla
dovuta regolarità di costumi, e ne fece far esatte ricerche, e volle
lista di chiunque era creduto bisognoso d'emenda. Questo solo bastò,
perchè la maggior parte di queste persone prendesse miglior sesto,
senza aspettar da più efficaci persuasioni la riforma del vivere.
Finalmente rinnovò ed ampliò una rigorosa bolla contro il ricevere
pagamenti e regali per le giustizie e grazie della sedia apostolica,
sotto pena delle più gravi censure e di altri gastighi. Continuavano
intanto le amarezze di sua santità contra del _conte di Martinitz_,
perchè questi, oltre alla pretension de' feudi, teneva imprigionato nel
suo palazzo un uomo, sospettato reo di aver voluto assassinare la balia
di una sua figlia: esempio di prepotenza da non tollerarsi da chi era
padrone in Roma. S'era interposto, per troncar queste pendenze, Rinaldo
duca di Modena con sì buona maniera, che il Martinitz avea inviato il
prigione a Modena. Ma questo ripiego non soddisfece al papa, perchè
non veniva soddisfatto al suo diritto sopra la giustizia; e però si
negava l'udienza a quel ministro. Fu egli poi richiamato a Vienna,
e nel gennaio seguente giunse a Roma il _conte di Mansfeld_ nuovo
ambasciatore cesareo, e il suo antecessore se ne andò senza aver potuto
ottenere udienza. Similmente in questi tempi il pontefice raccoglieva
gente armata, inviandola ai confini del Ferrarese. Altrettanto faceva
il duca di _Medina Celi_ vicerè nel regno di Napoli, conoscendo
d'essere l'Europa alla vigilia di qualche strepitoso sconcerto per chi
dovea succedere nella monarchia di Spagna.



    Anno di CRISTO MDCC. Indizione VIII.

    CLEMENTE XI papa 1.
    LEOPOLDO imperadore 43.


Voleva _Rinaldo d'Este_ duca di Modena con solennità magnifica
celebrare il battesimo del principe _Francesco Maria_ suo primogenito,
nato nel precedente anno, ed ottenne che l'_imperador Leopoldo_ il
tenesse al sacro fonte, e che fosse destinato a sostener le veci di sua
maestà cesarea _Francesco Farnese_ duca di Parma, il quale a questo
fine si portò a Modena colla duchessa _Dorotea_ sua consorte nel dì
16 di febbraio. Con più di cento carrozze a sei cavalli, e fra alcune
migliaia di soldati schierati per le strade, e al rimbombo di tutte
l'artiglierie della città e cittadella, furono accolti questi principi,
e trovarono nella città la notte cangiata in giorno; sì grande era
l'illuminazione dappertutto. Seguì nel dì 18 la funzion del battesimo
con somma magnificenza, e nei giorni seguenti si variarono le feste e
le allegrie, che rimasero poi coronate nel dì 22 da un suntuosissimo
carosello, che riempiè di maraviglia e diletto tutti gli spettatori
e la gran nobiltà forestiera concorsavi. Al qual fine s'era formato
nel piazzale del palazzo ducale un vasto ed altissimo anfiteatro
di legno, capace di molte migliaia di persone. Di simili grandiosi
spettacoli niuno ne ha più veduto l'Italia. Di più non ne dico, per
averne detto quel che occorre nelle Antichità Estensi. Diede fine nel
dì 5 di luglio al suo vivere _Silvestro Valiero_ doge di Venezia, a
cui in quella dignità fu sostituito il senatore _Luigi Mocenigo_. Era
già pervenuto all'età di ottantacinque o pure ottantasei anni _papa
Innocenzo XI_I, e spezialmente nell'anno antecedente per varii incomodi
di sanità avea fatto dubitar di sua vita. Tuttavia si riebbe alquanto
dalla debolezza sofferta, ma non potè contener le lagrime per non aver
potuto avere il contento d'aprir egli in persona nella vigilia del
santo Natale il giubbileo di quest'anno, che fu poi celebrato con gran
concorso e divozione dai pellegrini e popoli accorsi dalle varie parti
della cristianità a conseguir le indulgenze di Roma. Tuttochè poca
bonaccia godesse il santo padre da lì innanzi, pure continuò indefesso
le applicazioni al governo, e tenne varii concistori, e provò anche
consolazione in vedere _Cosimo III de Medici_, gran duca di Toscana che
con esemplar divozione incognito sotto nome di conte di Pitigliano si
portò nel mese di maggio a visitar le basiliche romane. Ricevette il
papa questo piissimo principe con paterna tenerezza, il creò canonico
di San Pietro, gli compartì ogni possibil onore, e fra gli altri regali
gli concedette l'antica sedia di santo Stefano I papa e martire, che
passò ad arricchire la cattedrale di Pisa. Non s'ingannarono i politici
che s'immaginarono unito alla divozione del gran duca qualche interesse
riguardante il sistema d'Italia, minacciato da disastri per la sempre
titubante vita del re cattolico _Carlo II_. Infatti fu progettata
una lega fra il papa, i Veneziani, il duca di Savoia, il gran duca di
Mantova e il duca di Parma, per conservar la quiete dell'Italia. Al
duca di Modena non ne venne fatta parola sulla considerazione d'esser
egli cognato del re de' Romani. Ma non andò innanzi un tale trattato, o
per le consuete difficoltà di accordar questi leuti, o perchè si volea
prima scorgere in che disposizione fossero le corone, o fosse perchè
venne intanto a mancare di vita il sommo pontefice.

Con più calore intanto si maneggiavano questi affari dai ministri
di Francia, Inghilterra ed Olanda, per trovare un valevole antidoto
ai mali che soprastavano all'Europa. Tante furono le arti e tanti i
mezzi adoperati dal gabinetto di Francia, che gli riuscì di guadagnare
_Guglielmo_ re d'Inghilterra, con introdurre lui e le Provincie Unite
ad un altro partaggio della monarchia spagnuola. Fu questo sottoscritto
in Londra nel dì 15, e all'Haia nel dì 25 di marzo, e stabilito che a
_Luigi_ Delfino di Francia si darebbono i regni di Napoli e Sicilia coi
porti spettanti alla Spagna nel littorale della Toscana, il marchesato
del Finale, la provincia di Guipuscoa coi luoghi di qua dai Pirenei,
e in oltre i ducati di Lorena e Bar; in compenso dei quali si darebbe
al duca di Lorena il ducato di Milano. In tutti poi gli altri regni di
Spagna colle Indie e colla Fiandra avea da succedere l'_arciduca Carlo_
secondogenito dell'imperador _Leopoldo_. Si provvedeva ancora a varii
casi possibili ch'io lascio andare. Fece il tempo conoscere quanto
fina fosse la politica del re cristianissimo _Luigi XIV_; perciocchè
se a tal divisione acconsentivano Cesare e il re Cattolico, già si
facea un accrescimento notabile alla potenza franzese; e quand'anche
dissentissero da questo accordo Cesare e il re Cattolico, la forza de'
contraenti ne assicurava l'acquisto al Delfino. Ma il bello fu che in
questo mentre la corte di Francia era dietro a procacciarsi l'intera
monarchia di Spagna, e si studiava di non cederne un palmo ad altri,
poco scrupolo mettendosi se con ciò restava beffato chi si credeva
assicurato dalla convenzione suddetta. Conosceva essa, per le relazioni
del _marchese di Harcourt ambasciatore_ a Madrid, non potersi dare al
ministero e ai popoli di Spagna un colpo più sensitivo della division
della monarchia; e volendo gli Spagnuoli evitarla, altro ripiego non
restava loro che di gittarsi in braccio ai Franzesi, con prendere
dalla real casa di Francia un re successore. Risaputosi infatti a
Madrid il pattuito spartimento, fecero i ministri di Spagna le più alte
doglianze di un sì violento procedere a tutte le corti, e massimamente
con tali invettive in Inghilterra, che il re Guglielmo venne ad aperta
rottura. Acremente ancora se ne dolsero a Parigi, ma quella corte con
piacevoli maniere mostrò fatti quei passi per le gagliarde ragioni che
competevano al Delfino sopra tutto il dominio spagnuolo.

Intanto l'Harcourt in Madrid colla dolcezza, colla liberalità e con
altre arti più secrete si studiava di tirar nel suo partito i più
potenti o confidenti presso il re Cattolico. Chiamata colà anche la
moglie, seppe questa insinuarsi nella grazia della _regina Marianna_,
a cui si facea vedere un palazzo incantato in lontananza, cioè il
suo maritaggio col vedovo Delfino, allorchè ella restasse vedova.
Ma perciocchè il _re Carlo II_ tenea saldo il suo buon cuore verso
l'augusta casa di Austria di Germania, e le sue mire andavano sempre a
finire nell'_arciduca Carlo_, per quante mine e trame si adoperassero,
niuna pareva oramai bastante a fargli mutar consiglio. Venne il colpo
maestro, per quanto fu creduto, da Roma. Imperciocchè gl'industriosi
Franzesi, rivoltisi a quella parte, rappresentarono al pontefice
_Innocenzo XII_ in maniere patetiche cosa si potesse aspettare dalla
casa di Austria germanica, se questa entrava in possesso di Napoli
e Sicilia, e dello Stato di Milano con ricordare le avanie praticate
nell'ultima guerra dagli imperiali coi popoli d'Italia, e le violenze
usate in Roma dal conte di Martinitz. Tornar più il conto agl'Italiani
che questi Stati coll'intera monarchia passassero in uno dei nipoti
del re Cristianissimo, che niun diritto porterebbe seco per inquietare
i principi italiani. Tanto in somma dissero, che il pontefice piegò
nei lor sentimenti, e tanto più, perchè considerò questo essere il
meglio dei medesimi Spagnuoli, i quali potrebbero conservare uniti i
lor dominii, e liberarsi in avvenire dalle vessazioni della Francia,
che gli avea ridotti in addietro a dei brutti passi. È dunque stato
preteso che dalla corte di Roma fosse dipoi insinuato al cardinale
_Lodovico Emmanuele Portocarrero_, arcivescovo di Toledo, d'impiegare i
suoi migliori uffizii in favore della real corte di Francia; ed essendo
avvenute mutazioni nella corte di Madrid, ed anche sollevazioni in quel
popolo, e poscia una malattia al re Cattolico, che fu creduta l'ultima,
e poi non fu; il porporato ebbe apertura per parlare confidentemente
al re, e di proporgli, non già sfacciatamente, un nipote del re
Cristianissimo, ma destramente le ragioni della casa di Francia, perchè
non mancavano dotti teologi che sostenevano invalide le rinunzie fatte
dalle infante spagnuole passate a marito a Parigi, e che si poteva
schivare la troppo odiata unione delle due corone in una sola persona.
Attonito rimase il re _Carlo II_ a queste proposizioni; e di una in
altra parola passando, si lasciò persuadere che sarebbe stato ben
fatto l'udire intorno a ciò il venerabil parere della Sede apostolica.
Saggi cardinali e dottissimi legisti per ordine del papa esaminarono
il punto; e ponderate le ragioni, e massimamente le circostanze del
caso, giudicarono assai fondata la pretensione dei Franzesi. Di più
non vi volle perchè il Portocarrero sapesse a tempo e luogo quetar la
coscienza del re Cattolico, il quale fin qui si era creduto obbligato
a preferire la linea austriaca di Germania; e tanto più al cardinal
suddetto riuscì facile, quanto che i ministri e grandi di Spagna per
la maggior parte o erano guadagnati, o aveano sacrificata l'antica
antipatia della lor nazione contro la franzese all'utilità o necessità
presente della monarchia, sperando essi di mantenere in tal guisa
l'unione dei regni, e di avere in avvenire non più nemica, ma amica e
collegata la Francia.

Pertanto nel dì 2 d'ottobre spiegò il re Cattolico l'ultima sua
volontà, e la sottoscrisse, in cui dichiarò erede _Filippo duca
d'Angiò_, secondogenito del Delfino di Francia; a lui sostituendo in
caso di mancanza il _duca di Berry_ terzogenito, e a questo l'_arciduca
Carlo d'Austria_ e dopo queste linee il _duca di Savoia_. Stavano
intanto addormentate le potenze marittime dall'accordo del partaggio
stabilito col re Cristianissimo; e per conto dell'imperadore, egli
si teneva in pugno la succession della Spagna pel figlio arciduca,
affidato da quanto andava scrivendo il re Cattolico, non solo al _duca
Moles_ suo ministro in Vienna, ma allo stesso Augusto, della costante
sua predilezione verso gli Austriaci di Germania. Mancò poscia di vita
il re _Carlo II_ nel dì primo di novembre dell'anno presente: principe
di ottima volontà e di rara pietà, ma sfortunato nel maneggio dell'armi
e ne' matrimonii, e che per la debolezza della sua complessione lasciò
per lo più in luogo suo regnare i ministri. Volarono tosto i corrieri,
e si conobbe allora chi con maggiore accortezza avesse saputo vincere
il pallio e deludere amici e nemici in sì grave pendenza. Nel consiglio
del re di Francia non mancarono dispute, se si avesse da accettare il
testamento suddetto, pretendendo alcuni, anche dei più saggi, che più
vantaggiosa riuscirebbe alla corona di Francia la division concordata
colle potenze marittime, perchè fruttava un accrescimento notabile
di Stati alla Francia: laddove, col dare alla Spagna un re, nulla si
acquistava, nè si toglieva l'apprensione di avere un dì lo stesso re
padron della monarchia spagnuola, o pure i suoi discendenti per emuli e
nemici, come prima della franzese. Pure prevalse il sentimento e volere
del re _Luigi XIV_, preponderando in suo cuore la gloria di vedere
il sangue suo sul trono della Spagna, e con ciò depressa di molto la
potenza dell'augusta casa d'Austria. Perciò nel dì 16 di novembre,
_Filippo duca d'Angiò_, riconosciuto per re di Spagna in Parigi, e
susseguentemente anche in Madrid nel dì 24 d'esso mese, s'inviò nel
dì 4 di dicembre con suntuoso accompagnamento alla volta di Spagna,
e giunse pacificamente a mettersi in possesso non solamente di quei
regni, ma eziandio della Fiandra, del regno di Napoli e Sicilia, e
del ducato di Milano, non essendosi trovata persona che osasse di
ripugnare agli ordini del re novello. Era già stato guadagnato il
_principe di Vaudemont_, governatore di Milano; e quali amarezze
covasse contra dell'imperadore l'elettor di Baviera _Massimiliano_,
s'è abbastanza accennato di sopra. Storditi all'incontro rimasero
l'Augusto _Leopoldo_, il re d'Inghilterra _Guglielmo_ e la repubblica
d'_Olanda_, per un avvenimento sì contrario alle loro idee e desiderii,
e massimamente si esaltò la bile degl'Inglesi ed Olandesi, per vedersi
così sonoramente burlati dalle arti de' Franzesi; e quantunque il re
Cristianissimo adducesse varie ragioni per giustificar la sua condotta,
niuno potè distornarli dal pensare ad una guerra che con tanto studio
aveano fin qui studiato di schivare. Nulla di più aggiugnerò intorno a
questo strepitoso affare, di cui diffusamente han trattato fra i nostri
Italiani il senatore Garzoni, il marchese Ottieri e il padre Giacomo
Sanvitali della compagnia di Gesù nelle loro Storie.

Si vide in quest'anno una cometa, e i visionarii, in testa de' quali
hanno gran forza le volgari opinioni, si figurarono tosto che questa
micidiale cifra del cielo predicesse la morte di qualche gran principe,
e finivano in credere minacciata la vita o del re di Spagna _Carlo II_,
o del sommo pontefice _Innocenzo XII_: predizion poco difficile d'un
di loro o di amendue, giacchè il re era quasi sempre infermiccio, e
il papa decrepito. Infermossi più gravemente del solito nel settembre
di quest'anno il santo padre, e gli convenne soccombere al peso degli
anni e del male. Merita ben questo glorioso pastore della Chiesa
di Dio che il suo nome e governo sia in benedizione presso tutti i
secoli avvenire: sì nobili, sì lodevoli furono tutte le azioni sue.
Miravasi in lui un animo da imperadore romano, non già per pensare
ai vantaggi proprii o de' suoi, perchè s'è veduto aver egli tolto
con eroica munificenza la venalità delle cariche, e quanto egli
abborrisse il nepotismo, e quai freni vi mettesse; ma solamente per
procacciar sollievo e profitto agli amati suoi popoli. Specialmente
avea egli in cuore i poverelli, i quali usava chiamare i suoi nipoti.
Ad essi destinò il palazzo Lateranense colla giunta d'una vigna da
lui comperata per loro servigio. Concepì in oltre la magnifica idea di
ridurre in un ospizio, e di far lavorare tutti i fanciulli ed invalidi
questuanti: al qual fine fabbricò anche un vasto edifizio a San Michele
di Ripa, che venne poi ampliato dal suo successore, e dotollo di molte
rendite. Questo sì animoso istituto di ristrignere i poveri oziosi e
di sovvenir loro di limosine, senza che le abbiano essi a cercare con
tanta molestia del pubblico, si dilatò per alcune altre città d'Italia,
benchè col tempo simili provvisioni, a guisa degli argini posti ad
impetuosi torrenti, non si possano sostenere. Per utile parimente dello
Stato ecclesiastico avea formato il disegno, e già fatte di gravi
spese, a fin di stabilire un porto franco a Cività Vecchia, dove, a
riserva de' Turchi, potessero approdar tutte le nazioni. Ma nol compiè
per le tante ruote segrete che seppe muovere _Cosimo III_ gran duca di
Toscana, al cui porto di Livorno dall'altro sarebbe venuto un troppo
grave discapito. Rialzò e fortificò il porto d'Anzio presso Nettuno,
e in Roma il palazzo di monte Citorio, magnifico edifizio a cagion
degli aggiunti uffizii pei giudici e notai che prima stavano dispersi
in varie abitazioni della città. Fabbricò eziandio la dogana di terra,
e quella di Ripa Grande. Insomma questo immortal pontefice, forte nel
sostener la dignità della santa Sede, pieno di mansuetudine e d'umiltà,
e ricco di meriti, fu chiamato da Dio a ricevere il premio delle sue
incomparabili virtù nel dì 27 di settembre, compianto e desiderato da
tutti, e onorato col glorioso titolo di padre de' poveri.

Entrati i cardinali nel conclave, diedero principio ai lor congressi,
e alle consuete fazioni, per provvedere la Chiesa di un novello
pontefice, desiderosi nello stesso tempo di accordare col maggior bene
del cristianesimo anche i proprii interessi. Non mancavano porporati
degnissimi del sommo sacerdozio; e pure continuava la discordia fra
loro, quando giunse il corriere colla nuova del defunto re Cattolico.
Si scosse vivamente a questo suono l'animo di chiunque componeva quella
sacra assemblea; e di tale occasione appunto si servì il _cardinale
Radulovic_ da Chieti per rappresentare la necessità di eleggere
senza maggior dimora un piloto atto a ben reggere la navicella di
Pietro, giacchè si preparava una fiera tempesta a tutta l'Europa,
e massimamente all'Italia; e dovea la santa Sede studiarsi a tutta
possa di divertire, se fosse possibile, il temporal minaccioso; e non
potendo, almeno vegliare, perchè non ne patisse detrimento la fede
cattolica. Commossi da questo dire i padri, non tardarono a convenire
coi loro voti in chi punto non desiderava, e molto meno aspettava il
sommo pontificato. Questo fu il cardinale _Gian-Francesco Albani_
da Urbino, alla cui elezione quantunque si opponesse l'età di soli
cinquantun anni, sempre mal veduta dai cardinali vecchi, e in oltre la
moltiplicità dei parenti; pure niun di questi riflessi potè frastornare
il disegno di quei porporati, perchè troppo bel complesso di doti
e virtù concorreva in questo soggetto, sì per l'integrità de' suoi
costumi e per l'elevatezza della sua mente, come per la letteratura,
per la pratica degli affari, e per l'affabilità e cortesia con cui
avea sempre saputo comperarsi la stima e l'amore d'ognuno. Spiegata
a lui l'intenzione de' sacri elettori, proruppe egli in iscuse della
sua inabilità, in lagrime; e in una non affettata ripugnanza a questo
peso, come presago dei travagli che poi gli accaddero; e insistendo
perciò che in tempi sì pericolosi e scabrosi si dovea provveder la
Chiesa di Dio di più sperto e forte rettore. Che parlasse di cuore, i
fatti lo dimostrarono, avendo egli combattuto per tre giorni a prestar
l'assenso: il che non fa chi aspira al triregno per timore che nella
dilazione si cangi pensiero. Nè arrivò ad accettare, se prima non fu
convinto dai teologi, i quali sostennero, lui tenuto ad accomodarsi
alla voce di Dio, espressa nel consenso degli elettori, e se prima
non fu certificato non essere contraria alla esaltazione sua la corte
di Francia. A questo fine convenne aspettar le risposte del _principe
di Monaco_ ambasciatore del re Cristianissimo, che s'era ritirato da
Roma su quel di Siena, perchè i cardinali capi d'ordine non aveano
voluto lasciar impunita una prepotenza usata dal principe Guido Vaini,
pretendente franchigia nel suo palazzo, per essere stato onorato
dell'insigne ordine dello Spirito Santo. Restò dunque concordemente
eletto in sommo pontefice il cardinale Albani nel dì 23 di novembre,
festa di san Clemente papa e martire, da cui prese egli motivo di
assumere il nome di _Clemente XI_. Straordinario fu il giubilo in
Roma per sì fatta elezione, perchè allevato l'Albani in quella città,
ed amato da ognuno, prometteva un glorioso pontificato; e ognuno si
figurava di avere a partecipar delle rugiade della sua beneficenza.



    Anno di CRISTO MDCCI. Indizione IX.

    CLEMENTE XI papa 2.
    LEOPOLDO imperadore 44.


Non sì tosto fu assiso sulla cattedra di San Pietro _Clemente XI_,
che diede a conoscere quanto saggiamente avessero operato i sacri
elettori in confidare a lui il governo della Chiesa di Dio e dello
Stato ecclesiastico. Mirava già egli in aria il fiero temporale che
minacciava l'Europa, e siccome padre comune mise immediatamente in moto
tutto il suo zelo e la singolar sua eloquenza per esortar i potentati
cristiani ad ascoltar trattati di pace prima di venire alle armi. A
questo oggetto spedì brevi caldissimi, fece parlare i suoi ministri
alle corti, esibì la mediazione sua, e quella eziandio della repubblica
veneta. Predicò egli a' sordi; e tuttochè l'imperadore inclinasse a
dar orecchio a proposizioni d'accordo, non si trovò già la medesima
disposizione in chi possedeva tutto, e nè pure un briciolo ne volea
rilasciare ad altri. Grande istanza fecero i ministri del nuovo re
di Spagna _Filippo V_, secondati da quei del re Cristianissimo _Luigi
XIV_, per ottenere l'investitura dei regni di Napoli e Sicilia, siccome
feudi della santa romana Chiesa. Fu messo in consulta co' più saggi
dei cardinali questo scabroso punto; e perciocchè una pari richiesta
veniva fatta dall'imperadore _Leopoldo_, a tenore delle sue pretensioni
e ragioni: il santo padre, per non pregiudicare al diritto di alcuna
delle parti, sospese il giudizio suo; e per quante doglianze e minaccie
impiegassero Franzesi e Spagnuoli, non si lasciò punto smuovere dal
proponimento suo. Diedero intanto principio gl'imperiali alla battaglia
con dei manifesti, ne' quali esposero le ragioni dell'augusta famiglia
sopra i regni di Spagna, allegando i testamenti di que' monarchi in
favore degli Austriaci di Germania, e le solenni rinunzie fatte dalle
due infante _Anna_ e _Maria Teresa_, regine di Francia. Fu a questi
dall'altra parte risposto, aver da prevalere agli altri testamenti
l'ultima volontà del regnante re _Carlo II_, nè doversi attendere
le rinunzie suddette; non potendo le madri privar del loro gius i
figliuoli: pretensione che strana sembrò a molti, non potendosi più
fidare in avvenire d'atti somiglianti, e restando con ciò illusorii i
patti e i giuramenti. Ma non s'è forse mai veduto che le carte decidano
le liti de' principi, se non allorchè loro mancano forze ed armi per
sostenere le pretensioni loro, giuste od ingiuste che sieno. Però ad
altro non si pensò che a far guerra, come già ognun prevedeva; e la
prima scena di questa terribil tragedia toccò alla povera Lombardia.

Per gli uffizii della corte cesarea era già stato appoggiato il governo
della Fiandra a _Massimiliano_ elettor di _Baviera_, sulla speranza
di trovare in lui un buon appoggio nelle imminenti contingenze. Fece
il tempo vedere ch'egli più pensava a sostener le ragioni del figlio
suo che le altrui; e rapitogli poi dalla morte questo suo germe,
crebbero sempre più le amarezze sue contro la corte di Vienna, la
quale non ebbe maniera di torgli quel governo, perchè più numerose
erano le di lui milizie in Fiandra che le spagnuole. Misero tosto i
Francesi un amichevole assedio a questo principe, e con obbligarsi
di pagargli annualmente gran somma di danaro, e con promesse di
dilatare i suoi dominii in Germania, il trassero nel loro partito; e
si convenne che, movendosi le armi, egli sarebbe dei primi in Baviera
a far delle conquiste. Ciò fatto, ebbero maniera le truppe franzesi
d'entrar quetamente nelle piazze di Fiandra, ove gli Olandesi tenevano
guernigione, con licenziarne le loro truppe. Rivolse nello stesso tempo
il gabinetto di Francia le sue batterie a _Vittorio Amedeo_ duca di
Savoia, per guadagnarlo. Ben conosceva questo avveduto principe che,
caduto lo Stato di Milano in mano della real casa di Borbone, restavano
gli Stati suoi in ceppi, ed esposti a troppi pericoli per l'unione
o fratellanza delle due monarchie. Ma sicuro dall'una parte che non
gli sarebbe accordata la neutralità, e dall'altra, che ricalcitrando
verrebbe egli ad essere la prima vittima del furore franzese, giacchè
il re Cristianissimo s'era potentemente armato, e l'Augusto _Leopoldo_
avea trovato all'incontro assai smilze le sue truppe, e troppo tardi
sarebbero giunti in Italia i suoi soccorsi: però con volto tutto
contento contrasse alleanza colle corone di Francia e Spagna; e si
convenne che il re Cattolico _Filippo V_ prenderebbe in moglie la
principessa _Maria Lodovica Gabriella_ sua secondogenita; ch'egli
sarebbe generalissimo dell'armi gallispane in Italia; somministrerebbe
otto mila fanti e due mila e cinquecento cavalli; e ne riceverebbe
pel mantenimento mensualmente cinquanta mila scudi, oltre ad uno
straordinario aiuto di costa per mettersi decorosamente in arnese.
Qui non si fermarono gl'industriosi Franzesi. Spedito a Venezia il
_cardinale d'Etrè_, gli diedero commissione di trarre in lega ancor
quella repubblica; ma più di lui ne sapea quel saggio senato, risoluto
di mantenere in questi imbrogli la neutralità: partito pericoloso per
chi è debile, ma non già per chi ha la forza da poterla sostenere,
quali appunto erano i Veneziani. Fornirono essi le lor città di
copiose soldatesche, lasciando poi che gli altri si rompessero il
capo. Non così avvenne a _Ferdinando Carlo Gonzaga_ duca di Mantova,
che si trovava a' suoi divertimenti in Venezia. Oltre all'avere il
cardinal suddetto guadagnati i di lui ministri con quei mezzi che hanno
grande efficacia nei cuori venali, tanto seppe dire al duca, facendo
valere ora le minaccie, ora gli allettamenti di promesse ingorde, che
non seppe resistere; e massimamente perchè in suo cuore conservava
un segreto rancore contra di Cesare per cagion di Guastalla, a lui
tolta con Luzzara e Reggiuolo, e perchè sempre abbisognava di danaro,
secondo lo stile degli altri scialacquatori pari suoi. Per dar colore
a questa sua risoluzione inviò a Roma il marchese Beretti suo potente
consigliere, acciocchè pregasse il pontefice di voler mettere presidio
papalino in Mantova, affine di non cederla ad alcuno. E a ciò essendo
condisceso il santo padre, poco si stette poi a scoprire essere seguito
accordo fra lui e i Franzesi ed essere una mascherata quella del suo
inviato a Roma; il perchè fu questi licenziato con poco suo piacere
da quella sacra corte. Comunemente venne detestata questa viltà del
duca, essendo Mantova città che anche fornita di soli miliziotti si
potea difendere, oltre al potersi credere che i Franzesi non sarebbono
giunti ad insultarlo, se avesse resistito. Ne fece ben egli dipoi
un'aspra penitenza. In vigore del suddetto concordato, sul principio di
aprile, circa quindici mila Franzesi, ch'erano già calati in Italia,
si presentarono sotto il comando del conte di Tessè alle porte di
Mantova, minacciando, secondo il concerto, di voler entrare colla forza
in quella forte città; e però il duca, mostrando timore di qualche
gran male, cortesemente ricevette quegli ospiti novelli, e gridò poi
dappertutto (senza però che alcuno glielo credesse) che gli era stata
usata violenza.

Verso il principio della primavera cominciarono a calare in Italia
le truppe franzesi a fin di difendere lo Stato di Milano; giunse
anche a Torino nel dì 4 di aprile il maresciallo di _Catinat_, con
dimostrazioni di gran giubilo accolto da quel real sovrano che il
trattò da padre, e più volte gli disse di voler imparare sotto di lui
il mestier della guerra, e a guadagnar battaglie. Nacque appunto nel
dì 27 del mese suddetto al duca il suo secondogenito, a cui fu posto
il nome di _Carlo Emmanuele_, oggidì re di Sardegna e duca di Savoia.
Accresciuta poi l'armata franzese da altre milizie che sopravvennero,
e decantata secondo il solito dalla politica guerriera più numerosa
di quel ch'era, il Catinat sul principio di maggio passò con essa sul
veronese, e andò a postarsi all'Adige, armando tutte quelle rive per
impedire il passo ai Tedeschi, i quali si credeva che tenterebbono
il passo stretto della Chiusa. Erano in questo mentre calati dalla
Germania quanti cavalli e fanti potè in fretta raunare la corte
cesarea, e se ne facea la massa a Trento. Al comando di questa armata
fu spedito il principe _Eugenio di Savoia_, non senza maraviglia della
gente, che non sapeva intendere come un principe di quella real casa
imbrandisse la spada contro lo stesso duca di Savoia generalissimo de'
Gallispagni. Seco venivano il _principe di Commercy_ e il principe
_Carlo Tommaso di Vaudemont_ (tuttochè il di lui padre al servigio
della Spagna governasse lo Stato di Milano) e il conte _Guido di
Staremberg_. Allorchè fu all'ordine un competente corpo d'armata,
il principe Eugenio, prima che maggiormente s'ingrossasse l'esercito
nemico (già più poderoso del suo) con truppe nuove procedenti dalla
Francia, e con quelle del duca di Savoia, si mise in marcia per
isboccar nelle pianure d'Italia. Trovò impossibile il cammino della
Chiusa, e presi tutti i passi superiori dell'Adige. Se i Tedeschi non
hanno ali, dicevano allora i Franzesi, certo per terra non passeranno.
Ma il principe a forza di copiosi guastatori si aprì una strada per le
montagne del Veronese e Vicentino, e all'improvviso comparve al piano
con qualche pezzo d'artiglieria. Per un argine insuperabile era tenuto
il grossissimo fiume dell'Adige; e pure il generale Palfi, nel dì 16 di
giugno, ebbe la maniera di passarlo di sotto a Legnago. Il che fatto,
i Franzesi a poco a poco si andarono ritirando, e gli altri avanzando.
Nel dì 9 di luglio seguì sul veronese a Carpi un fatto caldo, e di là
sloggiati con molta perdita i Gallispani, furono in fine costretti
a ridursi di là dal Mincio, dove si accinsero a ben custodir quelle
rive. Perchè in rinforzo loro colle sue genti arrivò Vittorio Amedeo
duca di Savoia, ed erano ben forniti di gente e cannoni gl'argini di
esso fiume, allora sì che parve piantato il non plus ultra ai passi
dell'armata alemanna. Ma il principe Eugenio, nulla spaventato nè
dalla superiorità delle forze nemiche, nè dalle gravi difficoltà dei
siti, nel dì 28 di luglio animosamente formato un ponte sul Mincio,
lo valicò colla sua armata, non avendo il Catinat voluto aderire al
sentimento del duca di Savoia, di opporsi, perchè credea più sicuro il
giuoco, allorchè fosse arrivato un gran corpo di gente a lui spedito
di Francia. Prese questo maresciallo il partito di postarsi di là dal
fiume Oglio, lasciando campo al principe Eugenio d'impadronirsi di
Castiglion delle Stiviere, di Solferino e di Castel Giuffrè nel dì 5
d'agosto: con che le sue truppe cominciarono a godere delle fertili
campagne del Bresciano, e a mettere in contribuzione lo Stato di
Mantova con alte grida di quel duca, che cominciò a provar gli amari
frutti delle sue sconsigliate rivoluzioni. Trovaronsi in questi tempi
molto aggravati dalle nemiche armate i territorii della repubblica
veneta. Ma essa nè per minaccie, nè per lusinghe si volle mai dipartire
dalla neutralità saggiamente presa, tenendo guernite di grosse
guernigioni le sue città, che per ciò furono sempre rispettate.

Era, non può negarsi, il _maresciallo di Catinat_, maestro veterano
di guerra, non men provveduto di valore che di prudenza; ma dacchè
si cominciò a scorgere che più anche di lui sapea questo mestiere
il principe Eugenio, tuttochè non pervenuto ancora all'età di
quarant'anni, giudicò il re Cristianissimo col suo consiglio che agli
affari d'Italia, i quali prendeano brutta piega, occorreva un medico
di maggior polso e fortuna. Fu perciò risoluto di spedir in Lombardia
il maresciallo _duca di Villeroy_, con dargli il supremo comando
dell'armata, senza pregiudizio degli onori dovuti al duca di Savoia
generalissimo. Nuove truppe ancora, oltre le già inviate, si misero
in cammino, affinchè la maggior copia dei combattenti, aggiunta alla
consueta bravura franzese, con più felicità potesse promettersi le
vittorie. Nel dì 22 d'agosto giunse il Villeroy al campo gallispano,
menando seco il _marchese di Villars_, il _conte Albergotti_ Italiano,
tenenti generali, ed altri uffiziali, accolto colla maggiore stima dal
duca di Savoia e da tutta l'ufficialità. Le prime sue parole furono
di chiedere, dov'era quella canaglia di Tedeschi, perchè bisognava
cacciarli di Italia: parole che fecero strignere nelle spalle chiunque
l'udì. Per li sopraggiunti rinforzi si tenne l'esercito suo superiore
quasi del doppio a quel de' Tedeschi: laonde il principe Eugenio ebbe
bisogno di tutto il suo ingegno per trovar maniera di resistere a sì
grosso torrente; e siccome egli era mirabile in divisare e prendere
i buoni postamenti, così andò ad impossessarsi della terra di Chiari
nel Bresciano, non senza proteste e doglianze del comandante veneto;
e quivi si trincierò, facendosi specialmente forte dietro alcune
cassine e mulini. Ardeva di voglia il Villeroy di venire alle mani col
nemico, perchè si teneva in pugno il trionfo; e però valicato l'Oglio
a Rudiano, a bandiere spiegate andò in traccia dell'armata tedesca,
con risoluzion di assalirla. Era il dì primo di settembre, in cui
arrivato a Chiari ordinò la presa di quel luogo, sulla credenza che ivi
fosse una semplice guernigione, e non già tutta l'oste nemica. Ma vi
trovò più di quel che pensava, cioè cannoni e gente che non si sentiva
voglia di cedere. Lasciarono i Tedeschi ben accostare gli assalitori,
e poi cominciarono un orrido fuoco; e per quanti sforzi facessero i
Franzesi, sacrificarono ben sul campo di battaglia le lor vite, ma o
non poterono forzar quei ripari, o appena ne forzarono alcuno, che indi
a poco fu ripigliato dai coraggiosi cesarei. Tanta resistenza fece in
fine prendere al Villeroy il partito di battere la ritirata col miglior
ordine possibile, riportando seco un buon documento di un più moderato
concetto di sè medesimo, e il dispiacere di aver data occasion di dire
ch'egli era venuto per la posta in Italia, per aver la gloria da farsi
battere. Tre mila persone si credette che costasse a' Franzesi quella
azione tra morti e feriti, e pochissimi dalla parte degl'imperiali.

_Vittorio Amedeo_ duca di Savoia in quel combattimento si segnalò
nello sprezzo di tutti i pericoli; e o fosse una cannonata, come a me
raccontò persona bene informata, o pur colpo di fucile, corse rischio
della vita sua. E fu in questa occasione ch'egli si affezionò agli
strologhi perchè un d'essi avea dagli Svizzeri due mesi prima scritto
ad un confidente di esso principe che nel dì primo di settembre
sua altezza reale correrebbe un gran pericolo. Per quanto false da
lì innanzi egli trovasse le sue predizioni, non perdè mai più la
stima di quell'arte vana ed ingannatrice. Accostandosi il verno,
richiamò esso sovrano le sue milizie in Piemonte; e il Villeroy
veggendo ostinati a tener la campagna i Tedeschi, giudicò meglio di
ritirarsi egli il primo, e di ripartire a' quartieri massimamente sul
Cremonese la maggior parte delle soldatesche sue; con che ebbero agio
i Cesarei d'impadronirsi di Borgoforte, di Guastalla, d'Ostiglia e
di Ponte-Molino e d'altri luoghi. Aveano già saputo col mezzo delle
minaccie i Gallispani mettere il piede sui principii di quest'anno
entro la fortezza della Mirandola. Seppe così ben concertare anche
il _principe Eugenio_ colla _principessa Brigida Pico_ le maniere di
cacciarli, che quella città vi ricevette presidio cesareo. A cavallo
del Po spezialmente se ne stavano le milizie imperiali, invigorite
ultimamente da nuovi soccorsi calati dalla Germania; s'impossessarono
ancora di Canneto e di Marcaria; e giacchè, a riserva del castello di
Goito e di Viadana non restavano più Franzesi sul Mantovano, diede
principio esso principe Eugenio ad un blocco lontano intorno alla
stessa città di Mantova, fornita d'un vigoroso presidio di Franzesi.
Essendo oramai i cesarei in possesso di tutto il Mantovano, non s'ha
da chiedere se facessero buon trattamento a que' poveri popoli; e
tanto più perchè il loro duca era stato dichiarato ribello del romano
imperio.

E fin qui la sola Lombardia avea sostenuto il peso della guerra, quando
nel dì 25 di settembre scoppiò un turbine anche nella città di Napoli.
Non mancavano in quella gran metropoli dei divoti del nome austriaco sì
nella nobiltà che nel popolo. Negli eserciti dell'imperadore _Leopoldo_
e del re _Carlo II_ molti di quei nobili, militando in addietro,
aveano pel loro valore conseguito dei gradi ed onori distinti. Questa
fazione, valutando non poco l'essersi finora negata dal sommo pontefice
l'investitura di quel regno al prelodato _re Filippo_, teneva per
lecito l'aderire all'augusta casa d'Austria, e macchinava sollevazioni,
senza nulla atterrirsi per le frequenti prigionie che faceva il vicerè
_duca di Medina Celi_ dei chiamati inconfidenti. Dimorava in questi
tempi il _cardinal Grimani_ veneto in Roma, accurato ministro della
corte cesarea, e andava scandagliando i cuori di quei Napoletani, nei
quali prevaleva l'amore verso del sangue austriaco, e che già aveano
attaccati cartelli per le piazze di Napoli colle parole usate giù dal
giudaismo, e riferite nel Vangelo: _Non habemus regem, nisi Caesarem_.
Quando a lui parve assai disposta la mina, per la sicurezza che avea
di molti congiurati, e sperandone molti più allorchè le si appiccasse
il fuoco, spedì travestito a Napoli di barone di Sassinet segretario
dell'ambasciata cesarea. Costui nel giorno suddetto, presa in mano
una bandiera imperiale, uscì in pubblico, ed unitasi a lui gran copia
di quei lazzari, cominciò a gridare: _Viva l'imperadore_. Crebbero a
migliaia i sollevati, e s'impadronirono della chiesa di San Lorenzo,
della torre di Santa Chiara e di altri posti. Lor condottiere fu don
Carlo di Sangro nobile napoletano e uffiziale nelle truppe cesaree. Era
stato fatto credere al buon _imperadore Leopoldo_, tale essere l'amore
degl'Italiani, e massimamente nel regno di Napoli e Stato di Milano,
che bastava alzare un dito, perchè tutti i popoli si sollevassero
in favor suo. Ma questi non erano più i tempi dei Ghibellini, quando
agguerriti i popoli d'Italia, e agitati dall'interno fermento delle
fazioni, troppo facilmente tumultuavano e spendevano la vita per
soddisfare alle loro passioni. Si trovavano ora i popoli inviliti;
talun d'essi oppresso dai principi allevati nella quiete, e alieni da
azzardare quanto aveano in tentativi pericolosi.

Alzatosi dunque il romore, la maggior parte della nobiltà napoletana
corse ad esibirsi in difesa del vicerè, e non tardò lo stesso eletto
del popolo con ischiere numerose di quei popolari ad assicurarlo della
sua e lor fedeltà. Il perchè uscite le guernigioni spagnuole in armi,
ed unite con quattrocento di quei nobili e più migliaia del popolo, non
durarono gran fatica a dissipare i sollevati, a riacquistare i luoghi
occupati, e a far prigione il barone di Sassinet e don Carlo di Sangro
con altri nobili che non ebbero la fortuna di salvarsi colla fuga.
Ad alcuni segretamente nelle carceri tolta fu la vita; pubblicamente
mozzo il capo al Sangro; rasato il palazzo di Telesa di casa Grimaldi;
e il Sassinet venne poi da lì a qualche tempo condotto in Francia.
Calmossi tosto quella mal ordita sollevazione; e per maggior sicurezza
di quella città, vi furono per terra e per mare spediti dal re
Cristianissimo abbondanti rinforzi di milizie e di munizioni; e il
_duca d'Ascalona_ passò dal governo della Sicilia a quello di Napoli.
Intanto non cessava la corte cesarea di perorar la sua causa in quelle
delle amiche potenze, mettendo davanti agli occhi d'ognuna qual rovina
si potea aspettare dall'oramai sterminata possanza della real casa di
Borbone, per essersi ella piantata sul trono della Spagna. Di queste
lezioni non aveano gran bisogno gl'Inglesi ed Olandesi per conoscere
il gran pericolo a cui anch'essi rimanevano esposti; ed aggiuntovi il
dispetto di essere stati beffati dal re Cristianissimo colle precedenti
capitolazioni, non fu in fine difficile il trarli ad una lega difensiva
ed offensiva contro la Francia. Fu questa sottoscritta all'Haia nel dì
7 di settembre dai ministri di _Cesare_, di _Guglielmo_ re della Gran
Bretagna, e dall'_Olanda_; laonde ognuno si diede a preparar gli arnesi
per uscir con vigore in campagna nell'anno appresso. Ma nè pur dormiva
il re Cristianissimo, e di mirabili preparamenti fece anche egli per
ricevere i già preveduti nemici. Nel settembre di quest'anno seguì in
Torino lo sposalizio della principessa _Maria Luigia_, secondogenita
del duca di Savoia, col re di Spagna _Filippo V_; ed ella appresso si
mise in viaggio per andare ad imbarcarsi a Nizza e passare di là in
Ispagna.



    Anno di CRISTO MDCCII. Indizione X.

    CLEMENTE XI papa 3.
    LEOPOLDO imperadore 45.


Mentre lo zelante pontefice _Clemente XI_ non rallentava le sue
premure per introdurre pensieri di pace fra i principi guerreggianti,
e prevenire con ciò l'incendio che andava a farsi maggiore in Europa,
non godeva egli quiete in casa propria, perchè combattuto da' ministri
d'esse potenze, pretendendolo cadaun di essi troppo parziale dell'altra
parte. Spezialmente si scaldava su questo punto la corte cesarea.
Non s'era già ella doluta perchè il santo padre avesse spedito il
_cardinale Archinto_ arcivescovo di Milano con titolo di legato a
latere a complimentare la novella regina di Spagna; ma fece ben di
gravi doglianze, perchè in Roma venisse pubblicata sentenza contro il
_marchese del Vasto_, principe aderente alla corona imperiale, per
aver egli preteso che il _cardinale di Gianson_ avesse voluto farlo
assassinate. Unironsi a questi in appresso altri più gravi lamenti per
le dimostrazioni fatte dal papa al re _Filippo V_. Prevalse in Madrid
e Parigi, benchè non senza contraddizione di molti, il sentimento di
chi consigliava quel giovane monarca di venire alla testa dell'esercito
gallispano in Italia, non tanto per dar calore alle azioni della
campagna ventura e conciliarsi il credito del valore, quanto ancora
per confermare in fede i popoli titubanti colla sua amabil presenza,
e coll'aspetto della sua singolar pietà, saviezza e genio inclinato
alla generosità e clemenza. Finchè fosse in ordine la possente sua
armata in Lombardia, verso la quale erano in moto molte migliaia
di combattenti spedite da Francia e Spagna, fu creduto bene ch'egli
passasse a Napoli a farsi conoscere per quel principe che era, degno
dell'ossequio ed amore di ognuno. Arrivò questo grazioso monarca per
mare a quella metropoli nel dì 16 di aprile, cioè nel giorno solenne di
Pasqua, accolto con sontuosissimi apparati e segni di gioia da quella
copiosa nobiltà e popolo. Se egli si mostrò ben contento ed ammirato
della bella situazione, grandezza e magnificenza di quella real città e
de' suoi abitatori, non fu men contenta di lui quella cittadinanza, o,
per meglio dire, il regno tutto, per le tante grazie che gli compartì
il benefico suo cuore, di modo che in lontananza mal veduto da molti,
si partì poi di colà amato ed adorato quasi da tutti. Gli spedì in tal
congiuntura il papa Clemente il _cardinale Cario Barberini_, ornato del
carattere di legato a latere, ad attestargli il suo paterno affetto, e
a presentargli dei superbi regali, preziosi per la materia e più per la
divozione. Questa spedizione, tuttochè approvata come indispensabile
dai saggi, e che non perciò portava seco l'investitura dei regni
di Napoli e Sicilia, pure cotanto spiacque al _conte di Lamberg_
ambasciatore di Cesare, che col marchese del Vasto si allontanò da
Roma. Bolliva intanto nella sacra corte la gran controversia dei riti
cinesi; e perchè sulle troppo contrarie relazioni venute di colà non si
poteano ben chiarire i fatti, determinò il prudente pontefice d'inviar
fino alla Cina un personaggio non parziale, e per la sua dottrina
cospicuo, che sul fatto osservasse ciò che esigesse correzione, con
facoltà di rimediare a tutto. A questo importante affare di religione
fu prescelto monsignor _Tommaso di Tournon_ Piemontese, che con
titolo di vicario apostolico, portando seco molti regali da presentare
all'imperador cinese, imprese quello sterminato viaggio per mare, ed
egregiamente poi soddisfece all'assunto suo. Fu ancora in quest'anno
a dì 17 di febbraio terminata dal santo padre con una sentenza la lite
lungamente stata fra la _duchessa di Orleans_ e l'_elettore palatino_,
già da gran tempo compromessa nella santità sua.

Non fu bastante il rigore del verno nell'anno presente a frenar le
operazioni militari del _principe Eugenio_. Fin qui _Rinaldo d'Este_
duca di Modena avea goduta la quiete nei suoi Stati, risoluto di non
prendere impegno in mezzo alle terribili dissensioni altrui. Ma troppo
facilmente vengono falliti i conti ai principi deboli, che in mezzo
alla rivalità di potenti eserciti si lusingano di potere salvarsi
colla neutralità. Aveva egli ben munito Brescello, fortezza di somma
importanza, perchè situata sul Po, guernita di settanta pezzi di
cannone di bronzo, di copiose munizioni da bocca e da guerra, e di
un competente presidio. A nulla aveano servito fin qui le istanze del
_cardinale d'Etrè_, nè dei generali cesarei per levargliela dalle mani;
ma avvenne che il tenente general franzese _conte Albergotti_ lasciossi
vedere in quei contorni, ed abboccatosi ancora col comandante della
piazza, tentò, ma inutilmente, la di lui fede con grandiose esibizioni.
Risaputosi ciò dai Tedeschi acquartierati nella vicina Guastalla, e
nata in loro diffidenza, si servirono di questo pretesto per obbligare
il duca a consegnar loro quella fortezza. In quelle vicinanze adunque
fece il _principe Eugenio_ unire un corpo di circa dodici mila soldati,
e nello stesso tempo spedì a Modena il conte Sormanni a chiedere in
deposito la piazza suddetta. Nel dì 4 di gennaio seguì l'intimazione,
fiancheggiata da minaccie, in caso di ripugnanza; laonde il duca non
senza pubbliche proteste contro sì fatta violenza s'indusse a cederla.
Crederono dipoi i Franzesi ciò seguito di concerto, o al men si
prevalsero di questa apparente ragione per procedere ostilmente contro
il medesimo duca. Ottenuto Brescello, si stesero sul Parmigiano l'armi
cesaree, e nella stessa maniera pretesero di obbligare _Francesco
Farnese_ duca di Parma ad ammettere guernigione imperiale nelle sue
città. Ma quel principe con allegare che i suoi Stati erano feudi
della Chiesa, e di non poterne disporre senza l'assenso del papa,
di cui aveva inalberato lo stendardo, seppe e potè difendersi sotto
quell'ombra; anzi, per assicurarsi meglio dalle violenze in avvenire,
trasse poi le truppe pontifizie a guernir di presidio le suddette
sue città. Ma questo non impedì che le soldatesche imperiali non
occupassero da lì innanzi Borgo S. Donnino, Busseto, Corte Maggiore,
Rocca Bianca ed altri luoghi di quel ducato.

Grande strepito fece in questi tempi un impensato gran tentativo ideato
dall'indefesso _principe Eugenio_ per sorprendere la città di Cremona,
tuttochè allora provveduta di parecchi reggimenti franzesi, e colla
presenza del maresciallo _duca di Villeroy_, che aveva quivi stabilito
il suo quartiere. Teneva esso principe intelligenza secreta in quella
città col proposto di Santa Maria Nuova, spasimato fautore dell'augusta
casa d'Austria, la cui chiesa ed abitazione confinava colle mura della
città. Sotto la di lui casa passando un condotto che sboccava nella
fossa, gli fece lo sconsigliato prete conoscere che si poteva di notte
introdurre gente, ed avventurare un bel colpo. Non cadde in terra la
proposizione, e il principe prese tutte le sue misure per accostarsi
quetamente alla città nella notte antecedente al dì primo di febbraio
con alquante migliaia de' suoi combattenti. Per la chiavica suddetta
s'introdussero in Cremona alcune centinaia di granatieri e di bravi
uffiziali con guastatori, che trovati i Franzesi immersi nel sonno,
ebbero tempo di forzare ed aprire due porte, per le quali entrò il
grosso degli altri Alemanni. Svegliata la guarnigion franzese, diede
di piglio all'armi, e si attaccò una confusa crudel battaglia. Uscito
di casa il _maresciallo di Villeroy_ per conoscere che romor fosse
quello, andò a cader nelle mani de' Tedeschi, e fu poi mandato prigione
fuori della città con altri uffiziali. Non posso io entrare nella
descrizione di quel fiero attentato, e basterammi di dire che seguì un
gran macello di gente dall'una e dall'altra parte perchè si menavano
le mani con baionette e sciable. In fine soppraffatti i Tedeschi dai
Franzesi, e massimamente dalla bravura degl'Irlandesi, furono obbligati
a ritirarsi il meglio che poterono. Con loro salvatosi il prete, passò
poi in Germania, dove trovò buon ricovero. A questa disavventura degli
Austriaci sopra tutto influì il non aver potuto il giovine principe
_Tommaso di Vaudemont_, come era il concerto, giugnere a tempo pel
Parmigiano al Po, e valicarlo; e questo a cagion delle strade rotte e
dei fossi che vi ebbero a passare, oltre all'aver anche trovato rotto
il ponte dai Franzesi, pel quale pensava di transitare il fiume. Fu
creduto che la parte cesarea vi perdesse più di settecento uccisi, e
più di quattrocento rimasti prigioni, fra i quali il baron di Mercy; e
che più di mille fra morti e feriti furono i Franzesi, oltre a rimasti
cinquecento prigionieri, fra i quali il luogotenente generale _marchese
di Crenant_ con altri non pochi uffiziali, e lo stesso _maresciallo
di Villeroy_. Gloriosa si riputò l'impresa per gli assalitori, ma più
gloriosa certamente riuscì per li difensori.

Andossi poi sempre più di giorno in giorno ingrossando l'esercito
gallispano, sicchè si fece poi ascendere sino a circa cinquanta mila
armati, laddove l'oste nemica appena arrivava alla metà, non essendo
mai calate di Germania le desiderate reclute, perchè si attendeva alla
guerra mossa in altre parti. Al comando dell'armi gallispane fu spedito
da Parigi il _duca di Vandomo Luigi Giuseppe_, principe dei più esperti
nel magistero militare, in cui gran nome s'era già procacciato. Arrivò
egli in Italia dopo la metà di febbraio, e da che vide l'esercito suo
rinforzato dalle tante milizie venete di Francia, uscì in campagna nel
mese di maggio, con intenzione spezialmente di liberare la città di
Mantova, oramai ridotta a molti bisogni e strettezze pel lungo blocco
de' Tedeschi. Ritirò il _principe Eugenio_ da varii siti le genti sue,
e poi con alto e lungo trincieramento si fortificò dalla banda del
serraglio in faccia a quella città. Entrò il Vandomo in Mantova con
quanta gente volle, e ricuperò colla forza Castiglion delle Stiviere;
e già s'aspettava ognuno ch'egli con tanta superiorità di forze non
volesse sofferire in sì gran vicinanza a Mantova i nemici. Ma passò il
giugno senza azione alcuna di riflesso, perchè a superare il postamento
degli Alemanni si potea rischiar molto. Il vero motivo nondimeno
di quella inazione fu l'avere il re Cattolico scritto da Napoli al
Vandomo, che portasse bensì a Mantova il soccorso, ma che non tentasse
altra maggiore impresa sino all'arrivo suo. Cioè riserbava questo
monarca a sè tutte le palme e gli allori che si aveano da raccogliere
dalla presente campagna. Nel dì 2 di giugno imbarcatosi il re _Filippo
V_, fece la sua partenza da Napoli, e nel passar da Livorno fu visitato
e superbamente regalato dal gran duca _Cosimo III de Medici_, dal gran
principe _Ferdinando_ e dalla gran principessa _Violante_ di _Baviera_
sua zia. Andò a sbarcare al Finale, e venuto ad Acqui nel Monferrato,
ebbe la visita di _Vittorio Amedeo_ suocero suo, e nel dì 18 con gran
pompa fece la sua entrata in Milano. In questo mentre il principe
Eugenio attese a fortificar Borgoforte, e a formare di qua e di là
dal Po un ben munito accampamento. E da che intese che il re Cattolico
marciava pel territorio di Parma alla volta del Reggiano col maggior
nerbo della sua armata, inviò il generale marchese _Annibale Visconti_
con tre reggimenti di corazze a postarsi a Santa Vittoria, sito
vantaggioso, perchè circondato da canali e dal fiume Crostolo. Se ne
stavano questi Alemanni con gran pace in quel luogo, con poca guardia,
senza spie, coi cavalli dissellati al pascolo, credendo che i Franzesi
tuttavia si deliziassero nel Parmigiano: quand'ecco nel dopo pranzo
del dì 26 di luglio si videro comparire addosso il _conte Francesco
Albergotti_ tenente generale dei Franzesi, o pure lo stesso _duca di
Vandomo_ con quattro mila cavalli e due mila fanti. La confusione loro
fu eccessiva; fecero essi quella difesa che poterono in tale improvvisa
e cattiva disposizione; ma in fine convenne loro voltar le spalle, e
lasciare alla balìa dei vincitori il bagaglio, quattordici stendardi,
due paia di timbali e cento cavalli. Trecento furono i morti,
altrettanti i prigioni, e il re Filippo sopraggiunto ebbe il piacere di
mirare il fine di quella mischia.

Non avendo più alcun ritegno i Franzesi, dieci mila d'essi nel dì 29
di luglio si presentarono sotto la città di Reggio, e non trovarono
gran difficoltà ad impadronirsene; avvenimento che fece intendere a
_Rinaldo d'Este_ duca di Modena qual animo covassero contra di lui i
re di Francia e di Spagna. Però nel giorno seguente con tutta la sua
corte s'inviò alla volta di Bologna, lasciando il popolo di Modena in
somma costernazione. Giunse nel primo dì d'agosto sotto questa città
il conte Albergotti con un grosso corpo di cavalleria e fanteria, che
dimandò la cittadella a nome del re Cattolico. La consulta lasciata
dal duca, con facoltà di operare ciò che credesse più a proposito
in sì scabrose congiunture, con assai onorevole capitolazione si
sottomise alla forza dell'armi. Lo stesso avvenne a Carpi, Correggio
e al rimanente degli Stati del duca, eccettuata la Garfagnana di là
dall'Apennino che ricusò di ubbidire. L'aspetto di questi progressi
dell'esercito franzese quel fu che in fine obbligò il principe Eugenio
a ritirar le sue truppe dal Serraglio di Mantova, e a lasciar libera
quella città, per accudire al di qua dal Po, dove alla testa sul
Correggiesco s'era accampato il re Cattolico colla sua grande armata,
che venne in questi tempi accresciuta da buona parte delle truppe,
colle quali il vecchio _principe di Vaudemont_ dianzi campeggiava in
difesa di Mantova. Essendosi presa la risoluzione dai Gallispani di
marciare alla volta di Borgoforte, per qui venire a giornata campale,
si mosse la loro armata nella notte precedente al dì 15 di agosto alla
sordina, e s'inviò alla volta di Luzzara, dove si trovò un comandante
tedesco che, all'intimazion della resa, non rispose se non col fuoco
de' fucili. Camminavano i Franzesi spensieratamente coll'immaginazione
in capo di trovare il principe Eugenio sepolto ne' trincieramenti
di Borgoforte; quando all'improvviso si accorsero che il coraggioso
principe, marciando per gli argini del Po, veniva a trovarli, e diede
infatti principio ad un fiero combattimento, sulle cui prime mosse
perdè la vita il generale cesareo _principe di Commercy_. Era già
suonata la ventun'ora, quando si diede fiato alle trombe, e si accese
il terribil conflitto. Durò questo fino alla notte con gran bravura,
con molta mortalità dell'una e dell'altra parte, e restò indecisa la
vittoria, benchè ognun dal suo canto facesse dipoi intonare solenni _Te
Deum_, ed amplificasse la perdita de' nemici, e sminuisse la propria:
il che fa ritener me dal riferire il numero dei morti e feriti. Quel
ch'è certo, a niun d'essi restò per allora il campo della battaglia,
e non lieve preda fecero i cesarei. Per altro in quella notte stettero
quiete in vicinanza le due armate, e credevasi che, fatto il giorno, si
azzufferebbono di nuovo, e che, o gli uni o gli altri volessero veder
la decisione delle loro contese. Attese il duca di Vandomo, essendo
alquanto rinculato, ad assicurare il suo campo dall'invasion del
nemico con buoni argini e trincieramenti, e con formare un ponte sul
Po per mantener la comunicazione col Cremonese. Gli era restata alle
spalle Guastalla, e ne fece l'assedio; e forzato, dopo nove giorni di
trincea aperta, il _general Solari_ a renderla nel dì 9 di settembre,
mise in possesso di quella città _Ferdinando Carlo Gonzaga_ duca
di Mantova. Cinse ancora di stretto blocco la fortezza di Brescello
del duca di Modena. In questi tempi furono veduti novecento cavalli
usseri e tedeschi, condotti dall'Eberzeni, Paolo Diak e marchese Davia
bolognese, passare pel Reggiano fin sul Pavese, esigendo contribuzioni
dappertutto. Entrarono poi fin dentro Milano, e vi gridarono: _Viva
l'imperadore_; e salvi poi pel Mantovano si ridussero al loro campo.

Stettero dipoi nei divisati postamenti l'una in faccia all'altra
l'armate nemiche, facendosi solamente guerra colle cannonate e con
qualche scaramuccia, finchè venne il verno, con grande onore del
principe Eugenio, il quale con tanta inferiorità di forze seppe sì
lungamente tenere a bada nemici cotanto poderosi. L'ultimo trofeo
che riportò in questa campagna il giovine re _Filippo V_, fu, siccome
dicemmo, la presa di Guastalla. Dopo di che pensò a ritornarsene in
Ispagna, chiamato colà dai bisogni ed istanze de' suoi regni. Fermossi
in Milano alcune settimane, da dove, nel dì 6 di novembre, si mosse
alla volta di Genova, ricevuto ivi con incredibile splendidezza da
quella nobiltà e popolo; e di là fece poi vela verso la Catalogna.
Accostandosi il verno, ricuperò l'armata delle due corone Borgoforte,
e prese i quartieri in Mantova, e la maggior parte in Modena, Reggio,
Carpi, Bomporto ed altri luoghi dello Stato di Modena. Il principe
Eugenio, dopo avere distribuiti i suoi nelle terre e ville del basso
Modenese contigue alla Mirandola, e nel Mantovano di qua dal Po, con
ritenere un ponte sul Po ad Ostiglia, s'inviò alla corte di Vienna, per
rappresentar lo stato delle cose e il bisogno di gagliardi soccorsi.
Dopo lo spaventoso tremuoto dell'anno 1688 si erano riparate le
rovine della città di Benevento; ma nell'aprile ancora di quest'anno
si rinnovò nella stessa un quasi pari disastro. Sollevatosi quivi
un temporale sì fiero, che sembrava voler diroccare la terra da'
fondamenti, cagion fu che gli abitanti scappassero fuori dell'abitato.
Succedette poscia un terribile scotimento, che rovesciò buona parte
della città bassa, e il palazzo dell'arcivescovo e la cattedrale.
Ducento cinquanta persone rimasero sfracellate sotto le rovine. Anche
le città d'Ariano, Grotta, Mirabella, Apice ed altre di que' contorni
ebbero di che piagnere, perchè quasi interamente distrutte. Altre non
men funeste scene di guerra si videro nell'anno presente in Germania,
Fiandra ed altri paesi bagnati dal Reno, giacchè l'imperadore e
le potenze marittime aprirono anch'esse il teatro della guerra in
quelle parti contro la Francia. Di grandi preparamenti avea fatto
l'Inghilterra per questo, quando venne a mancar di vita nel dì 19 di
marzo il loro re _Guglielmo_ principe di Oranges, e fu dipoi alzata
al trono la _principessa Anna_, figlia del già defunto cattolico re
della Gran Bretagna _Giacomo II_, e moglie di _Giorgio principe di
Danimarca_, la quale con più ardore ancora del suddetto re Guglielmo
incitò quella nazione ai danni della real casa di Borbone, ed inviò per
generale dell'armi britanniche nei Paesi Bassi milord _Giovanni Curchil
conte di Marlboroug_, col cui valore si mosse poi sempre collegata la
fortuna.

All'incontro la Francia trasse nel suo partito gli _elettori di Baviera
e Colonia fratelli_. Varii assedii furono fatti al basso Reno; risonò
spezialmente la fama per quello di Landau nell'Alsazia, eseguito con
gran sangue dall'armata cesarea comandata dallo stesso _re de' Romani
Giuseppe_. In esso tempo il Bavaro collegatosi co' Franzesi mosse
anch'egli le armi sue, con sorprendere la città d'Ulma, Meninga ed
altre di quei contorni, e con accendere un gran fuoco nelle viscere
della Germania, dove i circoli di Franconia, Svevia e Reno accrebbero
il numero dei collegati contro della Francia. Ma ciò che diede più
da discorrere ai novellisti in quest'anno, fu il terrore e danno
immenso recato alle Coste della Spagna dalla formidabile armata navale
degl'Inglesi ed Olandesi, guidata dall'ammiraglio _Rooc_ inglese,
dall'_Alemond_ olandese e da _Giacomo duca d'Ormond_ generale di
terra. Verso il fine d'agosto approdò questa a Cadice (antica Gades
dei Romani), emporio celebre e doviziosissimo della monarchia spagnuola
sull'Oceano. Superati alcuni di quei forti, v'entrarono gli Anglolandi,
e diedero un fiero sacco alla terra, asportandone qualche milione
di preda, ma con aspre doglianze di tutti i mercatanti stranieri, e
con accrescere negli Spagnuoli l'odio immenso verso le loro nazioni.
Capitarono in questo dall'America i galeoni di Spagna carichi d'oro,
d'argento e di varie merci, e scortati da quindici vascelli e da alcune
fregate franzesi. All'udire le disavventure di Cadice, si rifugiarono
questi ricchi legni nel porto di Vigo in Galizia. Colà accorsa anche
la flotta anglolanda, ruppe la catena del porto. Alquanti di que'
vascelli e galeoni rimasero incendiati; lo sterminato valsente parte fu
rifugiato in terra, parte venne in poter de' nemici; sette vascelli e
quattro galeoni salvati dalle fiamme mutarono padroni. Gran flagello,
gran perdita fu quella.



    Anno di CRISTO MDCCIII. Indizione XI.

    CLEMENTE XI papa 4.
    LEOPOLDO imperadore 46.


Ebbe principio quest'anno con una inondazione del Tevere in Roma
stessa, a cui tenne dietro un fiero tremuoto, che alla metà di gennaio
con varie scosse per tre giorni si fece sentire in quell'augusta città,
riempendola di tal terrore, che tutto il popolo corse ad accomodar
le sue partite con Dio; molti si ridussero ad abitar sotto le tende;
e il pontefice _Clemente XI_ prescrisse varie divozioni per implorar
la divina misericordia. Per questo scotimento della terra la picciola
città di Norcia colle terre contigue si convertì in un mucchio di
pietre; e quella di Spoleti con varie terre del suo ducato patì
gravissimi danni. Grandi rovine si provarono in Rieti, in Chieti, Monte
Leone, ed altre terre e borghi dell'Abbruzzo. La città dell'Aquila vide
a terra gran parte delle sue fabbriche colla morte di molti. Cività
Ducale restò subissata con gli abitanti. Fu creduto che nei suddetti
luoghi perissero circa trenta mila persone; nè si può esprimere lo
scompiglio e spavento che fu in Roma e per tante altre città in tal
congiuntura, perchè sino all'aprile, maggio e giugno altre scosse di
terra si fecero sentire; ed ognun sempre stava in allarmi, temendo
di peggio. Non mancavano intanto altre fastidiose cure al santo padre
in mezzo alle pretensioni delle potenze guerreggianti; nè si esigeva
meno che la sua singolar destrezza per navigare in mezzo agli scogli,
e sostenere la determinata sua neutralità. Contuttociò il partito
austriaco lo spacciava per aderente al Gallispano, e spezialmente fece
di gran querele, perchè avendo l'Augusto _Leopoldo_ padre e _Giuseppe_
re de' Romani figliuolo, nel dì 12 di settembre dell'anno presente,
ceduto all'_arciduca Carlo_ ogni lor diritto sopra la monarchia della
Spagna, con che egli assunse insieme col titolo di re di Spagna il nome
di _Carlo III_, dal pontefice fu proibito che il ritratto di questo
nuovo re pubblicamente si esponesse nella chiesa nazional de' Tedeschi
in Roma.

Erano restate in una gran decadenza le armi cesaree in Lombardia,
perchè alle diserzioni e malattie, pensioni ordinarie dell'armate,
non si suppliva dalla corte di Vienna con reclute e nuovi soccorsi,
trovandosi Cesare troppo angustiato per li continui progressi di
_Massimiliano elettor di Baviera_, le cui forze alimentate finora
dall'oro franzese, e poscia accresciute da un esercito d'essa nazione,
condotto dal _maresciallo di Villars_, faceano già tremar l'Austria e
Vienna stessa. Contuttociò il _conte Guido di Staremberg_, generale di
molto senno nel mestier della guerra, lasciato a questo comando dal
principe Eugenio, tanto seppe fortificarsi alle rive del Po e della
Secchia, che potè sempre rendere vani i tentativi della superiorità
dell'esercito franzese. Intanto la fortezza di Brescello sul Po,
che per undici mesi avea sostenuto il blocco formato dalle truppe
spagnuole, si vide forzata a capitolar la resa. Cercò quel comandante
imperiale che questa piazza fosse restituita al duca di Modena, ma non
fu esaudito. Vi trovarono i Franzesi un gran treno di artiglieria,
di bombe, granate, polve da fuoco, e di altri militari attrezzi;
la guernigione restò prigioniera di guerra. Tanto poi si adoperò
_Francesco Farnese_ duca di Parma, benchè nipote del duca di Modena
Rinaldo d'Este, che nell'anno seguente impetrò dalla Francia e Spagna
che si demolissero tutte le fortificazioni di quella piazza, con dolore
inestimabile di esso duca di Modena, il quale dimorante in Bologna
si trovava perseguitato dalle disgrazie, e conculcato fin dai proprii
parenti. Seppe il valoroso conte di Staremberg difendere Ostiglia dagli
attentati de' Franzesi; e nel dì 12 di giugno essendo giunto il general
franzese _Albergotti_ a Quarantola sul Mirandolese, ebbe una mala
rotta da' Tedeschi, e gli convenne abbandonare il finale di Modena. Ciò
non ostante, crebbero vieppiù da lì innanzi le angustie dell'esercito
alemanno in Italia, perchè l'elettor bavaro cresciuto cotanto di forze
entrò nel Tirolo, e giunse ad impossessarsi della capitale d'Inspruch.
L'avrebbe bene accomodato il possesso e dominio di quella provincia
confinante ai suoi Stati; ma si aggiugnevano due altre mire, l'una
di togliere ai Tedeschi quella strada per cui solevano spignere in
Italia i soccorsi di milizie, e l'altra di aprirsi un libero commercio
coll'esercito franzese, esistente in Italia, affin di riceverne più
facilmente gli occorrenti sussidii.

Mossesi infatti il duca di Vandomo nel mese d'agosto dalla Lombardia
con parte del suo esercito alla volta del Trentino, sperando di toccar
la mano ai Bavaresi, che avevano da venirgli incontro. Marciarono
i Franzesi per Monte Baldo e per le rive del lago di Garda, e
cominciarono ad aggrapparsi per quelle montagne, con impadronirsi
delle castella di Torbole, Nago, Bretonico e d'altre, che non fecero
difesa, a riserva del castello d'Arco, il quale per cinque giorni
sostenne l'empito de' cannoni nemici, con fatiche incredibili fin
colà strascinati. Giunse poi sul fine d'agosto dopo mille stenti
l'esercito franzese alla vista di Trento, ma coll'Adige frapposto,
e con gli abitanti nell'opposta riva preparati a contrastare gli
ulteriori avanzamenti dei nemici. Nè le minaccie del Vandomo, nè
molte bombe avventate contro la città atterrirono punto i Trentini,
e massimamente dacchè in aiuto loro accorse con alcuni reggimenti
cesarei il generale _conte Solari_. All'aspetto di questi movimenti,
comune credenza era in Italia che in breve si avessero a vedere in
precipizio gli affari dell'imperadore, fatta che fosse l'unione del
Bavaro col duca di Vandomo. Stettero poco a disingannarsi al comparire
all'improvviso mutata tutta la scena. I Tirolesi d'antico odio
pregni contra de' Bavaresi, e massimamente i bravi lor cacciatori,
sì fattamente cominciarono a ristrignere e tempestar coi loro fucili
le truppe nemiche, prendendo spezialmente di mira gli uffiziali, che
altro scampo non ebbe l'elettore, se non quello di ritirarsi alle sue
contrade. Medesimamente non senza maraviglia dei politici fu osservato
ritornarsene il duca di Vandomo in Italia, dopo aver sacrificato
inutilmente di gran gente e munizioni in quella infelice spedizione.
Ora ecco il motivo di sua ritirata.

Non avea mai potuto _Vittorio Amedeo_ duca di Savoia, siccome principe
di mirabile accortezza, e attentissimo non meno al presente che ai
futuri tempi, mirar senza ribrezzo la tanto accresciuta grandezza
della real casa di Francia, e parevagli fabbricato il mortorio alla sua
sovranità, dacchè il ducato di Milano era caduto in mano d'un monarca
sì congiunto di sangue colla potenza franzese. Portò la congiuntura
dei tempi ch'egli si avesse a collegar colle due corone, tuttochè
scorgesse così fatta lega troppo contraria ai proprii interessi; ma
stava egli sempre sospirando il tempo di poter rompere questa catena;
e parve ora venuto, dacchè era vicino a spirare il tempo del contratto
impegno della sua lega coi re di Francia e di Spagna. Non lasciava la
corte cesarea di far buona cera a questo principe, benchè in apparenza
nemico, nè sul principio della rottura scacciò da Vienna il di lui
ministro, come avea praticato con quello del duca di Mantova. Spedì
eziandio nel luglio dell'anno presente a Torino (per quanto pretesero
i Franzesi) il _conte di Aversbergh_ travestito per intavolare con
lui qualche trattato, ma senza sapersi se ne seguisse conclusione
alcuna finora. Quel che è certo, non avea voluto il duca permettere
che le sue truppe passassero verso il Trentino. Ora i forti sospetti
conceputi nella creduta vacillante fede del duca _Vittorio Amedeo_
diedero impulso al re Cristianissimo di richiamare in Lombardia il duca
di Vandomo. Tornato questo generale colle sue genti a San Benedetto di
Mantova di qua dal Po, già da lui scelto per suo quartier generale, nel
dì 28 oppure 29 di settembre, messo in armi tutto l'esercito suo, fece
disarmar le truppe di Savoia che si trovavano in quel campo ed altri
luoghi, ritenendo prigioni tutti gli uffiziali e soldati. Non erano
più di tre mila; altri nondimeno li fecero ascendere a quattro o a
cinquemila. Per questa impensata novità e violenza alterato al maggior
segno il duca, principe di grande animo, ne fece alte doglianze per
tutte le corti; mise le guardie in Torino agli ambasciatori di Francia
e Spagna; occupò gran copia d'armi spedite dalla Francia in Italia,
ed imprigionò quanti Franzesi potè cogliere nei suoi Stati. Quindi si
diede precipitosamente a premunirsi e a mettere in armi tutti i suoi
sudditi, per resistere al temporale che andava a scaricarsi sopra i
suoi Stati; giacchè non tardò il duca di Vandomo a mettere in viaggio
buona parte dell'esercito suo contro il Piemonte. Saltò fuori in tal
guisa un nuovo nemico delle due corone, e un nuovo teatro di guerra in
Italia.

Nel dì 5 di dicembre pubblicamente dichiarò il re di Francia _Luigi
XIV_ la guerra contra di esso duca di Savoia, i il quale nel dì 25
di ottobre, come scrisse taluno, o piuttosto nel dì 8 di novembre,
come ha lo strumento rapportato dal Lunig, avea già stretta lega
coll'_imperadore Leopoldo_. In esso strumento si vede promesso al duca
_Vittorio Amedeo_ tutto il Monferrato, spettante al duca di Mantova con
Casale, e inoltre Alessandria, Valenza, la Valsesia e la Lomellina, con
obbligo di demolir le fortificazioni di Mortara. Promettevano inoltre
le potenze marittime un sussidio mensile di ottanta mila ducati di
banco ad esso principe, durante la guerra. Fu poi aggiunto un altro
alquanto imbrogliato articolo della cessione ancora del Vigevanasco,
per cui col tempo seguirono molte dispute colla corte di Vienna. Per
essersi trovato il duca colto all'improvviso dallo sdegno franzese,
e specialmente sprovveduto di cavalleria, gli convenne ricorrere al
generale _conte di Staremberg_, il quale, desideroso di assistere il
nuovo alleato, mise improvvisamente in viaggio, nel dì 20 di ottobre,
mille cinquecento cavalli sotto il comando del generale _marchese
Annibale Visconti_. Benchè sollecita fosse la lor marcia, più solleciti
furono gli avvisi al duca di Vandomo del lor disegno; laonde ben
guernito di milizia il passo della Stradella, Serravalle ed altri siti,
allorchè colà giunsero gli affaticati Alemanni, trovarono un terribil
fuoco, e andarono presto in rotta. Molti furono gli uccisi, molti i
prigioni, ed a quei che colla fuga si sottrassero al cimento, convenne
dipoi passare fino a San Pier di Arena presso Genova, e valicare aspre
montagne per giugnere in Piemonte. Questo picciolo rinforzo, e l'essere
stati i Franzesi, a cagion del suddetto passaggio, impegnati in varii
movimenti, servì di non lieve respiro al duca di Savoia; ma non già a
preservarlo dagl'insulti a lui minacciati dal potente nemico. Il perchè
determinò in fine il saggio conte Guido di Staremberg un'arditissima
impresa, che, per essere felicemente riuscita, riportò poscia il
plauso d'ognuno. Quando si pensava la gente che l'esercito suo,
postato sul Modenese e Mantovano di qua da Po, si fosse ben adagiato
nei quartieri d'inverno e pensasse al riposo, all'improvvisa con circa
dieci mila fanti e quattro mila cavalli, seco menando sedici cannoni,
nel giorno santo del Natale passò esso Staremberg la Secchia, e pel
Carpigiano s'indirizzò alla strada maestra chiamata Claudia, prendendo
pel Reggiano e Parmigiano con marcie sforzate il cammino alla volta
del Piemonte, senza far caso dei rigori della stagione, delle strade
rotte e di tanti fiumi gravidi di acqua che conveniva passare. Era
già tornato il _duca di Vandomo_ al campo di San Benedetto di Mantova.
Al primo avviso di questo impensato movimento dei nemici, raunate le
sue truppe, si diede ad inseguirli con forze, chi disse minori, e chi
maggiori, ma senza poter mai raggiugnerli, oppure senza mai volerli
raggiugnere, per poca voglia di azzardare una battaglia. Si contarono
bensì alcune scaramucce ed incontri, nei quali lasciarono la vita i due
valorosi generali _Lictenstein_ Tedesco e _Solari_ Italiano; ma questi
non poterono impedire al prode comandante di felicemente superar tutti
i disagi, e di pervenire ad unirsi col duca di Savoia nel dì 13 del
seguente gennaio, con infinita consolazione di lui e de' sudditi suoi.

Presero in questi tempi, cioè nel dì 8 di dicembre, i Franzesi
dimoranti in Modena il pretesto di confiscare al duca _Rinaldo d'Este_
tutte le sue rendite e mobili, perchè il suo ministro in Vienna,
trovandosi nell'anticamera della regina de' Romani, in passando
l'_arciduca Carlo_, dichiarato re di Spagna, l'inchinò. A chi vuol far
del male, ogni cosa gli fa giuoco. Entrato nel novembre il _maresciallo
di Tessè_ nella Savoia, s'impadronì di Sciambery sua capitale, e poscia
strinse con un blocco la fortezza di Monmegliano. Riuscì in quest'anno
alle _potenze marittime_ e all'_imperatore Leopoldo_ di ritirar seco in
lega un'altra potenza, cioè _Pietro II_ re di Portogallo. Gli articoli
di questa alleanza furono sottoscritti nel dì 16 di maggio, e fatte
di grandi promesse a quel monarca, fondate nondimeno sugli incerti
avvenimenti delle guerre. Di qui sorsero speranze ne' collegati di
potere un dì detronizzare il re di Spagna _Filippo V_, al qual fine
creduto fu non solamente utile, ma necessario, che lo stesso _arciduca
Carlo_, proclamato re di Spagna col nome di _Carlo III_, passasse in
persona colà per dar polso ai Portoghesi, e per animare l'occulto
partito austriaco che si conservava tuttavia nei regni di Spagna.
Pertanto questo savio, affabile e piissimo principe, preso congedo
dagli augusti lagrimanti suoi genitori e dal fratello Giuseppe re de'
Romani, si mise nel settembre in viaggio alla volta dell'Olanda, con
ricevere immensi onori per dovunque passò. Pertanto ecco oramai gran
parte dell'Europa in guerra per disputare della monarchia di Spagna;
nel qual tempo anche il Settentrione ardeva tutto di guerra per la
lega del Sassone re di Polonia collo czar della Russia contro il re
di Svezia, che diede lor delle aspre lezioni. Presero in quest'anno i
Franzesi Brisac, ricuperarono Landau, diedero una rotta ai Tedeschi
sotto esso Landau; e all'incontro gli Anglolandi s'impadronirono di
Bona, Huz e Limburgo.



    Anno di CRISTO MDCCIV. Indizione XII.

    CLEMENTE XI papa 5.
    LEOPOLDO imperadore 47.


Veggendosi _Rinaldo d'Este_ duca di Modena sì maltrattato ed oppresso
dai Franzesi, altro ripiego non trovò che di ricorrere a papa _Clemente
XI_ per implorare i suoi paterni uffizii appresso le due corone, o, per
dir meglio, alla corte di Francia, che sola dirigeva la gran macchina,
e sotto nome del re Cattolico sola signoreggiava negli Stati d'esso
duca. Si portò a questo fine incognito a Roma, e vi si fermò per più
mesi. Giacchè non volle indursi a gittarsi in braccio a' Franzesi,
non altro in fine potè ottenere che una pensione di dieci mila doble;
e questa ancora gli convenne comperare con cedere ad essi Franzesi il
possesso della provincia della Garfagnana, situata di là dall'Apennino
colla fortezza di Montalfonso; unico resto de' suoi dominii, finora
sostenuto nel suo naufragio: dopo di che si restituì a Bologna ad
aspettare senza avvilirsi lo scioglimento dell'universal tragedia. Ma
alle sue disavventure si aggiunse in quest'anno la demolizione della
sua fortezza di Brescello, fatta dai Parmigiani: tanto pontò il duca
di Parma, per levarsi quello stecco dagli occhi. Furono asportate
parte a Mantova, parte nello Stato di Milano tutte quelle artiglierie
e attrezzi militari. Cominciarono in quest'anno a declinar forte in
Italia gli affari dell'imperadore e del collegato duca di Savoia.
L'incendio commosso in Ungheria dai sollevati, e in Germania da
_Massimiliano elettor di Baviera_, siccome quello che più scottava la
corte di Vienna, a lei non permetteva di alimentar la sua armata in
Italia coi necessari rinforzi di truppe e danaro. Nulla all'incontro
mancava al general franzese duca di Vandomo. Da che fu egli
maggiormente rinvigorito dalle nuove leve spedite dalla Provenza per
mare, divise l'esercito suo in due, ritenendo per sè le forze maggiori
a fine di far guerra al duca di Savoia; e dell'altra parte diede
il comando al _gran priore duca di Vandomo_ suo fratello, acciocchè
tentasse di cacciar d'Italia il corpo di Tedeschi che assai smilzo
restava nel Mantovano di qua da Po, e teneva forte tuttavia la terra di
Ostiglia di là da esso fiume. Allorchè i Franzesi s'avviarono, sul fine
dell'anno precedente, dietro al _conte Staremberg_, aveano gli Alemanni
occupato Bomporto e la Bastia sul Modenese, con far prigioniere il
presidio di questa ultima. Tornato che fu a Modena il generale _signor
di San Fremond_, non perdè tempo a ricuperare, sul principio di
febbraio, quei luoghi: sicchè si ritirarono i Tedeschi alla Mirandola,
e attesero a fortificarsi in Revere, Ostiglia ed altri siti lungo il Po
di qua e di là, con istendersi ancora sul Ferrarese a Figheruolo.

Venuto il mese d'aprile, si mosse il gran priore di Vandomo col
grosso delle sue milizie per isloggiare i Tedeschi da Revere. Non
l'aspettarono essi, e si ridussero di là da Po ad Ostiglia: con che
venne a restar separata la Mirandola dal campo loro. Allora fu che
il giovane _Francesco Pico_ duca di essa Mirandola, accompagnato dal
_principe Giovanni_ suo zio, e da _don Tommaso d'Aquino_ Napoletano,
suo padrigno, e principe di Castiglione, comparve a Modena, con
dichiararsi del partito delle due corone, e con pubblicare un manifesto
contra dei cesarei. Fu bloccata da lì innanzi quella città da'
Franzesi; fu anche, sul fine di luglio, regalata da una buona pioggia
di bombe, ma senza suo gran danno, e senza che se ne sgomentasse
punto il _conte di Koningsegg_ comandante in essa. Pensavano intanto
i troppo indeboliti Tedeschi, ridotti di là dal Po, a mantenere
almeno la comunicazione colla Germania; al qual fine fortificarono
Serravalle, Ponte Molino, e varii posti sotto Legnago negli Stati
della repubblica veneta. Di qua dal Po stavano i Franzesi, cannonando
incessantemente Ostiglia nell'opposta riva. Il gran priore passò
dipoi ad assediar Serravalle. Ma perciocchè non men le sue truppe di
qua dal fiume suddetto e i Tedeschi dall'altra parte si stendevano
sul Ferrarese, diede ciò motivo al sommo pontefice di farne gravi
querele per mezzo del _cardinale Astalli_ legato di Ferrara, intimando
agli uni e agli altri di sloggiare, e nello stesso tempo minacciando
di unir le sue truppe colla parte ubbidiente per iscacciarne la
disubbidiente. Sì questi che quelli si mostrarono pronti ad evacuare
il Ferrarese, e in fatti si ritirarono i Franzesi dalla Stellata,
e gli Alemanni consegnarono Figheruolo agli uffiziali del papa,
con promesse di ritirarsi sul Veneziano. Mentre si allestivano a
partire, nella notte precedente la natività di san Giovanni Batista,
avendo i Franzesi raunata gran copia di barche, o trovate in Po,
o fatte venir dal Panaro, alcune migliaia di essi, imbarcati alle
Quadrelle, quetamente passarono di là dal fiume, ed ottenuto il passo
dalle guardie pontificie, diedero addosso agli Alemanni, i quali, in
vigore dell'accordo fatto se ne stavano assai spensierati e quieti.
Alquanti ne furono uccisi, gli altri colla fuga scamparono; restò il
loro bagaglio in man de' Franzesi. Fu cagion questo colpo ch'eglino
poscia abbandonassero Ostiglia, Serravalle e Ponte Molino, e che il
picciolo loro esercito, valicato l'Adige, andasse a mettersi in salvo
sul Trentino. Proruppe la corte di Vienna in escandescenze per questo
fatto, con pretendere di aver pruove chiare che fosse seguito di
concerto coi ministri del papa, perchè nello stesso tempo era andato
il _conte Paolucci_ generale pontificio ad abboccarsi col gran priore,
e per altre ragioni che non importa riferire. Commosso dalle amare
doglianze di Cesare, il pontefice spedì a Ferrara monsignor _Lorenzo
Corsini_, che fu poi cardinale e papa, acciocchè ne formasse un
processo. Nulla risultò da questo che i pontifizii avessero consentito
o contribuito alla cacciata de' Tedeschi; ma non perciò si potè
levar di capo alla corte cesarea che il papa, assicurato oramai della
fortuna favorevole ai Gallispani, avesse data mano ad essi per cacciare
lungi da' suoi Stati quel molesto pugno di gente. Da che si trovarono
rinforzati gli Alemanni da alquante milizie calate dal Tirolo, dopo
la metà di settembre calarono di nuovo nel Bresciano, fortificandosi
a Gavardo e Salò sul lago di Garda, e in altri luoghi. Poche son
le nazioni e i principi che nelle prosperità sappiano conservar la
moderazione. Cadde allora in pensiero ai Franzesi di parlar alto, e di
obbligar la repubblica veneta ad impedire la calata e la dimora delle
soldatesche alemanne ne' suoi stati. E perciocchè la saviezza veneta,
risoluta di conservare la già presa neutralità, rispose con non minore
coraggio, e vieppiù rinforzò i presidii delle sue piazze, allora il
gran priore per forza entrò in Montechiaro, Calcinato, Carpanedolo,
Desenzano, Sermione ed altri luoghi, e non si guardò di far altre
insolenze e danni a quelle venete contrade, finchè arrivò il verno che
mise freno alle operazioni militari.

Quanto al Piemonte, avea bene il duca _Vittorio Amedeo_, con varie leve
fatte nei suoi Stati e negli Svizzeri, accresciuto di molto l'esercito
suo, ma per la gran copia di Franzesi, venuta per mare al _duca di
Vandomo_, si trovò sempre di troppo inferiore alle forze nemiche.
Sul principio di maggio contò esso Vandomo circa trentasei mila
combattenti nell'oste sua, e però, con isprezzo degli alleati postati
a Trino, passò in faccia di essi il Po, e gli obbligò a ritirarsi con
qualche loro perdita. Poi imprese l'assedio di Vercelli, città che,
quantunque presidiata da sei mila persone, non fece che una misera
difesa; ed ostinatosi il Vandomo a voler prigioniera di guerra quella
guernigione a fine di sempre più tagliar le penne al duca di Savoia,
trovò comandanti ed uffiziali che condiscesero a cedergli la piazza con
sì dura condizione. Ordine emanò ben tosto di spogliar quella città di
ogni fortificazione nel dì 21 di luglio. Calato intanto anche il _duca
della Fogliada_ dal Delfinato con dieci mila combattenti, dopo essersi
impossessato della città di Susa, mise l'assedio a quel castello;
espugnò la Brunetta e il forte di Catinat; e nel dì 12 di luglio
costrinse il presidio del suddetto castello di Susa a rendersi con
patti molto onorevoli. Obbligò dipoi colla forza i Barbetti abitanti
nelle quattro valli ad accettare la neutralità. Andò quindi ad unirsi
sotto la città d'Ivrea col Vandomo, il quale sedici giorni impiegò a
sottomettere quella città. Ritiratosi il comandante nella cittadella,
poscia, nel dì 29 di settembre, dovette cedere, con restar prigioniere
egli e tutti i suoi. Vi restava in quelle parti la città d'Aosta
renitente alla fortuna; ma nè pur essa potè esimersi dall'ubbidire ai
Franzesi insieme col forte di Bard: con che restò precluso al duca
di Savoia il passo per ricevere soccorsi dalla parte della Germania
e degli Svizzeri. E pure qui non finirono le imprese dell'infaticabil
_duca di Vandomo_. Si avvisò egli, al dispetto della contraria stagione
che si appressava, d'imprendere l'assedio di Verrua, fortezza non solo
pel sito, perchè posta sul Po sopra un dirupato sasso ma eziandio per
le fortificazioni aggiunte, creduta quasi inespugnabile; e tanto più
perchè il duca di Savoia unito al maresciallo di Staremberg colla sua
armata stava postato di là dal Po a Crescentino nella riva opposta
del fiume, e mercè di tre ponti manteneva la comunicazione con Verrua.
Oltre a ciò, davanti a Verrua si trovava il posto di Guerbignano ben
trincerato e difeso da cinque mila fra Tedeschi e Piemontesi. Non si
atterrì per tutte queste difficoltà il Vandomo, e alla metà di ottobre
andò a piantare il campo contro di Guerbignano. Intanto perchè sì
fattamente calarono le acque del Po, che si poteano guadare, finse, o
pure determinò egli di voler passare col meglio delle sue genti, ed
assalire il campo di Crescentino. Ne fu avvisato a tempo il duca di
Savoia, che perciò richiamò la maggior parte della gente posta alla
difesa di Guerbignano. Tra la partenza di queste truppe e il fuoco
di molte mine che fecero saltare i trincieramenti di quel posto,
il Vandomo se ne impadronì, e dipoi si diede agli approcci e alle
batterie contro Verrua, continuando pertinacemente l'assedio pel resto
dell'anno; assedio memorabile non men per le incredibili offese degli
uni, che per l'insigne difesa e bravura degli altri.

Era mancata di vita nell'anno precedente _Anna Isabella_ duchessa
di Mantova, moglie di _Ferdinando Carlo Gonzaga_ duca regnante:
principessa che per la somma sua pietà, carità e pazienza meritò
vivendo e morta gli encomii d'ognuno. Volle in quest'anno esso duca
portarsi alla corte di Parigi, dove non gli mancarono onori e carezze
quante ne volle. Ottenne anche il titolo di generalissimo delle
armate in Italia di sua maestà Cristianissima. O il suo desiderio
di lasciar dopo di sè qualche posterità legittima, giacchè di questa
era privo, o le premure dei suoi domestici, e fors'anche della corte
stessa di Francia, lo invaghirono di passare alle seconde nozze. Si
fermarono i suoi voti sopra _Susanna Enrichetta di Lorena_, figlia di
_Carlo duca di Elboeuf_, principessa dotata al pari di beltà che di
saviezza. Tornato poi in Italia, arrivò nel dì 28 d'ottobre al campo
del duca di Vandomo, ricevuto ivi con sommo onore qual generalissimo,
e applaudito dal rimbombo di tutte le artiglierie. Condotta la novella
sua sposa per mare da quattro galee di Francia, corse gran rischio,
perchè malamente salutata da più cannonate di due armatori inglesi
presso Genova. Si celebrò poscia il suo maritaggio in Toscana nel dì
8 di novembre coll'assistenza del principe e principessa di Vaudemont
suoi parenti. Ma il duca, che avea logorata la sua sanità nei passati
disordini, nè pur trasse prole da questa degna principessa. Ora
mentre l'Italia mirava in ben cattiva situazione l'armi cesaree e
savoiarde, con prevalere cotanto le franzesi, cominciò la fortuna a
mutar volto in Germania. Avea l'_elettor di Baviera_ slargate molto
l'ali, con essersi impadronito anche di Ratisbona, Augusta, Passavia
ed altri luoghi, e minacciava conquiste maggiori: quando con segreta
risoluzione fu spedito da _Anna regina d'Inghilterra_ il suo generale
_milord Marlboroug_ con isforzate marcie ad unir le sue forze colle
cesaree, comandate dal _principe Eugenio_ in Germania. Non mancò il re
Cristianissimo d'inviare anch'egli in aiuto del Bavaro il _maresciallo
di Tallard_ con ventidue mila combattenti. Occuparono i due prodi
generali anglocesarei la città di Donavert con un combattimento, in
cui grande fu il macello dei vinti, e forse non minore quello dei
vincitori.

Erano le due armate nemiche forti ciascuna di quasi sessanta mila
persone, e nel dì 13 d'agosto in vicinanza di Hogstedt vennero alle
mani. Da gran tempo non era seguita una sì terribil battaglia; dall'una
parte e dall'altra si combattè con estremo valore e furore; ma in
fine si dichiarò la vittoria in favore degl'imperiali ed Inglesi.
Secondo le relazioni tedesche d'allora, dieci mila Gallo-Bavari
vi perderono la vita, sei mila se ne andarono feriti, e dodici o
quattordici mila rimasero prigioni, la maggior parte colti separati
dall'armata e stretti dal Danubio, che furono forzati a posar le armi.
Fra essi prigionieri si contò il _maresciallo di Tallard_. Il _duca
di Baviera_ e il _maresciallo di Marsin_, colla gente che poterono
salvare, frettolosamente marciarono alla volta della Selva Nera e della
Francia. Anche l'esercito vittorioso lasciò sul campo circa cinque
mila estinti, e a più di sette mila ascese il numero de' feriti. Le
conseguenze di sì gran vittoria furono la liberazion d'Augusta, Ulma
ed altre città della Germania, e l'acquisto di nuovo di quella di
Landau in Alsazia. La Baviera, che dianzi facea tremar Vienna stessa,
venne in potere di Cesare con patti onorevoli per la _elettrice_, che
si ritirò poi a Venezia, essendo passato l'_elettore_ consorte al suo
governo di Fiandra. Al primo avviso di quella sanguinosa battaglia
portato in Italia, si adirarono forte i Franzesi, con chi riferiva
essersi rendute prigioniere tante migliaia de' lor nazionali senza fare
difesa. Si accertarono poi della verità con loro grande rammarico.
Ed ecco la prima amara lezione che riportò delle sue vaste idee il
re Cristianissimo _Luigi XIV_. Fu ancora gran guerra in Portogallo,
dove era giunto il re _Carlo III_ con rinforzi di milizie inglesi ed
olandesi. Andò in campagna lo stesso re _Filippo V_; riportò di molti
vantaggi sopra de' Portoghesi, e se ne tornò glorioso a Madrid; se
non che le sue allegrezze restarono amareggiate dall'avere gl'Inglesi
occupata la città di Gibilterra, posto di somma importanza nello
stretto, ma posto mal custodito dagli Spagnuoli in sì pericolosa
congiuntura. Tentarono essi di ricuperarlo con un vigoroso assedio, che
durò sino all'anno seguente, ma senza poterne snidare di colà i nemici,
che anche oggidì ne conservano il dominio. Seguì parimente una fiera
battaglia circa il fine d'agosto verso Malega fra le flotte franzese ed
anglolanda. Sì gli uni che gli altri solennizzarono dipoi col _Te Deum_
la vittoria, che ognun si attribuì, e niuno veramente riportò. Nel dì
23 di febbraio di quest'anno mancò di vita in Roma il _cardinale Enrico
Noris_ Veronese, ben degno che di lui si faccia menzione in queste
memorie. Militò egli nell'ordine dei frati agostiniani, fu pubblico
lettore in Pisa, e custode della biblioteca Vaticana; poi promosso alla
sacra porpora nel 1695; personaggio che pel sodo ingegno, raro giudizio
e profonda erudizione non ebbe pari in Italia ai tempi suoi, come ne
fanno e faran sempre fede le opere da lui date alla luce.



    Anno di CRISTO MDCCV. Indizione XIII.

    CLEMENTE XI papa 6.
    GIUSEPPE imperadore 1.


Fu questo l'ultimo anno della vita di _Leopoldo Austriaco_ imperadore,
morto nel dì 5 di maggio: monarca, ne' cui elogii si stancarono
giustamente le penne di molti storici. La pietà, retaggio singolare
dell'augusta casa d'Austria, in lui principalmente si vide risplendere,
e del pari la clemenza, la affabilità e la liberalità massimamente
verso dei poveri. Mai non si vide in lui alterigia nelle prospere
cose, non mai abbattimento di spirito nelle avverse. Parea che nelle
disavventure non gli mancasse mai qualche miracolo in saccoccia per
risorgere. Lasciò un gran desiderio di sè, e insieme due figli, l'uno
_Giuseppe_, re da molti anni de' Romani, e _Carlo III_ appellato re
di Spagna, il primo di temperamento focoso, e l'altro di una mirabil
saviezza. A lui succedette il primo con assumere, secondo il rito, il
titolo d'imperador de' Romani, ed accudire al pari, anzi più del padre
defunto, al proseguimento della guerra contro la real casa di Francia.
Pubblicò nel luglio di quest'anno il pontefice _Clemente XI_ una nuova
bolla contra de' giansenisti. Ma sotto il novello imperadore _Giuseppe_
crebbero le amarezze della corte pontificia, di maniera che il _conte
di Lemberg_ ambasciatore cesareo in Roma se ne partì, passando in
Toscana, e fu licenziato da Vienna _monsignore Davia_ Bolognese nunzio
di sua santità. Gran tempo era che il magnanimo pontefice pensava ad
accrescere un nuovo ornamento alla città di Roma coll'erezione della
colonna Antoniana; perciò diede l'ordine che fosse disotterrata. Nel dì
25 di settembre fu questo bel monumento solamente cavato dal terreno
per opera del cavalier Fontana; e gran somma d'oro costò sì nobile
impresa.

In Piemonte continuò ancora gran tempo la forte piazza di Verrua a
sostenersi contro le incessanti offese del campo franzese. Nel dì 26
di dicembre dell'anno precedente un gran guasto fu dato alle trincee
degli assedianti da quel presidio, rinforzato segretamente dal duca
di Savoia da due mila persone, giacchè egli manteneva tuttavia la
comunicazion colla fortezza mediante il ponte di Crescentino: ma
senza comparazione più furono i periti nel campo d'essi Franzesi a
cagion dei gravi patimenti di un assedio ostinatamente sostenuto in
mezzo ai rigori del verno, ancorchè non ommettesse il duca di Vandomo
diligenza alcuna per animarli con profusion di danaro e di alimenti.
Intanto innumerabili furono gli sforzi delle artiglierie, bombe e
fuochi artifiziali contro l'ostinata piazza per li mesi di gennaio e
febbraio. Frequenti erano ancora le mine e i fornelli sì dell'una che
dall'altra parte. Ma perciocchè si conobbe troppo difficile il vincere
questa pugna, finchè il duca Vittorio Amedeo potesse dall'opposta riva
del Po andare rinfrescando quella fortezza di nuovi combattenti, viveri
e munizioni; nel primo dì di marzo il Vandomo improvvisamente spinse
un grosso distaccamento ad occupar l'isola e forte del Po, a cui si
atteneva il ponte nemico; e così tagliò ogni comunicazione con Verrua.
Ritirossi allora il _duca di Savoia_ col _maresciallo di Staremberg_ a
Civasso, lasciando Crescentino in poter de' Franzesi. Si trovò in breve
il valoroso comandante di Verrua obbligato a cedere; ma prima di farlo,
co' fornelli preparati mandò in aria i recinti e bastioni, e poi si
rendè nel dì 10 di marzo a discrezione, rimproverato poscia e insieme
lodato dal Vandorno per sì lunga e gloriosa difesa. Presero dopo tale
acquisto le affaticate milizie franzesi riposo fino al principio di
giugno, ed allora, uscendo in campagna, si mossero con disegno di
assediare Civasso; e di aprirsi con ciò il campo fino a Torino, già
meditando offese contra di quella capitale. Stava accampato in quelle
vicinanze il duca di Savoia con lo Staremberg, e di là diede molte
percosse alle truppe franzesi, ma senza poter impedire l'assedio di
Civasso. Si sostenne questa picciola piazza sino al 29 di luglio, in
cui esso duca alla sordina fece di notte evacuarla, per quanto potè,
di artiglierie e munizioni, e la lasciò in potere del _duca della
Fogliada_, comandante allora di quell'armata franzese, giacchè il _duca
di Vandomo_ avea dovuto accorrere al basso Po contro l'armata cesarea,
siccome diremo.

Di grandi ed incredibili preparamenti fece dipoi esso Fogliada,
passato sino alla Veneria, per mettere l'assedio a Torino; ma perchè
sopraggiunsero ordini dal re Cristianissimo di differire sì grande
impresa all'anno seguente, portò egli la guerra altrove. Avea questo
general franzese molto prima, cioè nel dì 10 di marzo, obbligata a
rendersi la picciola città di Villafranca sulle rive del Mediterraneo.
Lasciato poscia un blocco intorno a quella cittadella, che poi si
arrendè nel dì primo di aprile, andò ad aprir la trincea sotto la
città di Nizza. Se ne impadronirono i Franzesi, ma non vedendo maniera
di forzare quel castello, l'abbandonarono di poi con rovinare le
fortificazioni. Da che queste furono alquanto ristorate dal marchese
di Caraglio governatore, sul principio di novembre comparve colà di
nuovo con forze maggiori il _duca di Berwich_, ed entratovi nel dì 14
di esso mese, si accinse poi a far giocare le batterie contra di quel
castello, il quale non meno pel sito che per le fortificazioni atto era
a far buona resistenza. Aveano, per non so qual ordine male inteso, i
Franzesi ritirata la lor guarnigione da Asti verso la metà d'ottobre.
Vi accorse tosto il maresciallo di Staremberg, e piantò quivi il suo
quartiere. Tanto ardire non piacendo al duca della Fogliada, andò ad
accamparsi in quei contorni; con poca fortuna nondimeno, perchè usciti
gli Alemanni con tal bravura li percossero, che vi restò ucciso il
general franzese _conte d'Imercourt_ con alquante centinaia de' suoi;
laonde fu giudicato miglior consiglio il ritirarsi. Verso la metà
di dicembre la fortezza di Monmegliano in Savoia, vinta non dalla
forza ma da un ostinato blocco d'un anno e mezzo, si trovò in fine
obbligata a capitolare con condizioni onorevoli. Per ordine poi del
re Cristianissimo ne furono smantellate tutte le fortificazioni. Così
andavano moltiplicando le perdite e sciagure addosso al duca di Savoia,
il quale non avea cessato di tempestare la corte di Vienna e le potenze
marittime per ottenere gagliardi soccorsi.

Con occhio certamente di compatimento miravano gli alleati l'infelice
positura di questo sì fedele sovrano; e però fu presa la risoluzione
di rispedire in Italia con forze nuove il _principe Eugenio_, in
cui concorrendo un raro valore e saper militare, e di più la stretta
attinenza di sangue colla real casa di Savoia, si potea perciò da lui
promettere ogni maggiore studio per la causa comune. Ma non gli furono
consegnate forze tali, che potessero per conto alcuno competere colle
franzesi. Ne presentì la venuta il _duca di Vandomo_; e per assicurarsi
che egli non pensasse alla da tanto tempo bloccata Mirandola, ordinò
che il _signor di Lapurà_ tenente generale degli ingegneri alla metà
d'aprile passasse ad aprir la trincea sotto quella fortezza. Benchè
si trovasse fornito di tenue presidio il _conte di Koningsegg_ ivi
comandante cesareo, pur fece una bella difesa sino al dì 10 di maggio,
in cui si arrendè co' suoi prigioniere di guerra. Arrivò in questo
mentre in Italia il prode principe Eugenio; e da che ebbe raunato un
sufficiente corpo d'armata, costeggiando il lago di Garda, giunse a
Salò. Quivi fu egli indarno trattenuto dalla opposta nemica armata,
perchè seppe aprirsi il passo al piano della Lombardia, e far poi molti
prigioni dei nemici. A Cassano sul fiume Adda si trovarono poscia a
fronte le due nemiche armate nel dì 16 di agosto, e vennero a giornata
campale. Erano maestri di guerra i due generali, piene di valoroso
ardire le truppe di amendue, e però ciascuna delle parti menò ben le
mani, ma con lasciare indecisa la vittoria, avendo la notte posto fine
agli sdegni. Si studiò poi ciascuna delle parti, secondo il privilegio
dei guerrieri, di fare ascendere a più migliaia la mortalità de'
nemici, e tanto meno la propria, di modo che si intesero da lì a poco
intonati due contrarii _Te Deum_. Forse maggiore fu la perdita dei
Franzesi, ma certo compensata dell'avere i Tedeschi compianta la morte
di più loro generali, oltre a quella del _principe Giuseppe di Lorena_.
Perchè l'uno e l'altro esercito restò infievolito da sì copioso
salasso, pensò di poi più al riposo che ad ulteriori militari fatiche,
ed altra impresa non succedette pel resto dell'anno in quelle parti.

Anche nell'alto Reno, alla Mosella e al Brabante non mancarono azioni
militari e sanguinose, e fra queste specialmente rimbombò l'avere il
_milord Marlboroug_ forzate, nel dì 19 di luglio, le linee franzesi
del Brabante, con far prigioni circa mille e cinquecento Gallispani,
fra i quali due generali, e con prendere alquanti cannoni, bandiere,
stendardi e qualche parte del bagaglio. Lo strepito nondimeno maggiore
della guerra fu in Ispagna. Qualche picciolo acquisto fecero i
Portoghesi, assistiti dagli Anglolandi. Assediarono anche Badaios; ma
entrato colà un buon soccorso di Spagna, meglio si stimò di lasciare
in pace quella città. All'incontro la potentissima flotta combinata
degl'Inglesi ed Olandesi con gente da sbarco, e collo stesso re _Carlo
III_ in persona si presentò davanti Barcellona. Al nome austriaco in
gran copia concorsero colà i Catalani armati: dal che rinvigoriti gli
Anglolandi formarono, l'assedio di quella città, e ne furono direttori
il _principe di Darmstadt_ e il _milord Peterboroug_. Dopo essersi gli
assedianti impadroniti de' forti del Mongiovì, nella quale impresa quel
valoroso principe lasciò la vita, strinsero maggiormente la città, e
finalmente indussero, sul _principio d'ottobre, il_ vicerè Velasco a
capitolare, con accordargli tutti gli onori militari. Ma andò per terra
la capitolazione, perchè prima di effettuarla si mosse a sedizione il
popolo di Barcellona, e v'entrarono gli Austriaci, accolti con festosi
ed incessanti viva. L'acquisto della capitale fu in breve seguitato da
Lerida, Tarragona, Tortosa, Girona ed altri luoghi della Catalogna.
Tumultuarono parimente i popoli del regno di Valenza, e questa città
con Denia, Gandia ed altre terre alzò le bandiere del re Carlo III. Per
quanti sforzi facessero nell'anno presente gli Spagnuoli per ricuperare
Gibilterra con un pertinace assedio, non furono assistiti dalla
fortuna, perchè padroni del mare gli Anglolandi, colà introdussero
di mano in mano quante forze occorrevano per la difesa. Nel novembre
dell'anno presente avvenne una memorabil rotta del Po sul Mantovano
di qua, che rotti gli argini della Secchia e del Panaro, e seco
unite quelle acque, recò incredibili danni a tutta quella parte del
Mantovano, al Mirandolese, a parte del Modenese, e ad un gran tratto
del Ferrarese sino al mare Adriatico. Arrivarono le acque sino alle
mura di Ferrara, atterrarono un'infinità di case e fenili rurali, colla
morte di gran copia di bestie e di non poche persone.



    Anno di CRISTO MDCCVI. Indizione XIV.

    CLEMENTE XI papa 7.
    GIUSEPPE imperadore 2.


Se mai fu anno alcuno in Italia, anzi in Europa, fecondo di avvenimenti
militari e di strane metamorfosi, certamente è da dire il presente.
Fra i gran pensieri che agitavano la corte di Francia per sostenere la
monarchia spagnuola lacerata o minacciata in tante parti dalle armi
collegate, uno dei principali si scoprì essere quello di ultimar la
distruzione di _Vittorio Amedeo_ duca di Savoia, principe che colle
sue ardite risoluzioni avea fin qui obbligato il re Cristianissimo
_Luigi XIV_ a mantenere in Italia una guerra che gli costava non
pochi milioni ogni anno. Oppresso questo coraggioso principe, si
credea facile il mettere le sbarre ad ulteriori tentativi della
Germania contra lo Stato di Milano. Già avea per cinquantacinque
giorni il _marchese di Caraglio_ sostenuto il castello di Nizza,
benchè flagellato continuamente da cannoni e mortari del _duca di
Berwich_, quando si vide ridotto all'estremo, e ridotto a capitolarne
la resa con tutti gli onori militari nel dì 4 di gennaio. Fu poscia
condannato quel castello a vedere uguagliate al suolo tutte le sue
fortificazioni. Tanti preparamenti andava in questo mentre facendo
il _duca della Fogliada_, che poco ci voleva a comprendere tendenti
le sue mire all'assedio di Torino. Perciò il saggio duca attese a ben
premunire quella capitale e cittadella di quanto potea occorrere in sì
fiero emergente; e da che vide cominciare le offese, con passaporti
del nemico general franzese spedì a Genova la real sua famiglia, ed
anch'egli si mise poi alla larga per maggior sicurezza, riducendosi
a Cuneo e ad altri luoghi fin qui preservati dalle nemiche violenze.
Ora non sì tosto ebbe il suddetto Fogliada ricevuta nuova gente da
Francia con promessa ancora di maggiori rinforzi, che passata la metà
di maggio accostatosi a Torino, diede principio alla circonvallazione
intorno a quella cittadella, dove il prode _conte Daun_, lasciato dal
duca per governator di Torino insieme col marchese di Caraglio, avea
messo un forte presidio de' suoi Tedeschi. Venuto poscia il giugno,
aprì la trincea sotto quella fortezza, contando dopo l'acquisto di
essa presa anche la città, benchè nè pure ommettesse le offese contro
la città medesima. Orrendo spettacolo era il gran fuoco dì circa
ducento tra cannoni e mortari continuamente impiegati dai Franzesi a
gittar palle, bombe e sassi contro di essa città, e più contro della
cittadella; e un pari trattamento lor faceano i tanti bronzi e fuochi
degli assediati. Nello stesso tempo non lasciò il Fogliada di marciare
con alcune migliaia di fanti e cavalli per voglia di cogliere, se
gli veniva fatto, lo stesso duca di Savoia. Ma egli vigilante, ora
scorrendo in un luogo ed ora in un altro, seppe sempre schermirsi
dai nemici, e dar loro anche qualche percossa, finchè si ritirò nella
valle di Lucerna, dove trovò assai fedeli e arditi alla sua difesa que'
Barbetti. L'essersi perduti in questa diversione i Franzesi, cagion fu
che non progredisse l'assedio di Torino con quel vigore che richiedeva
la positura dei loro affari.

Tornato nella primavera il _principe Eugenio_ sul Trentino, quivi
attese a far massa dei rinforzi a lui promessi, che, secondo il solito
dei Tedeschi, con poca fretta andavano calando dalla Germania. Più
sollecito il _duca di Vandomo_, dappoichè fu ritornato anch'egli da
Parigi, passata la metà di aprile, uscì in campagna con venticinque
mila combattenti (altri han detto molto meno) a motivo di cacciar dal
piano della Lombardia quelle brigate alemanne che vi erano restate,
e di ristringere le loro speranze fra le montagne delle Alpi. Ben
lo previde il principe Eugenio, e per non perdere l'adito in Italia,
ordinò al _generale Reventlau_ di postarsi fra Calcinato e Lonato con
dodici mila tra fanti e cavalli alla Fossa Seriola, che gli avrebbe
servito di antemurale. Furono malamente eseguiti gli ordini suoi,
avendo quel generale trascurato di ben fortificarsi dalla parte di
Lonato. Ora ecco, nel dì 19 d'aprile, sopraggiugnere il Vandomo dalla
parte di Montechiaro, e poi di Calcinato il quale si spinse contro
l'accampamento nemico. Aspro fu il conflitto, ma in fine i meno
cedettero ai più, e gli Alemanni in rotta si ritirarono il meglio che
poterono a Gavardo. Esaltarono i Franzesi questa vittoria, pretendendo
che restassero prigionieri circa tre mila imperiali, ed altrettanti
freddi sul campo; laddove gli altri contavano solamente ottocento gli
estinti, e circa mille e cinquecento i prigioni e feriti. Certo è che
i Franzesi acquistarono alquanti pezzi di cannone, molte baudiere e
stendardi, e fecero bottino del bagaglio e delle provvisioni. Dopo
questa percossa il principe Eugenio, vedendo chiusi i passi del
Bresciano, andò a poco a poco ritirando dalle rive del lago di Garda le
sue truppe, e a suo tempo improvvisamente sboccò di nuovo sul Veronese.
Gravissimi danni avea patito nel precedente anno la repubblica veneta
sul Bresciano, calpestato dalle due nemiche armate; maggiori li provò
nel presente, perchè il Vandomo venne colle maggiori sue forze ad
accamparsi in vicinanza di Verona, e stese le sue genti lungo l'Adige,
per impedirne il passaggio agli imperiali. Con pretesto che dai
Veneziani si prestasse o potesse prestare aiuto alle truppe cesaree,
alzò dei fortini contro la città di Verona, non solamente minacciando
essa, ma fino il senato stesso, se non usciva di neutralità. Spinti da
sì fatte violenze quei saggi signori, accrebbero il loro armamento, e
risposero di buon tuono ai Franzesi, senza mai dipartirsi dalla presa
risoluzione di non voler aderire a partito alcuno. Aveano stretta a
questo fine, nel dì 12 di gennaio, una lega colle città svizzere di
Berna e Zurigo. Intanto con finte marcie andava il principe Eugenio
imbrogliando l'avvedutezza franzese, finchè, nel dì 6 di luglio,
riuscì a un corpo di sua gente di valicar l'Adige alla Pettorazza, e
di afforzarsi nell'opposta riva: il che aprì l'adito al passaggio di
tutta la sua armata, che, per quanto si figurò la gente, ascendeva a
trenta mila persone, benchè la fama la facesse giugnere sino a quaranta
mila. Curiosa cosa fu il vedere come i dianzi sì baldanzosi Franzesi
battessero una frettolosa ritirata senza mai voler mirare il volto
dell'esercito nemico, finchè si ricoverarono di qua e di là dal Po sul
Mantovano.

Fu in questi tempi che il re Cristianissimo, per bisogno di un
eccellente generale in Fiandra, richiamò il duca di Vandomo, e in
luogo suo a comandar l'armi in Italia spedì _Luigi duca d'Orleans_
suo nipote, principe che se non potea competere coll'altro nella
sperienza militare, certo l'uguagliava nei valore, e il superava nella
penetrazione e vivacità della mente. Venuto questo generoso principe
col _maresciallo di Marsin_ a Mantova, dove il Vandomo gli rassegnò
il bastone del comando, passò dipoi a riconoscere i varii siti e tutte
le forze franzesi. Trovò egli con suo rammarico ben diversa la faccia
delle cose da quello che gli era stato supposto, talmente che si
vide forzato a richiamar dal Piemonte alquante brigate per premura di
opporsi all'avanzamento dell'oste nemica, e intanto si andò a postare
a San Benedetto sul Mantovano di qua dal Po. Ma il principe Eugenio, al
cui cuore non permetteva posa alcuna il pericolo dell'assediato Torino,
e l'urgente bisogno del parente duca di Savoia, animosamente proseguiva
il suo viaggio. Nel dì 17 di luglio passò il Po alla Polesella, e
quasi che le sue truppe avessero l'ali, si videro nel dì 19 comparire
sino al Finale di Modena alcuni suoi ussari e cavalli leggieri.
Sul fine del mese valicò l'armata cesarea il Panaro e la Secchia a
San Martino, e giunta sotto Carpi, costrinse cinquecento Franzesi a
rendersi prigionieri, ed ivi prese riposo, finchè colà giungesse tutta
la sua artiglieria. Nel dì 13 d'agosto entrò il principe Eugenio nella
città di Reggio, con farvi prigione quel presidio franzese, e lasciar
ivi tutti i suoi malati con sufficiente guernigione di sani. Altra
gente lasciò egli all'Adige, Po, Panaro ed altri luoghi, per mantener
la comunicazione con lo Stato veneto. Progrediva in questo mentre il
memorabile assedio di Torino, e maraviglie di valore facevano tutto dì
non meno gli aggressori che i difensori. Le artiglierie, le bombe, le
mine giocavano continuamente da ambe le parti, e gran sangue costavano
le sortite che di tanto in tanto si facevano ora dalla città ed ora
dalla cittadella. Pure sollecitando il _duca della Fogliada_ i lavori
e le offese, si vide in fine spalancata un'ampia breccia nelle mura
d'essa cittadella, ed aperto il varco agli ultimi tentativi dell'armi
franzesi. Furono ben fatti nel di dentro non pochi argini e ripari; ma
in fine conveniva confessare ridotta all'agonia quella forte piazza,
perchè di troppo sminuito per le malattie e ferite il presidio, e
consumate oramai quasi tutte le munizioni da guerra. Erano dunque
riposte tutte le speranze nell'avvicinamento del soccorso cesareo,
condotto dal _principe Eugenio_, e nel potersi sostenere tanto ch'egli
giugnesse.

Ora mentre esso principe marciava coll'esercito suo di qua dal Po alla
volta del Parmigiano e Piacentino, il _duca di Orleans_, dopo aver
lasciato un corpo di truppe al _tenente generale Medavì_, affinchè si
opponesse sul Bresciano ai disegni delle truppe assiane che calavano
in Italia, valicò a Guastalla il Po coll'esercito suo, e cominciò
dall'altra parte di quel fiume a costeggiare i nemici, perchè non si
sentiva voglia di affrontarsi con loro, se non avea sicuro il giuoco.
Continuò l'armata cesarea i suoi passi senza mettersi apprensione delle
angustie della Stradella, e di aver da passare per paese guernito di
piazze nemiche. Era già sul fine di agosto, quando il duca di Savoia
tutto pien di giubilo, e scortato da alcune centinaia di cavalli,
giunse a consolar gli occhi suoi colla vista del tanto sospirato
soccorso, e della presenza del principe Eugenio, con cui cominciò a
divisare quanto occorreva nell'imminente bisogno. Ciò che recava loro
non lieve affanno, era la mancanza dei viveri in paese sbrollo per sì
lunga guerra e qualche scarsezza di munizione da guerra. Ma di questo
si prese cura la fortuna, perchè nel dì 5 di settembre venne loro
avviso che dalla valle di Susa calava un grosso convoglio di ottocento
e forse più muli e bestie da soma, che conducevano al campo franzese
polve da fuoco, farine, armi ed altre munizioni, sotto la scorta di
cinquecento cavalli. Non è da chiedere se di buona voglia accorsero
colà i Tedeschi. A riserva di ducento bestie che si salvarono colla
fuga, il resto fu preso in un punto, e poco dopo anche il castello di
Pianezza, in cui furono fatti prigioni da ducento Franzesi, fra' quali
molti uffiziali, con trovarsi ivi anche altra copia di vettovaglie.
Avendo poscia il duca di Savoia unite all'esercito cesareo quelle poche
truppe regolate che gli restavano, e comandata l'occorrente copia
di milizie forensi e di guastatori, fu determinato nel consiglio di
avventurar la battaglia nel dì 17 di settembre. Intanto era giunto il
_duca di Orleans_ ad unirsi col _duca della Fogliada_ sotto Torino.
Tenuto fu un gran consiglio dai generali, per fissar la maniera di
accogliere la visita dell'esercito imperiale. Il sentimento del duca
generalissimo, sostenuto da più ragioni, e da non pochi uffiziali
applaudito, era di abbandonar le trincee, e, uscendo in aperta
campagna, di far giornata campale co' nemici. Di diverso parere
fu il _maresciallo di Marsin_, dato come per aio al duca d'Orleans
insistendo egli che non si avesse in un momento a perdere il frutto
di tante fatiche per ridurre agli estremi la cittadella di Torino;
essere tanta la superiorità delle proprie forze, sì ben muniti e forti
i trinceramenti, che il tentare i Tedeschi di superarli era un cercare
l'inevitabil loro rovina. Ma persistendo il duca d'Orleans nel suo
proponimento, diede fine il Marsin alla disputa con isfoderare un
ordine della corte di non abbandonare le trincee: il che ebbe a far
disperare il duca, che ad alta voce predisse l'esito infelice della
sconsigliata risoluzione; ma convenne ubbidire.

Appena spuntò in cielo l'alba del dì 7 di settembre, che tutto il
cesareo esercito con gran festa, impaziente di combattere, corse
all'armi, e, secondo le disposizioni fatte, s'inviò in ordinanza, ma
senza toccar tamburi o trombe verso i trinceramenti nemici formati fra
la Dora e la Stura. Alti erano gli argini, profonde le fosse, guernite
le linee tutte d'artiglieria e moschetteria, che con terribil fuoco e
furor di palle cominciarono a salutare gli arditi aggressori. Ma a sì
scortese ricevimento s'era preparato il coraggio tedesco. Per due ore
continuò il sanguinoso combattimento, studiandosi gli uni di entrar
nelle trincee, e gli altri di ripulsarli. Fu creduto che circa due
mila imperiali vi perdessero la vita prima di poter superare que' forti
ostacoli. Ma in fine li superarono, e data ne fu la gloria ai Prussiani
condotti dal _principe di Anhalt_, che de' primi sboccarono nella
circonvallazione nemica. Per la troppo lunga estension delle linee era
distribuita, anzi dispersa la milizia de' Gallispani. Però non sì tosto
vi penetrò il grosso corpo dei Prussiani, che si sparse il terrore
e la costernazione per gli altri vicini postamenti. Fecero bensì
vigorosa resistenza alcuni corpi di riserva, o pure riuniti, sì fanti
che cavalli, ma in fine rimasero rovesciati dall'empito de' nemici;
e da che furono da' guastatori spianate molte di quelle barriere, il
resto dell'esercito cesareo entrato potè menar le mani. Allora non
pensarono più i Gallispani che a salvarsi; e chi potè fuggire, fuggì.
Al _duca d'Orleans_ toccarono alcune ferite, dalle quali fu obbligato
a ritirarsi per farsi curare. Il _maresciallo di Marsin_ gravemente
ferito fu preso, ma nel dì seguente morì, risparmiando a sè stesso
il dispiacere di comparire a Parigi colla testa bassa per iscusare
l'infelicità dei suoi consigli. A udire le relazioni de' vincitori,
più di quattro mila e cinquecento furono i Gallispani rimasti uccisi
nel campo; più di sette mila i fatti prigioni, parte nel campo stesso,
e parte alla Montagna e a Chieri, colla guernigion di Civasso, fra
i quali almeno ducento uffiziali. A sì fatta lista si può ben far
qualche detrazione. Certo è che vennero in mano del vittorioso duca
_Vittorio Amedeo_ più di cento cinquanta pezzi di cannone e circa
sessanta mortai. Il doppio si legge nelle relazioni suddette. Oltre
a ciò, un'immensa quantità di bombe, granate, palle, polveri da fuoco
ed altri militari attrezzi, con forse due o più mila tra cavalli, muli
e buoi. Gran bagaglio, molta argenteria e tutte le tende rimasero in
preda dei soldati, e fu detto che fin la cassa di guerra entrasse
nel ricco bottino. Non finì la giornata che il duca di Savoia col
principe Eugenio fece la sua entrata in Torino fra i viva del suo
festeggiante popolo, e a dirittura si portò alla cattedrale a tributare
i suoi ringraziamenti all'Altissimo, dalla cui clemenza e protezione
riconosceva sì memorabil vittoria. Il poco di polve che oramai restava
al conte Daun per difesa di Torino servì a solennizzare quel _Te Deum_
col rimbombo di tutte le artiglierie. E tale fu quella famosa giornata
e vittoria, che tanto più riempiè di stupore l'Europa tutta, non che
l'Italia, perchè non potea l'oste cesarea ascendere a più di trenta
mila persone, e forse nè pur vi arrivava per li tanti malati lasciati
indietro, e per li tanti staccamenti rimasti nel Ferrarese, al Finale
di Modena, a Carpi, Reggio ed altri luoghi, affine di assicurarsi la
ritirata in caso di bisogno. Laddove nell'esercito Gallispano, secondo
la comune credenza, si contavano circa cinquanta mila combattenti,
se non che i Franzesi dopo sì gran percossa ne sminuirono di molto il
numero; e veramente tenevano anche essi qua e là de' presidii, e già
dicemmo che un corpo d'essi stato era spedito in rinforzo al _conte di
Medavì_, di cui ora convien fare menzione.

Era calato in Italia _Federico principe d'Hassia Cassel_ con cinque
mila e secento soldati tra fanti e cavalli di sua nazione, e andò ad
accoppiarsi con altri quattro mila fanti e secento cavalli cesarei
comandali del _generale Vetzel_. Dopo aver egli espugnato Goito sul
Mantovano, passò ad assediare Castiglion delle Stiviere, e, presa la
terra, bersagliava il castello. Ma nel dì 19 di settembre colà giunse
il tenente general franzese _conte di Medavì_ con egual nerbo, e
forse maggiore, di gente, e gli diede battaglia. Se ne andò sconfitto
l'hassiano con perdita di più di due mila persone (i Franzesi dissero
molto più), di alquante bandiere e stendardi, dell'artiglieria grossa
e minuta, delle munizioni e bagaglio. Di questa vittoria avrebbe
saputo prevalersi il Medavì, se non avesse atteso a liberar la
terra di Castiglione, e non gli fosse giunto il funesto avviso della
liberazion di Torino, due giorni prima accaduta. Corso egli colla sua
gente a Milano; il principe di Hassia andò poscia ad unire il resto
delle sue truppe col principe Eugenio, e il generale Vetzel colle sue
venne a formare una specie di blocco alla città di Modena. Non bastò
alla fortuna di mostrar sì favorevole il volto ai collegati in Italia
colla vittoria di Torino; avvenne anche un'altra mirabil contingenza,
che servì a coronare quella gran giornata. Se i Franzesi nella fuga
avessero volte le gambe verso il Monferrato e Stato di Milano, tanti ne
restavano tuttavia di loro, tante piazze da loro dipendenti (giacchè
comandavano agli Stati di Mantova e Modena, a tutto il Milanese e
Monferrato, e quasi a tutto il Piemonte), che potevano lungamente
contrastare ai cesarei il dominio di quegli stati, e forse anche
ristringere il duca di Savoia e il principe Eugenio, sprovveduto di
tutto, ne' contorni di Torino. Ma i fuggitivi Gallispani presero le
strade che guidano in Francia; e sembrando loro di aver sempre alle
reni le sciable tedesche, affrettarono i passi per valicar l'Alpi.
Raccolti ch'ebbe il duca d'Orleans quanti potè de' suoi, tenuto fu
consiglio se si avesse a marciare verso la Francia o verso Milano.
Il passaggio alla volta del Milanese non parve sicuro, giacchè, oltre
alla gran diserzione, si trovavano le truppe col timore in corpo per la
patita disgrazia; più facile dunque il ricoverarsi nel Delfinato, dove
già tanti di essi s'erano incamminati. Così fecero; laonde restò più
libero il campo all'armi collegate per cogliere il frutto dell'insigne
loro vittoria.

Non perdè tempo il duca _Vittorio Amedeo_ col _principe Eugenio_ dopo
la presa di Civasso a ripigliare Ivrea, Trino Verrua, Crescentino,
Asti, Vercelli ed altri luoghi del Piemonte. Entrate le lor truppe
nello Stato di Milano, Novara nel dì 20 di settembre aprì loro le
porte. Erasi ritirato da Milano a Pizzighittone, con poscia passare a
Mantova il _principe di Vaudemont_ governatore; e però i magistrati
veggendo avvicinarsi alla suddetta metropoli di Milano il principe
Eugenio, nel dì 24 di esso mese spedirono i loro deputati ad offerirgli
le chiavi. Vi entrarono poscia gli imperiali; fu cantato solenne _Te
Deum_, e posto il blocco a quel castello, fortissimo bensì di mura
e bastioni, ma mal provveduto di viveri. Lodi, Vigevano, Cassano,
Arona, Trezzo, Lecco, Soncino, Como ed altri luoghi vennero anch'essi
all'ubbidienza di _Carlo III_ re di Spagna. Sollevatosi il popolo
dell'importante città di Pavia, al vedere aperta la trincea dai
Tedeschi sotto la lor città, obbligò quella guernigion gallispana a
capitolar la resa nel principio d'ottobre. Fu dipoi posto l'assedio
a Pizzighittone, a cui intervenne anche il duca di Savoia. Ma a lui
premendo sopra ogni altra cosa l'acquisto d'Alessandria, perchè,
secondo i patti, dovea questa passare in suo dominio col Monferrato,
Mantovano, Valenza e Lomellina, colà inviò il principe Eugenio, e
fece aprir la trincea sotto quella città. Non vi fu però bisogno
di breccia; questa fu fatta ben larga da un magazzino di polve che
era sulle mura della città, a cui o per accidente o per manifattura
di uomini, fu attaccato il fuoco. Per sì orrendo scoppio andarono a
terra moltissime case, e sopra tutto un convento vicino, o pur due, di
religiose, e sotto le rovine rimasero seppellite circa mille persone.
Perciò il general conte _Colmenero_ si trovò forzato a rendere la città
nel dì 21 d'ottobre. Perchè egli poi conseguì l'importante governo
del castello di Milano sua vita natural durante, ebbe origine la fama
ch'egli avesse comperato quel posto col sacrifizio della suddetta città
d'Alessandria, cioè col detestabile incendio di quel magazzino. Poco
prima erano entrati i cesarei nella città di Tortona; e ritiratosi
quel presidio di ducento uomini nella cittadella, perchè si ostinò
nella difesa, un giorno entrativi gli assedianti con un feroce assalto,
li misero tutti a fil di spada. Nel dì 29 di ottobre la guernigion
franzese di Pizzighittone capitolò la resa, e se ne andò a Cremona.
Passarono dipoi il duca _Vittorio Amedeo_ e il _principe Eugenio_,
già dichiarato governator di Milano, sotto Casale di Monferrato. Venne
la città, nel dì 16 di novembre, all'ubbidienza di esso duca, che ne
prese per sè il possesso, e fu riconosciuto per signore del Monferrato
da quella cittadinanza. Nella notte precedente al dì 20 di novembre i
cesarei, che teneano bloccata la città di Modena, assistiti da alcune
migliaia di contadini armati, entrarono in essa, acclamando i nomi
dell'imperadore e del duca _Rinaldo d'Este_; e tosto formarono il
blocco di quella cittadella, siccome ancora di Mont'Alfonso e Sestola,
due altre fortezze d'esso duca di Modena. Fu anche messo da' collegati
l'assedio a Valenza. Qualche altro migliaio di Franzesi, nel perdere
le suddette piazze, restò prigioniere degli Alemanni o del duca di
Savoia. Circa mille e ottocento nel solo Casale vennero in loro potere.
Oggetto di gran meraviglia fu presso gl'Italiani il mirar tanti effetti
di una sola vittoria, e il rapido acquisto fatto in sì poco tempo da'
collegati.

Non furono in quest'anno meno strepitose le scene della guerra in
altri paesi. Uscirono di buon'ora in campagna l'_elettor di Baviera_
e il _maresciallo di Villeroy_, già rimesso in libertà, coll'esercito
franzese in Fiandra. Non dormiva il _duca di Marboroug_ generale della
lega in quelle parti; e poste anch'egli in ordine le sue forze, marciò
contro i nemici, e si trovarono a fronte le due armate presso di
Rameglì nel dì 25 di maggio, cioè nella domenica di Pentecoste. Mentre
i collegati erano dietro a forzar quella terra, si attaccò una fiera
battaglia che durò più di due ore. Finalmente, trovandosi i Franzesi
inferiori nel numero della cavalleria, bisognò che cedessero all'empito
della contraria, e andarono in rotta, inseguiti poi per due altre ore
da' vincitori. Fu creduto che in quel terribile conflitto perdessero
la vita quattro mila Franzesi, ed altrettanti fossero feriti colla
perdita di molte artiglierie, bandiere e stendardi. Più di tre mila con
ducento uffiziali rimasero prigionieri; ma forse il maggior loro danno
provenne dalla smoderata diserzione, di modo che quell'armata restò
per qualche tempo in una somma fiacchezza, e convenne rinforzarla con
truppe tirate dall'Alsazia, ma senza che ella potesse da lì innanzi
arrestare il torrente de' nemici. Anche questa vittoria si tirò dietro
delle straordinarie conseguenze. Lovanio e Brusselles tardarono poco
a riconoscere per loro signore _Carlo III_ re di Spagna. Altrettanto
fecero Bruges, Dam e Odenard. Pareva che la ricca e nobil città
d'Anversa non volesse il giogo, perchè presidiata da dodici battaglioni
gallispani; ma quella cittadinanza e il comandante della cittadella,
ben affetti al nome austriaco, tanto operarono, che nel dì 6 di giugno,
avendo quel presidio ottenuto onorevoli patti, ne fece la consegna
all'armi de' collegati. Fu posto l'assedio ad Ostenda, e in meno di
otto giorni, cioè nel dì 6 di luglio, entrarono in possesso pel re
Carlo III gli Anglolandi, siccome ancora fecero nel dì seguente in
Neoporto, e poscia in Coutrai. La forza fu quella che fece piegare il
collo a Menin, piazza, in cui si trovò gran resistenza. Dendermonda
ed Ath vennero anch'esse alla loro ubbidienza, di modo che anche in
quella parte ebbero un terribile scacco l'armi delle due corone. Nè fu
pur loro più propizia la fortuna in Ispagna. Stava sul cuore del re
_Filippo V_ la perdita della riguardevol città di Barcellona, al cui
esempio s'era ribellata quasi tutta la Catalogna e il regno di Valenza.
Per ricuperarla non perdonò a spesa e diligenza alcuna; raunò un buon
esercito di Spagnuoli; ebbe dal re Cristianissimo avolo suo un poderoso
rinforzo di truppe, condotto dal _duca di Noaglies_. Ciò fatto, siccome
principe generoso, volle in persona intervenire a quell'impresa, per
maggiormente accalorarla. Si mosse da Madrid verso il fine di febbraio,
e giunse sotto Barcellona, al cui assedio fu dato principio. Dentro
vi era lo stesso re _Carlo III_, che, veggendo la città sfornita di
soldatesche, ed aperte tutte le breccie dell'anno precedente, fu in
forse se dovea ritirarsi. Tale nondimeno a lui parve l'asserzione e il
coraggio di quel popolo, che determinò di non abbandonarlo. Mirabili
cose fecero que' cittadini, sì uomini che donne, ed anche i religiosi
claustrali, per preparar ripari, per difendersi sino all'ultimo fiato,
ben consapevoli che colla perdita della città andavano a perdere i
tanti lor privilegii, e correano pericolo le loro stesse vite. Tutti i
loro sforzi non poteano impedire la grandine delle bombe e i frequenti,
anzi continui, tiri delle batterie nemiche: offese che rovesciarono
gran copia di case, e già formavano considerabili breccie nelle mura.
Di peggio vi fu, perchè riuscì agli assedianti d'insignorirsi dei due
forti del Mongiovì, dove perirono quasi tutti quei pochi Inglesi ed
Olandesi ch'erano ivi alla difesa. Si trovò allora agli estremi la
città; e contuttochè i fedeli Catalani mai nè per le morti nè per le
incredibili fatiche si avvilissero, pure fu dai più consigliato il re
Carlo a sottrarsi alla rovina imminente con tentare la fuga per mare,
benchè la flotta franzese tenesse bloccato quel porto. Ma più potè in
lui l'amore conceputo verso i poveri cittadini che il proprio pericolo.
S'egli si ritirava, la città tosto era perduta. Arrivò in fine, nel dì
8 di maggio, il sospirato soccorso della flotta anglolanda, che fece
ritirar la franzese a Tolone, e sbarcò in Barcellona più di cinque
mila combattenti, con inesplicabil gioia di quella cittadinanza. Sì
poderoso aiuto, e il restare aperto il mare ad altri soccorsi, fecero
risolvere il re Filippo V a sciogliere quell'assedio, e a ritirarsi non
già per l'Aragona, ma pel Rossiglione in Francia. Accadde la levata del
campo nella mattina del dì 12 di maggio, in cui seguì uno dei maggiori
ecclissi del sole tre ore prima del mezzo giorno: avvenimento che
notabilmente accrebbe il terrore nell'armata che si ritirava in gran
fretta. Lasciarono gli Spagnuoli nel campo più di cento cannoni con
ventisette mortari, cinque mila barili di polve, due mila bombe, con
gran quantità di altri militari attrezzi, e di munizioni da bocca e
da guerra. Furono poi nella marcia inseguiti, flagellati e svaligiati
da una continua persecuzione de' Micheletti alla coda e ai fianchi.
Passò il re Filippo per Perpignano e per la Navarra, e si restituì
sollecitamente a Madrid.

Ma mentre sotto Barcellona si trovava impegnato esso monarca, il
_milord Gallovay_, che comandava le truppe inglesi nel Portogallo,
benchè poco si accordasse il suo parere con quello dei generali
portoghesi, pure tanto fece, che unitamente passarono sotto Alcantara,
e la presero. Apertasi con ciò la strada fino a Madrid, colà dipoi
s'incamminò il loro esercito, e pervenne al celebratissimo monistero
dell'Escuriale. Non si credè sicuro allora in Madrid il _re Filippo_, e
però, scortato con quattro mila cavalli e cinque mila fanti dal _duca
di Bervic_, si ritirò altrove con tutta la corte. Nel dì 2 di luglio
fu solennemente proclamato nella città di Madrid _Carlo III_ per re
di Spagna. S'egli sollecitava il suo viaggio a quella capitale, e se
l'armata dei collegati avesse senza dimora inseguito il re Filippo,
forse restavano in precipizio gli affari della real casa di Borbone in
quelle parti. Ma il re Carlo, udita la sollevazione d'Aragona in suo
favore, volle passar prima a Saragozza, per ricevere ivi gli omaggi
di quei popoli. Intanto rinforzato il re Filippo dai soccorsi spediti
dal re Cristianissimo, dopo aver fatto ritirar gli alleati inferiori
di forze, rientrò nella scompigliata città di Madrid. Corse dei gravi
pericoli il re Carlo, perchè abbandonato dai Portoghesi; pure ebbe la
fortuna di scampare a Valenza, dove con gran plauso fu ricevuto da quel
popolo. L'odio inveterato che passa fra i Castigliani e Portoghesi,
e il maggiore che professavano i primi contro gli Anglolandi per
la diversità della religione, sommamente giovarono al re Filippo, e
nocquero all'emulo suo. Intanto anche Cartagena ed Alicante, per timor
della flotta possente dei collegati, alzò la bandiera del re Carlo. In
questa confusione restarono nel presente anno le cose della Spagna.
In esso ancora ad una fiera calamità fu sottoposto l'Abbruzzo per un
orribil tremuoto, che nel dì 3 di novembre interamente desolò una gran
quantità di terre colla morte di assaissimi di quegli abitanti, e con
recare gravissimi danni eziandio a molte altre. Di tal disavventura
partecipò anche la Calabria. Parea che in questi tempi un tal flagello
fosse divenuto cosa familiare. Di gravi contribuzioni esigerono i
Tedeschi nel verno dai principi d'Italia; e non esentarono da esse, e
nè pur dai quartieri gli Stati di Parma e Piacenza, ancorchè protetti
dalle bandiere di San Pietro. L'accordo fatto dal duca _Francesco
Farnese_, nel dì 14 di dicembre, di pagare novanta mila doble
agl'imperiali, fu dipoi riprovato dal sommo pontefice, che passò anche
a fulminar censure contra di quei bravi esattori: il che maggiormente
alterò la corte di Vienna contro la romana.



    Anno di CRISTO MDCCVII. Indizione XV.

    CLEMENTE XI papa 8.
    GIUSEPPE imperadore 3.


Per tutto il gennaio di quest'anno era durato il blocco della
cittadella di Modena, quando giunsero artiglierie, colle quali fu
risoluto di farle un più aspro trattamento. Erette le batterie,
cominciarono, nel dì 31 di esso mese, a flagellare le mura, ed era già
formata la breccia. Arrivò improvvisamente in questo tempo da Bologna
lo stesso duca di Modena _Rinaldo d'Este_, che agevolò ai Franzesi
con vantaggiose condizioni la resa della piazza. Nel dì 7 di febbraio
se ne andò quella guernigione con tutti gli onori; e giacchè anche
Mont'Alfonso capitolò nel dì 25 di esso mese, e Sestola nel dì 4 di
marzo, rientrò il duca in possesso di tutti i suoi Stati. Continuò
ancora per questo verno il blocco del castello di Milano, il cui
comandante, perchè le tavole degli uffiziali scarseggiavano di viveri,
obbligò quella città colle minaccie dei cannoni a somministrarne. Non
si può dire quanto restasse dipoi sorpresa la pubblica curiosità,
allorchè si propalò un accordo stipulato in Milano nel dì 13 di
marzo fra i ministri dell'_imperador Giuseppe_ e del _re Carlo III_
suo fratello, e quei del re Cristianissimo _Luigi XIV_, per cui fu
convenuto che i Franzesi evacuerebbono tutta la Lombardia. Ritenevano
essi tuttavia il castello di Milano, Cremona, Mantova, la Mirandola,
Sabbioneta, Valenza e il Finale di Spagna; di tutto fecero cessione
agli Austriaci fratelli: risoluzione che parve strana alle picciole
teste d'alcuni, ma che molto ben convenne alla saviezza del gabinetto
di Francia. È incredibile la spesa che facea il re Cristianissimo per
mantenere la guerra in Italia; senza paragone più gli sarebbe costato
questo impegno, da che le vittoriose armi cesaree e savoiarde gli
aveano o serrati o troppo difficultati i passi in Italia. Troppe città
e piazze si erano perdute. Contuttochè il _conte di Medavì_ conservasse
ancora nel Mantovano circa dodicimila soldati, pure un nulla era questo
al bisogno. Alla Francia sopra tutto premeva di ricuperar le truppe
esistenti in Lombardia, e le migliaia ancora di quelle che erano
restate prigioniere: punto che le fu accordato con tutti i comodi
ed onori militari, affinchè potessero tali milizie passar sicure in
Francia. Sicchè la real casa di Borbone, poco anzi padrona dei ducati
di Milano, di Modena, di Mantova, Guastalla, del Monferrato, del
Finale, di varii luoghi nella Lunigiana, e della maggior parte del
Piemonte, eccola di repente spogliata di tutto, prendere la legge dalla
fortuna, e da chi poc'anzi non avea nè pure un palmo di terreno in
Italia. Per sostenere la sola guerra d'Italia, che poi nulla fruttò,
impiegò il re Cristianissimo più di settanta milioni di luigi d'oro.
Parrà cosa incredibile, ma io la tengo da chi dicea di saperla da
buon luogo. Restarono dunque in man dei Franzesi solamente la Savoia,
Nizza e Villafranca, e la lor gran potenza fu astretta a consegnar
la città di Mantova col suo ducato, e insieme la Mirandola all'armi
di Cesare, lasciando i duchi di quelle città pentiti, ma tardi,
d'aver voluto senza necessità sposare il loro partito. All'incontro
il generoso e insieme fortunato _Vittorio Amedeo_ duca di Savoia,
dopo essersi trovato in sì pericoloso giuoco alla vigilia di perdere
in una giornata anche la sua capitale, quasi unica tavola del suo
naufragio; all'improvviso ricuperò tutti i suoi stati di Lombardia, e
inoltre dall'_Augusto Giuseppe_ ricevette l'investitura di Casale col
Monferrato Mantovano, e di Alessandria, Valenza, Lomellina, Valsesia
e varii feudi delle Langhe, con glorioso accrescimento alla real sua
casa. Abbandonarono i Franzesi l'Italia, ma ci lasciarono una funesta
eredità dei loro insegnamenti ed esempli, perchè s'introdusse una gran
libertà di commercio fra l'uno e l'altro sesso; e l'amore del giuoco
anche nel sesso femmineo si aumentò, e si diè bando ai riguardi e
rigori dell'età passata.

Essendosi gagliardamente invigorito di truppe il duca di Savoia, si
pensò quale impresa si avesse da eleggere per far guerra alla Francia
in casa sua, giacchè la Francia più non pensava a farla a casa altrui
nelle parti d'Italia. Volevano il duca _Vittorio Amedeo_ e il _principe
Eugenio_ che si portassero l'armi contro il Delfinato e Lionese,
siccome più pratici dei paesi; ma d'uopo fu che si accomodassero alla
risoluta volontà degl'Inglesi, ai quali sembrava più utile ed anche
facile l'acquisto di Tolone, porto di tanta importanza nella Provenza,
perchè sarebbe l'assedio di esso secondato dalla flotta anglolanda.
Sapevano i principi di Savoia quanto male in altre occasioni precedenti
fossero riusciti i conti e i tentativi dell'armi cesaree e savoiarde in
quelle parti; pure loro malgrado consentirono a sì fatta spedizione.
Incredibili fatiche, stenti e spese costò il condurre l'esercito per
l'aspre montagne di Tenda, e per le vicinanze di Nizza e Villafranca
occupate da' Franzesi. Si scarseggiava dappertutto di viveri e di
foraggi; pure, ad onta dei tanti disagi, per li quali mancò nel
cammino molta gente, pervenne l'oste collegata per Cagnes, Frejus,
Arce e Sauliers in vicinanza di Tolone nel dì 26 di luglio. Ma due
giorni prima il vigilante _maresciallo di Tessè_ con marcie sforzate
correndo, avea introdotto in quella città piuttosto un esercito che una
guernigione, e s'era affaccendato in formare ripari e fortificazioni a
tutti i siti. Sicchè fu ben dato principio alle offese contra Tolone,
ma con poca o niuna speranza di buon esito; tanta era la copia dei
difensori. S'impadronirono bensì gli alleati di due forti, spinsero
bombe nella piazza; ma chiariti che si gittava la polve e il tempo; che
ogni dì più s'ingrossava l'esercito del Tessè; che veniva gente fino
di Spagna; che i duchi di Borgogna e Berrì erano in moto per venire
alla testa delle lor milizie; e che la flotta anglolanda più avea da
combattere coi venti che colla terra; finalmente fu preso il partito
di sloggiare e di tornarsene in Italia. Con buon ordine fu eseguita
la ritirata nella notte precedente al dì 22 di agosto; e passato
felicemente il Varo, si restituì l'armata alleata in Italia, minore
di quel ch'era prima, perchè di trentasei mila combattenti appena la
metà si salvò. Ora qui si aprì il campo alle dicerie dei politici, che
sognarono misteri segreti nel duca di Savoia, senza far mente alle vere
cagioni dell'infelice riuscita di quella impresa. Giunti in Piemonte
i collegati, poco stettero in ozio. Restava tuttavia in man de'
Franzesi la città di Susa, corteggiata da alcuni forti, alzati da essi
sulle alture dei monti che attorniano quella valle. S'impadronirono
essi collegati, nel dì 22 di settembre, della città, e nel dì 4 di
ottobre anche della cittadella, con farne prigioniere il presidio.
Presero anche di assalto il forte di Catinat, restando parte di quella
guernigione tagliata a pezzi. Con queste imprese terminò la campagna in
Piemonte.

Comune opinione fu che l'infelice spedizione dell'armi collegate in
Provenza producesse almen questo vantaggio; che la Francia impegnata
alla propria difesa non inviasse soccorso al regno di Napoli,
minacciato dall'_imperador Giuseppe_. A tale acquisto ardentemente
pensava la corte di Vienna, animata spezialmente da segrete relazioni
che i popoli di quel regno, oltre al concetto di essere amanti di
nuovo governo, a braccia aperte aspettavano chi venisse a ristabilir
ivi il dominio austriaco, con iscacciarne la real casa di Borbone. Non
l'intendevano così gli Anglolandi per altri loro riflessi; ma Cesare
stette forte nel suo proponimento, considerando, fra le altre cose,
che parte della sua cavalleria resterebbe oziosa in Piemonte, siccome
avvenne, per non potere esporsi a troppi patimenti nell'aspro passaggio
verso la Provenza. Fu dunque scelto per condottiere d'una picciola
armata, consistente in cinque mila fanti e tre o forse più mila
cavalli (benchè la fama ne accrescesse molto più la dose) il valoroso
_conte Daun_ per marciare alla volta di Napoli; giacchè si giudicavano
bastanti così poche forze a conquistare un regno dove mancavano
difensori, le fortezze erano sprovvedute, e l'amore dei popoli serviva
di sicurezza per un esito favorevole. Nel dì 12 di maggio si mise in
marcia questo distaccamento, passando per Romagna e per la Marca; ad
Ancona ricevette un treno di artiglieria, e verso la metà di giugno per
Tivoli e Palestrina nel dì 24 pervenne ai contini del regno. Avea per
tempo il _duca di Ascalona_ vicerè fatti quei preparamenti che a lui
furono possibili per opporsi a questo temporale. Poche truppe regolate
si trovavano al suo comando; ne arruolò molte di nuove; diede l'armi
al popolo di Napoli, mostrando confidenza in esso; ma in fine modo non
appariva di uscire in campagna, e d'impedire l'ingresso ai nemici nel
regno. Contuttociò _don Tommaso d'Aquino_ principe di Castiglione, _don
Niccola Pignatelli_ duca di Bisaccia, ed altri uffiziali con alcune
migliaia di armati si postarono al Garigliano; ma, al comparire degli
Alemanni, considerando meglio essi che nulla si poteano promettere da
gente collettizia, si ritirarono a Napoli. Perciò senza colpo di spada
vennero in poter dei Tedeschi Capoa ed Aversa; e l'esercito, senza
trovare ostacolo alcuno, si presentò, nel dì 7 di luglio alla città di
Napoli, essendosi ritirato il duca di Ascalona a Gaeta.

Portate dai deputati le chiavi di essa metropoli al _conte di
Martinitz_ dichiarato vicerè, entrò egli colla fanteria nella città
fra le incessanti acclamazioni del popolo la cui sfrenata allegrezza
passò fino a mettere in pezzi la bella statua equestre di bronzo eretta
al re _Filippo V_, e a gittarla in mare. Da li a pochi giorni i tre
castelli di Napoli si arrenderono; la guernigion di Castelnuovo prese
partito fra gli Austriaci. Con gran solennità fu poi preso possesso di
quella gran città a nome del re _Carlo III_. Ritiratosi il principe di
Castiglione verso la Puglia con circa mille cavalli, trovò in quel di
Avellino barricate le strade. Rivoltosi a Salerno, ed inseguito dalla
cavalleria cesarea, quivi fu preso, e la sua squadra parte si sbandò,
parte restò prigioniera. L'esempio di Napoli si tirò dietro il resto
delle città e provincie di quel regno, a riserva dell'Abbruzzo, che
fece qualche resistenza, a cagione del _duca d'Atri_; ma speditovi
il _generale Vetzel_ con truppe, ubbidì ancora quella contrada, se
non che il presidio di Pescara si tenne saldo fino ai primi dì di
settembre. La sola città di Gaeta, dove con circa tre mila soldati si
era rifugiato ed afforzato il duca d'Ascalona, sembrava disposta a fare
una più lunga e vigorosa difesa, giacchè era anch'essa assistita per
mare dalle galee del duca di Tursi. Sotto d'essa andò ad accamparsi
il conte Daun, e disposte le batterie, queste arrivarono in fine a
formare una ben larga breccia nelle mura, di modo che nel dì 30 di
settembre fu risoluto di salire per essa. Ossia che l'Ascalona poco si
intendesse del mestier della guerra, o che troppo confidasse nella più
che mediocre bravura de' suoi guerrieri, e in un argine di ritirata
alzato dietro la breccia, si lasciò sconsigliatamente venire addosso
il torrente. Montarono i cesarei intrepidamente la breccia, e quando
si credeano di aver fatto assai con prender ivi posto, avvedutisi
del disordine dei difensori, seguitarono innanzi, e furiosi entrarono
nell'infelice città. Andò essa tutta a sacco con tutte le conseguenze
di somiglianti spettacoli, essendo solamente restate esenti dal furor
militare le chiese e i conventi. Fu creduto ascendere il bottino a più
di un milione di ducati. Gran macello fu fatto di presidiari. Il mal
accorto duca d'Ascalona, cagione di tanta sciagura, covava sempre la
speranza del suo scampo nelle suddette galee; ma per disavventura erano
esse quel dì ite a caricar vettovaglie, e però gli convenne ritirarsi
colla gente, che potè sottrar alle sciable tedesche, nel castello. Fu
poi obbligato di rendersi a discrezione insieme col _duca di Bisaccia_
e col _principe di Cellamare_, che pubblicamente furono condotti
prigionieri fra gli improperii del popolo, minacciante all'Ascalona
come cosa degna di lui, la forca, pel sangue dei Napoletani da lui
sparso in occasion della congiura, già maneggiata e malamente eseguita
contra del re _Filippo V_. Fu poi richiamato in Germania il _conte di
Martinitz_, e il governo di Napoli restò al _conte Daun_.

Di questo felice passo proseguivano in Italia gli affari del _re
Carlo III_, mentre in Ispagna andavano a precipizio. L'arrivo di
poderosi rinforzi mandati dai Franzesi, e de' ricchi galeoni venuti
dall'America, prestarono al re Filippo il comodo di unire una buona
armata, e di spedirla contro l'emulo Carlo III. Era dall'altra
parte uscito in campagna _milord Gallovai_ colle truppe anglolande e
catalane; e quantunque caldamente fosse stato consigliato dal _conte di
Peterboroug _e da altri ufficiali di tenersi unicamente sulla difesa,
pure, sedotto dai contrarii impetuosi consigli del _generale Stenop_,
ardentemente bramava di venir ad un fatto d'armi, lusingandosi che
nulla potesse resistere al valore de' suoi. Si trovarono in vicinanza
le due nemiche armate nel dì 22 d'aprile, non lungi dalla città
d'Almanza nel regno di Valenza. Voleva il _duca di Bervich_, generale
del re Filippo, differir le operazioni, finchè il _duca d'Orleans_,
spedito da Parigi a Madrid con titolo di generalissimo, arrivasse al
campo, per lasciare a lui l'onore della sperata vittoria; ma non gli
diede il Gallovai tanto di tempo, perchè nel dì 25 d'esso aprile andò
ad attaccare la zuffa. Non erano forse disuguali nel numero le schiere
de' contendenti; pure l'armata de' collegati si trovava inferiore
di cavalleria, e le truppe portoghesi non sapeano che brutto giuoco
fossero le battaglie. Si combattè con gran vigore da ambe le parti, e
gl'Inglesi fecero maraviglie, sostenendo per grande spazio di tempo
il peso del conflitto; ma in fine sbaragliati cederono il campo ai
vincitori Gallispani. Si calcolò che degli alleati restassero ben
cinque mila estinti, oltre ad una copiosa quantità di feriti, e che
i rimasti prigionieri ascendessero al numero di quattro mila. Gran
sangue ancora costò ai Gallispani questa felice giornata, perchè
v'ebbero da quattro mila tra morti e feriti. Ma in mano loro venne
tutta l'artiglieria nemica e il minuto bagaglio con assai bandiere e
stendardi. Lamentaronsi forte gl'Inglesi della vana spedizione fatta
da' cesarei e Piemontesi in Provenza; perchè se le truppe inutilmente
consumate in quella impresa fossero state spedite in Ispagna, come essi
ne facevano istanza, si lusingavano di stabilir ivi senza dubbio il
trono del re Carlo.

Gran tracollo diede questa sconfitta alla fortuna d'esso _re Carlo_.
Imperocchè, giunto al campo il _duca d'Orleans_, non perdè tempo a
ricuperare Valenza ed altri luoghi di quel regno, che provarono il
gastigo della loro affezione al nome austriaco. Lasciato poi il corpo
maggior dell'armata al _duca di Bervich_ e al general Asfeld, affinchè
seguitassero le conquiste nel Valenziano e Murcia, egli con otto
o dieci mila combattenti marciò alla volta dell'Aragona, e trovati
que' popoli atterriti per la rotta d'Almanza, facilmente li ridusse
all'ubbidienza del _re Filippo V_, da cui furono poi privati di tutti
i privilegii, spogliati d'armi, e severamente puniti in altre guise.
A tante contentezze della corte di Madrid si aggiunse, nel dì 25
d'agosto, l'aver la regina _Maria Gabriella di Savoia_ dato alla luce
un figlio maschio, a cui fu posto il nome di Luigi, e dato il titolo di
principe d'Asturias. Fu poi nell'autunno costretta dal duca d'Orleans
l'importante città di Lerida con un vigoroso assedio a rendersi.
Fermossi in quest'anno il _re Carlo III_ in Barcellona, per animare i
suoi Catalani nelle disgrazie, mangiando intanto il pane del dolore;
perciocchè, oltre al non venirgli alcun nuovo soccorso nè dalle potenze
marittime, nè dall'Italia, da ogni parte fioccavano famiglie nobili di
Valenza ed Aragona sue parziali, che a lui si rifugiavano, cercando di
che vivere. In Fiandra e al Reno continuò anche nell'anno presente la
guerra, ma senza che succedessero fatti od imprese, delle quali importi
al lettore che io l'informi.



    Anno di CRISTO MDCCVIII. Indizione I.

    CLEMENTE XI papa 9.
    GIUSEPPE imperadore 4.


Attese in quest'anno il _conte Daun_ vicerè di Napoli a rimettere
sotto il dominio del re _Carlo III_ le piazze spettanti alla Spagna
nelle maremme di Siena. Spedito colà un corpo di truppe, il _generale
Vetzel_ non ebbe a spendere gran tempo e fatica per ridurre alla resa
Santo Stefano ed Orbitello, fortezza pel sito assai riguardevole. Da
lì a non molto venne ai suoi voleri anche la città di Piombino col suo
castello. Ma in Porto Ercole e Portolongone si trovarono difensori
risoluti di custodire in quei porti la signoria di _Filippo V_.
Convenne dunque trasportar colà da Napoli artiglierie e munizioni per
adoperare la forza. Ma verso il principio di novembre il comandante di
Porto Longone, sbarcata gente ad Orbitello, col nembo di molte bombe
fece provare il suo sdegno a quella piazza. Era già stata destinata
in moglie al _re Carlo III_ la principessa _Elisabetta Cristina di
Brunsvich_ della linea di _Wolfembutel_, che a questo fine abbracciò
la religione cattolica. Si mosse di Germania nella primavera del
presente anno questa graziosissima principessa, dichiarata regina di
Spagna, e calò in Italia. Suo condottiere era il _principe di Lorena_
vescovo di Osnabruch. Magnifico ricevimento le fece per li suoi Stati
la veneta repubblica. Nel dì 26 di maggio furono ad inchinarla in
Desenzano _Rinaldo d'Este_ duca di Modena, e il principe don Giovanni
Gastone, spedito dal gran duca _Cosimo de Medici_ suo padre, e poscia
in Brescia _Francesco Farnese_ duca di Parma. Passata essa regina a
Milano, ed ivi accolta con gran pompa e solennità, fu poi a visitar
le deliziose isole Borromee, e nel dì 7 di luglio s'inviò a San Pier
d'Arena, dove imbarcata nella flotta inglese nel dì 15 sciolse le vele
verso Barcellona. Dappoichè la memorabil vittoria degl'imperiali sotto
Torino sconvolse tutte le misure de' Franzesi per conto dell'Italia,
destramente sul principio del precedente anno aveano essi consigliato
_Ferdinando Carlo Gonzaga_ duca di Mantova di passare per sua maggior
sicurezza a Venezia. Elesse più tosto la duchessa sua moglie di
ritirarsi in Francia, che di seguitarlo, e portatasi a Parigi, quivi,
nel dì 19 di dicembre del 1710, mancata di vita, liberò quella corte
dall'obbligo di pagarle un'annua convenevol pensione. Portò seco il
duca a Venezia un'incredibile afflizione, che crebbe poi a dismisura
all'udire caduta in mano dell'imperadore la sua capitale, e al trovarsi
spogliato di tutti i suoi Stati. Nè a mitigar questa piaga serviva
punto la promessa del re Cristianissimo di pagargli ogni anno quattro
cento mila franchi, e di rimetterlo in casa alla pace. Il laceravano
continuamente i rimorsi delle sue sconsigliate risoluzioni, e la
notizia di non esser compatito da alcuno; laonde cominciò a patire
oppressioni di cuore, con pericolo di soffocarsi, allorchè si metteva
a giacere. Ora in Venezia ed ora a Padova cercando rimedii ai mali non
men del corpo che dell'animo, si ridusse in fine agli estremi. Stava
la corte di Vienna con l'occhio aperto al di lui vacillante stato, e
prima ch'egli prendesse congedo dal mondo fulminò contra di lui una
fiera sentenza, dichiarando lui reo di fellonia, e decaduti i suoi
Stati al fisco cesareo. L'ultimo dì della vita di questo infelice
principe fu il dì 5 di luglio dell'anno presente in Padova; e corse
tosto fama che il veleno gli avesse abbreviati i giorni, quasichè in
tanti disordini della sua vita licenziosa in addietro e i succeduti
crepacuori non avessero assai possanza per condurlo al sepolcro in
età di cinquantasette anni. Non lasciò dopo di sè prole legittima;
e quantunque _Vincenzo Gonzaga_ duca di Guastalla facesse più e
più istanze e ricorsi per succedere nel ducato di Mantova, siccome
chiamato nelle investiture, ed anche per patti confermati dal fu
_Augusto Leopoldo_, nè allora nè di poi potè conseguire il suo intento.
Solamente gli venne fatto di riportare il possesso e dominio del
principato di Bozzolo, di Sabbioneta, Ostiano e Pomponesco. Avrebbe
dovuto il popolo di Mantova compiagnere tanta mutazione di cose, e la
perdita de' proprii principi, che seco portava la dolorosa pensione di
divenir provincia, con altre assai gravi conseguenze, che non importa
riferire. E tanto più perchè l'estinto duca trattava amorevolmente e
con discreti tributi i sudditi suoi, e teneva in feste quella allor
ben popolata città. Contuttociò la sfrenata libidine sua, per cui non
era in sicuro l'onor delle donne, e massimamente delle nobili; e i
tanti sgherri ch'egli manteneva per far delle vendette, spezialmente
se gli saltavano in capo ghiribizzi di gelosie, tale impressione
lasciarono, non dirò in tutti, ma nella miglior parte del popolo, che
o non deplorarono, o giudicarono anche fortuna ciò che gli altri Stati
han considerato, e tuttavia considerano, per una delle loro maggiori
sventure. E quivi si provò che un solo principe cattivo fece perdere,
per così dire, la memoria e il desiderio di tanti illustri e saggi
suoi predecessori, che aveano in alto grado nobilitata, arricchita e
renduta celebre dappertutto la città di Mantova. Cento si richieggono
ad edificare, un solo basta a distruggere tutto.

Non poche differenze ancora insorsero fra la corte imperiale e
_Vittorio Amedeo_ duca di Savoia a cagione del Vigevanasco, già
promesso a questo principe nei precedenti patti, ma senza che il
consiglio aulico di Vienna sapesse mai condiscendere a questa cessione.
Indarno si mossero Inglesi e Olandesi a sostenere le di lui ragioni,
vieppiù perchè il duca si mostrava renitente ad uscire in campagna, se
non era soddisfatto. Tante belle parole nondimeno e promesse furono
spese in tale occasione, che il duca nel mese di luglio si mosse
coll'armi sue e collegate. Il _conte di Daun_ fu richiamato da Napoli
al comando delle truppe cesaree in Piemonte, e in suo luogo con titolo
di vicerè passò il _cardinal Vincenzo Grimani_ Veneto a quel governo, e
ne prese il possesso nel dì 4 di luglio. Parevano risoluti gli alleati
di penetrare colle lor forze nel Delfinato, dove il _maresciallo
di Villars_, benchè inferiore di gente, avea prese le possibili
precauzioni per la difesa. Ma le mire del duca di Savoia erano di
torre ai Franzesi quelle fortezze che aprivano loro il passaggio verso
l'Italia. Perciò, dopo essersi avanzata l'armata collegata per quelle
aspre montagne, cioè per la Morienna, per la Tarantasia, per la valle
d'Aosta e pel Monsenisio, minacciando la Savoia, all'improvviso sul
principio di agosto, voltato cammino e faccia, tagliò ai Franzesi
l'ulterior comunicazione coi forti della Perosa, di Exiles e delle
Fenestrelle. Fu nel medesimo tempo impreso l'assedio dei due primi,
ed ambedue nei dì 11 e 12 d'agosto esposero bandiera bianca, restando
prigioniere quelle guernigioni. Di là si passò a strignere le
Fenestrelle, fortezza di maggior nerbo, ma che bersagliata fieramente
dalle nemiche batterie, nel dì 21 del mese suddetto capitolò la resa,
con restare ivi ancora prigioniere di guerra il presidio. Ciò fatto, si
ritirò quell'armata a Pinerolo, e con tali imprese ebbe fine in esse
parti la campagna, non essendosi fatto altro tentativo, sì perchè,
cadendo di buona ora le nevi in quei monti, impediscono i passi alle
operazioni militari, e sì perchè l'armi cesaree erano richiamate in
Italia per un'altra scena, a cui s'era dato principio.

Ancorchè nelle presenti scabrose contingenze con somma prudenza e
da padre comune si fosse governato il pontefice _Clemente XI_, senza
prendere impegno alcuno fra le potenze guerreggianti; pure provò quanto
sia difficile il soddisfare a tutti, e il conservare il credito e
vantaggio della neutralità in mezzo a due contrarii fuochi. Dichiarossi
infatti malsoddisfatta di lui la corte di Vienna, sì per l'affare
di Figheruolo, come dicemmo all'anno 1704, e sì per le scomuniche
fulminate dal santo padre nel dì primo di agosto del precedente anno
contro i ministri cesarei a cagion delle contribuzioni esatte dal
ducato di Parma e Piacenza, come ancora varii altri atti di questo
pontefice, geloso mantenitore dell'immunità ecclesiastica. Ora da
che l'_imperadore Giuseppe_ si vide forte in Italia per l'espulsione
dell'armi delle due corone, non tardò a far provare i suoi risentimenti
alla corte di Roma, ordinando che non passassero a Roma le rendite dei
beni ecclesiastici del regno di Napoli, e risvegliando le pretensioni
già mosse dall'Augusto suo padre, per li feudi e Stati imperiali
dell'Italia. Uno di questi pretendeva il consiglio aulico che fosse la
città di Comacchio, posta sull'Adriatico fra Ravenna e Ferrara, colle
sue ricche valli pescareccie, siccome quella che la casa d'Este fin
dall'anno 1354 riconosceva dal sacro romano imperio per investiture
continuate fino al regnante duca di Modena _Rinaldo_ d'Este; e che
quantunque non compresa nel ducato di Ferrara, pure fu occupata dal
papa _Clemente VIII_ nel 1598, ed era tuttavia detenuta dalla camera
apostolica, non ostante i reclami fatti più volte dai principi estensi.
Similmente eccitò le pretensioni cesaree sopra Parma e Piacenza,
ancorchè per due secoli la Sede apostolica ne fosse in possesso, e ne
desse pubblicamente le investiture alla casa Farnese. Adunque verso
la metà di maggio si fece massa di milizie imperiali sul Ferrarese,
e senza far novità contro la città stessa di Ferrara, passò nel dì
24 di esso mese un corpo di Tedeschi ad impossessarsi della città di
Comacchio. Venne anche ordine da Vienna e da Barcellona al senato di
Milano d'intimare al duca di Parma di prendere fra quindici giorni la
investitura di Parma e Piacenza come feudi imperiali e dipendenze dello
Stato di Milano.

Da tali novità commosso il sommo pontefice, giudicò debito suo di
mettersi in istato di ripulsar colla forza gli attentati degli
Alemanni, e a sì fatta risoluzione lo animarono spezialmente i
ministri di Francia e Spagna, impiegando larghe promesse di soccorsi,
che poi non si videro mai comparire. Però avuto ricorso al tesoro di
castello Sant'Angelo, e trovate altre maniere di accumular pecunia,
si fece in Roma e per gli Stati della Chiesa un armamento di circa
venti mila soldati, dei quali fu dato il comando a _Ferdinando
Marsili_ Bolognese, generale dell'imperadore, e famoso ancora per la
sua singolar letteratura. Passarono queste truppe a guernir i posti
del Ferrarese, Bolognese e Romagna, e seguirono anche ostilità nelle
ville confinanti a Comacchio. Il duca di Modena _Rinaldo_ per sua
precauzione fece anch'egli di molta gente. Ora intenzione della corte
cesarea non era già di far guerra al papa, ma solamente di tirarlo a
qualche convenevole aggiustamento; pure, vedendo sì grande apparato
d'armi, ordinò al _conte Wirico di Daun_, suo primario generale in
Italia, di cercare colle brusche ciò che i suoi ministri in Roma non
poteano ottener col maneggio. Calati dunque varii reggimenti verso
il Ferrarese, il suddetto generale Daun, nel dì 27 d'ottobre, marciò
contro Bondeno, e vi fece prigionieri più di mille soldati pontifizii,
liberò dal blocco Comacchio, e s'impadronì di Cento. Appresso andò
quasi tutto il resto dell'armata imperiale a prendere quartieri di
verno sul Ferrarese e Bolognese, e formò una specie di blocco alla
stessa città di Ferrara e a Forte Urbano. Inoltrossi ancora ad Imola
e Faenza, da dove sloggiarono presto le milizie pontificie, che aveano
dianzi determinato di far quivi piazza d'armi. Intanto anche le penne
cominciarono la guerra, avendo la corte romana pubblicate le ragioni
del suo dominio in Comacchio, alle quali contrappose tosto altre
scritture il duca di Modena, che istruirono il pubblico del diritto
imperiale ed estense sopra quella città. Oltre a questi sì strepitosi
sconcerti, provò papa _Clemente XI_ nel presente anno molti affanni
e cure a cagion de' riti cinesi, da che intese che _monsignore di
Tournon_ da lui inviato per visitatore alla stessa Cina, ed ultimamente
creato cardinale, avea incontrato delle gravissime traversie
nell'esecuzione dell'apostolico suo ministero.

Nel maggio di quest'anno fece il re Cristianissimo _Luigi XIV_ la
spedizione del giovine cattolico re della Gran Bretagna _Giacomo III_
verso la Scozia con poderosa flotta, per suscitare in quelle parti
qualche incendio. Ma sì opportune e gagliarde furono le precauzioni
prese dalla corte di Londra e dagli Olandesi, che lo sventurato
principe fu astretto a ritornarsene a Dunquerque, contento di avere
scampato il grave pericolo, a cui fu esposta insieme colla flotta
la sua real persona. Con grandi forze entrarono dipoi i Franzesi in
campagna nell'anno presente, giacchè i lor desiderii e trattati di
pace coi ministri delle potenze collegate s'erano sciolti in fumo, ed
improvvisamente si fecero padroni di Gante e di Bruges. Al comando
di quell'armata passò lo stesso _duca di Borgogna_ colla direzione
del valoroso _duca di Vandomo_; ed erasi già accampata l'oste
loro presso Odenard, dove si trovò il comandante ben risoluto alla
difesa. Allora fu che gli insigni due generali dell'esercito alleato,
cioè il _principe Eugenio di Savoia, e milord duca di Marlboroug_,
s'affrettarono di venire alle mani co' Franzesi. Nel dì 11 di luglio
attaccarono essi la battaglia con tal maestria e vigore, che ne
riportarono vittoria. La notte sopraggiunta favorì non poco la fuga o
ritirata dei Franzesi. Contuttociò, se si ha da credere alla relazion
de' vincitori, d'essi Franzesi restarono sul campo quattro mila
estinti, laddove, secondo il conto dei vinti, nè pur giunsero a due
mila. S'accordarono bensì le notizie in dire che rimasero prigionieri
sette mila di essi, fra' quali cinquecento uffiziali. Si portò dipoi
il principe Eugenio all'assedio dell'importante città di Lilla,
fortificata al maggior segno dal famoso ingegnere Vauban. Costò gran
sangue l'espugnazion di sì gran fortezza, difesa con sommo valore dal
_maresciallo di Bouflers_; e secondo lo scandaglio degl'intendenti vi
perirono degli offensori circa diciotto mila persone, senza parlar dei
feriti. Nel dì 22 d'ottobre la città si rendè; nel dì 9 di dicembre la
cittadella. In questo mentre, per fare una diversione, _Massimiliano
duca di Baviera_ mise l'assedio a Brusselles; ma accorsi i due generali
de' collegati, il fecero precipitosamente ritirar di là; dopo di che
ricuperarono Gante e Bruges, coronando con sì gloriose imprese la
presente campagna.

Nella Spagna non furono men considerabili gli avvenimenti di guerra.
Arrivò a Barcellona spedito dall'Italia il saggio maresciallo _conte
Guido di Staremberg_ al comando dell'armata del _re Carlo III_ in
Catalogna; ma colà ben tardi andarono capitando i rinforzi di gente
italiana e palatina inviati per mare. Di questa lentezza non lasciò
di profittare il vigilante _duca d'Orleans_ generalissimo dell'armi
delle due corone. Verso il dì 21 di giugno mise l'assedio a Tortosa,
e la costrinse alla resa. Anche nel Valenziano i porti di Denia e
d'Alicante ritornarono per forza all'ubbidienza del _re Filippo V_.
Ma queste perdite furono compensate da altri acquisti. Imperciocchè,
avendo la flotta inglese sbarcato nell'isola di Sardegna verso la metà
d'agosto un grosso corpo di milizie austriache, trovò quei popoli
portati dall'antica affezione verso la casa d'Austria, che non solo
niuna resistenza fecero, ma con festa inalberarono tosto le bandiere
del _re Carlo III_. Il vicerè spagnuolo non tardò a capitolar la resa
di Cagliari, con ottener tutto quanto desiderò di onori militari.
Amoreggiavano da gran tempo anche gl'Inglesi l'isola di Minorica,
per brama di mettere il piede in Maone, porto dei più riguardevoli e
sicuri del Mediterraneo, e di quivi fondare una buona scala al loro
commercio. Nel dì 14 di settembre il generale inglese _Stenop_ sbarcò
in quell'isola più di due mila combattenti, e gli abitanti corsero a
soggettarsi. Nel dì 26 marciò contro il castello e porto di Maone, e
fra due giorni se ne impossessò: perdita che sommamente increbbe al
re Filippo per l'importanza di quel porto, caduto in mano di chi sel
terrebbe caro. Come il Garzoni storico sì accurato metta nel libro
XIII la presa di Minorica nell'anno 1707, se non anche nel precedente,
non l'ho saputo intendere. Intanto nel dì primo d'agosto fece il suo
solenne ingresso in Barcellona la novella sposa del re Carlo III con
gran tripudio e festa dei Catalani.



    Anno di CRISTO MDCCIX. Indizione II.

    CLEMENTE XI papa 10.
    GIUSEPPE imperadore 5.


Il verno di quest'anno fu dei più rigorosi che si sieno mai provati
in Italia, perchè gelò il Po con altri fiumi, e colle carra si
passava francamente per l'alveo suo fortemente agghiacciato. Fin
la lacuna di Venezia si congelò tutta, con grave incomodo di quella
gran città, a cui su pel ghiaccio si dovea portar tutto ciò che con
tanta facilità si portava in altri tempi per barca. Si seccarono
perciò le viti, gli ulivi, le noci ed altri alberi, e nel Genovesato
gli agrumi. Se ne stava, ciò non ostante, tutta l'armata cesarea
dolcemente accampata sul Ferrarese, Bolognese e Romagna, godendo
un buono, cioè un indiscreto quartiere d'inverno alle spese di quei
poveri popoli, benedicendo essi Tedeschi il papa, che non era fin qui
condisceso ad alcuno accomodamento coll'imperadore, e dava campo ad
essi di deliziarsi in quelle ubertose campagne. Erasi portato a Roma
il _marchese di Priè_ plenipotenziario cesareo a fine d'indurre il
pontefice ad eleggere non la pericolosa via delle armi, ma la pacifica
del gabinetto, per venire ad un accordo. Nè pure il re Cristianissimo
trascurò allora di spedir colà il _maresciallo di Tessè_ per fomentare
gli spiriti guerrieri nell'animo di sua santità, e frastornare ogni
concordia con Cesare, spendendo largamente promesse e sicurezze di
poderosi aiuti. Ma questi aiuti erano lontani, erano anche dubbiosi;
e intanto il santo padre avea sulle spalle troppo pesante fardello
dell'armamento proprio, che a lui, forse più di quel che avesse fatto
ad altri, costava una gravissima spesa. Aveva egli anche fatto grosse
rimesse agli Svizzeri e ad Avignone, per tirar da quelle parti un
buon nerbo di gente. Il peggio era che le truppe cesaree, con ridersi
delle truppe papaline, ogni dì più si stendevano per la Romagna, e
minacciavano di voler passare, e non già per divozione, sino a Roma
stessa. Dalla parte ancora del regno di Napoli si accostavano milizie
ai confini dello Stato ecclesiastico. Trovavasi perciò in gravi
angustie il buon pontefice; dall'una parte l'agitava la paura di
maggiori violenze, e l'amore paterno dei minacciati e già aggravati
suoi sudditi; e dall'altra il timore di mancare all'uffizio suo in
cedere alcun dei diritti della santa Sede per gli affari di Parma
e Piacenza e di Comacchio, giacchè anche per le due prime città
era uscito manifesto di Cesare, che le pretendeva quai membri dello
Stato di Milano. S'aggiugneva l'insistere il ministro cesareo che la
santità sua riconoscesse per re di Spagna _Carlo III_; punto di gran
dilicatezza, al cui suono strepitavano forte i ministri delle due
corone Cristianissima e Cattolica. Ma finalmente la paura è una dura
maestra, e il saggio si accomoda ai tempi. E però, dopo avere il santo
padre con pubbliche preghiere implorato lume dai cielo, nel dì 15 di
gennaio del presente anno stabilì l'accordo con Cesare, promettendo
egli di disarmare, e il cesareo ministro di ritirar dagli Stati della
Chiesa le truppe cesaree, e di obbligare il _duca di Modena_ a non
inferire molestia alcuna alle terre della Chiesa. Fu convenuto che in
amichevoli congressi, da tenersi in Roma fra i ministri pontificii e
cesarei, si esaminerebbono le pendenze insorte per gli Stati di Parma,
Piacenza e Comacchio, e similmente le ragioni del duca di Modena sopra
Ferrara, per conchiudere ciò che esigesse la giustizia. Durante il
dibattimento di queste cause fu accordato che l'imperadore restasse in
possesso di Comacchio. Segretamente ancora fu convenuto che sua santità
riconoscerebbe per re Carlo III. Fece quanta resistenza mai potè il
pontefice; pure in fine s'indusse ad un sì abborrito passo.

A questo accomodamento non mancò la lode ed approvazione della gente
più savia, considerato il pericolo di mali incomparabilmente maggiori,
se la santità sua non si arrendeva. Ma non l'intesero così le corti
di Francia e Spagna, pretendenti che il pontefice dovesse sacrificar
tutto, e soffrire l'eccidio dei suoi Stati, più tosto che condiscendere
al regio titolo di Carlo III. Però, quantunque Roma facesse conoscere
che in alcuni tempi erano stati riconosciuti per re due contendenti, e
lo stesso re Cristianissimo avea nello stesso tempo riconosciuto per re
della Gran Bretagna _Giacomo II_ e _Guglielmo III_; pure a nulla giovò.
Vennero ordini che il _maresciallo di Tessè_, l'ambasciatore cattolico
_duca d'Uceda_ e il _marchese di Monteleone_ plenipotenziario del
_re Filippo V_ si partissero da Roma, con premettere una protesta di
nullità dell'atto suddetto. Fu ancora licenziato da Madrid il _nunzio
Zondedari_, vietato agli ecclesiastici il commercio con Roma, e fermato
il corso di tutte le rendite provenienti dalla Spagna alla dateria
apostolica: violento consiglio, di cui durò poscia l'esecuzione per
molti anni appresso. Dirò qui in un fiato che si diede poi principio
nell'anno seguente in Roma ai congressi promessi per le controversie di
sopra accennate di Parma, Piacenza, Comacchio e Ferrara, intervenendovi
il _marchese di Priè_ con gli avvocati di Cesare e del duca di Modena;
ma dopo una ben lunga discussione delle vicendevoli ragioni, non si
venne a decisione alcuna, e restarono le pretensioni nel primiero
vigore, senza che alcuna delle parti cedesse. Si conchiuse bensì,
che chi non ha altre armi che ragioni e carte per torre di mano ai
potenti qualche Stato occupato, altro non è per guadagnare che fumo.
Era venuto sul fine del precedente anno a Venezia _Federigo IV_ re
di Danimarca, principe provveduto di spiriti guerrieri, per godere
di quel delizioso carnevale, e, benchè incognito, ricevette distinti
onori e suntuosi divertimenti da quella sempre magnifica repubblica.
Passò dipoi a Firenze, dove dal gran duca _Cosimo de' Medici_ fu
accolto con cortesissime dimostrazioni di stima, che a taluno parvero
eccessi. Si fermò in quella corte non poco tempo con aggravio d'esso
sovrano, o, per dir meglio, dei sudditi suoi, che furono poi obbligati
ad una contribuzione per le tante spese fatte in quella congiuntura.
Credevasi ch'esso re passerebbe a Roma per godere delle rarità di
quella impareggiabil dominante. Forse non si accordò il ceremoniale;
e venuta anche nuova che si trattava alla gagliarda di pace fra le
potenze guerreggianti, verso il fine d'aprile si mosse di Toscana per
ritornare ne' suoi Stati, e giunto nel dì 25 d'esso mese a Modena,
trovò qui un accoglimento, qual si conveniva alla sua dignità e merito.
Nel dì 6 del seguente maggio cessò di vivere _Luigi Mocenigo_ doge di
Venezia, e fu poi esaltato a quel trono _Giovanni Cornaro_. Già era
perduta la speranza che _Ferdinando de' Medici_, principe ereditario
di Toscana dopo tanti anni di sterile matrimonio arricchisse di prole
la sua casa; il perchè il gran duca suo padre maneggiò e conchiuse
l'accasamento del _cardinale Francesco Maria_ suo proprio fratello con
_Leonora Gonzaga_ figlia di _Vincenzo_ duca di Guastalla. Pertanto,
avendo questo principe rinunziata la sacra porpora, nel principio di
luglio sposò la suddetta principessa, che nel dì 14 d'esso mese arrivò
a Firenze: rimedio procurato ben tardi alla cadente insigne casa de'
Medici, essendo già questo principe pervenuto all'età di cinquant'anni,
e debilitato da qualche incomodo della sua sanità.

Avea nel precedente anno il re Cristianissimo _Luigi XIV_ per mezzo de'
suoi emissarii sparsa cotanto per l'Olanda la sua sincera disposizione
alla pace, che si cominciò a dar orecchio a sì lusinghevol proposta,
e se ne trattò seriamente fra i ministri delle potenze collegate.
Maggiormente si scaldò questa pratica nel verno e nella primavera
dell'anno presente, nè v'era persona che non credesse risoluta la
Francia di volere ad ogni costo la pace. Non si può dire in quanta
miseria si fosse ridotto quel florido regno per sì lunga guerra,
per sì numerosi eserciti mantenuti in tante parti. Restavano incolte
molte campagne per le tante leve di gente; insoffribili gli aggravii;
le milizie per gl'infelici avvenimenti degli anni addietro scorate;
superiori di forze i nemici, e già vicini ad aprirsi il varco nella
Francia stessa. A questi mali si aggiunse una terribil carestia, per
cui fu obbligato il re con immense spese a procurar grani forestieri, e
a sminuir le gravezze: con che sempre più rimase esausto l'erario suo.
Perciò pubblicamente il re Cristianissimo fece istanza per la pace;
se ne trattò all'Haia; e quanto più miravano i plenipotenziarii de'
collegati che i ministri franzesi cedevano alle restituzioni richieste,
tanto più si aumentavano le lor dimande e pretensioni. Ciò che fece
tenere per immancabile la pace, fu l'avere il re spedito all'Haia lo
stesso suo segretario di Stato _marchese di Torsy_, il quale benchè si
contorcesse, pure veniva accordando ogni punto proposto da' collegati.
Si giunse al dì 28 di maggio, in cui furono stesi i preliminari, co'
quali essi intendevano di dar la pace alla Francia. Doveva il _re
Filippo_ cedere al re _Carlo III_ la monarchia, di Spagna; e ricusando,
avea da impegnarsi il _re Luigi XIV_ avolo suo di unirsi con gli
alleati per iscacciarlo di Spagna. Una gran restituzione di piazze
in Fiandra e al Reno e di tutta l'Alsazia era prescritta, con altre
condizioni di gran vantaggio per chiunque avea pretensioni contro la
Francia. Sicchè quei gran politici, a riserva del principe Eugenio,
si tenevano oramai in mano la pace, e pace tanto vantaggiosa; ma poco
tardarono ad accorgersi che questo era stato un tiro di mirabil finezza
della corte di Francia. Se riusciva il tentativo della pace, di cui
veramente abbisognava la corte e nazion franzese, gran bene era questo;
se no, serviva l'aver trattato per guadagnar tempo e premunirsi, e
molto più per muovere i popoli a sostenere il peso della guerra e
delle contribuzioni, e a somministrare aiuti, da che si facea conoscere
nello stesso tempo la gran premura del re per la pace, e la soverchia
ingordigia de' suoi nemici.

Infatti dal re furono rigettati e poi pubblicati quegli stessi
preliminari che commossero a vergogna e sdegno la nazione tutta,
amantissima del re e del proprio decoro; e cagion furono che i grandi
e mercatanti a gara portassero argenti e danari all'erario reale:
con che si provvide all'urgente bisogno. Rimasti all'incontro gli
alleati colle mani piene di mosche, maggiormente s'irritarono contro
la Francia; e giacchè questa unicamente pensava alla difesa, e il
_maresciallo di Villars_ s'era postato in sì buona forma, che non si
potea forzare a battaglia, i due prodi generali _principe Eugenio e
duca di Marlboroug_ spinsero l'esercito all'assedio di Tournai. Dopo
ventun giorni di trincea aperta, nel dì 29 di luglio quella guernigione
cedette la città, ritirandosi nella cittadella, che dopo una terribil
difesa si rendè in fine anch'essa nel dì 3 di settembre. Trovaronsi
poscia a fronte le due nemiche armate. Quantunque il Villars si fosse
ben trincierato, ardevano di voglia i generali de' collegati di far
battaglia campale; ma prima di venire al gran cimento, scrivono alcuni
che il _principe Eugenio_ si abboccò sul campo col _maresciallo di
Bouflers_, per veder pure se i Franzesi inclinavano ad accettare i
già proposti preliminari. Trovò che questi maggiormente restrignevano
le condizioni, detestando spezialmente quella di dovere il re
Cristianissimo unirsi coi nemici contra del nipote _Filippo V_. Però
nel dì 11 di settembre, da che ebbero i collegati disposte le cose
per l'assedio di Mons, diedero all'armi contro l'esercito Franzese
nel luogo di Malpacquet, contuttochè il Villars avesse le sue forze
ben assicurate da due boschi e da molte trincee. Fu questa una delle
più ostinate e sanguinose battaglie che occorressero nella presente
guerra, e durò più di sei ore. Restò veramente il campo con alquanti
cannoni in potere de' collegati, essendosi ritirati per quanto poterono
ordinatamente i Franzesi, ma non lasciò di essere dubbiosa la lor
vittoria. Se i vincitori guadagnarono bandiere e stendardi, altrettanto
fecero anche i Franzesi. Per la mortalità pretesero i Franzesi che la
loro ascendesse a soli otto mila tra morti e feriti; laddove, secondo
la relazion contraria, si vollero estinti de' Franzesi sette mila
con cinquecento uffiziali e dieci mila feriti, fra' quali lo stesso
maresciallo di Villars gravemente colpito da palla di fucile nel
ginocchio. All'incontro fu confessato che almeno sei mila fossero gli
uccisi dell'esercito alleato, e quattordici mila i feriti. Di gente
rimasta prigioniera altro non fu detto se non che la sterminata copia
de' Franzesi lasciati feriti sul campo fu permesso che fosse ritirata
al campo loro, e contata per prigioniera di guerra. Intervenne a quel
terribil conflitto _Giacomo III Stuardo_ re Cattolico d'Inghilterra,
che diede gran pruove di intrepidezza, e ne riportò anche alcune
lievi ferite. Ciò che servì a maggiormente contestare per vincitori
i collegati, fu l'aver eglino immediatamente stretta di assedio la
fortissima città di Mons, con obbligare quel presidio nel dì 20 di
ottobre ad uscirne con tutti gli onori militari.

Poche imprese si fecero nel presente anno in Italia. Era disgustato
_Vittorio Amedeo_ duca di Savoia della corte di Vienna, perchè gli
contrastava il Vigevanasco e alcuni feudi confinanti col Genovesato,
benchè a lui accordati ne' patti. Fecero gagliarde istanze gl'Inglesi
ed Olandesi presso l'_imperador Giuseppe_ in suo favore, e le fecero
indarno. Perciò non volle il duca uscire in campagna. Vi uscì il
_maresciallo di Daun_ co' suoi tedeschi, e passato il Mon-Cenis,
penetrò fino in Savoia, e s'impossessò di Annicy. Ma avendo il _duca di
Bervich_ ben muniti i passaggi, ed accostandosi le nevi, il conte di
Daun giudicò meglio di tornarsene a cercar buoni quartieri in Italia.
Lentamente ancora procederono al Reno gli affari della guerra. In
Ispagna riuscì al maresciallo conte _di Staremberg_ di sottomettere
la città di Belaguer, ma senza far altro progresso. Perchè regnava la
discordia fra i comandanti franzesi e spagnuoli, il re _Filippo V_ si
portò in persona all'armata; e dopo aver composte le differenze, tentò
di venire a battaglia col nemico esercito; ma lo Staremberg, uno de'
più cauti generali del suo tempo, non sentendosi voglia di azzardare
tutto in una giornata, non volle dar questo piacere alla maestà sua.
Nei confini del Portogallo ebbero maggior fortuna gli Spagnuoli, perchè
il _marchese di Bay_ diede una rotta ai Portoghesi, con prendere varii
loro cannoni ed insegne, ed impadronirsi di alcune castella.



    Anno di CRISTO MDCCX. Indizione III.

    CLEMENTE XI papa 11.
    GIUSEPPE imperadore 6.


Ebbe in quest'anno il pontefice _Clemente XI_ varii insulti alla sua
sanità, che fecero dubitar non poco di qualche pericolo di sua vita;
ma appena egli si rimise in migliore stato, che, siccome principe di
grande attività, tornò ad ingolfarsi nell'uno e nell'altro governo,
ben per lui scabroso ne' correnti tempi, sì per cagion de' riti cinesi,
e della persecuzione mossa contro il _cardinale di Tournon_, detenuto
come prigione in Macao, come ancora per la nimicizia dichiarata dal re
Cattolico _Filippo V_ alla corte di Roma a cagion della ricognizione
del _re Carlo III_. Contuttociò qualche calma si godeva non meno in
Roma che nel resto d'Italia, a riserva delle contribuzioni intimate da'
Tedeschi, e di chi sofferì i loro quartieri. Fu anche travagliato da
varii malori di sanità con tutta la sua famiglia_ Vittorio Amedeo_ duca
di Savoia, che gl'impedirono l'uscire in campagna, oltre all'averne
egli poca voglia per le già dette controversie colla corte di Vienna,
ostinata in non voler dare esecuzione al pattuito. Pertanto più
tosto apparenza di guerra, che guerra guerreggiata fu nel Piemonte.
S'incamminò bensì il maresciallo _conte di Daun_ a mezzo luglio verso
la valle di Barcellonetta col forte dell'armata collegata, mostrando
di aver delle mire contra di Ambrun e Guilestre; ma avendo trovato
ai confini il _duca di Bervich_ assistito da un potente esercito, e
apprendendo l'avvicinamento delle nevi a quelle montagne, si ritirò
presto alle pianure del Piemonte: il che diede un gran comodo ai
Franzesi di spignere buona parte delle lor soldatesche ai danni del _re
Carlo III_ in Catalogna, e di riportar due vittorie, siccome diremo.
Era già stato con sentenza del consiglio aulico in Vienna dichiarato
ribello e decaduto da' suoi Stati _Francesco Pico_ duca della
Mirandola; ed avendo l'_imperador Giuseppe_ somma necessità di danaro
per l'urgente bisogno delle sue armate, mise in vendita il ducato
della Mirandola e marchesato della Concordia, dappoichè non potè esso
duca pagar la tassa a lui prescritta per ricuperar quello Stato. Molti
furono i concorrenti a questo incanto o mercato. _Rinaldo d'Este_ duca
di Modena, per timore che gli venisse ai fianchi con quell'acquisto
qualche troppo potente persona, si affacciò anch'egli, e fu preferito
agli altri. Più di ducento mila doble costò a lui quel paese, di cui
poscia, col consenso degli elettori, fu investito nell'anno seguente da
sua maestà cesarea. Ma nel dì 28 di settembre grande afflizione provò
esso duca di Modena per la morte della duchessa _Carlotta Felicita di
Brunsvich_ sua consorte, e sorella della regnante _imperadrice Amalia_.

Avea nel precedente anno il re Cristianissimo _Luigi XIV_, per far
credere alle potenze collegate di voler egli abbandonare gl'interessi
del re _Filippo V_ suo nipote, richiamate di Spagna le sue milizie.
Non atterrito per questo quel generoso monarca, tali misure d'economia
e tali ripieghi prese, che formò un poderoso esercito di nazionali e
Valloni, alla testa di cui sul principio di maggio uscì egli stesso
in campagna, ardendo di voglia di far giornata coll'oste dell'emulo
re _Carlo III_. S'era postato nelle vicinanze di Belaguer l'avveduto
maresciallo di _Staremberg_, finchè gli arrivassero i soccorsi
aspettati dall'Italia. Arrivati questi, anche il re Carlo passò
all'armata, e marciò contra gli Spagnuoli. Presso ad Almenaro, nel
dì 27 di luglio, seguì un caldo fatto d'armi, in cui fu astretto
il re Filippo a battere la ritirata con perdita di varii stendardi
e bandiere e di molto bagaglio. Peggio gli sarebbe avvenuto, se la
notte sopraggiunta non metteva freno ai vincitori. Dopo l'acquisto di
Bolbastro, Huesca ed altri luoghi dell'Aragona, s'inviò il re Carlo
col suo esercito alla volta di Saragozza capitale di quel regno. Nel
dì 20 di agosto si trovarono di nuovo a fronte le nemiche armate in
vicinanza di quella città, e si venne alla seconda battaglia, in cui
rimasero totalmente disfatti gli Spagnuoli con perdere quasi tutta
l'artiglieria, quindici stendardi e più di cinquanta bandiere. La
fama portò che due mila fra gli estinti e feriti fossero quei della
parte austriaca vincitrice, e cinque mila i morti e tre mila i rimasti
prigioni dall'altra parte. Se non furono tanti, certo è almeno che
si trovò sommamente estenuata l'armata del re Filippo, e che dopo
sì felice avvenimento il re Carlo trionfante entrò in Saragozza fra
gl'incessanti plausi di quel popolo. Se egli avesse dipoi seguitato il
saggio parere dello Staremberg, il quale insisteva che si avesse ad
inseguire il fuggitivo re Filippo ritirato a Vagliadolid, forse gran
piega prendevano le sue speranze alla corona di Spagna. Ma prevalse il
sentimento dell'umore gagliardo dell'Inglese _Stenop_, che si avesse
a marciare a Madrid. Occupata la reggia, più facilmente cadrebbe il
resto.

In quella real città si lasciò vedere il re Carlo, ma ricevuto senza
gran segnale di amore in quel popolo, e non venne dal cuore quel poco
giubilo che se ne mostrò. Diede egli con ciò assai tempo al re Filippo
di rinforzarsi di gente, e di provveder la sua armata di un generale
di primo grido, cioè del _duca di Vandomo_, che comparve dopo la metà
di settembre a Vagliadolid col _duca di Noaglies_. Intanto nello
sterile territorio di Madrid mancarono le provvisioni per l'armata
del re Carlo, e nella città alzarono forte la testa i partigiani
del re Filippo. Vennero spediti potenti rinforzi di gente al nipote
dal re Cristianissimo, e all'incontro mai non vennero i Portoghesi
ad unirsi col re Carlo, il quale perciò, all'accostarsi del verno,
determinò di ritirarsi verso la Catalogna. Con sì mal ordine seguì
la ritirata, che il re Filippo, già rientrato in Madrid, si mosse per
assalire gl'Inglesi, che marciavano molto separati dagli Alemanni, e li
raggiunse al grosso borgo di Briguela o sia Brihuega. Dato l'assalto
a quelle miserabili mura, e mancate le munizioni agl'Inglesi, furono
essi costretti a rendersi prigionieri in numero di più di tre mila
collo stesso orgoglioso Stenop. Al romore del pericolo degl'Inglesi
con isforzate marcie era accorso il maresciallo di Staremberg, e
benchè non consapevole della lor disavventura, pure coraggiosamente
arrivato a Villa Viziosa nel dì 20 di dicembre volle attaccar battaglia
coll'esercito gallispano. Il valore dell'una e dell'altra parte fu
incredibile, e la notte sola diede fine al macello, con restare gli
Austriaci padroni del campo e di molte insegne, ma colla perdita
di circa tre mila morti nel conflitto. Maggior fu creduto il numero
degli uccisi dall'altra parte. Nulladimeno diversamente contarono i
Gallispani questa sanguinosa battaglia, con attribuirsene la vittoria,
e fu cantato perciò il _Te Deum_ a Parigi. Ed è la verità che anche gli
Spagnuoli presero molte bandiere, e fecero bottino di molto bagaglio;
e che lo Staremberg, trovando sì infievolito il suo picciol corpo di
gente, e mancante affatto di vettovaglia, fu obbligato a ritirarsi
frettolosamente verso l'Aragona, e a lasciar indietro tutto il
cannone: il che servì non poco a giustificare la relazione contraria.
E perciocchè un'armata di venti mila Franzesi venuta dal Rossiglione
avea impreso l'assedio di Girona in Catalogna, lo Staremberg abbandonò
Saragozza e quanto aveva acquistato nell'Aragonese, e si ritirò a
Barcellona a scrivere compassionevoli lettere a tutti i collegati
per ottenere soccorsi. Ed ecco quante varie scene e vicende vide in
quest'anno la Spagna fra le sanguinose dispute dei due competitori
monarchi.

Aspirava pure il re Cristianissimo alla pace, e non lasciò di
stuzzicar di nuovo gli Olandesi per mezzo del Pettecun, residente
del duca di Holstein all'Haia, adoperato anche nell'anno precedente
per mezzano in così scabroso affare, affinchè dessero orecchio alle
proposizioni, per mettere una volta fine al sangue di tanta gente, e
alla desolazione de' regni. Tuttochè sentissero tuttavia gli alleati
il bruciore di essere stati burlati nell'anno addietro dal gabinetto
di Francia, pure s'indussero ad entrar di nuovo in un congresso,
con destinare a tal fine la città di Gertrudemberga. Gran contrasto
fu ivi; saldo il re Cristianissimo in non voler prendere le armi
contro il re nipote; discordi gli alleati nelle lor pretensioni,
perchè gli Anglolandi consentivano a rilasciare al re _Filippo V_ una
porzione della monarchia spagnuola; laddove il _conte di Zizendorf_
plenipotenziario cesareo negava qualsivoglia smembramento della
medesima. Per più mesi durò la battaglia di quelle teste politiche, e
in fine tutto andò in fascio, senza potersi in guisa alcuna ottenere
nè dagli uni nè dagli altri il loro intento. Giovò nondimeno alla
Francia quest'altro tentativo per seminar gelosie e discordie fra le
potenze nemiche: del che seppe ben ella profittare nel tempo avvenire.
Imputò intanto ciascuna delle parti all'altra la colpa di lasciar
continuare la guerra; e questa in fatti anche nel presente anno fu
ben calda in Fiandra, dove alla primavera fu posto l'assedio dal _duca
di Marlboroug_ alla città di Douai. La difesa di quella piazza fatta
dal tenente generale _conte Albergotti_ fiorentino, accrebbe al sommo
la gloria del suo nome. Indarno tentò il _maresciallo di Villars_
di soccorrerla, e però colla più onorevol capitolazione nel dì 26
di giugno quella città col forte della Scarpa fu ceduta all'armi dei
collegati. Passarono poi questi col campo sotto Bettunes, piazza assai
provveduta di fortificazioni regolari, con trovarvisi alla difesa il
celebre luogotenente generale _Vauban_, che la sostenne sino al dì 29
di agosto, in cui ne seguì la resa. Quindi si presentò l'oste nemica
sotto San Venanzio ed Aire. La prima di queste piazze fece resistenza
solamente dodici giorni; ma l'altra per cinquantotto dì faticò gli
assedianti con grave lor perdita, e in fine il dì 9 di novembre si
lasciò vincere. Nè si dee tacere che in quest'anno succederono notabili
mutazioni di ministri nella corte d'Inghilterra, e gran bollore di
animi si trovò in Londra fra i due contrarii partiti dei Toris e de'
Vigt. In favore de' primi pubblicamente predicò un dottore Sacheverel,
che maggiormente accese il fuoco, gran partigiano dell'appellata Chiesa
anglicana. Queste novità molto poscia influirono a condurre la _regina
Anna_ nei voleri della Francia, siccome vedremo. Essendo mancato di
vita sul fine di settembre il _cardinale Vincenzo Grimani_ Veneto,
vicerè di Napoli, si trovò nelle cedole dell'_Interim_ nominato a
quella illustre carica il _conte Carlo Borromeo_ Milanese, che verso
la metà del seguente mese comparve in quella metropoli, e fu appresso
confermato dal re _Carlo III_ nel possesso di sì nobile impiego.



    Anno di CRISTO MDCCXI. Indizione IV.

    CLEMENTE XI papa 12.
    CARLO VI imperadore 1.


Fece la morte in quest'anno moltiplicar le gramaglie nell'Europa,
perchè nel dì 3 di febbraio rapì dal mondo _Francesco Maria de Medici_,
fratello del gran _duca Cosimo_, e principe da noi veduto cardinale nei
precedenti anni, che non lasciò alcun frutto del suo matrimonio colla
principessa _Leonora Gonzaga di Guastalla_. Poscia nel dì 14 d'aprile
mancò di vita pel vaiuolo _Luigi Delfino_ di Francia, unico figlio del
re _Luigi XIV_, principe degno di più lunga vita: con che il _duca di
Borgogna_ suo primogenito assunse il titolo di Delfino. Ma ciò che più
mise in agitazione i pensieri di tutti i politici interessati e non
interessati nel teatro delle correnti guerre, fu l'immatura morte di
_Giuseppe imperadore_, accaduta nel dì 17 del mese suddetto d'aprile.
Questo monarca, che in vivacità di spirito, in affabilità e in altre
belle doti superò moltissimi dei suoi gloriosi antenati, non avea
ben saputo reggere il suo fuoco, portato ai piaceri; e contuttochè
l'impareggiabile augusta sua consorte _Amalia Guglielmina di Brunsvich_
si studiasse, per quanto potè, di tenerlo in freno, non reggeva
questo freno all'empito delle sue voglie. Mancò veramente anch'egli di
vaiuolo, ma fu creduto che gli strapazzi della sua sanità aiutassero
di molto quel male a levarlo di vita. Niun discendente maschio lasciò
egli dopo di sè, ma solamente due arciduchesse, cioè _Maria Gioseffa_
e _Maria Amalia_, che poi passarono a fecondar le elettorali case di
Baviera e Sassonia. Questo inaspettato colpo delle umane vicende non si
può dire quanto sconcertasse le misure delle potenze collegate contro
la real casa di Borbone; perchè si pensò ben tosto, e si fecero tutti
gli opportuni negoziati per far cadere la corona imperiale in testa
del re _Carlo III_ suo fratello; ma tosto ancora si conobbe che questo
passo verrebbe ad assodar quella di Spagna sul capo del re _Filippo V_.
Nè pure agli stessi collegati, non che alla Francia, compliva il vedere
uniti in una sola persona l'imperio e i regni di Spagna e della casa di
Austria. Però si cominciarono nuove tele, persistendo nondimeno tutti
nella determinazione di continuar più vigorosamente che mai le ostilità
contra dei Franzesi.

Prese dopo la morte dell'augusto figlio l'imperadrice _Leonora
Maddalena_ le redini del governo, e con replicate lettere si diede a
tempestare il re _Carlo III_, acciocchè, lasciata la troppo pericolosa,
anzi disperata, impresa della Spagna, venisse alla difesa e al
godimento de' suoi Stati. Trovossi allora il buon principe in un ben
affannoso labirinto; perchè dall'una parte il bisogno dei proprii
Stati e la premura di salire sul trono imperiale non gli permettevano
di fermarsi in Ispagna, e dall'altra non sapeva indursi ad abbandonare
i miseri Barcellonesi e Catalani alla discrezione dell'irato _Filippo
V_. Avea anche sulle spalle un'esorbitante copia di nobiltà spagnuola e
di famiglie rifugiate sotto l'ombra sua per isfuggire i castighi della
pretesa ribellione; e tutti dimandavano pane. Fu preso il ripiego di
lasciar la regina sua sposa in Barcellona per pegno del suo amore, e
per sicurezza degli sforzi ch'era per fare nella lor difesa. Scelta
pertanto una parte dei rifugiati Spagnuoli che seco venissero, nel
settembre s'imbarcò, e felicemente sbarcò alle spiagge di Genova, e
senza perdere tempo s'inviò alla volta di Milano. Alla Cava nel dì
13 d'ottobre fu complimentato da _Vittorio Amedeo_ duca di Savoia, e
un miglio lungi da Pavia da _Rinaldo_ duca di Modena. Arrivata che fu
la maestà sua a Milano, poco stette a ricevere la lieta nuova che nel
dì 12 del predetto mese, di comune consenso degli elettori, era stato
proclamato imperador de' Romani. Le universali allegrezze dei popoli
d'Italia solennizzarono sì applaudita elezione; il pontefice destinò
il _cardinale Imperiale_ con titolo di legato a latere a riconoscere
in lui non meno la dignità imperiale che il titolo di re Cattolico.
Comparvero ancora a questo fine a Milano pompose ambasciate delle
repubbliche di Venezia, Genova e Lucca. Saputosi poi in Madrid come si
fossero contenuti in tal occasione i principi d'Italia, il re Filippo
ordinò che i loro pubblici rappresentanti sloggiassero da' suoi regni.
Fermossi in Milano l'augusto sovrano sino al dì 30 di novembre, in cui
si mosse alla volta dell'Alemagna. Nel dì 12 fu di nuovo ad inchinarlo
il _duca di Modena_ in San Marino di Bozzolo. Mantova qualche giorno
godè della graziosa presenza di questo monarca; e ai confini dello
Stato veneto gli fecero un soprammodo magnifico accoglimento gli
ambasciatori di quell'inclita repubblica; dopo di che inviatosi egli
a dirittura per la via di Trento e del Tirolo, nel dì 20 giunse ad
Inspruch, dove prese riposo. Fattosi intanto in Francoforte il suntuoso
preparamento per la sua coronazione, questa dipoi si effettuò nel dì
22 di dicembre con solennissima festa. Portò egli al trono imperiale
un complesso di sode e rare virtù, quale non sì facilmente si trova in
altri regnanti, e cominciò da lì innanzi ad essere chiamato _Carlo VI_
Augusto.

Nulla di notabile operarono in questo anno gli alleati in Piemonte,
e da alcuni ne fu attribuita la cagione al trovarsi tuttavia mal
soddisfatto _Vittorio Amedeo_ duca di Savoia della corte di Vienna,
che con varie scuse gli negava il possesso tante volte promesso del
Vigevanasco. Contuttociò quel sovrano col _maresciallo Daun_ sul
principio di luglio con potente esercito si mosse e valicò i monti,
e passate le valli di Morienna e Tarantasia, calò nella Savoia,
impadronendosi della città di Annicy, Chiambery, ed altre di quella
contrada. S'aspettava il _duca di Bervich_ che questo torrente
s'incamminasse verso il Lionese; e però, dopo aver muniti i passi,
fermò il suo campo sotto il forte di Barreaux. Intenzione del conte di
Daun era di assalire i Franzesi in quel sito; ma insorta dissensione di
pareri, finì tutta la campagna in sole minaccie contra dei Franzesi. E
perchè l'armata non avrebbe potuto sussistere pel verno nella Savoia,
divisa allora dall'Italia per cagion delle nevi, abbandonati di
nuovo que' paesi, se ne tornarono tutti a cercare stanza migliore in
Lombardia. Qualora i Tedeschi avessero tenuto più contento il sovrano
di Savoia, forse in altra guisa sarebbero camminate le faccende in
quelle parti. Erano di molto prosperate in Ispagna l'armi del re
_Filippo V_ col riacquisto della Castiglia e dell'Aragona, e coll'avere
ristretti gli alleati nell'angusto paese della Catalogna. Ebbe egli
ancora il contento nel gennaio di quest'anno di veder superata Girona
dal _duca di Noaglies_, che con venti mila Franzesi ne avea formato
l'assedio. Ma niun'altra impresa degna di osservazione si fece in
quelle parti, se non che il _duca di Vandomo_ nel mese di dicembre
spedì il conte di Muret con grosso corpo di gente sotto Cardona.
S'impossessò questo generale del Borgo, e ritiratasi la guernigion
nel castello, cominciarono le artiglierie a tormentarlo. Vi fu spedito
dallo Staremberg un buon soccorso di gente, che rovesciò le trincee dei
nemici, ed entrati colà cinquecento uomini, fecero prendere al Muret la
risoluzione di ritirarsi. Nè pure in Fiandra alcuno strepitoso fatto
avvenne, altro non essendo riuscito ai collegati che di sottomettere
la forte città di Bauchain, giacchè il _maresciallo di Villars_ non
lasciava ai nemici adito per azzuffarsi seco: cotanto sapea egli l'arte
dei buoni accampamenti, per non venire a battaglia se non quando vi
trovava i suoi conti.

Parea dunque che si cominciasse a raffreddare il bollore di questa
guerra, nè se ne intendeva allora il perchè; ma a poco a poco si venne
poi svelando il mistero. Convien confessarlo: sanno egregiamente i
Franzesi combattere con armi di ferro, ma egualmente ancora valersi
di armi d'oro per espugnare chi alla lor potenza resiste. Già dicemmo
accaduta in Londra non lieve mutazione nel ministero, ed essere toccata
la superiorità al partito dei Toris. La _regina Anna_, che fin qui
tanto ardore avea mostrato contro la real casa di Borbone, cominciò,
per quanto fu creduto, a sentire rialzarsi in suo cuore la non mai
estinta affezione al proprio sangue stuardo, siccome figlia del fu
cattolico re _Giacomo II_. Mossa da compassione verso l'abbattuto
vivente suo fratello _Giacomo III_, re solamente di nome della Gran
Bretagna, concepì dei segreti desiderii ch'egli divenisse tale di
fatto, e fosse anteposto all'elettoral casa di Brunswich, a cui già per
gli atti pubblici del parlamento era stato assicurata la successione
del regno, qualora mancasse la regina medesima. All'avveduta corte
del re Cristianissimo trasparì qualche barlume del presente sistema di
quella di Londra; e il _maresciallo di Tallard_, detenuto prigioniere
nella città di Notingam, fu creduto che suggerisse buoni lumi per
giugnere a guadagnare il cuore d'essa regina. Segretamente dunque il
re _Luigi XIV_ ebbe maniera di far introdurre per mezzo del _milord
Halei_, che poi divenne _conte d'Oxford_, e di qualche altra persona
favorita dalla regina, parole di pace fiancheggiate da rilevanti
vantaggi in favore della nazione inglese. Se riusciva al gabinetto
franzese di staccare quella potenza dalla grande alleanza, ben si
conosceva terminata la memorabil tragedia della guerra presente.
Gustò la regina il dolce di quelle proposizioni, e cominciarono ad
andare innanzi e indietro segrete lettere e risposte per ismaltire le
difficoltà, e stabilire i principali articoli dell'accomodamento. Di
queste mene si avvidero bensì gli Olandesi e la corte di Vienna, e si
studiarono di fermarle; ma senza profitto alcuno. Troppa impressione
aveano fatto nella regina Anna le offerte della Francia, cioè la
cessione di Gibilterra e di Porto Maone all'Inghilterra (punto di gran
rilievo pel commercio di quella nazione), l'Assiento, cioè la vendita
de' Mori per servigio dell'America Spagnuola, che si accorderebbe
per molti anni agl'Inglesi; la demolizione di Dunquerque: una buona
barriera di piazze per sicurezza degli Olandesi; all'imperador _Carlo
VI_ la Fiandra, lo Stato di Milano, Napoli e Sardegna. Già divenuto
come impossibile il cavar dalle mani del re _Filippo V_ la Spagna,
restava questa monarchia divisa dalla franzese: a che dunque consumar
più tanto oro e sangue, se nulla di più si potea ottener colla guerra
di quel che ora si veniva a conseguir colla pace? Passò per questo in
Inghilterra nel gennaio seguente il _principe Eugenio_, nè altro gli
venne fatto che d'indurre la regina a procedere senza fretta e con
gran cautela in sì importante affare. Intanto gli Olandesi si videro
astretti a consentire ad un luogo per dar principio ai congressi, e
fu scelta per questo la città d'Utrecht, dove nel gennaio seguente
avessero da concorrere i plenipotenziarii delle parti interessate.
E tali furono i primi gagliardi passi per restituire la tranquillità
all'afflitta Europa.



    Anno di CRISTO MDCCXII. Indizione V.

    CLEMENTE XI papa 13.
    CARLO VI imperadore 2.


Fin dall'anno precedente era penetrata dall'Ungheria in Italia la
mortalità de' buoi, flagello di cui non v'ha persona che non intenda
le funestissime conseguenze in danno del genere umano. Ma nel presente
così ampiamente si dilatò pel Veronese, Bresciano, Mantovano e Stato
di Milano, che fece un orrido scempio di sì utile, anzi necessario,
genere di animali. Anche il regno di Napoli e lo Stato della Chiesa
soffrì immensi danni per questa micidiale epidemia. Correndo il mese
di settembre, fu detto che in esso regno fossero periti settanta
mila capi di buoi e vacche, e nel solo Cremonese più di quattordici
mila; e il male progrediva a gran passi nelle vicinanze. Nel presente
anno venne a visitar l'Italia _Federigo Augusto_, principe reale di
Polonia ed elettorale di Sassonia, e ricevette in Modena ogni maggior
dimostrazione di stima dal _duca Rinaldo_. Di là passò a Bologna,
dove, abiurato il luteranismo, abbracciò la religione cattolica, che
servì poscia a lui di gradino per salire, dopo la morte del padre,
sul trono della Polonia, in cui ora gloriosamente siede. Restava nelle
Maremme della Toscana Porto Ercole tuttavia ubbidiente al re _Filippo
V_. Passò nella primavera un grosso corpo di cesarei a mettere colà
il campo; e dappoichè fu giunta l'occorrente artiglieria da Napoli,
si cominciò a bersagliare i forti della Stella e di San Filippo.
Ridotti quei presidii a rendersi a descrizione, anche il porto cadde
in loro mano. Nel Piemonte gran freddo si trovò nel duca di Savoia
per le azioni militari, essendo più che mai malcontento quel sovrano
della corte cesarea, che, non ostante l'interposizion premurosa delle
potenze marittime, sempre andò fuggendo l'adempimento delle promesse
fatte di cedergli il Vigevanasco, o di dargli il compenso in altre
terre. Oltre a ciò, nacquero in lui politici riguardi, da che vide sul
tappeto trattati di pace; e non gli era ignoto che in tutte le maniere
la corte d'Inghilterra la voleva. Anzi si crede che in questi tempi
il _conte di Oxford_, tutto intento a sbrancare alcuno de' principi
dalla grande alleanza, coll'inviare a Torino il _conte di Peterboroug_,
s'industriasse di tirar esso duca ad una pace particolare colla vistosa
esibizione (per quanto fu creduto) del regno di Sicilia e restituzione
di tutti i suoi Stati. Non dispiacque a quel sovrano un sì bel regalo,
che seco anche portava il titolo di re; ma conoscendone egli la poca
sussistenza, quando non vi concorresse il consenso di Cesare, il
quale non solo da questo si sarebbe mostrato, ma ancora dalla pace
si mostrava troppo alieno, ravvisò tosto la necessità di star forte
nella lega, finchè si maturassero meglio le cose. Però non volle punto
staccarsi da' collegati, e solamente ricusò di uscire in campagna colle
sue truppe. Vi uscì co' suoi Tedeschi il _maresciallo di Daun_, perchè
il _duca di Bervich_ era calato da Monginevra nella valle di Oulx; ma
altro non fece che difendere i posti in quella contrada.

Intanto sul fine di gennaio nella città olandese di Utrecht s'era
aperto il congresso, a cui intervennero i plenipotenzarii di Francia,
Inghilterra, Olanda e Savoia. Vi comparvero ancora, ma come forzati,
quei dell'imperadore, siccome consapevoli che la corte di Londra
venduta a Versaglies, dopo avere assicurati i proprii vantaggi, più
avrebbe promossi quei della real casa di Borbone che dell'austriaca.
Sulle prime se smisurate apparvero le dimande e pretensioni della
Francia, più alte ancora e vaste si scoprirono quelle degli alleati.
Gli stessi parlamenti d'Inghilterra andavano poco d'accordo colle
segrete voglie della regina, perchè non miravano assicurata la
pubblica tranquillità con tutte le belle esibizioni fatte in loro
pro dal re Cristianissimo. Allora il conte d'Oxford mise in campo due
ripieghi; l'uno che dal re _Luigi XIV_ fosse fatto uscire di Francia
il pretendente, cioè il re _Giacomo III_ Stuardo; e l'altro, che si
provvedesse in maniera tale, che non mai in avvenire si potessero
unir insieme le due monarchie di Francia e Spagna. A questo oggetto fu
proposto che il re _Filippo V_ rinunziasse ogni sua ragione sopra la
Francia in favore de' principi chiamati dopo di lui, e che, mancando
la di lui linea, succedesse ne' regni di Spagna la casa di Savoia,
siccome chiamata ne' testamenti de' precedenti monarchi. Difficile
troppo si trovò quest'ultimo punto, perchè chiaramente dichiarò il
gabinetto di Francia che simili rinunzie non potevano mai togliere
il diritto naturale di successione ai principi e figli chiamati, e
che sarebbono nulle ed invalide: del che si hanno ben da ricordare i
lettori, per quello che poi avvenne, e potrebbe molto più un giorno
avvenire. Contuttociò, per soddisfare al tempo presente, si vollero
sì fatte rinunzie dal re _Filippo V_ e da' principi di Francia per le
loro pretensioni sopra la Spagna, e con inorpellamenti si studiarono
le unite corti di Francia e d'Inghilterra di quetare i rumori de'
parlamenti, e le loro forti istanze perchè in un solo capo non si
avessero mai ad unire le due corone. In ricompensa di questo grande,
ma apparente, sacrifizio, al re Cristianissimo riuscì d'indurre la
_regina Anna_ ad un armistizio delle sue milizie ne' Paesi Bassi, che
per un pezzo si tenne segreto. Troppo abbisognava di questo presentaneo
rimedio agl'interni mali del suo regno quel per altro potentissimo e
sempre intrepido monarca.

Per confessione degli stessi storici franzesi, non ne potea più la
Francia: sì lunga, sì pesante e dispendiosa era stata fin qui una sì
universal guerra, sostenuta quasi tutta colle proprie forze. Esausto si
trovava l'erario, divenuti impotenti i popoli a pagare gl'insoffribili
aggravii. Tanta gente era perita in assedii, battaglie e malattie delle
passate campagne, che restavano senza coltivatori le terre, e mancava
la maniera di reclutar le armate. All'incontro in Fiandra non s'era
fin qui veduto un sì fiorito e poderoso esercito delle nemiche potenze;
piazze più non restavano che impedissero l'ingresso delle lor armi nel
cuor della Francia: di maniera che quel nobilissimo regno si mirava
alla vigilia d'incredibili calamità. A questa infelice situazione dei
pubblici affari si aggiunsero altre lagrimevoli disavventure della
real prosapia, che avrebbero potuto abbattere qualsisia animo, ma non
già quello di _Luigi XIV_, principe sempre invitto. Nei primi mesi del
presente anno infermatasi di vaiuolo o di rosolia _Maria Adelaide_
principessa di Savoia Delfina di Francia, passò a miglior vita nel
dì 12 di febbraio. Per l'assistenza prestata alla dilettissima sua
consorte anche il _Delfino Luigi_, principe di mirabil espettazione,
contrasse la stessa infermità, e nel dì 18 dello stesso mese si sbrigò
da questa vita. Due principi avea prodotto il loro matrimonio; il
primo di essi, già _duca di Bretagna_, e poco fa dichiarato Delfino
aggravato dal medesimo vaiuolo, si vide soccombere alla malignità del
male nel dì 8 di maggio. L'altro principe, cioè _Luigi duca di Angiò_,
soggiacque anch'egli alla medesima influenza, accompagnata da violenta
febbre; pure Dio il donò ai desiderii e alle orazioni de' suoi popoli,
ed oggidì pieno di gloria siede coronato sul trono de' suoi maggiori.
Trovavasi _Carlo duca di Berry_, terzo nipote del re Luigi, sul fiore
de' suoi anni; fu anch'egli rapito dalla morte nel suddetto maggio,
senza lasciar discendenza, benchè accasato con una delle figlie del
_duca d'Orleans_. Tanta folla di sventure domestiche, le quali fecero
straparlare i maligni, quasichè la mano degli uomini avesse cooperato
a sì grave eccidio, si rovesciò sopra quel gran re, che non avea
conosciuto per tanti anni addietro se non la felicità, e gustato il
piacere di conquistar provincie e di far tremare chiunque si opponeva
ai suoi voleri. Sotto la mano di Dio convien poi che si accorgano di
stare anche i più potenti monarchi della terra. Ma quello stesso Dio
che avea ridotta in sì compassionevole stato la Francia, non ne volle
permettere il già vicino suo precipizio. Per essersi vinto il cuore
della regina inglese, da ciò venne la salute di tanti popoli, e si
disposero le cose a dovere per la pace universale.

Venne il mese di giugno. Essendo stato già richiamato in Inghilterra
il celebre capitano _duca di Marlboroug_ (tanto poterono le batterie
del _conte d'Oxford_), fu sostituito al comando dell'armi inglesi
in Fiandra il _duca d'Ormond_, ma con ordini segreti di nulla operar
contro i Franzesi, anzi d'intendersela con loro. Ben se ne avvedevano
i collegati: ciò non ostante, il _principe Eugenio_ nel mese suddetto
animosamente mise l'assedio a Quesnoi, piazza forte, e nel dì 4 di
luglio obbligò alla resa quella guernigione, consistente fra sani
e malati quasi in tremila persone. Ottenne intanto la regina Anna
di ricevere dai Franzesi in ostaggio Dunquerque, e di mettervi suo
presidio, per demolirne poi le fortificazioni. Avuto questo pegno
in mano, allora ordinò al duca d'Ormond di pubblicar l'armistizio
delle truppe inglesi colla Francia: il che fu eseguito con rabbia
inestimabile e querele senza fine de' collegati; e tanto più perchè
l'Ormond andò a mettersi in possesso di Gante e di Bruges. Restava
tuttavia al _principe Eugenio_ un possente esercito, capace di
far qualche bella impresa, e già la meditava egli, nulla atterrito
dall'abbandonamento degl'Inglesi. Mise pertanto l'assedio a Landrecy;
ma il valente _maresciallo di Villars_, le cui forze erano cresciute
collo scemar delle altre, improvvisamente, nel dì 25 di luglio, si
spinse addosso al _conte d'Arbemale_, che staccato dal principe Eugenio
con un picciolo esercito custodiva le linee di Dexain. Alla piena di
tante armi non potè resistere quel generale, andò in rotta tutta la sua
gente; più furono gli estinti nel fiume Schelda, per essersi rotto il
ponte, che i trucidati dal ferro. Dopo questa vittoria parve un fulmine
il Villars; ricuperò Saint Amand, Mortagna, Marchiones ed altri luoghi,
dove trovò ricchissimi magazzini d'artiglieria, munizioni da guerra e
viveri. Ritiratosi dall'assedio di Landrecy il principe Eugenio, col
cui valore solamente in quest'anno la fortuna non andò d'accordo, il
Villars passò all'assedio della vigorosa città di Douai e del forte
della Scarpa. Nel termine di venticinque giorni s'impadronì dell'una e
dell'altro; e contuttochè, per le pioggie dirotte che sopravvennero,
finite si credessero le sue imprese; pure al dispetto della stagione
egli continuò le conquiste col ridurre all'ubbidienza del re
Cristianissimo Quesnoi e Bouchain. Dopo di che carico di palme se ne
tornò a Parigi. Per tali fatti quanto si rialzò il credito dell'armi
franzesi, altrettanto si infievolì quello de' collegati.

Stesesi anche nella Spagna l'armistizio degl'Inglesi, e però il
_maresciallo di Staremberg_ rimasto snervato di forze, non potè tentare
impresa alcuna di considerazione; e tantomeno dappoichè un grosso
corpo di gente, finita la campagna in Piemonte, s'inviò a quella volta
pel Rossiglione, dal _maresciallo di Bervich_, che non fu pigro a
soccorrere Girona, assediata già dai cesarei, introducendovi soccorsi
di gente e di munizioni. Si trovò lo Staremberg con sì poche forze,
perchè abbandonato dagl'Inglesi e Portoghesi, che non potè impedire
gli avanzamenti de' Franzesi sino ai contorni di Barcellona: il che
l'obbligò sempre a ritirarsi ne' luoghi forti, per aspettare miglior
costellazione alle cose sue. Intanto gravissimi erano i dibattimenti
nelle conferenze d'Utrecht per le tante pretensioni dei principi
interessati in questa gran guerra. Tutti chiedevano o restituzioni o
aumento di Stati. Per brighe succedute fra i lacchè dei plenipotenzarii
di Francia e di Olanda insorsero gravi puntigli che accrebbero le
dissensioni e gli sdegni, ed interruppero i congressi. Pure col vento
in poppa continuava la navigazion dei Franzesi, perchè tutto per loro
era il _conte d'Oxford_ con gli altri ministri da lui dipendenti. Ma
ricalcitravano gli Olandesi, e più senza paragone la corte di Vienna a
quanto veniva proposto per giugnere alla pace. Tuttavia i primi, allo
scorgere l'Inghilterra assai disposta a stabilire una pace particolare
colla Francia, cominciarono a parlar più dolce, con ridursi in fine,
siccome vedremo, ad entrar nelle misure prese dalla corte di Londra.



    Anno di CRISTO MDCCXIII. Indizione VI.

    CLEMENTE XI papa 14.
    CARLO VI imperadore 3.


Anno felice fu il presente per la pace che cominciò a spiegare le ali
per molte parti dell'Europa; e se tutta non la pacificò di presente,
dispose almen le cose a veder, dopo qualche tempo, restituita
dappertutto la pubblica tranquillità. Dopo il dibattimento di tante
contrarie pretensioni ed opposizioni, finalmente venne fatto alla corte
di Francia di stabilir la pace coll'Inghilterra, Olanda, re di Prussia
e duca di Savoia. Nel dì 14 di marzo aveano già i plenipotenziarii
inglesi indotte le potenze collegate a convenire nell'armistizio
d'Italia, e nell'evacuazione della Catalogna dell'armi alleate. Fu
anche, nel dì 26 d'esso mese, accordato dal re _Filippo V_ agl'Inglesi
il desiderato privilegio dell'Assiento, e fatta solenne rinunzia dei
diritti spettanti ad esso monarca sulla Francia, colla ratificazione
di tutti gli Stati de' suoi regni. Dopo questi preliminari nel dì 11
di aprile in Utrecht furono sottoscritti i capitoli della pace fra le
corone di Francia e d'Inghilterra; fu riconosciuta la _regina Anna_ per
dominante della Gran Bretagna; convalidata la succession della linea
protestante in quel regno; accordata la demolizion delle fortificazioni
di Dunquerque, ceduta agl'Inglesi l'isola di Terra Nuova nella novella
Francia, con altri luoghi dell'Acadia nell'America Settentrionale.
Altre capitolazioni furono fatte col re di Portogallo, col re di
Prussia, e colle Provincie Unite dell'Olanda; ed altre in fine con
_Vittorio Amedeo_ duca di Savoia. Contenevasi in questa, che la Francia
restituiva ad esso sovrano tutta la Savoia, le valli di Pragelas,
e i forti di Exiles e delle Fenestrelle con altre valli, e castello
Delfino, e il contado di Nizza, con altri regolamenti per li confini
alle sommità delle Alpi. E perciocchè alla corte d'Inghilterra premeva
forte che qualche maggiore ricompensa si desse a questo principe, che
avea messo a repentaglio tutti i suoi Stati per sostenere la causa
comune; tanto si adoperò, che il re Cattolico _Filippo_ s'indusse a
cedergli il regno di Sicilia, e di tal cessione si fece garante anche
il re Cristianissimo. Fu anche stipulato, che venendo a mancare la
linea del re Filippo, la real casa di Savoia succederebbe nei regni
di Spagna; e furono approvati gli acquisti fatti da esso duca nel
Monferrato e Stato di Milano. Nel dì poscia 10 di giugno solennemente
approvò esso re Cattolico in Madrid la cessione del suddetto regno
di Sicilia in favore delle linea della casa di Savoia, conservando
solamente il diritto della riversione di quel regno alla corona di
Spagna, in caso che mancassero tutte le linee suddette. Finalmente,
nel dì 13 di agosto, in Utrecht fu sottoscritta la pace fra sua maestà
Cattolica e il prefato duca di Savoia, con ratificar la cessione della
Sicilia, e la successione della casa di Savoia nei regni di Spagna,
caso mai che mancasse la discendenza del re Filippo V.

In vigore dunque di tali atti il duca _Vittorio Amedeo_ nel dì 22 di
settembre venne solennemente riconosciuto in Torino per re di Sicilia
con varie feste ed allegrie di quella corte e città; e il principe
di Piemonte _Carlo Emmanuele_ prese il titolo di duca di Savoia. Fu
allora messo in disputa dai politici, se di gran vantaggio riuscirebbe
alla real casa di Savoia un sì nobile acquisto. E non v'ha dubbio che
di sommo onore a quel sovrano fu l'avere aggiunto ai suoi titoli il
glorioso di re, non immaginario, come quello di Cipri, ma sostanziale
col dominio d'una isola felicissima per varii conti, e la maggiore del
Mediterraneo, per cui si apriva il campo ad un rilevante commercio
marittimo. Contuttociò ad altri parve che se ne veniva un grande
onore, non corrispondesse la potenza e l'autorità, per essere troppo
staccato quel regno dagli Stati del Piemonte, per l'obbligo di tenervi
continuamente gran guernigione sul timore dei vicini Tedeschi padroni
del regno di Napoli; giacchè non era un mistero che l'Augusto _Carlo
VI_ s'ebbe sommamente a male che fosse a lui tolta la Sicilia per
darla ad altri. Io qui tralascio altre loro riflessioni, per dire che
i principi ben provveduti di saviezza cesserebbero di essere tali, se,
per apprensione delle possibili eventualità, rimanessero di accettar
quei dominii che presenta loro la fortuna. Possono anche dopo un
acquisto succedere più favorevoli emergenti; e quando anche avvenissero
in contrario, ciò che fu fatto sulle prime con prudente riflesso, non
può mai divenire taccia d'imprudenza. Ora il nuovo re di Sicilia pensò
tosto a portarsi in persona a prendere il possesso di quel regno.
Fatti suntuosi preparamenti, passò egli, sul fine di settembre, colla
regina moglie, con tutta la sua corte e con molte truppe a Nizza, e
quivi sulla squadra dell'ammiraglio inglese _Jennings_ imbarcatosi,
nel dì 3 di ottobre indirizzò le vele alla volta di Palermo. Giunto
a quel porto, nel dì 10 ricevette dal _marchese de los Balbases_ la
consegna delle fortezze, e nel dì seguente fra i giulivi suoni delle
campane e gli strepiti delle artiglierie, e fra gli archi trionfali si
portò alla cattedrale, dove fu cantato solenne _Te Deum_. Grandi spese
fece per tal viaggio il re _Vittorio Amedeo_, e tuttochè ricevesse un
riguardevol dono gratuito dai Siciliani, pure l'utile non uguagliò il
danno; e la sua camera e il Piemonte si risentirono per qualche tempo
della felicità del loro sovrano. Seguì poi in Palermo nel dì 21 di
dicembre la solenne inaugurazione del re e della regina. Tre giorni
dopo si fece la lor coronazione dall'arcivescovo di Palermo, assistito
da alcuni vescovi.

Alle paci fin qui accennate desiderava ognuno che si accomodasse anche
l'imperador _Carlo VI_; ma s'era troppo inasprita la corte di Vienna al
vedere come abbandonata sè stessa a' collegati, e camminar con vento
sì prospero i negoziati della Francia e Spagna; tolta ad esso Augusto
la Sicilia; e trovarsi egli forzato ad abbandonare la Catalogna,
senza poter ottenere remissione alcuna per quegl'infelici popoli, che
rimasero poi sacrificati all'ira del re Cattolico _Filippo V_. Perciò
l'Augusto Carlo, senza considerare ad accordo alcuno colle due nemiche
corone, restò solo in ballo, e si diede a studiar i mezzi per non
lasciarsi soperchiare dalla potenza e fortuna dei Franzesi, sperando
pure di ricavar qualche vantaggio per li Catalani suddetti. Giacchè
s'era convenuto ch'egli ritirasse l'armi sue dalla Catalogna, la prima
sua cura fu di mettere in salvo l'imperadrice sua consorte, lasciata
in Barcellona per ostaggio della sua fede ai Catalani. L'ammiraglio
inglese _Jennings_ colla sua squadra di navi andò per condurla in
Italia. Giornata di troppo gravi cordogli e di aspri lamenti fu quella
in cui l'augusta principessa prese congedo da quel povero popolo. Di
grandi speranze, di belle promesse spese ella in tale occasione per
calmare l'affanno e lo sdegno dei cittadini facendo specialmente valere
il restar ivi il _maresciallo di Staremberg_ colle sue truppe, ch'erano
ben poche, e doveano anche fra poco imbarcarsi per venire in Italia.
Nel dì 20 di marzo sciolse le vele da Barcellona la flotta inglese,
e nel dì 2 d'aprile sbarcò l'imperadrice a Genova, dove con superbi
regali e sommo onore fu accolta da quella repubblica. Entrò poscia in
Milano nel dì 10 d'esso mese, e quivi, dopo aver preso riposo fino al
dì 8 del seguente maggio, ripigliò il viaggio alla volta di Mantova,
dove si fermò per tre giorni, e comparve a complimentarla _Rinaldo
d'Este_ duca di Modena. Inviossi dipoi verso Lamagna, ricevuta dai
Veneziani, e dappertutto dove passò, con insigne magnificenza. Nel dì
22 di giugno il _maresciallo di Staremberg_ stabilì una capitolazione
coi commissarii del re Cattolico, per evacuar la Catalogna; e poi
ritirate le sue truppe da Barcellona cominciò ad imbarcarle sopra le
navi inglesi. Gran copia di barche napoletane furono a quest'effetto
spedite colà, e si videro poi giugnere esse milizie a Vado nella
Riviera di Genova nel dì 8 e 16 del mese di luglio, da dove passarono
a ristorarsi nello Stato di Milano. In essi legni venne ancora
gran numero di Spagnuoli, anche delle più illustri case, che tutto
abbandonarono, per non rimanere esposti a mali peggiori, cioè alla
vendetta del fortunato re _Filippo V_. Non si può esprimere in che
trasporti di rabbia e di querele prorompessero i Catalani, al trovarsi
in tal maniera lasciati alla discrezione dello sdegnato monarca.
Andò sì innanzi la lor collera, che presero la disperata risoluzion
di difendersi a tutti i patti, benchè abbandonati da ognuno, contro
la potenza del re Cattolico, e fecero per questo dei mirabili
preparamenti. Molto più ne fece la corte di Madrid, la cui armata
passò in quest'anno a bloccare la stessa città di Barcellona. A me non
occorre dirne di più.

Fra le altre memorabili virtù dell'imperator _Carlo VI_ sempre si
distinse quella della gratitudine. Avea egli pertanto portato seco
dalla Spagna un generoso affetto verso chiunque s'era in quelle parti
dichiarato del suo partito, e dimostrollo poi, finchè visse, verso
chiunque si rifugiò sotto le sue ali in Italia o in Germania, con
sostenere migliaia di Spagnuoli esuli, non ostante il gravissimo
dispendio dell'imperiale e regia camera sua. Pieno di compassione
verso gli abbandonati Catalani, bramava pure di sovvenir loro nella
presente congiuntura, ed abbisognava eziandio di pecunia per sostenere
sè stesso contro le superiori forze del re Cristianissimo, a cui
altro nimico non era restato che il solo imperadore. O progettassero
i suoi ministri, o ne movesse la repubblica di Genova le dimande,
venne egli alla risoluzione di vendere ad essi Genovesi il marchesato
del Finale, già feudo dei marchesi del Carretto, e poi passato in
potere dei re di Spagna. Fu stabilito questo contratto nel dì 20 di
agosto del presente anno, con pagare in varie rate essa repubblica
a sua maestà cesarea un milione e ducento mila pezze, ciascuna di
valore di cinque lire, o sia di cento soldi moneta di Genova; e con
dichiarazione che continuasse quella terra colle sue dipendenze ad
essere feudo imperiale. Non si tardò a darne il possesso ai medesimi
Genovesi con fama che fossero accolti mal volentieri que' nuovi padroni
dai Finalini, e che la real corte di Torino si mostrasse malcontenta
di tal novità. Avrebbe essa ben esibito molto di più per ottenere
uno Stato tale, non grande al certo, ma di rivelante comodo ai suoi
interessi, massimamente dopo l'acquisto della Sicilia. Fu preteso
che l'imperadore si fosse riservato il diritto di ricuperare quel
marchesato, restituendo la somma del danaro ricevuto; ma di questo non
v'ha parola nell'investitura conceduta ad essa repubblica. Gioioso in
questi tempi il re Cristianissimo _Luigi XIV_ per essersi sbrigato da
tanti suoi potenti nemici, rivolse tutti i suoi pensieri ad obbligar
colla forza l'imperadore _Carlo VI_ ad abbracciar la pace, giacchè
egli solo vi avea ripugnato fin qui. Unite dunque le sue forze, spinse
il valoroso _maresciallo di Villars_ addosso alla rinomata fortezza
di Landau nell'Alsazia. Dopo una vigorosa difesa fu costretta quella
piazza, nel dì 22 d'agosto, a rendersi, con restar prigioniera di
guerra la guernigione. Verso la metà di settembre passò il medesimo
maresciallo il Reno, ed imprese l'assedio di Friburgo. Il comandante
di quella piazza nel dì primo di novembre si ritirò ne' castelli,
lasciandola aperta ai Franzesi, che intimarono tosto ai cittadini la
contribuzione d'un milione per esentarsi dal sacco. Nel dì 16 d'ottobre
anche le fortezze si renderono ai Franzesi con tutte le condizioni
più onorevoli. Dopo tali acquisti si posarono l'armi e cominciarono
ad andare innanzi e indietro proposizioni di pace, a cui Cesare non
negò l'orecchio, perchè oramai persuaso di non poter solo sostenere sì
grande impegno.

Benchè gli affari correnti cospirassero a restituire la pubblica
tranquillità all'Europa, e non solamente fossero cessate in Italia
le turbolenze della guerra, ma si assodasse maggiormente la quiete
per l'incamminamento di varii cesarei reggimenti verso la Germania;
pure non mancavano affanni a queste contrade. Dall'Ungheria e Polonia
era passata a Vienna la peste, con istrage non lieve delle persone,
e cominciò sì fatto orrendo malore a stendere le ali per l'Austria,
Baviera ed altre parti della Germania. Attentissima sempre la veneta
repubblica alla sanità dell'Italia, e a tener lungi questo morbo
desolatore, interruppe tosto ogni commercio col Settentrione, e
seco s'unì per li suoi Stati il sommo pontefice. Ma non potè fare
altrettanto lo stato di Milano ed altri principi: il che cagionò un
grave disordine nel commercio per l'Italia. Volle Dio che prima di
quel che si sperava cessasse dipoi questo flagello; laonde cessarono
ancora le prese precauzioni. Ebbe in quest'anno materia di lutto la
corte di Toscana per la morte del gran principe _Ferdinando de Medici_,
figlio del gran duca _Cosimo III_, accaduta nel dì 30 del suddetto mese
d'ottobre, senza lasciar frutti del suo matrimonio colla principessa
_Violante Beatrice_ figlia di _Ferdinando_ elettor di Baviera. Di
maravigliose prerogative d'ingegno era ornato questo principe. Non
fosse egli mai andato molti anni addietro a gustare i divertimenti del
carnevale a Venezia. Fu creduto ch'egli ivi si procacciasse un tarlo
alla sua sanità, da cui finalmente fu condotto alla morte. Trovavasi
sovente infestato il pontefice _Clemente XI_ dagl'insulti dell'asma, e
da altri incomodi di sanità; pure, siccome principe di rara attività,
continuamente accudiva ai negozii, e questi non erano pochi. Passavano
calde liti fra quella sacra corte e il già duca di Savoia ora re
di Sicilia, siccome ancora coi Genovesi e col regno di Napoli, e
massimamente coi reggenti dell'appellata monarchia di Sicilia. Il santo
padre, siccome zelantissimo della immunità ecclesiastica e dei diritti
della santa sede, fulminava monitorii, interdetti e scomuniche: con che
effetto, lo dirà a suo tempo la storia della Chiesa.

Ma le occupazioni dell'indefesso pontefice furono interrotte in questi
tempi per un imbroglio succeduto in Francia. Forse non piacendo al
_cardinale di Noaglies_ arcivescovo di Parigi che il _re Luigi XIV_
avesse preso per suo nuovo confessore un certo religioso, avvertì sua
maestà che questi avea spacciato in un suo libro alcune proposizioni
poco sane in difesa dei riti cinesi. Ne parlò il re al confessore,
il quale rispose, maravigliarsi che il porporato accusasse altrui,
quando egli aveva approvato il libro del padre Quesnel, intitolato
_Il Nuovo Testamento_, ec., in cui si trovava gran copia di sentenze
giansenistiche. Rapportò il re questa risposta al cardinale, ed egli
disse che l'opera del Quesnel era stata corretta, confessando nondimeno
che vi restavano tuttavia dieci o dodici proposizioni meritevoli di
correzione, e che egli col celebre vescovo di Meaux Bossuet era dietro
a prestarvi rimedio. Ciò inteso dal confessore, disse al re: _Come,
dieci o dodici proposizioni di cattivo metallo? ve n'ha più di cento_.
E preso l'impegno di mostrarlo, ricavò da quel libro cento ed una
proposizioni. Furono poi queste spedite a Roma dal re; e dappoichè sua
santità n'ebbe fatto fare un rigoroso esame, le condannò tutte nel dì
10 di settembre del presente anno colla famosa bolla _Unigenitus_,
che poi riuscì seminario d'incredibili dissensioni, appellazioni ed
altri sconcerti nel regno di Francia, intorno ai quali io rimetto il
lettore ai tanti libri pubblicati su questo emergente. Continuò ancora
in quest'anno il male pestilenziale delle bestie bovine, ed assalì
varii altri paesi d'Italia. Penetrò nello Stato ecclesiastico e nella
Calabria, ed entrò anche nel basso Modenese. Non arrivò questo flagello
a cessare, se non nell'anno seguente. Dopo essere dimorato gran tempo
in Italia il principe reale ed elettorale di Sassonia, finalmente verso
la metà d'ottobre si partì da Venezia, dove avea ricevuti tutti gli
onori e divertimenti possibili, inviandosi verso i suoi Stati.



    Anno di CRISTO MDCCXIV. Indizione VII.

    CLEMENTE XI papa 15.
    CARLO VI imperadore 4.


Con tutti i progressi delle sue armi nell'anno precedente non rallentò
il re Cristianissimo _Luigi XIV_ le sue premure, per dar totalmente
la pace alla Europa, col condurre in essa anche l'Augusto _Carlo
VI_. Abbisognava eziandio l'imperatore di troncar questo litigio,
perchè troppo pericoloso scorgeva il voler solo mantener la guerra
con chi s'era potuto sostenere contro tante potenze unite, ed avea
ormai ottenuto l'intento di stabilire il nipote in Ispagna. Comunicò
il re Luigi le sue premure agli elettori di Magonza e Palatino; e
questi mossero la corte di Vienna ad ascoltar le proposizioni della
desiderata scambievole concordia. Fu eletto per luogo del trattato
il palazzo di Rastat, spettante al principe di Baden, e nel dì 26 di
novembre del precedente anno colà comparvero il _principe Eugenio_
per sua maestà cesarea, e il _maresciallo di Villars_ per sua maestà
Cristianissima. Per due mesi frequenti furono le conferenze; e non
trovandosi maniera di accordar le pretensioni, già parea che si avesse
a sciogliere in nulla l'abboccamento, con essersi anche ritirato il
principe Eugenio per preparar le armi; quando finalmente si raggruppò
l'affare, e nel dì 6 di marzo si giunse a segnar gli articoli della
pace, o sia i preliminari della concordia; perciocchè non si poterono
smaltire tutte le differenze, e volle l'imperadore che anche l'imperio
concorresse alla stabilità d'un atto di tanta importanza. Discese
la corte di Francia dall'alto di molte sue pretensioni, perchè ben
conosceva vacillanti gli affari in Londra, essendosi mostrati quei
parlamenti mal soddisfatti della _regina Anna_ e de' suoi ministri, nè
gl'Inglesi ed Olandesi avrebbero in fine sofferto che Cesare restasse
vittima della potenza francese. I principali capitoli d'essa pace di
Rastat consisterono nella restituzione di Friburg, del forte di Kel
e di altri luoghi fatta dalla Francia, che ritenne Argentina, Landau
ed altre piazze, indarno pretese da Cesare. Gli elettori di Baviera e
di Colonia furono restituiti nel possesso dei loro Stati. I regni di
Napoli colle piazze della Toscana e Sardegna, la Fiandra e lo Stato
di Milano, a riserva del ceduto al duca di Savoia, restarono in poter
dell'imperadore. Fu poi scelta la piccola città di Bada, o sia di
Baden, posta negli Svizzeri in vicinanza di Zurigo, per quivi terminar
le altre differenze. A poco si ridusse il risultato di quell'assemblea;
ed avendo l'imperadore ricevuta la plenipotenza dalla dieta di
Ratisbona, non lasciò di conchiudere ivi la pace nel dì 5 di settembre
a nome dell'imperio, colla conferma di quanto era stato stabilito in
Rastat.

Videsi in tale occasione ciò che tante volte si è provato e si
proverà, che chi dei principi minori entra in aderenze coi maggiori
nel bollor delle guerre, lusingato di accrescere la propria fortuna,
si ha da consolare in fine, e contare per gran regalo, se ottiene la
conservazione del proprio; perchè va a rischio anche della perdita
di tutto, attendendo i monarchi al proprio vantaggio, e poca cura
mettendosi degli aderenti. Perdè il _duca di Mantova_ tutti i suoi
Stati. Al _duca di Guastalla_ dovea pervenire il ducato di Mantova:
si trovarono più forti le ragioni di chi n'era entrato in possesso.
Giuste pretensioni promosse ancora il _duca di Lorena_ sul Monferrato.
Con un pezzo di carta, che prometteva l'equivalente, fu pagata la di
lui parte. Il _duca della Mirandola_ vide venduto il suo Stato al duca
di Modena, e sè stesso costretto a rifugiarsi in Ispagna a mendicar
il pane da quella real corte. Fu intimato a _Giacomo III Stuardo_ re
cattolico d'Inghilterra di uscire del regno di Francia; e ricoveratosi
egli nella Lorena, nè pur ivi trovò sicuro asilo, con ridursi in fine
a cercare il riposo fra le braccia del sommo pontefice nella sede
primaria del cattolicismo. Si erano mostrati liberali i Gallispani
verso di _Massimiliano duca ed elettore di Baviera_, ora investendolo
dei Paesi Bassi da loro perduti, ora di Lucemburgo e di altri paesi,
ed ora proponendo di farlo re di Sardegna. In ultimo dovette ringraziar
Dio di aver potuto ricuperare gli aviti suoi Stati, ma desolati, e che
per un pezzo ritennero la memoria degli sfortunati tentativi del loro
sovrano.

A queste metamorfosi finalmente restò soggetta anche la Catalogna, da
cui fu forzato l'Augusto _Carlo VI_ di ritirar le sue armi con suo
ribrezzo e rammarico indicibile per la compassione a que' popoli,
che con tanto vigore e fedeltà aveano sostenuto il partito suo. Già
nell'anno addietro avea spedito il re _Filippo V_ l'esercito suo,
comandato dal _duca di Popoli_, a bloccare la città di Barcellona,
dove trovò que' cittadini molto afforzati di milizia, e risoluti di
spendere piuttosto la vita colle armi in mano, che di tornare sotto
l'offeso monarca, da cui temeano ogni più acerbo trattamento. Furono
memorabili le imprese da lor fatte in propria difesa, e passò il verno
senza veruna speranza che una sì feroce e disperata nazione si avesse
da rimettere all'ubbidienza. Fama fu ch'essi Catalani progettassero
fino di darsi più tosto alle potenze africane, che di tornare sotto
il giogo castigliano. D'uopo anche fu che il re Cattolico _Filippo V
_implorasse l'assistenza dell'avolo re Cristianissimo. Il _maresciallo
di Bervich_, inviato da Parigi a Madrid per condolersi della morte di
_Maria Lodovica_ di Savoia regina, accaduta nel febbraio di questo
anno, ebbe ordine di offerirsi al servigio di sua maestà Cattolica,
che volentieri l'accettò per comandante; e più volentieri ricevette
l'esibizione d'un grosso rinforzo, anzi, per dir meglio, di un
esercito di milizia franzese. Cominciò nel maggio il formale assedio
di Barcellona, e proseguì con calore fino al luglio, in cui, arrivati
i Franzesi, maggiormente crebbe il teatro di quella guerra. Alle
terribili offese con incredibil coraggio corrisponsero i difensori.
Gran sangue costò ogni menomo acquisto di quelle fortificazioni, nè mai
quella cittadinanza trattò di rendersi, se non quando vide sboccati
nella stessa città gli aggressori. Convenne dunque esporre bandiera
bianca; e da che fu promessa l'esenzione dal sacco e la sicurezza della
vita, fu consegnata la città ai voleri del re Cattolico. Qual fosse
il trattamento fatto a quei cittadini e popoli, non occorre che io lo
rammenti. L'isola di Maiorica non per questo volle sottomettersi, e
necessaria fu la forza a soggiogarla. Restarono solamente in dominio
degl'Inglesi Gibilterra e l'isola di Minorica, dove è Porto Maone, con
averne il re Cattolico nel solenne trattato di pace fra la maestà sua e
la _regina Anna_ d'Inghilterra, stipulato nel dì 13 di luglio dell'anno
precedente, sottoscritta la cessione ad essi Inglesi.

Nel dì 28 d'aprile di quest'anno passò all'altra vita _don Vincenzo
Gonzaga_ duca di Guastalla in età di ottant'anni, ed ebbe per
successore il principe _Antonio Ferdinando_ suo primogenito. A gravi
turbolenze rimase esposta _Anna Stuarda_ regina della Gran Bretagna
dopo la conclusione della pace, dichiarandosi mal soddisfatti di lei e
del suo ministero i parlamenti per li passati maneggi, e massimamente
perchè si credette, o si seppe, ch'ella desiderava per suo successore
nel trono il re _Giacomo III_ suo fratello. Cadde perciò in odio e
disprezzo di quella nazione, e seguirono in Londra varii tumulti e
mutazioni; ma venne la morte a liberarla dai guai presenti nel dì 12
d'agosto; e però pacificamente fu riconosciuto per re di quel potente
regno _Giorgio Lodovico_ duca di Brunsvich ed elettore, della cui
nobilissima origine e comune stipite colla casa d'Este ho io assai
parlato nelle Antichità Estensi. Essendo rimasto vedovo _Filippo V_
re di Spagna, pensò egli di passare alle seconde nozze, e pose gli
occhi sopra la principessa _Elisabetta Farnese_, nata nel dì 25 di
ottobre del 1690 da _Odoardo principe_ ereditario di Parma. Oltre a
molte rare prerogative d'animo e d'ingegno, e specialmente di pietà,
portava questa principessa in dote delle forti pretensioni sopra il
ducato di Parma e di Piacenza, ed anche sopra la Toscana, siccome
discendente da _Margherita de Medici_ figlia di _Cosimo II_ gran
duca. Stabilitosi dunque il reale accasamento, per opera spezialmente
dell'_abbate Alberoni_, residente allora in Madrid pel duca zio di
lei, seguì nel dì 16 di settembre in Parma il suntuoso sposalizio
d'essa principessa, avendovi assistito il _cardinale Ulisse Gozzadini_
Bolognese, spedito a questo effetto dal papa _Clemente XI_ con titolo
di legato a latere, e con accompagnamento magnifico di più centinaia
di persone. _Francesco Farnese_ duca di Parma suo zio la sposò a nome
di sua maestà Cattolica. Fu poi condotta la novella regina a Sestri
di Levante; e quivi preso l'imbarco, senza poter sostenere gl'incomodi
del mare sdegnato, fece dipoi la maggior parte del viaggio per terra,
e passò in Ispagna a felicitare quella real prosapia. Giunse a Madrid
solamente sul fine dell'anno, e nel viaggio diede gran motivo di
parlare alla gente, per aver ella animosamente licenziata ed inviata
in Francia la duchessa Orsini, che il re le avea mandato incontro
con titolo di sua dama d'onore. Quali conseguenze portasse poi questo
matrimonio, andando innanzi lo vedremo. Dopo avere _Vittorio Amedeo_
re di Sicilia lasciati in quell'isola molti bellissimi regolamenti
pel governo del nuovo regno, ed accresciute le forze tanto di terra
quanto di mare in esse contrade, e dopo avere restituita la quiete a
quelle terre, dianzi infestate da gran copia di licenziosi banditi,
tornossene colla real consorte in Piemonte nell'ottobre di quest'anno,
e con gran solennità nel dì primo di novembre fece la sua entrata in
Torino. Duravano intanto, anzi ogni giorno maggiormente si accendevano
le controversie fra la santa Sede e quel real sovrano, sostenitore
risoluto dell'appellata monarchia di Sicilia. Nel novembre di questo
anno fece il santo padre pubblicar due formidabili bolle contro i
pretesi diritti di quel tribunale. Cagion fu questa lite che non pochi
Siciliani si ritirassero a Roma con aggravio non lieve della camera
apostolica. Gravissime occupazioni ancora ebbe in questi tempi il sommo
pontefice per li torbidi suscitati in Francia dalla bolla _Unigenitus_,
dei quali a me non appartien di parlare.



    Anno di CRISTO MDCCXV. Indiz. VIII.

    CLEMENTE XI papa 16.
    CARLO VI imperadore 5.


Appena aveva incominciato l'Italia a respirare da tanti disastri,
dopo l'universal pace de' monarchi cristiani, sperando giorni ormai
felici, quando la repubblica veneta mirò da lungi cominciato fin l'anno
addietro un fiero temporale che la minacciava in Levante. Questo era
un gran preparamento di gente e di navi che facea la Porta Ottomana,
con ispargere varii pretesti di disgusto contra di essi Veneziani;
giacchè di questa mercatanzia ne truova sempre nei suoi magazzini
chi ha possanza e voglia di far guerra ad altrui. E tanta più ne
trovò il sultano de' Turchi, perchè principe non v'ha che, dopo avere
suo malgrado perduto qualche Stato, non si senta agitato da interne
convulsioni, cioè da un continuo desio di ricuperarlo, se può. Aveano
nelle precedenti guerre i Musulmani perduto il regno della Morea, e
fattane cessione alla veneta repubblica. Perchè i giannizzeri tuttodì
moveano sedizioni, fu creduto da quel divano che alle loro insolenze
si metterebbe fine coll'impegnarli in qualche guerra; e che coloro
prendessero di mira la suddetta Morea, si vociferava dappertutto.
Questa voce nondimeno tal forza non ebbe da addormentare il cauto gran
maestro di Malta. Diedesi egli perciò a ben premunire quella città ed
isola fortissima, col chiamare colà tutti i cavalieri d'Italia e di
altre nazioni, e con fare ogni necessaria provvisione di munizioni
da bocca e da guerra, affinchè il Turco, che altre volte avea finta
un'impresa, e ne avea poi fatta un'altra, sapesse che si vegliava in
quella parte contro i suoi tentativi. Ora in quell'angustia di tempo
non lasciarono i Veneziani di far tutto l'armamento possibile per
accrescere le lor genti d'armi e le lor forze di mare, e per tutta
la Germania si studiarono di ottener leve di gente, non perdonando a
spesa e diligenza veruna. Anche il pontefice _Clemente XI_, commosso
dal grave pericolo della cristianità, ricorse all'aiuto del cielo;
prescrisse preghiere e orazioni per tutta l'Italia; somministrò
sussidii di danaro ai Veneziani e Maltesi, ed approntò le sue galee,
per accorrere dove fosse maggiore il bisogno. E perchè parimente
veniva minacciata la Polonia, in soccorso di quella inviò dieci
mila scudi d'oro. Una anche delle sue prime cure fu di ricorrere a
tutti i monarchi cattolici, esortandoli colle più efficaci lettere
di concorrere alla difesa de' fedeli contra del tiranno d'Oriente.
Intanto si tirò il sipario, e scoprironsi rivolti i disegni del
sultano Acmet contra dei Veneziani, con aver egli ingiustamente
rotta la tregua stabilita a Carlovitz nel 1699, e per mare e per
terra piombò una formidabile armata di Turchi sul Peloponneso, ossia
sopra la Morea. Videsi allora una ben dolorosa scena, cioè che nello
spazio di un mese la potenza ottomana s'impadronì di tutto quanto
la veneta in più anni con tanto dispendio e fatiche avea in quelle
contrade acquistato. Corinto, Napoli di Romania, Napoli di Malvasia,
Corone, Modone e l'altre piazze di quel regno, tutte caddero in
mano degl'infedeli. Fecero alcune buona difesa; ma sì fieri furono
gli assalti turcheschi, che sopra gli ammontati cadaveri de' suoi
giunsero que' Barbari a superar le fortezze. Altre poi fecero poca
o niuna difesa, e i Greci stessi congiurati si gittarono in braccio
de' Turchi. Provò allora la repubblica veneta quello ch'è accaduto a
tanti altri, cioè che le braccia tradiscono talvolta gli ordini saggi
del capo. Si avvide ella, ma tardi, che alcuni dei suoi ministri nella
Morea non aveano impiegato il pubblico danaro, come doveano, nel tener
completi i presidii e provvedute le piazze del bisognevole. Quel bel
paese, quel felice e caldo clima, non si può dire quanto inclini ai
piaceri e alla corruttela de' costumi. Senza freno viveano quivi molti
degl'Italiani, e di loro si mostravano poco contenti alcuni di que'
popoli. Tutto concorse a far perdere sì presto quel delizioso regno;
la principal cagione però fu l'esorbitante forza de' Musulmani, a
cui non s'era potuto provvedere di alcun valevole ostacolo fin qui.
Non finì quest'anno, che, profittando i Turchi dell'amica fortuna,
s'impadronirono di altri luoghi ed isole nell'Arcipelago. Parimente
i corsari africani, prevalendosi dello scompiglio in cui si trovava
l'Italia colle isole adiacenti, ne infestarono più che mai i lidi, e
condussero in ischiavitù assaissimi cristiani.

In questi medesimi turbati tempi una altra guerra apertamente si faceva
in Sicilia a cagion del tribunale della monarchia. Avendo il sommo
pontefice fulminate le censure contro molti di quegli uffiziali e
contro altri del regno siciliano, e messo l'interdetto a varii luoghi,
il re _Vittorio Amedeo_, risoluto di sostenere gli antichi usi od
abusi che s'erano per più secoli mantenuti dai re suoi antecessori,
ordinò che non si rispettassero gli ordini di Roma. Chi negò di
farlo trovò pronto il gastigo delle prigioni o dell'esilio. Più di
quattrocento ecclesiastici, oltre ad altre persone, o volontariamente
o per forza uscirono di quell'isola, rifugiandosi a Roma. Il pontefice
in sussidio loro impiegò più di sessanta mila scudi; e tuttochè anche
amendue i monarchi di Francia e Spagna con forti uffizii sostenessero
le pretensioni del re Vittorio, pure l'intrepido papa nel gennaio
e febbraio del presente anno pubblicò due altre costituzioni, colle
quali abolì il tribunale suddetto della monarchia di Sicilia: passo che
maggiormente accrebbe gli sconvolgimenti di quel regno, e cagionò non
lieve affanno al novello re di quell'isola, che abbisognava di quiete
per ben assodarsi in quel dominio. Intanto per male di vaiuolo in età
di diecisette anni venne a morte in Torino _Vittorio Amedeo_ duca di
Savoia suo primogenito nel dì 22 di marzo del presente anno, della
qual perdita fu per lungo tempo inconsolabile il re suo padre. Perchè
gli strologhi gli aveano predetta la guarigion del figlio, che non si
effettuò, ne cadde la colpa sopra i medici, che perciò perderono la
grazia del sovrano. Ma Dio gli preservò il secondogenito, cioè _Carlo
Emmanuele_, oggidì re di Sardegna, che gareggia nelle virtù coi più
rinomati principi della reale sua casa. Non era meno affaccendata
in questi tempi la sacra corte di Roma per le opposizioni insorte in
Francia contro la costituzione _Unigenitus_, e per le controversie de'
riti cinesi, proibiti a quei nuovi cristiani. Intorno a questi punti
pubblicò l'indefesso pontefice altre costituzioni, dettate dal suo zelo
per la purità della dottrina cattolica.

Si godeva intanto il re Cristianissimo _Luigi XIV_ il contento
di avere assicurata sul capo del nipote _Filippo V_ la corona di
Spagna, e di avere restituita al suo regno la desiderata pace, quando
venne Dio a chiamarlo all'altra vita. Era egli giunto all'età di
settantasette anni; ne avea regnato settantatrè oltre il costume
dei suoi antecessori. Il dì primo di settembre fu l'ultimo del suo
vivere, ed egli con intrepidezza mirabile, con sentimenti di viva
cristiana pietà e pentimento dei suoi falli lasciò ai suoi discendenti
quelle massime più giuste di governo ch'egli talvolta in sua vita
dimenticò. Nel bollore spezialmente dei suoi anni gli aveano presa
la mano l'incontinenza, lo spirito conquistatorio, senza misurarlo
talvolta colla giustizia, e l'ansietà di far tremare ciascuno coi
fulmini della sua potenza. Ciò non ostante, pregi sì rilevanti si
raunarono in questo monarca per la sua gran mente, per aver nel suo
regno procurata la gloria delle lettere, l'accrescimento delle arti e
l'utilità del traffico, per la magnificenza delle fabbriche, per aver
dilatati ampiamente i confini del suo regno, e sopra tutto protetta la
religione de' suoi maggiori, con espurgare dalla gramigna ugonottica
i suoi Stati, senza far caso della perdita di tanti sudditi, di
tante arti e di tanto oro, in tale occasione asportati, che, secondo
l'estimazione comune, giustamente si meritò il titolo di Grande. A
questo rinomatissimo monarca succedette il pronipote _Luigi XV_, oggidì
glorioso re di Francia, ma in età troppo tenera, e però incapace di
governo, e bisognoso di tutori. Ebbe maniera _Filippo duca d'Orleans_,
nipote _ex fratre_ del re defunto, e primo principe del real sangue,
di far annullare dal parlamento di Parigi il regio testamento, e di
assumere egli la tutela del picciolo re. Trovò questo principe esausto
il regio erario, incolte molte campagne, impoveriti i popoli per le
tante guerre passate, ingrassati non pochi colla mala amministrazione
delle regie finanze; e siccome pochi si potevano uguagliare a lui
nell'elevatezza della mente, si applicò tosto a curare e saldare le
piaghe del regno. Ma intorno a ciò a me non conviene di dirne di più.
Fece nell'ottobre di quest'anno _Giacomo III Stuardo_ re cattolico
della Gran Bretagna un tentativo per rimettersi sul trono della
Scozia, con avere il pontefice somministrati quegli aiuti che potè per
quell'impresa. Convien chinare gli occhi davanti agli occulti disegni
di Dio. Cominciò egli con prosperità, ma terminò con infelicità un sì
importante affare. Dopo essersi dichiarata in favor degl'inglesi la
fortuna in una giornata campale se ne tornò lo sventurato principe in
Francia a deplorar le sciagure di chi s'era dichiarato del suo partito.



    Anno di CRISTO MDCCXVI. Indizione IX.

    CLEMENTE XI papa 17.
    CARLO VI imperadore 6.


In gravissimi timori ed affanni si trovò immersa l'Italia nel presente
anno, che la divina provvidenza fece poi risolvere nel progresso in
feste ed allegrezze. Divenuta più che mai orgogliosa la Porta Ottomana
per le conquiste con tanta facilità fatte nell'anno precedente,
meditava già voli più elevati; e si seppe col tempo che avea formati
disegni fin sopra la stessa Roma, essendosi esibito il perfido marchese
di Langallerie, ribello del re di Francia, di dar mano all'iniqua
impresa. Per farsi scala ai danni dell'Italia, determinò il gran
signore _Acmet_ che l'armi sue passassero nell'isola di Corfù, posta
in faccia alle estremità del regno di Napoli, e sito comodo per
effettuar altre maggiori determinazioni. Quaranta mila tra fanti e
cavalli turcheschi fecero sbarco in quella fortunata, ed allora troppo
infelice isola, ed impresero tosto l'assedio della capitale, secondati
da una sterminata flotta per mare. Aveano anche i Veneziani allestita
una poderosa armata navale, ma scarseggiavano di gente, perchè le
leve per loro fatte in varii luoghi d'Italia ed oltramonti tardavano
a comparire. In questo mentre il pontefice _Clemente XI_, che aveva
già commossi colle più calde preghiere i re di Spagna e Portogallo
al soccorso dei Veneti, ebbe sicuri avvisi che il primo invierebbe
sei vascelli e cinque galee alle sue spese contra del comune nemico;
e il Portoghese fece sciogliere le vele a sei grossi vascelli, e
ad altrettanti minori per unirsi alle vele pontificie. Accrebbe il
pontefice la sua squadra navale di due galee e di quattro vascelli,
coi quali congiunsero ancora i cavalieri di Malta le loro forze, e il
gran duca _Cosimo III_ unì con esse quattro galee, due la repubblica
di Genova. Impose il pontefice una contribuzione al clero d'Italia;
e quanto danaro potè somministrar la camera pontificia e i più
facoltosi cardinali, tutto andò in aiuto de' Veneziani e in soccorso
dell'imperador _Carlo VI_. La speranza appunto maggiore del santo
padre, dopo la protezione e l'aiuto di Dio, era risposta nelle forze
del piissimo Augusto. Certo è che la maestà sua con compassione mirava
il terribile spoglio fatto e vicino a farsi dai Turchi delle provincie
venete; mirava anche minacciato il suo regno di Napoli dai loro
ulteriori progressi; ma non sapea perciò risolversi a sfoderar la spada
contra di loro, per sospetto che la corte di Spagna, prevalendosi della
congiuntura, in veder impegnate l'armi imperiali in Ungheria, facesse
qualche solenne beffa ai suoi Stati d'Italia. Per rimuovere questo
ostacolo si affaccendò non poco il sommo pontefice, ed essendogli
finalmente riuscito di ricavare del re Cattolico un'autentica promessa
di non molestare alcun degli Stati posseduti dall'imperadore durante la
guerra col Turco, sua santità si fece garante mallevadore alla corte di
Vienna della sicurezza dei cesarei dominii in Italia.

Con questa fidanza l'Augusto _Carlo VI_, nel dì 25 di maggio stretta
coi Veneziani una lega difensiva ed offensiva non tardò più a dichiarar
la guerra al sultano. Un fiorito esercito di gente veterana teneva
Cesare tuttavia in piedi, e questo a poco a poco andò sfilando in
Ungheria sino ai confini del dominio turchesco. Il comando dell'armata
fu dato al celebre _principe Eugenio di Savoia_, la cui mente, credito
e perizia militare si contava per un altro esercito. Trovarono i
cristiani un'oste più poderosa di Turchi preparata ai confini, sotto
il comando del primo visire, e non solo ben animata alla resistenza,
ma che s'inoltrò sino a Petervaradino, e baldanzosamente intimò quel
presidio la resa. Furono in quei contorni a vista le due nemiche armate
nel dì 5 d'agosto, festa della Beata Vergine ad Nives; e nel tempo
stesso che in Roma si facea una solenne processione per implorare il
braccio di Dio in favore delle armi cristiane, si venne ad una gran
battaglia. Fama fu che l'esercito turchesco contasse centocinquanta
mila combattenti, fra i quali quaranta mila giannizzeri e trenta mila
spahì. Si azzuffarono dunque nel dì suddetto le due armate nemiche, e
si videro i Turchi con ordinanza non più osservata in addietro e con
immenso vigore essere i primi all'assalto. Sì fiero fu l'urto loro, che
piegarono i reggimenti cesarei, e non mancò apparenza che l'esercito
cristiano fosse vicino ad andare in rotta. Ma sostenuto quel primo
feroce empito, il prode principe Eugenio fece con tal ordine avanzar
le altre schiere, che i nemici, dopo aver fatta una lunga e sanguinosa
resistenza, non potendo più reggere alla bravura degli Alemanni,
diedero a gambe. Insigne e compiuta fu quella vittoria. Restarono i
cristiani padroni del campo, di tutte le tende, di centottanta cannoni
di bronzo, di circa altrettante insegne, della cassa militare e della
segreteria del primo visire. Del ricco bottino non vi fu soldato alcuno
che non partecipasse. Ascese a molte migliaia il numero dei musulmani
estinti, poco fu quello dei prigioni. Dal padiglione d'esso visire, che
per le ferite andò a morire il dì seguente a Carlowitz, il vittorioso
principe Eugenio scrisse tosto e spedì la lietissima nuova all'augusto
monarca, il quale poscia mandò a Roma in dono al sommo pontefice
quattro delle più ricche bandiere prese ai nemici. Non istette gran
tempo a gustarsi del frutto di questa vittoria.

S'erano già inoltrati di molto gli approcci de' Turchi sotto la città
di Corfù, ed aveano essi senza risparmio di sangue superate le più
delle fortificazioni esteriori. Entro stava alla difesa il _conte di
Schulemburg_, primo generale dell'armi venete, che mirabili pruove
diede del suo saper militare, a cui corrispondeva con egual valore
la guarnigione cristiana con disputare a palmo a palmo ogni progresso
dei nemici. Contuttociò assai si prevedeva che a lungo andare non si
potea sostenere una piazza assalita con incredibile sprezzo della morte
dagl'infedeli, e priva di speranza di soccorso. Perciocchè s'era ben
volta a quelle parti l'armata navale combinata de' Veneziani e degli
ausiliarii; ma, per la conoscenza delle forze superiori de' nemici, non
sapevano i più dei generali indursi a battaglia, ed ognuno facea conto
delle sue belle navi. La mano di Dio vi rimediò. Appena giunse agli
assediatori di Corfù l'infausto avviso della grande sconfitta de' suoi
in Ungheria, che entrato in essi un terror panico, come se avessero
alle reni il sì lontano vittorioso esercito, subito presero la fuga.
Lasciarono indietro artiglierie, cavalli, bagagli e munizioni; solo
si pensò a salvare le vite. Gran dire fu, perchè la flotta cristiana
in quel grave scompiglio degli atterriti musulmani non volasse ad
assalirli, giacchè sicura ne parea la vittoria. La verità nondimeno si
è, che si allestirono bensì i collegati per inseguire i fuggitivi, ma
in tempo che, sorta una fiera burrasca, convenne pensar più a difendere
sè stessi dall'ira del mare che ad offendere altrui. Per lo felice
scioglimento di questo assedio non si può dire quanta allegrezza si
diffondesse nel cuore di tutti gl'Italiani ben conoscenti che terribili
conseguenze avrebbe portato seco la perdita di un'isola forte, sì
contigua alle contrade d'Italia. Ricuperarono dipoi i Veneti Butintrò e
Santa Maura.

Qui nulladimeno non terminò il comune giubilo dei fedeli. Erano
passati cento sessanta anni che la città di Temiswar sofferiva
il giogo turchesco, città attorniata da paludi, munita di buone
fortificazioni, custodita da un numeroso presidio. A cagion di quelle
appellate Palanche difficilissimo compariva l'accesso alla piazza.
Pure nulla potè ritenere l'invitto _principe Eugenio_ dall'imprenderne
l'assedio, a cui fu dato principio nel primo dì di settembre. Nel dì
23 si presentò un esercito turchesco per dar soccorso alla piazza;
ma ritrovati ben trincierati gli assedianti, se ne tornò indietro,
sminuito molto di numero. Bisognò impiegare il resto del mese per
disporre tutto a superar la Palanca, cioè il sito paludoso, fortificato
da grossissimi pali, per cui convien passare alla città. Se ne
impadronirono i cristiani nel dì primo di ottobre non senza spargimento
di molto sangue, e si diedero poi a bersagliare la città e il castello,
cinto da doppia fossa piena di acqua. Nel dì 13 di esso mese, perduta
ogni speranza di soccorso, non volle quel presidio differire la resa,
ed ottenne libera l'uscita per sè e per tutti gli abitanti col loro
avere: capitolazione che fu religiosamente osservata, con essersi
provveduto a quel popolo un migliaio di carra per asportar le loro
sostanze. Ne uscirono dodici mila armati, e trovaronsi in quella
piazza cento trentasei pezzi di cannone e dieci mortari, con abbondante
raccolta di munizioni da guerra. Per sì gloriosa campagna Roma e tutta
l'Italia si videro tripudianti di gioia, e dappertutto si tessevano
elogii all'invincibile principe di Savoia, al quale il pontefice nel
dì 8 di novembre fece presentare in Giavarino la spada benedetta in
riconoscenza ed onore del suo incomparabil valore. Coll'acquisto di
Temiswar, a cui tenne dietro quello di Panscova, Vipalanca e Meadia,
tutto quel riguardevol bannato venne in potere di Cesare. Fu in questo,
anno che calò in Italia incognito _Carlo Alberto_ principe elettorale
di Baviera, cioè il medesimo che da qui ad alcuni anni noi vederem poi
conseguire la corona imperiale. Dopo avere nel mese di marzo ricevuto
questo principe in Modena dal duca _Rinaldo di Este_ ogni dimostrazione
di onore, passò a Bologna per visitare la gran duchessa _Violante_ sua
zia, che s'era apposta portata colà. Andò egli poscia a Roma dove il
santo padre colle maggiori finezze lo accolse.



    Anno di CRISTO MDCCXVII. Indizione X.

    CLEMENTE XI papa 18.
    CARLO VI imperadore 7.


Se nell'anno precedente s'era mostrata sì avversa la fortuna all'armi
turchesche, sperò ben nell'anno presente il _sultano Acmet_ di riparare
i danni sofferti; al qual fine impiegò tutto il verno e la primavera
per adunare un potentissimo esercito, a cui da gran tempo non s'era
veduto l'uguale. Dal suo canto anche l'_Augusto Carlo VI_ notabilmente
rinforzò le sue armate in Ungheria, inferiori senza paragone nel
numero, ma superiori in disciplina militare e in coraggio ai nemici.
Minore non fu la vigilanza della _repubblica veneta_, per aumentar le
sue forze di mare. Loro somministrò _papa Clemente XI_ la squadra delle
sue galee con quelle di _Malta_ e del _gran duca_, ed ottenne di nuovo
da _Giovanni re_ di Portogallo undici grossi e ben corredati vascelli.
Anche il re Cattolico _Filippo V_ fece credere d'inviare in soccorso
dei Veneziani sedici suoi vascelli, che poi si scoprirono destinati ad
altra impresa. Tardi giunsero ad unirsi gli ausiliarii colla flotta
veneta, la quale perciò sola fu obbligata a sostener tutto il peso
della guerra, e ciò nonostante s'impadronì della Prevesa, di Vanizza
e d'altri luoghi, già occupati dai Turchi. Nel maggio e poscia nel
luglio vennero essi Veneti alle mani coi nemici, e si combattè con gran
sangue e valore da ambe le parti, senza che la vittoria si dichiarasse
per alcuna di esse. Tanto almeno si guadagnò, che l'orgoglio turchesco
calò, e restò precluso ogni adito agl'infedeli, per far nuove conquiste
contra dei Veneti. Non così avvenne alle felicissime armi cesaree in
Ungheria, guidate dall'impareggiabil generale di questi tempi, cioè dal
_principe Eugenio_ di Savoia. Meditava già il magnanimo eroe l'assedio
di Belgrado, capitale della Servia; però nel dì 15 giugno sollecitata
l'unione e marcia del prode cristiano esercito, per prevenire quello
dei Turchi, felicemente passò il Danubio, e nel dì 19 arrivò ad
accamparsi intorno a quella città, fortissima per la situazione e per
le fortificazioni sue, e che sembrava inespugnabile per l'aggiunta di
un presidio che più ragionevolmente si potea chiamare un esercito.
Si formarono ponti sul Danubio e sul Savo; si fecero le linee di
circonvallazione, e si cominciò a disputar coi nemici tanto nel gran
fiume, dove essi abbondavano di galere e saiche, quanto per terra,
facendo quei di dentro impetuose sortite. Solamente nel dì 23 luglio
cominciarono le artiglierie e i mortari le terribili offese contro
la città; e perciocchè le sue contrade sono strette, e le case mal
fabbricate, il fuoco delle bombe cagionava frequenti gl'incendii.

Ma eccoti giungere lo sterminato esercito de' Musulmani, creduto
ascendere a ducento mila combattenti, sul principio di agosto, e
piantare il suo campo per gran tratto di paese, arrivando dal Danubio
quasi fino al Savo, con occupare, in faccia dell'armata cristiana,
tutto il piano e le colline. Era un bel vedere in lontananza disposte
le innumerabili loro tende rosse e verdi con quantità immensa di gente,
cavalli e carriaggi. In vece che di recar terrore ai cristiani, quello
spettacolo accresceva loro la gioia per la speranza di divenir padroni
di tutto. S'era ben trincierato l'esercito cesareo, e, a riserva delle
scaramuccie giornaliere, niun movimento faceva quello de' Turchi.
Indarno si sperò che per mancanza di foraggi si ritirasse quella
gran moltitudine di cavalli; e intanto le dissenterie cominciarono a
far guerra alle milizie cristiane, talmente che ogni dì le centinaia
si portavano al sepolcro. Di ottanta mila guerrieri alemanni, che
dianzi era l'armata, si vide essa ridotta a sessanta. Fu in questo
tempo che non solo i saccenti in lontananza, ma non poca parte degli
uffiziali dell'oste cesarea, non sapendo intendere i segreti pensieri
del principe Eugenio, o ne condannarono in lor cuore la condotta, o ne
predissero sinistre conseguenze. Miravano essi l'imperiale esercito
in quella inazione, posto fra due fuochi, cioè fra un'armata nemica
in campagna tanto superiore di forze dall'un lato, e dall'altro
una piazza che teneva impegnato un gran corpo di truppe cristiane
nell'assedio. Maniera di vincere Belgrado non appariva; intanto ogni di
più veniva scemando l'esercito cesareo; grande il numero de' malati;
troppo pericoloso il tentare una battaglia contro di oste sì poderosa
e ben trincierata, e con avere alle spalle l'esorbitante guernigion
di Belgrado, che potea mettere in forse ogni tentativo dall'altra
parte. Non erano occulti al generoso principe questi divisamenti, e le
doglianze sotto voce di chi invidiava la sua gloria, o odiava la sua
autorità. Lasciava egli dire, e come gran capitano sapeva le ragioni
di così operare. Spacciavano i Turchi per debolezza il sì lungo ozio
dell'armata cesarea, e si seppe che già meditavano essi di venirla
ad assalire nel suo accampamento, quando all'improvviso si trovò ella
assalita e sorpresa fra i suoi forti trincieramenti.

Il dì 16 di agosto fu destinato dal principe Eugenio, e secondato
da' favori del cielo, per fiaccare le corna all'orgoglio ottomano.
Nel cristiano esercito militavano il principe elettoral di Baviera
_Carlo Alberto_, già ritornato dall'Italia, il principe _Ferdinando_
suo fratello, il principe _Emmanuello di Portogallo_, il _conte di
Charolois_, il _principe di Dombes_ Franzesi, ed altri principi di
Sassonia, di Anhalt, di Holstein e di Wirtemberg. La mattina per
tempo furono in ordinanza tutte le schiere, e si mossero alla volta
del campo infedele. L'essere insorta una folta nebbia, per cui non
veduti pervennero i cristiani fin presso alle nemiche trincee, fu
non ingiustamente attribuito alla protezion del cielo. Attaccossi il
terribil conflitto; per cagion dell'oscurità nè gli uni nè gli altri
intendevano bene ciò che fosse vantaggioso o dannoso; quando tornò il
sereno, e s'avvidero i cesarei che i Turchi usciti da' trincieramenti
aveano tagliata la comunicazione fra le due ale della loro armata;
allora con grande empito si scagliarono i valorosi cristiani contro
di loro; rovesciarono fanti e cavalli; s'impadronirono delle loro
batterie. Ve ne restava una di diciotto pezzi sostenuta da venti mila
giannizzeri e da dieci mila spahì. Tutto cedette alla bravura de'
cesarei; i Turchi non pensarono da lì innanzi che a menar le gambe.
Usciti del campo si tornarono a raggruppare; ma, vedendo disperato il
caso, ripigliarono la fuga. Aveva ordinato il saggio cesareo generale
sotto rigorose pene che niuno attendesse a bottinare, promettendo la
conservazion di tutto ai soldati, da che fosse terminata con sicurezza
l'impresa. Mantenne la parola; e per schivare il disordine, ordinò
che si facesse partitamente il sacco. Vi si trovò il ben di Dio. Spese
incredibili avea fatto il sultano per provveder quella grande armata.
A Cesare restarono cento e trenta cannoni, trenta mortari, tre mila
bombe, con altra gran copia di attrezzi, di munizioni, di stendardi.
Non si seppe, o non curò alcuno di sapere, quanta fosse la perdita de'
nemici. Probabilmente fu molta. Chi scrisse uccisi più di venticinque
mila Turchi e fatta gran copia di prigioni, prestò troppa fede alla
fama, solita ad ingrandire le cose. Solamente sappiamo essere restati
sul campo circa due mila cesarei, e che ascese a più di tre mila il
numero de' feriti. Con questa insigne vittoria spirò entro la città di
Belgrado ogni speranza di soccorso; e però nel dì seguente 17 di agosto
la guernigion turchesca e gli abitanti dimandarono capitolazione. Niuna
difficoltà si trovò ad accordar loro quanto richiesero di onore e di
comodo; e conseguentemente nel dì 22 ne uscirono venticinque e più mila
armati, o capaci di portar le armi, colle lor famiglie e sostanze.
Trovaronsi nella città e castello cento settantacinque cannoni di
bronzo, venticinque di ferro, cinquanta mortari; sopra le fregate
e saiche cento e due cannoni di bronzo, e ottantaquattro di ferro,
oltre ad altri restati nell'isola, senza parlare di altre munizioni da
guerra. Non tardarono i Turchi ad abbandonare Semendria, Ram, Sabatz
ed Orsova, lasciando ancora in que' luoghi non poca artiglieria. Non
mancarono censori, perchè non mancavano invidiosi ed emuli, al glorioso
principe Eugenio, a cagion della battaglia suddetta, quasichè egli
avesse esposto ad evidente pericolo di perdersi tutto il nerbo delle
forze cesaree. Avrebbero detto lo stesso di Alessandro Magno, che con
meno di gente fece tante prodezze. Nè pure il principe di Savoia avea
bisogno d'imparar da costoro il mestier della guerra.

Tanta felicità dell'armi cesaree in Ungheria incredibil consolazione
recò a chiunque ha interesse nella depressione del comune nemico. Ma
questa venne stranamente turbata da un emergente, per cui gran romore
fu per tutta l'Europa. All'abbate _Giulio Alberoni_ piacentino era
tenuta la regina Cattolica _Elisabetta Farnese_ per la sua assunzione a
quel talamo e trono: sì destramente e fortunatamente seppe maneggiarsi
alla corte di Madrid. Compensava questo personaggio la bassezza
de' suoi natali coll'elevazion della mente, piena di grandi idee,
intraprendente, costante nell'esecuzion de' suoi disegni. L'energia del
suo spirito, e più la parzialità della regina lo aveano perciò portato
alla confidenza e al principal maneggio del real gabinetto. A colmarlo
d'onore gli mancava la sola porpora cardinalizia, e per ottenerla
indusse il re Cattolico a rimettere in pristino tutti i diritti della
pontificia dateria, e il commercio fra la santa Sede e la Spagna,
interrotto da molti anni. Fece inoltre sperare al pontefice _Clemente
XI_ un magnifico stuolo di navi spagnuole in soccorso de' Veneti
contra del Turco. In ricompensa di queste belle azioni il santo padre
promosse alla sacra porpora l'Alberoni, benchè nel sacro concistoro
declamasse forte contra di lui il cardinale _Francesco del Giudice_,
troppo disgustato, perchè cacciato per opera di lui dalle Spagne. Sul
principio di quest'anno vennero avvisi che il re Cattolico _Filippo
V_ facea grande armamento, con accrescere le sue forze di terra e di
mare. A qual fine non si sapea. Si fece credere a Roma essere le mire
di quel monarca contra de' Mori, per ricuperare Orano, e far altri
progressi in Africa: con che quella corte ottenne le decime del clero
per tutti i suoi regni. Insospettito nulladimeno il papa di questa
novità, ne fece doglianze; ma assicurato da _Francesco Farnese_ duca
di Parma, e da' cardinali _Acquaviva_ ed _Alberoni_, che niuna novità
si farebbe contra di Cesare, si quetò. Ma che? quando pure s'aspettava
di giorno in giorno dal pontefice, che comparisse la flotta spagnuola
nei mari d'Italia per passare in Levante, essa nell'agosto voltò le
prore alla Sardegna, e si appigliò all'assedio di Cagliari, capitale
di quella isola. Trovaronsi quivi deboli i presidii cesarei, perchè,
affidati i ministri alla parola del papa, niun timore concepivano per
quella parte; però, fattasi poca difesa da quella città, tutto il resto
dell'isola si vide inalberar le insegne del re Filippo.

Qui fu che si scatenarono le lingue di tutti gli zelanti del bene
della cristianità, gridando essere questo un enorme attentato della
corte cattolica contro le promesse fatte al romano pontefice, che
s'era renduto mallevadore di ogni sicurezza per gli Stati austriaci.
E perciocchè esso re Cattolico prese motivo di rompere la guerra
dall'essere stato nei precedenti mesi in Milano fatto prigione
monsignor _Giuseppe Molines_, dichiarato supremo inquisitor di Spagna,
che alla buona, e senza aver cercato alcun passaporto da Roma, era
passato colà, creduto da' ministri cesarei per cervello imbrogliatore;
gridavano i politici essere questo un mendicato pretesto, perchè
tanto prima avea con sì grande armamento la corte di Madrid fatto
conoscere il suo disegno di prevalersi contro l'augusto monarca della
opportunità, mentre l'armi di lui si trovarono impegnate contra del
Turco, nè potere il privato interesse del Molines giustificare la
pubblica rottura, e che si avea a fare ricorso al papa, per rimediare
a quella privata controversia. I più finalmente prorompevano in
indignazioni contra di un re Cattolico, quasichè egli, dimentico della
sua innata pietà, sembrasse essere divenuto collegato col Turco e
fosse dietro a frastornare la prosperità dell'armi cristiane contra del
comune nemico. Andavano poi a finir tutte le esclamazioni addosso al
_cardinale Alberoni_, primo ministro, siccome creduto autore di questo
tradimento fatto alla cristianità e al sommo pontefice. Ma intanto la
Sardegna andò, e la corte di Spagna più che mai s'invogliò di maggiori
progressi. Nel marzo dell'anno presente arrivò a Modena, sotto nome di
cavalier di San Giorgio, il cattolico re inglese _Giacomo III_ Stuardo,
essendogli convenuto ritirarsi fuori del regno di Francia. Dopo avere
ricevuto le maggiori dimostrazioni di stima e di affetto dal _duca
Rinaldo d'Este_ suo zio materno, passò a ricoverarsi negli Stati della
santa Sede, e per albergo suo gli fu assegnata dal sommo pontefice la
città d'Urbino.



    Anno di CRISTO MDCCXVIII. Indizione XI.

    CLEMENTE XI papa 19.
    CARLO VI imperadore 8.


Per le inaspettate novità fatte dal re Cattolico coll'acquisto del
regno di Sardegna, s'era vivamente alterata la corte di Vienna contra
del sommo pontefice, dalla cui parola confortato avea l'Augusto _Carlo
VI_ impugnate l'armi a difesa della cristianità. Anzi traspirava nei
ministri cesarei qualche sospetto, che lo stesso pontefice camminasse
d'accordo con gli Spagnuoli, sì per le decime loro concedute, come
anche per essere nell'anno 1716 venuto improvvisamente da Madrid a Roma
_monsignore Aldrovandi_ Bolognese, nunzio apostolico, quasichè fosse
stato spedito per concertare quanto dipoi era avvenuto in pregiudizio
dell'imperadore. Aggiugnevano, non essere probabile che esso nunzio
ignorasse i disegni di quella corte: e perchè non avvisarne il
gabinetto pontifizio? All'onoratezza del santo padre fu ben sensibile
ed insieme ingiurioso un sì fatto sospetto. Ora non tardarono a
comparire i segni dello sdegno di Cesare contro la sacra corte di Roma.
Al _nunzio apostolico_ di Vienna fu vietato l'accesso alla corte, e il
trattar di negozii con quei ministri. A _monsignor Vicentini_, altro
nunzio in Napoli, dal vicerè fu intimato l'uscire di quella metropoli
e del regno nel termine di ventiquattro ore; si precluse affatto ogni
esercizio di quella nunziatura; e quel che maggiormente allarmò e
riempiè di lamenti Roma, fu, che vennero sequestrate le rendite di
tutti i benefizii che varii cardinali e molti prelati non nazionali,
ed abitanti in Roma, godevano nel regno di Napoli. Nè in questa sola
tempesta si trovava il buon pontefice _Clemente XI_. Anche in Francia
nei tempi presenti una brutta piega aveano preso gli affari della
costituzione _Unigenitus_. Fioccavano da ogni parte le appellazioni ai
futuro concilio, e tutto era permesso a chi non voleva sottomettersi
ai decreti della santa Sede. Oltre a ciò, perchè nel precedente anno
_milord Peterborough_ coll'andare girando per gli Stati della Chiesa,
avea fatto sorgere sospetti di macchinar qualche violenza contra del
cattolico re britannico _Giacomo III Stuardo_, soggiornante in Urbino,
e fu perciò dal _cardinale Origo_ legato di Bologna mandato prigione in
forte Urbano, benchè fosse fra poco liberato, pure la nazione inglese
suscitò per tale affronto di gravi querele contra del santo padre.
Minacciavano essi, se non si dava loro un'adeguata soddisfazione, e
di bombardare Cività Vecchia, e d'inferire altri danni al litorale
ecclesiastico e alla stessa Roma. Anche dalla parte della Spagna
si mosse un'altra burrasca. Avea l'adirato Augusto fatta istanza al
pontefice che si richiamasse di Spagna il _cardinale Alberoni_ a render
conto dei pretesi perniciosi consigli dati al re Cattolico _Filippo V_,
e dell'inganno fatto alla santa Sede nell'anno addietro. Tali forze
non aveva il pontefice per tirar di colà l'Alberoni; e se le avea,
non gli parve spediente di adoperarle nelle presenti congiunture.
Fece nondimeno comparire il suo sdegno contra di lui. Conosceva esso
porporato di avere il vento in poppa, e volea prevalersene. Già avea
conseguito il vescovato di Malega. Poco era questo al suo merito; si
fece nominare dal re Cattolico al ricco arcivescovato di Siviglia;
ma il santo padre stette saldo in negargliene le bolle. Se ne offese
quel monarca; vietò anch'egli ogni commercio colla sua corte al
_nunzio apostolico Aldrovandi_, il quale senza licenza del papa si
ritirò in Italia alla patria sua. Richiamò per mezzo del _cardinale
Acquaviva_ tutti gli Spagnuoli dimoranti in Roma; proibì ai suoi
sudditi il cercare alcun benefizio o pensione dalla Sede apostolica
con esorbitante danno della dateria. Non ci volea meno di _Clemente
XI_, cioè di un piloto di grande animo, e di non minor saviezza, per
navigare in mezzo a tanti scogli e a sì contrarii venti. Ma egli
confidato in Dio non punto si atterriva, e seguitava con vigore
continuo ad applicarsi agli affari con isperar giorni migliori.

Fin l'anno addietro tal costernazione era entrata nel turchesco divano
per la perdita di Belgrado, e per l'apprensione delle vittoriose armi
cesaree, che cominciò il _sultano Acmet_ a muovere parola di pace con
sua maestà cesarea. Il ministro del re _britannico Giorgio_ alla Porta
fu incaricato di trattarne. Vi prestò orecchio l'_imperador Carlo_;
ma suo malgrado, perchè gli stava sul cuore la rottura della guerra
dalla parte degli Spagnuoli, nè si potea credere che alla loro avidità
e fortuna fosse sufficiente preda la Sardegna. Si osservò nondimeno
sul fine dell'anno presente scemato di molto l'ardore dei Turchi per
la progettata pace, o vogliam dire tregua; e non per altro se non per
gli avvisi colà giunti di avere il re Cattolico dato all'armi contro
dell'augusto monarca. Contuttociò da che seppe il sultano il magnifico
preparamento di forze guerriere fatto in quest'anno ancora non meno
da Cesare che dalla Veneta repubblica, per continuare più che mai la
guerra, ripigliarono con calore i negoziati della pace colla mediazione
dei ministri d'Inghilterra e d'Olanda. Per luogo del congresso fu
scelto Passarovitz nella Servia, dove si raunarono i plenipotenziarii
dell'imperadore, della suddetta repubblica e della Porta. Al compimento
di questo negoziato non si potè giungere se non nel dì 27 di giugno,
nel qual giorno furono sottoscritti gli articoli della concordia
di Cesare e dei Veneziani colla Porta Ottomana, consistenti in una
tregua di ventiquattro anni. Restò l'imperadore in possesso di tutte
le conquiste fin qui da lui fatte, cioè della Servia con Belgrado, di
Temisvar, di una particella della Valacchia, con altri vantaggi, che
a me non occorre di rammentare. Ai Veneziani restarono Butintrò, la
Prevesa, Vonizza, Imoschi, le isole di Cerigo, con altri vantaggi, ma
non compensanti in menoma parte la perdita del bel regno della Morea.
Fino ai nostri giorni dura l'indignazione dei cristiani zelanti contra
di chi obbligò l'Augusto _Carlo VI _e la _repubblica veneta_ alla pace
o tregua suddetta. Da gran tempo non s'era veduta più bella apparenza
di dare una forte scossa all'imperio ottomano. Avea Cesare in piedi
una fioritissima armata con un generale incomparabile, colle milizie
tutte incoraggite per le precedenti vittorie; laddove i Turchi erano
spaventati, avviliti e sull'orlo di maggior precipizio.

Fama corse che il _principe Eugenio_ avesse meditato, non già
d'inviarsi alla volta di Costantinopoli, ma d'inoltrarsi per quella
strada, e poi rivolgersi verso Tessalonica, o sia Salonichi, per darsi
mano coi Veneziani, e tagliar fuori un buon pezzo del paese turchesco.
Se ciò è vero, e se questo fosse riuscito, si può disputarne; ma
bensì è fuor di dubbio che dalla mossa dell'armi spagnuole provenne la
necessità di pacificarsi colla Porta, mentre era minacciato d'invasione
tutto il dominio austriaco in Italia. Perchè fu differita per molte
settimane la pubblicazion della pace suddetta, il generale de'
Veneziani _Schulemburg_ si portò all'assedio di Dolcigno, nido infame
di corsari. Nel dì 24 di luglio convenne desistere dalle ostilità,
perchè giunse l'avviso della pace. Ma nel volersi ritirare, i Veneti
furono inseguiti dai Dulcignotti, e bisognò menar ben le mani. Crebbe
in questi tempi la mormorazione contra del _cardinal Alberoni_, perchè
furono pubblicate alcune lettere, che si dissero intercette, scritte al
principe Ragozzi, ribello e nemico di Cesare, affinchè fosse mezzano
a stabilire una lega fra il re Cattolico e il sultano Acmet, di modo
che dalla parte ancora de' Turchi si facesse guerra all'imperador de'
Romani. Chiunque riputava esso porporato di forte stomaco, e portato ad
ogni maggior risoluzione che potesse influire all'ingrandimento della
corona di Spagna, non ebbe difficoltà a tener per certo quel progetto
di alleanza. Ma ad altri parve esso troppo inverisimile, perchè
contrario al pregio della pietà che risplendeva nel cattolico monarca
_Filippo V_, e all'uso lodevole dei gloriosi suoi antecessori, i quali
mai non hanno voluto tregua, non che lega, con un nemico del nome
cristiano.

Intanto proseguiva la corte di Spagna il suo grandioso armamento,
e in Sardegna si facea massa delle genti, artiglierie, munizioni e
navi. Verso qual parte avesse a piombare la preparata tempesta, niun
lo poteva prevedere di certo. Chi credea per li porti della Toscana
posseduti da Cesare, chi per Napoli, e chi per lo Stato di Milano.
Spezialmente si dubitò dell'ultimo, perchè il _re Vittorio Amedeo_
avea fatto venir di Sicilia un grosso convoglio di munizioni e truppe;
campeggiava anche con molta gente ai confini del Milanese; e non era
occulto che passava fra lui e il re Cattolico non lieve intrinsichezza;
s'era anche combinato fra loro un trattato di lega. Ma niun si trovò
più deluso dello stesso re di Sicilia, perchè all'improvviso s'intese
che l'armata navale spagnuola, alzate le ancore, dalla Sardegna era
passata alla Sicilia stessa per insignorirsene. Risvegliossi allora un
gran bisbiglio, gridando i poco parziali della Spagna, vedersi oramai
quanto possa in cuore di alcuni potenti del secolo la smoderata voglia
del conquistare. Non essere gran tempo che con solenne pace e solenni
giuramenti avea la corte di Spagna ceduta la Sicilia al re Vittorio;
nulla avere mancato questo real sovrano ai patti; e pure senza scrupolo
alcuno, e dopo le maggiori dimostrazioni di amicizia, essere procedute
l'armi spagnuole a spogliarlo di quel regno. Se così si opera (andavano
essi dicendo), dove è più la pubblica fede, e chi ha più da credere ai
regnanti? Fece anche questa novità sempre più sparlare del porporato
primo ministro di Spagna, a cui si attribuivano tutti gl'impegni di
quella corte. Tuttavia non mancò essa corte di pubblicare un manifesto,
con cui studiò di dare qualche colore alla presa risoluzione sua, ma
intorno a cui non appartiene a me di proferir giudizio. Ora nel dì
ultimo di giugno pervenuta l'armata spagnuola in faccia di Palermo,
giacchè non v'era luogo alla difesa di quella fedelissima città,
i magistrati ne portarono le chiavi al generale spagnuolo, e con
incessanti acclamazioni di gioia fu quivi proclamato il re _Filippo V_.
Erasi quivi ritirato il conte _Annibale Maffei_ Mirandolese, vicerè di
quel regno, con lasciar presidio nel castello, che fra pochi dì venne
in poter degli Spagnuoli. Rinforzò esso conte colle milizie ricavate da
Palermo, Cattania ed Agosta i presidii di Siracusa, Messina, Trapani e
Melazzo, e fece ricoverare in Malta le galee del suo padrone. Essendo
ritornata in Sardegna la flotta spagnuola per imbarcare il resto
delle milizie, con esse sbarcò dipoi in Sicilia il _marchese di Leede_
Fiammingo, generale di terra del re Cattolico, che poi fece maraviglie
di condotta e valore in quell'impresa. Intanto Cattania col castello fu
presa, e bloccata la città di Messina, dove, dopo essere entrate l'armi
spagnuole, cominciarono le ostilità contra di quei castelli. Fu anche
messo il blocco a Melazzo e a Trapani. In somma pareano disposte tutte
le cose, per vedere in breve tornata tutta la Sicilia sotto la signoria
del re Cattolico; e sarebbe succeduto, se non fossero entrati in iscena
altri potenti a rompere le misure della Spagna.

Non dormiva l'imperador _Carlo VI_, e molto meno i suoi ministri di
Napoli e Milano, i quali dacchè cominciò a scoprirsi il mal animo degli
Spagnuoli, non aveano cessato di far gente e di preparar munizioni per
ben accogliere chi si fosse presentato nemico. S'erano anche mosse
le potenze marittime come garanti della cessione della Sicilia, ed
obbligate a sostener anche l'imperadore negli acquisti suoi. A nome
del re britannico _Giorgio I_ fece lo Stenop suo ministro a Madrid
varie doglianze e proteste, con rappresentare sopra tutto l'obbligo
e la determinazione dell'Inghilterra di difendere i suoi collegati;
al qual fine si preparava una poderosa squadra di vascelli. Più
alto, all'incontro, parlò il _cardinale Alberoni_, e diede assai a
conoscere che poca impressione in lui faceano somiglianti bravate.
Servirono poscia le altrui minaccie a far maggiormente affrettare la
spedizione contro la Sicilia, colla speranza di vederla conquistata
tutta prima che comparissero in quelle parti le vele inglesi. Intanto
il re _Vittorio Amedeo_ si rivolse tutto all'imperadore e alle suddette
potenze marittime. Trattossi in Londra della maniera di mettere fine
a queste turbolenze; e perciocchè si conobbe non aver forza esso
re Vittorio per la difesa della Sicilia, nè l'imperadore si sentiva
voglia, per far piacere a lui, di sposar questo impegno; e massimamente
perchè egli s'era avuto a male che quell'isola, tanto necessaria alla
conservazion del regno di Napoli, fosse a lui tolta, e data a chi
non vi avea sopra ragione alcuna, nel dì 2 d'agosto fu formato in
Londra il piano d'una pace da proporsi al re Cattolico, la quale se
non fosse accettata, tutte quelle potenze s'impegnavano di adoperare
l'esorcismo della forza per farla accettare. In questa risoluzione
concorse ancora il Cristianissimo _re Luigi XV_, o, per dir meglio,
_Filippo duca d'Orleans_ reggente di Francia; giacchè la corte di
Madrid avea già cominciato a sfoderar pretensioni contro la tutela del
piccolo re, e a dichiarare inefficaci e nulle le rinunzie fatte dal
re Filippo ai proprii diritti sulla corona di Francia: cose tutte che
alterarono forte esso duca reggente, e gli altri principi del sangue
reale. Portavano le risoluzioni della proposta concordia, fra l'altre
cose, che la Sicilia si avesse da cedere a sua maestà cesarea, e che,
in ricompensa di tal cessione, si dovesse cedere il regno di Sardegna
al re Vittorio Amedeo: cambio sommamente svantaggioso, a cui quel real
sovrano per un pezzo non seppe accomodarsi, ma che in fine, consigliato
dalla prudenza, la quale si ha da conformare alle condizioni dei tempi,
per non potere di meno, egli approvò. Trattossi quivi parimente della
eventual successione dei ducati di Parma e Piacenza, in mancanza di
eredi legittimi, per un figlio della regina di Spagna _Elisabetta
Farnese_.

Intanto sul principio d'agosto cominciò a comparire nei mari di
Napoli la forte squadra inglese, condotta dall'_ammiraglio Bing_,
che, servendo di scorta a molti legni da trasporto carichi di
milizie alemanne, fece poi vela alla volta di Messina. Cercò bene
l'_ammiraglio Castagnedo_ Spagnuolo d'entrar colle sue navi nel porto
d'essa Messina; ma il gran fuoco fatto dal forte di San Salvatore e
della cittadella non glielo permise, e furono obbligati i suoi legni
a ritirarsi con grave danno. Giunta dipoi la flotta inglese nel molo
di Messina, felicemente sbarcò le truppe, ed allora quelle fortezze,
battute dal marchese di Leede, inalberarono lo stendardo imperiale.
Circa altri dieci mila soldati cesarei marciarono da Napoli verso
Reggio di Calabria, per passare in Sicilia. Andò poscia il Bing in
traccia della nemica armata navale, consistente in ventisei navi
da guerra, sette galee e molti legni da carico, per significare
all'ammiraglio le commissioni della sua corte. La trovò schierata in
ordine di battaglia, nè tardò molto a udire il fischio delle palle dei
lor cannoni, essendo stati gli Spagnuoli i primi a sparare. Si venne
dunque nel dì 15 d'agosto a battaglia, ma battaglia di poco contrasto,
perchè gli Spagnuoli batterono tosto la ritirata. Diedero loro la
caccia gl'Inglesi, s'impadronirono di varii loro vascelli, altri ne
bruciarono, e fecero di molti prigioni: laonde la flotta spagnuola
rimase poco men che disfatta. L'ammiraglio Castagnedo si ritirò a
Cattania a farsi curare le ferite ricevute. Ma queste disgrazie in
mare nulla intiepidirono le azioni del generale spagnuolo _marchese
di Leede_. Ancorchè si fosse accresciuto di molto il presidio della
cittadella di Messina, pure gli convenne rendersi al valore degli
assedianti nel dì 29 di settembre, insieme col forte di San Salvatore:
con che restò tutta Messina in potere degli Spagnuoli, che passarono
dipoi all'assedio di Melazzo. Essendo poi sbarcato un grosso corpo
di Tedeschi in vicinanza di questa piazza, i generali _Caraffa_
e _Veterani_ nel dì 15 d'ottobre tentarono di farne sloggiare gli
Spagnuoli. Sulle prime favorevole fu loro la fortuna, ma non finì
la faccenda che rimasero sbaragliati. I fuggitivi si ritirarono in
Melazzo, che alzò allora la bandiera imperiale. Il nerbo maggiore degli
Alemanni passati in Sicilia si afforzò verso la Scaletta in vicinanza
di Messina. In tale stato restarono gli affari di quell'isola sino
all'anno vegnente.

Era già passato a miglior vita fin dall'anno 1701, nel dì 16 di
settembre, _Giacomo II Stuardo_ re della Gran Bretagna, che già vedemmo
spogliato del suo regno. Nell'anno presente a dì 7 di maggio giunse
ancora al fine de' suoi giorni la regina sua consorte _Maria Beatrice
Eleonora d'Este_ in San Germano nell'Aia, presso a Parigi, principessa
a cui aveano formata una più illustre corona le sue insigni virtù.
Al di lei figlio _Giacomo III_, dimorante in Italia sotto nome del
cavalier di San Giorgio, avea il pontefice _Clemente XI_ procurata in
moglie _Clementina Sobieschi_, figlia del _principe Giacomo_, nato da
_Giovanni III_ re di Polonia. Veniva questa principessa in Italia, ma
restò trattenuta in Inspruch per ordine dell'imperadore, a fine di
far conoscere a _Giorgio I_ re d'Inghilterra ch'egli non approvava
quel matrimonio. Si trovò col tempo il ripiego di lasciarla fuggire
travestita, con aver l'Augusto _Carlo VI_ serrati gli occhi; laonde in
Monte Frascone nell'anno seguente fu accoppiata col suddetto re Giacomo
dopo il suo ritorno dalla Spagna, di cui parleremo fra poco. Superbi
regali fece il santo padre ad amendue, e fatto lor preparare in Roma
un palazzo con ricchi arredi, ed assegnata loro un'annua pensione di
dodici mila scudi, colla lor presenza accrebber poscia il lustro di
Roma.



    Anno di CRISTO MDCCXIX. Indizione XII.

    CLEMENTE XI papa 20.
    CARLO VI imperadore 9.


Videsi in quest'anno uno spettacolo forse non mai veduto, cioè le
principali potenze dell'Europa unite in guerra contro la Spagna; e
la Spagna sola senza sgomentarsi far fronte a tutti. Avea già il re
_Vittorio Amedeo_ nel dì 18 ottobre dell'anno precedente abbracciata
la lega di Cesare, Francia ed Inghilterra, consentendo al cambio
della oramai perduta Sicilia colla Sardegna, che pure stava in mano
del re Cattolico. Però questi potentati cominciarono maggiormente a
disporsi per condurre colla forza la corte di Madrid a quella pace,
che colle amichevoli esortazioni non si potea da essa ottenere. Aveano
essi fatto proporre al re _Filippo V_ le determinazioni prese dalla
quadruplice alleanza per restituire la quiete all'Europa, ma con poca
fortuna a cagion di certe condizioni contrarie ai desiderii e alle
speranze del gabinetto spagnuolo. Ora quasi nel medesimo tempo tanto
il re britannico _Giorgio I_, quanto il Cristianissimo _Luigi XV_, o
sia sotto nome di lui il reggente _duca d'Orleans_, dichiararono la
guerra alla Spagna. Nel dì 9 di gennaio del presente anno fu pubblicata
in Parigi questa dichiarazione, e in Londra nel 28 del precedente
dicembre, il qual giorno all'inglese vien quasi a cadere in quello
della Francia. Sì gli uni che gli altri sovrani imputavano tutti questi
sconcerti al solo _cardinale Alberoni_ primo ministro della corte di
Madrid; e spezialmente di lui si dolse il ministero della corte di
Francia in un manifesto che fu nella stessa occasion divulgato. Ma
se queste potenze vollero per cagione di questo porporato far guerra
alla Spagna, anche il porporato la facea loro nel medesimo tempo, e
nel cuore dei loro regni. Manipolò sollevazioni in Iscozia che presero
fuoco. Oltre al _duca d'Ormond_ esiliato dall'Inghilterra, che si era
ricoverato in Ispagna, chiamò colà anche il cavalier di San Giorgio, o
sia il _re Giacomo III_, il quale nel febbraio del presente anno colla
maggior possibile segretezza si partì da Roma, ed ebbe poi la fortuna
di arrivar sano e salvo a Madrid. Seguirono varie commozioni degli
Scozzesi; e se una crudel tempesta non dissipava una flotta mossa di
Spagna con genti ed armi, forse l'incendio in quelle parti si sarebbe
maggiormente aumentato. Fu cagione questa sciagura che pochi Spagnuoli
pervenissero a sostenere la rivoluzion della Scozia, e che in fine
perduta la speranza di questo colpo, ed affinchè esso cavalier di San
Giorgio non fosse di ostacolo alla pace, si congedò questo principe
dal re Cattolico, e tornossene ben regalato nell'autunno in Italia,
dove, siccome abbiamo detto di sopra, dopo avere sposata la principessa
_Clementina Sobieschi_, passò poi con essa ad abitare in Roma.

L'altra guerra che fece l'intrepido _cardinale Alberoni_ alla Francia,
fu quella di suscitar le pretensioni del re _Filippo V _intorno
alla reggenza di quel regno, durante la minorità del re _Luigi XV_,
sostenendola dovuta a sè come al più prossimo alla successione nel
regno di Francia. Le rinunzie dalla maestà sua fatte si dicevano
invalide e nulle; e non si taceva, che se fosse mancato il piccolo
re, intendeva il re Cattolico di far valere i suoi diritti sopra
la monarchia franzese. Andavano tali stoccate a ferire il cuore di
_Filippo d'Orleans_ duca reggente, e degli altri principi della real
casa, giacchè, secondo la pace di Utrecht, e in vigore de' patti e
delle rinunzie precedenti, la casa d'Orleans aveva acquistato ogni
diritto al regno con esclusione della linea di Spagna. E perciocchè
si venne a scoprire che il principe di Cellamare, ambasciatore del
re Cattolico in Parigi, fabbricava delle mine segrete per muovere
sedizioni e guerra civile in Francia, fu obbligato a sloggiare.
Pubblicossi ancora un biglietto dell'Alberoni, comprovante queste
occulte trame, facendo il duca reggente valer tutto per giustificare
l'intimazion della guerra contro la Spagna, e per far delle amare
querele contra di esso cardinale, trattato da nemico della quiete
dell'Europa, ed oppressore della monarchia di Spagna. Ora nell'aprile
del presente anno cominciò l'esercito franzese verso la Navarra le
ostilità contra degli Spagnuoli; e, dopo aver preso alcuni forti,
mise l'assedio a Fonterabbia, e vi concorsero a sostenerlo per mare
alquanti vascelli inglesi. Fu ben difesa quella piazza fino al dì 16 di
maggio, in cui quel presidio con capitolazione onorevole la consegnò ai
Franzesi. Passò di poi il maresciallo _duca di Bervich_ nel dì 29 del
mese di giugno ad assediare San Sebastiano. Per la gagliarda resistenza
degli Spagnuoli, solamente nel dì 2 di agosto entrarono l'armi franzesi
in quella città, essendosi ritirata la guarnigione nella cittadella,
che poi nel dì 17 con buoni patti si ritirò anche di là. Fu creduto
consiglio del _cardinale Alberoni_ l'aver fatto venire sino a Pamplona
il re Cattolico, per dar calore alle sue armi in quelle parti; ma egli
poscia ne' suoi manifesti più tosto derise questa andata di sua maestà
Cattolica; e in fatti, ad altro essa non servì che per far udire più
presto a quel monarca la nuova delle perdute sue piazze. Quel che è
certo, perchè si temeva che i Franzesi passassero fino alla stessa
Pamplona, quella real corte giudicò miglior partito il ritornarsene,
ed anche in fretta, a Madrid. Fecero poi essi Franzesi dalla parte
del Rossiglione un'invasione nella Catalogna colla presa di alquanti
luoghi. Così passava la guerra di Francia contro gli Spagnuoli; nel
qual tempo ancora si rappresentò in Parigi la strepitosa commedia del
Mississipì, di cui, e degl'imbrogli di _Giovanni Laws_ Scozzese autore
di quelle scene, il qual poi nel 1729 terminò in Venezia i suoi giorni,
a me non conviene di dirne altro. Quivi non finirono le percosse date
in quest'anno alla Spagna. Anche l'armata degl'Inglesi nel dì 10 di
ottobre arrivata al porto della città di Vigo, s'impadronì fra poco
della medesima, e poi della cittadella nel dì 24 di esso mese.

Più aspra guerra intanto si faceva in Sicilia. Proseguivan quivi gli
Spagnuoli il blocco di Melazzo, ed erano pure in quelle vicinanze
i Tedeschi, con patire grave incomodo sì l'una che l'altra parte.
Scarseggiava forte di vettovaglia quella piazza; ma verso il fine
di gennaio varie navi inglesi felicemente approdate a quel porto vi
recarono tanta copia di vettovaglie, che il presidio si rise da lì
innanzi de' nemici. Non cessavano il _conte Daun_, vicerè di Napoli, e
il generoso cavaliere _conte Coloredo_, ultimamente inviato al governo
di Milano per la morte accaduta del _principe di Levenstein_, di
ammassar gente e provvisioni per iscacciar dalla Sicilia gli Spagnuoli.
Circa cinquecento vele nel dì 23 di maggio si mossero da Baia, cariche
di dieci mila combattenti, di cannoni, mortari ed altri militari
attrezzi, e scortate da alcuni vascelli inglesi. Nel dì 28 del seguente
mese questo gran convoglio felicemente sbarcò in Sicilia presso Patti.
A tale avviso il generale spagnuolo _marchese di Leede_ frettolosamente
levò il campo da Melazzo, con lasciare in preda ai nemici alcuni
migliaia di sacchi di farina, ed altre provvisioni, e secento soldati
infermi, e si ritirò verso Francavilla. Impadronironsi frattanto i
cesarei dell'isola di Lipari. Era il _marchese di Leede_ maestro di
guerra, e gareggiava in lui la prudenza col valore; sapea risparmiare
il sangue, far con giudizio i postamenti, e alle occorrenze ben
assalire e meglio difendersi. Se non fossero a lui mancate le forze,
difficilmente gli avrebbono tolta di mano la Sicilia. All'incontro era
arrivato ai comando dell'armi cesaree in quell'isola il generale _conte
di Mercy_, personaggio pien di fuoco guerriero, allievo dell'invitto
_principe Eugenio_, ma non imitatore della sua prudenza. Uso suo fu di
mandare al macello per qualsivoglia sua idea le truppe, e di comperar
tutto a forza di sangue: il che col tempo gli tirò addosso l'odio di
tutto l'esercito. Nel dì 20 di giugno andò questo focoso generale ad
assalire l'oste nemica, guardata alla fronte dal fiume Roselino, e
riparata da un forte trincieramento. Furioso fu l'assalto, ma con sì
gran vigore lo sostennero i valorosi Spagnuoli, che il Mercy, dopo
avere sacrificato almen quattromila de' suoi, fu forzato a retrocedere,
con aver solamente tolto alcuni posti ai nemici. Restò egli stesso
ferito in quella calda azione. Cercarono le relazioni di dar qualche
buon colore a questo suo infelice sforzo, ma fu creduto che in Ispagna
ed altrove con ragione si cantasse il _Te Deum_, come per vera vittoria
riportata dal prode lor generale, benchè ancora dal canto suo non poca
gente vi perisse. Se anche gl'imperiali l'attribuivano a sè stessi,
niuno potè loro impedire un sì fatto gusto. Provossi in questa ed altre
occasioni che non pochi Siciliani bravamente sostenevano il partito
spagnuolo.

Ma quanto andavan calando le forze del re Cattolico in Sicilia,
altrettanto crescevano quelle degl'imperiali per li possenti rinforzi
o passati da Reggio o condotti da Napoli per mare colà. Con questa
superiorità di gente non fu difficile ai cesarei di passare sotto
Messina, avendo prevenuto con una marcia gli Spagnuoli, incamminati
anch'essi a quella volta. Da che ebbero preso castello Gonzaga, e
fu dagli Spagnuoli abbandonato il forte del Faro, la città stessa
nel dì 9 di agosto venne alla loro ubbidienza, essendosi ritirata la
guarnigione nella cittadella. Insoffribil contribuzione fu imposta
a quei cittadini, perchè molti di loro avevano impugnata la spada
in favor degli Spagnuoli. Non tardarono a rendersi i due castelli
di Matagriffone e del Castellaccio; con che restò renitente la sola
cittadella, contra di cui si diede principio alle ostilità. Cagion fu
la presa di Messina che i Siciliani, stati fin qui molto parziali alla
corona di Spagna, presero altro consiglio, e vennero a soggettarsi
all'imperadore; ed intanto il _marchese di Leede_, giacchè conobbe
di non poter dar soccorso all'assediata cittadella, si ritirò infin
verso Agosta. Così gagliarda difesa fece don Luca Spinola col presidio
spagnuolo nella cittadella di Messina, che solamente nel dì 18 di
ottobre giunse ad esporre bandiera bianca, e restò nel dì seguente
convenuto che gli Spagnuoli con tutti gli onori militari ne uscissero
liberi, e nello stesso tempo consegnassero anche il forte di San
Salvatore. Fu allora che il _duca di Monteleone_ Pignatelli, entrato
in Messina, prese per sua maestà cesarea il possesso della carica
di vicerè di Sicilia. Si renderono poscia agl'imperiali le città di
Marsala e di Mazzara con altri luoghi; e già comparivano segnali che
il marchese di Leede pensava ad evacuar la Sicilia, stante l'aver egli
spediti fuori di essa i suoi equipaggi. Aveva appena il _conte di
Gallas_ fatto il suo ingresso in Napoli, come vicerè di quel regno,
che la morte venne a trovarlo, ed ebbe fra poco per successore il
_cardinale di Scrotembach_. Fu in quest'anno che Vittorio Amedeo re
di Sardegna chiamò tutti i suoi vassalli a presentare i titoli dei
loro feudi, e seguirono poi gravi doglianze di molti che ne restarono
spogliati. Perchè tuttavia bollivano in Roma le controversie dei riti
cinesi, nè bastavano a chiarir cose cotanto lontane le scritture
discordi dei contendenti, venne il saggio pontefice _Clemente XI_
in determinazione di spedire colà un nuovo vicario apostolico e
visitatore, per prendere le più accertate informazioni in sì importante
materia. Fu scelto per sì faticoso impegno monsignor _Carlo Ambrosio
Mezzabarba_, nobile pavese, che colla compagnia di molti missionarii
e con superbi regali destinati all'imperador cinese si mise in viaggio
verso quelle tanto remote contrade. Fece anche il santo padre, nel dì
29 di novembre una promozione di dieci egregi personaggi alla sacra
porpora.

Finì il presente anno con una scena, che gran romore fece non
solamente in Ispagna, ma anche per tutta l'Europa. Primo ministro del
re Cattolico _Filippo V _era da qualche anno divenuto il cardinale
_Giulio Alberoni_, e per mano sua passavano tutti gli affari. Convien
fare questa giustizia all'abilità e singolare attività sua, che
il regno di Spagna s'era rimesso in un bel sistema mercè de' suoi
regolamenti, ed era giunto a ricuperar quelle forze e quello splendore
che sotto gli ultimi precedenti re parea ecclissato: tanto avea egli
accudito al buon maneggio delle regie finanze, a rimettere le forze
di terra e di mare, ad istituire la posta per le Indie Occidentali, a
fondare una scuola di gentiluomini per istruirli nella navigazione,
e in ogni affare della marina, e a levare i molti abusi che da gran
tempo tenevano snervata quella potente monarchia. Cose anche più
grandi meditava egli per accrescere la popolazion della Spagna, per
introdurre il traffico, le manifatture e la cultura delle terre in
quelle contrade, e per fare che i tesori delle Indie Occidentali e
le lane preziose di Spagna servissero ad arricchire in vece degli
stranieri i nazionali spagnuoli. Buon principio avea anche dato a tali
idee con profitto del regno. Tutte le mire sue in una parola tendevano
all'esaltazion di quella gran monarchia, e tutto si potea promettere
dalla sua costanza in ciò ch'egli intraprendeva. Ma questo personaggio
in più maniere si era tirata addosso la disavventura di essere mirato
di mal occhio dalle principali potenze dell'Europa sì pel già operato
contra dell'imperatore, della Francia, dell'Inghilterra e del re
di Sardegna, e sì pel sospetto che uomo gravido di sì alte idee non
pregiudicasse maggiormente ai loro interessi in avvenire. Si univano
perciò le premure di tutti questi collegati a detronizzare questo
poderoso e intraprendente ministro, nè altra via trovando, si rivolsero
a _Francesco Farnese_ duca di Parma, zio della _regina Elisabetta_.
Gli esibirono il governo di Milano ed altri vantaggi, se gli dava
l'animo di atterrare l'odiato cardinale. Trovossi che il duca era
anch'egli disgustato di lui, perchè non rispediva mai i suoi corrieri,
ed esigeva che gli affari suoi non arrivassero al re, se prima non
si presentavano a lui, e non ne riceveano la sua approvazione. Non
era similmente ignoto al duca, essere poco soddisfatta del porporato
la regina, per certe imperiose risposte a lei date da esso ministro.
Però animosamente incaricò il marchese Annibale Scotti suo ministro
in Madrid di rappresentare a dirittura al re Cattolico i gravissimi
danni ch'erano vicini a risultare ai suoi regni per cagione di questo
ministro, con dipingerlo per uomo impetuoso, violento e imprudente, che
avea imbarcata la maestà sua in troppo pericolosi impegni, e potea col
tempo far di peggio colla rovina del regno. Essere nelle congiunture
presenti necessaria la pace, e questa non si avrebbe mai, se non
si allontanava un ministro di consigli e pensieri sì turbolenti, e
capace di dar fuoco a tutte le parti del mondo (del che egli stesso si
vantava), senza riflettere alle cattive conseguenze delle troppo ardite
risoluzioni. Di queste e di altre ragioni imbevuto il conte Scotti,
animato ancora da' ministri di Francia e d'Inghilterra, rivelò alla
regina la sua incumbenza; ed essa, siccome principessa di gran senno,
gli ordinò di parlarne al re in ora tale, in cui anch'ella mostrerebbe
di sopraggiugnere, come persona nuova, al colloquio. Così fu fatto; il
ministro diede fuoco alla mina; sopravvenne la regina, che, potendo
molto nel cuore del re, accrebbe il fuoco in maniera, che il re si
diede per vinto, oramai persuaso avere gli smisurati disegni del
cardinal ministro, coll'inimicar tante potenze, esposti a troppo gravi
danni e pericoli non meno i suoi regni che il proprio onore.

Adunque nel dì 5 di dicembre di questo anno dal segretario di Stato don
Michele Duran fu presentato all'Alberoni un ordine scritto di pugno
dello stesso re, con cui gli proibiva d'ingerirsi più negli affari
del governo; e gli veniva ordinato di non presentarsi al palazzo, o in
alcun altro luogo dinanzi alle loro maestà, o ad alcun principe della
casa reale; e di uscire di Madrid fra otto giorni, e dagli Stati del
dominio di sua maestà nel termine di tre settimane. Si espresse anche
il re di essere venuto a tal determinazione spezialmente per levare
un ostacolo ai trattati della pace da cui dipendeva il pubblico bene.
Pertanto nel dì 11 del mese suddetto, ottenuti prima i passaporti dal
re e dagli ambasciadori di Francia e d'Inghilterra, si partì l'Alberoni
da Madrid alla volta dell'Italia, con disegno di passare a Genova. Di
rilevanti scritture e memorie portava egli seco; vi fece riflessione
alquanto tardi il gabinetto di Madrid; fu nondimeno a tempo per ispedir
gente, che della maggior parte il privò. Fu anche occupato in Madrid
molto oro, da lui lasciato a un suo confidente; ma non caddero già
in loro mano quelle grosse somme di danaro, ch'egli da uomo prudente
avea tanto prima inviate ne' banchi d'Italia, per valersene contro le
vicende e i balzi preveduti della fortuna in caso di disgrazia: somme
tali che servirono poscia a lui per vivere con tutto decoro il resto
di sua vita in queste contrade. Salvò ancora qualche carta che servì
alla sua giustificazione. Quanto si rallegrassero per la caduta di sì
abborrito ministro le potenze componenti la quadruplice alleanza, ed
anche molti grandi di Spagna, che prima relegati, furono tosto rimessi
in libertà, non si può abbastanza esprimere. Furono anche fatti per
questo fuochi di gioia in alcuni luoghi di Spagna. Ed allora fu che i
ministri di esse potenze e gli Olandesi mediatori rinforzarono le lor
batterie per indurre il re Cattolico alla pace. Di questa appunto si
trattò per tutto il seguente inverno.



    Anno di CRISTO MDCCXX. Indizione XIII.

    CLEMENTE XI papa 21.
    CARLO VI imperadore 10.


Contuttochè mirasse il Cattolico Filippo V come quasi svanite le
sue speranze sul regno di Sicilia, e minacciata la stessa Spagna da
mali più gravi, pure l'animo suo generoso non sapeva accomodarsi al
dispotico volere della quadruplice alleanza, che, senza ascoltar le
ragioni sue, intendeva di dargli la legge, con avere stese nel dì 2
d'agosto dell'anno 1718 le condizioni di una pace universale. Fece
pertanto nel gennaio dell'anno presente proporre dal suo ambasciatore
_marchese Beretti Landi_ agli stati generali altri articoli, secondo
i quali avrebbe accettata la pace proposta. Sì contrarii parvero
questi alle risoluzioni già prese, che in Parigi nel dì 14 d'esso
mese i ministri di Cesare e dei re di Francia, Inghilterra e Sardegna
reclamarono forte, e conchiusero di continuare più ardentemente
che mai le ostilità contro la Spagna, se il re non si arrendeva al
trattato suddetto di Londra. Aveano esse potenze già prescritto tre
mesi di tempo alla cattolica maestà per risolvere; laonde il piissimo
re, desideroso anch'egli di restituir la pace all'Europa, nel dì 16
del suddetto gennaio abbracciò interamente il predetto trattato di
Londra con tutte le sue condizioni; e questa sua real volontà, esposta
nel dì 17 di febbraio all'Haia, riempiè di consolazione tutti gli
amatori della pubblica quiete. Vero è che il re cattolico _Filippo V_
cedette all'_Augusto Carlo VI_ ogni sua pretensione e diritto sopra la
Sicilia, coll'annullare ancora il partito della reversione, in caso
della mancanza di maschi, nell'austriaca famiglia. Parimente vero
è, che cedette al re _Vittorio Amedeo_ il regno della Sardegna; ma
questi regni non li possedeva esso re Cattolico prima della presente
guerra. All'incontro, in favore d'esso monarca fu stabilito, che
venendo a vacare per mancanza di discendenti maschi il gran ducato di
Toscana, e i ducati di Parma e Piacenza, in essi succederebbero i figli
maschi legittimi e naturali della regina _Elisabetta Farnese_, moglie
di sua maestà Cattolica, escludendone solamente chi di essi e loro
discendenti arrivasse ad essere re di Spagna; con patto nondimeno che
tali ducati fossero riconosciuti per feudi imperiali; e che intanto
per maggior sicurezza vi si mandassero presidii di Svizzeri. Parve
a molti cosa strana che i potentati dell'Europa disponessero con
tanto dispotismo degli Stati altrui, e viventi anche i lor principi
naturali, coll'imporre in oltre ad essi il giogo de' suddetti presidii.
Se ne lagnarono, spezialmente il sommo pontefice _Clemente XI_, che
allegava tante ragioni della camera apostolica sopra Parma e Piacenza;
e a questo fine il santo padre, nel febbraio di quest'anno, spedì
alla corte di Vienna monsignore _Alessandro Albani_ suo nipote, con
commissione di difendere i diritti della santa Sede. Pretendeva altresì
il gran duca di Toscana _Cosimo III_, che il dominio fiorentino non
fosse soggetto a leggi feudali dell'imperio, e che a lui stesse ad
eleggere il successore. Gran dibattimento era stato per questo in
Firenze, dove quei ministri pensavano di poter risuscitare il nome
e la libertà dell'antica repubblica. Dichiarò pertanto il gran duca,
che, mancando di vita _don Giovanni Gastone_ gran principe, unico suo
figlio maschio, a lui succederebbe la vedova elettrice palatina _Anna
Maria Luigia_ parimente figlia sua. Spedì anche un ministro a tutte le
corti per reclamare e rappresentar le sue ragioni. Ma dappertutto si
trovarono orecchie sorde, e al gran duca convenne prendere la legge
dagli altri potentati, i quali, con disporre di quegli Stati, si
crederono di esentar l'Italia da altre guerre e disavventure.

In vigore dunque della pace suddetta il cesareo generale _conte di
Mercy_ avea fatto intendere al _marchese di Leede_ generale spagnuolo,
che conveniva disporsi ad evacuar la Sicilia; ma perchè il Leede
si mostrava tuttavia allo scuro del conchiuso trattato, nel dì 28
di aprile il Mercy si mosse contro il campo spagnuolo in vicinanza
di Palermo. Furono presi alcuni piccioli forti, che coprivano le
trincee nemiche; ma essendo in procinto i cesarei nel dì 2 di maggio,
di maggiormente svegliare gli addormentati Spagnuoli, marciando in
ordinanza contra di essi: tanto dal campo loro che dalle mura della
città si cominciò a gridar _Pace, pace_. Pertanto, nel dì 6 di esso
mese fra i due generali, coll'intervento dell'ammiraglio inglese
_Bing_, fu stabilito e sottoscritto l'accordo, cioè pubblicata una
sospension d'armi, e regolato il trasporto delle truppe spagnuole fuori
della Sicilia e Sardegna sulle coste della Catalogna. Dopo di che nei
giorni concertati presero le truppe imperiali il possesso della real
città di Palermo, del Molo e di Castello a Mare fra le incessanti
acclamazioni di quel popolo. Anche le città di Agosta e di Siracusa a
suo tempo furono consegnate agli uffiziali cesarei. Poscia nel dì 22
di giugno cominciarono le milizie spagnuole imbarcate nei legni di loro
nazioni a spiegar le vele verso Barcellona. Circa cinquecento Siciliani
presero anche essi l'imbarco per non soggiacere ad aspri trattamenti o
a funesti processi; e i lor beni furono perciò confiscati, a cagione
del loro operato contro dell'imperadore. Tornò dunque a rifiorire la
quiete in quel regno. Essendo stato spedito in Sardegna il _principe
d'Ottaiano_ di casa Medici, sul principio di agosto prese il possesso
di quell'isola a nome dell'Augusto monarca, con rilasciarla poscia ai
ministri del re _Vittorio Amedeo_, le cui truppe, da che ne furono
ritirate le spagnuole, entrarono in quelle piazze. Venne intanto a
scoppiare in Provenza una calamità che diffuse il terrore per tutta
l'Italia. La poca avvertenza del governo di Marsilia lasciò approdare
al suo porto la peste, secondo il solito portata colà dai paesi
turcheschi. Tanto si andò temporeggiando a confessarla tale, che essa
prese piede, e poi fieramente divampò fra quell'infelice popolo. A
sì disgustoso avviso commossi i principi d'Italia, e massimamente
i litorali del Mediterraneo, vietarono tosto ogni commercio colla
Provenza; e il re di Sardegna più degli altri prese le più rigorose
precauzioni ai confini dei suoi Stati, affinchè il micidial malore
non valicasse i confini dell'Alpi. A lui principalmente si attribuì
l'esserne poi rimasta preservata l'Italia.

Fin l'anno precedente avea _Rinaldo d'Este_ duca di Modena ottenuta
in isposa del _principe Francesco_ suo primogenito madamigella di
Valois _Carlotta Aglae_ figlia di _Filippo_ duca d'Orleans, reggente
di Francia. Sul principio di dicembre fu pubblicato nella real corte
di Versaglies questo matrimonio, dopo di che se ne procurò la dispensa
dal sommo pontefice. Scelto fu il dì 12 di febbraio del presente
anno, giorno penultimo di carnevale, per effettuarla. Solennissima
riuscì la funzione nella real cappella, essendovi intervenuto il _re
Luigi XV_ con tutti i principi e principesse del sangue e colla più
fiorita nobiltà. A nome del principe ereditario di Modena fu essa
principessa sposata da _Luigi duca di Chiartres_ suo fratello, oggidì
duca di Orleans, colla benedizione del _cardinale di Roano_. Siccome
a questa principessa furono accordate le prerogative di figlia di
Francia, e nella di lei persona concorreva il pregio di essere nata
da chi in questi tempi era l'arbitro del regno; così onori insigni
ricevette ella in tutto il viaggio fino a Marsilia, dove non trovò
peranche sentore alcuno di peste. Fu condotta da una squadra di
galee franzesi, comandate dal gran priore suo fratello, sino a San
Pier d'Arena. Non lasciò indietro la magnifica repubblica di Genova
dimostrazione alcuna di stima per onorar lei, e in lei il reggente di
Francia. Ricevette dipoi, nel suo passaggio per lo Stato di Milano,
ogni maggior finezza dal _conte Colloredo_ governatore, cavaliere,
dotato di singolar gentilezza e probità, e per quelli di Piacenza e
Parma dalla _corte Farnese_. Fece finalmente essa principessa nel dì
20 di giugno la sua solenne entrata in Modena con grandiosa solennità,
e per più giorni si continuarono i solazzi e le feste tanto qui che in
Reggio. Nel gennaio dell'anno presente passò il _cardinale Alberoni_
per la Linguadoca e Provenza alla volta del Genovesato; e fu detto
che egli, irritato dall'aspro trattamento a lui fatto nel suo viaggio,
inviasse una lettera al _duca di Orleans_ reggente, in cui si offeriva
di somministrargli i mezzi per perdere interamente e in poco tempo
la Spagna; e che il reggente inviasse questo foglio al re Cattolico.
Verisimilmente inventata fu una tal voce da chi gli voleva bene: che di
questa mercatanzia abbonda il mondo, massimamente in tempo di discordie
e di guerra. Andò egli a prendere riposo in Sestri di Levante; mentre
che ognuno si credea aver da essere Roma il termine de' suoi passi, a
lui fu presentata una lettera dal _cardinale Paolucci_ segretario di
Stato, in cui gli veniva vietato di farsi consecrare vescovo di Malega,
benchè ne avesse ricevuto le bolle, e susseguentemente giunse altro
ordine, che non osasse metter il piè nello Stato ecclesiastico.

Era esacerbato forte l'animo di papa _Clemente XI_ contra di questo
porporato, pretendendo sua santità di essere stata tradita da lui col
consigliare ed incitar la corte di Spagna a muovere l'armi contro
l'imperadore, dappoichè gli era stata data sì espressa parola e
promessa di non toccarlo durante la guerra col Turco. Tanto più si
accendeva al risentimento il pontefice, per annientare i sospetti
corsi contro la sincerità e l'onor suo, quasichè egli fosse con
doppiezza proceduto d'accordo col gabinetto di Spagna per burlare sua
maestà cesarea. Scrisse pertanto premuroso breve al doge di Genova,
incaricandolo di assicurarsi della persona del cardinale Alberoni,
ad effetto di farlo poi trasportare e custodire in castello Santo
Angelo. Si mandarono in fatti le guardie a fermarlo in Sestri; ma sì
gran copia di parziali si era procacciato nell'auge della sua fortuna
in Genova, che da lì a pochi giorni prevalse in quel consiglio la
risoluzione di lasciarlo fuggire; siccome avvenne, avendo poi finto
que' magistrati di farlo cercare dovunque egli non era. Creduto fu
che il cardinale si fosse ritirato presso uno dei liberi vassalli
nelle Langhe, suo gran confidente; e forse fu così, dacchè egli sul
principio scampò da Sestri: ma la verità è, ch'egli si ricoverò negli
Svizzeri. Sdegnossi non poco per questo avvenimento il sommo pontefice
contra dei Genovesi, i quali perciò spedirono uno de' lor nobili a Roma
per placarlo, e per giustificare la lor condotta. Fu dato principio
intanto ad una congregazione di cardinali, a fin di formare un rigoroso
processo contra dell'Alberoni, con pretenderlo reo di sregolati
costumi, di prepotenze usate verso gli ecclesiastici, e di essere
stato autore dell'ultima guerra, con animo di levargli il cappello,
qualora si potessero provare somiglianti reati. Ma non si perdè di
animo il porporato. Scrisse varie sensate lettere (date poi alla
luce, e meritevoli di essere lette) a più di uno di que' cardinali,
mostrando che egli non solamente non avea approvato il disegno della
guerra suddetta, ma di esservisi fortemente opposto. E giacchè egli non
ebbe difficoltà di lasciar correre colle stampe una risposta datagli
dal padre Daubanton confessore del re, nè pure sarà a me disdetto il
ripeterla qui. Cioè esponeva esso cardinale il dolore che proverebbe
il santo padre per vedersi deluso in affare di tanta importanza: al
che il religioso rispose, che egli dovea consolarsi per non avervi
colpa, aggiugnendo di più queste parole: _Non v'inquietate, monsignore,
forse il papa non ne sarà sì disgustato, come voi credete_. Ma il
papa appunto per tali dicerie vieppiù gagliardamente fece proseguire
l'incominciato processo. Avrebbono potuto il re Cattolico ed esso padre
confessore, mettere in chiaro la verità o falsità di quanto asseriva
il porporato in sua discolpa intorno a questi fatti; ma non si sa che
la saviezza di quella real corte volesse entrare in questo imbroglio, e
decidere. Solamente è noto che esso monarca passò a gravi risentimenti
contro la repubblica di Genova, per aver lasciato uscir di gabbia
questo personaggio, il quale intanto attese colla penna sua e de' suoi
avvocati a difendersi, e ad aspettare in segreto asilo la mutazion
dei venti. Le sue avventure in questi dì recavano un gran pascolo alle
pubbliche gazzette e alla curiosità degli sfaccendati politici.



    Anno di CRISTO MDCCXXI. Indiz. XIV.

    INNOCENZO XIII papa 1.
    CARLO VI imperadore 11.


Fin qui avea retto con sommo vigore e plauso la Chiesa di Dio il
pontefice _Clemente XI_, quando piacque a Dio di chiamarlo ad un regno
migliore. Avea egli in tutto il tempo del suo pontificato combattuto
sempre coll'asma e con altri malori di petto e delle gambe, e più volte
avea fatto temere imminente il suo passaggio all'altra vita; ma Iddio
l'avea pur anche preservato al timone della sua nave in tempi tanto
burrascosi per la cristianità. Appena si riaveva egli d'una infermità,
che più ardente che mai tornava agli affari e alle funzioni del suo
ministero non men sacro che politico. Arrivò in fine il perentorio
decreto della sua partenza. Infermatosi, fra due giorni con somma
esemplarità di devozione, in età di settantaun anni e quasi otto mesi,
placidamente terminò il suo vivere nel dì 19 di marzo del presente
anno, correndo la festa di san Giuseppe. Il pontificato suo era
durato venti anni e quasi quattro mesi. Avea egli ne' giorni addietro
ricevuta la consolazione di vedere riaperta in Ispagna la nunziatura, e
ristabilita una buona armonia con quella real corte. Tali e tanti pregi
personali e virtù cospicue s'erano unite in lui, sì riguardevoli e
numerose furono le sue belle azioni, che si accordano i saggi a riporlo
tra i più insigni e rinomati pontefici della Chiesa di Dio. Quanto più
scabrosi erano stati gli affari del governo ecclesiastico e secolare
ne' giorni suoi, tanto più servirono questi a far risplender l'ingegno,
la costanza, la destrezza e la vigilanza sua. Incorrotti e dati alla
pietà erano stati fin dalla puerizia i costumi suoi; maggiormente
illibati si conservarono sotto il triregno. Niuno andò innanzi a lui
nell'affabilità ed amorevolezza. Con istrette misure amò il fratello
e i nipoti, obbligandoli a meritarsi colle fatiche gli onori; e videsi
in fine che più di lui si mostrarono benefici i susseguenti pontefici
verso la casa Albani. Loro ancora insegnò la moderazione, col congedar
da Roma la moglie del fratello, la quale si ricordava troppo di aver
per cognato un pontefice romano. Grande fu la sua profusione verso
dei poveri; più di ducento mila scudi impiegò in lor sollievo. Rinovò
il lodevol uso di san Leone il Grande col comporre e recitare nella
basilica Vaticana, in occasion delle principali solennità, varie
omelie, che saran vivi testimonii anche presso i posteri della sua
sacra eloquenza. Amatore dei letterati, promotore delle lettere e
delle belle arti, accrebbe il lustro alla pittura, alla statuaria e
all'architettura; introdusse in Roma l'arte dei musaici, superiore in
eccellenza agli antichi, e la fabbrica degli arazzi, che gareggia coi
più fini della Fiandra. Arricchì di manuscritti greci e d'altre lingue
orientali la Vaticana; istituì premii per la gioventù studiosa; ornò
d'insigni fabbriche Roma ed altri luoghi dello Stato ecclesiastico.
Che più? fece egli conoscere quanto potea unita una gran mente con una
ottima volontà in un romano pontefice. Il di più delle sue gloriose
azioni si può raccogliere dalla Vita di lui con elegante stile latino
composta e pubblicata dall'abbate Pietro Polidori; giacchè all'assunto
mio non è permesso di dirne di più.

Entrarono in conclave i cardinali elettori, e colà comparve ancora
il _cardinale Alberoni_. Non s'era mai veduta sì piena di gente la
piazza del Vaticano, come quel dì, in cui egli fece la sua entrata nel
conclave. Concorsero poscia nel dì 8 di maggio i voti dei porporati
nella persona del _cardinale Michel Angelo dei Conti_ di nobilissima ed
antichissima famiglia romana, che avea dato alla Chiesa di Dio altri
romani pontefici ne' secoli addietro, il di cui fratello era duca di
Poli, e il nipote duca di Guadagnola. Prese egli il nome d'_Innocenzo
XIII_. Indicibile fu il giubilo di Roma tutta al vedere sul trono
pontifizio collocato un suo concittadino, e non minore fu il plauso
di tutta la cristianità per l'elezione d'un personaggio assai rinomato
per la sua saviezza e pietà, per la pratica degli affari ecclesiastici
e secolari, e per l'inclinazione sua alla beneficenza e clemenza. Nel
dì 18 del suddetto mese con gran solennità nella basilica Vaticana
ricevette la sacra corona, e quindi si applicò con attenzione al
governo, e pubblicò un giubileo. Da che mancò di vita il buon _Clemente
XI_, siccome dicemmo, uscì da' suoi nascondigli il _cardinale Giulio
Alberoni_, secondo le costituzioni anch'egli invitato all'elezione
del futuro pontefice, e non meno a lui che al _cardinale di Noaglies_
fu inviato salvocondotto, affinchè liberamente potessero intervenire
al conclave. Vi andò l'Alberoni; e, terminata la funzione, si fermò
come incognito a Roma, e ricusò d'uscirne, benchè ammonito. Non tardò
il novello pontefice per conto di questo porporato a far conoscere la
sua prudenza congiunta insieme coll'amore della giustizia, con dire ai
cardinali deputati della congregazione per processarlo: che se aveano
pruove tali da poterlo condannare, tirassero innanzi, perchè darebbe
mano al gastigo. Ma che se tali pruove mancassero, ordinava che si
mettesse a riposare quel processo. Così in fatti da lì a qualche tempo
avvenne: laonde l'Alberoni e la sua fortuna in faccia del mondo in fine
nel 1723 risorse.

Diede molto da discorrere in questi tempi un altro personaggio, cioè
l'_abbate Du-Bois_, arcivescovo di Cambrai, primo ministro e favorito
del _duca d'Orleans_ reggente in Francia, che nel dì 16 di luglio
venne promosso al cardinalato. Come per forza fu condotto il santo
padre a conferire la sacra porpora ad uomo tale, perchè i di lui
costumi tutt'altro meritavano che questo sacro distintivo del merito.
Tanta nondimeno fu la pressura del duca reggente per questo suo idolo,
che il buon pontefice, affinchè nei tempi correnti colla ripulsa non
peggiorassero gli affari della religione in Francia, e colla speranza
di ricavarne vantaggi per essa, s'indusse a sacrificare ogni riguardo
all'intercessione ed impegno di sì rispettabil promotore. Chi ebbe a
presentare la berretta cardinalizia a questo nuovo porporato, esegui
l'ordine del santo padre di leggergli il catalogo delle azioni della
sua vita passata, siccome ben note alla santità sua, con poscia dirgli
che il pontefice sperava da lì innanzi un uomo nuovo nella sua persona,
e che il viver suo corrisponderebbe alla dignità e al santo impiego
di vescovo e cardinale. La risposta del Du-Bois fu, che il santo
padre nè pur sapeva tutti i trascorsi di lui, ma che in avvenire tali
sarebbero le operazioni sue, che il mondo s'accorgerebbe d'aver egli
con gli abiti esterni cangiati ancora gl'interni. Come egli mantenesse
la parola, nol so dir io; convien chiederlo agli storici franzesi.
Certo è ch'egli divenne allora primo ministro della corte di Francia,
e che il piissimo pontefice ritenne sempre come una spina nel cuore la
memoria di questa sua forzata risoluzione. Poco per altro godè delle
sue fortune il Du-Bois, perchè la morte venne a terminarle nell'agosto
del 1725. Fece all'incontro il pontefice _Innocenzo XIII_ risplendere
la sua gratitudine verso il defunto papa _Clemente XI_, di cui era
creatura, col conferire la sacra porpora a don _Alessandro Albani_,
fratello del _cardinale Annibale_ camerlengo.

Intanto continuarono i timori dell'Italia per la peste di Marsilia, che
dopo aver fatto strage grande in quella città, secondo il solito, quivi
andò cessando. Ma s'era già estesa per tutta la Provenza, con penetrar
anche nella Linguadoca, e far gran paura a Lione. Le città di Arles,
Tolone, Avignone, Oranges ed altre ne rimasero fieramente afflitte.
Fortuna fu che questo flagello accadesse in tempo esente dalle guerre,
cioè dal passaporto, per cui esso troppo facilmente si diffonde sopra
i vicini; e però tanto la corte di Francia che quella di Torino e la
repubblica di Genova, con gli altri potenti, sì saggi regolamenti di
forza e di precauzione adoperarono, che di questo morbo desolatore non
parteciparono le altre provincie entro e fuori d'Italia. Nel dì 17 di
settembre in Parigi terminò i suoi giorni in età di settantasette anni
_Margherita Luigia_ figlia di _Gastone duca d'Orleans_, cioè di un
fratello di _Luigi XIII_ re di Francia, e gran duchessa di Toscana. Noi
vedemmo questa principessa maritata nel 1661 col gran duca _Cosimo III
de Medici_, poscia per dispareri fra loro insorti ritirata in Francia,
senza voler più rivedere la Toscana. Cessò per la sua morte un'annua
pensione di quaranta mila piastre, che le pagava il gran duca, principe
che in questi tempi combatteva colla vecchiaia, e fece più d'una volta
temer di sua vita. Gran solennità fu in Roma nel dì 15 di novembre nel
possesso preso dal sommo pontefice della chiesa Lateranese. Di questa
suntuosa funzione goderono anche il principe ereditario di Modena
_Francesco d'Este_, e la principessa _Carlotta Aglae di Orleans_ sua
consorte, i quali in quest'anno andarono girando per le città più
cospicue d'Italia. Fu ancora in questi tempi pubblicato il matrimonio
di _madamigella di Monpensier_, sorella di essa principessa di Modena,
con _Luigi principe di Asturias_, primogenito di _Filippo V_ re di
Spagna; siccome ancora gli sponsali dell'infanta primogenita di Spagna
col Cristianissimo re _Luigi XV_. Non avea questa ultima principessa
che circa quattro anni di età, laonde fu conchiuso di mandarla in
Francia, per essere quivi educata, finchè fosse atta al compimento
di questo matrimonio. Nel dì 13 di giugno seguì un trattato di pace e
concordia fra il _re Cattolico_ e _Giorgio I_ re d'Inghilterra, senza
che espressamente fosse ceduto alla corona d'Inghilterra il dominio
dell'isola di Minorica e di Gibilterra. Ma agl'Inglesi bastò che tal
cessione costasse dalla pace di Utrecht, confermata in questo trattato.
Nello stesso giorno ancora si stabilì una lega difensiva fra le
suddette due potenze e quella di Francia.



    Anno di CRISTO MDCCXXII. Indiz. XV.

    INNOCENZO XIII papa 2.
    CARLO VI imperatore 12.


Godevansi in questo tempo i frutti della pace in Italia, e spezialmente
le città maggiori sfoggiavano in divertimenti e solazzi, se non che
durava tuttavia l'apprensione della pestilenza, che andava serpeggiando
per la Provenza e Linguadoca, scemandosi nondimeno di giorno in
giorno il suo corso o per mancanza di essa, o per le buone guardie
fatte dai circonvicini paesi. In Roma e in altre città dai ministri
di Francia e Spagna grandi allegrezze si fecero per li matrimonii del
re Cristianissimo coll'infanta di Spagna, e del principe di Asturias
colla figlia del duca reggente. Fu fatto nel dì 9 di gennaio il cambio
di queste principesse ai confini dei regni nell'isola dei Fagiani; e
l'infanta, tuttochè non per anche moglie, cominciò a godere il titolo
di regina di Francia. Fece poi essa il suo ingresso a Parigi nel dì
primo di marzo con quella ammirabil magnificenza che massimamente
nelle funzioni straordinarie suol praticare quella gran corte. Pensò
in questi tempi il re di Sardegna _Vittorio Amedeo_ di accasare
anch'egli l'unico suo figlio _Carlo Emmanuele_ duca di Savoia, e scelse
per consorte di lui _Anna Cristina_ principessa palatina della linea
de' principi di Sultzbac, figlia di Teodoro conte palatino del Reno,
la quale portò seco in dote, oltre alla bellezza, ogni più amabile
qualità. Seguì in Germania questo illustre sposalizio, e nel mese di
marzo comparve essa principessa in Italia, con ricevere per gli Stati
della repubblica di Venezia e di Milano ogni più magnifico trattamento.
Giunta a Vercelli, ivi trovò il re e la regina di Sardegna, che
l'accolsero con tenerezza. Suntuose allegrezze dipoi decorarono il suo
arrivo a Torino. Vennero nel marzo suddetto a Firenze i principi di
Baviera, cioè _Carlo Alberto_ principe elettorale, il duca _Ferdinando_
e il principe _Teodoro_ a visitar la gran principessa _Violante_ loro
zia, governatrice di Siena; e di là passarono i due primi a Roma, a
Napoli, a Venezia e ad altre città, con ricevere dappertutto singolari
onori, ancorchè secondo l'etichetta viaggiassero incogniti. Diede
fine al suo vivere nel dì 12 di agosto dell'anno presente _Giovanni
Cornaro_ doge di Venezia, a cui nella stessa dignità succedette nel dì
28 di esso mese _Sebastiano Mocenigo_. Suntuoso armamento per terra e
per mare fece in questi tempi la Porta Ottomana; e perchè insorsero
non lievi sospetti nell'isola di Malta che quel turbine avesse da
scaricarsi colà, il gran maestro non ommise diligenza alcuna per aver
ben fortificata e provveduta di tutto il bisognevole quella città
e fortezze. Chiamò colà ancora i cavalieri, ed implorò dal sommo
pontefice un convenevol soccorso. Si videro poi rondare per il mare
di Sicilia alquanti vascelli turcheschi, e questi anche tentarono
di sbarcar gente nell'isola del Gozzo; ma ritrovata quivi buona
guarnigione, il bassà comandante si ridusse a chiedere con minaccie al
gran maestro la restituzione di tutti gli schiavi turchi. Ne ricevette
per risposta, che questa si farebbe, qualora i corsari africani
rendessero gli schiavi cristiani, ch'erano in tanto maggior numero.
Se ne andarono que' Barbari, e cessò tutta l'apprensione. In fatti
non pensava allora il gran signore a Malta, ma bensì alle terribili
rivoluzioni della monarchia persiana, che in questi tempi maggiormente
bolliva per la ribellione del Mireveis. Di esse voleva profittare la
Porta, ed altrettanto meditava di fare il celebre imperadore della
Russia _Pietro Alessiowitz_.

Niun principe cattolico v'era stato che non si fosse compiaciuto
dell'esaltazione del cardinale Conti al trono pontifizio. Più degli
altri se ne rallegrò il _re di Portogallo_, giacchè in addietro non
solamente era egli stato nunzio apostolico a Lisbona, ma anche nel
cardinalato protettore della sua corona in Roma. Poco nondimeno stette
a nascere non piccolo dissapore fra la santa Sede e quel monarca.
Avea il pontefice, in vigore dei suoi saggi riflessi, richiamato
dalla corte di Portogallo _monsignor Bichi_ nunzio apostolico; ma
intestossi quel regnante di non voler permettere che il Bichi se ne
andasse, se prima non veniva decorato della sacra porpora, per non
essere da meno dei tre maggiori potentati della cristianità, dalle
corti de' quali ordinariamente non partono i nunzii senza essere alzati
al grado cardinalizio. Parve al sommo pontefice sì fatta pretensione
poco giusta, nè andò esente da sospetto di qualche reità lo stesso
peraltro innocente nunzio Bichi, quasichè egli contro le costituzioni
apostoliche volesse prevalersi della protezione di quel monarca per
carpire a viva forza un premio che dovea aspettarsi dall'arbitrio
e dalla prudenza del pontefice suo sovrano. Perciò s'imbrogliarono
sempre più le faccende, e il papa, risoluto di conservare la sua
dignità, stette saldo in richiamare il Bichi, avendo già inviato
colà _monsignor Firrao_, il quale presentò il breve della sua
nunziatura, senza prima avvertire se il predecessore lasciava a lui
libero il campo. Costume fu del re di Portogallo, giacchè non poteva
coll'angusta estensione del suo regno uguagliar le principali potenze
della cristianità, di superarle colla magnificenza de' suoi ministri.
Godeva specialmente Roma della profusione de' suoi tesori, sì perchè
l'ambasciator portoghese sfoggiava nelle spese, e sì ancora perchè il
re, invogliatosi di avere nel suo patriarca dell'Indie un ritratto
del sommo pontefice, si procacciava con man liberale ogni dì nuovi
privilegii dalla santa Sede. Ora si avvisò l'ambasciatore portoghese
di far paura al papa, e ito all'udienza, da che vide di non far
breccia nel cuore di sua santità colle pretese ragioni, diede fuoco
all'ultima bomba con dire: _Che se gli era negato quella grazia o
giustizia, avea ordine dal re di partirsi da Roma_. A questa sparata
il saggio pontefice, senza alcun segno di commozione, altra risposta
non diede, se non: _Andate dunque, e ubbidite al vostro padrone_.
Non era fin qui intervenuta una pace ben chiara che sopisse tutte le
controversie vertenti fra l'imperadore e l'Inghilterra dall'un canto,
e il re Cattolico dall'altro. Cioè non avea peranche l'Augusto _Carlo
VI_ autenticamente rinunziato alle sue pretensioni sopra il regno di
Spagna, e nè pure il re _Filippo V_ alle sue sopra i regni di Napoli,
Sicilia, Fiandra e Stato di Milano. Per concordare questi punti si
era convenuto di tenere nel presente anno un congresso in Cambrai; ma
non vi si sapea ridurre il re Cattolico, patendo talvolta i monarchi
troppo ribrezzo a cedere fin le speranze, non che il possesso di
ogni anche menomo Stato: sì forte è l'incanto del Dominamini nel loro
cuore. Faceva in questo mentre gran premura Cesare per ottener dalla
santa Sede l'investitura di Sicilia e di Napoli: al che non si era
saputo indurre papa _Clemente XI_, nè fin qui il regnante _Innocenzo
XIII_, per l'opposizione che vi facea la corte di Spagna. Prevalsero
infine i pareri della sacra corte in favore d'esso Augusto, giacchè
ai diritti di lui s'aggiungeva il rilevante requisito del possesso.
Pertanto nel dì 9 di giugno dell'anno presente, secondo la norma delle
antiche bolle, fu data all'imperadore l'investitura dei regni suddetti:
risoluzione, che quanto piacque alla corte cesarea, altrettanto
probabilmente dispiacque a quella di Spagna.



    Anno di CRISTO MDCCXXIII. Indizione I.

    INNOCENZO XIII papa 3.
    CARLO VI imperatore 13.


Era già pervenuto all'età di ottantun anni e due mesi _Cosimo III de
Medici_ gran duca di Toscana, mercè della sua temperanza, perchè nella
virilità divenuto troppo corpolento, abbracciata poi una vita frugale,
potè condurre sì innanzi la carriera del suo vivere. Ma finalmente
convien pagare il tributo, a cui son tenuti i mortali tutti. Nel dì 31
di ottobre dell'anno presente passò egli a miglior vita, con lasciare
un gran desiderio di sè nei popoli suoi: principe magnifico, principe
glorioso per l'insigne sua pietà, pel savio suo governo, con cui sempre
fece goder la pace ai sudditi in tante pubbliche turbolenze, e procurò
loro ogni vantaggio; siccome ancora per la protezion della giustizia e
delle lettere, e per le altre più riguardevoli doti che si ricercano
a costituire i saggi regnanti. Mirò egli cadente l'illustre sua casa
per gli sterili matrimonii del fu suo fratello principe _Francesco
Maria_, e del già defunto gran principe _Ferdinando_ suo primogenito,
e del vivente _don Giovanni Gastone_ suo secondogenito. Vide ancora
in sua vita esposti i suoi Stati all'arbitrio dei potentati cristiani,
che ne disposero a lor talento, senza alcun riguardo alle alte ragioni
di lui e della repubblica fiorentina, che inclinavano a chiamare
a quella successione il _principe di Ottaiano_, discendente da un
vecchio ramo della casa de Medici. Al duca Cosimo intanto succedette
il suddetto _don Giovanni Gastone_, unico germoglio maschile della
casa de Medici regnante, la cui sterile moglie _Anna Maria Francesca_,
figlia di _Giulio Francesco_ duca di _Sassen Lawemburg_, viveva in
Germania separata dal marito. Mancò parimente di vita in questo anno
a dì 12 di marzo _Anna Cristina di Baviera_ principessa di Sultzbach,
moglie di _Carlo Emmanuele_ duca di Savoia, dopo aver dato alla luce
un principino, che venne poi rapito dalla morte nel dì 11 d'agosto del
1725. Gran duolo che fu per questo nella real corte di Torino, e sopra
i medici si andò a scaricare il turbine, quasi che per aver fatto cavar
sangue al piede della principessa, l'avessero incamminata all'altro
mondo. Arrivò nell'aprile di quest'anno a Roma _monsignor Mezzabarba_,
già spedito negli anni addietro alla Cina con titolo di vicario
apostolico, per esaminare sul fatto i tanto contrastati riti che dai
missionarii si permettevano a quei novelli cristiani. Portò seco alcuni
ricchi regali, inviati da quell'imperadore al santo padre, ed insieme
in una cassa il cadavero del _cardinal di Tournon_, già morto in
Macao. Perchè restò accidentalmente bruciata una nave, su cui venivano
assaissimi arredi e curiosità della Cina, Roma perdè il contento di
vedere tante altre peregrine cose di quel rinomato imperio.

Godevansi per questi tempi in Italia le dolcezze della pace universale,
segretamente nondimeno turbate dal tuttavia ondeggiante conflitto
degl'interessi e delle pretensioni dei potentati. Ad altro non pensava
la corte di Spagna che a spedire in Italia l'_infante don Carlo_,
primogenito del secondo letto del re _Filippo V_, affinchè si trovasse
pronto, in occasion di vacanza, a raccogliere la succession della
Toscana e di Parma e Piacenza, che nei trattati precedenti gli era
stata accordata. Ma perchè non compariva disposto il re Cattolico alle
rinunzie che si esigevano dall'imperador _Carlo VI_, nè al progettato
congresso di Cambrai, per ultimar le differenze, davano mai principio
i plenipotenziarii di Spagna; pericolo vi fu che il suddetto Augusto
spingesse in Italia un'armata per disturbare i disegni del gabinetto
spagnuolo. Medesimamente in gran moto si trovava la corte di Toscana,
siccome quella che non sapea digerire la destinazion di un erede di
quegli Stati fatta dal volere ed interesse altrui, e molto meno il
progetto di metter ivi presidii stranieri durante la vita dei legittimi
sovrani. Non era inferiore l'alterazione della corte pontificia per
l'affare dei ducati di Parma e Piacenza, che, in difetto dei maschi
della casa Farnese, aveano da ricadere alla camera apostolica; e pure
ne aveano disposto i potentati cristiani in favore dei figli della
Cattolica regina di Spagna _Elisabetta Farnese_, con anche dichiararli
feudi imperiali. Non mancò il pontefice _Innocenzo XIII_ di scrivere
più brevi e doglianze alle corti interessate in questa faccenda. Fece
anche fare al congresso di Cambrai per mezzo dell'abbate Rota, auditore
di _monsignor Massei_ nunzio apostolico nella corte di Parigi, una
solenne protesta contro la disegnata investitura di quegli Stati. Ma
è un gran pezzo che la forza regola il mondo; ed è da temere che lo
regolerà anche nell'avvenire. Attendeva in questi tempi il magnifico
pontefice ad arricchir di nuove fabbriche il Quirinale per comodo
della corte, mentre la fabbrica del corpo, infestata da varii incomodi
di salute, andava ogni di più minacciando rovina. Dopo avere il gran
mastro dei cavalieri di Malta fatto di grandi spese per ben guernire
l'isola contro i tentativi dei Turchi, e ottenuta promessa di soccorsi
dal papa e dai re di Spagna e Portogallo, finalmente si avvide che
a tutto altro mirava il gran signore col suo potente armamento. La
Persia lacerata da una terribil ribellione era l'oggetto non men
della Porta Ottomana che di _Pietro_ insigne imperador della Russia,
essendosi sì l'una che l'altro preparati per volgere in lor pro la
strepitosa rivoluzion di quel regno, che in questi tempi era il più
familiar trattenimento dei novellisti d'Italia. Nel dì 2 di dicembre
dell'anno presente da morte improvvisa fu rapito _Filippo duca
d'Orleans_ reggente, e poi ministro del regno di Francia: principe che
in perspicacia di mente e prontezza d'ingegno non ebbe pari. Coll'aver
conservato la vita del re _Luigi XV,_ e fattolo coronare, smontò ogni
calunnia inventata contro la sua fedeltà ed onore. Colse il _duca di
Borbone_ il buon momento, e portata al re la nuova della morte d'esso
duca di Orleans, ottenne di essere preso per primo ministro.



    Anno di CRISTO MDCCXXIV. Indizione II.

    BENEDETTO XIII papa 1.
    CARLO VI imperadore 14.


Grande strepito per Italia fece nell'anno presente l'atto eroico del
Cattolico re _Filippo V_. Questo monarca fin da' suoi primi anni
imbevuto delle massime della più soda pietà, che egli poi sempre
accompagnò colle opere, stanco e sazio delle caduche corone del mondo,
prese la risoluzione di attendere unicamente al conseguimento di quella
corona che non verrà mai meno nel regno beatissimo di Dio. Perciò,
dopo avere scritta a _don Luigi_ principe di Asturias suo primogenito
una sensata ed affettuosissima lettera, in cui espresse i principali
doveri d'un saggio re cristiano, nel dì 16 di gennaio solennemente
gli rinunziò il governo dei regni, dichiarandolo re. Riserbossi il
solo palazzo e castello di Sant'Idelfonso col bosco di Bulsain, e una
pensione annua di cento mila doble per sè e per la regina sua moglie
_Elisabetta Farnese_. Di convenevoli appannaggi provvide gl'infanti
figli, cioè _don Ferdinando, don Carlo e don Filippo_. Grande animo si
esige per far somiglianti sacrifizii, maggiore per non se ne pentire.
Con somma saviezza e plauso continuava il suo pontificato _Innocenzo
XIII_, ed era ben degno di più lunga vita, quando venne Dio a chiamarlo
ad una vita migliore. Infermatosi egli sul principio di marzo, terminò
poi nella sera del dì 7 d'esso mese i suoi giorni con dispiacere
universale, e massimamente del popolo romano. Benchè egli fosse
modestissimo ed umilissimo, pure amava la magnificenza, e niun più di
lui seppe conservare la dignità pontificia. Maestoso nel portamento,
senza mai adirarsi o scomporsi, con poche parole, ma gravi, e sempre
con prudenza, rispondeva e sbrigava gli affari. In lui si mirava un
vero principe romano, ma di quei della stampa vecchia. Resta perciò
tuttavia una vantaggiosa memoria del saggio suo governo; governo bensì
breve, ma pieno di moderazione, e che potè in parte servir di esempio
a' suoi successori.

Aprissi dipoi il sacro conclave, e non pochi furono i dibattimenti e
gl'impegni per provvedere d'un nuovo pastore la greggia di Cristo.
Videsi anche allora come i consigli umani cedono all'occulta
provvidenza che governa il mondo e la Chiesa sua santa; perciocchè
caddero tutti i pretendenti a quella suprema dignità, e andò a
terminare inaspettatamente la concorde elezione in chi non pensava al
triregno, nè punto lo desiderava, anzi fece quanta resistenza potè
per non accettarlo, e sarebbe anche fuggito, se avesse potuto. Fu
questi il cardinale _Vincenzo Maria Orsino_, di una delle più illustri
famiglie romane, che quattro sommi pontefici avea dato nei secoli
addietro alla Chiesa di Dio. Suo nipote era il duca di Gravina. Nato
egli nel febbraio del 1649, conservava tuttavia gran vigore di mente
e di corpo. Nell'ordine dei predicatori aveva egli fatto professione,
ed anche attese a predicare la parola di Dio. In età di ventitrè anni
era stato promosso alla sacra porpora da _Clemente X_. Fu prima vescovo
di Siponto, poi di Cesena, e in questi tempi si trovava arcivescovo
di Benevento. Ciò che mosse i sacri elettori ad esaltare quasi in un
momento questo personaggio, fu il credito della sua sempre incolpata
vita, della sua incomparabil pietà e zelo ecclesiastico, e del suo
sapere: doti singolari, delle quali avea dato di grandi pruove in
addietro nel suo pastoral governo. Convenne chiamare il generale
dei domenicani, riconosciuto sempre da lui per superiore, acciocchè
gli ordinasse in virtù di santa ubbidienza di accettare il papato.
Prese egli il nome di _Benedetto XIII_ in venerazione di _Benedetto
XI_, pontefice di santa vita e dello stesso ordine di San Domenico.
La sua gratitudine verso tutti i cardinali concorsi all'elezione sua
maggiormente attestò le qualità dell'ottimo suo cuore; spezialmente
stese la beneficenza sua verso i due cardinali Albani.

Correano già molti anni che il fisco imperiale si manteneva in
possesso della città di Comacchio e suo distretto. Agitata in Roma
la controversia di chi ne fosse legittimo padrone, o la camera
apostolica o il duca di Modena (la cui nobilissima casa estense da
più secoli riconosceva quella città dalle investiture cesaree, e
non già dalle pontificie), tuttavia restava pendente. Fece il saggio
pontefice _Innocenzo XIII_ ogni sforzo per ricuperarne il possesso,
ben consapevole di che conseguenza sia, in materia massimamente di
Stati, questo vantaggio, ed avea già disposta la corte imperiale a
sì fatta cessione. Ma non potè esso papa godere il frutto dei suoi
maneggi, perchè rapito troppo presto dalla morte. Diede compimento
a questo affare il suo successore _Benedetto XIII_ nel dì 25 di
novembre dell'anno presente, con accordare a sua maestà cesarea le
decime ecclesiastiche per tutti i suoi regni, con rilasciare tutte
le rendite percette, e poscia premiare con un cappello cardinalizio
il figlio del conte di Sinzendorf, primo ministro cesareo, che avea
cooperato non poco all'accordo. Fu dunque conchiusa in Roma fra i
_cardinali Paolucci_ e _Cinfuegos_ plenipotenziarii delle parti la
restituzione del possesso di Comacchio alla santa Sede, con espressa
dichiarazione nondimeno: _Possessionem Comacli a sacra Caesarea
majestate eo dumtaxat pacto dimitti, ut in eamdem Sedes apostolica
restituatur, ut prius, ita scilicet, ut neque eidem Sedi apostolicae
per hanc restitutionem aliquid novi juris tributum, neque Imperio, vel
domui Atestianae quidquam juris sublatum esse censeatur; sed sacrae
Caesareae majestatis, et Imperii, domusque Atestinae jura omnia tam
respectu possessorii, quam petitorii, salva remaneant, neminique ex
hoc actu praejudicium ullum irrogatum intelligatur, usquedum cognitum
fuerit, ad quem Comaclum pertineat_. Fu poi data esecuzione a questo
trattato nel dì 20 di febbraio dell'anno seguente. Se ne rallegrò tutta
Roma; non così la casa d'Este. Correndo il dì 25 di marzo di quest'anno
arrivò al fine di sua vita in Torino madama reale _Maria Giovanna
Batista_ figlia di _Carlo Amedeo_ duca di Nemours e d'Aumale, e madre
del re di Sardegna _Vittorio Amedeo_, in età d'anni ottanta. Non
volle ulteriormente differire quel real sovrano il nuovo accasamento
del duca di Savoia _Carlo Emmanuele_ suo figlio, e gli scelse per
moglie _Polissena Cristina_ figlia di _Ernesto Leopoldo_ langravio di
Assia-Rheinfelds Rotemburgo; e venuto il luglio del presente anno, si
mise essa in viaggio alla volta d'Italia. Portatosi il re Vittorio col
figlio e con tutta la corte in Savoia, accolse, dopo la metà di agosto,
la nuora in Tonon, e colla maggior solennità la introdusse a suo tempo
in Torino.

Videsi intanto un'impensata vicenda delle cose del mondo nella corte
di Spagna. Sorpreso dai vaiuoli il re _Luigi_, dopo aver goduto per
poco più di sette mesi il regno, terminò in età di diecisette anni il
corso della vita, e fu dalle lagrime d'ognuno onorato il suo funerale.
Avrebbe, secondo le costituzioni, dovuto a lui succedere il principe
_don Ferdinando_ suo fratello; ma trovandosi egli in età non peranche
capace di governo, il real consiglio supplicò il re _Filippo V_ di
ripigliar le redini, richiedendo ciò la pubblica necessità. Volle sua
maestà ascoltare anche il parer dei teologi, e trovatolo non conforme
al sentimento del consiglio, restò in grande perplessità. Contuttociò
prevalsero le ragioni che il richiamarono al regno, e però nel dì 6
di settembre pubblicò un decreto, ossia una protesta di riassumere
lo scettro, come re naturale e proprietario, finchè il principe
di Asturias _don Ferdinando_ fosse atto al governo, riserbandosi
nulladimeno la facoltà di continuare nel regno, se così portasse il
pubblico bene; siccome dipoi avvenne, avendo egli governato, finchè
visse, con somma saviezza ed attenzione i suoi regni. Giacchè il
seguente anno era destinato al solenne giubileo di Roma, già intimato
alla cristianità, il santo pontefice _Benedetto XIII_ ne fece con tutta
divozion l'apertura verso il fine di dicembre, cioè nella vigilia del
santo Natale. Pubblicò ancora la risoluzione sua di celebrare nella
domenica in Albis del seguente anno un concilio provinciale nella
basilica Lateranense, con invitarvi i vescovi compresi nella provincia
romana, e tutti i suggetti a dirittura alla santa Sede.



    Anno di CRISTO MDCCXXV. Indizione III.

    BENEDETTO XIII papa 2.
    CARLO VI imperadore 15.


Con gran concorso di pellegrini divoti fu celebrato nel presente
anno in Roma il solenne giubileo, e fra gli altri cospicui personaggi
concorse a partecipar di queste indulgenze la vedova gran principessa
di Toscana _Violante di Baviera_, la quale se ricevette le maggiori
finezze dal sommo pontefice e da tutta quella nobiltà, lasciò anch'ella
ivi un'illustre memoria della sua insigne pietà e liberalità. Grande
occasione fu questo giubileo al santo padre _Benedetto XIII_ di
esercitar pienamente le tante sue virtù, delle quali parleremo andando
innanzi. E siccome egli era indefesso in tutto ciò spezialmente che
riguarda la religione, così nel dì 15 di aprile diede principio nella
basilica Lateranense al concilio provinciale, a cui intervenne gran
copia di cardinali, vescovi ed altri prelati. Vi si fecero bellissimi
regolamenti intorno alla disciplina ecclesiastica, essendo state prima
ben ventilate le materie in varie congregazioni dei più assennati
teologi. Volle il sommo pontefice che i vescovi non sentissero il
peso della lor dimora in Roma, con far somministrar loro le spese
dalla camera apostolica. Nel dì 5 di giugno fu posto fine a quella
sacra assemblea, ammirata e benedetta da tutto il popolo romano, che
da tanti anni indietro non ne avea mai goduta la maestà. In questi
medesimi giorni il Campidoglio romano rinovò un'illustre cerimonia
non più veduta dopo il tempo di Francesco Petrarca. Cioè dal senatore
e dai conservatori del popolo fu con gran solennità conferita la
corona d'alloro al cavalier _Bernardino Perfetti_ Senese, poeta
rinomato pel possesso delle scienze migliori, e massimamente per la
sua impareggiabile facilità ad improvvisare in versi italiani, e versi
pieni di sugo e non di sole frasche. Onorarono quella funzione parecchi
porporati e la suddetta gran principessa di Toscana. Non trascurò
intanto il buon pontefice alcun mezzo per frastornare i disegni
dei potentati sopra Parma e Piacenza; ma con poca fortuna, essendo
improvvisamente scoppiata una pace stabilita in Vienna fra l'imperadore
e il re Cattolico, senza che vi s'interponessero coronati mediatori,
e senza aver cura degl'interessi dei principi alleati. Come questa
nascesse, gioverà saperlo.

S'era fin qui nel congresso di Cambrai fatto un gran cambio di parole
e ragioni fra i ministri delle corone per giugnere ad una vera pace
universale. Ma una remora troppo possente era sempre l'affare di
Minorica e Gibilterra; pretendendone gli Spagnuoli la restituzione,
benchè ne avessero fatta in Utrecht la cessione, e negandola
gl'Inglesi; di modo che apparenza non v'era di sciogliere questo
nodo, per cui tutti gli altri restavano sospesi. Avvenne che il baron
di Ripperda Giovanni Guglielmo, uomo ardito olandese, che, come i
razzi, fece dipoi una luminosa ma assai breve comparsa nel teatro del
mondo, segretamente mosse parola in Vienna di una pace privata fra
l'_imperador Carlo VI_ e il re Cattolico _Filippo V_; e questa non
cadde in terra. Premeva a sua maestà cesarea di mettere fine ad ogni
pretension della Spagna sopra gli Stati di Napoli, Sicilia, Milano
e Fiandra. Più era vogliosa la corte di Spagna di risparmiare una
chiara rinunzia a Gibilterra e Minorica, e di assicurare all'_infante
don Carlo_ la succession della Toscana e di Parma e Piacenza: al che
spezialmente porgeva continui impulsi la regina _Elisabetta Farnese_,
intenta al bene degli infanti suoi figli; e tanto più per udirsi
infestata da molti incomodi la sanità del gran duca _Giovanni Gastone
de Medici_. Posta tale vicendevole disposizione d'animi, non riuscì
difficile lo strignere l'accordo. Fu esso stipulato in Vienna nel dì
30 di aprile, e l'impensata sua pubblicazione sorprese ognuno: tanta
era stata la segretezza del trattato. La sostanza principale di quegli
articoli consisteva nella rinunzia fatta da Cesare a tutti i suoi
diritti sulla corona di Spagna, con ritenerne il solo titolo, sua
vita durante; e a stabilire che essa corona non si avesse mai ad unire
con quella di Francia. All'incontro anche il re Cattolico _Filippo V_
rinunziava in favore dell'augusta casa d'Austria tutte le sue ragioni
sopra Napoli, Sicilia, Stato di Milano e Fiandra, siccome anche
annullava il patto della reversione pel regno di Sicilia. Un altro
importantissimo punto ancora si vide assodato. Nel dì 6 di dicembre
dell'anno precedente avea l'imperadore _Carlo VI_ formata e pubblicata
una prammatica sanzione, per cui, in difetto di maschi, era chiamata
all'intera successione di tutti i suoi regni e Stati l'_arciduchessa
Maria Teresa_ sua primogenita con vincolo di fideicommisso e
maggiorasco: decreto che venne poi accettato e confermato da tutti i
tribunali dei suoi dominii. Ora anche il re Cattolico accettò la stessa
prammatica sanzione, obbligandosi di esserne garante e difensore.
Finalmente fra le parti fu accordato, che venendo a mancare la linea
mascolina del gran duca di Toscana, e del duca di Parma e di Piacenza,
si devolverebbono i loro Stati colla qualità di feudi imperiali
all'infante _don Carlo_ primogenito della regina di Spagna _Elisabetta
Farnese_, restando il porto di Livorno libero sempre, come si trovava
in questi tempi. Seguì parimente una lega e un trattato di commercio
fra i suddetti sovrani. Nel dì 7 di giugno di quest'anno con altri
atti fu confermata la suddetta concordia, accolta precedentemente con
isdegno da chi ne era rimasto escluso; e massimamente perchè Cesare si
obbligò di non opporsi, in caso che la Spagna tentasse di ricuperar
colla forza Minorica e Gibilterra. Quei nobili Spagnuoli che aveano
seguitato l'Augusto Carlo in Germania, e in vigore di questa pace se
ne tornarono in Ispagna a godere i lor beni liberati dalle unghie
del fisco, trovarono pregiudiziale la mutazion del clima; perchè
infermatisi, in men di un anno cessarono di vivere.

Nella primavera dell'anno presente diede la corte di Francia non
poco da discorrere ai politici. Un'infermità sopraggiunta al giovane
re _Luigi XV_ in grande apprensione ed affanno avea tenuto tutti i
sudditi suoi, amantissimi sopra gli altri popoli de' loro monarchi.
Perfettamente si riebbe la maestà sua; ma questo pericolo fece
conoscere al suo ministero la necessità di non differir maggiormente
di procurare al re una consorte che conservasse e propagasse la sua
discendenza. Dimorava in Parigi l'_infanta di Spagna_, a lui destinata
in moglie, che già per tale speranza godeva il titolo di _regina_; ma
questa principessa avea solamente nel dì 31 di marzo compiuto l'anno
settimo dell'età sua, e troppo perciò conveniva aspettare, acciocchè
fosse atta alle funzioni del matrimonio. Fu dunque presa la risoluzione
di rimandarla con tutto decoro in Ispagna; nè si tardò ad eseguirla.
Per atto sì inaspettato restarono talmente amareggiati il re e la
regina di Spagna, che richiamarono tosto da Parigi i lor ministri, e
rimandarono anch'essi in Francia _madama di Beaujolais_, figlia del
fu duca d'Orleans reggente, la quale avea da accoppiarsi in matrimonio
coll'_infante don Carlo_; e questa poi s'unì nel viaggio colla sorella,
vedova del defunto re di Spagna _Luigi_, la qual parimente se ne
tornava a Parigi. Contribuì non poco questa rottura ad accelerar la
pace suddetta fra l'imperadore e il re Cattolico. Fu allora che la
gente curiosa prese ad indovinare qual principessa avrebbe la fortuna
di salire sul trono di Francia; ma niuno vi colpì. Con istupore
d'ognuno s'intese dipoi che il re, o, per dir meglio, il duca di
Borbone primo ministro avea prescelta la _principessa Maria_ figlia di
_Stanislao re di Polonia_, ma di solo nome. Videsi questa principessa,
nel mese di settembre, condotta con gran pompa da Argentina al talamo
reale. Attendendo in questi tempi il pontefice _Benedetto XIII_ non
meno al pastoral governo che all'economia de' suoi Stati, pubblicò
nel dì 15 d'ottobre una utilissima bolla intorno all'annona di Roma
e all'agricoltura di que' paesi. Non così fu applaudita nel giugno di
questo anno la promozione alla sacra porpora da lui fatta di monsignor
_Niccolò Coscia_, prevedendo già i più saggi che questo personaggio,
favorito non poco dall'ottimo pontefice, si sarebbe col tempo abusato
della confidenza e bontà del santo padre, il quale non mai dicendo
_basta_ alla gratitudine sua, volle premiare l'antica servitù di questo
soggetto, e col tempo gli procacciò anche il ricco arcivescovato di
Benevento. S'egli fosse meritevole di tanti favori, ce ne avvedremo
andando innanzi.



    Anno di CRISTO MDCCXXVI. Indizione IV.

    BENEDETTO XIII papa 3.
    CARLO VI imperadore 16.


Da che fu alzato alla dignità pontifizia il cardinale Orsino, uno
spettacolo insolito, che tirava a sè gli occhi d'ognuno, era la sua
maniera di vivere. Non solamente il pontefice nulla avea sminuito
dell'umiltà, virtù la più favorita di _Benedetto XIII_, ma parea
che l'avesse accresciuta. Non sapeva egli accomodarsi a quella
pompa e magnificenza che vien creduta un ingrediente necessario per
maggiormente imprimere ne' popoli il rispetto dovuto a chi è insieme
sommo pontefice e principe grande. Sui principii bramò egli d'uscir di
palazzo senza guardie, e come povero religioso in una chiusa carrozza,
per andare alle frequenti sue visite delle chiese e degli spedali,
oppure al passeggio. Gli convenne accomodarsi al ripiego de' più
saggi, cioè di portarsi alle sue divozioni accompagnato da un semplice
cappellano con poche guardie, recitando egli nel viaggio la corona
ed altre orazioni. Cassò nondimeno, come creduta da lui superflua, la
compagnia delle lancie spezzate. Chi entrava nella camera sua penava a
trovarvi un romano pontefice, perchè non v'erano addobbi o tappezzerie,
ma solamente sedie di paglia ed immagini di carta con un Crocefisso.
Andava talvolta a pranzo nel refettorio de' padri domenicani della
Minerva, come un di essi, altra distinzion non ammettendo di cibo o di
sedia, se non che stava solo ad una delle tavole. Al generale d'essi
religiosi, ch'egli riguardava sempre come suo superiore, non isdegnava
di baciar la mano. Non volle più che gli ecclesiastici, venendo alla
sua udienza, gli s'inginocchiassero davanti. Intervenne talvolta
al coro coi canonici in San Pietro, o pure nel coro dei religiosi;
senz'altra distinzione che di sedere nel primo luogo sotto piccolo
baldacchino.

Lungo sarebbe il registrare i tanti atti dell'umiltà sì radicata in
lui, che sembravano forse eccessi agli occhi di chi era avvezzo a
mirar la maestà e splendidezza de' suoi antecessori, ma non già agli
occhi di Dio. Eminente ancora si facea conoscere in questo pontefice
il suo staccamento dai legami del sangue e dell'interesse. Amava
molto il duca di Gravina suo nipote, e qualche poco anche il di lui
fratello Mondillo; ma troppo abborriva il nepotismo. Niun d'essi
volle egli al palazzo, molto meno gli mise a parte alcuna del governo;
tuttochè, per giudizio de' saggi, meglio fosse stato per la santità
sua il valersi del primo, cioè d'un degno e virtuoso signore, che
di altre persone alzate agli onori, le quali, unicamente curando i
proprii vantaggi, trascurarono affatto l'onore e la gloria del loro
benefattore. Solamente promosse all'arcivescovato di Capoa il nipote
minore; e questo non per suo genio, ma per le tante batterie di chi
favoriva la casa Orsina, e stette più forte contro tante altre usate
per impetrargli il cardinalato. Amantissimo della povertà il santo
padre, non per altro cercava il danaro che per diffonderlo sopra i
poveri, o per esercitar la sua liberalità e gratitudine. Al cattolico
re d'Inghilterra _Giacomo III Stuardo_ accrebbe l'appannaggio, e donò
tutti i magnifici mobili del pontefice suo predecessore, ascendente
al valore di trenta mila scudi. Per far limosine avrebbe venduto, se
avesse potuto, fino i palagi; e intanto egli dedito alle penitenze e ai
digiuni, non volendo che una povera mensa, convertiva in sovvenimento
degl'infermi e bisognosi i regali e le rendite particolari che a lui
provenivano. Faceva egli nel medesimo tempo l'uffizio di vescovo e
parroco, conferendo la cresima e gli ordini al clero, benedicendo
chiese ed altari, assistendo ai divini uffizii e al confessionale,
visitando non solamente i cardinali infermi, ma talvolta ancora povera
gente, e comunicando di sua mano la famiglia del palazzo. Queste erano
le delizie dell'indefesso e piissimo successore di san Pietro, non
lasciando egli perciò di accudire al buon governo politico de' suoi
Stati, e alla difesa ed aumento della religione.

Abitava da gran tempo in Roma il suddetto _re Giacomo_, favorito
dai pontefici ed onorato da ognuno per l'alta qualità del suo
grado. L'aveva Iddio arricchito di due figliuoli, principi di grande
espettazione. Ma erano sopravvenute in addietro dissensioni fra lui
e la regina sua consorte _Clementina Sobieschi_, a cagione delle
quali questa piissima principessa s'era ritirata nel monistero di
Santa Cecilia, pretendendo che il marito avesse da licenziar dalla
sua corte alcune persone per giusti sospetti da essa non approvate.
Si erano interposti i più attivi e manierosi porporati, e principi e
principesse, per la riunione d'essi, ma con sempre inutili sforzi. Lo
stesso pontefice _Benedetto XIII_ non avea mancato d'impiegare i suoi
più caldi uffizii a questo fine; negava anche l'udienza al re, persuaso
che la ragione fosse dal canto della regina. Ora quando la gente
credea rinata fra loro la pace, giacchè era seguito un abboccamento
di questi reali consorti, all'improvviso si vide partir da Roma nel
mese di ottobre il re coi figli, e passar ad abitare in Bologna, dove
prese un palazzo a pigione. Però la compassion di ognuno si rivolse
verso l'afflitta regina sua moglie, e il papa cominciò a negare al re
la rata della pensione a lui accordata. Motivi all'incontro di somma
allegrezza ebbe in questi tempi la real corte di Torino, per aver la
duchessa moglie di _Carlo Emmanuele_ duca di Savoia, e nuora del re
_Vittorio Amedeo_, dato alla luce nel dì 26 di giugno un principe,
che oggidì col nome di _Vittorio Amedeo Maria_, primogenito del re
suo padre, gareggia mercè delle sue nobili qualità coi più illustri
suoi antenati. All'incontro fu in quest'anno la nobilissima città di
Palermo, capitale della Sicilia, un teatro di calamità. Nel principio
della notte nel dì primo di settembre si udì quivi nell'aria un
mormorio terribile e continuo, che durato per un quarto d'ora, cagionò
uno spavento universale, atteso che il cielo era sereno, senza vento e
senza apparenza alcuna di tempo cattivo. Furono anche vedute in aria
due travi di fuoco, che andarono poi a sommergersi in mare. Erano le
quattro ore della notte, quando un orribil tremuoto per lo spazio di
due _Pater noster_ a salti fece traballare tutta la città. Fu scritto,
che la quarta parte d'essa fu rovesciata a terra. File intere di case
e botteghe si videro ridotte ad un mucchio di sassi; assaissime altre
rimasero sommamente danneggiate e minaccianti rovina. Spezialmente
ne patì il palazzo reale, di cui molte parti caddero, talmente che
restò per un tempo inabitabile. La cattedrale ed alcun'altra chiesa
gran danno ne soffrirono; e dalle rovine di quella città furono
tratte ben tre mila persone o morte o ferite. Corse per l'Italia la
relazione di sì funesto spettacolo che metteva orrore in chiunque la
leggeva; ma persone saggie di Palermo a me confessarono, aver la fama
accresciuto di troppo le terribili conseguenze di quel tremuoto, ed
essere stato minore di quel che si diceva, l'eccidio. Intento sempre
lo augusto monarca _Carlo VI_ al bene e vantaggio dei suoi sudditi
d'Italia, procurò in quest'anno, coll'interposizione della Porta
Ottomana la pace e libertà del commercio fra i suoi Stati, e il bey o
dey di Tunisi, e la reggenza di quella città. Gli articoli ne furono
conchiusi nel dì 23 di settembre. Altrettanto ancora ottenne egli dalla
reggenza di Tripoli, in modo che le navi di sua bandiera doveano in
avvenire andar sicure dagl'insulti di quei corsari. Con qual fedeltà
poi essi Barbari, troppo avvezzi al mestiere infame della pirateria,
eseguissero somiglianti trattati, lo sanno i poveri cristiani. Sempre
sarà (non si può tacere) vergogna dei potentati della cristianità sì
cattolici che protestanti, il vedere che in vece di unir le lor forze
per ischiantar, come potrebbono, quei nidi di scellerati corsari,
vanno di tanto in tanto a mendicar da essi con preghiere e regali, per
non dire con tributi, la loro amistà, che poscia alle pruove si trova
sovente inclinare alla perfidia. Tante vite di uomini, tanti milioni
s'impiegano dai cristiani per far guerra fra loro: perchè non volgere
quell'armi contro i nemici del nome cristiano, turbatori continui della
quiete e del commercio del Mediterraneo? Di più non ne dico, perchè so
che parlo al vento.



    Anno di CRISTO MDCCXXVII. Indizione V.

    BENEDETTO XIII papa 4.
    CARLO VI imperadore 17.


Giunse al fine di sua vita il dì 26 di febbraio dell'anno presente
_Francesco Farnese_ duca di Parma e Piacenza, nato nel dì 19 di maggio
del 1678; principe che avea acquistato il credito di rara virtù e
di molta prudenza nel governo dei suoi popoli. Ancorchè, per esser
difettoso di lingua, ammettesse pochi all'udienza sua, pure, non meno
per sè che per via d'onorati ministri, accudì sempre all'amministrazion
della giustizia, e mantenne la quiete nei suoi Stati, avendogli servito
non poco a conservarlo immune dai guai fra i pubblici torbidi la
parzialità e riguardo che aveano per lui le corti d'Europa, a cagione
della generosa regina di Spagna _Elisabetta_ sua nipote _ex fratr_e, e
figlia della duchessa _Dorotea_ sua propria moglie. A lui succedette
nel ducato il principe _Antonio_ suo fratello, nato nel dì 29 di
novembre del 1679. A questo principe (giacchè il fratello duca avea
perduta la speranza di ricavar successione dal matrimonio suo) più
volte s'era progettato di dar moglie, affinchè egli tentasse di tenere
in piedi la vacillante sua nobil casa; ma sempre in fumo si sciolse
ogni suo trattato, per non accordarsi i fratelli nell'appannaggio che
egli pretendeva necessario al suo decoro nella mutazion dello stato.
Così i poco avveduti principi d'Italia, per volere ristretta nella sola
linea regnante la propagazion del loro sangue, e col non procurare che
una linea cadetta possa ammogliandosi supplire i difetti eventuali
della propria, han lasciato venir meno la nobilissima lor prosapia
con danno gravissimo anche de' popoli loro sudditi. Erano assai
cresciuti gli anni addosso al duca Antonio, aveva egli anche ereditata
la grassezza del padre; pure tutti i suoi ministri, e del pari la
corte di Roma, l'affrettarono tosto a scegliersi una consorte abile a
rendere frutti. Fu dunque da lui prescelta la principessa _Enrichetta
d'Este_ figlia terzogenita di _Rinaldo_ duca di Modena, avendo anche
questo principe sacrificato ogni riguardo verso le figlie maggiori per
la premura di veder conservata la riguardevol casa Farnese. Dugento
mila scudi romani furono accordati in dote a questa principessa, e sul
fine di luglio si pubblicò esso matrimonio, con ottenere la necessaria
dispensa da Roma per la troppa stretta parentela. Ognun si credeva che
grande interesse avesse il duca Antonio di unirsi senza perdere tempo
colla disegnata sposa; pure con ammirazione e dolor di tutti si vide
differita questa funzione sino al febbraio del seguente anno.

Al _marchese di Ormea_, ministro di rara abilità di _Vittorio Amedeo_
re di Sardegna, riuscì in quest'anno di superar tutte le difficoltà
che fin qui aveano impedito l'accordo delle differenze vertenti fra
la sua corte e quella di Roma. Il buon pontefice _Benedetto XIII_,
nel cui cuore non allignavano se non pensieri e desideri di pace, non
solamente condiscese a riconoscere per re di Sardegna esso sovrano,
ma eziandio gli accordò non poche grazie e diritti, contrastati in
addietro dai suoi due predecessori. Era poi gran tempo che questo papa
ardeva di voglia di portarsi a Benevento, parte per consacrar ivi una
chiesa fabbricata in onore di San Filippo Neri, alla cui intercessione
si protestava egli debitor della vita, allorchè restò seppellito
sotto le rovine del tremuoto di quella città; e parte per consolare
colla sua presenza il popolo beneventano, per cui egli conservò sempre
un amore che andava anche agli eccessi; e tanto più perchè riteneva
tuttavia quell'arcivescovato. Per quanto si affaticassero i porporati
per attraversare questo suo dispendioso disegno, non vi fu ragione che
potesse distornarlo dalla presa risoluzione. Dopo aver dunque fatto
un decreto, che, in caso di sua morte, il sacro collegio tenesse il
conclave in Roma, nel marzo di quest'anno si mise in viaggio a quella
volta con picciolo accompagnamento di gente, ma con gran copia di
sacri ornamenti e regali per le chiese di Benevento, e gran somma di
danaro per riversarlo in seno dei poveri. Due corsari, informati del
suo viaggio, sbarcarono a Santa Felicita; ma il colpo andò fallito,
e si sfogò poscia il lor furore sopra que' poveri abitanti. Giunse
a Benevento il santo padre nel dì primo di aprile. Gran concorso di
popolo fu a vederlo ed ossequiarlo; e siccome egli di nulla più si
compiaceva, che delle funzioni episcopali, così impiegò ivi il suo
tempo in consecrar chiese ed altari, in predicare, in amministrare
sacramenti, in servire i poveri alla mensa, e in altri piissimi
impieghi del genio suo religioso. Nel dì 12 di maggio fece poi
partenza di colà, e pervenuto a San Germano nel dì 18, quivi con gran
solennità consecrò la chiesa maggiore. Fu in Monte Casino, dove, come
se fosse stato semplice religioso, gareggiò coll'esemplarità e pietà
di que' monaci, assistendo anch'egli al coro della mezza notte. Gran
consolazione si provò in Roma all'arrivo della santità sua in quella
capitale, succeduto nel dì 28 del mese suddetto.

Miravansi intanto gli affari dei potentati cristiani in un segreto
ondeggiamento. Disgustata era la corte di Spagna con quella di Francia
per la principessa rimandata a Madrid. Più grave ancora si conosceva
la discordia sua con quella d'Inghilterra a cagione di Minorica e
Gibilterra. Un altro affare sturbò la buona armonia fra Cesare e
gli Anglolandi; imperciocchè l'interesse, cioè il primo mobile del
gabinetto dei regnanti, avea servito ai consiglieri cesarei per indurre
l'Augusto Carlo VI ad istituire, o pure ad approvare una grandiosa
compagnia di commercio in Ostenda: il qual progetto se fosse andato
innanzi, minacciava un colpo mortale al commercio dell'Inghilterra
ed Olanda. Pretendeano quelle potenze un sì fatto istituto contrario
ai patti delle precedenti leghe, tacciando anche d'ingratitudine sua
maestà cesarea, che aiutata da tanti sforzi di gente e danaro da esse
marittime potenze per ricuperar la Fiandra, si volesse poi valere della
medesima conquista in sommo loro danno e svantaggio. Ma i ministri di
Vienna, siccome partecipi delle rugiade provenienti da Ostenda, teneano
saldo il buon imperadore nel sostegno di quella compagnia. Se n'ebbe
ben egli col tempo a pentire. Per opporsi dunque al proseguimento
di quella compagnia, si formò in Annover nel 1725 una lega fra la
Francia, Inghilterra e Prussia, a cui poscia si accostarono anche gli
Olandesi. S'era all'incontro l'Augusto Carlo maggiormente stretto col
re di Spagna. Aveano in questi tempi gl'inglesi con una squadra dei
lor vascelli sequestrata in Porto Bello la flotta che dovea portare
i tesori in Ispagna. Da tale ostilità commossi gli Spagnuoli, oltre
all'essersi impadroniti del ricchissimo vascello inglese chiamato
principe Federigo, andarono a mettere, nel febbraio di quest'anno,
l'assedio a Gibilterra. Gran vigore mostrarono gli offensori, ma molto
più i difensori; laonde perchè non v'era apparenza di sottomettere
quella piazza, e perchè intanto furono sottoscritti in Parigi alcuni
preliminari di aggiustamento fra i potentati cristiani, al che
spezialmente si erano affaticati i ministri del papa, e più degli altri
_monsignor Grimaldi_ nunzio pontifizio in Vienna, quell'assedio, dopo
alcuni mesi inutilmente spesi, terminò in nulla. Venne intanto nel dì
22 di giugno a mancar di vita, colpito da improvviso accidente verso
Osnabruk nel passare ad Hannover, _Giorgio I_ re della Gran Bretagna,
e a lui succedette in quel regno, concordemente ricevuto da quei
parlamenti, _Giorgio II_ principe di Galles, suo primogenito.

Stava attento ad ogni spirar d'aura in quelle parti il Cattolico
re _Giacomo III Stuardo_; e verisimilmente isperanzito che avesse
in Inghilterra per la morte di quel regnante da succedere qualche
cangiamento in suo favore, all'improvviso si partì da Bologna, e passò
in Lorena, con ridursi poscia ad Avignone. Scandagliati ch'egli ebbe
gli affari dell'Inghilterra, trovò preclusa ogni speranza ai proprii,
e però quivi fermò i suoi passi. Aveva egli lasciati in Bologna i due
principi suoi figli; e giacchè in fine s'era ridotto ad allontanare
dal suo servigio il Lord Eys, e sua moglie, la regina _Clementina
Sobieschi_, consigliata dal papa e dai più saggi porporati, alla metà
del mese di luglio sen venne a quella città, dove abbracciò i figli
con tal tenerezza, che trasse le lagrime dagli occhi di tutti gli
astanti. Fermossi ella di poi in essa città, attendendo continuamente
alle sue divozioni, giacchè per le visite e per li divertimenti non
era fatto il suo cuore. Passava questa santa principessa le giornate
intere in orazioni davanti il santissimo Sacramento. Nel novembre di
questo anno venne in Italia il _principe Clemente_ elettor di Colonia,
fratello dell'_elettor di Baviera_ e della gran principessa di Toscana
_Violante_, con animo di farsi consecrare arcivescovo dal pontefice
_Benedetto XIII_. Per cagion dell'etichetta romana non trovava la
di lui dignità i suoi conti nel portarsi fino a Roma. Lo umilissimo
santo padre, tuttochè dissuaso dai sostenitori del decoro pontifizio,
pure non ebbe difficoltà di passar egli a Viterbo per ivi consecrare
quel principe. Riuscì maestosa la funzione, e corsero suntuosi regali
dall'una e dall'altra parte; ma senza paragone superiori furono quei
dell'elettore, perchè consistenti in sei candellieri d'oro arricchiti
di pietre preziose; in una croce d'oro; in una corona di grosse
perle orientali, i cui _pater noster_ erano di smeraldi incastrati
in oro; in una croce di diamanti di gran valore, e in una cambiale di
ventiquattro mila scudi per le spese del viaggio del santo padre. Altri
presenti toccarono alla famiglia pontifizia. Passò dipoi esso elettore
colla principessa Violante a Napoli, per vedere le rarità di quella
metropoli, e di là venne dipoi ad ammirar le impareggiabili di Roma.
Due padri carmelitani scalzi avea lo stesso pontefice, oppure il suo
predecessore, inviati negli anni addietro alla Cina con ricchi donativi
e lettere all'imperadore di quel vasto imperio. Riportarono essi nel
presente anno due risposte di quel regnante al papa, accompagnate da
una bella lista di donativi, consistenti nelle cose più rare e stimate
di quei paesi.

Con sommo dispiacere intanto udiva il buon pontefice le risoluzioni
prese dall'imperadore di concedere Parma e Piacenza all'_imperador
don Carlo_, come feudi imperiali, in grave pregiudizio de' diritti
della santa Sede, che per più di due secoli avea goduto pubblicamente
il sovrano dominio e possesso di quegli Stati. Intimò pertanto
al nuovo duca _Antonio Farnese_ di prenderne, secondo il solito,
l'investitura dalla Chiesa romana. Ma ritrovossi questo principe
in un duro imbroglio, perchè nello stesso tempo anche da Vienna
gli veniva ordinato di prestare omaggio per esso ducato a Cesare,
da cui si pretendea di dargli l'investitura. Fu poi cagione questo
vicendevole strettoio che il duca non la prese da alcuno. Fece perciò
varie proteste la corte di Roma; e all'incontro più forte che mai
seguitò l'imperadore a sostener quegli Stati, come membri del ducato
di Milano. E perciocchè nell'anno 1720 avea _papa Clemente XI_ fatto
esporre al pubblico due libri contenenti le ragioni della Chiesa
romana sopra Parma e Piacenza, in quest'anno parimente comparve alla
luce un grosso volume, che comprendea le opposte ragioni dell'imperio
sopra quelle città, dove, oltre al vedersi rivangati i principii
del dominio pontifizio nelle medesime, si venne anche a scoprire
che i duchi _Ottavio_ ed _Alessandro Farnesi_ aveano riconosciuto
sopra Piacenza i diritti dell'imperio e del re di Spagna, padrone
allora di Milano. Non bastò al saggio imperadore _Carlo VI_ di aver
procacciala a' suoi sudditi di Napoli, Sicilia e Trieste una spezie
di amicizia o tregua coi corsari di Tripoli e Tunisi. Rinforzò egli
i suoi maneggi per istabilire un simile accordo col dey e reggenza
di Algeri, cioè coi più poderosi e dannosi corsari del Mediterraneo,
valendosi dell'interposizione della porta ottomana amica. Si fecero
coloro tirar ben bene gli orecchi prima di cedere, perchè pretendeano
che l'imperadore facesse anche egli desistere dall'andare in corso
i Maltesi. Se ne scusò Cesare, con dire di non aver padronanza
sopra quell'isola, e molto meno sopra de' cavalieri gerosolimitani.
Finalmente nel dì 8 di marzo dell'anno presente si stipulò in
Costantinopoli l'accordo suddetto, per cui spezialmente gran feste ne
fece la città di Napoli, benchè prevedessero i saggi che poco capitale
potea farsi di una pace con gente perfida e troppo ghiotta di quello
infame mestiere. Cominciarono in fatto a verificarsi nell'anno seguente
queste predizioni.

Ma nel dì 7 di novembre si cangiò in pianto tutta l'allegrezza de'
Napoletani. Perciocchè, dopo avere il Vesuvio gittato per due giorni
delle continue fiumane di bitume infocato, verso la sera del dì
suddetto con orribili tenebre si oscurò il cielo, e dopo un terribile
strepito di tuoni e fulmini, cadde per lo spazio di quattro ore una
sì straordinaria pioggia, che recò gravissimi danni e sconcerti a
quella città e al suo territorio. Quasi non vi fu casa che non restasse
inondata da sì esorbitante copia d'acqua, con lasciar tutte le cantine
e luoghi sotterranei ripieni d'acqua e di fango; e non se ne andò
esente chiesa alcuna. Dalla montagna scendevano furiosi i torrenti, che
atterrarono gran numero di case e botteghe, seco menando gli alberi
divelti dal suolo, e i mobili della povera gente. Gli acquedotti e
canali tutti rimasero rimpiuti di terra. Immenso ancora fu il danno che
ne patì la città d'Aversa colle terre di Giuliano, Piamura, Paretta
ed altre. Se abbondano di delizie quelle contrade, a dure pensioni
ancora son elleno soggette. Gloriosa memoria lasciò in quest'anno
lo zelantissimo pontefice _Benedetto XIII_ con una sua bolla del dì
12 d'agosto, in cui severamente proibì per tutti i suoi Stati il già
introdotto ed affittato lotto di Genova, Napoli e Milano, gran voragine
delle sostanze de' mortali poco saggi e troppo corrivi; e ciò per
avere la Santità sua conosciuti gli enormi disordini che ne provenivano
per le tante superstizioni, frodi, rubamenti, vendite dell'onestà, e
impoverimento delle famiglie. E perchè, ciò non ostante, alcuni, poco
curanti delle pene spirituali e temporali, osarono poscia di continuar
questo giuoco, contra di essi procedè la giustizia, condannandoli al
remo; nè poterono ottenere remissione dal papa, risoluto di voler
liberare i suoi popoli da sanguisuga cotanto maligna. La borsa
pontificia ne patì, ma crebbe la gloria di questo santo pontefice.



    Anno di CRISTO MDCCXXVIII. Indiz. VI.

    BENEDETTO XIII papa 5.
    CARLO VI imperadore 18.


Finalmente nel dì 5 di febbraio dell'anno presente con molta solennità
in Modena seguì lo sposalizio della principessa _Enrichetta d'Este_
con _Antonio Farnese_ duca di Parma, di cui fu mandatario il principe
ereditario di Modena _Francesco_ fratello d'essa. Dopo molti nobili
divertimenti s'inviò la novella duchessa nel dì 7 alla volta di Parma,
dove trovò preparate suntuose feste pel suo ricevimento. Chiarito
ormai il re Cattolico _Giacomo III_ della tranquillità che si godeva
in Inghilterra, e non esservi apparenza che alcun vento propizio si
svegliasse in suo favore, sul principio del gennaio di quest'anno si
restituì a Bologna. Videsi allora la sospirata riunione di lui colla
regina _Clementina_ sua consorte, la cui incomparabil pietà e divozione
non meno stupore, che tenerezza cagionava in tutto quel popolo. E ben
ebbe la città di Bologna motivi di grande allegrezza in questi tempi,
per avere il sommo pontefice _Benedetto XIII_ nel dì 30 di aprile
pubblicato per uno dei cardinali riserbati in petto monsignor _Prospero
Lambertini_ arcivescovo di Teodosia, vescovo d'Ancona, segretario
della congregazion del concilio, e promotor della fede, di nobile ed
antica famiglia bolognese, prelato d'insigne sapere, spezialmente ne'
sacri canoni e nell'erudizione ecclesiastica. Nel qual tempo ancora
fu promosso alla sacra porpora il padre _Vincenzo Lodovico_ Gotti
parimente Bolognese, eletto già patriarca di Gerusalemme, e teologo
rinomato per varii suoi libri dati alla luce. Noi vedremo, andando
innanzi, portato il primo di essi dal raro suo merito alla cattedra di
san Pietro.

Durava tuttavia la spinosa pendenza, fra la corte pontifizia e quella
di Lisbona, per la pretensione mossa da quel re di voler promosso
alla dignità cardinalizia, il nunzio apostolico _Bichi_, prima che
egli si partisse da Lisbona, e nei presenti tempi maggiormente si
vide incalzato il santo padre dai ministri portoghesi su questo
punto. A tante pressure di quel re, stranamente forte in ogni suo
impegno, avrebbe facilmente condisceso il buon pontefice, siccome
quegli che cercava la pace con tutti. Ma costituita sopra questo
affare una congregazion di cardinali, alla testa de' quali era il
cardinal Coradini, uomo di gran petto, fu risoluto di non compiacere
quel monarca, perchè niuno metteva in disputa che il principe possa,
quando e come vuole, richiamare i suoi ministri dalle corti altrui;
nè si dovea permettere un esempio di tanta prepotenza in pregiudizio
dell'avvenire. A tal determinazione il mansueto pontefice si accomodò,
ed attese più che mai a dar nuovi santi alla Chiesa di Dio, e ad
esercitarsi nelle consuete sue azioni pastorali. Ma se n'ebbe forte
a dolere il popolo romano, perchè tanto il _cardinal Pereira_ che
l'ambasciatore di quel re, e i prelati portoghesi, anzi qualsivoglia
persona di quella nazione, ebbero ordine di levarsi da Roma, e da
tutto lo Stato ecclesiastico, e di tornarsene in Portogallo. Il che fu
eseguito, seccandosi con ciò una ricca fontana di oro che scorrea per
tutta Roma. Parve poco questo allo sdegnato re. Comandò che uscisse
dai suoi Stati _monsignor Firrao_, da lui non mai riconosciuto per
nunzio, nè volle lasciar partire _monsignor Bichi_, tuttochè chiamato
coll'intimazion delle censure in caso di disubbidienza, e desideroso di
obbedire. Oltre a ciò, nel mese di luglio vietò a chicchessia dei suoi
sudditi il mettere piede nello Stato ecclesiastico, il cercar dignità
o benefizii dalla santa Sede, il mandare o portar danaro a Roma: con
che restò affatto chiusa la nunziatura e dateria per li suoi Stati.
Finalmente cacciò dal suo regno ogni Italiano suddito del papa, con
proibizione che alcun di essi non entrasse nei suoi territorii. Altro
ripiego non ebbe la corte romana, per tentare un rimedio a questa
turbolenza, che di raccomandarsi all'interposizione del piissimo re
Cattolico _Filippo V_, stante la buona armonia di quella corte colla
portoghese, a cagion del doppio matrimonio stabilito fra loro.

In mezzo nondimeno a sì fatti imbrogli Dio fece godere un'indicibil
consolazione per altra parte al santo pontefice. Siccome uomo di pace,
non avea ommesso uffizio o diligenza alcuna in addietro per vincere
l'animo del _cardinale di Noaglies_ arcivescovo di Parigi, fin qui
pertinace in non volere accettare la bolla _Unigenitus_. Finalmente
cotanto poterono in cuore di quel porporato le amorose esortazioni del
buon pontefice, e il concetto della di lui sanità, e l'aver questo
dichiarato che la dottrina di essa bolla non contrariava a quella
di santo Agostino, che il cardinale s'indusse ad abbracciarla. Per
l'allegrezza di questa nuova, e di una lettera tutta sommessa di quel
porporato, non potè il santo padre contenere le lagrime, e non finì
l'anno ch'egli annunziò nel sacro consistoro questo trionfo della
Chiesa, per cui il Noaglies fu ristabilito in tutti i suoi diritti e
preminenze. Due nobili bolle e molte provvisioni pubblicò nell'anno
presente l'indefesso pontefice pel buon regolamento della giustizia,
affin di troncare il troppo pernicioso allungamento delle liti,
e levare molti altri abusi del foro, degli avvocati, procuratori,
notai ed archivii: regolamenti, i quali sarebbe da desiderare che
si estendessero ad ogni altro paese, e, quel che importa, che si
osservassero; perciocchè ordinariamente non mancano buone leggi, ma
ne manca l'osservanza, e chi abbia zelo per questo. Da molti anni si
trovavano in grande scompiglio i tribunali ecclesiastici della Sicilia
a cagion di quella appellata monarchia, abolita da papa _Clemente
XI_. Facea continue istanze l'imperador Carlo VI che si mettesse fine
a questo litigio; e il santo padre, amantissimo della concordia con
ognuno, vi condiscese con pubblicare nel dì 30 d'agosto una bolla e
concordia, che risecò gli abusi introdotti in quel regno, e prescrisse
la maniera di trattar quivi e definir le cause ecclesiastiche in
avvenire.

Comparvero in questi tempi i potentati Cristiani dell'Europa tutti
vogliosi di stabilire una pace universale. La sola Spagna quella era
che teneva questo gran bene pendente per le sue pretensioni contro
gl'Inglesi, e per alcune difficoltà nell'effettuare quanto era stato
accordato all'_infante don Carlo_, spettante alla successione in
Italia della Toscana e di Parma e Piacenza. Non la sapeva intendere
il gran duca _Giovanni Gastone_, che vivente lui si avesse a mettere
presidio straniero nei suoi dominii, e ricalcitrava forte. Ma da
che furono accordati i preliminari della pace, l'Augusto _Carlo VI_
nel dì 13 d'aprile rilasciò ordini vigorosi, comandando a' popoli
della Toscana di ricevere e riconoscere il suddetto _don Carlo_ per
principe ereditario, e di prestargli quella sommessione ed ubbidienza
che occorreva, senza pregiudizio del vivente gran duca, affinchè,
estinguendosi la linea mascolina dei gran duchi, fosse sicuro il real
principe di prenderne il pieno desiderato possesso, cessando intanto la
disposizione fatta di quegli Stati dal gran duca _Cosimo III_ in favore
della vedova _elettrice palatina_ sua figlia. In vigore dunque di
tali premure si aprì dipoi un congresso dei plenipotenziarii di tutte
le potenze in Soissons, per ismaltire ogni altro punto concernente
la progettata pace, avendo il _cardinale di Fleury_, primo ministro
del re di Francia, desiderato quel luogo vicino a Parigi per teatro
di sì importante affare, a fine di potervi intervenire anch'egli in
persona, e recare più possente influsso alla concordia. Il bello fu
che quei ministri più si lasciavano vedere alle conferenze in Parigi
che in Soissons, per minore incomodo del cardinale, direttor di ogni
risoluzione. Fu in questi tempi dall'imperadore dichiarata Messina
porto franco con sommo giubilo di quegli abitanti. E nel dì 26 d'agosto
diede fine al suo vivere _Anna Maria_ regina di Sardegna, figlia di
_Filippo_ duca _d'Orleans_, cioè del fratello di _Lodovico XIV_ re di
Francia, e moglie del re _Vittorio Amedeo_, in età di cinquantanove
anni. Aveva ella vedute due sue figlie regine di Francia e di Spagna.



    Anno di CRISTO MDCCXXIX. Indiz. VII.

    BENEDETTO XIII papa 6.
    CARLO VI imperadore 19.


L'attenzione di tutta l'Italia, anzi di tutta l'Europa, fu in
quest'anno rivolta al congresso di Soissons, che dovea decidere della
pubblica tranquillità, e stabilir la successione dell'_infante don
Carlo_ nella Toscana e in Parma e Piacenza. Ma si venne scoprendo che
Soissons era una fantasma di congresso, e che il vero laboratorio,
dove si lambiccavano le risoluzioni politiche per la pace, stava nel
gabinetto di Francia, e molto più in quello del re Cattolico. Videsi
quest'ultimo monarca con tutta la sua corte incamminato a Badajos,
dove ai confini del Portogallo si fece cambio delle principesse di
Asturias e del Brasile: nella quale occasione indicibil fu la pompa e
la suntuosità delle feste. Ciò fatto, la corte cattolica, tirandosi
dietro gli ambasciatori ed inviati dei principi, passò a Siviglia,
a Cadice e ad altri luoghi, trattenendosi in quelle parti per tutto
l'anno presente con gravi doglianze della città di Madrid. E intanto,
mentre ognun si aspettava il lieto avviso della pace, altro non si
mirava che preparativi di guerra: sì grandioso era l'armamento di
vascelli spagnuoli e l'accrescimento delle truppe in quel regno,
talmente che da un dì all'altro sembrava imminente un nuovo assedio
di Gibilterra. Non faceva di meno dal canto suo _Giorgio II_ re della
Gran Bretagna, coll'adunare una potente e dispendiosa flotta, non
senza richiami di quella fazione del parlamento che non intendeva le
segrete ruote del ministero, nè qual forza abbia per ottener buona
pace l'essere in istato di far gagliarda guerra. Quasi per tutto
il presente anno s'andarono masticando nei gabinetti le vicendevoli
pretensioni, nè anno mai fu, in cui tante faccende avessero i corrieri,
come nel presente. Andò poscia a terminar questo conflitto di teste
politiche principalmente in gloria e vantaggio della corona di Spagna,
che per lungo tempo diede non solo la corda alle altre potenze, ma
anche in fine la legge alle medesime con ritardare più e più mesi la
distribuzion della flotta delle Indie, felicemente giunta in Ispagna,
in cui tanto interesse aveano i mercatanti d'Italia e di altre nazioni.
Finalmente nel dì 9 di novembre venne sottoscritto in Siviglia un
trattato di pace e lega difensiva fra i re di Francia, Spagna ed
Inghilterra, in cui susseguentemente, nel dì 21 d'esso mese, concorsero
anche le Provincie Unite. Allorchè saltò fuori questa concordia,
inarcarono le ciglia gli sfaccendati politici al vedere che non si
parlava dell'imperadore; e che la Spagna, dianzi collegata con esso,
s'era gettata nel partito delle lega di Hannover. Tanto rumore s'era
fatto dagl'Inglesi affinchè il re Cattolico chiaramente cedesse le
sue ragioni e diritti sopra Minorica e Gibilterra; pure nulla si potè
ottenere di questo: il che nondimeno non ritenne il re d'Inghilterra
dall'abbracciar quell'accordo, giacchè, in vigor della pace d'Utrecht,
tali acquisti erano autorizzati in favor degl'Inglesi, e il re
Cattolico accettava in esso accordo le precedenti paci. Tralasciando
io gli altri punti, solamente dirò, essersi ivi stabilito, che per
assicurare la successione dell'infante don Carlo in Toscana, Parma
e Piacenza, si avessero da introdurre non più Svizzeri, ma sei mila
soldati spagnuoli in Livorno, Porto Ferraio, Parma e Piacenza, con
patto che tali truppe giurassero fedeltà ai regnanti gran duca, e duca
di Parma e Piacenza, e con obbligarsi la Francia e l'Inghilterra di
dar tutta la mano per l'effettuazione di questo articolo, tacitamente
facendo conoscere di voler ciò eseguire anche contro la volontà di
Cesare. Ed ecco il motivo per cui la corte cesarea ricusò d'entrare nel
trattato suddetto di Siviglia, giacchè nelle precedenti capitolazioni
era stabilito che le guarnigioni suddette fossero di Svizzeri, e non
di altra nazione parziale. Probabilmente ancora provò il conte di
Koningsegg, plenipotenziario cesareo in Ispagna, della ripugnanza a
concorrere in quell'accordo, perchè non vide riconosciuti quegli Stati
per feudi imperiali, come portavano i patti. Certamente non si legge
in esso trattato parola che indichi soggezione all'imperial dominio.
Nè si dee tacere che appunto per questo la corte di Roma tentò di
prevalersi di tal congiuntura per far valere le sue ragioni sopra
Parma e Piacenza, senza nondimeno essersi finora osservato ch'ella
abbia guadagnato terreno. Ora il ministero di Vienna restò non poco
amareggiato, perchè il re Cattolico avesse dimenticato così presto
l'obbligata sua fede nel trattato di Vienna del 1725, con alterare
in condizioni così importanti il tenore di essa, e declamava contra
questa sì facile infrazione dei pubblici trattati e giuramenti. Per
conseguente ricusò quella corte di aderire al trattato di Siviglia;
ma non lasciarono per questo i collegati contrarii di Hannover di
far tutte le disposizioni per condurre in Italia don Carlo, ad onta
ancora dell'imperadore; maneggiandosi intanto perchè il gran duca _Gian
Gastone_ ed _Antonio Farnese_ duca di Parma, accettassero di buona
voglia le guarnigioni spagnuole.

Non poterono nè pure in quest'anno i cardinali ritenere il sommo
pontefice _Benedetto XIII_ ch'egli nella primavera non ritornasse a
Benevento, per far ivi le funzioni della settimana santa e di Pasqua.
L'amore d'esso santo padre verso quella città, anzi verso tutti i
Beneventani, passava all'esorbitanza; e tanta copia di quella gente
s'era introdotta in Roma, sempre intenta alla caccia di posti, di
grazie e di benefizii, che lieve non era la mormorazione per questo.
Restituissi dipoi nel dì 10 di giugno la santità sua a Roma ed attese
per tutto il resto dell'anno alle solite funzioni ecclesiastiche
e alle consuete opere di pietà, e a canonizzar santi. Da Bologna
parimente ritornarono a Roma i cattolici re e regina d'Inghilterra in
buon accordo, ed ivi fissarono di nuovo il loro soggiorno. In essa
Roma, in Genova ed altre città, dove si trovavano ministri pubblici
della corte di Francia, suntuose feste si videro solennizzate per la
tanto desiderata e già compiuta nascita di un Delfino, accaduta nel
dì 4 di settembre dell'anno presente: principe che oggidì fiorisce,
e grande espettazione dà ai suoi popoli per la felicità del suo
talento. Si fecero in tal congiuntura quasi dissi pazzie di tripudii ed
allegrezze per tutto quel regno, e fino i più poveri paesi sfoggiarono
in dimostrazioni di giubilo: tanto è l'amore inveterato di que'
popoli verso i loro monarchi. Soprattutto in Roma il _cardinale di
Polignac_ si tirò dietro l'ammirazione d'ognuno per la magnificenza
delle feste e delle invenzioni, colle quali celebrò la nascita di
questo principino. Troppo era portato alla beneficenza e alle grazie
il generoso e disinteressato animo del pontefice _Benedetto XIII_.
Di questa sua nobile, ma talvolta non assai regolata inclinazione
sapeva anche profittare qualche suo ministro, non senza lamenti
degli zelanti che miravano esausto l'erario pontifizio, e accresciuti
gli aggravii alla camera apostolica, in guisa tale che si rendevano
oramai superiori le spese alle rendite annue della medesima. Non era
questo un insolito malore. Anche sotto altri precedenti papi, o per
necessità occorrenti, o per capricci e fabbriche dei regnanti, o per
l'avidità dei non mai contenti nipoti, sovente sbilanciavano i conti
in pregiudizio della medesima camera. Al disordine dei debiti fatti si
rimediava col facile ripiego di crear nuovi luoghi di monti e vacabili:
con che vennero crescendo i tanti milioni di debiti, dei quali anche
oggidì si trova essa camera gravata. Ne' tempi del nepotismo niuno
ardiva di aprir bocca; ma sotto sì umile pontefice animosamente i
ministri camerali vollero nel mese di aprile rappresentar lo stato
delle cose, affinchè dal di lui buon cuore non si aggiugnessero nuove
piaghe alle precedenti. Gli fecero dunque conoscere che prima del
suo pontificato l'entrata annua della camera, per appalti, dogane,
dateria, cancelleria, brevi, spogli ed altre rendite, ascendeva a due
milioni settecento sedici mila e secento cinquanta scudi, dico scudi
2.716,650. Le spese annue, computando i frutti de' monti, vacabili,
presidii, galere, guardie, mantenimento del sacro palazzo, de' nunzii,
provisionati, ec., solevano ascendere a due milioni, quattrocento
trentanove mila e trecentotto scudi, dico scudi 2.439,308, laonde
la camera restava annualmente in avanzo di scudi 277,342. Ma avendo
esso pontefice abolito un aggravio sulla carne e il lotto di Genova,
creati due mila luoghi di monti, accordate non poche esenzioni
e diminuzioni negli appalti (fatti senza le solite solennità),
assegnati o accresciuti salarii ai prefetti delle congregazioni,
legati, tribunali, prelati, ed altre persone, con altre spese che io
tralascio, veniva la camera a spendere più de' tempi addietro scudi
trecento ottantatrè mila e secento ottantasei, dico scudi 383,686; e
però restava in uno sbilancio di circa scudi centoventi mila per anno.
Però si scorgeva la necessità di moderar le spese, e di ordinare un
più fedele maneggio degli effetti camerali, tacitamente insinuando le
trufferie di chi si abusava della facilità del papa; poichè, altrimenti
facendo, conveniva imporre nuove gabelle; dal che era sì alieno il
pietoso cuore del pontefice; o pur si vedrebbe incagliato il pagamento
de' frutti dei monti: il che sarebbe una sorgente d'innumerabili
lamenti e mormorazioni, screditerebbe di troppo la camera, e sommamente
intorbiderebbe il politico commercio. Qual buon effetto producesse
questa rimostranza, converrà chiederlo agl'intendenti romani: io non ne
so dire di più.

Occorse in quest'anno, nel dì 12 di agosto, un terribil fenomeno nel
Ferrarese di là da Po. Dopo le venti ore cominciò ad apparire sopra
la terra di Trecenta ed altre ville contigue il cielo tutto ricoperto
di folte nubi nere e verdi, con alquante striscie come di fuoco in
mezzo ad esse. Dopo la caduta di una gragnuola, due contrarii venti
impetuosissimi si levarono, che spinsero le nuvole a terra, e fecero
come notte, uscendone fuoco che si attaccò a qualche casa e fenile, e
cagionando un fumo denso e rossigno che riempiè di tenebre e di orrore
tutto quel tratto di paese per dodici miglia sino a Castel Guglielmo.
Il principal danno provenne dalla furia impetuosa del vento, che
atterrò in Trecenta circa cento ventotto case colla morte di molte
persone; portò via il tetto e le finestre della parrocchiale; troncò
il campanile di un oratorio, e fece altri lagrimevoli danni. Per la
campagna si videro portati via per aria i tetti di molti fenili, e
fino uomini, carra e buoi, trovati per istrada o al pascolo, alzati
da terra, e furiosamente trasportati ben lungi. Immensa fu la quantità
degli alberi di ogni sorta che rimasero svelti dalle radici, o troncati
all'altezza di un uomo, e spinti fuora del loro sito. Di questa
funestissima e non mai più provata sciagura parteciparono le ville
di Ceneselli, di Massa di sopra e di altri luoghi di que' contorni, i
cui miseri abitanti si crederono giunti alla fine del mondo. Trovossi
in questi tempi il gran duca di Toscana in gravi imbrogli a cagion
del trattato di Siviglia; perchè pulsato dall'una parte dalla Spagna
e dagli alleati di Hannover per ammettere le guarnigioni di don
Carlo nelle sue piazze, e dall'altra battuto da contrarie massime
e pretensioni della corte imperiale. Nel dì 19 di aprile dell'anno
presente per impensato accidente mancò di vita _Antonio Ferdinando
Gonzaga_, duca di Guastalla e principe di Bozzolo, senza prole, e a lui
succedette _Giuseppe Maria_ suo fratello, benchè poco atto al governo.



    Anno di CRISTO MDCCXXX. Indiz. VIII.

    CLEMENTE XII papa 1.
    CARLO VI imperadore 20.


Per tutto quest'anno stette l'Italia in un molesto combattimento fra
timori di guerra e speranze di pace. Non sapea digerire l'Augusto
_Carlo VI_ che, dopo avere la Spagna e tutti gli altri alleati di
Hannover nei solenni precedenti trattati riconosciuto per feudi
imperiali la Toscana, Parma e Piacenza, e stabilita la qualità dei
presidii, avessero poi nel trattato di Siviglia disposto altrimenti
di quegli Stati senza il consenso della cesarea maestà sua. Non già
che gli negasse o intendesse impedire la successione dello _infante
don Carlo_ in quei ducati, ma perchè pretendeva di ammettervelo
nella maniera prescritta concordemente dalla quadruplice alleanza. E
perciocchè crescevano le disposizioni del re Cattolico _Filippo V_ e
delle potenze marittime, per introdurre esso infante in Toscana, si
cominciò a vedere un contrario apparato dalla parte dell'imperadore,
per opporsi a tal disegno. In fatti ecco a poco a poco calare in Italia
circa trenta mila Alemanni, che si stesero per tutto lo Stato di Milano
e di Mantova con aggravio considerabile di que' paesi. Ne fu destinato
generale il _conte di Mercy_. Alcune migliaia d'essi passarono ad
accamparsi nel ducato di Massa e nella Lunigiana, per essere alla
portata di saltare in Toscana, qualora si tentasse lo sbarco delle
truppe spagnuole. Non lasciò indietro diligenza alcuna il gran duca
_Gian Gastone_ per esimere i suoi Stati dall'ingresso dell'armi
straniere; e perchè lo imperadore, con pretendere di non essere più
tenuto ad osservare gl'infranti primieri trattati, fece vigorose
istanze, affinchè esso gran duca prendesse da lui la investitura di
Siena, bisognò accomodarsi, benchè con ripugnanza, a tal pretensione.
A sommossa eziandio della corte di Vienna esso gran duca dichiarò al
ministro di Spagna di non poter acconsentire all'ingresso delle truppe
spagnuole ne' suoi Stati. Non sapevano intendere i politici come il
solo imperadore prendesse a far fronte a tante corone collegale,
massimamente trovandosi egli senza flotte per sostener Napoli e
Sicilia. Ma ossia che la corte di Vienna si facesse forte sul genio del
_cardinale di Fleury_, primo ministro di Francia, inclinato non poco
alla pace; o pure che sperasse col maneggio dei ministri nelle corti,
e colla forza dei suoi guerrieri apparati, di ridurre gli alleati a
condizioni più convenevoli all'imperial sua dignità: certo è ch'esso
Augusto animosamente procedè nel suo impegno; spinse non poche truppe
nei regni ancora di Napoli e Sicilia; e fece quivi e nello Stato di
Milano ogni possibil preparamento di fortificazioni e munizioni per
difesa ed offesa, come se fosse la vigilia di una indispensabil guerra.
Passò nondimeno tutto il presente anno senza che si sguainassero le
spade, ma con batticuore d'ognuno per questa fluttuazione di cose.

Giunse intanto alla meta de' suoi giorni il buon pontefice _Benedetto
XIII_. Il dì 21 di febbraio quello fu che il fece passare ad una vita
migliore nell'anno ottantuno di sua età, dopo un pontificato di cinque
anni, otto mesi e ventitrè giorni. Tali virtù erano concorse nella
persona di questo capo visibile della Chiesa di Dio, che era riguardato
qual santo, e tale si può piamente credere che egli comparisse agli
occhi di Dio. Pari non ebbe la somma sua umiltà, più stimando egli
di esser povero religioso, che tutta la gloria e maestà del romano
pontificato. Nulla cercò egli per li suoi parenti, staccatissimo
troppo dalla carne e dal sangue. Insieme col mirabil disinteresse suo
accoppiava egli non lieve gradimento di donativi, ma unicamente per
esercitare l'ineffabil sua carità verso de' poverelli. Per questi aveva
una singolar tenerezza, e fu veduto anche abbracciarli considerando in
essi quel Dio, di cui egli serbava in terra le veci. Le sue penitenze,
i suoi digiuni, la sua anche eccessiva applicazione alle funzioni
ecclesiastiche, il suo zelo per la religione, e tant'altre belle
doti e virtù, gli fabbricarono una corona che non verrà mai meno. E
perciocchè singolare fu sempre la sua pietà, la sua probità, la sua
rettitudine, si videro anche relazioni di grazie concedute da Dio per
intercession di questo santo pontefice tanto in vita che dopo la sua
morte. Solamente in lui si desiderò quell'accortezza, che è necessaria
al buon governo politico ed economico degli Stati, sì per sapere
scegliere saggi ed incorrotti ministri, e sì per guardarsi dalle frodi
ed insidie de' cattivi. Questo solo mancò alla compiuta gloria del suo
pontificato, essendosi trovati i ministri della sua maggior confidenza
che stranamente si abusarono dell'autorità loro compartita, e con
ingannevoli insinuazioni corruppero non di rado le sante intenzioni
di lui, attendendo non già all'onore dell'innocente santo padre,
ma solamente alla propria utilità, e per vie anche sordidissime. Nè
già è credibile che i buoni disapprovassero la beneficenza di questo
pontefice verso le chiese del regno di Napoli, ch'egli, a norma del
santo pontefice Innocenzo XII, esentò dagli spogli; e molto meno
l'aver egli proibito il lotto di Genova, cioè una gran propina della
borsa pontificia; nè l'aver vietato l'imporre pensioni alle chiese
aventi cure d'anime, tuttochè poi cessassero con lui così lodevoli
costituzioni; e nè pure altre simili sue beneficenze. Quello che non si
potè sofferire, fu l'avere gli avvoltoi beneventani intaccata in varie
biasimevoli maniere la camera apostolica, vendute le grazie e favori,
contro il chiaro divieto delle sacre ordinanze, e defraudata in troppe
occasioni la retta mente del buon pontefice; il quale, benchè talvolta
avvertito dei loro eccessi, tentò bene di provvedervi, ma indarno,
non essendo mancati mai artifizii a que' cattivi strumenti per far
comparire calunnie le vere accuse.

Ora appena si seppe avere il buon pontefice spirata l'anima, che si
sollevò poca plebe contra degli odiati Beneventani, incitata, come fu
creduto, da mano più alta, allorchè vide due familiari del _cardinal
Coscia_ condotti alle pubbliche carceri. Saputosi che lo stesso
porporato, cioè chi maggiormente avea fatta vendemmia sotto il passato
governo con assassinio della giustizia e delle leggi più sacrosante,
s'era ritirato in un palagio, corse colà, e minacciollo d'incendio.
Ebbe maniera il Coscia di salvarsi, e andò a ritirarsi in Caserta
presso di quel principe. Furono trasportate in castello Sant'Angelo
le di lui argenterie, suppellettili e scritture. Accordatogli poscia
un salvocondotto, tornò egli a Roma; e, per timore del popolo,
nascosamente entrò in conclave, dove non gli mancarono attestati dello
sprezzo universale di lui. Non pochi furono i Beneventani che colla
fuga si sottrassero all'ira del popolo e alle ricerche della giustizia.
Si accinse dipoi il sacro collegio a provveder la Chiesa di Dio di
un nuovo pastore. Per più di quattro mesi durò la dissensione e il
combattimento fra que' porporati, e videsi con ammirazione di tutti
che, oltre alla fazione imperiale e a quella dei Franzesi e Spagnuoli,
saltò su ancora la non mai più intesa fazione de' Savoiardi, capo di
cui era il _cardinale Alessandro Albani_. Sarebbe da desiderare che
quivi non altro tenessero davanti agli occhi i sacri elettori, se non
il maggior servigio di Dio e della Chiesa, e che restasse bandito
dal conclave ogni riguardo od interesse particolare. Per cagion di
questo nel maggior auge abbattuti si trovarono i cardinali _Imperiale,
Ruffo, Corradini_ e _Davia_, che pur erano dignissimi del triregno. Si
trovò sulle prime scavalcato per l'opposizione dei cesarei anche il
_cardinale Lorenzo Corsini_, di ricca e riguardevol casa fiorentina;
ma raggruppatosi in fine il negoziato per lui, fu nel dì 12 di luglio
concordemente promosso al sommo pontificato. Pervenuto all'età di
settantanove anni, non lasciava egli di esser robusto di mente e di
corpo; porporato veterano nei pubblici affari, di vita esemplare, e
ben fornito di massime principesche. Prese egli il nome di _Clemente
XII_, in venerazion del gran _Clemente XI_ suo promotore. Nè tardò
egli a far conoscere l'indignazione sua contra del _cardinale Coscia_,
privandolo di voce attiva e passiva, e vietandogli l'intervenire alle
congregazioni. Altri prelati e ministri del precedente pontificato
furono o carcerati o chiamati ai conti, come prevaricatori e rei di
avere tradito un pontefice di tanta integrità, e recato non lieve danno
alla camera apostolica. Deputò egli per questo una congregazione dei
più saggi e zelanti cardinali, con ampia autorità di procedere contra
di sì fatti trasgressori, ad esempio ancora dei posteri. Vietò al
suddetto cardinale di uscire dello Stato ecclesiastico, e gl'interdisse
l'esercizio di tutte le funzioni arcivescovili in Benevento, con
insinuargli eziandio di rinunziar quell'insigne mitra, di cui s'era
egli mostrato sì poco degno. Per questa severità, e per tanto amore
alla giustizia, gran credito sulle prime si acquistò il novello
pontefice, se non che ebbe maniera il Coscia di ottenere la protezion
della corte di Vienna, che col tempo impedì che egli non fosse punito a
misura dei suoi demeriti.

Fra i più illustri principi che si abbia mai avuto la real casa di
Savoia, veniva in questi tempi conceduto il primo luogo a Vittorio
Amedeo re di Sardegna, siccome quegli che, portando unita insieme una
mente maravigliosa con un raro valore e una corrispondente fortuna,
avea cotanto dilatati i confini de' suoi Stati, e portata una corona
e un regno nella sua nobilissima famiglia. S'era questo generoso
principe, pieno sempre di grandi idee, ma regolate da una singolar
prudenza, tutto dato alla pace, a far fiorire il commercio ed ogni
arte nel suo dominio, a fortificar le sue piazze, ad accrescere le
forze militari e gl'ingegneri, e massimamente a fabbricare con grandi
spese la quasi inespugnabil fortezza della Brunetta, e ad abbellire ed
accrescere di abitazioni Torino. Con un corpo di leggi avea prescritto
un saggio regolamento alla buona amministrazione della giustizia ne'
suoi tribunali e a molti punti riguardanti il bene de' sudditi suoi.
Aveva anche ultimamente atteso a far fiorire le lettere col fondare
una insigne università, a cui chiamò de' rinomati professori di tutte
le scienze: nella qual congiuntura con istupore d'ognuno levò le
scuole ai padri della compagnia di Gesù, e agli altri regolari ancora
in tutti i suoi Stati di qua dal mare, per istabilire una connessione
e corrispondenza di studii fra l'università di Torino e le scuole
inferiori con un migliore insegnamento per tutti i suoi Stati d'Italia.
Mentre egli era intento ad altre gloriose azioni, eccolo nel presente
anno determinarne una che ben può dirsi la più eroica e mirabile che
possa fare un regnante. Era questo sempre memorabil sovrano giunto
all'età di sessantaquattro anni, e provava già più d'un incomodo alla
sua sanità per le tante passate applicazioni della mente. Sul principio
di settembre fatto chiamare _Carlo Emmanuele_ principe di Piemonte,
unico suo figlio, a lui spiegò la risoluzione di rinunziargli la
corona e il supremo governo de' suoi Stati; perchè intenzion sua era di
riposare oramai, e di liberarsi da tutti gl'imbarazzi, per prepararsi
posatamente alla grande opera dell'eternità. Restò sorpreso il giovane
figlio a questa proposizione; e per quanto seppe, con gittarsi anche
in ginocchioni, il pregò, quando pure volesse sgravarsi d'un peso,
di cui era più la maestà sua che esso figlio capace, di dichiararlo
solamente luogotenente generale, con ritenere la sovranità e il diritto
di ripigliar le redini, quando trovasse ciò più utile al bisogno de'
sudditi: _No_ (replicò il re), _verisimilmente io potrei talvolta
disapprovare quel che faceste: però o tutto, o nulla. Io non vo'
pensarvi in avvenire_.

Convenne cedere alla paterna determinazione e volontà. E però nel dì
3 del suddetto mese, convocati al palazzo di Rivoli i ministri e molta
nobiltà, dopo aver detto ch'egli si sentiva indebolito dall'età e dalle
cure difficili di tanti anni del suo governo, rinunziava il trono al
principe suo figlio amantissimo, colla soddisfazione di rimettere la
sua autorità in mano di chi era egualmente degno di essa, che atto
ad esercitarla. Aver egli scelto Sciambery per luogo del suo riposo;
e perciò ordinare a tutti, che da lì innanzi ubbidissero al figlio,
come a lor legittimo sovrano. Di questa rinunzia seguirono gli atti
autentici, e nel giorno appresso Vittorio Amedeo non più re, benchè
ognuno continuasse anche da lì innanzi a dargli il titolo di re, andò a
fissare il suo soggiorno nel castello di Sciambery, con quella stessa
ilarità di animo con cui altri saliscono sul trono. Un gran dire fu
per questa novità. Chi immaginò presa tal risoluzione da lui perchè
avesse dianzi contratto degl'impegni con gli alleati di Hannover, e
che, vedendo cresciute cotanto con pericolo suo l'armi di Cesare nello
Stato di Milano, trovasse questa maniera di disimpegnar la sua fede.
Sognarono altri ciò proceduto dall'aver egli sposata nel dì 12 del
precedente agosto la vedova contessa di San Sebastiano della nobil
casa di Cumiana, dama di cinquant'anni, per avere chi affettuosamente
assistesse al governo della sua sanità, e non per altro motivo; ed
affinchè un tal matrimonio non potesse per le precedenze alterar la
buona armonia colla real principessa sua nuora, aver egli deposta
la corona. Tutte immaginazioni arbitrarie ed insussistenti di gente
sfaccendata: quasichè alle supposte difficoltà non avesse saputo un
sovrano di tanta comprensione facilmente trovare ripiego, e ritenere
tuttavia lo scettro in mano. La verità fu, che motivi più alti mossero
quel magnanimo principe a spogliarsi della temporale caduca corona,
per attendere con più agio all'acquisto di un'eterna, e tanto più
perchè certi interni sintomi già facevano apprendere non molto lungo
il resto del suo vivere. Passò dipoi a Torino colla corte il nuovo re
_Carlo Emmanuele_, e ricevette il giuramento di fedeltà da chi dovea
prestarlo. Convien confessarlo: incredibil fu il giubilo o palese o
segreto di que' popoli per tal mutazione di cose, perchè il re Vittorio
Amedeo pareva poco amato da molti, ed era temuto da tutti; laddove il
figlio, principe di somma moderazione e di maniere affatto amabili,
facea sperare un più dolce e non men giusto governo in avvenire.

A questa scena dell'Italia un'altra ancora se ne aggiunse che grande
strepito fece sui principii, e maggiore andando innanzi. Più secoli
erano che la repubblica di Genova signoreggiava la riguardevol isola
e regno della Corsica. Si contavano varie sollevazioni o ribellioni di
quei feroci e vendicativi popoli nei tempi addietro, quetate nondimeno
o dalla prudenza o dalla forza de' medesimi Genovesi. Ma nella
primavera dell'anno presente da piccoli principii nacque una sedizione
in quelle contrade, pretendendo essi popoli d'essere maltrattati dai
governatori della repubblica. Uniti i malcontenti coi capi dei banditi,
andarono ad assediar la Bastia; ma sì buone parole o promesse furono
adoperate, che si ritirarono, con restar nondimeno in armi circa venti
mila persone, le quali maggiormente si accesero alla ribellione, perchè
si avvidero di non corrispondere i fatti alle promesse. Non mancavano
a quegli ammutinati motivi di giuste doglianze, che cadevano nondimeno
la maggior parte contra de' governatori, intenti a far fruttare il loro
ministero alle spese della giustizia e dei sudditi. Pretendevano lesi
i lor privilegii, divenuto tirannico il governo genovese, e sfoderavano
una lista di tanti aggravii finora sofferti, che intendevano di non più
sofferire da indi avanti. Nel consiglio di Genova fu udito il parere
di Girolamo Veneroso, il quale sostenne che a guarir quella piaga si
avessero da adoperar lenitivi, e non ferro e fuoco; e però i saggi,
sapendo quanto quel gentiluomo nel suo savio governo si fosse cattivato
gli animi dei Corsi, giudicarono bene di appoggiare a lui questa cura.
Ma frutto non se ne ricavò, perchè senza saputa sua attrappolato un
capo dei sediziosi, fu privato di vita: il che maggiormente incitò
in quei popoli le fiamme dell'ira. E tanto più perchè prevalse poi
in Genova il partito de' giovani, ai quali parve che l'uso delle armi
e del gastigo con più sicurezza ridurrebbe al dovere i sediziosi. Se
n'ebbero ben a pentire. Circa cinque mila soldati furono dipoi spediti
dai Genovesi in Corsica, creduti bastante rinforzo agli altri presidii
per ismorzare quell'incendio. Nella primavera di quest'anno la piccola
città di Norcia, patria di san Benedetto, situata nell'Umbria, per un
terribil tremuoto restò quasi interamente smantellata e distrutta. A
riserva di due conventi e del palazzo della città, le altre fabbriche
andarono per terra, con restar seppellite sotto le rovine più centinaia
di que' miseri abitanti. Si ridussero i rimasti in vita a vivere nella
campagna, e gravissimo danno ne risentirono anche le terre e i villaggi
circonvicini.



    Anno di CRISTO MDCCXXXI. Indizione IX.

    CLEMENTE XII papa 2.
    CARLO VI imperadore 21.


Non mancarono faccende in questo anno al sommo pontefice _Clemente
XII_. Nulla valsero le forti insinuazioni fatte fare dalla santità sua
al _cardinal Coscia_ di rinunziare l'arcivescovato di Benevento. Egli
con tutta la mala grazia negò questa soddisfazione al santo padre;
e però continuarono i processi contro di lui nella congregazion de'
cardinali appellata _de Nonnullis_. Fu carcerato _monsignor vescovo
di Targa_ di lui fratello, con altri Beneventani, gente mischiata
negli abusi accaduti sotto il precedente governo. Il _cardinal Fini_
venne privato di voce attiva e passiva in ogni congregazione. Fu dipoi
intimata al Coscia la restituzione di ducento mila scudi alla camera
apostolica e alla tesoreria: somma indebitamente da lui percetta.
Questa fu la più sensibile stoccata all'interessato cuore di quel
porporato, e la sordida avidità sua, che l'avea consigliato a fare in
tante illecite maniere quell'ingiusto bottino, gli suggerì ancora il
ripiego per conservarlo. Portato il buon pontefice dalla sua natural
clemenza, non avea voluto mai condiscendere ad assegnare una stanza
in castello Sant'Angelo a questo porporato. Però, trovandosi egli in
libertà, seppe con falsi supposti ottenere dal _cardinale Cinfuegor_
ministro dell'imperadore un passaporto, e poscia se ne fuggì nel dì 31
di marzo, e travestito ora da cavaliere, ora da abbate ed ora da frate,
arrivò felicemente fin presso a Napoli, con implorare la protezione
del vicerè _conte d'Harrach_. Da Vienna, ove fu spedito un corriere,
venne poi la permissione ch'egli potesse dimorare ovunque gli piacesse
nel regno. Svegliossi in cuore del santo padre un vivo risentimento per
questa fuga, presa con dispregio degli ordini e divieti precedenti; e
però nel dì 12 di maggio fu pubblicato un monitorio, con cui al Coscia
s'intimava, che non tornando a Roma entro lo spazio di quel mese,
resterebbe privo di tutti i suoi benefizii: e se continuasse in quella
disubbidienza sino al primo d'agosto, verrebbe degradato dalla dignità
di cardinale. Furono poi nel dì 28 di maggio fulminate le scomuniche,
gl'interdetti ed altre pene contro di lui, che intanto facea volar da
per tutto dei manifesti in sua difesa; pretendendosi indebitamente
aggravato dalla congregazione suddetta. Chiamò poi in suo aiuto una
forte gota, spalleggiata dall'attestato veridico dei medici, acciocchè
gli servisse di scusa, se entro i termini prescritti non compariva
in Roma. Fu in questa occasione che il pontefice spedì ai principi
cattolici copia del processo formato contro del Coscia, dov'erano ben
caratterizzate le sue ribalderie; ma processo che fu poi processato da
molti, perchè dopo l'essersi rilevati tanti capi di reato, e dopo tanti
tuoni, si vide tuttavia la porpora ornare un personaggio che le avea
recato sì gran disonore. Vedrem nondimeno che non mancarono gastighi
alle colpe sue.

Dietro ad altro affare si scaldò medesimamente lo zelo di questo
pontefice. Cioè nel dì 8 di gennaio in una allocuzione fatta ai
cardinali nel concistoro segreto scoprì il santo padre l'intenzion
sua di disapprovare l'accordo già conchiuso fra il suo predecessore
e _Vittorio Amedeo_ re di Sardegna. A molti capi si stendeva quella
concordia, riguardanti l'immunità ecclesiastica, la nomina a varie
chiese e benefizii, e l'esercizio della giurisdizione dei vescovi.
Si aggiungeva la controversia per diversi feudi posti nel Piemonte e
Monferrato, e spezialmente Cortanze, Cortanzone, Cisterna e Montasia,
sopra i quali intendeva il re di esercitare sovranità, laddove il
pontefice pretendeva appartenere ai diritti della santa Sede, come
feudi ecclesiastici. Citati i nobili vassalli di que' luoghi a prestare
il giuramento di fedeltà al re, aveano ubbidito. Roma all'incontro
tali atti dichiarò nulli, e intimò le censure ed altre pene a chi
per essi feudi riconoscesse la regia camera di Torino. In una parola
s'imbrogliò forte l'armonia fra le due corti, e scritture di qua e di
là uscirono, e le controversie durarono sino al principio dell'anno
1742, siccome vedremo. A me non occorre dirne di più; siccome nè pure
di altre rilevanti liti che in questi stessi giorni ebbe la santa Sede
con gli avvocati e col parlamento di Parigi. Ma ciò che maggiormente
tenne in esercizio la vigilanza di esso sommo pontefice in questi
tempi, fu Parma e Piacenza. Quando si sperava che _Antonio Farnese_
duca di quella città avesse dal matrimonio suo da ricavar frutti,
per li quali si mantenesse la principesca sua casa, e restassero
frastornati e delusi i conti già fatti su quei ducati dai primi
potentati dell'Europa: eccoti l'inesorabil morte nel dì 20 di gennaio
del presente anno troncar lo stame di sua vita, ed estinguer insieme
tutta la linea mascolina della casa Farnese, che tanto splendore avea
recato in addietro all'Italia. La perdita sua fu compianta da tutti i
suoi sudditi, perchè già provato principe amorevole, splendido e di
rara bontà; anzi di tale bontà, che se più in lungo avesse condotto
il suo vivere, fu creduto che il suo patrimonio sarebbe ito sossopra,
sì inclinato era egli alle spese e alla beneficenza. Maggiore fu il
duolo, perchè già si prevedeva la gran disavventura di que' paesi, che,
perduto il proprio principe, correano pericolo di diventare provincia.
Nel testamento fatto da esso duca negli ultimi periodi di sua vita,
lasciò erede il ventre pregnante della duchessa _Enrichetta d'Este_ sua
moglie, e, in difetto di figli, l'_infante don Carlo_.

Avea già il _conte Daun_ governator di Milano, all'udire l'infermità
del duca, ammanito un corpo di truppe per introdurlo in Parma e
Piacenza; e però, accaduta che fu la morte di lui, il generale _conte
Carlo Stampa_, come plenipotenziario cesareo in Italia, nel dì 25 del
suddetto gennaio venne a prendere il possesso di quegli Stati _sotto
gli auspicii dell'imperadore a nome del suddetto infante di Spagna_,
senza mettersi fastidio degli stendardi pontifizii, che si videro
inalberati per la città. In tal congiuntura non mancò il pontefice
ai suoi doveri per sostenere i diritti della Chiesa sopra Parma e
Piacenza. Scrisse lettere forti a Vienna, Parigi e Madrid. Perchè la
corte di Vienna sosteneva il cominciato impegno, richiamò da Vienna il
_cardinale Grimaldi_. Fu spedito a Parma il canonico Ringhiera, che
ne prese il possesso colle giuridiche formalità a nome del papa, e
insieme _monsignor Oddi_ commissario apostolico, a cui non restarono
vietati molti atti di padronanza in quella città. Parimente in Roma
si fecero le dovute proteste contro qualsivoglia attentato fatto o
da farsi dall'imperadore e dalla Spagna per conto di que' ducati.
Restavano intanto incagliati gli affari per la pretesa gravidanza della
duchessa Enrichetta. Se ne mostrava sì persuaso chi la desiderava, che
avrebbe per essa scommesso quanto avea di sostanze. Dopo alquanti mesi
visitata quella principessa da medici e mammane, si videro attestati
corroborati dal giuramento che quel monte avea da partorire. Ridevano
all'incontro altri di opposto partito, ancorchè mirassero preparato
il suntuoso letto, dove con tutte le formalità dovea seguire il parto,
con essere anche destinati i ministri che aveano in tal congiuntura da
imparare il mestier delle donne. Ma venuto il settembre, e disingannata
la duchessa, onoratamente essa in fine protestò di non essere gravida.
Stante nondimeno l'incertezza di quell'avvenimento, in Vienna s'erano
fatti non pochi negoziati fra i ministri dell'imperadore, quei del
re Cattolico e quei del re della Gran Bretagna, per istabilire una
buona concordia. Questa in fatti restò conchiusa nel dì 22 di luglio
fra le suddette potenze, con avere l'Augusto _Carlo VI_ non solamente
confermata la successione dell'_infante don Carlo_ nei ducati di
Toscana Parma e Piacenza, ma eziandio condisceso che si potessero
introdurre sei mila Spagnuoli, parte in Livorno e Porto Ferraio, e
parte nelle suddette due città: conformandosi nel resto al trattato
della quadruplice alleanza del dì 2 d'agosto del 1718 e alla pace di
Vienna del dì 7 di giugno del 1725. A questa nuova respirò l'Italia,
stata finora in apprensione di nuove guerre. Fu poi preso dal generale
conte Stampa un'altra volta il possesso formale dei ducati di Parma
e Piacenza a nome del real infante, e nel dì 29 di dicembre esatto
da quei popoli il giuramento di fedeltà e di omaggio. Ma nel giorno
seguente monsignor commissario Oddi per parte del sommo Pontefice fece
una contraria solenne protesta in Parma; e così andavano balleggiando
questi ministri, nel mentre che l'infante don Carlo si preparava
per venire in Italia, anzi s'era già messo in viaggio, e parte delle
milizie spagnuole, pervenuta a Livorno, avea preso quartiere in quella
città. Quanto al gran duca _Gian Gastone de Medici_, e alla vedova
palatina _Anna Maria Luigia_, nel dì 21 di settembre dichiararono di
accettare il trattato di Vienna del dì 22 di luglio dell'anno presente.
Prima ancora di questo tempo, cioè nel dì 25 di luglio, aveano
stabilita una convenzione colla corte di Madrid, in cui fu convenuto
che il reale infante don Carlo non solamente succederebbe negli Stati
di Toscana, ma anche in tutti gli allodiali, mobili, giuspatronati,
ed altri diritti della casa de' Medici. Per tutori d'esso principe,
a cagion della sua minorità furono da Cesare deputati il suddetto
gran duca per la Toscana, e la duchessa vedova _Dorotea Sofia_, avola
materna di lui, per Parma e Piacenza.

Si cominciarono a scorgere di buona ora dei rincrescimenti per l'eletto
soggiorno di Sciambery nel fu re di Sardegna _Vittorio Amedeo_. Non
vedeva egli più chi andasse a corteggiarlo, o a chiedere grazie; e
il piacere di comandare, provato in addietro sopra tanti popoli, si
ristringeva nella sola sua domestica famiglia. Questo abbandonamento,
questa solitudine facevano guerra continua e cagionavano malinconia
ad un principe avvezzo sempre a grandi affari; e a lui parea gran
disgrazia il vedere confinati i suoi vasti pensieri nell'augusto
recinto, cioè in un angolo della Savoia. Aggiungasi che sul principio
di quest'anno egli fu preso da un accidente capitale, per cui gli
rimase sempre qualche sensibile impedimento alla lingua, e gli
sopraggiunse poi anche una qualche confusione d'idee. Andò allora il re
_Carlo Emmanuele_ a vederlo per testimoniargli il suo filiale affetto,
e vi tornò anche nella state colla regina sua moglie. Verso poi la
fine di agosto, attribuendo il re Vittorio il suo poco buono stato
all'aria troppo sottile di Sciambery, volle ritornare in Piemonte, e
andò a piantar la sua corte a Moncalieri in vicinanza di tre miglia
da Torino. Nulla sospettava sulle prime di lui il re Carlo Emmanuele;
ma da che si avvide ch'egli contro il concertato ambiva l'autorità
nel governo, ordinò che si tenessero gli occhi aperti addosso a lui.
E tanto più dovette quella corte allarmarsi, quando fosse vero quanto
allora si disse, cioè avere esso Vittorio Amedeo minacciato che farebbe
anche tagliare il capo ad uno dei primi e più confidenti ministri
del re figlio; e che crebbero poscia i sospetti di qualche meditata
mutazione, da che egli, parlando col conte Del Borgo, gli fece istanza
dell'atto della sua rinunzia, fatto nel precedente anno, che con tutta
sommessione gli fu negato. Aggiugnevano, che da lì a poco tempo egli
scrivesse un biglietto al governatore della cittadella di Torino con
avvisarlo dell'ora in cui egli intendeva di andare a spasso entro
di essa cittadella: o pure, ch'egli effettivamente si portasse in
persona alla porta segreta, per entrarvi, ma con trovar il governatore
che se ne scusò, con dire di non aver ordine dal real sovrano di
riceverlo. Tutti questi fatti contemporaneamente si divulgarono, ma
senza fondamento. La verità si è, che avendo il re Vittorio dopo il
suo ritorno in Piemonte dato segni non equivoci di volere aver parte
all'autorità del governo, il re Carlo Emmanuele fu in caso di far
vegliare sui di lui discorsi; e tanto più da che seppe che il re padre
parlava con diverse persone dell'atto dell'abdicazione, come di un atto
che fosse in sua balìa di rivocare.

In questo tempo essendo assai cresciute le indisposizioni del re
Vittorio, e la di lui mente, anche per l'accidente patito, molto
indebolita, con qualche risalto alle volte di riscaldamento e di
agitazione di spirito, onde venivano poi empiti di collera, si ebbe
luogo a temere qualche novità sconvenevole e pericolosa. Vedeva il re
figlio con ciò esposta ad un grave cimento non solamente la real sua
dignità, ma anche il suo onore medesimo e il bene dello Stato; e però
sperimentati prima in vano più mezzi e spedienti per calmare lo spirito
del padre, e ricondurlo a pensieri più proprii e più convenienti,
chiamò a sè i più saggi ministri di toga e di spada, ed esposto il
presente sistema, con protestarsi nondimeno pronto a sacrificare ogni
sua particolar convenienza, qualora avesse potuto farlo, salva la sua
estimazione, il bene dei sudditi e la quiete degli Stati, richiese il
loro consiglio. Ben pesato ogni riguardo, concorse il parere di ognuno
in credere necessario un rimedio, a fin di evitare tutte le delicate e
disastrose conseguenze che prudentemente si temevano come imminenti; e
però fu concordemente determinato di assicurarsi dalla persona d'esso
re Vittorio. Nella notte adunque del dì 28 di settembre, venendo il dì
29, da vari corpi di truppe che l'uno non sapea dell'altro, si vide
attorniato il castello di Moncalieri, e fu improvvisamente intimato
al re Vittorio Amedeo di entrare in una preparata carrozza. Gli
convenne cedere; e fu condotto nel vasto e delizioso palazzo di Rivoli,
situato in un colle di molto salutevol aria, ma sotto le guardie, con
raccomandare alle medesime di rispondere solamente con un profondo
inchino a quante interrogazioni facesse loro il principe commesso
alla loro custodia. La di lui moglie contessa di San Sebastiano, già
divenuta marchesa di Spigno, nello stesso tempo fu condotta al castello
di Ceva; ma perchè fece istanza il principe di riaverla, non gli
negò il re questa consolazione. Del resto, al signorile trattamento
d'esso principe fu pienamente provveduto; tolta a lui fu la sola
libertà. Chiunque poi conosceva di che buone viscere fosse il re
_Carlo Emmanuele_, e quanta virtù regnasse nell'animo suo, facilmente
comprese che forti e giusti motivi il doveano avere indotto ad un passo
tale con tutta la ripugnanza del suo sempre costante filiale affetto.
Quelle stesse guardie che sul principio il teneano d'occhio, con saggio
consiglio e per suo bene gli furono poste, affinchè osservassero che
la gagliarda passione nol conducesse ad infierire contro sè stesso.
Cessato il bollore, cessò anche la vicinanza d'esse guardie, ed era
data licenza alle persone saggie e discrete di visitarlo e parlargli. E
perciocchè fece istanza di essere rimesso in Moncalieri, perchè l'aria
di Rivoli era troppo sottile, fu ricondotto colà.

Duravano in questi tempi le controversie della sacra corte di Roma
col re di Portogallo cotanto alterato perchè il nunzio apostolico
_monsignor Bichi_ era stato richiamato, senza prima decorarlo colla
porpora cardinalizia. Sostenne il sommo pontefice il decoro della
sua dignità con esigere che il prelato uscisse di Portogallo; e in
fatti egli passò a Madrid, e gran tempo vi si fermò. Venne poscia
in quest'anno a Firenze, e non passò oltre. Finalmente nel dì 24 di
settembre fatta dal santo padre una promozione di cardinali, fu in
essa compreso il Bichi; nè solo il Bichi, ma anche _monsignor Firrao_
succeduto a lui in quella nunziatura: laonde si trattò dipoi con
più facilità di rimettere la buona armonia fra la santa Sede e il re
suddetto. Sempre più andava in questo mentre crescendo la ribellione
dei corsi, e volavano per tutte le corti le loro doglianze per gli
aggravi che pretendeano fatti ad essi dalla repubblica di Genova. A
fine di smorzar questo incendio, ricorsero i Genovesi alla protezione
dell'imperadore _Carlo VI_, e ne ottennero un rinforzo d'otto mila
soldati alemanni, comandati dal generale _Wachtendonck_. Passò la
metà di questa gente in Corsica, e fece tosto sloggiare i sediziosi
dal blocco della Bastia. Ma da che verso la metà d'agosto s'inoltrò
per cacciare da altri siti i Corsi, trovò in due battaglie gente che
non conosceva paura. Perirono in quei combattimenti moltissimi dei
Tedeschi, di maniera che fu necessario il far trasportare colà il
resto dei loro compagni. Seguirono susseguentemente altre zuffe ora
favorevoli ora contrarie ai malcontenti; ma spezialmente un'imboscata
da loro tesa agli Alemanni nel fine di ottobre, nel passare che
facevano a San Pellegrino, costò ben caro ad essi Tedeschi, perchè
furono obbligati a ritirarsi dal campo di battaglia, con perdita di
più di mille persone tra morti e feriti. Nel dì 30 di maggio terminò
la carriera de' suoi giorni _Violante Beatrice di Baviera_, gran
principessa di Toscana, vedova del fu gran principe _Ferdinando de
Medici_. Era essa il ritratto della gentilezza, venerata da ognuno,
e però dalle comuni lagrime si vide onorato il suo funerale. Gran
compassione prima d'allora si svegliò in cuore di tutti per gli orrendi
effetti d'un fierissimo tremuoto, che avendo cominciato nel febbraio
a farsi sentire nel regno di Napoli, infierì poi con varie altre più
violenti scosse, e tenne gran tempo in una costernazione continua le
provincie di Puglia, Terra di Lavoro, Basilicata e Calabria Citeriore,
e in alcuni luoghi lasciò una dolorosa catastrofe di rovine. Più
d'ogni altro ne provò immensi danni la città di Foggia, perchè tutta
fu convertita in un monte di pietre, e più di tre mila persone rimasero
seppellite sotto le diroccate case. Non restò pur uno de' sacri templi
e chiostri in piedi; e frati, monache ed altri abitanti, che ebbero la
fortuna di scampare, andarono raminghi per quelle desolate campagne,
cercando e difficilmente trovando un tozzo di pane per mantenersi
in vita. Si videro in tal congiuntura le acque alzarsi nei pozzi, ed
uscirne con allagar le vigne. Barletta, Bari ed altre città furono a
parte di questo spaventevol flagello; e perchè in Napoli i borghi di
Chiaia e Loreto risentirono non lieve danno, buona parte di popolo,
e massimamente la nobiltà col vicerè si ritirò alla campagna. Ma il
piissimo _cardinale Pignatelli_ arcivescovo non volle muoversi dal suo
palazzo, e attese ad animar la plebe, e ad eccitar la misericordia di
Dio con pubbliche processioni e preghiere.



    Anno di CRISTO MDCCXXXII. Indizione X.

    CLEMENTE XII papa 3.
    CARLO VI imperadore 22.


Quasi morirono di sete in quest'anno i novellisti bramosi di grandi
avvenimenti. Fioriva la pace, che stendendo la serenità sopra tutta
l'Europa, non di altro era feconda che di privati divertimenti ed
allegrezze. Di queste spezialmente abbondò la Toscana; perciocchè
finalmente sciolti tutti i nodi, l'infante di Spagna _don Carlo_ si
mise in viaggio per venire a far la sua comparsa nel teatro d'Italia.
Imbarcossi egli ad Antibo nel dì 23 del precedente dicembre sulle galee
di Spagna, unite con quelle del gran duca; ma appena ebbe salpato, che
si alzò una violenta burrasca che disperse tutta la flotta, e danneggiò
forte non pochi di que' legni. Ad onta nondimeno dell'infuriato,
elemento la capitana di Spagna nel dì 27 approdò a Livorno, e vi sbarcò
l'infante. Magnifico sopra modo fu l'accoglimento fatto a questo real
principe da quella città, che poi solennizzò nei seguenti giorni il suo
arrivo con suntuose macchine di fuochi, conviti, musiche, illuminazioni
ed altre feste. Gareggiò con gli altri l'università degli Ebrei per
attestare anch'essa a questo novello sole il suo giubilo ed ossequio; e
fioccavano dappertutto le relazioni di sì grandiose solennità. Dopo il
riposo di più di due mesi in Livorno passò finalmente questo principe a
Firenze, ove fece il suo splendido ingresso nel dì 9 di marzo, ricevuto
colle maggiori dimostrazioni di stima e di affetto dal gran duca _Gian
Gastone_ e dall'_elettrice vedova_ di lui sorella. In quella capitale
ancora nulla si risparmiò di magnificenza, negli archi trionfali, ne'
fuochi di artifizio, e in altre feste ed allegrie, contento ognuno
di vedere con tanta felicità rifiorire nell'infante la già cadente
schiatta dei principi medicei. Fu egli riconosciuto non solo come
duca di Parma e Piacenza, ma ancora come gran principe e principe
ereditario della Toscana. Avea già nel dì 29 dello scorso dicembre la
duchessa vedova di Parma _Dorotea_, come contutrice, preso il possesso
dei ducati di Parma e Piacenza a nome del medesimo infante dalle mani
del generale _conte Stampa_ plenipotenziario dell'imperadore. Solenne
era stata quella funzione, e i magistrati e deputati delle comunità in
tal congiuntura prestarono ad esso principe il giuramento di fedeltà,
come a vassallo dell'imperadore e del romano imperio. Dopo di che
esso generale consegnò alla duchessa le chiavi della città, e ordinò
tosto alle truppe cesaree di ritirarsi, e di lasciare liberi affatto
quegli Stati al nuovo signore, facendo conoscere a tutti la lealtà
dell'augusto sovrano in eseguire i già stabiliti trattati ed impegni.
Non tralasciò il commissario apostolico monsignor _Jacopo Oddi_ nel
seguente dì 30 di dicembre di pubblicare una grave protesta contro
tutti quegli atti, per preservare nella miglior possibile maniera le
ragioni della santa Sede.

Fermatosi il reale infante a goder le delizie di Firenze sino al
principio di settembre, finalmente determinò di consolare colla sua
sospirata presenza anche i popoli di Parma e Piacenza. Nel dì 6 di esso
mese si mosse egli da Firenze, e nel dì 8 entrò nello Stato di Modena,
e passando fuori di questa città, fu salutato con una salva reale dalle
artiglierie della medesima e della cittadella. Avea il duca _Rinaldo
d'Este_ avuta l'attenzione di fargli innaffiare le strade per tutto il
suo dominio, affin di riguardarlo dagli incomodi della straordinaria
polve di quell'asciutta stagione. Fu egli dipoi a complimentarlo colla
sua corte un miglio lungi da Modena, dove seguirono abbracciamenti ed
ogni maggior finezza di complimenti e di affetto. Nel dì 9 tutta fu
in gala la città di Parma pel festoso ingresso del giovinetto duca;
grande il concorso e lo sfoggio della nobiltà e dei popoli; e nelle
nobili feste che si fecero dipoi, si conobbe quanto tutti applaudissero
all'acquisto di un principe sì inclinato alla pietà e alla clemenza;
e grazioso in tutte le sue maniere, ma con aver portato seco l'altura
del cerimoniale spagnuolo. A tante allegrezze per la venuta in
Italia di questo generoso rampollo della real casa di Spagna, se ne
aggiunse un'altra, riguardante la felicità dell'armi del Cattolico
_re Filippo V_ suo padre. Fra i pensieri di quel monarca il primo ed
incessante era quello di ricuperare, per quanto avesse potuto, tutti
gli antichi dominii spettanti alla monarchia dei suoi predecessori. Una
riguardevole unione ed armamento di vascelli di linea e di legni da
trasporto avea egli fatto nella primavera di quest'anno, e preparati
all'imbarco si trovavano sui lidi parecchi reggimenti di truppe
veterane. Perchè era ignoto qual mira avesse l'allestimento di flotta
sì numerosa nel Mediterraneo, con gelosia ed occhi aperti stavano
i vicerè di Napoli e di Sicilia; e tuttochè l'imperadore venisse
assicurato della costante amicizia d'esso re Cattolico, pure non
cessavano le ombre, e furono perciò ben munite le principali piazze dei
regni suddetti.

Levò finalmente l'ancore quella poderosa flotta, comandata dal
capitano generale _conte di Montemar_, e guidata da prosperi venti,
improvvisamente nel dì 28 di giugno andò ad ammainar le vele davanti
ad Orano nelle coste dell'Africa, piazza lontana cento cinquanta miglia
da Algeri, trecento da Ceuta. Fin dall'anno 1509 dal celebre _cardinale
Ximenes_ tolta fu essa ai Mori, e sottoposta da lì innanzi alla corona
di Spagna, finchè nell'anno 1708, trovandosi involto in tante guerre il
re Cattolico, dopo un assedio di sei mesi gli Algerini ne ritornarono
padroni. Ora, sbarcali che furono felicemente gli Spagnuoli, nel dì 30,
mentre attendevano ad alzare un fortino sulla marina, eccoti piombare
addosso al loro campo più di venti mila Mori, Arabi e Turchi, ed
attaccare una fiera zuffa. Si distinse allora il consueto valore delle
milizie spagnuole; furono con molta strage rispinti quegli infedeli,
e tagliata loro la comunicazione colla fortezza. Nel dì seguente,
mentre in ordine di battaglia si mette in marcia l'esercito cristiano
per disporre l'assedio di quella piazza, con ammirazion di ognuno la
truovano abbandonata; nè essa sola, ma ancora il creduto inespugnabile
castello di Santa Croce, con quattro altri forti all'intorno. Poco
fu il bottino per li soldati, perchè il meglio di quegli abitanti
avea fatto l'ale. In poter nondimeno dei cristiani vennero cento
trentotto cannoni, ottantatrè dei quali erano di bronzo, oltre a molte
munizioni da bocca e da guerra. Per questa gloriosa e felice impresa
dell'armi spagnuole tanto in Roma che in altre parti d'Italia si fecero
molte allegrezze e rendimenti di grazie a Dio. Ma che? non tardarono
molto gli Algerini a tentare il riacquisto di quella piazza, e con
grossissimo esercito vennero ad assediare nello stesso tempo Orano e
il forte di Santa Croce. Governatore di Orano era stato lasciato il
_marchese di Santa Croce Marzenado_, cavaliere di raro valore, maestro
nell'arte della guerra, come anche apparisce dai suoi libri dati alla
luce. Sostenne egli vigorosamente i posti contro gli sforzi de' nemici,
e con suo grave pericolo e somma bravura dei suoi portò soccorso di
viveri e di munizioni al forte suddetto, che si trovava in rischio
di rendersi per la penuria. Ma continuando i Musulmani il lor giuoco,
appena fu sbarcato nel dì 26 di novembre un riguardevole convoglio di
venticinque navi da trasporto con buona scorta partito da Barcellona,
che nel dì seguente il marchese con otto mila combattenti andò ad
assalire i nemici, benchè forti di circa quaranta mila persone. Durò il
sanguinoso combattimento per sei ore; resistenza straordinaria fecero i
Barbari; ma in fine, cedendo alla bravura degli Spagnuoli, si diedero
alla fuga, lasciando il campo e le artiglierie in man dei cristiani.
Insigne e completa fu la vittoria, se non che restò funestata dalla
morte del valoroso marchese di Santa Croce, compianta poscia da ognuno.
Per quanto corse la voce, non si trovò il suo corpo, e un pezzo durò la
speranza ch'ei fosse vivo e prigione; ma in fine certissima comparve la
perdita di lui.

Questo fu l'unico avvenimento dell'anno presente che fece strepito
in Italia. Poichè per conto di Roma, quivi si continuò a formare
il processo del _cardinale Coscia_, ma con gran segreto, quando nei
tempi addietro s'erano sparpagliati dappertutto i suoi reati. Temendo
il Coscia, che passati i termini delle citazioni in contumacia si
scaricasse sopra di lui il terribil decreto della perdita della
porpora, giudicò meglio di tornarsene a Roma per far le sue difese:
al qual fine si condusse da Napoli due avvocati, provveduti di ogni
requisito per istare a fronte de' più forbiti Romani. Prese l'alloggio
nel convento di Santa Prassede, e gli fu intimato sotto rigorose
pene di non uscirne, se non per rispondere alle interrogazioni
della congregazione, le quali durarono per tutto quest'anno senza
mai devenire a decisione alcuna. Mancò nell'anno presente chi nella
vigilia di San Pietro pagasse alla camera apostolica il censo per
li ducati di Parma e Piacenza; perlochè il fiscale della santa Sede
fece pubblica protesta in difesa de' diritti pontifizii. Avea il
buon pontefice _Benedetto XIII_, siccome dicemmo, vietato il lotto di
Genova, perchè sorgente d'infiniti disordini, coll'aver fino imposta
la scomunica ai ricevitori e giocatori. Col gastigo pubblicamente
dato a chi avea trasgredito il bando, niun più osava di gittare con
tanta facilità e sciocchezza il suo danaro, e di esporsi anche al
pericolo di pagar le pene. Non senza maraviglia delle persone si vide
in questi tempi risorto in Roma esso lotto, e cassata la salutevole
di lui costituzione; e tanto più se ne stupì la gente, perchè, tolta
la scomunica contra chi giocasse al lotto di Roma, questa si lasciò
sussistere contro chi dello Stato ecclesiastico giocasse fuori d'esso
Stato al medesimo giuoco. Dovettero aver delle buone ragioni di far
questa mutazione, benchè tanto pregiudiziale al pubblico. Di tal
provento si sa che il pontefice si servì per far limosine e belle
fabbriche in ornamento di Roma. Pubblicò egli in quest'anno una lodevol
costituzione, che toglieva varii abusi del conclave, ne moderava le
spese eccessive, e conteneva altri utili regolamenti. Dopo penosa
malattia di molti giorni passò all'altra vita, nel dì 21 di maggio di
questo anno, _Sebastiano_ (appellato da alcuni Alvise) _Mocenigo_ doge
di Venezia, a cui, nel dì primo di giugno, fu sostituito in quella
dignità _Carlo Ruzzini_, personaggio che nei magistrati e nelle molte
ambascerie avea trattato in addietro i più importanti affari della
repubblica.

Andarono intanto crescendo varii insulti del già re di Sardegna
_Vittorio Amedeo_, che gli annunziavano imminente il fine de' suoi
giorni. Mostrò questo principe qualche desiderio di vedere il re
suo figlio, il quale non avea men premura pel medesimo oggetto. Ma
nel tempo che si stava ponderando se questo abboccamento convenisse,
giunse avviso essere il re _Vittorio_ peggiorato cotanto che già si
trovava agli estremi. Per questo riflesso, e per altri motivi addotti
dalla regina, che in tale stato il suo incontro, lungi dal produrre
alcun buon effetto, avrebbe potuto affrettar la morte all'infermo
padre, e nuocere anche alla sanità del figlio, di già alterata per
così disgustose circostanze, altro non si fece. Il dì 31 di ottobre fu
poi quello che sbrigò da questo mondo esso principe Vittorio Amedeo,
pervenuto già all'età di sessantasei anni e mezzo; ed egli ne prese
il congedo con sentimenti di vera pietà ed eroica costanza. Celebre
sempre durerà nelle storie e nella memoria dei posteri il nome di
questo insigne sovrano, per la somma acutezza e vivacità della mente,
pel suo valore, fortezza e saggia condotta in mezzo alle turbolenze
dell'Europa, e ai pericolosi impegni ai quali egli s'espose, per
l'accrescimento di una corona, e di non pochi altri Stati alla sua
real famiglia e per tante altre gloriose azioni, tali certo, che andò
innanzi ai suoi più rinomati antecessori, ed incredibile fu la stima
che di lui ebbero tutti i potentati di Europa. Nel fervore della sua
gioventù l'incontinenza gli avea tolta la mano; ma da che si fuggì da
lui chi l'avea fatto prevaricare, colla pubblica emendazione purgò gli
scandali passati, e si vedea mischiato col popolo accostarsi alla sacra
mensa. Non mancò mai di custodire la principesca gravità; e pure niun
più di lui si dispensò dalle formalità, con aver egli saputo essere re
e insieme popolare: tanta era la sua disinvoltura. Parvero, è vero,
disastrosi gli ultimi periodi di suo vivere; ma egli se ne servì per
meglio prepararsi a comparire davanti a Dio, e a saldare quaggiù i
conti colla divina giustizia, con portar seco la contentezza di aver
lasciato un figlio capace di ben regnare al pari di lui, un re pieno
di moderazione, di saviezza, di coraggio, e di tante altre belle doti
ornato, che il rendono amabile a tutti i sudditi suoi. Solenni esequie
furono poi fatte al defunto principe, la cui moglie si ritirò in un
convento di religiose a Carignano.

Poco felicemente passavano in questi tempi gli affari de' Genovesi
per l'ostinata ribellione de' Corsi, nulla avendo finora giovato a
mettere in dovere quella feroce gente le migliaia di Tedeschi sotto il
comando del generale _Wachtendonck_. Per le morti e diserzioni si erano
queste sminuite di molto; e però la repubblica, senza atterrirsi per le
esorbitanti spese, nuove preghiere e nuovi tesori impiegò per ottenere
dall'imperador _Carlo VI_ altre forze valevoli a finir quella pugna.
Un altro dunque più poderoso corpo di truppe alemanne, alla cui testa
era il _principe Luigi di Wirtemberg_, trasportato fu in Corsica, ma
con ordini nondimeno segreti del saggio Augusto di vincere non già col
ferro, ma bensì colla dolcezza e colla clemenza quella brava nazione,
giacchè alla corte cesarea doveano sembrare degni di compassione e non
affatto ingiusti i risentimenti e le querele che aveano poste le armi
in mano ad essi popoli. Propose infatti quel principe un'amnistia e
perdono generale ai Corsi, ed insieme un accomodamento, con impegnare
per mallevadore garante della concordia lo stesso Cesare. Allora fu
che i due principali capi dei ribelli, cioè Luigi Giafferi e Andrea
Ciaccaldi, ed altri lor generali entrarono in negoziato col principe e
coi ministri della repubblica, e conseguentemente restò conchiusa la
pace, coll'avere i Corsi conseguito onorevoli condizioni e vantaggi.
Se ne tornarono poscia a poco a poco in Lombardia l'armi cesaree, ed
ognun contava per terminate quelle tragiche scene; quando iti i capi di
essi Corsi per umiliarsi al governo di Genova, furono all'improvviso
cacciati nelle carceri, per disegno formato in Genova (non già
dai vecchi e saggi senatori) di dare in essi un esemplar castigo
a terrore dei posteri. Per questa mancanza di fede non si può dire
quanto restassero amareggiati i Corsi, e quante doglianze ne facesse
in Genova e alla corte cesarea il principe di Wirtemberg. Vennero
perciò pressanti ordini di sua maestà cesarea ai Genovesi di rimettere
in libertà quegli uomini; e tuttochè i ministri della repubblica
adducessero ragioni e pruove, che essi, per aver contravvenuto ai
recenti patti, non meritavano la protezione di sua maestà cesarea,
pure stette saldo l'imperadore in lor favore, di maniera che in
fine, dopo molti mesi di prigionia, ricuperarono la libertà. Cagion
fu questo inaspettato colpo che continuarono come prima, anzi più di
prima, i Corsi a non si fidare dei Genovesi; e ben ebbe a pentirsene
la repubblica, perchè vedremo risorgere la ribellione, che costò dipoi
tanti altri tesori a quella ricca città, e fece spargere tanto sangue
di nuovo ad ambe le parti. Erasi dilatata la pestilenza de' buoi
nell'Alemagna e negli Svizzeri. Passò nell'anno precedente anche negli
Stati della repubblica di Venezia, e si andava arrampicando eziandio
nel Ferrarese e nella Romagna. La divina clemenza le tagliò il corso,
e cessò sì deplorabil flagello. Fiera pensione è quella a cui si
trova soggetto il delizioso regno di Napoli per cagione dei frequenti
tremuoti. Anche nel dì 29 di novembre dell'anno presente, spaventoso
fu quello che si provò nella stessa capitale, dove rimasero fracellate
sotto le rovine delle case alcune centinaia di persone. Poche fabbriche
si contarono che non ricevessero danno, e si fece questo ascendere a
qualche milione di ducati. Peggio avvenne alle provincie di Terra di
Lavoro, e dell'una e dell'altra Calabria. Ariano, Avellino, Apici,
Mirabello e più di trenta villaggi furono per la maggior parte
rovesciati a terra. Videsi una lunga lista di altri luoghi sommamente
partecipi di sì grande sciagura, e de' periti in tale occasione. Da
perniciosi raffreddori fu parimente infestata l'Italia, che portarono
al sepolcro gran copia di persone, anche di alta sfera. Si stese questo
malore contagioso per la Francia, Alemagna ed Inghilterra.



    Anno di CRISTO MDCCXXXIII. Indiz. XI.

    CLEMENTE XII papa 4.
    CARLO VI imperadore 23.


Trovossi nell'anno presente agitata da parecchi imbrogli la sacra corte
di Roma. Parve più volte come ridotta a fine la concordia col re di
Portogallo, ma saltavano sempre in campo nuove pretensioni di quel
monarca; e trovandosi egli inflessibile ne' suoi voleri, bisognava
continuar la battaglia, e il negoziato con lui e col re Cattolico
mediatore. Nè pure fin qui s'era trovato ripiego alle dissensioni colla
corte di Torino; e però sopra quelle pendenze si vide in questi tempi
una guerra di scritture, prodotte dall'una parte e dall'altra. Ma ciò
che più afflisse l'animo del pontefice _Clemente XII_ era la prepotenza
de' Franzesi, i quali nell'anno addietro cominciarono, e continuarono
anche per qualche mese del presente, a bloccare con molti corpi di
milizie il contado d'Avignone: novità che cagionava grave penuria ed
altri danni a quegli abitanti. Il pretesto o motivo di tal violenza
era, perchè in quel contado si rifugiavano alcuni contrabbandieri, e
vi si era vietata l'introduzione di non so quali manifatture franzesi,
ed ivi si fabbricavano tele dipinte e drapperie vietate in Francia:
il che non si volea sofferire; se con giustizia, altri lo deciderà. La
forza e il bisogno indusse _monsignor Buondelmonti_ vicedelegato ad un
aggiustamento; e perchè questo non fu approvato da Roma, continuarono
le calamità in quelle contrade. Altro spinoso affare spuntò in questi
tempi, cioè la pretensione dell'_infante don Carlo_ duca di Parma sopra
il ducato di Castro e Ronciglione, tolti, siccome già vedemmo, da _papa
Innocenzo X_ alla casa Farnese. Per avere esso infante fatto pubblicare
non solo in Parma, ma anche in Castro un decreto che proibiva agli
abitanti d'esso Castro e Ronciglione di riconoscere altro padrone che
lui, non fu lieve l'agitazione della corte pontificia, siccome quella
che non poteva ricorrere in questo bisogno alla Spagna e Francia troppo
interessate in favor dell'infante. Duravano inoltre tuttavia in Parigi
le novità fatte da quegli avvocati e dal parlamento in pregiudizio
dell'autorità del romano pontefice. Finalmente dopo tanti dibattimenti
si venne in quest'anno, a dì 9 di maggio, alla decision della causa
del _cardinale Niccolò Coscia_. A cagion delle sue ruberie, frodi,
estorsioni, falsità di rescritti ed altri abusi del suo ministero, e
della fiducia in lui posta dall'ottimo papa _Benedetto XIII_, restò
egli condannato nella relegazione pel corso di dieci anni in castello
Sant'Angelo, privato di tutti i benefizii e pensioni; incorso nella
scomunica maggiore, da cui non potesse essere assoluto se non dal papa,
eccetto che _in articulo mortis_. Fu obbligato in oltre al pagamento di
cento mila ducati di regno, e alla restituzione di altre somme da lui
indebitamente percette, e tolta al medesimo la voce attiva e passiva
nell'elezione d'un nuovo pontefice. Si vide egli dunque rinchiuso
nel suddetto castello; e, dopo aver promesso di pagare in certo tempo
trenta mila scudi, fece venir lettere di suo fratello, al quale egli
avea acquistato varie terre, e il titolo di duca in regno di Napoli,
asserenti la gran povertà ed impotenza della sua casa a pagare un
soldo. Altro che questo non ci volea per dar meglio a conoscere che
eccellenti personaggi fossero i fratelli Coscia, ai quali nondimeno la
corte cesarea giunse ad accordar la sua protezione con gravi doglianze
della pontificia. Trattossi in Roma nell'anno presente degli omicidi
volontarii, se in avvenire avessero a godere l'asilo nelle chiese.

Stava pure a cuore all'imperadore _Carlo VI_, sì per l'onore de' suoi
ministri, che per la quiete d'Italia, che la pace data dal principe
_Luigi di Wirtemberg_ alla Corsica prendesse buone radici; e perciò nel
dì 16 di marzo con solenne decreto confermò la capitolazione accordata
a que' popoli dalla repubblica di Genova. Ma non passò il settembre che
si trovarono in quell'isola non pochi disapprovatori delle condizioni
della concordia; e sparsesi voce da altri che non era mai da fidarsi
de' Genovesi, da che dopo l'amnistia e i giuramenti aveano messo in
carcere i lor capi, a rimettere i quali in libertà non v'era voluto
meno dell'onnipotenza e costanza dello imperadore; oltre all'aver
dovuto altri de' principali uscir dell'isola, come esiliati dalla lor
patria. Perciò in alcune parti della Corsica, dove più che in altre
durava questo cattivo fermento, risorsero nuovi malcontenti, e si diede
all'armi, con crescere di poi maggiormente la sollevazione, siccome
andremo vedendo. E tanto più si animò quella gente a tumultuare,
senza rispettare l'interposta autorità di Cesare per lo recente
aggiustamento, perchè improvvisamente si trovò involto nell'anno
presente lo stesso augusto monarca in una deplorabil guerra, che niuno
si aspettava in mezzo alla pace poco fa stabilita. Misera è ben la
condizion de' mortali, sottoposta all'ambizione, ai capricci, e a tante
altre passioni dei regnanti, i quali niun ribrezzo pruovano a rendere
infelici i proprii ed altrui paesi, col muovere sì facilmente guerra,
cioè un flagello, di cui chi per sua disavventura è partecipe, sa
quanto ne sia enorme il peso, quanto lagrimevoli gli effetti. Mancò di
vita nel primo dì di febbraio di questo anno _Federigo Augusto_ re di
Polonia ed elettor di Sassonia, con lasciare fra le altre sue gloriose
azioni spezialmente memorabile il suo nome per aver abbracciata la
religione cattolica, e trasmessala nel suo generoso figlio _Federigo
Augusto_ che succedette a lui nell'elettorato. Essendosi trattato
dell'elezione di un nuovo re di Polonia, al Cristianissimo _Luigi XV_
parve questo tempo propizio per rimettere su quel trono il suocero
suo, cioè il principe _Stanislao Leszczinskci_, negli anni addietro
di fatti, ed ora di solo nome re di Polonia. Passò incognito con una
squadra di legni franzesi esso principe in quelle contrade, e la sua
presenza assaissimo giovò per disporre que' magnati all'elezione di
lui. Fu dunque di nuovo, nel dì 12 di settembre, proclamato re col voto
concorde di quasi tutti quei palatini, restando nulladimeno in piedi
una fazione contraria, che altri disegni covava in petto.

All'Augusto _Carlo VI_ non potea piacere che la corona di quel regno
passasse in capo ad un principe attaccato per tanti legami alla
Francia. Altre mire avea parimente Anna imperatrice della Gran Russia;
e però si accordarono di promuovere a quel regno il giovine _Federigo
Augusto_ elettore di Sassonia, figlio del re defunto. Altro non fece
l'imperador de' Romani, che d'inviare ai confini della Polonia, senza
nondimeno entrarvi, nè commettere violenza alcuna, un'armata sotto
colore di proteggere la libertà de' Polacchi nell'elezione del loro
capo. S'era ciò praticato altre volte in simile congiuntura. Ma i
Russiani di fatto con forze gagliarde s'introdussero in quel regno:
il che animò spezialmente i palatini di Lituania a dichiarare re di
Polonia nel dì 5 di ottobre il suddetto elettor di Sassonia, le cui
armi da lì a non molto accorsero anch'esse per sostener quello scettro
in mano del loro sovrano. Ed ecco darsi principio in quei vasti
paesi ad una terribil guerra civile, che si tirò dietro nell'anno
seguente il memorabile assedio di Danzica, dove si era rifugiato
il re _Stanislao_, con essersi egli in fine sottratto felicemente
dalle mani de' suoi avversarii, e con aver lasciato libero il campo
e il trono all'emulo suo, appellato da lì innanzi _Augusto III_ re
di Polonia, anche oggidì gloriosamente regnante. A me non occorre di
dire di più intorno a quelle strepitose scene, perchè a sè mi chiama
l'Italia. Non si sarebbono mai figurato gl'Italiani che del sì lontano
fuoco della Polonia avessero anch'essi a divenir partecipi; e pure
non fu così. Appena vide la corte di Francia contrariati i disegni
suoi in favore del re Stanislao dalle potenze cesarea e russiana, che
ne meditò risentimenti e vendette. Troppo lontana dai tiri dei suoi
cannoni si trovava la Russia; più vicini e confinanti erano gli Stati
dell'Augusto _Carlo VI_, e però fu presa la risoluzione di muover
guerra a lui, tutto che giusto non sembrasse a molti saggi il titolo
di questa rottura, perchè niun atto di violenza aveano esercitato
l'armi di Cesare nelle dissensioni de' Polacchi. A maggiormente
incoraggire i Franzesi, per muover guerra nella congiuntura presente,
servì non poco il sapere che troppo difficilmente sarebbono entrati
in ballo gl'Inglesi ed Olandesi a favore dell'imperadore, siccome
popoli tuttavia segretamente irritati pel tentativo fatto dalla corte
di Vienna negli anni addietro di formare e fomentare la compagnia di
Ostenda in grave lor pregiudizio. Ora, non sì tosto fu subodorato lo
sdegno dalla Francia contro della maestà cesarea che corsero a soffiar
nell'incendio, o pure furono chiamati ad accrescerlo, il re Cattolico
_Filippo V_ e il re di Sardegna _Carlo Emmanuele_. Per quante rinunzie
avesse fatto il primo in favore dell'augusta casa d'Austria dei regni
e Stati di Italia, non si dovea quella corte credere obbligata a
mantenerle. Saltarono anche fuori titoli e pretesti di disgusto contra
Cesare per certe soddisfazioni negate all'_infante don Carlo_ duca di
Parma. Quanto poscia al re di Sardegna, chiamavasi egli indebitamente
gravato dalla corte cesarea, per non aver mai potuto ottenere Vigevano,
città che pure, secondo i patti, gli dovea esser ceduta.

Varii dunque segreti maneggi si andarono facendo, e seguì un
trattato fra la Francia e la Spagna, i cui articoli non si sono
mai ben saputi; e un altro ne conchiuse il re di Sardegna col re
Cristianissimo, anch'esso finora occulto. Il bello fu che la corte di
Vienna placidamente intanto dormiva, nè s'immaginava che il religioso
ed amico _cardinale di Fleury_, primo ministro di Francia, potesse
trovare in suo cuore giusti motivi per rompere i legami della pace.
S'ingrossavano non solamente al Reno, ma anche in Provenza e Delfinato
le milizie franzesi: nulla importava; si credeano tutti movimenti
da burla, per tenere unicamente in esercizio le truppe. Molto meno
diffidava la corte cesarea del re di Sardegna, stante l'amichevol
corrispondenza che passava fra loro, e l'avere anche poco fa esso re
chiesta ed ottenuta dall'imperadore l'investitura dei suoi Stati in
Italia. Vero è che si osservava il re sardo accrescere le sue truppe,
e far altri preparamenti di guerra; ma tutto veniva supposto tendere
alla difesa propria e dello Stato di Milano, caso mai che i Franzesi
pensassero a qualche tentativo contro l'Italia. Tanto maggiormente
si confermarono in questa credenza i ministri cesarei, perchè il re
di Sardegna, trovandosi sprovveduto di grano per li presenti bisogni
suoi e degli aspettati Franzesi, ne ottenne alquante migliaia di
sacchi, e varii arnesi da guerra dal conte Daun governatore di Milano,
persuaso che fosse in servigio dell'imperadore ciò che poco dopo venne
a scoprirsi contra di lui. In questo letargo non era già il _conte
generale Filippi_, ambasciatore dell'augusto monarca a Torino, che
osservava i misteriosi movimenti de' ministri di Francia e Spagna in
quella corte, e la vicinanza all'Italia delle truppe franzesi, e andava
scrivendo a Vienna che questo temporale avea da scoppiare in danno
dello Stato di Milano. Anche il _conte Orazio Guicciardi_, inviato
cesareo in Genova, con lettere sopra lettere informava la sua corte
del poderoso armamento che per mare e per terra faceva nello stesso
tempo il re Cattolico, tenendo per fermo destinate quell'armi a' danni
dell'Italia. Tali avvisi in Vienna passavano per ridicoli spauracchi
di chi non sapea ben pesare le circostanze dei correnti affari. Restò
in fine deluso anche il suddetto generale Filippi; perciocchè un dì
ito a trovare il _marchese d'Ormea_, insigne ed accortissimo ministro
del re di Sardegna, a nome della sua corte gli dimandò conto della
lega fatta dal suo real sovrano coi _re di Francia_ e _di Spagna_,
perchè di questa si aveano buoni avvisi in Vienna. Rispose il marchese,
se avea difficoltà di mettere in carta sì fatta dimanda. No, rispose
l'altro; e la scrisse. Sotto quelle parole aggiunse l'Ormea di proprio
pugno: _Questa lega non è vera_; e si sottoscrisse. Interrogato da lì a
qualche tempo come avesse osato di scrivere così, rispose: Perchè niuna
lega avea contratto il suo re colla _Spagna_, e tale era la verità.
Spedito a Vienna questo biglietto, maggiormente impressionò quei
ministri, che nulla v'era da temere in Italia; e però nè quella corte
nè il governator di Milano presero le precauzioni opportune.

Ora mentre se ne stavano i disattenti Tedeschi in così bella estasi,
verso la metà di ottobre, ecco per cinque diversi cammini calare in
Italia una forte armata di Franzesi sotto il comando del vecchio
_maresciallo di Villars_. Poco si fermò questa in Torino ed altri
luoghi del Piemonte, ed unita colle schiere del re di Sardegna,
dichiarato generalissimo, a gran passi e a dirittura marciò verso lo
Stato di Milano, dove entrò nel dì 26 del mese suddetto. Si credeva
l'imperadore di aver un buon corpo di truppe in quel paese; i ruoli e
le paghe ne facevano ampia fede, ma per disgrazia non corrispondevano
i fatti. Al perchè sorpreso da questo inaspettato nembo il _conte
Daun_ governatore di Milano, frettolosamente provvide di vettovaglia
e di altre cose bisognevoli per una gagliarda difesa il castello di
essa metropoli, ma con mancargli quello che più importava. Solamente
poco più di mille e quattrocento armati vi furono introdotti: presidio
quasi nè pur bastante a guernire in un giorno tutti i siti e le
fortificazioni di quella vasta piazza. Dopo aver egli spedito ottocento
fanti di rinforzo a Novara, immaginandosi che i nemici farebbono alto
prima sotto quella città, si ritirò poscia a Mantova col suo meglio, ed
appresso prese le poste per Vienna, non so se per discolpare sè stesso,
ma certamente per rappresentare all'augusto padrone lo stato delle cose
della Lombardia, stato troppo titubante per le forze tanto superiori
dell'esercito gallo-sardo. Divisosi questo in più corpi, per far più
imprese nello stesso tempo, nel dì 27 d'ottobre vide venirsi incontro
le chiavi della città di Vigevano, e nel dì 31 Pavia aprì anche essa
le porte ai Franzesi, con essersi prima ritirato lo smilzo presidio
dei Tedeschi. Inviossi di poi il re di Sardegna col marchese d'Ormea e
col corpo maggiore delle truppe collegate alla volta di Milano, i cui
deputati, appena ebbe egli passato sopra un ponte il Ticino, comparvero
a presentargli le chiavi, con pregare la maestà sua di confermare i
lor privilegii, e di preservare gli abitanti da ogni violenza. Furono
ricevuti con tutto amore, rimandati con sicurezze di buon trattamento.
Nella notte del dì 3 di novembre precedente alla festa solenne di san
Carlo, con quiete e buona disciplina entrarono i Gallo-Sardi in Milano,
e giuntovi nella mattina seguente anche il generalissimo re di Sardegna
_Carlo Emmanuele_, seco avendo tutta l'uffizialità ed altro grosso
numero di truppe, fu accolto colle maggiori dimostrazioni di onore da
quella nobiltà e popolo. Fermatosi alquanto nel palazzo ducale, passò
dipoi alla metropolitana, dove fu cantato solenne _Te Deum_. Celebrossi
la festa del santo colla medesima tranquillità che nei tempi di pace.
Non tardò il re a far provare la sua beneficenza a que' cittadini, con
levare in tutta o in parte la diaria, cioè il pagamento di tre mila
lire di quella moneta per giorno, e una gabella sopra il sale. Deputato
intanto all'assedio del castello di Milano il tenente generale di
_Coigny_, diede tosto principio ad alzar terra, siccome all'incontro si
dispose a far buona difesa il castellano, cioè il marchese maresciallo
_Annibale Visconti_.

Nel mentre che varie brigate marciarono per bloccare Novara e Tortona,
la città di Lodi, nel dì 7 di novembre, fu occupata dai Franzesi, e
colà portossi anche il re colle forze maggiori dell'armata. Dopo aver
gittato un ponte sull'Adda passò di là, e parte marciò di qua alla
volta di Pizzighettone; nel qual giorno arrivò anche il _maresciallo
di Villars_ con quindici altri mila combattenti e un grosso treno di
artiglieria. Incredibili spese avea fatto in addietro l'imperadore
_Carlo VI_ per formare di esso Pizzighettone una piazza fortissima, e
davano ad intendere gl'ingegneri ch'essa era inespugnabile. Dalla parte
di qua dell'Adda, cioè al mezzo giorno aveano piantato essi ingegneri
un forte guernito di molte militari fortificazioni; ma senza ben
avvertire che, preso questo, serviva esso mirabilmente per offendere
la piazza posta nell'altra riva. Fu dunque risoluto dal Villars di
fare il maggiore sforzo contra del medesimo forte, sotto cui in fatti
nella notte nel dì 17 di novembre, venendo il dì 18, fu aperta la
trincea, e lo stesso si fece nel medesimo tempo dall'altra parte sotto
la piazza per tener divertiti gli assediati. In queste angustie e
disavventure il principal pensiero dei comandanti cesarei era quello
di provvedere e sostenere Mantova, come chiave dell'Italia. Salva
questa, speravano alla primavera forze tali da reprimere il corso de'
vittoriosi Gallo-Sardi. Però non sentirono ribrezzo alcuno a ritirar
da Cremona il presidio, lasciandola esposta ai nemici, che poi se ne
impadronirono nel dì 16 del mese suddetto. Solamente centocinquanta
uomini restarono alla guardia del castello, senza obbligo al sicuro
di difenderlo per lungo tempo, siccome avvenne. Con tal vigore
proseguirono i Franzesi le offese contro il forte di qua dall'Adda,
animati sempre dal re di Sardegna, il quale tre volte ogni dì visitava
gli attacchi e le batterie, che, dopo aver essi a costo di molto sangue
preso il cammin coperto, e formata la breccia, videro gli assediati
nel dì 28 di novembre esporre bandiera bianca. Si stentò ad accordar
le capitolazioni, e due volte fu spedito al _principe di Darmstat_
governatore di Mantova per questo; e perchè premeva forte agli Alemanni
di salvare il presidio di Pizzighettone, giacchè, ostinandosi nella
difesa, sarebbe rimasto prigioniere di guerra, consentirono alla resa
non solamente del forte, ma anche della piazza, con aver ottenuto le
più onorevoli condizioni per la truppa. Sicchè nel dì 8 di dicembre
venne con gran facilità in poter de' Franzesi Pizzighettone, fortezza,
che se fosse stata fornita di maggior nerbo di difensori, avrebbe
potuto durar gran tempo contro gli sforzi nemici. Cento cannoni di
bronzo si trovarono in quelle due fortezze. Attesero dipoi i Franzesi
ad occupar i forti di Trezzo e Lecco, che non fecero difesa. La fece
bensì il forte di Fuentes; ma non v'essendo più che sessanta soldati di
guernigione, e giocando forte le artiglierie nemiche, furono anche essi
costretti a rendersi prigionieri.

Sbrigati da quelle parti il re di Sardegna e il maresciallo di Villars,
accudirono all'assedio del fortissimo castello di Milano. Alla metà
di dicembre cento cannoni e quaranta mortari cominciarono un'infernale
sinfonia, e senza risparmio di sangue si avanzarono le linee verso le
mura. Maravigliosa fu la difesa che ne fece il _maresciallo Visconti_,
considerata la picciolezza del presidio. Fu detto che quattordici
mila cannonate e tre mila bombe s'impiegassero dai Franzesi in quella
impresa, e che più di mille e secento de' lor soldati vi perissero,
oltre ai feriti. Ma in fine convenne cedere, per motivo spezialmente
di salvare ciò che restò illeso di quella guernigione; e nel dì 30
di dicembre vennero sottoscritte le capitolazioni, in vigor delle
quali nel dì 2 di gennaio dell'anno seguente con tutti gli onori della
milizia gli Alemanni lasciarono libero quel castello agli assedianti,
e se ne andarono a rinforzar Mantova. Convien confessarla; parve
collegato il cielo coll'armi gallo-sarde, perchè da gran tempo non
s'era provato un verno sì dolce ed asciutto: il che troppo favorevole
riuscì alle imprese loro. Se altrimenti fosse succeduto, avrebbono i
fanghi e le rotte strade probabilmente o troppo difficultato o forse
anche sturbato affatto l'assedio di Pizzighettone e del castello
di Milano. Ebbe anche a dire il Villars, che qualora avesse potuto
indovinare una stagion sì piacevole, avrebbe cominciato le ostilità
dall'assedio di Mantova. Non passò l'anno presente che anche il
castello di Cremona venne all'ubbidienza de' collegati. Mentre questa
danza si faceva in Lombardia, ecco discendere un altro temporale dalle
parti di Spagna. Erasi collegato il re Cattolico Filippo V colla
Francia, e le condizioni de' lor negoziati si raccolsero solamente
dagli effetti che poi si videro. Potente flotta per mare avea preparato
quel monarca, in cui s'imbarcò gran copia di reggimenti, e nel dì 30
di novembre avendo spiegate le vele, benchè patisse burrasca nel golfo
di Lione, pure arrivò a quello della Spezia sul Genovesato, e quivi
sbarcata la gente, s'inviò la maggior parte di essa alla volta della
Toscana. Più di quattro mila cavalli, spediti per la Linguadoca, da
Antibo furono trasportati anche essi per mare alla riviera di Levante
dei Genovesi.

Scorgeva ognuno minacciato da questo turbine il regno di Napoli.
Inviato il _duca di Castro Pignano_ con un corpo di truppe al forte
dell'Aulla, presidiato dai Tedeschi, nella Lunigiana, per aprirsi la
comunicazione fra la Toscana e il Parmigiano, se ne impadronì egli
nel dì 24 di dicembre, con far prigionieri cento e trenta uomini di
quel presidio. Vennero in questi giorni a visitare il real infante
_don Carlo il maresciallo di Villars_, il _conte di Montemar_, capitan
generale dell'armata spagnuola, e il _duca di Liria_, per concertare
le imprese dell'anno seguente. Calarono anche in Lombardia alcuni
reggimenti spagnuoli, che presero riposo sul Parmigiano. Fu in questi
tempi che esso infante duca di Parma venne dichiarato generalissimo
dell'armata spagnuola in Italia; e perciocchè egli era già pervenuto
all'età di diciotto anni senza poter ottenere dalla corte di Vienna
di essere dispensato dai tutori (questo fu ancora uno de' capi delle
doglianze del re Cattolico), di sua autorità, e seguitando l'esempio di
altri duchi di Parma suoi antecessori, dichiarò sè stesso maggiore, e
prese il governo degli Stati, con ringraziare il gran duca di Toscana
_Gian Gastone_, la _duchessa Darotea_ avola sua, della cura che come
contutori aveano finora preso di lui. Nè in Italia solamente si provò
il peso della guerra nel presente anno. Massa grande di combattenti
avea fatto la Francia in Alsazia, e spedito colà per generale il
_principe di Contì_. Verso la metà di settembre egli passò il Reno, e
mise l'assedio al forte di Kehl, che sul fine di esso mese fu obbligato
alla resa. Siccome a questi improvvisi assalti non era punto preparata
la corte di Vienna, così la fortuna accompagnò dappertutto l'armi
franzesi. Godeva intanto Roma una deliziosa pace; e il pontefice
_Clemente XII_, che, al pari de' suoi antecessori, ambiva lasciar
qualche insigne memoria di sè stesso nella mirabil città di Roma,
prese in quest'anno la risoluzione grandiosa di fabbricar la facciata
della basilica Lateranense. Però sul principio di dicembre con molta
solennità fu posta la prima pietra de' fondamenti di sì magnifico
edifizio. Trovossi sottoposta in quest'anno ad un lagrimevol accidente
la città d'Ancona. Svegliatosi un tempestoso vento nella notte del
lunedì 15 di settembre venendo il martedì, fece inorridir tutti quegli
abitanti, che si figuravano tremuoto in terra e mare. Più legni, che
erano in porto, si ruppero colla morte di molte persone; furono portate
via le tegole delle case e i camini da fuoco, rovinate varie case,
e conventi; sommamente restò danneggiata la gran fabbrica del nuovo
lazzaretto, rovesciata dalla parte del molo, e nella campagna sradicati
alberi, e portati via i fenili. Tutto era pianti ed urli allora in
quella povera città, e scorse questo impetuoso turbine sino a Macerata
e Loreto.



    Anno di CRISTO MDCCXXXIV. Indiz. XII.

    CLEMENTE XII papa 5.
    CARLO VI imperadore 24.


Fu quest'anno un di quelli che in grande abbondanza provvide le
pubbliche gazzette e storie di novità e fatti strepitosi riguardanti
massimamente l'Italia. Da me non ne aspetti il lettore che un
compendioso racconto. Erano in armi contro dell'Augusto _Carlo VI_
Franzesi, Spagnuoli e il re di Sardegna. Fece la Spagna conoscere
al mondo quanta fosse la sua potenza, da che la Francia le avea dato
un re, e re che vegliava ai proprii interessi. Imperciocchè insigne
fu l'armamento per mare, continui i trasporti di gente, di attrezzi
militari e di danaro per terra e per mare, a fine d'imprendere la
conquista dei regni di Napoli e di Sicilia. Maggiori si videro gli
sforzi della Francia per continuare la guerra del Reno e in Lombardia:
e il bello fu che non solamente nelle corti, ma anche nei pubblici
manifesti, facea quel gabinetto rimbombar dappertutto la scrupolosa
intenzione sua in questi sì gagliardi movimenti d'armi, che era non
già (guardi Dio) di acquistare un palmo di terreno, ma bensì di farsi
render ragione da Cesare, per aver egli spalleggiato l'_elettor di
Sassonia_ al conseguimento della corona di Polonia e cooperato alla
depressione del _re Stanislao_. Se mai per sorte con sì belle sparate
si figurasse il gabinetto franzese di gittar polvere negli occhi
agl'Inglesi ed Olandesi, affinchè non istendessero il braccio alla
difesa dell'augusta casa di Austria, non erano sì poco accorte quelle
potenze, che non sapessero il vero significato di sì magnifiche e
disinteressate proteste. Pure non entrarono esse potenze in verun
impegno per sostener Cesare contro tanti nemici, benchè pregate e
sollecitate dalla corte di Vienna: ed unica cagione ne fu lo sdegno,
non peranche cessato, per avere l'augusto monarca, dopo tanti benefizii
a lui compartiti, voluto piantare in detrimento loro la compagnia
d'Ostenda, tuttochè questa fosse poi abolita. Si avvide allora il
buon imperadore quanto l'avessero in addietro tradito i suoi troppo
ingordi consiglieri e ministri; e convenne a lui di far penitenza de'
mali consigli altrui, con portar quasi solo tutto il peso di questa
nuova guerra. Perchè, è ben vero che gli riuscì d'indurre i circoli
dell'imperio a dichiarare la guerra; ma non è ignoto qual capitale si
possa fare di que' soccorsi troppo stentati e non mai concordi. Oltre
di che gli elettori di Baviera, Colonia e palatino non consentirono
a tal dichiarazione, e se ne stettero neutrali; anzi il primo fece
un considerabile armamento con voce di mirare alla propria difesa, ma
armamento tale, che tenne sempre in diffidenza e suggezione la corte
cesarea, e la obbligò a guardare con assai gente i suoi confini,
perchè persuasa che il solo oro della Francia manteneva in piedi la
armata bavarese, ascendente a venticinque e forse più mila persone.
Ora in questo verno attese vigorosamente Cesare a batter la cassa
per resistere ai suoi nemici non meno in Lombardia che al Reno, dove
smisurate forze si andavano raunando da' Franzesi.

In questo mentre le due restanti piazze dello Stato di Milano, cioè
Novara e Tortona, venivano o bloccate o bersagliate dall'armi dei
collegati. Ma nel dì 9 di gennaio fu portata a Milano la nuova che
Novara, comprendendo seco la fortezza d'Arona, avea capitolala la
resa con andarsene liberi que' presidii alla volta di Mantova. Allora
fu che si determinò di convertire in assedio il blocco di Tortona e
del suo castello, che era in credito di fortezza capace di stancare
un esercito. Nel dì 12 del suddetto gennaio al dispetto della fredda
stagione fu aperta la trinciera sotto quella città, da cui essendosi
nel dì 26 ritirato il governatore conte Palfi, lasciò campo ai Franzesi
di impossessarsene nel dì 28. Non corrispose all'aspettazion della
gente il presidio di quel castello, ancorchè fosse composto di due
mila Alemanni; perciocchè appena cominciarono il terribile lor giuoco
sessantadue pezzi di cannone e quattordici mortari da bombe, che quel
comandante dimandò di capitolare, e ne uscì nel dì 9 di febbraio con
tutti gli onori militari. Ad altro, siccome dissi, non pensavano
in questi tempi gli uffiziali cesarei nel brutto frangente di sì
impensata guerra, che di salvar la gente, per poter salvare Mantova.
Tutto intanto andò lo Stato di Milano: dopo di che presero riposo le
affaticate e molto sminuite truppe degli alleati. Arrivò il febbraio,
e nè pure si era veduto calare in Italia corpo alcuno di Tedeschi;
solamente s'intendeva che nel Tirolo, e a Trento e Roveredo, andava
ogni dì crescendo il numero dei combattenti austriaci, e che per
capitan generale della loro armata veniva il maresciallo _conte di
Mercy_. Con sei mila persone arrivò finalmente questo generale sul fine
di quel mese a Mantova per conoscere sul fatto lo stato delle cose,
e poi se ne tornò a Roveredo per affrettare il passaggio dell'altre
incamminate milizie. Ma con esso veterano e valoroso comandante parve,
che si accompagnasse anche la mala fortuna, e seco passasse in Italia.
Fu egli sorpreso da una grave flussione agli occhi, ed altri dissero da
un colpo di apoplessia, per cui di tanto in tanto restava come cieco.
Progettossi in Vienna di richiamarlo; ma perchè sempre se ne sperò
miglioramento, continuò egli nel comando.

Trovandosi troppo vicino a questo incendio _Rinaldo d'Este_ duca di
Modena, cominciò anch'egli a provarne le perniciose conseguenze. Sul
principio dell'anno presente ecco stendersi le truppe spagnuole per
li suoi Stati, e prendere quartiere nelle città di Carpi e Correggio,
nelle terre di San Felice e Finale, e in altri luoghi. Perchè s'erano
precedentemente ritirati dalla Mirandola gli Alemanni, esso duca
di Modena avea tosto bensì guernita quella sua città col proprio
presidio; ma non tardò il duca di _Liria_ generale spagnolo nel dì
15 di gennaio a comparire colà colle sue milizie, con chiedere di
entrarvi; al che non fu fatta resistenza, giacchè promise di lasciar
intatta la sovranità e il governo del duca di Modena, principe risoluto
di mantenere la neutralità in mezzo a queste gare. Si andava intanto
ogni dì più ingrossando sul Mantovano l'armata cesarea, talmente,
che secondo le spampanate dei gazzettieri, si decantava ascendesse
a sessanta e più mila persone, bella gente tutta e vogliosa di menar
le mani. Per impedir loro l'inoltrarsi verso lo Stato di Milano, il
generalissimo re di Sardegna _Carlo Emmanuele_ spedì il nerbo delle
sue truppe a postarsi alle rive del fiume Oglio, e la maggior parte
de' Franzesi venne a custodire le rive del Po nel Mantovano di qua,
stendendosi da Guastalla fino a San Benedetto, a Revere, ed anche
ad una parte del Ferrarese; all'incontro nelle rive di là del Po
si fortificarono i Tedeschi a Governolo, Ostiglia, e nei restanti
luoghi dell'Oglio. Si stettero guatando con occhio bieco per alquante
settimane le due nemiche armate, studiando tutto il dì il generale
conte di Mercy la maniera di passare il Po; e dopo molte finte gli
venne fatto di passarlo, dove e quando men se l'aspettavano i Franzesi.
Nella notte seguente al primo dì di maggio, seco menando barche sopra
della carra, spinse egli sopra alcune d'esse il general di battaglia
_conte di Ligneville_ Lorenese pel Po con una man d'armati alla riva
opposta in faccia alla chiesa di San Giacomo, un miglio in circa
distante da San Benedetto. Arrampicaronsi sugli argini quegli armati,
e vi presero posto; nel qual mentre le sentinelle franzesi sparando
sparsero l'avviso di questa sorpresa. Ma il Mercy, con incredibile
diligenza fatto formare il ponte, non perdè tempo a spingere nuove
truppe di qua, in maniera che quando sopraggiunsero le brigate
franzesi, vedendo esse già passata tutta l'oste cesarea, ad altro non
pensarono che a mettersi in salvo.

Grande infatti fu lo scompiglio dei Franzesi, troppo sparpagliati
dietro alla grande stesa degli argini del Po; laonde, corsa la voce
del passaggio suddetto, ciascun corpo d'essi colla maggior fretta
possibile prese la strada del Parmigiano, lasciando indietro non pochi
viveri, munizioni e parte ancora del bagaglio. Passò questo terrore
al Finale, a San Felice e alla Mirandola, dove erano entrati essi
Franzesi, dappoichè l'aveano abbandonata gli Spagnuoli; e tutte quelle
schiere, unitesi poi con quelle di Guastalla, marciarono alla Sacca,
luogo del Parmigiano sul Po. Formato quivi un ponte per mantener la
comunicazione coll'Oltrepò, con alte fosse e trincee si afforzarono;
e da Parma sino a quel luogo dietro al fiume appellato Parma tirarono
una linea, guernendola di gran gente e cannoni, ed aspettando di vedere
che risoluzion prendessero gli Austriaci. Con buona disciplina, dopo
avere ripigliato il possesso della Mirandola, sen vennero questi sul
territorio di Reggio; impadronironsi anche di Guastalla e Novellara,
e andarono ad alzar le tende nelle ville del Parmigiano. Era ito
frattanto il _general Mercy_ a Padova, per isperanza di riportare da
quegli esculapii la guarigion della sua vista; e senza di lui nulla
si potea intraprendere di grande. Parve agli altri comandanti cesarei
viltà il lasciare tanto in ozio il fiorito loro esercito, e però si
avvisarono di cacciare i Franzesi dalla terra di Colorno. Sul principio
di giugno con un grosso distaccamento si portarono colà; disperata
difesa fece quel presidio; sicchè tutti coloro o perderono la vita o
restarono prigionieri. Ma senza paragone vi spesero gl'imperiali più
sangue, essendovi rimasto ucciso il suddetto troppo ardito generale
di Ligneville con altri uffiziali e molta lor gente. Videsi poi
saccheggiata quella povera terra, senza perdonare nè ai luoghi sacri,
nè alle delizie del palazzo e giardino de' duchi di Parma, le quali
furono ivi per la maggior parte disperse od atterrate. Non riportò
lode il principe _Luigi di Wirtemberg_, comandante allora _pro interim_
dell'armata cesarea, perchè non s'inoltrasse con tutte le forze affine
di stringere i Franzesi a Sacca. A lui bastò di mettere in Colorno due
reggimenti. Ma nel dì 5 di giugno essendosi mosso il valoroso re di
Sardegna con assai brigate sue e dei franzesi a quella volta, seguì
una calda zuffa con vicendevole mortalità di gente; pure si trovarono
obbligati i Tedeschi di abbandonare quel sito, oramai, ma troppo
tardi, pentiti di avere comperato sì caro un acquisto che niun frutto e
solamente molto danno loro produsse.

Da che fu ritornato da Padova il _maresciallo di Mercy_, non v'era
chi non credesse imminente qualche gran fatto d'armi; ma con istupore
d'ognuno egli si ritirò a San Martino del marchese estense a digerire
la bile; e ciò perchè odiato dalla maggior parte degli uffiziali, come
macellaio delle truppe, non avea trovato in essi l'ubbidienza dovuta.
Se andassero bene con questi contrattempi gli affari dell'imperadore,
sel può immaginare ciascuno. Placato in fine dopo molti giorni esso
maresciallo, se ne tornò al campo, ed allora determinò di venire
a giornata coi nemici. Sarebbe stato da desiderare ch'egli in sì
pericoloso cimento fosse stato meglio servito dai suoi occhi, e che
le misure da lui prese fossero state quali convengono ai più accorti
generali di armate. Parve a non pochi mal conceputo disegno l'aver egli
(giacchè troppo difficile era l'assalire il campo contrario nelle linee
ben fortificate del fiume Parma) preso un giro al mezzogiorno della
città di Parma, con intenzione di azzuffarsi all'occidente, dove di
fortificazioni erano privi i Franzesi; ma senza far caso di lasciare
esposto un fianco del suo esercito alle artiglierie della città,
e del potere la guernigione di essa città tagliargli la ritirata,
in caso di disgrazie. Ma egli era portato da una ferma credenza di
sconfiggere i nemici; e il vero è che pensava di trovare i Franzesi
nell'accampamento loro dietro alla Parma, e non già nel sito dove
succedette dipoi il terribil conflitto. All'armata gallo-sarda non si
trovava più il _maresciallo di Villars_, perchè la sua soverchia età
gli avea siffattamente infiacchita la memoria, che ora dato un ordine,
da lì a poco dimentico del primo, ne spediva un altro in contrario.
Laonde, richiamato alla corte, s'inviò nel dì 27 di maggio alla volta
di Torino, dove, sorpreso da malattia, diede fine ai suoi giorni,
ma non già alla gloria di essere stato uno dei più sperti e rinomati
condottieri d'armata dei giorni suoi. Anche il generalissimo _Carlo
Emmanuele_ re di Sardegna avea dato una scorsa a Torino, per visitar la
regina caduta inferma. Ora, essendo restato al comando dell'esercito
gallo-sardo i due marescialli di _Coigny_ e di _Broglio_, o sia che
le spie portassero avviso dei movimenti degl'imperiali, o pure fosse
accidente, mossero eglino il campo, per venire anch'essi al mezzo
giorno, verisimilmente per coprire la città di Parma da ogni attentato.

All'improvviso dunque nella mattina del dì 29 di giugno, festa dei
santi Pietro e Paolo, si scontrarono le due nemiche armate sulla
strada maestra, o vogliam dire via Claudia, stendendosi i Franzesi
dalla città fino per un miglio al luogo detto la Crocetta, ben difesi
dagli alti fossi della medesima strada. Ancorchè si trovasse il Mercy
inferiore di gente, per aver lasciato molti staccamenti indietro alla
custodia dei passi, e tutta la fanteria non fosse peranche giunta, pure
attaccò furiosamente la battaglia con istrage non lieve de' nemici.
Costò anche gran sangue l'espugnazione d'una cassina; ma il peggio
fu ch'egli stesso, col troppo esporsi alle palle degli avversarii,
ne restò sì malamente colto, che sul campo spirò l'ultimo fiato. Non
si sa se il funerale fosse poi accompagnato dalle lagrime di alcuno.
Arrivata la fanteria tutta, crebbe maggiormente il fuoco, le morti
e le ferite da ambe le parti, senza nondimeno che l'una passasse
nei confini dell'altra. A cagione di tanti fossi ed alberi poco o
nulla potè operare la copiosa cavalleria tedesca; e i soli fucili e
i piccioli cannoni da campagna, ma non mai le sciabole e baionette,
fecero l'orribil giuoco. Da molti fu creduto che il principe _Luigi
di Wirtemberg_, rimasto comandante in capo dopo la morte del Mercy,
non sapesse qual regolamento avesse preso il defunto generale, e però
pensasse più alla difesa che all'offesa. Ed altri immaginarono che
se fosse sopravvissuto il Mercy, egli avrebbe riportata vittoria, o
sacrificata la maggior parte delle sue truppe. La conclusione fu, che
questo sanguinoso combattimento durò fino alla notte, la quale pose
fine al vicendevol macello; ed amendue l'armate rimasero nei loro
campi a considerare e compiangere le loro perdite per tanti uffiziali
e soldati o uccisi o feriti, senza sapere qual destino fosse toccato
alla parte contraria. Non aspetti alcuno da me d'intendere a quante
migliaia ascendesse il danno dell'una o dell'altra armata, insegnando
la sperienza che ognuno si studia d'ingrandire il numero dei nemici e
di sminuire il numero dei proprii. Calcolarono alcuni che almen dieci
mila persone tra gli uni e gli altri restassero freddi sul campo. Quel
ch'è certo, ciascuna delle parti nella notte, al trovare tanta copia di
morti e feriti, si credette vinta; e si sa che i comandanti franzesi,
tenuto consiglio, meditavano già di ritirarsi ai confini della Sacca e
a decampare dai contorni di Parma; quando verso la mezza notte giunse
la grata nuova che i Tedeschi, levato il campo, erano in viaggio per
tornarsene verso il Reggiano. Snervati cotanto di gente si trovarono
essi cesarei, e privi di vettovaglie e foraggi, e in vicinanza d'essa
città nemica, che loro fu necessario di retrocedere. Era ferito anche
lo stesso principe di Wirtemberg.

Videsi in questi tempi Parma tutta piena di Gallo-Sardi feriti, e
una processione continua per due giorni sulla via Claudia di feriti
tedeschi, non curati da alcuno, de' quali parte ancora nel viaggio
andava mancando di vita: spettacolo compassionevole ed orrido a chi
contemplava in essi l'umana miseria e i frutti amari dell'ambizion de'
regnanti. Sul fine della battaglia per le poste, e con grave pericolo
di cadere in mano dei cesarei, il re di Sardegna pervenne al campo.
Fu creduto migliore consiglio il non inseguire i fuggitivi nemici, e
nel dì seguente s'inviò buona parte dell'esercito gallo-sardo verso
Guastalla per isloggiarne i Tedeschi. V'era dentro un presidio di mille
e duecento persone, e per disattenzione dei comandanti cesarei niuno
avviso fu loro inviato della succeduta catastrofe; laonde, trovandosi
quella gente sprovveduta d'artiglierie, di munizioni e di viveri, fu
obbligata di rendersi prigioniera. Giunse intanto l'esercito tedesco
a passare il fiume Secchia, dopo aver lasciate funeste memorie di
ruberie per dovunque passò; e a fin di mantenere la comunicazione colla
Mirandola e col Mantovano, si diede tosto ad afforzarsi sugli argini
dello stesso fiume; siccome parimente fecero i Franzesi nella parte
di là, con aver posto il re di Sardegna il quartier generale a San
Benedetto. Avea nella precedente primavera il _maresciallo di Villars_
pensato a stendere la sua giurisdizione anche negli Stati di Modena,
sì per assicurarsi di questa città e della sua cittadella, come anche
per istendere le contribuzioni in questo paese: mestiere favorito dai
monarchi della terra, e praticato tanto più indiscretamente da essi,
quanto più son potenti e ricchi, senza distinguere paesi neutrali ed
innocenti dai nemici. Nel dì 15 d'aprile comparve a Modena il marchese
di Pezè, uffiziale franzese di gran credito ed eloquenza, che fece
la dimanda d'essa cittadella in deposito a nome del re Cattolico.
Per quante esibizioni facesse il _duca Rinaldo_ di sicurezze ch'egli
guarderebbe quella fortezza senza darla ai nemici degli alleati, saldo
stette il Pezè in esigere, e non men di lui il duca in negare sì fatta
cessione. Andossene perciò senza aver nulla guadagnato quell'uffiziale,
e il duca, a cagion di questo, guernì di qualche migliaio di sue
milizie la cittadella predetta. Ma da che dopo la battaglia di Parma si
trovarono sì infievoliti i cesarei, spedì il duca al campo gallo-sardo
l'abbate Domenico Giacobazzi, oggidì consigliere di Stato e segretario
ducale, ben persuaso di non poter più resistere alla tempesta, e
desideroso di salvare quel più che potea nell'imminente naufragio.
Disposte poscia il meglio che fu possibile le cose, nel dì 14 di luglio
si ritirò il duca con tutta la sua famiglia a Bologna. Il principe
ereditario _Francesco_ suo figlio e la principessa consorte s'erano
molto prima portati a Genova, e di là poi col tempo passarono amendue a
Parigi.

Entrarono nel dì 13 i Franzesi in Reggio, e nel dì 20 del mese suddetto
comparve alle porte di Modena il _marchese di Maillebois_, tenente
generale di sua maestà Cristianissima, con buon distaccamento d'armati
che accordò alla città e sue dipendenze un'onesta capitolazione,
restando intatta la giurisdizione, dominio e rendite del duca, con
altri patti in favore del popolo: patti di carta, che non durarono
poi se non pochi giorni. Che intollerabili aggravii, che esorbitanti
contribuzioni imponessero poscia i Franzesi agli Stati suddetti, non
occorre ch'io lo ricordi, dopo averne assai parlato nelle Antichità
Estensi. Divennero in oltre essi Stati il teatro della guerra, tenendo
i Cesarei la Mirandola e tutto il basso Modenese, e i Franzesi Modena,
Reggio, Correggio e Carpi. Il fiume Secchia era quello che dividea
le armate, le quali andarono godendo un dolce ozio sino alla metà di
settembre, ma senza lasciarne godere un briciolo ai poveri abitanti.
Al comando dell'armi imperiali era intanto stato inviato da Vienna il
maresciallo _conte Giuseppe di Koningsegg_, signore di gran senno,
che tosto determinò di svegliare gli addormentati nemici. Trovavasi
in questo tempo attendato a Quistello il maresciallo franzese _conte
di Broglio_ con parte dell'esercito, guardando i passi della Secchia.
Con isforzate marcie e con gran silenzio sull'alba del dì 15 di esso
settembre ecco comparire il nerbo maggiori degli Alemanni, valicar
la poca acqua del fiume, sorprendere i picchetti avanzati, e poi dare
improvvisamente addosso al campo franzese. Non ebbero tempo colti nel
sonno i soldati di prendere l'armi, non che di ordinar le schiere.
Solamente si pensò alle gambe. Fuggì in camicia il maresciallo di
Broglio; e il signore di Caraman suo nipote, colonnello e brigadiere
d'essa armata, essendosi opposto per facilitare al zio la ritirata,
restò con altri uffiziali prigioniero. Andò a sacco tutto il campo,
tende, bagagli, armi, munizioni, e le argenterie de' maggiori
uffiziali. Era molto splendida e copiosa quella del conte di Broglio,
la cui segreteria restò anch'essa in mano dei vincitori. Per questa
disavventura fu da lì innanzi esso maresciallo, benchè personaggio di
gran merito e mente, guardato di mal occhio alla corte di Francia, e
col tempo si vide cadere. Rimasero per tale irruzione tagliati fuori
molti corpi di Franzesi, che si renderono prigioni, altri ne furono
presi a letto nel campo, tal che fu creduto, che tra morti e prigioni,
vi perdessero i Franzesi da tre e forse più mila persone. Maggiore
senza paragone sarebbe stata la perdita loro, se non si fossero
sbandati i Tedeschi dietro al ricco spoglio del campo, e non avessero
trovato, allorchè presero ad inseguire i nemici, varie fosse e canali,
custoditi da qualche truppa franzese, che ritardarono di troppo i lor
passi. Ebbe tempo il re di Sardegna di ritirarsi colla sua gente da San
Benedetto, conducendo seco cannoni e bagaglio, pizzicato nondimeno per
viaggio. Solamente due battaglioni restati in quel monistero con altri
Franzesi capitati colà, dopo avere ottenuti patti onesti, si renderono
agl'imperiali.

Ridotto in fine con gran fretta tutto l'esercito gallo-sardo a
Guastalla fuori di quella città, e fra i due argini del Po e del
Crostolo vecchio, si diede con gran fretta a formare alti e forti
trincieramenti; nel qual tempo furono anche abbandonati Carpi e
Correggio dai presidii franzesi, che si ritirarono al grosso della lor
armata. A quella volta del pari trasse tutto il cesareo esercito, e
poco si stette a vedere un altro spaventevole fatto d'armi. Molto fu
poi disputato se a questo nuovo conflitto si venisse per accidente o
pure per risoluta volontà del _maresciallo di Koningsegg_. Giudicarono
alcuni che, per una scaramuccia insorta fra grosse partite, a poco
a poco andasse crescendo l'impegno, tanto che in fine tutte le due
armate entrarono in ballo. Pretesero altri che il Koningsegg, troppa
fede prestando al principe di Virtemberg, asserente, come cosa certa,
che la cavalleria gallo-sarda era passata oltre Po a cercar foraggi,
determinasse di tentar la fortuna. Persona di credito mi assicurò, non
altra intenzione avere avuto il generale cesareo, che di riconoscere
il campo nemico; ma che, inoltratisi due o tre suoi reggimenti, vennero
alle mani con un corpo di Franzesi: laonde la battaglia divenne a poco
a poco universale. Usciti perciò dei loro trincieramenti i Franzesi
in ordinanza di battaglia, nella mattina del dì 19 di settembre si
azzuffarono i due possenti eserciti; e sulle prime due bei reggimenti
di corazze cesaree, caduti in un'imboscata, rimasero quasi disfatti.
Al primo avviso il re sardo, che si trovava di là dal Po, corse a
rinforzar l'armata colla sua cavalleria, e sempre colla spada alla mano
in compagnia dei due marescialli di Coigny e di Broglio, attese a dar
gli ordini opportuni, trovandosi coraggiosamente in mezzo ai maggiori
pericoli. Giocarono in questo conflitto terribilmente le artiglierie
d'ambe le parti, facendo squarci grandi nelle schiere opposte; le
sciabole e baionette non istettero punto in ozio; e però sanguinosa
oltremodo riuscì la pugna. Parve che il principe _Luigi di Wirtemberg_
andasse cercando la morte: tanto arditamente si spinse egli addosso
ai nemici; e infatti restò ucciso sul campo. Ora piegarono i Franzesi
ed ora i Tedeschi; ma in fine, chiarito il Koningsegg che non si potea
rompere l'oste contraria, prese il partito di far sonare a raccolta, e
di ritirarsi colla migliore ordinanza che fu possibile. Si disse che
i Franzesi l'inseguissero per un tratto di strada, ma non è certo. A
quanto montasse la perdita dell'una e dell'altra parte, resta tuttavia
da sapersi. Indubitata cosa è che vi perì gran gente con molti insigni
uffiziali di prima riga e subalterni, e maggior fu la copia de' feriti,
la quale ascese a migliaia. Si attribuirono i Gallo-Sardi la vittoria,
e non senza ragione, perchè restarono padroni del campo, di quattro
stendardi e di qualche pezzo di cannone e i Savoiardi riportarono
in trionfo un paio di timballi. Ebbe l'avvertenza il maresciallo
cesareo, nello stesso bollore del poco prospero conflitto, di spedir
ordine perchè si formasse o si armasse gagliardamente il ponte di
comunicazione col Mantovano sul Po, e fu ben servito. Nè si dee tacere
che il _marchese di Maillebois_, durante la battaglia suddetta, con tre
mila cavalli di là dal Po corse per sorprendere Borgoforte, ed impedire
la comunicazione del ponte; ma non fu a tempo, anzi ben ricevuto, non
pensò che a tornarsene indietro.

Venne nei seguenti giorni a notizia dei Franzesi altro non trovarsi
nella Mirandola che lo scarso presidio di trecento Alemanni con
poca artiglieria. Parve questo il tempo d'impadronirsene. Scelto
per tale impresa il suddetto tenente generale _Maillebois_, uomo di
grande ardire ed attività, comparve sotto quella piazza con sei mila
combattenti, con otto grossi pezzi d'artiglieria cavati da Modena, e
con altri cannoni; e senza riguardi e cerimonie alzò tosto una batteria
sul cammino coperto. Essendo poi corsa voce che dieci mila Tedeschi
venivano a fargli una visita, con tutti i suoi arnesi fu presto a
ritirarsi. Ma, scopertasi falsa questa voce, egli, più che mai voglioso
e isperanzito di quell'acquisto, tornò sotto alla piazza, e con tutto
vigore rinovò le offese. Fatta la breccia, si preparava già a scendere
nella fossa, quando venne a sapere che il Koningsegg segretamente avea
fatto sfilare alquante migliaia de' suoi a quella volta, e formato
un ponte sul Po a questo effetto; però da saggio comandante nel dì
12 di ottobre sloggiò, e tal fu la fretta, che lasciò indietro tutta
l'artiglieria. Niun'altra considerabile impresa fu fatta nel resto
dell'anno, se non che ostinatosi il conte di Koningsegg di stare colla
sua gente in campagna tra il Po e l'Oglio, gran tormento diede all'oste
gallo-sarda obbligata a gravi patimenti, alloggiando e dormendo i
poveri soldati non più sulla terra, ma sui fanghi e nell'acqua. Non
soffrì il re di Sardegna che più durasse tanto affanno delle milizie, e
decampato che ebbe, le ridusse ai quartieri di verno, ma sì mal concie,
che, entrata fra loro un'epidemia, nei seguenti mesi sbrigò dai guai
del mondo una parte di essi, e non solo essi, ma chiunque dei medici,
chirurghi e cappellani che assisterono ad essi: come pur troppo si
provò nella città di Modena. La ritirata loro aprì il campo ai Cesarei
per passar l'Oglio, ed impadronirsi di Bozzolo, Viadana, Casal Maggiore
ed altri luoghi. E al principe di Sassonia _Hildburgausen_ riuscì con
finti cannoni di legno di far paura al comandante di Sabbioneta, che
non ebbe difficoltà di renderla a patti onorevoli. Con tali imprese
terminò nell'anno presente la campagna in Lombardia.

Ci chiama ora un'altra memorabile scena, parimente spettante a
quest'anno e all'Italia. Siccome accennammo, era già stata presa nel
gabinetto di Spagna la risoluzion di valersi del tempo propizio in
cui si trovavano impegnate l'armi di Cesare al Reno e in Lombardia,
per la conquista dei regni di Napoli e Sicilia. Ognun vedea che le
mire degli Spagnuoli con tanti legni in mare, con tanta cavalleria e
fanteria già pervenuta in Toscana, e che andava ogni dì più crescendo,
tendevano a passar colà. Maggiormente ancora se ne avvide il _conte don
Giulio Visconti_, vicerè allora di Napoli, il quale bensì per tempo
si accinse a far la possibile difesa, con fortificare spezialmente
Gaeta e Capoa, e provvederle di gente e di tutto il bisognevole; ma,
per trovarsi con forze troppo smilze a sì pericoloso cimento, con
replicate lettere facea istanza di soccorsi alla corte di Vienna. Ne
ricevè molte speranze; a riserva nondimeno di alquante reclute e di
altre poche milizie che dal litorale austriaco e dalla Sicilia per mare
andarono capitando colà, si sciolsero tutte in fumo le altre promesse.
Il quartier generale dell'esercito spagnuolo, sotto la direzione del
_conte di Montemar_, nel gennaio di quest'anno era in Siena. A quella
volta si mosse da Parma anche il real _infante don Carlo_; ed essendo
nel dì 5 di febbraio passato in vicinanza di Modena, salutato con salva
reale dalla cittadella, arrivò poi nel dì 10 felicemente a Firenze.
Portò egli seco gli arredi più preziosi dei palazzi Farnesi di Parma
e Piacenza, ben prevedendo che gli si preparava un più magnifico
alloggio in altre parti. Anche il _duca di Liria_, raccolte le truppe
spagnuole ch'erano sparse negli Stati del duca di Modena, e abbandonata
la Mirandola, andò ad unirsi all'esercito sul sanese. Da che sul
fine di febbraio si fu messo alla testa di sì bella e poderosa armata
esso reale infante, tutti si mossero alla volta di Roma, e nel dì 15
passarono sopra un preparato ponte il Tevere. Nello stesso tempo per
mare capitò a Cività vecchia la numerosa flotta di Spagna, ed otto navi
di essa, veleggiando oltre, nel dì 20 s'impossessarono delle isole
di Procida ed Ischia. Furono sparsi per Napoli e pel regno manifesti
che promettevano per parte dell'infante diminuzion di aggravii, e
privilegii e perdono a chi in addietro avea tenuto il partito imperiale
contro la corona di Spagna.

Stavano intanto speculando i satrapi della politica se gli Spagnuoli
troverebbero opposizioni ai confini. Niuna ne trovarono, e però avendo
essi declinata Capoa, e passato il Volturno, giunsero a sant'Angelo di
Rocca Canina. Era stata su questo disputa fra i due generali, _Caraffa_
Italiano e _Traun_ Tedesco. Pretendeva l'uno d'essi, cioè il primo,
che tornasse più il conto a sguernire le piazze di presidii, e raccolta
tutta la gente di armi alemanna, doversi formare un'armata che andasse
a fronte della nemica, per tentare una battaglia. Succedendo questa
felicemente, pareva in salvo il regno. All'incontro, col difendere
i soli luoghi forti, Napoli era perduta; e chi ha la capitale, in
breve ha il resto. Sosteneva per lo contrario il conte Traun il tener
divise le soldatesche nelle fortezze; perchè, venendo i promessi
soccorsi di venti mila armati dalla Germania, Napoli si sarebbe
felicemente ricuperata. Prevalse quest'ultimo sentimento, e fu la
rovina de' cesarei, che niun rinforzo riceverono, e perderono tutto.
Dopo la disgrazia fu chiamato in Vienna il generale Caraffa, fedele
ed onoratissimo signore, imputato di non aver ben servito l'augusto
padrone. Andò egli ma non gli fu permesso di entrare in Vienna, nè di
parlare a sua maestà cesarea. Per altro, portò egli seco le chiare sue
giustificazioni. Fu detto che l'imperadore con sua lettera gli avesse
ordinato di raunar la gente, e di venire ad un fatto d'armi, e che
altra lettera del consiglio di guerra sopraggiunse con ordine tutto
contrario. Avea il conte _don Giulio Visconti_ vicerè preventivamente
inviata a Roma la moglie col meglio dei suoi mobili, e a Gaeta le
scritture più importanti; ed egli stesso dipoi prese la strada di
Avellino e Barletta, per non essere spettatore della inevitabil
rivoluzione di Napoli, che tutta era in iscompiglio, e che scrisse a
Vienna le scuse e discolpe della sua fedeltà, se sprovveduta di chi
la sostenesse, era forzata a cedere ad un principe che si accostava
con esercito sì potente per terra e per mare. Giunto pertanto nel dì 9
d'aprile il reale infante coll'oste sua a Maddalori, lungi quattordici
miglia da Napoli, vennero i deputati ed eletti di quella real città
ad inchinarlo, e a presentargli le chiavi, coprendosi come grandi di
Spagna, secondo il privilegio di quella metropoli. Nel seguente dì 10
fu spedito un distaccamento di tre mila Spagnuoli, che pacificamente
entrarono in Napoli, e l'infante passò alla città d'Aversa, fissando
ivi il suo quartiere, finattantochè si fossero ridotte all'ubbidienza
le fortezze della capitale. Contra di queste, preparati che furono
tutti gli arnesi, si diede principio alle ostilità. Nel dì 25 si
arrendè il castello Sant'Ermo, con restare prigioniera la guernigione
tedesca di secento venti persone. Due giorni prima anche l'altra di
Baia, dopo aver sentite alquante cannonate, si rendè a discrezione.
Consisteva in secento sessanta soldati. Il castello dell'Uovo durò sino
al dì 5 di maggio, in cui quel presidio, esposta bandiera bianca, restò
al pari degli altri prigioniero. Altrettanto fece nel dì 6 d'esso mese
Castel Nuovo.

Dappoichè fu libera dagli Austriaci la città di Napoli, vi fece il suo
solenne ingresso nel dì 10 di maggio l'infante reale _don Carlo_ fra le
incessanti allegrie ed acclamazioni di quel gran popolo. Nobili fuochi
di gioia nelle sere seguenti attestarono la contentezza d'ognuno, ben
prevedendo che questo amabil principe, così ornato di pietà e tanto
inclinato alla clemenza, avea da portar quella corona in capo. In
fatti nel dì 15 d'esso maggio giunse corriere di Spagna col decreto,
in cui il Cattolico monarca _Filippo V_ dichiarava questo suo figlio
re dell'una e dell'altra Sicilia: avviso, che fece raddoppiar le feste
ed allegrezze di un popolo non avvezzo da più di ducento anni ad avere
re proprio. Tutti i saggi riconobbero quale indicibil vantaggio sia
l'aver corte e re o principe proprio. Trovavansi in Bari già adunati
circa sette mila soldati cesarei. Poichè voce si sparse che sei mila
Croati aveano da venire ad unirsi a questa piccola armata, il capitan
generale spagnuolo, cioè il _conte di Montemar_, a fin di prevenire il
loro arrivo, col meglio dell'esercito suo, facendolo marciare a grandi
giornate, corse anch'egli a quelle parti. Nel dì 27 di maggio trovò
egli quella gente in vicinanza di Bitonto in ordine di battaglia, e
tosto attaccò la zuffa con essi. Ma quella non fu zuffa, perchè subito
si disordinarono e diedero alle gambe gl'Italiani, che erano i più, e
furono seguitati dagli Alemanni. La maggior parte restò presa, e gli
altri si salvarono in Bari. Non si potè poi cavar di testa alla gente
che il _principe di Belmonte_ marchese di San Vincenzo, comandante di
quel corpo di truppe, non avesse prima acconciati i suoi affari con gli
Spagnuoli, giacchè da lì a non molto fu osservato ben visto e favorito
da loro. Anche gli abitanti di Lecce, mossa sollevazione, presero
quanti Tedeschi si trovarono in quella contrada. In riconoscenza dei
rilevanti servigi prestati al nuovo re di Napoli, fu il conte di
Montemar dichiarato duca di Bitonto, e comandante de' castelli di
Napoli con pensione annua di cinquanta mila ducati. Impadronironsi
poscia gli Spagnuoli di Brindisi e di Pescara, con restar prigioni di
guerra quei presidii. Ma ciò che più stava loro a cuore, era la città
di Gaeta, piazza di gran polso, e ben provveduta di gente, viveri e
munizioni per la difesa. Nel dì 31 di luglio si portò per mare colà
il giovine re _don Carlo_, ed allora l'esercito aprì la trinciera.
A tale assedio comparve anche _Carlo Odoardo_ principe di Galles,
primogenito del cattolico re _Giacomo III Stuardo_, che fu accolto dal
re di Napoli con dimostrazioni di distinta stima ed amore. Ma quella
forte piazza, con istupore di ognuno, non resistè che pochi giorni
alle batterie nemiche, e nel dì 7 d'agosto la guernigione tedesca
cedette il posto alla spagnuola. Perchè quegli abitanti ricusarono di
venire ad un accordo col generale dell'artiglieria, videro trasportate
a Napoli tutte le lor campane, essendone restate solamente alcune
picciole in due o tre conventi. Bella legge, che è questa, di punir le
innocenti chiese con sì barbaro spoglio! Ciò fatto, si fecero tutte le
disposizioni necessarie per passare alla conquista della Sicilia.

Nel dì 25 d'esso mese d'agosto essendosi imbarcato il capitan generale
conte di Montemar, mise alla vela il gran convoglio, numeroso di circa
trecento tartane, cinque galee, cinque navi da guerra, due palandre, e
molti altri legni minori. In vicinanza di Palermo approdò felicemente
sul fine del mese quella flotta, laonde il senato di quella metropoli,
siccome privo di difensori, non tardò a far colà la sua comparsa,
per attestare l'ossequio di quel popolo alla real famiglia di Spagna.
Addobbi insigni, strepitose acclamazioni solennizzarono nel dì 2 di
settembre l'ingresso in Palermo del suddetto Montemar di già dichiarato
vicerè di Sicilia. Passò egli dipoi col forte dell'armata a Messina,
i cui cittadini aveano già ottenuta licenza di rendersi, giacchè _il
principe di Lobcovitz_ comandante avea ritirati i presidii dai castelli
di Matagriffone, Castellazzo e Taormina, per difendere il solo castello
di Gonzaga e la cittadella. Ma poco stette a rendersi esso castello
di Gonzaga con quattrocento uomini, che rimasero prigionieri; però
tutto lo sforzo degli Spagnuoli si rivolse contro la sola cittadella,
difesa con indicibil valore do quella guernigione. Trapani e Siracusa
furono nello stesso tempo assediate. Altro più non restava nel regno di
Napoli che la città di Capoa, ricusante di sottomettersi all'armi di
Spagna. Entro v'era il general _conte Traun_, che si sostenne sempre
con gran vigore, e sovente si lasciava vedere ai nemici con delle
sortite. Una d'esse fece ben dello strepito, perchè essendosi per le
pioggie ingrossato il fiume Volturno, e rimasti tagliati fuori circa
mille Spagnuoli, perchè senza comunicazione col loro campo; il Traun
uscito con quasi tutta la guernigione, e con dei piccioli cannoni
coperti sopra delle carra, parte ne stese morti sul suolo, altri ne
fece prigionieri. Ma in fine niuna speranza rimanendo di soccorso, e
volendo esso generale salvare il presidio, capitolò la resa di quella
città e castello nel dì 22 d'ottobre, se in termine di sei giorni non
gli veniva aiuto, o non fosse seguito qualche armistizio, con altre
condizioni. Però, venuto il termine, furono scortati questi Alemanni
sino a Manfredonia e Bari, per essere trasportati a Trieste. Ed ecco
tutto il regno di Napoli all'ubbidienza del _re Carlo_, a cui nel
presente anno si videro di tanto in tanto arrivar nuovi rinforzi di
gente, munizioni e danaro. Fra tanti soldati fatti prigionieri nei
regni di Napoli e Sicilia, la maggior parte degli Italiani, ed anche
molti Tedeschi si arrolarono nell'esercito spagnuolo. Ma perciocchè
essi Alemanni, tosto che se la vedevano bella, disertavano, fu preso il
partito d'inviarne una parte degli arrolati e il resto dei prigioni in
Ispagna. Di là poi furono trasportati in Africa nella piazza d'Orano,
dove trovarono un gran fosso da passare, se più veniva lor voglia di
disertare.

Maggiormente si riaccese in questo anno la ribellion de' Corsi, dove
quella brava gente, già impadronitasi di Corte, sul fine di febbraio
diede una rotta al presidio genovese uscito della Bastia, e nel dì 29
di marzo sconfisse un altro corpo d'essi Genovesi. Continuarono poi nel
resto dell'anno le sollevazioni e le azioni militari con varia fortuna
in quell'isola. Roma vide in questi tempi per la protezion di Vienna,
e per lo sborso di trenta mila scudi, alquanto migliorata la condizione
del _cardinal Coscia_, che restò liberato dalle censure già promulgate
contra di lui, ma non già dalla prigionia di castello Sant'Angelo.
Un insigne regalo fece il pontefice _Clemente XII_ al Campidoglio,
con ordinare il trasporto colà della bella raccolta di statue antiche
fatta dal cardinale _Alessandro Albani_, ed acquistata dalla santità
sua col prezzo di sessantasei mila scudi. Ma nel dì 6 maggio si trovò
tutta in conquasso essa città di Roma, per essersi verso il mezzo dì
attaccato il fuoco ad un castello di legnami sulle sponde del Tevere,
dirimpetto al quartiere di Ripetta e alla piazza dell'Oca. Spirava
un gagliardo vento, che di mano in mano andò portando le fiamme agli
altri castelli circonvicini, e ad alcuni pochi magazzini di legna, e
alle case di quasi tutta quell'isola; di maniera che circa quattro mila
persone rimasero senza abitazione, e vi perderono i loro mobili. Per
troncare il corso a sì spaventoso incendio, fu di mestieri trasportar
colà alcuni cannoni da castello Sant'Angelo, che, atterrando varie
case, non permisero al fuoco di maggiormente inoltrare i suoi passi.
Guai se penetrava agli altri magazzini di fieno e di legna. Incredibile
fu il danno, non minore lo spavento. Fece il benefico papa distribuir
tosto due mila scudi a quella povera gente. Nell'anno presente, siccome
vedemmo, provò l'augusta casa d'Austria in Italia tante percosse,
e nè pure in Germania potè esentarsi da altre disavventure per la
troppa superiorità dell'armi franzesi. In questo bisogno di Cesare
l'ormai vecchio principe _Eugenio di Savoia_ ripigliò l'usbergo,
e passò con quelle forze che potè raunare a sostener le linee di
Erlingen. Quand'ecco due possenti eserciti franzesi, l'uno condotto dai
marescialli e duchi di _Bervich_ e _Noaglies_, e l'altro dal marchese
d'_Asfeld_, che quasi il presero in mezzo. Gran lode riportò il
principe per la stessa sua ritirata, fatta da maestro di guerra, perchè
seppe mettere in salvo le artiglierie e bagagli, e mostrando di voler
cimentarsi, saggiamente si ridusse in salvo senza alcun cimento con
tutti i suoi. Fu poi assediata l'importante fortezza di Filisburgo dai
Franzesi, e con sì fatti trincieramenti circonvallata, che, ritornato
il principe con oste poderosa per darle soccorso, altro non potè fare
che essere come spettatore della resa d'essa nei dì 21 di luglio.
Gran gente costò ai Franzesi lo acquisto di quella piazza, e fra gli
altri molti uffiziali vi lasciò la vita il suddetto _duca di Bervich_
della real casa Stuarda, uno dei più grandi e rinomati condottieri
d'armate de' giorni suoi. Una palla di cannone privò la Francia di sì
accreditato generale. Niun'altra considerabile impresa seguì poscia
nell'anno presente in quelle parti, nulla avendo voluto azzardare il
principe Eugenio, a cagion degli infausti successi dell'armi cesaree
in Italia. E tal fine con tante vicende ebbe l'anno presente, in cui
con occhio tranquillo stettero Inglesi ed Olandesi mirando i deliquii
dell'augusta casa d'Austria, quasichè nulla importasse loro il sempre
maggiore ingrandimento della real casa di Borbone. Col tempo se
n'ebbero a pentire.



    Anno di CRISTO MDCCXXXV. Indiz. XIII.

    CLEMENTE XII papa 6.
    CARLO VI imperadore 25.


Gran cordoglio provò in quest'anno _Carlo Emmanuele_ re di Sardegna,
per avergli la morte rapita, nel dì 15 di gennaio, la real sua
consorte, cioè _Polissena Cristina d'Hassia Rhinfels Rotemburgo_,
principessa amabilissima e dotata di rare virtù, giunta all'anno
ventesimo nono della sua età, con lasciar dopo di sè due principini
e due principesse. Ebbe bisogno il re di tutta la sua virtù per
consolarsi nella perdita di una consorte di merito tanto singolare.
Parimente fu colpito dalla morte in Venezia il dì 5 di gennaio _Carlo
Ruzzini_ in età d'anni ottantuno in circa; e a lui fu sostituito
nella ducal dignità _Luigi Pisani_. A simile funesto colpo soggiacque
nel dì 18 del suddetto gennaio in Roma anche la principessa _Maria
Clementina_ figlia di _Giacomo Sobieschi_, principe reale di Polonia,
e moglie di _Giacomo III Stuardo_ re cattolico della Gran Bretagna,
da lui sposata nel settembre nel 1719 in Montefiascone. Tali furono
le eroiche virtù, e massimamente l'inarrivabil pietà di questa
principessa, che vivente fu da ognuno riguardata qual santa, e meritò
poi che le sue insigni azioni fossero tramandate ai posteri come un
esemplare delle principesse eroine. Arricchì di due figli il real
consorte, cioè di _Carlo Odoardo_ principe di Galles, nato nel dì
31 di dicembre del 1720, e di _Arrigo Benedetto_ duca di Yorch, nato
nel dì 6 di marzo del 1725. Suntuosissimo funerale, qual si conveniva
ad una regina, le fu fatto per ordine del sommo pontefice _Clemente
XII_ nella chiesa de' Santi Apostoli. Portato il cadavero suo nella
basilica Vaticana, disegnò esso santo padre di ergerle un mausoleo
non inferiore a quello della _regina di Svezia Cristina_. Attendeva
in questi tempi il magnanimo pontefice ad accrescere gli ornamenti di
Roma colla gran facciata della basilica lateranense, e con abbellire
in forma sommamente maestosa la fontana di Trevi. Nello stesso tempo
erano occupate le rendite sue in provvedere di un insigne lazzaretto la
città d'Ancona. Eresse parimente un magnifico seminario nella diocesi
di Bisignano, affinchè servisse all'educazione de' giovani greci. Buone
somme ancora di danaro spedì al _cardinale Alberoni_ legato di Ravenna,
affinchè divertisse i due fiumi Ronco e Montone, che minacciavano, per
l'altezza dei loro letti, l'eccidio a quell'antichissima città.

Meraviglie di valore e di prudenza avea fatte fin qui il _principe
di Lobcovitz_ in sostenere l'assediata cittadella di Messina, e
più ne avrebbe fatto, se non gli fossero venuti meno i viveri e le
munizioni. Costretto dunque non dalla forza delle armi, ma dalla
propria penuria, finalmente nel dì 22 di febbraio espose bandiera
bianca, ottenne onorevoli condizioni, e lasciò poi solamente nel
fine di marzo in potere degli Spagnuoli quell'importante fortezza.
Maggior fu la resistenza che fece pel suo vantaggioso sito, e per la
valorosa condotta del generale marchese Roma, la città di Siracusa;
ma bersagliata per mare e per terra da bombe ed artiglierie, nel dì
16 di giugno anch'essa, con patti simili a quei di Messina, si diede
per vinta. Vi restava l'unica fortezza di Trapani, tuttavia difesa
dagli Alemanni. Non passò il dì 21 dello stesso giugno che anch'essa
piegò il collo alle armi vincitrici di Spagna; di maniera che tutta
l'isola e regno della Sicilia restò pacificamente soggetta al giovane
re _don Carlo_. S'era già fin dal mese di febbraio messo in viaggio per
terra questo grazioso regnante alla volta dello Stretto, per passare
colà, e prendere in Palermo, secondo l'antico rituale, la corona delle
Due Sicilie. Arrivato a Messina, vi fece il suo pubblico ingresso
nel dì 9 di marzo, accolto con somma allegrezza da quel popolo. Dopo
molti giorni di riposo, imbarcato pervenne felicemente, nel dì 18 di
maggio, a Palermo. Destinato il dì 3 di luglio, giorno di domenica, per
l'incoronazione di sua maestà, con indicibil magnificenza fu eseguita
quella funzione. Dopo di che, scortato da numerosa flotta, egli se ne
tornò per mare alla sua residenza di Napoli, dove felicemente arrivò
nel dì 12 del suddetto luglio. Per tre giorni furono fatte insigni
feste in quella gran città con bellissime macchine e ricchissime
illuminazioni, facendo a gara ognun per comprovare il suo giubilo al
reale sovrano. Avea molto prima d'ora conosciuto il capitan generale
_duca di Montemar_, che non occorrevano più tante truppe nel regno
di Napoli, e perciò nel febbraio di quest'anno si mosse con alquante
migliaia d'esse, e valicato il Tevere, passò in Toscana. Sua intenzione
era di levare ai tedeschi le fortezze poste nel litorale di essa
Toscana. Nuovi rinforzi gli arrivarono di Spagna; laonde nell'aprile
diede principio alle ostilità contra di Orbitello, e nel dì 16 a
tempestare coll'artiglierie il forte di San Filippo. Perchè cadde
una bomba nel magazzino della polve di questo forte, il presidio ne
capitolò la resa e restò prigioniere, dopo aver sostenuto per ventinove
giorni le offese dei nemici. Altrettanto fece dipoi Porto Ercole.
Perchè premure maggiori chiamavano esso duca di Montemar in Lombardia,
sollecitamente per la via di Fiorenzuola istradò egli le sue milizie
alla volta di Bologna, avendo lasciato solamente un corpo di gente al
blocco di Orbitello, piazza, che si arrendè poscia sul principio del
mese di luglio.

Correva il fine di maggio, quando passò pel Modenese quest'armata
spagnuola, che si faceva ascendere a venti mila persone di varie
nazioni, e s'inviò verso il Mantovano di qua da Po, per cominciar
la campagna unitamente co' Franzesi e Savoiardi. Era già pervenuto a
Milano nel dì 22 di marzo _Adriano Maurizio di Naoglies_, maresciallo
di Francia, in cui gareggiava la felicità della mente colla bontà del
cuore, la generosità colla splendidezza, per comandare all'esercito
franzese. Si tennero varii consigli di guerra fra i generali alleati,
e venuto che fu a Cremona nel dì 10 di maggio _Carlo Emmanuele_ re di
Sardegna, generalissimo dell'esercito, furono regolate le operazioni
che doveano fare nell'anno presente. Passato dipoi il re a Guastalla,
si diede ognuno a fare gli occorrenti preparamenti d'artiglierie,
barche, viveri e munizioni. Ritornato parimente era da Vienna il
maresciallo _conte di Koningsegg_ al comando dell'oste cesarea, e già
arrivati a Mantova alcuni nuovi reggimenti tedeschi e molte reclute.
Contuttociò non si contavano nell'esercito suo se non ventiquattro mila
soldati: laddove quel de' collegati era ascendente a quasi due terzi
di più. Diviso questo in tre corpi che poteano chiamarsi tre poderosi
eserciti, marciò sul fine di maggio verso il Mantovano. Dappoichè il
Noaglies prese Gonzaga, facendo prigione quel presidio, tutte le forze
degli alleati marciarono per passare il Po e il fiume Oglio. Furono i
lor movimenti prevenuti dal Koningsegg, che ritirò da San Benedetto, da
Revere e dagli altri luoghi i presidii, e lasciò agio agli Spagnuoli
di passare nel dì 15 giugno oltre Po ad Ostiglia, che nello stesso
tempo con Governolo restò abbandonata dai Tedeschi. Avendo i Franzesi
valicato il Po a Sacchetta, e il re di Sardegna l'Oglio a Canneto, il
Koningsegg, che non voleva essere tolto in mezzo da queste tre armate,
con lodatissima provvidenza andò rinculando, e dopo aver lasciati
in Mantova sei mila bravi combattenti, e mandati innanzi i bagagli,
i malati, e molti cannoni ed attrezzi, s'inviò verso il Veronese. A
misura che i nemici s'inoltravano, anch'egli proseguiva le sue marcie,
finchè, gittato un ponte sull'Adige a Bussolengo, benchè alquanto
infestato dagli Spagnuoli nella retroguardia, condusse a salvamento
tutta la sua gente sul Trentino, e parte ne fece sfilare verso il
Tirolo.

Altro dunque più non restava in Lombardia ai Tedeschi, se non Mantova
e la Mirandola; e mentre tutti si aspettavano di veder l'assedio
dell'uno e dell'altra, Mantova restò solamente bloccata in gran
lontananza, e il _duca di Montemar_ verso la metà di luglio si
accinse all'espugnazione della Mirandola. Dentro vi era un valoroso
comandante, cioè il barone Stenz, che quantunque si trovasse con
soli novecento soldati in una città e fortezza che ne esigeva tre
mila, pure si preparò ad una gagliarda difesa. Non prima del dì 27
di luglio fu aperta la trinciera sotto questa piazza; e proseguirono
poi le offese col passo delle tartarughe, a cagion di alcuni fortini
alzati all'intorno, che impedivano gli approcci de' nemici. Bombe
ed artiglierie fecero per tutto il seguente agosto grande strepito e
danno, senza però che si sgomentassero punto i difensori; e tuttochè
fosse formata la breccia, e col mezzo di una mina e di un assalto
preso anche uno di quei fortini, pure sarebbe costato molto più tempo
e sangue agli Spagnuoli quell'assedio, se il valoroso comandante
della città non avesse provata la fatalità delle piazze tedesche,
ordinariamente mal provvedute del bisognevole per sostenersi lungo
tempo contro ai nemici. Si era egli ridotto con sole trentasei palle da
cannone, e con tre o quattro barili di polveraccia; già erano consumate
le vettovaglie. Però, dopo aver per più d'un mese fatta una gloriosa
resistenza, nel dì 31 d'agosto, con esporre bandiera bianca, si mostrò
disposto a rendersi. Restò prigioniera di guerra la guarnigione di
secento uomini. Sbrigato da questa faccenda il duca di Montemar, tutto
si diede a sollecitar l'assedio di Mantova, il cui blocco veramente
venne più ristretto. Si stesero i Franzesi dietro la riva del lago di
Garda per impedire che da quella parte non isboccassero i Tedeschi;
giacchè l'armata loro si andava ogni dì più ingrossando nel Trentino
e Tirolo. Ma ancorchè il Montemar facesse venir dalla Toscana gran
copia di artiglierie, di barche sulle carra, e di assaissime munizioni
ed attrezzi, per imprendere una volta l'assedio suddetto di Mantova
(perciocchè, secondo la comune opinione, si credea che quella città
conquistata dovesse restare assegnata agli Spagnuoli), pure non si
vedeva risoluzione alcuna in questo affare dalla parte dei Franzesi,
che aveano in piedi certi segreti negoziati; nè da quella del re di
Sardegna, a cui non potea piacere che gli Spagnuoli dilatassero tanto
l'ali in Lombardia. Tenuto fu un congresso fra il generalissimo di
Savoia, duca di Noaglies, ed esso Montemar nel dì 22 di settembre,
in cui fece il generale spagnuolo delle doglianze per tanto ritardo,
e si seppe ch'egli in quella congiuntura si lagnò col Noaglies, per
aver egli lasciato fuggire da Goito il maresciallo di Koningsegg
senza inseguirlo, come potea; al che rispose il maresciallo franzese:
_Signor conte, signor conte: Goito non è Bitonto; e il Koningsegg non
è il principe di Belmonte_. In somma tutto dì si parlava di assediar
Mantova, e Mantova non si vide mai assediata, benchè molto ristretta
dagli Spagnuoli, facendo solamente de' gran movimenti i collegati
verso il lago di Garda e verso l'Adige per impedire il passo all'armata
cesarea, che cresciuta di forze minacciava di calare di bel nuovo in
Italia.

Sembrava intanto agl'intendenti che tanta indulgenza de' Franzesi
verso Mantova, città di cui le morti e malattie aveano ridotto quasi
a nulla il presidio tedesco, indicasse qualche occulto mistero. E
questo in fatti si venne a svelare nel dì 16 di novembre, perchè il
maresciallo _duca di Noaglies_ spedì al _generale Kevenhuller_, a cui
era appoggiato il comando dell'esercito imperiale, l'avviso d'una
sospension d'armi tra la Francia e l'imperadore. Tale inaspettata
nuova non si può esprimere quanto riempisse non men di stupore che
di consolazione e di allegrezza tutti i popoli che soggiacevano al
peso della presente guerra: cioè di milizie desolatrici de' paesi
dove passano o s'annidano. Onde avesse origine questa vigilia della
sospirata pace, fra qualche tempo si venne poi a sapere. Motivo di
sogghignare sul principio di questa guerra avea dato agl'intendenti
la corte di Francia con quella pubblica sparata di non pretendere
l'acquisto di un palmo di terreno nel muovere l'armi contra l'Augusto
_Carlo VI_, poichè altro non intendeva essa che di riportare una
soddisfazione alle sue giuste querele contro chi avea fatto cader
di capo al re Stanislao la corona della Polonia. Troppo eroica in
vero sarebbe stata così insolita moderazione della corte di Francia
in mezzo alla felicità delle sue armi. La soddisfazione dunque da
lei richiesta fu la seguente. Era stata la Francia costretta nelle
precedenti paci alla restituzion dei ducati di Lorena e Bar; ma non
cessò ella da lì innanzi di amoreggiare quei begli Stati, sì comodi
al non mai abbastanza ingrandito regno franzese. Ora il _cardinale
di Fleury_, primo ministro del re Cristianissimo _Luigi XV_, che per
tutta la presente guerra tenne sempre filo di lettere con un ministro
cesareo in Vienna, o pure con un suo emissario segreto che trattava
col ministro imperiale, sempre spargendo semi di pace, allorchè vide
l'augusto monarca stanco e in qualche disordine gli affari di lui,
propose per ultimar questa guerra la cession dei ducati della Lorena
e di Bar alla Francia, mediante un equivalente da darsi all'altezza
reale di _Francesco Stefano_ duca allora e possessore di quegli Stati.
L'equivalente era il gran ducato di Toscana. Irragionevole non parve
all'augusto monarca la proposizione, e venuto segretamente a Vienna
con plenipotenza il _signor della Baume_, nel dì 3 d'ottobre furono
sottoscritti i preliminari della pace, e portati a Versaglies per la
ratificazione.

Restò in essi accordato che il _re Stanislao_ godrebbe sua vita natural
durante il ducato di Bar, e poi quello ancora di Lorena dopo la morte
del vivente gran duca di Toscana, e che il dominio d'essi ducati
s'incorporerebbe poscia colla corona di Francia. Che il duca di Lorena
succederebbe nella Toscana dopo la morte d'esso gran duca _Gian Gastone
de Medici_, e intanto si metterebbero presidii stranieri in quelle
piazze. Fu riserbato ad esso duca Francesco il titolo colle rendite
della Lorena, sinchè divenisse assoluto padrone della Toscana. Che la
Francia garantirebbe la prammatica sanzione dell'imperadore, il quale
riconoscerebbe re delle Due Sicilie l'infante reale _don Carlo_. Che
a _Carlo Emmanuele_ re di Sardegna Cesare cederebbe due città a sua
elezione nello Stato di Milano, cioè o Novara, o Tortona, o Vigevano,
e all'incontro si restituirebbe all'imperadore il rimanente dello
Stato di Milano. Inoltre, in compenso delle due città da cedersi al
re di Sardegna, si darebbono a sua maestà cesarea quelle di Piacenza
e Parma con gli annessi Stati della casa Farnese. Tralascio gli altri
articoli di quei preliminari, per solamente dire che il suddetto
segreto negoziato cagion fu che in questa campagna nè al Reno, nè in
Lombardia si fecero azioni militari degne di memoria; e che gran tempo
e fatica vi volle per indurre il duca di Lorena alla cessione de'
suoi antichi ducati, e all'abbandono di que' suoi amatissimi popoli.
Acconsentì egli in fine a questo sacrifizio, perchè Cesare già gli
destinava un ingrandimento di gran lunga maggiore, siccome vedremo
fra poco. Per questa impensata concordia, tirato che fu il sipario,
secondo i particolari riguardi, chi si rallegrò e chi si rattristò. Non
ne esultò già il re di Sardegna, perchè comune voce fu che la Francia
nella lega gli avesse promessa la metà dello Stato di Milano, e questo
già prima era stato acquistato. Tuttavia mostrò quel savio regnante con
buona maniera di accomodarsi ai voleri di chi dava la legge, ed elesse
poi in sua parte Novara e Tortona. Ma allorchè giunse a Madrid questa
inaspettata nuova, chi sa dire le gravissime doglianze, nelle quali
proruppe quella real corte contra de' Franzesi? Li trattarono da aperti
mancatori di parola, mentre non solamente niun accrescimento lasciavano
alla Spagna in Lombardia, ma le toglievano anche l'acquistato, cioè
Parma e Piacenza; ed inoltre aveano comperata la Lorena non con altro
prezzo che colla roba altrui, cioè colla Toscana, già ceduta coi
precedenti trattati alla corona di Spagna. Pretendeva all'incontro
il _cardinale di Fleury_ di aver fatte giuste le parti, perchè
restavano all'infante don Carlo i regni di Napoli e Sicilia, i quali
incomparabilmente valevano più dei ducati della Toscana e di Parma
e Piacenza. Imperciocchè, quantunque colle sole lor forze si fossero
gli Spagnuoli impadroniti di quei due regni: pure principalmente se ne
dovea ascrivere l'acquisto agli eserciti di Francia, e a tante spese
fatte dal re Cristianissimo, per tenere impegnate l'armi di Cesare al
Reno e in Lombardia, senza che queste potessero accorrere alla difesa
di Napoli e Sicilia. E se l'imperadore sacrificava le sue ragioni sopra
quei due regni, a lui già ceduti dalla Spagna, e indebitamente poi
ritolti, ragion voleva che in qualche maniera fosse compensato del suo
sacrifizio.

Intorno a ciò lasciamoli noi disputare. Quel ch'è certo restò di sasso
il generale spagnuolo _duca di Montemar_, allorchè intese questa
novità, e tanto più perchè il _duca di Noaglies_ gli fece sapere
che pensasse alla propria sicurezza, giacchè egli avea ordine di non
prestargli assistenza alcuna. Poco in fatti si stette ad udire che i
Tedeschi calavano a furia dalla parte di Padova e Trentino, e quasi
volavano alla volta di Mantova. In sì brutto frangente il Montemar
ad altro non pensò che a salvarsi. Mosse in fretta le sue genti
dall'Adige, lasciando indietro molti viveri e foraggi, e si ridusse
di qua da Po. Ma eccoti giugnere a quello stesso fiume i cesarei; ed
egli allora, dopo aver messi circa settecento uomini nella Mirandola,
e spedito un distaccamento a Parma, tanto più affrettò i passi per
arrivare a Bologna, credendo di trovare ivi un sicuro asilo, per essere
Stato pontifizio. La disgrazia portò che qualche centinaio d'usseri
nel dì 27 di novembre cominciò a comparire in vicinanza di quella
città. Non volle cimentarsi con quella canaglia il generale spagnuolo,
ed animati i suoi a marciare con sollecitudine, prese la strada di
Pianoro e di Scaricalasino, per ridursi in Toscana. Avea egli in quel
dì invitata ad un solenne convito molta nobiltà bolognese dell'uno e
dell'altro sesso: e già si mettevano tutti a tavola, quando gli arrivò
l'avviso che si appressava il nemico. Alzossi egli allora bruscamente,
e immaginando che tutto l'esercito cesareo avesse fatto le ali, preso
congedo da quella nobil brigata, esortandoli a continuare il pranzo. Ma
dal di lui esempio atterriti tutti, con grande scompiglio si ritirarono
dalla città, lasciando che gli Spagnuoli facessero altrettanto verso
la montagna. Furono questi inseguiti alla coda dagli usseri, che per
buon pezzo di cammino andarono predando bagagli e imprigionando chi
poco speditamente dei pedoni menava le gambe. Essendo rimasto fuori
di Bologna lo spedale d'essi Spagnuoli, dove si trovavano circa mille
e cinquecento malati, fu sequestrato. Non si potè poi impedire ai
medesimi usseri l'entrare nella città, e il far ivi prigionieri quanti
Spagnuoli poterono scoprire, che non erano stati a tempo di seguitare
l'improvvisa e frettolosa marcia dell'esercito. Di questa violenza
acremente si dolse il legato pontifizio; ma non per questo essa cessò.
Grande strepito in somma fece questa curiosa metamorfosi di cose, e
il mirare senza colpo di spada i vincitori in pochi dì comparir come
vinti. Pervenuto dunque il duca di Montemar in Toscana, quivi si diede
a fortificare alcuni passi, con inviare nulladimeno parte della sua
gente verso il Sanese, a fine di potersi occorrendo ritirare alla volta
del regno di Napoli.

In tale stato erano le cose d'Italia non restando nemicizia se non
fra Spagnuoli e Tedeschi, quando il _duca di Noaglies_ si mosse per
abboccarsi con esso _duca di Montemar_, e per concertar seco le maniere
più dolci di dar fine, se era possibile, a questa pugna. In passando
da Bologna fece una visita a _Rinaldo di Este_ duca di Modena, che
intrepidamente fin qui avea sofferto l'esilio da' suoi Stati e gli
diede cortesi speranze che goderebbe anch'egli in breve i frutti
dell'intavolata pace. Ancorchè il Montemar non avesse istruzione
alcuna dalla sua corte, pure alla persuasione del saggio Noaglies,
sottoscrisse una sospension d'armi per due mesi fra gli Spagnuoli
e i Tedeschi: risoluzione che fu poi accettata anche dalla corte di
Madrid. Aveano ben preveduto i ministri dell'imperadore e del re di
Francia che gran fatica avrebbe durato il re Cattolico _Filippo V_
ad inghiottire l'amara pillola di una pace manipolata senza di lui
e in danno di lui; ed insieme aveano divisato un potente mezzo per
condurre quel monarca ad approvare i preliminari suddetti, o almeno
a non contrastarne l'esecuzione. Si videro perciò senza complimento
o licenza alcuna improvvisamente inoltrarsi e stendersi circa trenta
mila Alemanni sotto il comando del maresciallo _conte di Kevenhuller_
per gli Stati della Chiesa Romana, cioè pel Ferrarese, Bolognese e
Romagna, con giungere alcuni d'essi fin nella Marca e nell'Umbria,
circondando in tal guisa gran parte della Toscana, per far intendere
agli Spagnuoli, che se negassero di consentir per amore all'accordo,
l'esorcismo della forza ve li potrebbe indurre. Toccò all'innocente
Stato ecclesiastico di pagar tutte le spese di questo bel ripiego,
perchè obbligato a somministrar foraggi, viveri, ed anche rilevanti
contribuzioni di danaro. Intanto rigorosissimi ordini fioccarono da
Roma, che nulla si desse a questi incivili ospiti, e il _cardinale
Mosca_ legato di Ferrara, che si ostinò gran tempo ad eseguirli _ad
literam_, cagion fu di un incredibil danno agl'infelici Ferraresi,
perchè i Tedeschi vivevano a discrezione nelle lor ville. I savii
Bolognesi, all'incontro, e il _cardinale Alberoni_ legato di Ravenna,
che intendeano a dovere le cifre di quelle lettere, non tardarono ad
accordarsi con gli Alemanni, mercè d'un regolamento che minorò non
poco l'aggravio ai loro paesi. Voce corse in questi tempi che il duca
di Montemar, consapevole del poco piacere provato dal re di Sardegna
per la concordia suddetta, facesse penetrare a quel sovrano delle
vantaggiose proposizioni per trarlo ad una lega col re Cattolico,
e che esso re gli rispondesse di avere abbastanza imparato a non
entrare in alleanza con principi che fossero più potenti di lui. Si
può tenere per fermo che i fabbricatori di novelle inventarono ancor
questa, giacchè niun d'essi gode il privilegio di entrar nei gabinetti
dei regnanti; e la corte di Torino nè prima nè poi mostrò di essere
persuasa della massima suddetta. Continuò ancora nell'anno presente
la ribellione de' Corsi; e perchè i ministri della repubblica di
Genova esistenti in Corsica fecero un armistizio con quella gente, fu
disapprovata dal senato la loro risoluzione. Giugnevano di tanto in
tanto rinforzi di munizioni ed armi ai sollevati, che facevano dubitare
che sotto mano qualche gran potenza soffiasse in quel fuoco. Intesesi
parimente che quei popoli pareano determinati di reggersi a repubblica,
ed anche aveano stese le leggi di questo nuovo governo, ma senza
averne dimandata licenza ai Genovesi. Dopo aver papa _Clemente XII_
difficultato, per quanto potè, al reale infante di Spagna _don Luigi_,
a cagion della sua fanciullesca età, l'arcivescovato di Toledo, fu in
fine obbligato ad accordargliene le rendite, e nel dì 19 di dicembre
di questo anno il creò anche cardinale, tornandosi a vedere l'uso od
abuso de' secoli da noi chiamati barbarici. Non potea essere più bella
in quest'anno l'apparenza dei raccolti del grano, quando all'improvviso
sopraggiunse un vento bruciatore, che seccò le non peranche mature
spiche, e insieme le speranze dei mietitori. Perciò al flagello della
guerra si aggiunse quello d'una sì terribil carestia, che non v'era
memoria d'una somigliante a questa. Il peggio fu, che la maggior parte
delle provincie più fertili dell'Italia soggiacquero anch'esse a questo
disastro. Guai se non vi erano grani vecchi in riserbo, che convenne
far venire da lontani paesi con gravi spese: sarebbe venuta meno per le
strade innumerabile povera gente.



    Anno di CRISTO MDCCXXXVI. Indiz. XIV.

    CLEMENTE XII papa 7.
    CARLO VI imperadore 26.


Il primo frutto che si provò della pace conchiusa fra l'imperadore e il
re Cristianissimo, spuntò nell'imperiale città di Vienna. Giacchè Dio
avea dato all'Augusto _Carlo VI_ un figlio maschio, e poi sel ritolse,
pensò esso monarca di provvedere al mantenimento della nobilissima
sua casa coll'unico ripiego che restava, cioè di provvedere di un
degno marito l'arciduchessa _Maria Teresa_ sua figlia primogenita,
già destinata alla successione della monarchia austriaca in difetto
di maschi. Grande era l'affetto d'esso imperadore verso di _Francesco
Stefano_ duca di Lorena, sì per le vantaggiose sue qualità di mente
e di cuore, come ancora pel sangue austriaco che gli circolava nelle
vene. Questo principe fu scelto per marito d'essa arciduchessa. Era
egli in età di ventisette anni, perchè nato nel dì 8 di dicembre
del 1708, e l'arciduchessa era già entrata nell'anno diciottesimo,
siccome nata nel dì 15 di maggio del 1717. Con tutta magnificenza
ed inesplicabile allegria nel dì 12 di febbraio seguì il maritaggio
di questi principi reali colla benedizione di monsignore _Domenico
Passionei_ nunzio apostolico; e continuarono dipoi per molti giorni
le feste e i divertimenti, gareggiando ognuno in applaudire ad un
matrimonio che prometteva ogni maggior felicità a quei popoli, e
dovea far rivivere nei lor discendenti l'augusta casa d'Austria
degna dell'immortalità. Ma la imperial corte ebbe da lì a non
molto tempo motivo di molta tristezza per la perdita che fece del
principe _Francesco Eugenio_ di Savoia, eroe sempre memorabile dei
nostri tempi. Nel dì 21 d'aprile terminò egli i suoi giorni in età
di settantadue anni: principe che per le militari azioni si meritò il
titolo di _invincibile_, e di essere tenuto pel più prode capitano che
si abbia in questo secolo avuto l'Europa; principe, dissi, riguardato
qual padre da tutte le cesaree milizie, sicure che l'andare sotto di
lui ad una battaglia lo stesso era che vincere, o almeno non essere
vinto; principe di somma saviezza, di rara splendidezza, per cui fece
insigni fabbriche, ed impiegò sempre gran copia di artefici di varie
professioni; ed accoppiando colla gravità la cortesia, nello stesso
tempo si conciliava la stima e l'amore di tutti. L'intero catalogo di
tutte le altre sue belle doti e virtù si dee raccogliere dalla funebre
orazione in onor suo composta dal suddetto nunzio, ora cardinale
Passionei, e da più d'una storia di chi prese ad illustrare _ex
professo_ la vita e le gloriose gesta di lui. Quale si conveniva ad un
principe di sì chiaro nome, e cotanto benemerito della casa d'Austria,
fu il funerale che per ordine dell'augusto _Carlo VI_ gli venne fatto
in Vienna.

Era già stabilita la concordia fra i due primi monarchi della
cristianità; contuttociò si penò forte in Italia a provarne gli
effetti. Non sapeva digerire il re Cattolico _Filippo V_ preliminari
che privavano il re di Napoli e Sicilia suo figlio del ducato della
Toscana, e spezialmente di Piacenza e Parma, città predilette della
regina _Elisabetta Farnese_ sua consorte. Conveniva nondimeno cedere,
perchè così desiderava la corte di Francia, e così comandava la forza
dell'armi cesaree, dalle quali si mirava come attorniata la Toscana; ma
di far la cessione ed approvarla non se ne sentiva esso re di Spagna
la voglia. Perciò andarono innanzi e indietro corrieri, e sempre
venivano nuove difficoltà da Madrid; e guerra non era in Italia, ma
continuavano in essa i mali tutti della guerra. Imperciocchè negli
Stati della Chiesa s'erano innicchiati con tante soldatesche i generali
cesarei; nè per quanto si raccomandasse con calde lettere il pontefice
_Clemente XII_ alle corti di Vienna e Parigi, appariva disposizione
alcuna di liberar que' paesi dall'insoffribile lor peso. Nella Toscana
stava saldo l'esercito spagnuolo, siccome ancora negli Stati di Milano
e di Modena si riposavano le armate di Francia e di Sardegna alle
spese degl'infelici popoli, spolpati ormai da tante contribuzioni ed
aggravii. Dal maresciallo _duca di Noaglies_ fu spedito in Toscana il
tenente generale _signor di Lautrec_, personaggio di gran saviezza e
disinvoltura, per concertare col _duca di Montemar_ il ritiro dell'armi
spagnuole da quelle piazze, e da Parma e Piacenza; ma siccome il
Montemar non riceveva dalla sua corte se non ordini imbrogliati e
nulla concludenti, così neppur egli sapeva rispondere alle premure
de' Franzesi, se non con obbliganti parole, scompagnate nondimeno dai
fatti. Venne l'aprile, in cui i Franzesi lasciarono affatto libero
agl'imperiali il ducato di Mantova; e perchè dovettero intervenir
delle minaccie, agli 11 d'esso mese gli Spagnuoli si ritirarono dalla
Mirandola, dopo averne estratte le tante munizioni da lor preparate
pel sospirato assedio di Mantova, lasciandovi entrare quattrocento
Tedeschi colà condotti dal generale _conte di Wactendonk_, il quale
restituì ivi nell'esercizio del dominio il duca di Modena. Conoscendo
del pari essi Spagnuoli che neppur poteano sostenere Parma e Piacenza,
si diedero per tempo ad evacuar quelle due città, asportandone non dirò
tutti i preziosi mobili, arredi, pitture, libreria, e gallerie della
casa Farnese, ma fino i chiodi dei palazzi, non senza lagrime di que'
popoli, che restavano non solamente privi dei propri principi, ma anche
spogliati di tanti ornamenti della lor patria. Oltre a ciò, inviarono
alla volta di Genova tutti i cannoni di loro ragione, e vi unirono
ancora gli altri, ch'erano anticamente delle stesse città, oppure de'
Farnesi. Risaputosi ciò dai Tedeschi, sul fine d'aprile il generale
_conte di Kevenhuller_ spinse in fretta colà il suo reggimento con
trecento usseri, che arrivarono a tempo per fermar quelle artiglierie
e sequestrarle, pretendendole doti delle fortezze di Parma e Piacenza:
intorno a che fu dipoi lunga lite, ma col perderla gli Spagnuoli.

Ora, affinchè non apparisse che il re Cattolico cedesse in guisa alcuna
gli Stati suddetti all'imperadore, o ne approvasse la cessione, i suoi
ministri, assolute che ebbero dal giuramento prestato al reale infante
quelle comunità, prima che arrivassero i Tedeschi, abbandonarono
Parma e Piacenza e gli altri luoghi, dei quali nel dì 3 di maggio, fu
preso il possesso dal _principe di Lobcovitz_ generale cesareo. Avea
fin qui _Rinaldo d'Este_ duca di Modena coraggiosamente sostenuto il
suo volontario esilio in Bologna, nel mentre che gl'innocenti suoi
popoli si trovavano esorbitantemente aggravati dai Franzesi, senza
alcun titolo insignoriti di questi Stati. Non volle più ritardare
il magnanimo re Cristianissimo a questo principe il ritorno nel
suo ducato; e però per ordine del _duca di Noaglies_, nel dì 23 di
maggio, lasciarono i Franzesi libera la città e cittadella di Modena,
e nei giorni seguenti anche Reggio e gli altri luoghi d'esso sovrano.
Pertanto nel dì 24 di esso mese se ne tornò il duca di Modena alla sua
capitale, dove fu accolto con sì strepitose acclamazioni del popolo,
testimoniante dopo tanti guai il giubilo suo in rivedere il principe
proprio, che egli stesso, andato a dirittura al duomo, per pagare
all'Altissimo il tributo dei ringraziamenti, non potè ritenere le
lagrime al riconoscere l'inveterato amore dei sudditi suoi. Intanto
si ridusse addosso all'infelice Stato di Milano tutto il peso delle
milizie franzesi; nè via appariva, che gli Spagnuoli si volessero
snidare dalla Toscana, nè i Tedeschi dagli Stati della Chiesa, essendo
essi pervenuti sino a Macerata e a Foligno. Solamente si osservò che il
_duca di Montemar_ cominciò ad alleggerirsi delle tante sue milizie,
inviandone parte per terra verso il regno di Napoli, e parte per mare
in Catalogna. Similmente, nel mese di luglio, s'incamminarono alla
volta della Germania alcuni de' reggimenti cesarei che opprimevano il
Ferrarese, Bolognese e la Romagna. Ma non per questo mai si vedeva data
l'ultima mano alla pace, per le differenti pretensioni de' principi. Il
_re di Sardegna_, oltre al Novarese e Tortonese, esigeva cinquantasette
feudi nelle Langhe. Nel mese d'agosto venne la commissione di
soddisfarlo; il che fece sciogliere l'incanto; perciocchè nel dì 26
d'esso mese i Gallo-Sardi rilasciarono agl'imperiali il possesso di
Cremona, e nel dì 28 quello di Pizzighettone. Nel dì 7 di settembre,
entrati che furono due reggimenti cesarei nella città di Milano,
finalmente da quel castello si ritirò la guernigion franzese e
piemontese, lasciandolo in potere d'essi imperiali. Già erano stati
consegnati i forti di Lecco, Trezzo e Fuentes e Lodi. Poscia nel
dì 9 entrarono gli Alemanni nelle fortezze d'Arona e Domodoscela, e
finalmente nel dì 11 in Pavia: con che restò evacuato tutto lo Stato
di Milano dalle truppe gallo-sarde. Videsi anche libero lo Stato della
Chiesa dalle milizie alemanne.

Ma per conto della Toscana, benchè gran parte degli Spagnuoli fosse
marciata a levante e ponente, pure niuna apparenza v'era che il
_conte di Montemar_ volesse dimettere Pisa e Livorno. Sulla speranza
di entrare in quella città, o per far paura agli Spagnuoli, inviò il
_generale Kevenhuller_ un corpo di truppe cesaree in Lunigiana e sul
Lucchese. Ad altro questo non servì che ad aggravar quelle contrade,
ed accostandosi il verno fu egli anche obbligato a richiamarle in
Lombardia senza aver messo il piede in Toscana. Duravano tuttavia le
discrepanze della corte di Vienna col re delle Due Sicilie, ed anche
col re Cattolico; perciocchè avea ben l'imperadore inviata la sua
libera cessione de' regni di Napoli e Sicilia, ma il reale infante,
nella cession sua della Toscana, Parma e Piacenza voleva riserbarsi
tutti gli allodiali della casa Medicea e Farnese. Similmente pretendeva
il re Cattolico che, venendo a mancare in Toscana la linea mascolina
del duca di Lorena, dovessero quegli Stati pervenire alla Spagna,
laddove esso duca intendeva di ottenerli liberi, e senza vincolo
alcuno, come erano gli Stati di Lorena da lui ceduti alla Francia. Per
cagione di questi nodi arrivò il fine di dicembre senza che fossero
ammesse nelle piazze della Toscana l'armi cesaree. Riuscì anche
fastidioso al pontefice _Clemente XII_ l'anno presente. La santa Sede,
tanto venerata in addietro, e rispettata da tutti i principi cattolici,
provò un diverso trattamento nei tempi correnti, perchè pareano
congiurate le potenze a far da padrone negli Stati della Chiesa, senza
il dovuto riguardo alla sublime dignità e sovranità pontificia. Già
si è veduto quanti malanni sofferissero senza alcun loro demerito per
tanti mesi dalle truppe cesaree le legazioni di Bologna, Ferrara e
Ravenna, le cui comunità benchè dal benefico papa fossero in sì dura
oppressione sovvenute con gran copia di danaro, pure rimasero estenuate
e cariche di debiti, per l'esorbitante peso di tante contribuzioni.

Da disavventure d'altra sorte non andò esente neppure la stessa Roma.
Quivi si erano postati non pochi ingaggiatori spagnuoli, che senza
saputa, non che senza consenso del vecchio papa, per diritto o per
rovescio arrolavano gente. Chi sa quel mestiere, facilmente concepirà
che non pochi disordini ed avanie occorsero; perchè molti ingannati,
e senza sapere qual impegno prendessero, o per propria balordaggine,
o per altrui malizia, si ritrovarono venduti. Ora i padri deploravano
i figli perduti, ora le mogli i mariti; e scoperto in fine onde
venisse il male, i Trasteverini nel dì 15 di marzo improvvisamente
attruppati in numero di cinque o sei mila persone, corsero alle case
di quegl'ingaggiatori, e, dopo aver liberati a furia gl'ingaggiati,
s'avviarono al palazzo Farnese, dove ruppero tutte le finestre, e
gittarono a terra l'armi dell'_infante don Carlo_. Al primo avviso
di questo disordine comandò tosto il _governator di Roma_ che gli
Svizzeri, le corazze e i birri accorressero al riparo. Furono questi
dalla furia di quella gente rispinti, nè si potè impedire che non
passasse la sbrigliata plebe al palazzo del re Cattolico in piazza di
Spagna, dove uccise un uffiziale, e seguirono altre morti e feriti.
Ma nella domenica delle Palme si riaccese la sedizione, perchè i
Trasteverini coi borghigiani andarono per isforzar le guardie messe
ai ponti. Il più ardito d'essi fu steso morto a terra, perlochè
infuriati i seguaci superarono il passo, e misero in fuga i soldati.
Anche i montigiani da un'altra parte si mossero, e seguirono ferite
di chi per accidente si trovò passar per le strade. Volle Dio che non
poterono giugnere di nuovo al palazzo di Spagna, dove erano preparati
centocinquanta fucilieri e quattro cannoni carichi a cartoccio: gran
male ne seguiva. Per rimediare a questo sconcerto, furono la sera
inviati il _principe di Santa Croce_ fedele Austriaco, e il _marchese
Crescenzi_ uno de' conservatori, a parlamentare coi sollevati, i quali
richiesero la libertà degl'ingaggiati del loro rione, e la liberazion
di alcuni già carcerati per cagion della sollevazione, e il perdono
generale a tutti. Ottennero quanto desideravano; e dappoichè videro
loro mantenuta la parola, andarono poi tutti lieti gridando: _Viva il
papa_. Si pubblicò poscia un rigoroso editto contro gl'ingaggiatori; e
perchè costoro non cessavano di fare il solito giuoco, seguirono alcune
altre contese, delle quali a me non occorre di far menzione.

Un disordine ne tirò dietro un altro. Per la nuova del tentativo fatto
in Roma contra degli Spagnuoli, si fermarono su quel di Velletri circa
tre mila soldati di quella nazione, che erano in viaggio alla volta
di Napoli; e mancando loro i foraggi, si diedero a tagliare i grani
in erba. Per questa cagione nel dì 21 d'aprile si mise in armi tutto
quel popolo, risoluto non solo di vietare il passaggio per la loro
città a quelle milizie, ma di forzarle a partirsi, e si venne alle
brutte. Accorse colà il _cardinal Francesco Barberino_, ma non potè
calmare il tumulto. Per questo in Roma si accrebbe la guernigion dei
soldati. Volarono intanto corrieri a Napoli e a Madrid, e si trattò
in Roma col _cardinale Acquaviva_ delle soddisfazioni richieste per
l'insulto dei Trasteverini. Perchè non furono quali si esigevano, esso
porporato coll'altro di _Belluga_ si ritirò da Roma; fece levar l'armi
di Spagna e di Napoli dai palazzi, e ordinò a tutti i Napoletani e
Spagnuoli di uscire della città nel termine di dieci giorni. Da Napoli
fu fatto uscire il nunzio del papa. Anche in Madrid grave risentimento
fu fatto con obbligar quella corte il nunzio apostolico a marciare
fuori del regno, con chiudere la nunziatura, e proibire ogni ricorso
alla dateria, gastigando in tal maniera l'innocente pontefice per
eccessi non suoi, e ai quali non avevano mancato i suoi ministri di
apprestar quel rimedio che fu possibile. Peggio ancora avvenne. Nel dì
7 di maggio entrate le milizie spagnuole in Velletri, piantarono in più
luoghi le forche, carcerarono gran copia di persone, e commisero poi
mille insolenze e violenze contra di quel popolo, il quale fu forzato
a pagare otto mila scudi per esimersi dal sacco. Una truppa eziandio
di granatieri spagnuoli, passata ad Ostia, incendiò le capanne di que'
salinari, saccheggiò le officine; ed altri intimarono alla città di
Palestrina il pagamento di quindici mila scudi pel gran reato di aver
chiuse le porte ad alcuni pochi Spagnuoli che volevano entrarvi. Altri
affanni ancora provò il papa dalla parte de' Tedeschi, per essere stato
carcerato un uffiziale cesareo; ed altri dalla corte di Francia, il cui
ambasciatore si ritirò da Roma per cagion della nomina di un vescovo
fatta dal re Stanislao, e non accettata dal papa. Bollivano parimente
le note controversie colla corte di Savoia. In somma sembrava che ognun
dei potentati con abuso della sua potenza si facesse lecito d'insultare
il sommo pontefice con tutto il suo retto operare: alle quali offese
egli nondimeno altre armi non oppose che quelle della mansuetudine
e della pazienza. In mezzo nulladimeno a tali burrasche si osservò,
essere stato dichiarato vicerè di Sicilia il principe don _Bortolomeo
Corsini_ nipote di sua santità, personaggio dotato di singolar
saviezza: il che fece maravigliare più d'uno.

Anche la Corsica in questi tempi apprestò alla pubblica curiosità
una commedia, che diede molto da discorrere. Duravano più che mai
le turbolenze in quell'isola con grave dispendio della repubblica di
Genova; quando nell'aprile, condotto da una nave inglese procedente
da Tunisi, colà sbarcò un personaggio incognito, seco conducendo dieci
cannoni e molte provvisioni da guerra, ed anche danaro. Fu accolto dai
sollevati con gran gioia ed onore, e preso per loro capo, anzi nel dì
15 di esso mese fu onorato col titolo di re di Corsica: cosa che non
si può negare, benchè altri dicessero solamente di vicerè, perchè si
pretendea che fosse stato inviato colà da qualche potenza che aspirasse
al dominio di quell'isola. Sul principio non era conosciuto chi fosse
questo sì ardito e fortunato campione, ma si venne poi scoprendo,
e i Genovesi con un lor manifesto il dipinsero coi più neri colori
di uomo senza religione, di un truffatore, di un alchimista, e come
il più infame dei viventi, e pubblicarono ancora contra di lui una
grossa taglia. La verità si è che costui era _Teodoro Antonio barone
di Newoff_, nato suddito del re di Prussia, e di casa nobile, che da
venturiere, dopo aver fatto di molti viaggi per le corti di Europa, ora
in lieta, ora in triste fortuna, avea in fine saputo cogliere nella
rete vari mercatanti affinchè l'assistessero in questa impresa, con
promettere loro mari e monti, assiso che fosse sul maestoso trono della
Corsica. Prese, egli con vigore quel governo, creò conti e marchesi
con gran liberalità; istituì un ordine militare di cavalieri appellati
della Liberazione, e ne aspettava ognuno delle meraviglie. Ma non finì
l'anno che parve finita anche la fortuna di questo comico regnante; e
divulgossi, che dopo aver egli cominciato ad esercitare un'autorità
troppo dispotica, arrivando a punire chi non eseguiva a puntino gli
ordini suoi, la nazion dei Corsi non tardò a convertire l'amore in
odio, e poscia in dispregio, perchè mai non comparivano quei tanti
soccorsi che sulle prime aveva egli promesso. Pertanto, temendo egli
della vita, segretamente imbarcatosi nel dì 12 di novembre, comparve a
Livorno, travestito da frate, ed appena sbarcato prese le poste, senza
sapersi per qual parte. La verità nondimeno fu, non essere stata fuga
la sua, perchè egli, prima di partirsi, nel dì quarto di novembre,
pubblicò un editto, con cui costituì i ministri del governo durante la
sua lontananza. Andò egli per procurar nuovi rinforzi a quella nazione.

Era, siccome dicemmo, restato vedovo _Carlo Emmanuele_ re di Sardegna,
e volendo passare alle terze nozze, intavolò il nuovo suo matrimonio
colla principessa _Elisabetta Teresa_, sorella di _Francesco Stefano_
duca di Lorena, in cui concorrevano, oltre all'insigne nobiltà, le più
rare doti di animo e di corpo. Era nata nel dì 15 di ottobre del 1711
dal duca _Leopoldo Giuseppe_ e dalla duchessa _Elisabetta Carlotta
d'Orleans_, sorella del già _Filippo, duca di Orleans_ reggente di
Francia. Fu pubblicato in Vienna questo maritaggio, e si andarono
disponendo le parti per effettuarlo colla convenevol magnificenza.
Nell'anno presente la mortalità dei buoi cominciò a serpeggiare pel
Piemonte, Novarese, Lodigiano e Cremonese: il che di sommo danno riuscì
a quelle contrade, e di grande spavento agli altri paesi, che tutti
si misero in guardia per esentarsi da sì terribile eccidio. Provossi
in varie parti del regno di Napoli e dello Stato ecclesiastico stesso
flagello. Risonavano intanto per Italia le prodezze dell'armi russiane
contra de' Turchi, perchè dall'un canto s'impadronirono dell'importante
fortezza d'Azof, e dall'altro penetrarono anche nella Crimea dove
lasciarono una funesta memoria a que' Tartari, assassini in addietro
della Russia e Polonia. Gran gloria per questo venne all'imperadrice
russiana, se non che i progressi suoi cagion furono che la Porta
Ottomana, pacificata con lo scach Nadir, o sia Tamas Kulican, re
della Persia, facesse uno straordinario armamento, e dichiarasse
la guerra contra di lei. Era collegato di essa imperadrice _Anna_
l'Augusto _Carlo VI_, e cominciossi per tempo a scorgere ch'egli era
per impugnare la spada in difesa di lei: al qual fine tutte le milizie
alemanne cavate d'Italia, ed altre della Germania sfilarono verso la
bassa Ungheria ai confini dei Turchi. Non meno il ministro di Francia
che quei delle potenze marittime molto si adoperarono per distorre sua
maestà cesarea da questo impegno; ma non ne ricavarono se non dubbiose
risposte, perchè l'imperadore avea fatto esporre a Costantinopoli varie
doglianze e minaccie ed aspettava se facessero frutto. Era negli anni
addietro nata in Inghilterra una setta appellata dei _Liberi Muratori,_
consistente nell'union di varie persone, e queste ordinariamente
nobili, ricche o di qualche merito particolare, inclinate a solazzarsi
in maniera diversa dal volgo. Con solennità venivano ammessi i nuovi
fratelli a questo istituto, e loro si dava giuramento di non rivelare
i segreti della società. Raunavansi costoro di tanto io tanto in una
casa eletta per loro congresso, chiamata la Loggia, dove passavano il
tempo in lieti ragionamenti e in deliziosi conviti, conditi per lo più
da sinfonie musicali. Verisimilmente aveano essi preso il modello di sì
fatte conversazioni dagli antichi epicurei, i quali, per attestato di
Cicerone e Numenio, con somma giovialità e concordia passavano le ore
in somiglianti ridotti. D'Inghilterra fece passaggio in Francia e in
Germania questo rito, e in Parigi fu creduto che si contassero sedici
Logge, alle quali erano scritti personaggi della primaria nobiltà.
Allorchè si trattò di creare il gran mastro, più brogli si fecero
ivi che in Polonia per l'elezione d'un nuovo re. Si tenne per certo
che anche in alcuna città d'Italia penetrasse e prendesse piede la
medesima novità. Contuttochè protestassero costoro, essere prescritto
dalle loro leggi, di non parlare di religione, nè del pubblico governo
in quelle combriccole, e fosse fuor di dubbio che non vi si ammetteva
il sesso femineo, nè ragionamento di cose oscene, nè vi era sentore
di altra sorta di libidine: nondimeno i sovrani, e molto più i sacri
pastori, stavano in continuo batticuore che sotto il segreto di tali
adunanze, renduto impenetrabile pel preso giuramento, si covasse
qualche magagna, pericolosa e forse pregiudiziale alla pubblica quiete
e ai buoni costumi. Però il pontefice Clemente XII nell'anno presente
stimò suo debito di proibire e di sottoporre alle censure la setta
dei Liberi Muratori. Anche in Francia l'autorità regia s'interpose
per dissipar queste nuvole, che in fatti da lì a non molto tempo si
ridussero in nulla, almeno in quelle parti e in Italia. Fu poi cagione
un tal divieto o rovina che più non credendosi tenuti al segreto i
membri di essa repubblica, dopo il piacere di aver dato lungo tempo la
corda alla pubblica curiosità, rompessero gli argini, e divulgassero
anche con pubblici libri tutto il sistema e rituale di quella novità.
Trovossi, terminare essa in una invenzione di darsi bel tempo con riti
ridicolosi, ma sostenuti con gran gravità; nè altra maggior deformità
vi comparve, se non quella del giuramento del segreto preso sul Vangelo
per occultar così fatte inezie. Ridicola cosa anche fu che in una città
della Germania dall'ignoranza e semplicità venne spacciato e fatto
credere al popolo, autore della medesima setta chi scrive le presenti
memorie.



    Anno di CRISTO MDCCXXXVII. Indiz. XV.

    CLEMENTE XII papa 8.
    CARLO VI imperadore 27.


Alla per fine spuntò nell'anno presente la tanto sospirata iride
di pace in Italia con allegrezza inesplicabile di tutti i popoli;
e quantunque tal serenità non fosse esente da qualche nebbia per le
non mai quiete pretensioni dei potentati, pure, cessando affatto lo
strepito dell'armi in queste parti, giusto motivo ebbe ciascuno di
rallegrarsene. Fin qui ostinatamente erano persistite in Livorno e Pisa
le guernigioni spagnuole, senza voler cedere alle truppe tedesche,
disposte secondo i preliminari a prenderne possesso a nome del _duca
di Lorena_. Fu detto che seguisse in Pontremoli il cambio delle
cessioni fatte da sua maestà cesarea ai regni di Napoli e Sicilia, e
dal re delle Due Sicilie ai ducati di Toscana, Parma e Piacenza. Può
dubitarsene, da che si seppe che il re Cattolico _Filippo V_ non volle
in quest'anno sottoscrivere essi preliminari, ed è certo che _Carlo_ re
di Napoli e Sicilia si riservò certe pretensioni che avrebbero potuto
intorbidar la concordia. Comunque fosse, il generale spagnuolo _duca
di Montemar_ sul principio di quest'anno, giunta che fu a Livorno una
buona quantità di legni, in quelli imbarcò il presidio d'essa città,
ed altre fanterie spagnuole inviò verso le fortezze della maremma di
Siena; dopo di che, senza far cessione alcuna di Livorno, nel dì 9 di
gennaio abbandonò quella città, dove restò la sola guernigione del gran
duca _Gian Gastone_. Lasciarono gli Spagnuoli nella Toscana la memoria
di molti aggravii inferiti a quegli Stati. Pertanto da lì ad alquanti
giorni entrato in Toscana il generale tedesco _Wactendonck_ con
alcuni reggimenti cesarei, prese, a nome del duca di Lorena, possesso
di Livorno, con prestare giuramento di fedeltà al gran duca, le cui
milizie insieme colle tedesche cominciarono a montare la guardia.
Distribuì eziandio alcune di quelle soldatesche in Siena, Pisa e Porto
Ferraio, le quali osservarono miglior disciplina che le precedenti.
Pochi mesi passarono che il presidio spagnuolo di Orbitello,
abbisognando di legna per uso proprio e per le fortificazioni, ne
fece richiesta al gran duca. Perchè risposta non veniva, un grosso
distaccamento d'essi Spagnuoli passò a tagliare sul Sanese circa mille
e secento alberi. Ne furono fatte doglianze, ed avrebbe questa violenza
potuto cagionar delle nuove rotture, se la corte di Vienna, ossia il
duca di Lorena, non si fosse ora trovato nei gravi impegni, dei quali
fra poco parleremo. Colla pazienza si sopì quel disordine.

Intanto, angustiato dal male d'orina e da altri incomodi di corpo il
gran duca _Gian Gastone de' Medici_ si ridusse agli estremi di sua
vita, e nel dì 9 di luglio con segni di molta pietà restò liberato
dai pensieri ed affanni del mondo. Era principe di gran mente, di
somma affabilità e di una volontà tutta inclinata al pubblico bene;
e quantunque la sua poca sanità il tenesse per lo più ristretto in
camera o in letto, pure, valendosi di saggi ed onorati ministri,
mantenne sempre un'esatta giustizia, e in vece di accrescere i pesi ai
suoi sudditi, più tosto cercò di sminuirli. Liberale verso la gente
di merito, protettore delle lettere, e sommamente caritativo verso i
poveri, tal memoria lasciò di sè, che chiunque avea sparlato di lui
vivente, ebbe poi a compiangerlo morto. In lui finì la linea maschile
della insigne regnante casa de' Medici, con disavventura inesplicabile
dell'Italia, che seguitava a perdere i suoi principi naturali; ma
senza paragone riuscì più sensibile ai popoli della Toscana, i quali
indarno s'erano lusingati di poter tornare a repubblica, nè solamente
restarono senza i principi Medicei, che tanta gloria e rispetto aveano
fin qui procacciato a Firenze e alla Toscana, ma venivano a restar
sottoposti ad un sovrano certamente benignissimo e generoso, pure
obbligato da' suoi interessi a fare la residenza sua fuori d'Italia.
Gran fortuna è l'avere i principi proprii. L'averli anche difettosi,
meglio è regolarmente che il non averne alcuno, giacchè lo stesso è che
averli lontani; mentre fuori degli Stati ridotti in provincia volano
le rendite, e dee il popolo soggiacere ai governatori, i quali non
sempre seco portano l'amore a' paesi dove non han da fare le radici.
Dopo la morte di questo principe con tutta quiete il _principe di
Craon_ e gli altri ministri lorenesi presero il possesso della Toscana
a nome di sua altezza reale _Francesco Stefano_ duca di Lorena, genero
dell'imperadore, che fu proclamato gran duca. Profittò ben la Francia
di questo avvenimento, perchè le cessò l'obbligo di pagare ad esso
duca di Lorena quattro milioni e mezzo di Francia, finchè egli fosse
entrato in possesso della Toscana. La vedova elettrice palatina _Anna
Maria Luigia de' Medici_, sorella del defunto gran duca Gian Gastone,
prese anch'ella il possesso dei mobili e allodiali della casa paterna,
ascendenti ad un valsente incredibile, nè solamente degli esistenti
nella Toscana, ma anche in Roma, nello Stato ecclesiastico e in altri
paesi. Tuttavia non tardò a saltar fuori una scintilla, che i saggi
ben previdero potere un dì produrre qualche incendio. Cioè _Carlo_ re
di Napoli e di Sicilia prese lo scorruccio per la morte di esso gran
duca, ed insieme il titolo di ereditario degli allodiali della casa
de Medici, siccome principe già adottato dalla medesima per figlio;
ed altrettanto fece anche il Cattolico re _Filippo V_ suo padre. A tal
pretensione non s'era trovato finora ripiego. Furono fatte per questo
proteste giuridiche tanto in Firenze che in Roma. Alla vedova elettrice
fu esibito molto di autorità nel governo, premendo al novello gran duca
di tenersi amica questa principessa, donna tanto ricca, e di mirabil
talento e saviezza. Ma se ne scusò ella per cagion della sua avanzata
età.

Ebbe compimento in quest'anno il maritaggio di _Carlo Emmanuele_ re
di Sardegna colla principessa _Elisabetta_ sorella del suddetto duca
di Lorena. La funzione fu fatta in Luneville, dove il _principe di
Carignano_ sostenne le veci del re; dopo di che si mise in viaggio
essa novella regina alla volta della Savoia. Nell'ultimo giorno di
marzo pervenne essa a Ponte Beauvoisin sui confini; ed essendosi
giù portato colà il re con tutta la corte, e con accompagnamento
magnifico di guardie e milizie, fu ad incontrarla, conducendola poi
a Sciambery, dove presero per una settimana riposo. Nella sera del
dì 22 di aprile fecero i reali sposi il magnifico loro ingresso in
Torino fra la gran folla dei sudditi e forestieri accorsi a quelle
feste, e fra l'ale della fanteria e cavalleria, mentre intanto le
artiglierie facevano un incessante plauso alle loro maestà. Non
quella sola sera si videro illuminate le strade di Torino, ma anche
nelle seguenti; nè mancarono fuochi artifiziali, ed altri suntuosi
divertimenti, in sì lieta congiuntura. Passava in questi tempi non
lieve disputa fra esso re di Sardegna e la corte di Vienna, giacchè
egli pretendeva la terra di Serravalle per distretto di Tortona;
laddove i cesarei la teneano per dominio staccato da quella città.
Continuavano intanto i maneggi della sacra corte di Roma con quelle
di Madrid, Portogallo, Napoli e Savoia per le controversie vertenti
con esse. Rallegrossi dipoi quella gran città al vedere nel marzo
di quest'anno ritornati colà i _cardinali Acquaviva_ e _Belluga_ con
indizio di sperata riconciliazione. Per trattarne venne a Roma come
mediatore il _cardinale Spinelli_ arcivescovo di Napoli, personaggio di
gran credito e di obbliganti maniere; e vi comparve ancora _monsignor
Galliani_ gran limosiniere del re delle Due Sicilie, per esporre le
pretensioni di quel monarca. Finalmente nel dì 27 di settembre si vide
qualche apparenza di aggiustamento fra la santa Sede e i re di Spagna
e di Napoli: il che recò incredibil consolazione a Roma; quantunque in
questi ultimi tempi non succedesse mai discordia e concordia alcuna, in
cui non iscapitasse sempre la corte pontificia. Non finirono per questo
le pretensioni, nè si riaprirono per anche le nunziature di Madrid e di
Napoli. Contuttociò la Dateria cominciò a far le sue spedizioni. Per
le differenze di Portogallo e di Savoia ripiego alcuno finora non si
trovò.

Aveano i tanti saccheggi fatti dai Tartari della Russia, col condurne
schiavi migliaia di uomini, commossa in fine a risentimento _Anna
imperadrice_ d'essa Russia, non solo contra di quei masnadieri, ma
contra gli stessi Turchi, i quali con tutte le querele e proteste
dei Russiani mai non vollero apportarvi rimedio. Due suoi valenti
generali con due possenti armate nel precedente anno aveano data una
buona lezione a quegl'infedeli; il _Lascì_ col prendere la fortezza
d'Azof, e il _Munich_ con una terribil invasione nella Crimea. Fece per
questo il sultano dei Turchi, già pacifico co' Persiani, un gagliardo
armamento contro i Russiani; e quantunque s'interponesse l'Augusto
_Carlo VI_ per trattar di pace, non ne riportò che belle parole,
insistendo sempre i Turchi nella restituzione d'Azof. Lega difensiva
era fra esso imperadore e la Russia; e però non volendo Cesare lasciar
soperchiare dai musulmani l'imperadrice suddetta, avea spedito ai
confini dell'Ungheria la maggior parte delle sue forze, e dichiarato
generalissimo d'esso _Francesco Stefano duca di Lorena_, divenuto in
questo anno gran duca di Toscana. La direzion dell'armi cesaree fu data
al _generale Seckendorf_, protestante di professione, con doglianza
del sommo pontefice, il quale non mancò di promettere sussidii di
danaro a Cesare per questa guerra. Un bel principio si diede ad essa
colla presa della città di Nissa, per cui furono cantati più _Te
Deum_. Ma non passò molto che si videro andare a precipizio tutti gli
affari dell'imperadore in quelle parti. Comandava il Seckendorf ad una
fioritissima armata, capace di grandi imprese, avendola alcuni fatta
ascendere sino ad ottanta mila valorosi combattenti. Quel generale,
invece di tener unite tante forze e di assediar daddovero la forte
piazza di Widin, o pure di tentar l'acquisto della Bossina, spartì in
varii corpi e distaccamenti l'esercito suo, e niun di essi riportò
se non percosse e disonore, tuttochè i musulmani sulle prime si
trovassero più d'un poco smilzi di forze in quelle parti. Il principe
d'Hildburgausen, inviato con poche migliaia d'armati sotto Banialuca
capitale della Bossina, tutti perdè i suoi attrezzi e gran gente, e
ringraziò la fortuna di essersi potuto salvar colla fuga. Nella Croazia
verso Vaccup, e sotto Widin furono battuti gl'imperiali, e Nissa venne
ricuperata dai Turchi. Si perdè il Seckendorf intorno ad Usitza, cioè
ad una bicocca, e la prese: questa fu l'unica sua prodezza. I Turchi la
ricuperarono poi nell'anno seguente. Andarono lamenti a Vienna; laonde,
richiamato egli alla corte, lasciò il comando al generale _Filippi_;
ed essendo stato posto in carcere, fu contra di lui dato principio ad
un processo. Non istimarono veramente i saggi che questo personaggio
avesse punto mancato alla fede e all'onore. Il suo delitto, secondo
il sentimento d'altri, fu quello di non saper fare il condottier di
armate: mestiere forse il più difficile di tutti; benchè non mancasse
chi l'esentava da questo difetto.

Certamente poi non avea più la corte cesarea un _Carlo_ duca _di
Lorena_, un _principe Eugenio_, nè un maresciallo di _Staremberg_,
nè i _Caprara_, nè i _Veterani_, nè altri simili personaggi di gran
mente e savia condotta, che sapessero dirigere un esercito ai danni
del nemico, e difender alle occorrenze. Per altro facendo conoscere la
sperienza che talvolta le belle armate cesaree combattono col bisogno,
il Seckendorf addusse ancor questo per sua discolpa, certo essendo
che a cagion della mancanza dei viveri per più giorni quell'esercito
si mantenne come potè in vita colle pannocchie del frumentone, ossia
grano turco, maturo in quel paese, o pur con sole prugne trovate
per avventura in que' boschi. Non mancò gente che si figurò essere
mancata la benedizione di Dio all'armi dell'imperadore in questa
guerra, perchè, secondo il trattato di Passarowitz, la tregua di sua
maestà cesarea colla Porta Ottomana durava ancora, nè terminava se
non nell'anno 1742; pretendendo perciò i Turchi che Cesare non fosse
in libertà dopo esso trattato di collegarsi colla Russia a danno
loro, nè gli fosse lecito di romperla contra d'essi. A me non tocca
di entrare in sì fatto esame, e molto meno di stendere le ottuse
mie pupille nei gabinetti della divinità, bastandomi di riferire gli
sfortunati avvenimenti di questa campagna contra degl'infedeli nella
Servia, Bossina, Moldavia, Valacchia ed altri luoghi; e che per le
tante malattie si trovò al finire dell'anno quasi della metà scemata
la dianzi sì possente armata imperiale. Nè si dee tacere che allora
più che mai si sciolsero le lingue e maledizioni de' cristiani contra
del conte di Bonneval Franzese, già uno de' generali dell'imperadore;
il quale, privo per altro di religione, avea abbracciata quella de'
Turchi. Entrato costui al servigio della Porta col nome di bassà
Osmanno, tutto s'era dato ad istruire i Turchi della disciplina
militare dei cristiani: e fu creduto che i documenti suoi influissero
non poco ai fortunati successi delle armi turchesche sì dell'anno
presente che dei due susseguenti. Dicevasi che questo infame rinegato
fosse il braccio dritto del primo visire. Se la fortuna non si fosse
dichiarata in favore dei Turchi (giacchè in questo medesimo tempo in
Nimirow nella Polonia trattavano di pace i plenipotenziarii cesarei,
russiani e turchi), si potea sperare qualche pronta concordia con
vantaggio dell'armi cristiane. Intanto d'altro passo procederono le due
armate dell'imperadrice della Russia contra de' musulmani. Per ciocchè
il generale _conte di Munich_ nel dì 13 di luglio s'impadronì della
riguardevol città di Oczakow situata al mare, con grande mortalità e
prigionia di Turchi, con acquisto di molta artiglieria e di un ricco
bottino. Seppe anche difenderla da essi Turchi, accorsi ad assediarla.
Parimente il generale _Lascì_ tornò di nuovo a fare un'irruzione nella
Crimea, dove incendiò gran copia di que' villaggi, prese un'infinità
di buoi, e lasciò dappertutto memorie del furor militare in vendetta
degl'immensi danni e mali recati per tanti anni addietro da que'
Tartari alla Russia.

Fu il presente anno l'ultimo della vita di _Rinaldo d'Este_ duca di
Modena, che nato nel dì 25 di aprile dell'anno 1655, e creato duca nel
1694, avea con somma saviezza fin qui governato i suoi popoli. Nel
dì 26 di ottobre spirò egli l'anima. Perchè nelle Antichità Estensi
io esposi tutto quel di lodevole, che si osservò in questo principe
(e fu ben molto), io mi dispenso ora dal ripeterlo, bastandomi dire
che per l'elevatezza della mente, per la pietà e pel saper tenere
le redini d'un governo, si meritò il concetto di uno dei più saggi
principi di questi tempi. Lasciò dopo di sè un figlio unico, cioè
_Francesco_ principe ereditario, nato nel dì 2 di luglio del 1698,
e tre principesse, cioè _Benedetta Ernesta, Amalia Gioseffa_ ed
_Enrichetta_ duchessa vedova di Parma. Sul principio delle ultime
turbolenze, nelle quali si trovarono involti anche gli Stati della
casa d'Este, s'era portato il suddetto principe Francesco a Genova
colla principessa sua consorte _Carlotta Aglae_, del real sangue di
Francia, figlia di _Filippo duca di Orleans_, già reggente di quel
regno. Nell'anno 1755 passarono amendue a Parigi per impetrar sollievo
agl'innocenti popoli dei loro ducati dal re Cristianissimo _Luigi
XV_ e per vegliare agli interessi proprii e del duca Rinaldo padre e
suocero. Venuto l'autunno, si portò esso principe a visitar le città
della Fiandra ed Olanda, ricevendo dappertutto distinti onori, e di là
passò in Inghilterra, dove gli furono compartite le maggiori finezze
dal re _Giorgio II_, che in questo principe considerò trasfuso il
sangue di quei gloriosi antenati, dai quali era discesa anche la real
casa di Brunsvich. Finalmente nella primavera dell'anno presente se
ne andò a Vienna per inchinare il glorioso Augusto _Carlo VI_, da cui
e dall'imperadrice vedova _Amalia_ sua zia materna, e da tutta quella
corte, fu graziosamente accolto. Essendosi accesa in questo tempo la
guerra in Ungheria, s'invogliò anche egli di quell'onorato mestiere; e
tenendo compagnia a _Francesco duca di Lorena_ e gran duca di Toscana,
e al principe _Carlo_ di lui fratello, intervenne alle azioni della
sopraddetta sventurata campagna. Nel tornarsene egli a Vienna, intese
la morte del duca Rinaldo suo padre, e, però congedatosi dalle auguste
maestà, s'inviò verso l'Italia, e nel dì 4 di dicembre felicemente
giunse a Modena, ricevuto con giubilo dai suoi sudditi, che, attesa
la di lui molta intelligenza, e spezialmente l'amorevol suo cuore,
concepirono per tempo viva speranza d'ottimo governo, secondo l'uso
de' suoi maggiori, tutti buoni e benefici principi. Aveva egli già
procreati due principi viventi, cioè _Ercole Rinaldo_ suo primogenito,
nato nel dì 22 di novembre nell'anno 1727, ed un altro venuto alla luce
nel dì 29 di settembre del 1736 in Parigi, a cui poscia nel solenne
battesimo fu posto il nome di _Benedetto Filippo Armando_, e viene
oggidì chiamato il principe d'Este; e quattro principesse, cioè _Maria
Teresa Felicita_, _Matilde, Fortunata Maria_ ed _Elisabetta_.

Più che mai continuò in questi tempi la ribellion della Corsica, con
trovarsi bloccate da que' popoli le cinque o sei fortezze che sole
restavano in potere della repubblica di Genova. Correvano tutto dì
voci incerte di quegli affari, negando alcuni e pretendendo altri che
durasse in quell'isola l'autorità del _baron Teodoro_, e che da lui
si riconoscessero i soccorsi che andavano giugnendo a quei sollevati,
con voce ancora ch'egli ritornerebbe in breve al comando. La verità
fu, che esso era passato in Olanda, dove, prevalendo le istanze dei
suoi creditori, per qualche tempo si riposò nelle carceri, e restò
poscia liberato. Tale era la sua attività ed eloquenza, che impegnò
altri mercatanti a concorrere nei suoi disegni, e si dispose a rivedere
la Corsica. Ora i Genovesi, per desiderio di mettere fine a quella
cancrena, s'avvisarono in questi tempi di ricorrere al patrocinio
del re Cristianissimo, affinchè il suo nome e la potenza dell'armi
sue mettesse in dovere quella sì alterata nazione. Penetrato il lor
disegno, non tralasciarono i Corsi di rappresentare a Versaglies
quanti aggravii aveano finora sofferto dal governo de' Genovesi. Ciò
che ne avvenisse, lo vedremo all'anno seguente. Nel presente sul
Piacentino e Lodigiano seguitò l'epidemia de' buoi con terrore di
tutti i vicini. Anche il monte Vesuvio nel dì 19 di maggio si diede
a vomitar fiamme, pietre e bitume, che raffreddato era simile alla
schiuma di ferro. Per dodici miglia fino al mare correndo la fiumana
d'esso bitume, cagionò la rovina di molti villaggi, conventi, chiese e
case. Le città di Adriano, Avellino, Nola, Ottaviano, Palma e Sarno,
e la torre del Greco sommamente patirono, e ne fuggirono tutti gli
abitanti. Alcun luogo vi restò coperto dalla cenere alta (se pure è
credibile) quasi venti palmi. Orazioni pubbliche si fecero per questo
in Napoli, città che si trovò ben piena di spavento, ma altro incomodo
non soffrì che quello della caduta cenere. Merita anche memoria per
istruzione de' posteri una delle pazzie di questi tempi, cioè il già
introdotto lotto di Genova, che si dilatò in Milano, Venezia, Napoli,
Firenze, Roma ed altri paesi. Dissi pazzia, non già dei principi, che
con questa invenzione mostravano la loro industria in saper cavare
dalle genti senza lancetta il sangue, ma dei popoli che, per l'avidità
di conseguire un gran premio, s'impoverivano, dando una volontaria
contribuzione agli accorti regnanti, con iscorgersi in fine che
di pochi era il vantaggio, la perdita d'infiniti. Nella sola Roma
danarosa, in cui sul principio ebbe gran voga esso lotto, e si faceano
più estrazioni in un anno, si calcolò che in ciascuno de' primi anni
si giocasse un milione di scudi romani. Per lo più nè pur la metà
ritornava in borsa de' giocatori. Il gran guadagno restava parte ai
conduttori del gioco e parte al sommo pontefice, che di questo danaro
si serviva per continuar le magnifiche fabbriche da lui intraprese.



    Anno di CRISTO MDCCXXXVIII. Indiz. I.

    CLEMENTE XII papa 9.
    CARLO VI imperadore 28.


Cominciavano a pesar gli anni addosso al pontefice _Clemente XII_.
Era anche caduto infermo di maniera, che più d'una volta si dubitò di
sua vita, ed alcuni porporati aveano già dato principio ai segreti lor
maneggi: il che risaputo dal papa, cagion fu di qualche risentimento.
Questi avvisi della mortalità, e il desiderio del santo padre di
lasciare la sedia apostolica in pace con tutte le potenze cattoliche,
il rendè più sollecito ad accordarsi colle corti di Spagna e di
Portogallo. Nel dì 20 del precedente dicembre aveva egli promosso alla
porpora monsignor _Tommaso Almeida_ patriarca di Lisbona; servì questo
passo a placare in buona parte, se non in tutto, l'animo di _Giovanni
V_ re portoghese, principe inflessibile in ogni sua pretensione e
dimanda; il che fece aprir la Dateria per quel regno, e in Lisbona fu
splendidamente accolto il nunzio pontifizio. Altrettanto avvenne in
Ispagna. Per le differenze colla corte di Napoli, tuttochè reclamassero
i ministri cesarei, pure sua santità nel maggio condiscese ad accordare
le investiture delle Due Sicilie all'infante reale _don Carlo di
Borbone_. Insorse in questi tempi un imbroglio fra esso pontefice e
la reggenza del ducato di Toscana, a cagion di Carpegna, Scavolino
e Montefeltro, Stati pretesi per ragioni antiche dalla repubblica
fiorentina, essendo in fatti passate le milizie lorenesi a prenderne
il possesso. Messosi l'affare in disputa, perchè la corte di Vienna
abbisognava in questi tempi dei soccorsi del papa per la guerra
turchesca, si venne poi smorzando la lite, e restò libera quella
contrada dall'armi del gran duca. Era già gran tempo che si trattava
dell'accasamento del suddetto re delle due Sicilie; e perciocchè
ragioni politiche non permisero che a lui fosse accordata in moglie la
seconda arciduchessa figlia del regnante Augusto, restò poi conchiuso
il suo maritaggio colla real principessa _Maria Amalia_ figlia di
_Federigo Augusto_ re di Polonia ed elettor di Sassonia, appena
giunta all'età di quattordici anni. Nel dì 19 di maggio a nome d'esso
re fu sposata essa principessa dal fratello _Federigo Cristiano_,
principe reale ed elettorale, e nel dì 24 d'esso mese, accompagnata
dal medesimo, imprese il suo viaggio alla volta d'Italia. Con corte
numerosa venne sino a Palma Nuova, confine dello Stato veneto, _don
Gaetano Boncompagno_ duca di Sora, scelto dal re per maggiordomo
maggiore della novella regina, e direttore del suo viaggio per Italia:
principe per le sue virtù meritevole d'ogni maggiore impiego. Nel
dì 29 del mese suddetto arrivata ai confini della repubblica essa
principessa, ivi trovò il veneto ambasciatore colle guardie destinate
alla maestà sua, e le si presentò parimente il duca di Sora con tutta
la corte a lei destinata.

Fu allora che propriamente s'avvide questa graziosa principessa di
essere regina: sì magnifico e splendido fu l'accoglimento fattole per
dovunque passò dalla veneta generosità. Invogliatasi all'improvviso
di dare un'occhiata alla mirabil città di Venezia, dopo avere per
altra via incamminato il suo gran seguito ed equipaggio a Padova,
essa nel dì 2 di giugno imbarcatasi col real fratello, col duca di
Sora, e con pochi altri cavalieri e dame, fu condotta pel canale della
Giudecca in faccia alla piazza di San Marco, e fatto un giro pel canal
grande fra il rimbombo delle artiglierie andò vedendo e ammirando i
superbi palazzi e le altre grandiose fabbriche di quella dominante.
Finalmente alle due ore della notte seguente fece l'ingresso nella
città di Padova, dove spezialmente trovò un trattamento reale. Colà
s'era portato _Francesco III d'Este_ duca di Modena colle principesse
_Benedetta ed Amalia_ sorelle sue, per inchinare la regina loro
cugina, da cui poscia riceverono ogni maggior finezza d'amore e
di stima. Ai confini del Ferrarese si presentò alla maestà sua il
_cardinale Mosca_ spedito dal sommo pontefice con titolo di legato a
latere a complimentarla e servirla sino a Ferrara, dove con solenne
apparato di quella città entrò, partendone poi nel dì 6 di giugno.
Per tutto lo Stato ecclesiastico trovò gara fra le città in farle
onore, siccome anch'ella dappertutto lasciò belle memorie della sua
rara gentilezza e liberalità. Passò dipoi per Loreto, e nel dì 19
del suddetto mese arrivò a Portello, cioè ai confini del regno. Quivi
trovò il re consorte, che la introdusse in un vasto real padiglione,
coi vicendevoli complimenti ed abbracciamenti. Nel dì 22 d'esso
giugno fecero le loro maestà l'entrata in Napoli fra le giulive
acclamazioni di quell'immenso popolo, fra gli archi trionfali e fra le
stupende macchine ed illuminazioni, che furono poi coronate da altre
suntuosissime feste, continuate nei seguenti giorni. Poco fu questo
in paragone del dì 2 di luglio in cui seguì il solenne ingresso dei
regi sposi in essa città di Napoli, la quale da tanti anni disavvezza
dal vedere i suoi regnanti, in questa occasione diede uno spettacolo
d'indicibile magnificenza ed allegrezza, dalla cui maggior descrizione
io mi dispenso. Allora fu che il re _don Carlo_ istituì l'ordine dei
cavalieri di San Gennaro, e di esso decorò i principali baroni di
Napoli e Sicilia, e alcuni grandi spagnuoli.

Con tutti i maneggi finora fatti fra l'imperador _Carlo VI_ e il
Cristianissimo re _Luigi XV_ non s'era peranche giunto a stabilire un
trattato definitivo di pace. A questo si diede l'ultima mano in Vienna
nel dì 18 di novembre fra i suddetti due monarchi, e fu sottoscritto
dai plenipotenziarii non solo d'essi, ma anche da quei del re Cattolico
_Filippo V_, di _don Carlo_ re delle Due Sicilie, e del re di Sardegna
_Carlo Emmanuele_. Rimasero con poca mutazione confermati i precedenti
trattati di pace, e la Francia nominatamente accettò e promise di
garantire la prammatica sanzione formata dall'Augusto regnante. Vi
fu regolato tutto quello che apparteneva in Italia alla cessione dei
regni di Napoli e Sicilia, e delle piazze marittime della Toscana
pel suddetto real infante; e di Parma e Piacenza per l'imperadore;
e di Tortona e Novara e delle Langhe pel re di Sardegna. Qual fosse
il giubilo di tutta l'Italia all'avviso di questa concordia, non
si può abbastanza esprimere, lusingandosi ognuno di godere per gran
tempo i frutti e le delizie della tanto desiderata pace, che ora mai
sembrava con uno stabile chiodo fissata. Non si godeva già in questi
tempi un egual sereno nell'imperial corte di Vienna, perchè anche
nell'anno presente niuna felicità, anzi parecchi disastri provarono
in Ungheria l'armi cesaree. Quantunque ancora in quest'anno passasse
al comando di quell'esercito il _duca di Lorena_, con aver seco per
principal direttore di azioni militari il saggio e valoroso _conte
di Koningsegg_; pure ebbero essi a fronte il gran visire con forze di
lunga mano superiori alle cristiane. Le frequenti scorrerie turchesche
per la Servia e un possente armamento di saiche nel Danubio portarono
il terrore sino alla città di Belgrado, da dove si ritirarono in gran
copia i benestanti. Per l'Ungheria superiore di là dal real fiume
marciò il Koningsegg, e nel dì 3 di luglio a Cornia venne alle mani con
un corpo di venti e più mila musulmani, e lo sconfisse. Questa vittoria
agevolò la presa del forte di Meadia nel dì 9 d'esso mese, dove fu
accordata buona capitolazione al presidio turchesco.

Già s'incamminava l'oste cesarea al soccorso d'Orsova assediata dai
nemici, quando giunse la lieta nuova ch'essi a precipizio s'erano
dati alla fuga, lasciando nel campo tende, bagagli, munizioni ed
artiglierie. Tanto più allora inanimati i cristiani pensavano già di
continuare il viaggio a quella volta; ma eccoti avviso che il visire
avea trasmesso un rinforzo di venti mila uomini ai ritiratisi da
Orsova. Non si osservò allora la consueta intrepidezza de' coraggiosi
Alemanni; nè più si pensò ad Orsova. Accortisi gl'infedeli delle lor
disposizioni, s'inoltrarono sino a Meadia, dove seguì un sanguinoso
conflitto. I due reggimenti Vasquez e Marulli, composti d'Italiani,
fecero delle maraviglie di coraggio con vergogna de' Tedeschi, i quali
pure sono in credito di tanta fortezza. Ritiraronsi i cristiani con
permettere a' Turchi di ricuperare i forti d'essa Meadia. Posto di
nuovo l'assedio da essi infedeli ad Orsova, fu quella piazza costretta
alla resa con grave pregiudizio della vicina città di Belgrado, sotto
alla quale andò ad accamparsi il maresciallo di Koningsegg. Si contò
per regalo della fortuna che i Turchi non facessero maggiori progressi;
e sebben anche Semendria e Vilapanca furono sottomesse, pure poco
appresso si videro abbandonate da essi. Non avea il Koningsegg più
di quaranta mila guerrieri, laddove il gran visire ne conduceva cento
venti mila. Ma in altri tempi trenta a quaranta mila Alemanni bastavano
a far delle grandi prodezze contro le grosse armate degli Ottomani.
O fosse dunque che l'iniquo bassà Bonneval avesse ben addottrinate le
milizie turchesche, o altra cagione: certo è che questa campagna riuscì
non men deplorabile della precedente per li cristiani, e convenne
alzare il guardo al trono del Dio degli eserciti, i cui giusti giudizii
son coperti di troppe tenebre. Nè i Russi ebbero miglior mercato.
Furono costretti di far saltare tutte le fortificazioni di Oczokow,
e a ritirarsene. Presero bensì nella Crimea la fortezza di Precope,
ma poi, dopo averne demolite le fortificazioni e spianate le linee, e
recati gravissimi danni a quelle contrade, se ne tornarono indietro.
Fu da essi tentato il passaggio del Niester, ma senza poter ottener
l'intento. Comparve in questi tempi alla corte di Costantinopoli, e
vi fu ricevuto con distinto onore, Giuseppe figlio del fu principe di
Ragotzki, il quale, dimentico delle grazie a lui compartite in addietro
dal clementissimo Augusto, se ne fuggì alla Porta, per ravvivar le sue
pretensioni sopra la Transilvania; e fece credere al gran signore di
avere in quella provincia e in Ungheria un'infinità di seguaci.

Nè pure in quest'anno si seppe cosa credere degli affari della Corsica,
perchè tuttodì a buon mercato si spacciavano bugie. Esaltavano alcuni
la gran copia di soccorsi dati ai Corsi non meno di gente, che di
munizioni, artiglierie ed armi: soccorsi, dico, i quali si diceano
inviati colà dal baron Teodoro, e che altri attribuiva ad una potenza,
la quale segretamente tenesse mano a quella ribellione, additando con
ciò la corte di Spagna o pure di Napoli. Negavano altri queste nuove,
e sosteneano ecclissata affatto la fortuna dell'efimero re Teodoro. Sul
principio dell'anno fu sparsa voce che questo venturiere da Orano fosse
di nuovo sbarcato in Corsica; e si vedevano progetti lodevolissimi
pubblicati sotto suo nome, per far fiorire il commercio di quell'isola
coll'erezion di varie saline, con attendere alle miniere, con fabbricar
cannoni e mulini da polve da fuoco, e con incoraggiar l'agricoltura
e la pesca. Ma non si verificò il di lui arrivo. Fu bensì vero che
nel dì 5 di febbraio sbarcarono alla Bastia, capitale di quel regno,
tre mila uomini di truppe franzesi, sotto il comando del conte di
Boissieux. Aveano i Genovesi implorato il patrocinio della Francia
in questo loro troppo lungo e dispendioso disastro; se pure non fu la
corte di Francia, che attenta ad ogni foglia che si muova in Europa,
per sospetto che gli Spagnuoli un dì non si prevalessero di quella
sollevazione per impadronirsi della Corsica, esibì alla repubblica
le sue forze per terminar quella pugna. Certo è, che colà furono
trasportate le suddette milizie, non già con animo d'infierire contro
quella valorosa nazione, a cui non mancavano delle buone ragioni,
ma per istudiar la via di pacificarla coll'esibizione di oneste
condizioni. Infatti se ne trattò; si rimisero i Corsi riverentemente
alla giustizia e saviezza del re Cristianissimo; diedero anche degli
ostaggi; e per questo si fece pausa alle ostilità, ma senza che
seguisse accordo alcuno.

Venuto il settembre, si tornò a spacciare come avvenimento indubitato
che il baron Teodoro con tre vascelli di bandiera straniera era nel dì
13 di esso mese giunto in Corsica a Porto Vecchio, con fare intendere
ai sollevati la provvision delle artiglierie, armi e munizioni da
lui condotte su quei navigli; e che perciò di nuovo si fosse fatta
un'unione universale de' Corsi, per mantenergli l'ubbidienza. Si vide
anche la lista di tutto il suo carico, e fu assicurato che nel dì 16
del suddetto settembre scese a terra fra i viva di un gran concorso
di popolo; ma che poscia nel dì 15 d'ottobre s'era ritirato a Porto
Longone, o pure in Sardegna; e ciò perchè furono intimoriti i Corsi
da una lettera circolare del general franzese, che minacciava loro
l'indignazione del re Cristianissimo, se più ubbidivano al barone
suddetto. Aggiunsero, ch'egli era dipoi approdato a Napoli, dove,
d'ordine della corte, fu catturato, e in appresso fatto uscire
del regno. Non so io dire se vere o finte fossero tutte queste
particolarità. Se un giorno qualche fedele e ben informato scrittore
ci darà la storia di tante scene di quella tragedia, può sperarsi
che rimarrà allora dilucidato il vero dalle molte ciarle sparse per
l'Europa di quello emergente; tale certamente, che facea dello strepito
dappertutto. Fermossi per alcuni mesi il principe real di Polonia e
Sassonia _Federigo Cristiano_ in Napoli, godendo le delizie di quella
gran città, corte e territorio, ma infastidito alquanto per la rigorosa
etichetta spagnuola, che non gli permetteva nè pur di trovarsi a tavola
colla regina sorella. Dopo aver questo principe lasciato in quella
corte e città illustri memorie della sua magnificenza e gentilezza,
arrivò a Roma nel dì 18 di novembre, e prese alloggio nel palazzo del
_cardinale Annibale Albani_ camerlengo. Potè allora quella gran città
conoscere in lui una rara pietà, costumi angelici, pregio di tutta la
real numerosa figliolanza del re di Polonia (e perciò grande onore del
cattolicismo), siccome ancora l'avvenenza del suo volto, e molto più
le altre belle doti dell'animo suo. Altro alla perfezione di questo
principe non mancava, se non robustezza maggiore nelle gambe. Nulla
aveano servito a lui per questo i bagni d'Ischia. I divertimenti di
questo generoso principe erano il commercio dei letterati, e la visita
di tutte le chiese, antichità, gallerie e cose più rare di Roma.



    Anno di CRISTO MDCCXXXIX. Indiz. II.

    CLEMENTE XII papa 10.
    CARLO VI imperadore 29.


Sul principio di quest'anno furono rivolti gli occhi dei curiosi
alla comparsa in Italia di _Francesco duca di Lorena_ e gran duca di
Toscana, il quale, coll'arciduchessa _Maria Teresa_ sua consorte, e
col _principe Carlo di Lorena_ suo fratello, e con corte ed equipaggio
splendido nel dì 28 del precedente dicembre era giunto ai confini del
veneto dominio, dove gli fu fatto un solenne e magnifico accoglimento,
per parte della repubblica. Desideravano questi principi di consolare
colla graziosa lor presenza i nuovi sudditi della Toscana, e insieme
di riconoscere in che consistesse il cambio da essi fatto della
Lorena. Ma perciocchè in questi tempi s'era forte dilatata la peste
per l'Ungheria, Croazia ed altre provincie, che tutte aveano libero
commercio coll'Austria ed altri paesi sottoposti in Germania a sua
maestà imperiale; la veneta repubblica avea severamente bandite
tutte quelle contrade, nè permetteva commercio di chi procedeva
dalla Germania per venire in Italia, impiegando quel rigore che in
altri tempi è stato l'antemurale della salute sua e delle provincie
italiane. Grande stima ed ossequio professava il saggio senato veneto a
quegl'illustri principi, ma più eziandio gli stava a cuore la pubblica
sicurezza in tempi tanto pericolosi. Però non altrimenti accordò
loro il passaggio per li suoi Stati, che colla condizione di fare una
discreta contumacia. Loro perciò fu assegnato sul Veronese il palazzo
del conte Michele Burri, dove per qualche giorno si riposarono. Ma
perchè s'infastidirono in breve di quella nobil prigione, fece il gran
duca istanza a Venezia, affinchè gli si abbreviassero i giorni della
contumacia; e non venendo risposte concludenti, impazientatasi quella
nobilissima brigata, nel dì 11 di gennaio prese da sè stessa la licenza
di andarsene, e passò a Mantova. Nel dì 14 arrivarono questi generosi
principi a Modena, accolti colle maggiori dimostrazioni di stima e di
onore dal duca _Francesco III_, e dalle principesse sue sorelle, e qui
si fermarono godendo dei divertimenti loro preparati sino al dì 17, in
cui si mossero alla volta di Bologna, e di là continuarono il viaggio
sino a Firenze. Il dì 20 di gennaio fu quello in cui fecero il solenne
loro ingresso in essa città fra la gran calca del popolo e della
copiosa foresteria, fra le incessanti acclamazioni di que' sudditi,
che con archi trionfali, insigni illuminazioni ed apparati maestosi,
e col giuoco ancora del calcio, espressero il loro giubilo verso
dominanti pieni di tanta clemenza e gentilezza. Poscia nel dì primo di
marzo si portarono a Pisa, e di là a Livorno, nelle quali due città
ebbero motivo di ammirare i nobilissimi spettacoli e divertimenti,
spezialmente nell'ultima preparati a gara ed eseguiti in loro onore dai
Toscani, Inglesi, Franzesi, Olandesi, Giudei ed altre nazioni. Videro
anche Siena, portando poscia con loro un alto concetto di sì belle,
deliziose e grandiose città, simili alle quali certamente non le potea
mostrare il per altro riguardevole ducato della Lorena.

Dopo aver dato buon sesto agli affari economici e militari della
Toscana, la gran duchessa _Maria Teresa_ sul fine di aprile, desiderosa
di veder Milano, si mise in viaggio, e nel dì 10 arrivò a Reggio,
dove, in occasion della fiera, si trovava la corte estense; ed ivi non
solo godè, ma anche ammirò una delle più splendide e singolari opere
in musica che si facessero allora in Italia: tanta era l'abilità dei
cantanti e le vaghezza delle scene. Avea preso il gran duca _Francesco_
suo consorte la risoluzione di passar per mare a Genova, e di là
trasferirsi a Torino, a fin di visitare la _regina di Sardegna_ sua
sorella. Ma ito per imbarcarsi a Livorno, trovò cotanto in collera il
mare, che, mutato pensiero, e prese le poste per terra, all'improvviso
raggiunse in Reggio la real sua consorte. Se ne andarono poscia nel
primo dì di maggio alla volta di Milano; ma il gran duca col _principe
Carlo_ da Piacenza s'inviò verso Torino, dove giunto nel dì 3 ricevette
ogni maggior finezza da quella magnifica corte. Comparvero poi anche
questi due principi nel dì 6 a Milano, e dopo qualche giorno se ne
tornarono tutti in Lamagna, avendo lasciato dappertutto viva memoria
della somma lor benignità ed amabili costumi. Andava in questi tempi
sempre più il pontefice _Clemente XII_ sentendo il peso degli anni, di
modo che si trovava bene spesso per la debolezza confinato in letto, e
sopra tutto perdè l'uso della vista. Contuttociò, continuando il vigor
della sua mente, non tralasciava punto di accudire non meno al secolare
che all'ecclesiastico governo. Anche in letto teneva concistoro, ed
ascoltava le varie congregazioni. Dopo parecchi mesi di soggiorno in
Roma, finalmente se ne partì il real principe di Sassonia _Federigo_,
portando seco la gloria d'una singolar pietà, e di avere esercitata
sì gran liberalità e cortesia verso grandi e piccioli, che di lui
durerà in quelle parti una ben lunga memoria. Venuto per la Toscana,
giunse nel dì 21 di novembre a Modena, dove si fermò per tre giorni
a godere delle cose più rare di questa corte, e dipoi passò a Milano,
con animo di quindi portarsi a Venezia per li divertimenti del seguente
carnovale.

Sul fine del precedente anno e nei primi mesi del presente corsero
di nuovo false voci che il baron Teodoro fosse sbarcato in Corsica,
e vi si trattenesse incognito; e la curiosità d'ognuno era attenta ad
osservare qual frutto producessero i maneggi del conte di Boissieux,
comandante delle truppe franzesi in quell'isola, per pacificare i
sollevati. Pareano disposti i Corsi ad abbracciar l'accordo esibito
loro con alcune vantaggiose condizioni; ma una sola non ne sapeano
digerire, cioè quella di dover consegnare tutte le loro armi; perchè,
non fidandosi dei Genovesi, troppo duro e pericoloso sembrava ad essi
il privarsi di que' mezzi che soli poteano far eseguire la proposta
capitolazione, caso mai che a questa si mancasse. Ricalcitrando
dunque essi a sì fatta concordia, si mise in testa il Boissieux di
parlare d'altro tenore, ed inviò un distaccamento di truppe al borgo
di Biguglia, per costringere colla forza quegli abitanti a ricevere
la legge. Era il dì 13 di dicembre del 1738: si venne alle mani, e
vi restarono uccisi e prigioni non pochi Franzesi, che talun fece
ascendere a centinaia, il che fu creduto una falsa esagerazione.
Questo fatto dall'un canto riaccese il fuoco de' Corsi, e dall'altro
eccitò lo sdegno della corte di Francia contra d'essi, perchè il re,
udito l'affare, giudicò essere questo non più impegno de' Genovesi,
ma della sua corona. Perciò diede ordine che passasse colà con buon
rinforzo di truppe il _marchese di Maillebois_ tenente generale
atto a farsi ubbidire; poichè in quanto al _conte di Boissieux_,
egli per infermità lasciò in questi tempi la vita nella Bastia.
Intanto le gazzette spacciavano a più non posso nuove, cioè che il
baron Teodoro si trovava in Corsica; che a _don Filippo_ infante di
Spagna era destinato il dominio di quell'isola, e tanto più perchè
s'intese stabilito il matrimonio di questo principe con madama _Luigia
Elisabetta di Francia_, primogenita del re Cristianissimo _Luigi XV_,
matrimonio, dissi, che fu poi compiuto e solennizzato in Versaglies nel
dì 26 d'agosto dell'anno presente. Teodoro dovea essere vicerè d'esso
infante, sua vita natural durante. Sogni tutti della sfaccendata gente
erano questi, nè in quelle regie corti apparve mai pensiero di voler
pregiudicare ai diritti della repubblica di Genova.

La verità si è, che il marchese di Maillebois sbarcò in Corsica
con delle nuove truppe; e siccome personaggio di grande attività,
pubblicò tosto un proclama, ordinando a tutti i Corsi di deporre
l'armi, e di rimettersi alla clemenza di sua maestà Cristianissima,
in pena di essere trattati da ribelli. Perchè i sollevati risposero
con un manifesto, modesto sì, ma che finiva in dire: _Melius est mori
in bello, quam videre mala gentis nostrae;_ quel comandante spedì
in Provenza ad imbarcare altre milizie. Ora da che si vide in buon
arnese, venuto il mese di giugno, uscì in campagna con tutte le sue
forze. Il terrore marciava avanti di lui; e però non tardarono gli
abitanti delle pievi d'Aregno, Pino, Sant'Andrea, Lavatoggio, ed altre
ch'io tralascio, a rendersi ai di lui voleri. Anzi i principali capi
dei sollevati andarono a trattare con esso Maillebois, protestandosi
pronti di sottomettersi agli ordini venerati del re Cristianissimo,
con isperanza che sua maestà si degnerebbe di proteggerli, e di rendere
loro buona giustizia. Pertanto non finì l'anno presente, che tutti quei
popoli, a riserva di pochi ostinati, depositate in mano de' Franzesi
le loro armi, accettarono il perdono, e si mostrarono ubbidienti,
invasati intanto da una dolce lusinga di non dover più tornare sotto
i Genovesi, ma che tutto quel mercato fosse per dar loro un principe
della real casa di Borbone. Tale era anche la comune immaginazione
degli speculatori dei gabinetti principeschi. Nè faceano caso essi
dall'osservare che, per consiglio del Maillebois, i primarii capi della
ribellione uscivano di Corsica, e si ricoveravano in Toscana, Napoli
e Stato ecclesiastico. Intanto i Franzesi si ridussero a' quartieri
d'inverno, e la maggior parte d'essi provò fiere malattie, e allo
incontro il Maillebois senza misericordia facea impiccar tutti coloro
che fossero colti con armi da fuoco, o continuassero nella sedizione.

Sente ribrezzo la penna mia, ora che io sono per accennare la
lagrimevol campagna fatta dall'armi cristiane nella Servia ed Ungheria
nell'anno presente. Nulla avea ommesso l'_imperador Carlo VI_ per
formare un'armata capace di ricuperar la gloria perduta nei due
precedenti anni, e di reprimere gli sforzi degli orgogliosi Ottomani,
i quali per li passati prosperosi avvenimenti aveano alzata forte la
testa, e si rideano di chi loro parlava di pace. Non mancò il pontefice
_Clemente XII_ di spedirgli un dono di cento mila scudi, e il duca di
Modena _Francesco III_, gl'inviò due battaglioni di ottocento uomini
l'uno. Un gran corpo di valorose milizie bavaresi e sassone, ed altre
di altri principi della Germania, erano marciate per tempo alla volta
di Belgrado. I più discreti calcolavano quell'esercito almeno di
sessanta mila combattenti; e si sa qual bravura alligni in petto alla
nazion tedesca. Trattossi di scegliere il supremo comandante di sì
fiorita armata, e fu proposto il maresciallo _conte Oliviero Wallis_,
come creduto il migliore degli altri, anche per testimonianza del fu
maresciallo di Staremberg. Fama corse che a tal elezione ripugnasse
l'ottimo e giudizioso augusto monarca, per le relazioni più volte a
lui date, che questo generale fosse uomo impetuoso e bestiale, e che
avesse il segreto di farsi poco amare dagli altri, del che aveva egli
lasciato anche in Italia e in Sicilia più d'una memoria. Ma il buon
imperadore, siccome quegli che ordinariamente giudicava meglio degli
altri, ma poi si arrendeva al parere dei più, credendo che a tante
teste avesse da cedere il sentimento di un solo, si lasciò indurre a
concedere al Wallis il supremo comando dell'armi in questa campagna.
Andò esso generale a mettersi alla testa di quell'esercito, e trovò che
il gran visire veniva con un'armata ascendente a sessanta mila Turchi,
ma che andava ogni dì più crescendo per altri rinforzi di gente che
sopravvenivano.

Trovavasi il Wallis col grosso dell'esercito suo a Zwerbrusck, quattro
leghe distante da Belgrado, quando intese che un corpo di Turchi era
ito a postarsi nel vantaggioso posto di Crotska, tre leghe lungi dal
suo campo; e tosto lo sconsigliato generale, dopo aver tirato nel
suo parere il consiglio di guerra, prese la risoluzione di andarli ad
assalire nel dì 22 di luglio, festa di santa Maria Maddalena, voglioso
di scacciarli da quel posto, prima che vi si trincierassero. Dissi
sconsigliato, perchè prestata troppa fede alla sola relazione di una
spia doppia, non cercò prima di chiarirsi, se si trovasse in Crotska
non già un distaccamento, ma bensì tutta l'armata dei musulmani col
gran visire, e già in parte trincierata; e perchè avea bensì ordinato
al generale Neuperg di passare il Danubio, e di venire ad unirsi seco
col suo corpo consistente in circa quindici mila soldati; ma poi senza
volerlo aspettare a cagion dell'emulazione che era fra loro, attaccò
la mischia. Quel che è più, perchè volle assalire i nemici ben postati
fra i boschi, e con istrade sì strette ed intralciate, che non si potè
formare se non una lieve linea, e questa esposta alla moschetteria de'
nemici, i quali la battevano per fianco, allorchè volle inoltrarsi o
retrocedere. Oltre a ciò, marciò innanzi il Wallis con soli quattordici
reggimenti di cavalleria e diciotto compagnie di granatieri, senza
esser secondato dalla fanteria, che tardi poscia arrivò. Che ne
avvenne dunque? restò quasi interamente disfatto dai Turchi quel corpo.
Sopraggiunta la fanteria per sostenere la ritirata di chi era restato
in vita, si trovò anch'essa impegnata nel sanguinoso combattimento.
Male passò anche per questi; ed ostinatosi il maresciallo nella
speranza di rompere i nemici, allorchè giunse il Neuperg colle sue
milizie, continuò la battaglia sino alla notte, che pose fine al
macello. Quanta gente perdessero i Turchi, non si potè sapere: fu
creduto che molta. Ma seppesi bene, che l'armata cesarea vi ricevette
una terribil percossa, perdè il campo della battaglia, e restò sì
estenuata e confusa, che nel dì seguente si ritirò di là dal Danubio,
lasciando Belgrado esposto all'assedio, a cui tosto si accinsero i
Turchi. Voce comune fu che almeno sei mila fossero i Tedeschi uccisi,
e forse altrettanti i feriti. Che maggiore nondimeno fosse la perdita,
si potè arguire da quanto poscia avvenne. Videsi allora che differenza
passi, fra un saggio ed accorto generale ed un altro di tempra diversa,
che non sa temporeggiare occorrendo, nè conosce qual sia il tempo,
e quale il sito per assalire i nemici. Il _principe Eugenio_, benchè
posto fra Belgrado, città allora de' Turchi, e fra la poderosa oste
d'essi Musulmani, quando conobbe il tempo, riportò un'insigne vittoria.
Il Wallis, tuttochè avesse alle spalle Belgrado ubbidiente a lui, e
potesse fermarsi nelle linee d'esso principe Eugenio, e schivare il
pericoloso cimento; pure, senza essere forzato, volò a cercare la
rovina, non men dell'esercito cesareo, che della propria riputazione;
e si sa che, in vedere sì gran flagello, esclamò: _Non ci sarà una
palla anche per me?_ Che in questa battaglia stesse a' fianchi del
gran visire l'infame conte di Bonneval, fu comunemente creduto; è a lui
attribuito l'uso delle baionette nella fanteria turchesca, e alle sue
lezioni l'avere con tant'ordine e bravura combattuto quei Barbari.

Pure qui non finì la catena delle disavventure. Strinsero tosto i
Turchi la città di Belgrado, e cominciarono col cannone e colle bombe
a tempestarla. Ossia che il _marchese di Villanuova_ ambasciatore del
re di Francia, spedito da Costantinopoli al gran visire col giornaliero
assegno di cento cinquanta piastre fattogli dal gran signore, movesse
tosto parola di pace, o che in altra maniera procedesse l'affare;
fuor di dubbio è ch'egli ne fu mediatore. Andò il conte di Neuperg nel
campo turchesco a trattarne; non ebbe la libertà di uscir quando volle;
ma giacchè avea plenipotenza dal Wallis, strinse in pochi giorni la
concordia, cedendo agli Ottomani la Servia tutta con Belgrado, le cui
fortificazioni si avessero a demolire; ed in oltre ad essi rilasciando
Orsova e la Valacchia imperiale. Appresso si vide l'inaspettata
scena, che senza aspettare risposta e ratificazione alcuna dalla
corte cesarea, fu ben tosto consegnata agl'infedeli una porta di
Belgrado. Persone trovatesi in quella brutta danza sostenevano, non
essere rimasto sì sfasciato l'esercito cesareo, che non avesse potuto
impedire un sì gran precipizio di cose; e che quella pace fu un
imbroglio straordinario, di cui non s'intesero giammai i misteri, ma si
provarono ben le triste conseguenze. A rendere maggiormente deplorabile
la presente catastrofe di cose, si aggiugne, che il felice esercito
dell'imperatrice russiana di circa ottanta mila persone, comandato dal
generale _conte di Munich_, passato per Polonia, valicò il Niester;
diede nel dì 28 di agosto una memorabil rotta ai Turchi e Tartari,
si impadronì della rinomata fortezza di Coczim; entrò vittorioso nel
dì 14 di settembre in Jassi capitale della Moldavia, di modo che sì
quella provincia, come la Valacchia, restavano sottratte al giogo de'
Turchi. Un poco di tempo che avesse aspettato il Vallis, si trovava
astretto il gran visire ad accorrere contro i vincitori Russiani; ed
unendosi allora l'armi cesaree colle russiane, poteano sperare maggiori
progressi contro il comune nemico. Cagion fu la tregua stipulata fra
Cesare e la Porta che l'ambasciator franzese marchese di Villanuova,
nel dì 18 di settembre, inducesse anche il plenipotenziario della
Russia alla pace, con restar Azof smantellato affatto, e restituito
tutto l'occupato ai Turchi in Europa. Portato che fu a Vienna l'avviso
di sì gran nembo di sciagure, non si può dire quanto se ne affliggesse
l'augusto _Carlo VI_, sì per la scemata riputazion delle sue armi,
come per la perdita di sì importante piazza, e per la maniera di questo
avvenimento. Diede anche nelle smanie tutto il popolo di Vienna contra
del Wallis e del Neuperg, talmente che la vita loro non sarebbe stata
in salvo, se fossero capitati allora colà. Proruppero eziandio in voci
ingiuriose contro il _marchese di Villanuova_, ambasciatore di Francia,
come di ministro venduto alla Porta, quasichè egli in tale occasione
avesse assassinati gli affari dell'imperadore; per le quali dicerie
si risentì non poco l'altro ambasciator franzese di Vienna. Delle
azioni ancora dei suddetti due generali sì altamente rimase disgustato
l'imperial ministero, che spedì subito ordine in Ungheria pel loro
arresto, e che fosse formato il processo de' lor mancamenti. Anzi
pubblicò essa corte un manifesto, dove espose tutte le disubbidienze e
la mala condotta d'amendue, la quale avea necessitato l'augusto monarca
ad accettare una sì vergognosa tregua, giacchè la troppo affrettata
consegna di Belgrado troncava il passo ad ogni altra risoluzione. Non
si può già senza sdegno rammentar così dolorosa tragedia; se non che
debito nostro è di chinare il capo davanti agli occulti giudizii di
Dio.

Picciolo Stato in Italia è San Marino, situato dieci miglia lungi
da Rimini fra gli Stati della Chiesa e della Toscana. Consiste esso
in un borgo con forte rocca, situato sopra la sommità d'un monte,
con cinque o sei castella o comunità da esso dipendenti; ma ornato
d'una invidiabil prerogativa, perchè quel popolo, indipendente
da ogni principe, si governa a repubblica sotto la protezion del
romano pontefice, il quale nondimeno vi conserva qualche diritto di
sovranità. Diede nell'anno presente questa repubblica un buon pascolo
ai novellisti per un'impensata mutazione ivi succeduta. Era tuttavia
legato di Ravenna il _cardinale Giulio Alberoni_. Rappresentò egli a
Roma, trovarsi malcontenti que' popoli della propria libertà, perchè il
governo era caduto in oligarchia, cioè che venivano essi tiranneggiati
da alcuni pochi prepotenti, e però sospirar essi di suggettarsi al
soave e ben regolato governo della Chiesa romana, ed averne molti di
loro fatte replicate istanze al medesimo cardinale. Le saggie risposte
della sacra corte furono, che esso porporato sussistendo l'oppressione
e il desiderio suddetto dei Sanmarinesi, si portasse ai confini del
loro paese, e quivi aspettasse coloro che volontariamente venissero
ad implorar la sua protezione; e qualora la maggiore e più sana parte
del popolo di San Marino si trovasse volonterosa di passare sotto
l'immediato dominio della santa Sede, ne stendesse un atto autentico,
e andasse a prenderne il possesso, con facoltà di regolar ivi il
governo, e di confermar lutti i lor privilegii a quella gente. Bastò
questo al cardinale, perchè senza tante cerimonie, e senza fermarsi
alle formalità dei confini, si portasse improvvisamente a San Marino,
dove chiamò ancora ducento soldati riminesi e tutta la sbirraglia
della Romagna, e si fece dare il possesso della rocca, che si trovò
sprovveduta di tutto. Poscia nel dì 25 di ottobre ad una messa solenne
chiamò i pubblici rappresentanti del borgo, ossia della città e delle
altre comunità a prestare il giuramento di fedeltà alla santa Sede. I
più giurarono, ma molti ancora pubblicamente ricusarono di farlo, ed
altri se n'erano fuggiti, per non acconsentire a questo sacrifizio.
Ciò non ostante, prese il cardinale giuridicamente il possesso, vi
pose un governatore, e diede buone regole pel governo in avvenire. Ma
poco stettero a giugnere al santo padre i richiami e le querele dei
Sanmarinesi, con rappresentare alla santità sua essere proceduta quella
dedizione non dalla libera elezione del popolo, ma parte dalle lusinghe
e parte delle minaccie, in una parola dalla prepotenza e violenza
del cardinale, che gli avea sorpresi con genti armate, ed avea fatto
carcerar varie persone, e saccheggiar quattro o cinque dei renitenti
alla dedizione, con pretendere ancora nata la persecuzione del legato
da alcune sue private passioni ed impegni.

Nell'animo giusto del pontefice e dei più saggi ed accreditati
cardinali fece grande impressione questo discorso e doglianza; e tanto
più perchè il legato Alberoni non aveva eseguiti gli ordini a lui
prescritti nelle lettere del _cardinale Firrao_ segretario di Stato, nè
si conformavano colla verità molte cose da lui rappresentate al papa,
come con sua lettera esso segretario di Stato significò al medesimo
Alberoni nel dì 14 di novembre. Perciò il santo padre, alieno da ogni
prepotenza e da ogni anche menoma ombra di usurpazione, non approvò
l'operato fin qui. Tuttavia perchè non pochi dei Sanmarinesi veramente
di cuore bramavano di sottoporsi alla santa Sede, deputò commissario
apostolico monsignor _Enrico Enriquez_, governatore di Macerata,
personaggio cospicuo pel sapere, per la prudenza e per la sua nota
integrità (che oggidì nunzio pontifizio nella real corte di Spagna,
va accrescendo il capitale del suo merito), con ordine di portarsi a
San Marino, di prendere i voti liberi di quella gente, e di annullar
gli atti precedenti, qualora si trovassero contrarii alla retta
intenzione della santità sua, e di prescrivere poscia per bene di esso
popolo un saggio regolamento, a fine di esentarlo spezialmente dalla
soperchieria di chi in ogni governo, senza essere principe, tende a dar
legge a tutti gli altri. Intanto i Sammarinesi, da che fu partito il
_cardinale Alberoni_, pubblicarono un manifesto, dove si vide esposto
come ingiusto e violento tutto il procedere di questo porporato, la
cui penna non istette in ozio, e procurò di ribattere le ragioni e i
lamenti di quel popolo. Grande strepito faceano parimente in questi
tempi per l'Italia, anzi per l'universo, le mirabili azioni dello
_scach Nadir_, ossia di _Tamas Kulickan_ sofì della Persia, che, non
contento di avere ricuperata la provincia di Candahar, e prese le altre
di Cabul e Lahor, portò l'armi vittoriose sino al cuore del vastissimo
imperio del gran Mogol, o sia dell'Indostan, con dare una terribile
sconfitta agl'Indiani nel dì 22 di febbraio, con occupare la stessa
capitale di Delhi, ed impadronirsi, oltre ad altre ricchezze, del
famoso gioiellato trono di quel monarca, cioè d'un principe avvilito
qual Sardanapalo nella voragine dei piaceri. Ma se è vero che sulla
buona fede portatosi a lui lo stesso Mogol, fosse ritenuto prigione, e
che esso Kulichan facesse in Delhi un macello di ducento mila persone,
questo rinomato eroe, questo novello Tamerlano, denigrò di troppo con
tal tradimento e con tanta crudeltà la propria gloria.



    Anno di CRISTO MDCCXL. Indizione III.

    BENEDETTO XIV papa 1.
    CARLO VI imperadore 30.


Esercitò in quest'anno la morte la sua potenza sopra alcune delle
più riguardevoli principesche teste della cristianità. Il primo a
farne la pruova fu il sommo pontefice _Clemente XII_, già pervenuto
all'età d'anni ottantotto. Pel peso di tanti anni s'era da molto tempo
infievolita la sua sanità, gli occhi più non gli servivano, e costretto
a vivere per lo più io letto, quivi impiegava il residuo delle forze
della mente e del suo buon volere nella continuazion del governo,
aiutato in ciò dal _cardinale Corsini_ suo nipote, e dal gottoso
_cardinale Firrao_ segretario di Stato. Ebbe egli il tempo di ricevere
le informazioni spedite da _monsignor Enriquez_ commissario apostolico
intorno agli affari di San Marino; dalle quali risultava, che avendo
esso prelato esplorata la libera intenzione del consiglio di quella
città e del clero, e dei capi della comunità, la maggior parte si era
trovata costante nel desiderio dell'antica sua libertà. Il perchè egli,
secondo la facoltà a lui data, avea rimesso quei popoli in possesso
di tutti i lor privilegii, cassando gli atti del _cardinale Alberoni_.
Coronò il buon pontefice il fine del suo governo col confermare quella
determinazione, ricevuta in appresso con gran plauso dentro e fuori
d'Italia da ognuno; ma non già da esso cardinale Alberoni, il quale
formò tosto, ma pubblicò poi dopo qualche anno, un manifesto in difesa
propria, di cui sommamente si dolse la corte di Roma, per aver agli
intaccato il ministero, e messe in luce senza licenza lettere a lui
scritte dal segretario di Stato. Ora il decrepito pontefice nel dì 6
di febbraio passò a miglior vita, dopo avere governata la Chiesa di
Dio nove anni e mezzo con lode di molta prudenza, zelo e giustizia,
glorioso per aver ornata Roma di magnifici edifizii; eretto uno spedale
per li fanciulli esposti, fabbricato l'insigne palazzo della Consulta,
arricchito il campidoglio di una impareggiabile copia di rare statue
e d'altre antichità, e la biblioteca Vaticana di preziosi manuscritti
orientali, portati in Italia da monsignor Assemani primo custode della
medesima, e per aver procurato a Ravenna e ad Ancona molti comodi ed
ornamenti. Non si sa che la già ricchissima casa sua profittasse con
arti improprie, nè con esorbitanza della di lui fortuna, avendo il
pontefice anche in ciò fatto comparire la moderazione sua, e schivato
ogni eccesso del nepotismo.

Nel dì 18 di febbraio si richiusero nel conclave i sacri elettori, e
cominciarono i lor maneggi colle consuete discrepanze delle fazioni.
Abbondavano certamente in quell'insigne adunanza personaggi degnissimi
del triregno; pure con istupore d'ognuno non si venne per mesi e
mesi ad accordo alcuno, talmente che durò la lor prigionia per sei
mesi continui: dilazione di cui da gran tempo non si era veduta la
simile. Sa Iddio, quando vuole, sconcertar le misure e gl'imbrogli
degli uomini, e chiaramente in questa congiuntura gli sconcertò,
perchè alzò al pontificato chi n'era sommamente meritevole, ma non
era stato proposto in addietro, nè punto aspirava a sì gran dignità.
Andavano a vele gonfie la fazione corsina e i cardinali franzesi
e spagnuoli in favore del _cardinal Pompeo Aldrovandi_ Bolognese,
persona che in acutezza e prontezza di mente, e nella scienza degli
arcani della politica avea niuno o pochi pari. Tuttavia al _cardinal
Annibale Albani_ Camerlengo, capo della fazione dagli zelanti, parve
che a questo degno soggetto mancasse alcuna delle doti che si esigono
in chi ha da essere insieme principe grande, e, quel che più importa,
ottimo pontefice. Però seppe egli così ben intralciar le cose, che non
si giunse mai ai voti sufficienti per l'elezione dell'Aldrovandi, il
quale, da che vide preclusa a sè stesso la strada per salire più alto,
generosamente si adoperò perchè l'elezione cadesse in uno degli altri
due ben degni porporati della patria sua, cioè nei cardinali _Vicenzo
Lodovico Gotti_ e _Prospero Lambertini_. Improvvisamente adunque, come
eccitati dalla voce di Dio, nel dì 16 d'agosto inclinarono gli animi
concordi del sacro collegio nella persona d'esso cardinale Lambertini,
che era ben lontano dai desiderii di questo peso ed onore, e nel dì
susseguente ne fecero la solenne elezione, poi canonizzata dal plauso
universale di chiunque conosceva il singolar merito personale di lui.

Prese egli il nome di _Benedetto XIV_, per venerazione al santo
pontefice da cui era stato decorato della sacra porpora. Era egli
nato in Bologna di casa antichissima e senatoria nel dì 31 di marzo
del 1675 e però giunto all'età di sessantacinque anni. Dopo aver
fatti i principali suoi studi in Roma, ed esercitate con gran lode
varie cariche nella prelatura, fu nel 1728 dichiarato cardinale
da papa _Benedetto XIII_, poscia promosso al vescovato d'Ancona, e
finalmente creato arcivescovo di Bologna. Dovendo il romano pontefice
essere maestro nella Chiesa di Dio, non si potea scegliere a sì
alto ministero persona più propria di lui per la sua gran perizia
de' canoni e dell'erudizione ecclesiastica, di cui già avea dato
illustri pruove con quattro tomi _De servorum Dei beatificatione_,
e _De Sanctorum canonizatione_, e colle _Istruzioni_ sue pastorali
intorno alle feste della Chiesa e al sacrifizio della Messa, e con
un'altra utilissima _Raccolta di decisioni ed editti_ spettanti alla
disciplina ecclesiastica, dai quali si raccoglie quanto ampia sia la
sua letteratura e ardente il suo zelo, talmente che da più secoli
non era stata provveduta la Chiesa di Dio di un pontefice sì dotto
e pratico del pastorale governo. A questi pregi si aggiugneva quello
dei suoi costumi, fin dalla sua prima età incorrotti, la delicatezza
della coscienza, ed una costante professione e pratica della vera
pietà. Miravasi anche in lui una rara vivacità di spirito; e quantunque
egli fosse impastato di un nitro che facilmente prendeva fuoco, pure
questo fuoco non durava che momenti, perchè tosto smorzato dalla sua
imperante virtù. Ora il novello pontefice nella sera dello stesso dì
16 di agosto pubblicamente passò alla visita della basilica Vaticana,
per quivi venerare il santissimo Sacramento, e fare orazione alla
sacra tomba dei principi degli Apostoli. Fu quivi che l'immenso popolo,
accorso a vedere il sospirato pastore, attestò con vive acclamazioni
il suo giubilo. Seguì poi nel dì 25 d'esso mese la funzion solenne
della sua coronazione; dopo di che si applicò egli vigorosamente al
governo, avendo scelto per segretario di stato il _cardinale Valenti
Gonzaga_, prodatario il _cardinale Aldrovandi_, prefetto dell'indice
il _cardinale Querini_ vescovo di Brescia, segretario dei memoriali
_monsignor Giuseppe Livizzani_, e confermato segretario dei brevi il
_cardinale Passionei_.

Mancò eziandio di vita nel dì 31 di maggio _Federigo Guglielmo_ re di
Prussia, a cui succedette il primogenito, cioè _Federigo III_, principe
di spiriti sommamente guerrieri, del che poco staremo a vederne
gli effetti. Similmente terminò i suoi giorni nella notte del dì 28
di ottobre _Anna Ivvanovva_ imperadrice della gran Russia gloriosa
per le sue imprese contra dei Tartari e de' Turchi, dichiarando suo
successore il fanciullo _principe Giovanni_, nato dalla _principessa
Anna_ sua nipote, e dal principe _Antonio Ulrico di Brunsvich_ e
Luneburgo. Ma fra le morti che sommamente interessarono l'Italia
anzi l'Europa tutta, quella fu dell'_Imperadore Carlo VI_. Era egli
pervenuto alla età di cinquantacinque anni e pochi giorni, età florida,
accompagnata da una competente sanità. Desiderava ognuno e sperava,
che Dio lungamente lasciasse in vita quest'ottimo Augusto, perchè
mancante in lui la discendenza maschile della gloriosissima casa
d'Austria, che per più di quattro secoli con tanta lode avea governato
l'imperio romano, ben si prevedeva, che la non mai quieta nè sazia
ambizione dei potentati avrebbe aperta la porta a un seminario di
liti e di guai. Prognosticavasi ancora, che poco sarebbe rispettata la
prammatica sanzione, da lui saggiamente stabilita, e creduta antidoto
valevole a risparmiare i temuti mali. Ma altrimenti dispose la divina
Provvidenza, i cui occulti giudizi tanto più son da adorare, quanto
meno ne intendiamo le cifre. Sorpreso questo monarca nel dì 15 di
ottobre da dolori nelle viscere, da gagliardo vomito e da febbre, andò
in pochi dì peggiorando, e però, dopo aver data con tenerezza alle
figlie arciduchesse la paterna benedizione, e presi con somma divozione
i Sacramenti della Chiesa, coraggiosamente incontrò la separazione
dalla vita presente, accaduta nella notte precedente al dì 20 del mese
suddetto. Era desiderabile che un'egual costanza d'animo per altro
conto si fosse trovata in questo insigne Augusto; giacchè non si dee
tacere quello che il padre Agostino da Lugano cappuccino, rinomato
fra i sacri oratori, ed ora vescovo di Como, confessò nella funebre
orazione del monarca medesimo. Cioè, che portatoci _monsignor Paolucci_
nunzio apostolico, oggidì cardinale, a complimentare la maestà sua
cesarea nel di lui giorno natalizio, e ad augurarle lunga serie d'anni,
il buon imperadore gli rispose, questo essere l'ultimo della sua vita.
Interrogato del perchè, replicò di non poter sopravvivere alla gran
perdita fatta di Belgrado, antemurale della cristianità. Passò dunque
ad un miglior paese _Carlo VI_ imperador de' Romani, a tessere il cui
grandioso elogio non ebbero nè han bisogno alcuno le penne di chieder
aiuto dall'adulazione: tanta era la sua pietà, capitale ereditario
dell'augusta sua casa, tanta la saviezza, per cui non trascorse mai
in quelle debolezze alle quali è sottoposto chi più siede in alto,
tanta la clemenza e bontà dell'animo suo, che solamente si rallegrava
in far grazie, e in beneficar le persone degne, e in sovvenire ai
poveri, e solamente ripugnanza provava ai gastighi. Non m'inoltrerò
io maggiormente nelle sue vere lodi, e chiuderò in una parola il suo
ritratto, con dire ch'egli fu esemplare de' principi savii e buoni;
e se cosa alcuna in lui non si approvò, fu qualche eccesso della
stessa sua bontà, costume quasi trasfuso in lui per eredità dai suoi
benignissimi antenati.

Lasciò egli erede universale di tutti i suoi regni e Stati
l'arciduchessa _Maria Teresa_ primogenita sua, moglie di _Francesco
Stefano_ duca di Lorena e gran duca di Toscana: principessa, che
siccome per la beltà potea competere colle più belle del suo sesso,
così per l'elevatezza della mente, per la saviezza dei suoi consigli,
ed anche per forza generosa di petto, gareggiava coi primi dell'altro
sesso. Tosto fu ella riconosciuta dai sudditi per regina d'Ungheria
e Boemia, ed erede di tutti gli Stati e dominii dell'inclita casa
d'Austria. Diede ella principio in graziose maniere al suo governo
col rimettere in libertà i generali Seckendorf, Wallis e Neuperg,
e coll'isminuire d'alquanti aggravii i suoi popoli. Dichiarò ancora
correggente dell'austriaca monarchia il granduca suo consorte, colle
quali azioni, e con altre tutte lodevoli, confermò nei sudditi suoi la
speranza di provare come rinato nella figlia l'impareggiabile Augusto
_Carlo VI_. Ma che? poco durò questo bel sereno. Nel dì 3 di novembre
fu pubblicata in Monaco da _Carlo Alberto elettore di Baviera_ una
protesta preservatrice delle sue ragioni sopra gli Stati della casa
di Austria; nè egli volle riconoscere per regina ed erede di essi
Stati la gran duchessa suddetta. Si fondavano le pretensioni d'esso
elettore sopra il testamento di _Ferdinando I_ imperadore, in cui,
secondo la copia esistente in Monaco, si leggeva che la primogenita
dello stesso Augusto succederebbe nei due regni d'Ungheria e Boemia,
_caso che non vi fossero eredi maschi dei tre fratelli_ della medesima.
Da essa primogenita, cioè da _Anna d'Austria_, discendeva l'elettore
stesso. Perchè egli sempre ricusò di approvare la prammatica sanzione,
si studiò l'imperador Carlo VI vivente, per mezzo della corte di
Francia, di calmare sì fatta pretensione, con far conoscere difettosa
quella copia di testamento, tuttochè autenticata da un recente notaio,
perchè nell'originale di esso testamento non si leggeva quella parola
_maschi_, ma solamente _in caso che più non vi fossero legittimi eredi
dei tre suoi fratelli_, o simili parole tedesche, le quali atterravano
tutto l'edifizio formato dalla corte di Baviera. Essendo poi passato
all'altra vita esso Augusto, la regina, a fin di chiarire l'elettore
e il pubblico tutto di questa verità, pregò i ministri di tutti i
sovrani che si trovavano in Vienna, e massimamente quel di Baviera, di
raunarsi un dì in casa del vicecancelliere conte di Sintzendorf, per
esaminare il protocollo ed originale del sopraenunziato testamento.
Tutti l'ebbero sotto gli occhi, ed, attentamente osservandolo,
trovarono tale essere l'espressione del testatore Ferdinando augusto,
quale si sosteneva in Vienna. E perciocchè il ministro bavarese, non
contento di aver come gli altri ben considerata la verità di quelle
parole, portò anch'esso protocollo ad una finestra, per osservar
meglio contro la luce, se alcuna raschiatura o frode avesse alterato
il primario carattere, nè vi trovò alterazione alcuna: non potè
ritenersi il vicecancelliere dalla collera e dal prorompere contra di
lui in risentimenti per tanta diffidenza. Ma che questo ripiego nulla
servisse a distorre l'elettore dal proposito suo, non andrà molto che
ce ne accorgeremo; giacchè fondava egli la pretension sua anche sopra
il contratto di matrimonio della suddetta _Anna d'Austria_ col duca
Alberto di Baviera, e sopra altre parole del testamento stesso di
Ferdinando I Augusto. Un'altra pretensione parimente moveva la corte
di Baviera, e questa assai fondata e plausibile: cioè un credito di
alcuni milioni a lei dovuti, fin quando l'armi bavaresi concorsero
a liberar la Boemia dall'usurpatore palatino del Reno; per li quali
era stata promessa un'adeguata ricompensa. Restava tuttavia attesa
questa partita, nè gli Austriaci erano mai giunti a darne la piena
soddisfazione.

Videsi intanto la Francia, siccome garante della prammatica sanzione,
abbondare delle più dolci espressioni di amicizia verso la nuova
regina d'Ungheria, benchè stentasse molto a riconoscerla per tale.
Ma nello stesso tempo facea preparamento di milizie e d'armi, ed
altrettanto facevano dal canto loro gli Spagnuoli e il re delle Due
Sicilie. Ciò che poi sorprese ognuno, fu il vedere _Federico III_ re
novello di Prussia, nel mentre che professava un gagliardo attaccamento
agl'interessi della regina _Maria Teresa_, entrare improvvisamente,
prima che terminasse l'anno, colle sue armi nella Slesia, cominciando
egli prima il ballo, e dando principio a quelle rivoluzioni che già
si conoscevano inevitabili, perchè desiderava e sperava più d'uno di
profittare del deliquio patito dall'augusta casa d'Austria. Di questo
mi riserbo io di parlare all'anno seguente. Gli affari della Corsica
in quest'anno somministrarono motivi di molte speculazioni ai curiosi.
All'udire i Franzesi, tutta l'isola era già sottomessa agli ordini
loro; ma non appariva pure un barlume che ne fosse rilasciato il
possesso e dominio intero alla repubblica di Genova, nè che i Franzesi
pensassero a ritirarsene; anzi aspettavano essi un rinforzo di nuove
truppe, perchè le malattie aveano di troppo estenuate le lor forze.
All'incontro si trovavano dei corpi di malcontenti tuttavia sollevati;
e chiaramente si scorgeva che la sola forza riteneva gli altri
sottomessi in dovere, prevedendosi che dalla partenza dei Franzesi
altro non si poteva aspettare che il risorgimento dei segreti mali
umori in quella nazion feroce. Fra i ministri dell'imperadore e del re
cristianissimo in Parigi tenute furono varie conferenze per rimettere
la tranquillità nella Corsica, ma non se ne videro mai gli effetti.
Intanto da quell'isola prese commiato il barone di Prost, nipote del fu
re Teodoro, che fin qui s'era, con gran pericolo di cadere in man de'
Franzesi, trattenuto fra i sollevati nelle montagne. La sua partenza
rinvigorì non poco le speranze de' Genovesi.

Dopo essersi più mesi fermato in Venezia il real principe di Polonia
_Federigo_, e dopo aver goduto degl'insigni divertimenti a lui dati da
quella magnifica repubblica in più funzioni, finalmente nel fine di
maggio prese la via della Germania per ritornarsene in Sassonia, con
lasciare anche a quella dominante gloriose memorie della sua gentilezza
e munificenza. Fu in questi tempi che la real corte di Napoli, tutta
intesa a rimettere e far fiorire il commercio in quel regno, si avvisò
di permettere agli ebrei, già cacciati ai tempi di Carlo V Augusto, il
ritorno colà, e di poter fissar ivi l'abitazione. A questo fine furono
loro conceduti amplissimi privilegii ed esenzioni, tali nondimeno
che cagionarono stupore, anzi ribrezzo ne' cristiani, perchè fu loro
accordato di non portar segno alcuno, di abitar dovunque volessero, di
usar bastone e spada, e di poter acquistare stabili e insino feudi, con
gravissime pene a chi li molestasse. Però da varie parti dell'Europa
cominciarono a comparir colà uomini d'essa nazione, vantandosi di
volere e poter essi supplire ciò che i Napoletani potrebbono fare,
ma pare che non sappiano fare da sè stessi. Se quella corte vide ed
accettò volentieri questi baldanzosi forestieri, di altro umore fu
bene il popolo, e massimamente gli ecclesiastici di quella sì popolata
città, che non si poteano astenere dal declamare contro di essi anche
pubblicamente. Il padre Pepe gesuita, uomo di molta santità, e in gran
concetto presso la corte stessa, non rifiutò mai di detestare dal
pulpito l'introduzione di questa gente. Giunse anche un cappuccino
a tanta arditezza di dire al re, che la maestà sua non avrebbe mai
successione maschile finchè non licenziasse gl'introdotti ebrei. Ma col
tempo si vide cessare, e per altro mezzo, questo ondeggiamento. Cioè
tali segreti insulti andò facendo quello scapestrato popolo all'odiata
nazione giudaica, che niun di costoro osava di aprir pubbliche
botteghe. Giunse la plebe fino a minacciar loro un totale esterminio,
se per avventura non succedeva la consueta liquefazione del sangue di
san Gennaro, perchè questo creduto gran male si sarebbe attribuito al
demerito di ospiti tali, segreti odiatori del cristianesimo. In somma
tanto crebbe col tempo il timore nei medesimi giudei, che a poco a poco
andarono sfumando da Napoli; e se alcuna ve ne resta, è perchè poco
ha da perdere, e sa sottrarsi alla conoscenza del popolo. Riuscì per
lo contrario di molta soddisfazione ai regnicoli un trattato di pace e
navigazione stabilito in Costantinopoli dal _re don Carlo_ colla Porta
Ottomana nel dì 7 di aprile per mezzo del cavalier Finocchietti suo
plenipotenziario, per cui si aprì la libertà del commercio fra i Turchi
e i regni di Napoli e Sicilia, e cessò ogni ostilità fra essi, con
isperanza ancora che il gran signore impegnerebbe in un trattato simile
le reggenze di Algeri, Tunisi e Tripoli. Di sè, e non del sovrano,
attento al bene dei suoi popoli, si ebbe a dolere chi non profittò
di così bella apertura ai guadagni. Fu poi dichiarato ambasciatore il
principe di Francavilla, per passare alla Porta, con superbi regali da
presentarsi al gran signore.



    Anno di CRISTO MDCCXLI. Indizione IV.

    BENEDETTO XIV papa 2.
    Vacante l'imperio.


Alle speranze concepute dalla corte e dal popolo romano intorno al
novello pontefice _Benedetto XIV_ si videro ben presto corrispondere i
fatti. Trovossi che seco su quell'augusto trono era passata la consueta
sua giovialità, affabilità e cortesia, e il costante abborrimento alla
sostenutezza ed al fasto. Molto più si scoprì aver egli accettata
quella pubblica dignità, non già per vantaggio proprio o della sua
nobil casa, ma unicamente per procurare il ben della Chiesa, per
giovare alla camera apostolica, e, per quanto fosse possibile, al
pubblico tutto. Pochi poterono uguagliarsi a questo buon pontefice
nel disinteresse e nella liberalità. Ciò che a lui perveniva o di
rendite proprie, o di regali, gli usciva tosto dalle mani. I poveri
spezialmente participavano di queste rugiade, e saccheggiavano il suo
privato erario. Un solo nipote _ex fratre_ aveva egli, cioè _don Egano
Lambertini_ senator bolognese. Gli ordinò di non venire a Roma, se
non quando l'avesse chiamato, e poi sempre si dimenticò di chiamarlo.
Anzi, all'osservare tanta sua munificenza verso degli altri, solamente
ristretta verso d'esso suo nipote, parve a non pochi che l'animo suo,
per troppo abborrire gli eccessi degli antichi nepotismi, cadesse poi
nel contrario eccesso, ossia difetto. Per varii bisogni o inconvenienti
de' tempi passati trovò egli la camera apostolica aggravata da una gran
somma di milioni di scudi, e dei frutti corrispondenti, e di molte
spese superflue. Impossibile conobbe la cura di sì gran male: pure
si applicò per quanto potè a procacciarne il sollievo, cominciando
da sè stesso, col riformare la propria tavola, e il proprio vestire e
trattamento, e non ammettendo se non il puramente necessario. Giacchè
era mancato di vita, durante il conclave, il _cardinale Ottoboni_,
conferì esso pontefice la carica di vicecancelliere al _cardinale
Rufo_, che generosamente rilasciò in benefizio della camera la maggior
parte del soldo annesso alla medesima. Sì pingue era in addietro
la paga delle milizie pontifizie, che ogni semplice soldato potea
dirsi pagato da uffiziale, e così a proporzion gli uffiziali stessi.
Dal santo padre fu riformato il salario non men degli uni che degli
altri; e de' soldati ne risparmiò cinquecento, non già cassandoli
senza misericordia, ma ordinando che, mancando essi di vita, non si
reclutassero. Trovò anche maniera di liberar la camera apostolica da
varie pensioni addossate alla medesima dai pontefici troppo liberali
della roba altrui. In una parola, tanto si adoperò, ch'essa camera
ripigliò gran vigore, e dove in addietro sbilanciava nelle spese,
cominciò a sperar degli avanzi.

Maggior premura ancora ebbe il vigilantissimo pontefice per la
riforma della prelatura e del clero, facendo sapere ad ognuno che
non promoverebbe agli uffizii ed impieghi, se non chi sel meritasse
coll'attestato della vita ben costumata e conveniente a persone
ecclesiastiche, e coll'applicazione agli studii. A questo fine furono
poscia dalla santità sua istituite quattro diverse accademie, nelle
quali spezialmente si esercitassero i prelati esistenti in Roma
in compagnia dei più cospicui letterati di quella gran metropoli,
dovendosi trattare de' canoni e concilii, della storia ecclesiastica,
della storia ed erudizione romana, e dei riti sacri della Chiesa.
Propose inoltre il santo padre di riformare il lusso massimamente
della nobiltà romana, sì per esentare le illustri case da dispendii,
talvolta superiori alle rendite loro, con far debiti, al pagamento dei
quali si trovava poi o molta difficoltà, o pure impotenza; come ancora
per ritener nello Stato il tanto danaro che n'esce, per soddisfar le
pazze voglie della moda. Si tennero su questo varie conferenze, e si
videro saggi progetti proposti dai conservatori della città. Ma chi lo
crederebbe? tanti ostacoli, tante riflessioni in contrario scapparono
fuori, sopra tutto per opera di chi profitta della balordaggine
degl'Italiani, che sì bel disegno rimase arenato. Istituì ancora una
congregazione di cinque porporati, per esaminar la vita e i costumi
dei destinati alla dignità episcopale. Di questo passo procedeva lo
zelantissimo pontefice _Benedetto XIV_, con accrescere il suo merito
presso Dio e presso gli uomini. Inviò egli in tanto col carattere di
nunzio straordinario alla dieta dell'elezione del nuovo imperadore
_monsignor Doria_, figlio del principe Doria, dichiarato arcivescovo
di Calcedonia, che con suntuoso equipaggio s'incamminò alla volta della
Germania.

Siccome pur troppo aveano preveduto i saggi, cominciarono a provarsi
le perniciose conseguenze della morte del buon imperador _Carlo
VI_. Sul fine dell'anno precedente il giovine _Federigo III_ re di
Prussia, senza far precedere dimanda o sfida alcuna, con venticinque
mila soldati e buon treno d'artiglieria era corso ad impadronirsi
d'alcuni luoghi della Slesia austriaca, non già, dicea egli, per alcuna
mala intenzione sua contro la corte di Vienna, nè per inquietare
l'imperio, ma solamente per sostenere i suoi diritti sopra alcuni
ducati e territorii di quella provincia, la più ricca e fruttuosa
che si avesse in Germania l'augusta casa di Austria. Susseguentemente
dipoi pubblicò un manifesto, in cui dedusse i fondamenti di quelle sue
pretensioni, dichiarando nullo un trattato di concordia, conchiuso
nel 1686 fra la corte di Vienna e quelle di Brandenburgo. Intanto
perchè non si aspettava nella Slesia una sì fatta tempesta, nè vi
si trovava preparamento alcuno per resistere, nel dì 3 di gennaio
dell'anno presente non fu difficile al Prussiano di entrare in
Breslavia, capitale di quella provincia, e di occupare altri luoghi
nè pur pretesi nel suo manifesto; dopo di che ridusse le sue milizie
al riposo. Ancorchè per questo inaspettato colpo si trovasse più di
un poco confusa la corte di Vienna, pure adunato che ebbe un corpo
di circa venti mila veterani soldati, lo spinse in Islesia sotto il
comando del maresciallo _conte di Neuperg_, con ordine di tentare una
battaglia. S'inoltrò questo generale sino a Millovitz in poca distanza
da Brieg, ed ivi incontratosi col grosso dell'armata prussiana, nel
dì 10 d'aprile dell'anno presente venne con essa alle mani. Sei ore
continue durò l'atroce combattimento, in cui riuscì alla cavalleria
austriaca di rovesciar la prussiana, e si vide anche più d'una volta
piegar l'ala sinistra d'essi Prussiani; ma in fine trovandosi di
lunga mano superiori le forze nemiche, e in maggior copia le loro
artiglierie, che fecero di brutti squarci nelle schiere austriache, fu
obbligato il Neuperg a ritirarsi, e a lasciare il campo di battaglia
ai Prussiani, che riportarono bensì vittoria, ma a costo di moltissimo
loro sangue. V'era in persona lo stesso re di Prussia, che diede
gran segni d'intrepidezza e di bel regolamento nei movimenti delle
sue armi. Dopo di che nel dì 4 di maggio egli s'impadronì di Brieg,
una delle più belle città della Slesia. Succederono poscia varii
negoziati per l'amichevole via di qualche aggiustamento; e se fossero
stati ben accolti per tempo i consigli dell'Inghilterra ed Olanda,
avrebbe probabilmente la regina, col sacrifizio di una parte della
Slesia, potuto conservar l'altra, ed acquetar le pretensioni del re
prussiano. Ma siccome principessa di gran coraggio, e troppo renitente
ad acconsentire che restasse vulnerata la prammatica sanzione, più
tosto volle esporsi a perdere tutta quella bella provincia, che
spontaneamente cederne una porzione. Inesplicabil allegrezza intanto
avea provato la corte di Vienna per un arciduchino, partorito dalla
suddetta regina nel dì 15 di marzo, cui furono posti i nomi di
_Giuseppe Benedetto_. Per questo dono del cielo solenni feste furono
fatte.

Intanto ecco alzarsi dalla parte di ponente un più nero e minaccioso
temporale. Già _Carlo Alberto_ elettor di Baviera avea in pronto
un esercito di circa trenta mila combattenti, e sul fine d'agosto
improvvisamente andò ad impossessarsi dell'importante città di
Passavia, con promettere di non intorbidar quivi il dominio civile del
_cardinale di Lamberg_ vescovo esemplarissimo, e principe benignissimo
di quella città. Ma un nulla fu questo. Fin qui, non ostante il
grande apparato di guerra che si faceva in Francia, non altro s'udiva
che intenzioni di quella corte di sostenere la prammatica sanzione,
di cui essa non dimenticava di essere garante. Ma verso la metà
d'agosto ecco con tre corpi, o, per dir meglio, con tre eserciti i
Franzesi, valicato il Reno, entrar nelle terre dell'imperio, con far
correre voce, per mezzo de' suoi ministri nelle corti, che questo sì
gagliardo movimento d'armi non era per distorsi dagl'impegni della
garanzia suddetta, ma bensì a solo oggetto di assicurar la quiete
della Germania, e la libera elezione di un imperadore. Queste ed
altre simili proteste del gabinetto di Francia non si sapeano digerire
dagl'intendenti in Germania, i quali gridavano essere vergognosa cosa
lo spaccio di esse, quando chiaramente ognuno scorgea, che le armate
franzesi unicamente tendevano a dar la legge al corpo germanico, e a
forzare chiunque s'opponesse alla promozione dell'elettor di Baviera
alla corona imperiale, e ad unirsi con esso principe contro la regina
d'Ungheria. Imperciocchè, diceano essi, non è più un mistero il dirsi
nella corte di Francia, essere venuto il tempo di abbassare una volta
la casa d'Austria, quella casa che fin qui avea fatto il possibile
argine al maggiore accrescimento della non mai sazia potenza franzese.
E però doversi trasportare lo scettro cesareo in altro principe che
per la debolezza delle sue forze non osasse nè potesse contrastare ai
voleri della Francia; e che per isnervare l'austriaca regina, d'uopo
era spogliarla del regno della Boemia, dappoichè il re di Prussia avea
fatto lo stesso della Slesia. A questo fine si vide non solamente
posto in dubbio, ma anche negato alla regina il voto della Boemia
nell'elezione del futuro imperadore, senza che valessero le ragioni e
proteste della medesima. Favorevoli ancora ai disegni della Francia si
trovarono gli elettori palatino e di Colonia; nè molto stette lo stesso
_Federigo Augusto_ re di Polonia, ed elettor di Sassonia, a prendere
l'armi e ad unirsi coi Bavaresi e Franzesi contro la regina. Dal re
Cristianissimo fu dichiarato general comandante delle sue milizie
l'elettor di Baviera, con protestare che queste non altro erano che
ausiliare d'esso elettore, per sostenere i legittimi diritti della di
lui casa; giacchè non negava la corte di Francia di aver ben accettata
e garantita la prammatica sanzione austriaca, ma aggiugneva che questo
s'avea da intendere senza pregiudizio delle ragioni altrui. Dicevano
alcuni, non saper, nè pur la gente dozzinale, capire queste raffinate
precisioni del gabinetto franzese; perchè le parea che l'aver giurato
di mantener l'unione degli Stati della casa d'Austria lo stesso fosse
che promettere di non impegnar l'armi per discioglierla, nè passar
differenza fra chi si obbliga di non uccidere uno, e poi presta il
pugnale o porge in altra maniera aiuto ad un altro per levargli la
vita. Gridavano perciò, bandita la buona fede da quel gabinetto, e
a nulla più servire le pubbliche paci, quando con tanta facilità si
faceano nascere apparenti ragioni e scuse di romperle. Per quello ch'io
ho inteso da buona parte, ripugnò forte il cardinale di Fleury primo
ministro allo imbarco della Francia in questa guerra, perchè assai
conosceva le leggi dell'onore e del giusto; ma da un tale fanatismo
fu preso allora tutto il consiglio del re cristianissimo, che gridando
ognuno all'armi per così favorevol occasione di deprimere l'emula casa
d'Austria, e insieme il romano imperio, forzato fu esso cardinale di
cedere alla piena, e di cominciar questa nuova tragedia.

Ora da che si trovò l'elettor di Baviera rinforzato da venti, altri
dissero trenta mila Franzesi, più non indugiò ad entrare sul fine di
settembre nell'Austria con impadronirsi di Lintz, Eens, Steir ed altri
luoghi, dove si fece prestare omaggio da que' popoli. Avea proposto
il duca di Bellisle nel consiglio di Versaglies che si mandasse in
Baviera una potente armata, con cui s'andasse a dirittura a Vienna; ma
il cardinale di Fleury non l'intese così, e mandò poco. Tale nondimeno
per questo fu la costernazione nella città di Vienna, che ognuno a
momenti s'aspettava d'essere ivi stretto da un assedio, e ne uscì gran
copia di benestanti col meglio dei loro effetti. Da molto tempo si
tratteneva la regina col gran duca consorte in Presburgo, dove avea
ricevuta la corona del regno d'Ungheria. Cagion fu il movimento dei
Gallo-Bavari ch'essa immantenente facesse portar colà da Vienna il
tenero arciduchino, co' più preziosi mobili della corte, archivii e
biblioteca imperiale. Con un sì patetico discorso rappresentò poscia
ai magnati ungheri il bisogno de' loro soccorsi, e la fidanza sua
nel lor appoggio e fedeltà, che trasse le lagrime dagli occhi di
ognuno, e tutti giurarono la di lei difesa; e detto fatto, raunarono
un esercito di trenta mila armati, con promessa di più rilevanti
aiuti. Costò nondimeno ben caro ad essa regnante l'acquisto della
corona ungarica, e dell'affetto di que' popoli, perchè le convenne
comperarlo coll'accordar loro varii privilegii e la libertà di
coscienza, non senza grave discapito della religione cattolica in
quelle parti. Mirabili fortificazioni intanto si fecero in Vienna;
copiose provvisioni e munizioni vi s'introdussero; ed oltre ad un forte
presidio di truppe regolate, prese l'armi tutta quella cittadinanza,
risoluta di spendere le vite in difesa della patria e dell'amatissima
loro regnante. Ma o sia che l'elettor bavaro riflettesse alle troppe
difficoltà di superare una sì forte e ben guernita città, al che
gran tempo e fatica si esigerebbe, o più tosto ch'egli pensasse non
all'Austria, ma al regno della Boemia, dove spezialmente terminavano
i desiderii e le speranze sue: certo è ch'egli dopo la metà d'ottobre
s'inviò a quella volta colla maggior parte delle sue truppe e delle
franzesi, che andavano sempre più crescendo. Trovavasi allora la
Boemia sprovveduta affatto di forze per resistere a questo torrente.
Contuttociò non mancò il principe di Lobkowitz di raccogliere
quelle poche truppe che potè, ed avendole unite con un distaccamento
inviatogli dal conte di Neuperg, si applicò alla difesa della sola
città di Praga, dove formò dei magazzini superiori anche al bisogno
suo.

Di cento e due altre città (che così quivi si chiamano anche i borghi
e le terre grosse di quel regno) poche altre vi erano capaci di far
buona resistenza. Verso la metà di novembre comparve la possente
armata gallo-bavara sotto Praga, e fatta inutilmente la chiamata al
comandante maresciallo di campo Oglivi, si dispose alle ostilità.
Non mancavano ragioni e pretensioni al re di Polonia ed elettor di
Sassonia _Federigo Augusto III_ nell'eredità della casa d'Austria; e
giacchè vide Prussiani e Bavaresi tutti rivolti a prenderne chi una
parte e chi un'altra, non volle più stare a segno; ed accordatosi
coll'elettor di Baviera, entrò anche egli nella danza, e spedì molti
reggimenti suoi e un grosso treno d'artiglieria all'assedio di Praga.
Di vastissimo giro, come ognun sa, è quella città, perchè composta di
tre città. A ben difenderla si richiedeva un'armata intera, e questa
mancava; perchè era ben giunto il gran duca _Francesco_ col principe
_Carlo di Lorena_ suo fratello a Tabor, menando seco un buon esercito,
ma non tale da potersi cimentare col troppo superiore de' nemici.
Servì piuttosto l'avvicinamento di essi Austriaci per affrettar le
operazioni degli alleati. Infatti nella notte del dì 25 venendo il
dì 26 di novembre, ordinò l'elettor bavero un assalto generale a
Praga; i Sassoni spezialmente si segnalarono in quella sanguinosa
azione. Presa fu la città, ma così buon ordine avea dato l'elettore,
ch'essa restò esente dal sacco. Ben tre mila furono i prigionieri.
Dopo l'acquisto della capitale si fece l'elettor bavaro proclamare
re di Boemia nel dì 9 di dicembre, e citò gli Stati di quel regno a
prestargli l'omaggio. Convien confessarlo: tra perchè non pochi erano
quivi mal soddisfatti del passato governo, e, secondo la vana speranza
dei popoli, si lusingavano molti altri di mutare in meglio il loro
stato col cangiamento del principe, e tanto più perchè non dimenticò
l'elettore di spendere largamente le carezze e le speranze a quella
gente; apertamente, ma i più in lor cuore, accettarono con gioia questo
novello sovrano. Per la caduta di Praga si ritirò ben in fretta il
gran duca coll'esercito cesareo alla volta della Moravia; ma anche colà
passarono i Prussiani, e riuscì loro d'impadronirsi d'Olmutz, capitale
d'essa provincia.

Mentre era la regina d'Ungheria attorniata e lacerata da tanti nemici
in Germania, un altro minaccioso nembo si preparava contro di lei in
Italia. Avea bensì il Cattolico re _Filippo V_ accettata la prammatica
sanzione austriaca; pure, appena tolto fu di vita l'imperador _Carlo
VI_ che si diede fuoco nella corte di Spagna a forti pretensioni non
sopra qualche parte della monarchia austriaca, ma sopra di tutta.
Era, come ognun sa, l'Augusto _Carlo V_ padrone anche di tutti gli
Stati austriaci della Germania e dei Paesi Bassi. Ne fece egli una
cessione a _Ferdinando I_ suo fratello, ma si pretendeva, che mancando
la discendenza maschile d'esso Ferdinando, tutti gli Stati dovessero
tornare alla linea austriaca di Spagna. Su questi fondamenti, che a
me non tocca di esaminare, il re Cattolico, siccome discendente per
via di femmine dal suddetto _Carlo V_, aspirava al dominio dello Stato
di Milano, e di Parma e Piacenza, giacchè non era da pensare agli
Stati della Germania, troppo lontani e in parte afferrati da altri
pretensori. Vero è che parve a quel monarca posta in obblio la solenne
rinunzia da lui fatta nel trattato di Londra dell'anno 1718 a tutti gli
Stati d'Italia e Fiandra posseduti dall'imperadore; ma per mala sorte,
torto o ragione che s'abbiano i principi, ordinariamente le loro liti
non ammettono o non truovano alcun tribunale che le decida, fuorchè
quello dell'armi. Diedesi dunque la Spagna a formare un possente
armamento, e ordinò all'infante _don Carlo_ re delle Due Sicilie di
fare altrettanto. Ecco pertanto cominciar a giugnere verso la metà
di novembre ad Orbitello, e agli altri porti di Toscana spettanti ad
esso re don Carlo, varii imbarchi di truppe, munizioni ed artiglierie
provenienti da Barcellona e da Napoli. Parimenti ad esso Orbitello
arrivò, nel dì 9 di dicembre, il _duca di Montemar_, destinato generale
dell'armi di Spagna in Italia; e da che nel regno di Napoli fu fatta
una massa di circa dodici mila soldati, fu chiesto alla corte di Roma
il passaggio per gli Stati della Chiesa. Gran gelosia ed apprensione
diedero alla Toscana sì fatti movimenti; e come se si aspettasse
a momenti un'invasione da quella parte, si presero le possibili
precauzioni per la difesa di Livorno ed altri luoghi. Ma perciocchè
premeva alla Francia che non fosse inquietata la Toscana, siccome
paese permutato nella Lorena, e guarentito dal re Cristianissimo, ben
prevedendo essa, che l'acquisto d'essa Lorena rimarrebbe esposto a
pretensioni, qualora fosse occupato da altri il ducato di Toscana;
perciò fu sotto mano fatto intendere al gran duca, duca di Lorena,
che non temesse sconcerti a quegli Stati; e questa promessa si vide
religiosamente mantenuta dipoi dalla corte di Francia. Per conseguente
le speranze de' Napolispani si rivolsero tutte agli Stati della
Lombardia.

Non istava intanto in ozio la corte di Vienna, cercando chi la
salvasse dal naufragio di sì gran tempesta. Fu spedito in Olanda e
a Londra il principe _Wenceslao_ di _Lictenstein_, per promuovere
quelle potenze in aiuto suo, con far valere i tanti motivi di non
lasciar crescere di soverchio la già sì aumentata possanza della real
casa di Borbone, e di non permettere l'abbassamento dell'augusta casa
d'Austria dalla cui conservazione e forza principalmente dipendeva la
libertà e la salute della Germania, e delle stesse potenze marittime.
Trovossi nel re _Giorgio II_ e nei parlamenti d'Inghilterra tutta
la più desiderabil disposizione di sostenere, secondo gli obblighi
precedenti, la prammatica sanzione, e d'imprendere la guerra
contra de' Franzesi, distruttori della medesima. Non furono così
favorevoli le risposte degli Olandesi; perchè troppo rincresceva a
quella nazione di rinunziare ai rilevanti profitti del commercio,
finora mantenuto con Franzesi e Spagnuoli. Fu anche creduto che non
mancassero in quelle provincie dei pensionarii della Francia; ed
altro perciò non si potè ottenere, se non che le provincie unite
puntualmente soddisfarebbono agli obblighi e patti della loro lega,
col somministrare venti mila combattenti in soccorso della regina,
venendo il caso della guerra. Quanto all'Italia, cominciò per tempo
la corte di Vienna i suoi negoziati con _Carlo Emmanuele_ re di
Sardegna, siccome sovrano potente, e più degli altri interessato nei
tentativi che il re di Spagna e delle Due Sicilie meditavano di fare
in essa Italia. Perciocchè per conto della _repubblica di Venezia_
ben presto si scoprì che, secondo le saggie sue massime, faceva ella
bensì un considerabil aumento di truppe nelle sue città di terra
ferma, ma coll'unico disegno di tenersi neutrale; giacchè forze non
le mancavano per far rispettare la sua indifferenza e neutralità.
Avea sulle prime il re di Sardegna fatto indagare i sentimenti della
corte di Madrid in riguardo alla persona e forze sue nella presente
rottura. La ritrovò così persuasa della propria potenza, che non si
credea nè bisognosa dell'aiuto altrui per conquistare lo Stato di
Milano, nè assai apprensiva dell'opposizione che potesse farle il
re sardo, forse perchè s'immaginava col mezzo degli amici franzesi
di ritenerlo dall'imprendere un contrario impegno. Solamente dunque
gli esibì un tenue briciolo dello Stato di Milano, con promessa di
ricompensarlo a misura del suo soccorso, e della felicità de' meditati
progressi. Queste ed altre ambigue risposte congiunte alla conoscenza
del pericolo, a cui si resterebbe esposta la real casa di Savoia
quando cadesse in mano degli Spagnuoli lo Stato di Milano, cagion
furono ch'esso re di Sardegna prendesse altro cammino. Rifletteva egli
che il re Cattolico avea bensì nel trattato del dì 13 d'agosto del
1715 approvata la cessione fatta dall'imperadore al duca _Vittorio
Amedeo_ suo padre del Monferrato, Alessandrino ed altre porzioni del
Milanese, ed in oltre ceduto nelle forme più obbliganti il regno di
Sicilia al medesimo duca; e pure da lì a non molto tentò di spogliarlo
d'esso regno; potersi perciò temere un pari trattamento per gli Stati
della Lombardia passati in dominio della casa di Savoia. Applicossi
dunque il re _Carlo Emmanuele_ a maneggiare gli affari suoi colla
regina d'Ungheria e col re britannico, e a fortificar le piazze, e
ad accrescere le sue genti d'armi, e per avere in pronto una possente
armata al bisogno, barcheggiando intanto, finchè venisse il tempo di
stringere qualche partito.

Durante l'anno presente il pontefice _Benedetto XIV_, il cui cuore
non ad altro inclinava che alla pace con tutti i potentati cattolici,
siccome padre amantissimo d'ognuno, determinò di mettere fine alle
differenze insorte sotto i suoi predecessori, e durate per lo spazio
di trenta anni fra la santa Sede e le corone di Spagna, Portogallo, Due
Sicilie e Sardegna. S'erano già smaltite sotto il precedente pontefice
molte delle principali difficoltà, nè altro mancava che la conchiusion
degli accordi. Al di lui buon volere e saviezza non fu difficile il dar
l'ultima mano a questi trattati sì nel presente che nel susseguente
anno; così che tornò la buona armonia con tutti, e le nunziature si
riaprirono, e la dateria riassunse le sue spedizioni. Intenta eziandio
la santità sua al sollievo della povera gente, nel marzo di quest'anno
introdusse l'uso della carta bollata per li contratti e scritture che
si avessero a produrre in giudizio, siccome aggravio ridondante sopra
i soli benestanti, con isgravare nel medesimo tempo il popolo da varii
altri imposti sopra l'olio, sete crude, buoi ed altri animali. Ma
perciocchè non mancarono persone, le quali, contro la retta intenzione
di lui ampliando questo aggravio della carta bollata, ne convertivano
buona parte in lor pro con gravi lamenti del pubblico, il santo padre,
provveduto di buona mente per non lasciarsi ingannare dai ministri,
coraggiosamente abolì esso aggravio, e ne riportò somma lode da tutti.
Nel dì 17 di giugno dell'anno presente diede fine al suo vivere il
doge di Venezia _Luigi Pisani_, stimatissimo per le sublimi e rare
sue doti. Fu poi sostituito in essa dignità nel dì 30 del suddetto
mese, il cavaliere e procuratore _Pietro Grimani_, personaggio di gran
saviezza, chiarissimo per le sue cospicue ambasciarie, e veterano nei
maneggi e nelle cariche di quella saggia repubblica. Infierì parimente
la morte contra una giovine principessa degna di lunghissima vita.
Questa fu _Elisabetta Teresa_ sorella di _Francesco_ duca di Lorena,
e regnante gran duca di Toscana, e moglie di _Carlo Emmanuele_ re
di Sardegna. Era essa giunta all'età di ventinove anni, mesi otto e
giorni diciotto. Avea nel dì 21 del sopraddetto giugno dato alla luce
un principino, appellato poi duca di Chablais con somma consolazione
di quella corte. Ma si convertirono fra poco le allegrezze in pianti,
perchè sorpresa essa regina dalla febbre migliarina, pericolosa per
le partorienti, nel dì 3 di luglio rendè l'anima al suo creatore.
Non si può assai esprimere quanta grazia avesse questa principessa
per farsi amare non solo dal real consorte, ma da tutti, nè quanta
fosse la sua pietà e carità verso de' poveri. La maggior parte del suo
appannaggio s'impiegava in limosine, e, mancandole talvolta il danaro,
ella impiegava alcuna delle sue gioie: del che informato il re, le
riscuoteva, e graziosamente gliele facea riportare. In somma universale
fu il cordoglio per questa perdita, e dolce memoria restò di tante sue
virtù; siccome ancora restarono due principi e una principessa, frutti
viventi del suo matrimonio.

Da gran tempo era stabilito l'accasamento del principe ereditario di
Modena _Ercole Rinaldo d'Este_, figlio del regnante duca _Francesco
III_, colla principessa _Maria Teresa Cibò_, che per la morte di _don
Alderano_ duca di Massa e di Carrara suo padre era divenuta signora di
quel ducato. Per la non ancor abile età del principe si era differita
fin qui l'esecuzione di questo maritaggio; ma finalmente se gli diede
compimento nel settembre dell'anno presente; sicchè sul fine d'esso
mese fu condotta essa principessa con suntuoso accompagnamento da _don
Carlo Filiberto d'Este_, marchese di San Martino, e principe del sacro
romano imperio, alla volta di Sassuolo, dove si trovava il duca e la
duchessa _Carlotta Aglae d'Orleans_, i quali andarono ad incontrarla
a Gorzano, e solennizzarono dipoi con molte feste la sua venuta.
Stavano intanto i curiosi aspettando di vedere, dopo tante dicerie
e lunari, qual esito o destino fossero per avere gli affari della
Corsica, tuttavia fluttuante, e non mai pacificata. Perchè le truppe
Franzesi aveano quivi preso sì lungo riposo, sognarono i novellisti
che la repubblica di Genova fosse in trattato di vendere quell'isola
alla Francia, o di permutarla con qualche altro Stato, o di darla
all'infante di Spagna _don Filippo_ genero del re Cristianissimo.
La vanità di sì fatte immaginazioni in fine si scopri. Non terminò
l'anno presente che la corte di Francia, entrata in impegni di maggior
conseguenza, richiamò il _marchese di Maillebois_ colle sue truppe
in Provenza; laonde la Corsica, accorrendo ogni dì nuovi banditi, e
sciolta dal rispetto e timore de' Franzesi, tornò a poco a poco al
solito giuoco della ribellione, con isdegno e pentimento de' Genovesi,
che tanto aveano speso in procurar de' medici a quella cancrena. Con
tali successi arrivò il fine dell'anno presente; anno, che con tanti
preparamenti di guerra prometteva calamità di lunga mano maggiori al
seguente; ed anno, in cui, oltre alle rivoluzioni dell'Austria, Boemia
e Slesia, altre se ne videro nella Gran Russia, alla quale ancora fu
dichiarata la guerra dagli Svezzesi collegati colla Porta Ottomana; ma
con tornare essa guerra solamente in isvantaggio della Svezia medesima,
non assistita poi dai Turchi, nè capace di far fronte alle superiori
forze della Russia.



    Anno di CRISTO MDCCXLII. Indizione V.

    BENEDETTO XIV papa 3.
    CARLO VII imperadore 1.


Più d'un anno correva che restava vacante il seggio imperiale, non
tanto per li diversi interessi ed inclinazioni degli elettori, quanto
per la disputa insorta intorno al voto della Boemia, il quale veniva
contrastato o negato da chi o per amore o per forza seguitava le
istruzioni della Francia, per essere caduto quel regno in donna, cioè
nella regina d'Ungheria _Maria Teresa d'Austria_. Ma da che _Carlo
Alberto_ duca ed elettor di Baviera si fu impadronito di Praga capitale
d'essa Boemia, e nel dì 19 del precedente dicembre si fece prestare
omaggio dai deputati ecclesiastici e secolari delle città boeme,
forzate fin qui alla sua ubbidienza: si procedè finalmente nella città
di Francoforte all'elezione di un nuovo imperadore nel dì 24 di gennaio
dell'anno presente. Concorsero i voti degli elettori nella persona del
suddetto elettore di Baviera, che da lì innanzi fu intitolato _Carlo
VII Augusto_. Contro di tale elezione la regina d'Ungheria non lasciò
di far le occorrenti proteste. Comparve poscia in quella città il
novello imperadore nel dì 31 del mese suddetto, accolto con incredibil
magnificenza, e nel dì 12 di febbraio seguì la suntuosa funzione
dell'incoronamento suo. Susseguentemente nel dì 8 di marzo con gran
solennità fu coronata imperadrice de' Romani l'Augusta _Maria Amalia_
d'Austria consorte del nuovo imperadore. Non si potea vedere in più
bell'auge l'elettoral casa di Baviera, giunta dopo più secoli a riavere
il diadema imperiale, divenuta padrona del regno di Boemia e di parte
dell'Austria, ed assistita dalla potentissima corte di Francia. O prima
d'ora, o in queste circostanze, si trovò in tal costernazione la corte
austriaca per sentirsi sola e abbandonata in questa gran tempesta, e
dopo aver perduto tanto, in pericolo ancora di perdere molto più, se
non anche tutto, che nel suo consiglio persona vi fu che stimò bene
di persuader la pace anche col sacrifizio della Boemia. Fu questa una
stoccata al cuore della regina. Altro consigliere poi si fabbricò un
buon luogo nella grazia della maestà sua per l'avvenire coll'animare
il di lei coraggio, e conchiudere che si avea a fare ogni possibil
resistenza, confidando nella protezione di Dio per la buona causa, e
col mostrare a quali vicende sia sottoposta la fortuna anche de' più
potenti. In fatti si allestì un buon armamento, si uscì in campagna, e
molto non tardò a venir calando cotanta felicità del Bavaro Augusto.
Imperocchè avendo la regina ammanite molte forze coi vecchi suoi
reggimenti, e colla giunta di gran gente accorsa dall'Ungheria: sul
principio del presente anno il gran duca _Francesco_ suo consorte col
general comandante conte di _Kevenuller_, governatore di Vienna, dopo
avere ricuperato le città di Stair ed Eens, andò a mettere l'assedio
alla città di Lintz. Nello stesso tempo s'impadronirono gli Austriaci
di Scarding, e nel dì 16 o pure 17 di gennaio diedero una rotta ad un
grosso corpo di Bavaresi condotto sotto quella piazza dal maresciallo
bavarese _conte Terringh_. La città di Lintz, benchè fornita d'un
presidio consistente in più di sette mila Gallo-Bavari, pure nel dì
23 dello stesso mese si arrendè con patti onorevoli, essendo restata
libera la guarnigione, ma con patto di non prendere per un anno l'armi
contro la regina d'Ungheria: patto che fu poi per alcune ragioni
mal osservato. Ciò fatto, furiosamente entrarono gli Austriaci nella
Baviera. Braunau e Passavia furono costrette ad arrendersi: il terrore
si stese fino a Monaco capitale d'essa Baviera, la quale, mancando
di fortificazioni e di gente che la potesse sostenere, nel dì 13 di
febbraio con condizioni molto oneste venne in potere degli Austriaci.
Ed ecco quasi, a riserva d'Ingolstad e di Straubinga, la Baviera
sottomessa alla regina d'Ungheria, ed esposta alla desolazione portata
dall'armi vincitrici, cioè i poveri popoli condannati a far penitenza
degli alti disegni del loro sovrano. Mancò intanto di vita in Vienna
l'augusta imperadrice _Amalia Guglielmina_ di Brunsvich, vedova
dell'imperador Giuseppe. Il dì 10 di aprile fu quello che la condusse
a godere in cielo il premio dell'insigne sua saviezza e pietà, di
cui anche resta in essa città un perenne monumento nel religiosissimo
monistero delle salesiane da essa fondato e dotato, e la di lei Vita
data alla luce per decoro della cattolica religione.

Cominciarono in questi tempi ad udirsi in armi Ungheri, Panduri,
Tolpasci, Anacchi, Ulani, Valacchi, Licani, Croati, Varasdini ed altri
nomi strani, gente di terribile aspetto, con abiti barbarici ed armi
diverse, parte di loro mal disciplinata, atte nondimeno tutte a menar
le mani, e spezialmente professanti una gran divozione al bottino.
Parve in tal occasione che nei tempi passati non avesse conosciuto
l'augusta casa d'Austria di posseder tante miniere d'armati, essendosi
ella per lo più servita delle sole valorose milizie tedesche, e di
qualche reggimento di Usseri e Croati. Seppe ben la saggia regina
d'Ungheria prevalersi di tutte le forze de' suoi vasti Stati; e con
che vantaggio, lo vedremo andando innanzi. Continuò di poi la guerra
non meno in Boemia che in Baviera fra i Gallo-Bavari e gli Austriaci,
nel qual tempo ancora proseguirono le ostilità fra questi ultimi e il
re di Prussia nella Slesia. Dacchè l'esercito della regina d'Ungheria
si trovò sommamente ingrossato sotto il comando del principe _Carlo
di Lorena_, assistito dal maresciallo _conte di Koningsegg_ e dal
_principe di Lictenstein_, i Prussiani giudicarono meglio di ritirarsi
da Olmutz con tal fretta, che lasciarono indietro gran quantità di
viveri e molti cannoni: con che ritornò tutta la Moravia all'ubbidienza
della legittima sua sovrana. Trovaronsi poi a fronte nel dì 17 di
maggio le due nemiche armate austriaca e prussiana; e il principe di
Lorena, che ardeva di voglia di azzardare una battaglia, soddisfece al
suo appetito nel luogo di Czaglau. Alla cavalleria austriaca riuscì
di far piegare la prussiana; ma perchè si perdè a saccheggiare un
villaggio, rimasta la fanteria sprovveduta di chi la sostenesse contro
le forze maggiori prussiane, bisognò battere la ritirata, e lasciare
il campo in potere de' nemici. Secondo il solito, tanto l'una che
l'altra parte cantò maggiori i vantaggi. A udire gli Austriaci, vennero
quattordici stendardi, due bandiere e mille prigionieri in loro mani, e
la cavalleria nemica restò disfatta. Gli altri all'incontro vantarono
presi quattordici cannoni con alcuni stendardi, e fecero ascendere la
mortalità e diserzion degli Austriaci a molte migliaia. Da lì innanzi
si cominciò ad osservare una inazione fra quelle due armate, finchè si
venne a scoprire il mistero; e fu perchè nel dì 11 di giugno riuscì al
_lord Indfort_, ministro del britannico re _Giorgio II_, di stabilir la
pace fra la regina d'Ungheria e il re di Prussia, a cui restò ceduta la
maggior parte della grande e ricca provincia della Slesia; essendosi
ridotta a questo sacrifizio la regina per li consigli della corte
d'Inghilterra, e per la brama di sbrigarsi da sì potente nemico. Questo
accordo, conchiuso in Breslavia, siccome sconcertò non poco la corte
di Francia e del bavaro imperadore _Carlo VII_, così servì ad essa
regina per risorgere ad accudir con più vigore alla resistenza contro
gli altri suoi poderosi avversarii. Per questa privata pace, che riuscì
cotanto fruttuosa a _Federigo_ re di Prussia, anche _Federigo Augusto_
re di Polonia ed elettor di Sassonia saviamente prese la risoluzione di
pacificarsi colla stessa regina: al che non trovò difficoltà veruna.

Sbrigate in questa maniera da quel duro impegno l'armi austriache, si
rivolsero alla Boemia, e andarono in cerca de' Franzesi. Trovavansi in
quelle parti con grandi forze i _marescialli di Bellisle e di Broglio_.
Essendo nondimeno superiori quelle della regina, furono astretti a
cedere varii luoghi, e finalmente si ridussero alla difesa della vasta
città di Praga. Colà in fatti comparve il principe _Carlo di Lorena_
sul principio di luglio col maresciallo _conte di Koningsegg_, e
con un'armata di più di sessanta mila combattenti. Circa venti mila
erano i Franzesi, parte postati nella città, e parte di fuori sotto
il cannone della piazza; ma apparenza di soccorso non v'era, nè si
fidavano que' generali della copiosa cittadinanza, in cui cuore era
già risorto l'affetto verso la casa d'Austria, massimamente dopo aver
provato quei nuovi ospiti, secondo il solito, troppo pesanti. Desiderò
il Bellisle di abboccarsi o col principe di Lorena o col Koningsegg, e
fu compiaciuto da quest'ultimo. Si sciolse la lor conferenza in fumo,
perchè avrebbono i Franzesi lasciata Praga, purchè se ne potessero
andar tutti liberi coi loro bagagli, laddove pretese il maresciallo
austriaco di volerli prigionieri di guerra. Se tanta durezza fosse
poi lodata, nol so dire. Certo è che i Franzesi, stimolati dal punto
d'onore, si sostennero per più mesi, ed avvennero accidenti, per
li quali fu convertito l'assedio in blocco. Ne uscì coi figli il
maresciallo di Broglio, e felicemente si salvò. Tornati poscia gli
Austriaci a stringere quella città, prese il maresciallo di Bellisle
così ben le sue misure, che nel dì 17 di dicembre con circa dieci mila
uomini, bagaglio e cannoni da campagna se ne ritirò, e, guadagnate
due marcie, pervenne in salvo ad Egra, benchè pizzicato per tutto il
viaggio dagli Usseri e Croati. Perdè egli in quella ritirata almeno tre
mila persone o uccise, o disertate, o morte di freddo, e quasi tutta
l'artiglieria, i bagagli e fino i proprii equipaggi. Ciò non ostante,
se gli Austriaci vollero mettere il piede in Praga, furono obbligati ad
accordare una capitolazione onorevole allo smilzo presidio rimasto in
essa città; accordando in fine ciò che sul principio avrebbero potuto
con loro vantaggio concedere, e che avrebbe risparmiato un gran sangue
sparso sotto la città medesima.

Non provarono già un'egual prosperità nella Baviera l'armi della regina
di Ungheria. L'assedio e bombardamento della città di Straubinga nel
mese di aprile a nulla giovò per forzare alla resa quella fortezza.
Perchè si sapea che i Franzesi comandanti dal _conte d'Arcourt_
venivano con ischiere numerose ad unirsi col generale bavarese
_conte di Seckendorf_, e giunse a Monaco una falsa voce che già si
appressavano a quella città: il _generale Stens_ nel dì 28 del mese
suddetto precipitosamente si ritirò da essa città di Monaco colla
guernigione austriaca di quattro mila persone, lasciandovi un solo
picciolo corpo di gente. Allora i cittadini si misero in armi, e i
villani inseguirono e molestarono non poco la ritirata d'essi. Scoperta
poi la falsità della voce, ed irritati gli Austriaci, ad altro non
pensarono, che a rientrare in essa città. Vi trovarono quel popolo
risoluto alla difesa, e fu misericordia di Dio che non venissero
all'assalto, perchè a questo avrebbe tenuto dietro uno spaventevole
sacco. Accordò il _maresciallo di Kevenhuller_, nel dì 6 di maggio,
una nuova capitolazione a quegli abitanti, gli affari dei quali
nondimeno molto peggiorarono da lì innanzi, finchè sul principio di
ottobre giunse la loro redenzione. Avea il Seckendorf ricuperata la
città di Landshut, dopo di che s'incamminò alla volta di Monaco. Qui
non l'aspettarono gli Austriaci, perchè molto inferiori di forze ai
Gallo-Bavari, e ne asportarono quanto mai poterono con danno gravissimo
di quell'infelice popolo, il quale diede in trasporti di allegrezza
al vedere nel dì 7 del mese suddetto rientrare in quella città le
milizie dell'augusto loro duca ed imperadore _Carlo VII_; ripigliarono
poscia i Bavaresi Borgausen e Braunau; laonde tutta la Baviera tornò,
prima che terminasse l'anno, all'ubbidienza del suo sovrano. Fu poi
condotto in Baviera un poderoso rinforzo di truppe dal _maresciallo di
Broglio_, e continuarono le ostilità, ma senza alcun'altra impresa di
grado. Intanto quello sfortunato paese era il teatro delle calamità,
perchè divorato da amici e nemici. Fu anche superiore alla credenza il
numero de' Franzesi o morti di malattie, o uccisi, o fatti prigionieri
nella Boemia e Baviera. Facevansi in questi tempi dei grandi maneggi
in Inghilterra ed Olanda, per muovere quelle potenze alla difesa della
regina d'Ungheria. La mutazion del ministero in Londra cagion fu che
il re britannico e quella potente nazione si disponessero ad entrare
in ballo, tanto più perchè si sentivano irritati dal vedere la somma
franchezza de' Franzesi in rimettere contro i patti le fortificazioni
di Dunquerque. Perciò si cominciarono i preparamenti della guerra
in Fiandra per l'anno seguente; ma non si potè altro ottener dagli
Olandesi, se non che darebbono il loro contingente di venti mila
soldati, a cui erano tenuti in vigor delle leghe precedenti. Non men di
loro, anzi più vigorosamente, si misero in arnese anche i Franzesi per
far buon giuoco in quelle parti.

Vegniamo oramai all'Italia, condannata anch'essa a sofferire i
perniciosi influssi delle gare ambiziose dei regnanti. Da che fu
fatta gran massa di Spagnuoli ad Orbitello, e nelle altre piazze dei
presidii, sotto il comando del _duca di Montemar_, si mise questa
in marcia, ed entrata in febbraio nello Stato ecclesiastico, andò
a prendere riposo in Foligno, e con lentezza mirabile arrivò poi
finalmente fino a Pesaro. A quella volta ancora s'inviarono dipoi le
milizie napoletane, spedite dal re delle Due Sicilie, per unirsi con
quelle del re suo padre. Ne era generale il _duca di Castropignano_.
Intanto sul Genovesato andarono sbarcando altre milizie procedenti
dalla Spagna, e maggior numero ancora se ne aspettava. Per quanto si
seppe, le idee della corte del re Cattolico erano che il primo più
possente corpo di gente venisse alla volta di Bologna, e l'altro dal
Genovesato verso Parma. Grande armamento in questi tempi avea fatto
anche _Carlo Emmanuele_ re di Sardegna, ma senza penetrarsi qual
risoluzione fosse egli per prendere, se non che i più prevedevano che
anderebbono le sue forze unite con quelle della regina d'Ungheria, sì
perchè così portavano gli interessi suoi, non piacendogli la vicinanza
degli Spagnuoli, come ancora perchè potea sperar maggior ricompensa
da essa regina. Recò maraviglia ad alcuni l'aver questo real sovrano
pubblicati due manifesti, nel quali erano riportate le sue pretensioni
sopra lo Stato di Milano, siccome discendente dall'_infanta Caterina_
figliuola di _Filippo II_ re di Spagna. E pure passava questo sovrano
di concerto in ciò colla corte di Vienna, con cui finalmente si venne a
scoprire ch'egli avea stabilito nel dì primo di febbraio un _trattato
provvisionale_ per difendere la Lombardia dall'occupazione delle armi
straniere. In tale trattato comparve la rara avvedutezza del marchese
d'Ormea suo primo ministro, perchè restò esso re di Sardegna colle
mani sciolte, cioè in libertà di ritirarsi quando a lui piacesse,
colla sola intimazione di un mese innanzi, dall'alleanza della regina.
Animato si trovò egli spezialmente a tale impegno dalla sicurezza
datagli del _cardinale di Fleury_ primo ministro di Francia che il
re Cristianissimo _Luigi XV_ non intendeva di spalleggiar l'armi del
re Cattolico _Filippo V_ per conto dell'Italia. Svelaronsi solamente
nei mese di marzo questi arcani; e il re Sardo, da che ebbe ritirato
dalla Savoia gli archivii e tutto ciò che era di maggiore rilievo,
cominciò a far marciare parte delle sue truppe alla volta di Piacenza.
Verso la metà del medesimo mese anche il maresciallo _Otto Ferdinando
conte di Traun_ governatore di Milano spedì a Modena a rappresentare
al duca _Francesco III d'Este_ la necessità in cui il mettevano i
movimenti dei nemici Spagnuoli, di avanzarsi con vari reggimenti nei
principati di Correggio e Carpi. La licenza non si potè negare a chi se
la potea prendere anche senza richiederla. Perciò vennero a postarsi
gli Austriaci in quelle parti, tirando un cordone verso la Secchia, e
penetrando anche nel Reggiano.

Trovossi in un grave labirinto in questi tempi il duca di Modena,
giacchè si miravano due nemiche armate venir l'una da levante e
l'altra da ponente con tutte le apparenze che egli e i suoi Stati
rimarrebbono esposti a deplorabili traversie, e forse diverrebbero il
teatro della guerra, perchè ognun brama di far, se può mai, questa
danza in casa altrui; e più rispetto si porterebbe agli Stati della
Chiesa che ai suoi. Ognun sa, in casi di tanta angustia, quanto sia
pericoloso il partito della neutralità per chi ha poche forze, giacchè,
senza farsi merito nè coll'una nè coll'altra parte de' contendenti,
si soggiace alla disgrazia d'essere divorato da amendue; e a peggio
ancora, se avviene che l'un degli eserciti prevalga, troppo facilmente
suscitandosi sospetti e ragioni per prevalersi in suo pro degli Stati
e delle piazze altrui. Persuaso dunque esso duca che col tenersi
neutrale non si facea punto merito con alcun di essi, e verisimilmente
gli avrebbe avuti nemici tutti e due, si appigliò alla risoluzione
di abbracciare uno d'essi partiti. L'ossequio ed affetto ch'egli
professava all'augusta casa d'Austria e al gran duca di Toscana il
consigliavano ad unirsi con loro, ma troppo pericoloso era per un
vassallo dell'imperio di prendere l'armi contra dell'imperadore _Carlo
VII_ nemico delle suddette potenze, e l'aderire alla regina d'Ungheria,
la quale, invece d'inviar nuove genti alla difesa dell'Italia, avea
richiamata di là dai monti una parte di quelle che qui si trovavano,
ed avea inoltre confessato ad un suo ministro venuto in Italia di
non potersi impiegare a sostener questi Stati; e tanto anche fece
intender al papa e ai Veneziani per loro governo. Manteneva il duca
buona corrispondenza colla corte di Torino; ma questa il più che potè
gli tenne occulto il trattato di lega conchiuso con quella di Vienna.
Oltre a ciò, nè pur comportavano gl'interessi della propria casa al
duca d'aver per nemici l'imperadore e la Spagna, stante l'essersi
scoperto che la casa di Baviera nudriva delle pretensioni sopra la
Mirandola e suo ducato, e il sapersi che _don Francesco Pico_, già
duca d'essa Mirandola, protetto dagli Spagnuoli ne conservava delle
altre, e che sopra la contea di Novellara e sopra il ducato di Massa
s'erano svegliate liti, mal fondate senza dubbio, ma che nel tribunale
cesareo, se fosse stato nemico, avrebbono forse avuto buona fortuna. Il
perchè, mosso il duca di Modena da tali riflessioni, cercò più tosto di
aderire alla parte de' più possenti potentati della cristianità, cioè
dell'imperadore e dei re di Francia e Spagna. Avea egli per sua difesa
in armi un bel reggimento di Svizzeri, e un altro d'Italiani, ch'era
intervenuto alla battaglia di Crostka nella Servia, in tutto tre mila
soldati. In oltre avea quattro mila dei suoi miliziotti reggimentali,
disciplinati, ben vestiti ed armati, e circa quattrocento cavalli
fra corazze e dragoni: sussidio non lieve, uniti che fossero ad una
giusta armata, oltre alla cittadella di Modena e alla fortezza della
Mirandola.

Fu ben accolta in Madrid la proposizione del duca di entrar seco
in lega; ma mentre si andava maneggiando in tanta lontananza questo
affare, non si sa come, ne trapelò l'orditura ai ministri della regina
d'Ungheria, o pure del re di Sardegna. Verso il fine di marzo erasi
avanzato, siccome dicemmo, esso re sardo fino a Piacenza, facendo
intanto sfilare le sue truppe alla volta di Parma, ed ivi avea tenuto
consiglio di guerra col maresciallo _conte di Traun_ governator di
Milano; giacchè l'armata napolispana si era inoltrata sino a Rimini.
Si venne ancora intendendo che il grosso corpo di Spagnuoli sbarcato
in più volte sul Genovesato, senza più pensare a far irruzione dalla
parte del Parmigiano, s'era come amico incamminato per la Toscana
a fine di accoppiarsi coll'altro maggiore de' duchi di _Montemar_
e _Castropignano_. Non senza maraviglia delle persone fece quella
gente un gran giro. Se fosse calata pel Giogo a Bologna, e colà fosse
pervenuto il Montemar, nulla era più facile che il passar fino sul
Parmigiano, e il prevalersi poi delle buone disposizioni del duca di
Modena ed unirsi seco. Essendo giunto a Parma nel dì 30 d'aprile il
re di Sardegna, portossi parimente esso duca di Modena nel dì 2 di
maggio con tutta la corte al delizioso suo palazzo di Rivalta, tre
miglia lungi da Reggio. Colà fu ad abboccarsi seco nel dì 6 di esso
mese il _marchese d'Ormea_, primo ministro del re di Sardegna, che
tosto sfoderò una copia informe del trattato preteso intavolato dal
duca colla corte di Spagna. Onoratamente confessò il duca di aver
fatto dei maneggi a Madrid, ma che nulla s'era conchiuso, nè sapea se
si conchiuderebbe: e questa era la verità. Calde istanze fece l'Ormea
per indurlo alla neutralità; ma perchè il duca ben previde che,
accordando questo primo punto, passerebbe la pretensione a richiedere
in pegno una almeno delle sue piazze per sicurezza di sua fede, non
volle consentire, e prese tempo a pensarvi. Per molti giorni poscia
s'andò disputando, essendo passato il duca a Sassuolo con tutta la
famiglia: nel qual mentre il _duca di Montemar_, che per più settimane
s'era fermato coll'esercito suo in Forlì a divertirsi con una opera
in musica, finalmente si mosse alla volta di Bologna. Fama correa che
i Napolispani ascendessero a quarantacinque mila persone: erano ben
molto meno, ancorchè il Montemar avesse ricevuto il poderoso rinforzo
di fanti e cavalli, passati amichevolmente per la Toscana. Parea questa
nondimeno un'armata da far gran fatti, se non che la diserzione, da
cui non va esente alcuno degli eserciti, si trovò stupenda in essa,
fuggendo spezialmente quegli Alemanni che furono presi nell'apparente
battaglia di Bitonto, e in altre azioni, allorchè fu conquistato il
regno di Napoli dall'infante _don Carlo_. Giorno non v'era, in cui
qualche centinaio d'essi Napolispani non disertasse, attribuendone
alcuni la cagione all'aver lasciata cotanto in ozio quella gente, ed
altri all'aspro trattamento degli uffiziali, giacchè non si può credere
per difetto di paghe, perchè, se ne scarseggiavano gli uffiziali, al
semplice soldato non mancava mai l'occorrente soldo.

Dopo la metà di maggio comparvero sul Bolognese le truppe napolispane,
e a poco a poco vennero nel dì 20 a postarsi alla Samoggia, e nel dì
29 si stesero fino a Castelfranco. Certa cosa è, che se il Montemar si
fosse inoltrato di buon'ora sino al Panaro, siccome allora superiore di
forze, avrebbe potuto occupar quei siti, e stendersi a coprir Modena,
e a passar anche verso Parma, stante l'avere sul principio dell'anno
per mezzo del _conte senatore Zambeccari_ chiesto ed ottenuto dal duca
di Modena il passaggio. Parve dunque ch'egli non peraltro fosse venuto
in quelle vicinanze, se non per burlare esso duca di Modena, il quale
intanto si andava schermendo dal prendere risoluzione alcuna sulla
speranza che lo stesso Montemar passasse a difendere i suoi Stati:
del che non gli mancarono delle lusinghevoli promesse dalla parte del
medesimo generale spagnuolo. Diede agio questa inazion de' Napolispani
al maresciallo _conte di Traun_ di ben postarsi alle rive inferiori
del Panaro con dodici mila Tedeschi, e similmente a _Carlo Emmanuele_
re di Sardegna, passato nel dì 19 di maggio sotto le mura di Modena,
di andare anch'egli a fortificarsi alle rive superiori d'esso fiume.
Di giorno in giorno s'ingrossarono le sue milizie sino a venti mila
persone, giacchè gli era convenuto lasciare un'altra parte delle sue
truppe alla guardia di Nizza e Villafranca, e ai varii confini del
Piemonte, per opporsi ai disegni d'un'altra armata di Spagnuoli che
si andava formando in Provenza contro i suoi Stati, e che dovea esser
comandata dall'infante _don Filippo_, già pervenuto ad Antibo. Nel dì
17 di maggio presero pacificamente i Savoiardi il possesso della città
di Reggio, da cui precedentemente avea il duca dì Modena ritirate le
truppe regolate. Durava intanto una spezie, ma assai dubbiosa, di calma
fra esso duca, dimorante in Sassuolo, e gli Austriaco-Sardi, aspettando
questi che giungessero al loro campo cannoni, mortari e bombe, per
poter parlare dipoi con altro linguaggio. Non avea il duca fin qui
conchiuso accordo alcuno colla corte di Spagna, e neppure ricavato
da essa un menomo danaro per fare quell'armamento, come ne dubitavano
gli Austriaco-Sardi; pure non sapea indursi a cedere volontariamente
le fortezze di Modena e della Mirandola, richieste dagli alleati;
perchè quanto si trovò egli sempre deluso dal _duca di Montemar_,
largo promettitore di ciò che non osava intraprendere, altrettanto
abborriva di non comparire alla corte di Spagna qual principe di doppio
cuore, perchè quivi si sarebbe infallibilmente creduto un concerto co'
collegati la forza che gli avesse fatto cedere quelle piazze.

Prese egli dunque il partito di abbandonar tutto alla discrezione di
chi gli era addosso coll'armi, e dopo aver messi quattro mila uomini
di presidio nella cittadella di Modena, e tre mila in quella della
Mirandola, nel dì 6 di giugno colla duchessa consorte e colle due
principesse sorelle, lasciati i figli colla nuora in Sassuolo, che
poi col tempo si riunirono con lui, prese la via del Ferrarese, e andò
a ritirarsi a Crespino, e di là passò poi al Cataio degli Obizzi sul
Padovano, e finalmente si ridusse a Venezia, portando seco il coraggio,
costante compagno delle sue traversie. Perchè aveva egli lasciato ogni
potere ad una giunta di suoi cavalieri e ministri in Modena, furono
spediti deputati al re di Sardegna, e dopo avere ottenuta la promessa
d'ogni miglior trattamento, nel dì 8 di giugno aprirono le porte della
città a circa mille e cinquecento Savoiardi, che ne presero quietamente
il possesso, con provar da lì innanzi quanta fosse la moderazione e
clemenza del re di Sardegna, quanta la rettitudine de' suoi ministri,
e la disciplina de' suoi soldati. Comandante in Modena fu destinato
il _conte commendatore Cumiana_, cavaliere che non lasciava andarsi
innanzi alcuno nella prudenza, e sapea l'arte di farsi amare e stimare
da ognuno. Nel dì 12 di giugno fu dato principio alle ostilità contro
la cittadella di Modena, alzando terra dalla parte del mezzodì fuori
della città i Savoiardi, e i Tedeschi da quella di settentrione. Perchè
gli assediati fecero una vigorosa sortita, necessario fu il rinforzare
il campo con molta gente. Erette due diverse batterie di mortari, nel
dì seguente cominciarono a tempestare essa cittadella con bombe di dì
e di notte, e seguitò questo flagello sin per tutto il dì 27. Non avea
il _duca Francesco_ avuto tempo di provvedere essa cittadella di case
matte e di ripari contro le bombe; e però in breve si trovò sconcertata
la maggior parte di que' casamenti, non restando luogo alcuno di riposo
e sicurezza alla guarnigione. Essendosi nel dì 28 alzate anche due
batterie di cannoni contra d'essa fortezza, il _cavaliere del Nero_
Genovese, e comandante della medesima, nel giorno appresso capitolò la
resa, restando prigioniere di guerra il presidio. Uscì poi nel dì 5 di
luglio un editto del re sardo, in cui dichiarò non essere intenzione
della regina d'Ungheria nè sua, pendente la dimora delle loro truppe
negli Stati di Modena, e durante l'assenza del duca, di attribuirsi
verun gius di permanente sovranità e dominio in essi Stati, ma quella
sola autorità che in sì fatta situazion di cose veniva dal diritto
della guerra e dalla comune loro difesa permessa. Furono occupate tutte
le rendite ducali, e tolte l'armi a tutti gli abitanti tanto della
città che forensi.

Mentre si facea questa terribil sinfonia sotto la cittadella di Modena,
si stava più d'uno aspettando qualche prodezza del generale spagnuolo
_duca di Montemar_, che colle sue genti era postato a Castelfranco,
siccome quegli che era decantato per conquistatore di regni. Ma per
disavventura non fece egli mai movimento alcuno per attaccare gli
Austriaco-Sardi al Panaro, tuttochè sparsi in una linea di molte
miglia su quelle rive, e benchè dalla parte di Spilamberto e Vignola
non avesse argini quel fiume. Crebbe anche maggiormente lo stupore
negl'intendenti, perchè almen quattro mila combattenti alleati erano
impegnati nelle trincee sotto la cittadella, e nella sera quattro
altri mila venivano dal Panaro a rilevar questi altri; laonde il campo
d'essi restava alleggerito d'otto mila persone. E pure con tutta pace
stette il Montemar contando le bombe e cannonate de' nemici, sparate
non contra di lui, e spettatore tranquillo delle sventure del duca
di Modena; di modo che alcuni giunsero a sospettare intelligenza del
medesimo col re di Sardegna, o che un segreto ordine del _cardinale
di Fleury_ avesse posto freno alla sua bravura (tutte insussistenti
immaginazioni); ed altri in fine si fecero a credere ch'egli fosse
solamente un valoroso generale, allorchè avea che fare con gente
incapace di resistere, o avesse accordo con lui di non resistere.
Crebbero molto più le maraviglie, perchè nella notte del dì 18 di
giugno esso Montemar levò il campo da Castelfranco, ed inviandosi con
tutti i suoi a San Giovanni e a Cento, mandò i malati ne' borghi di
Ferrara. Poteva impadronirsi del Finale, dove falso è che si trovassero
fortificati i nemici, come egli poscia volle far credere. Giunto bensì
al Bondeno nella notte del 26 di giugno, e quivi posto e fortificato
un ponte sul Panaro, spedì di qua dieci o dodici mila de' suoi. Non vi
era persona che non si aspettasse ch'egli imprendesse la difesa della
Mirandola, e che anzi v'entrasse, giacchè il cavalier Martinoni ivi
comandante gli avea richiesto soccorso, e l'avea invitato a venire.
Ma nulla di questo avvenne, senza che mai s'intendesse perchè egli
facesse quella scena di marciar colà e di passare il Panaro, per poi
nulla operare. Vi fu anche di più. All'avviso della di lui marcia, il
re di Sardegna e il conte di Traun spedirono la maggior parte della
lor cavalleria al Finale, per vegliare a' di lui andamenti. Trovavasi
questo corpo di gente senza fanteria e senza artiglierie; e pure
con tutte le forze dell'esercito suo il Montemar in tanta vicinanza
non pensò mai a molestarlo, non che a sorprenderlo: condotta che
maggiormente eccitò le dicerie contro il di lui onore.

Con tutto suo comodo s'era intanto trattenuta in riposo a Modena
l'armata austriaco-sarda senza apprensione alcuna del Montemar quando
nel dì 9 di luglio si mise in viaggio alla volta della Mirandola;
dove giunta, diede principio nel dì 13 agli approcci, ben corrisposta
dalle artiglierie della città. Ma da che anche le batterie dei cannoni
e de' mortari cominciarono a fulminar quella piazza, e seguì in essa
l'incendio di molte case; la guernigione, già chiarita che niun pensava
a soccorrerla, nel dì 22 del mese suddetto dimandò di capitolare;
restando prigioniera, finchè il duca di Modena si inducesse a cedere
le fortezze di Montalfonso, di Sestola e della Veruccola agli alleati,
con promessa di restituirle alla pace; e queste poi furono cedute.
Pertanto con breve peripezia si vide spogliato di tutti i suoi Stati
il duca di Modena, il quale, in mezzo a sì pericolosi imbrogli, provò
tante contrarie fatalità, che niun potrebbe immaginarsele, ma ch'egli
coraggiosamente sopportò. Videsi appresso destinato amministrator
generale d'essi Stati per le due corone il _conte Beltrame Cristiani_,
il quale tante pruove diede dipoi della sua onoratezza, attività e
prudenza, che, sapendo accoppiar insieme il buon servigio de' suoi
sovrani coll'amorevolezza verso de' popoli, meritò poi di essere creato
gran cancelliere della Lombardia austriaca, e di riportar le lodi di
ognuno, dovunque si stese la sua autorità. Fin qui era stato il _duca
di Montemar_ placido osservatore del destino della Mirandola, come se a
lui nulla importassero i progressi de' suoi nemici. Certamente non fu
di sua gloria l'essersi portato al Bondeno; ed aver passato il Panaro
solamente per mirare anche la caduta d'essa fortezza sotto gli occhi
suoi. Da più persone ben informate si sosteneva che lo esercito suo,
non ostante la diserzione sofferta, numerava tuttavia circa trenta mila
combattenti, ed erano in viaggio quattro mila Napoletani per unirsi con
lui. Si strignevano nelle spalle gli uffiziali dell'armata stessa di
lui al mirar tanta inazione, con tali forze e sì buona situazione. Ora
appena seppe egli la resa di essa fortezza, che finalmente determinò
di fare un premeditato bel colpo: colpo nondimeno, che parve a molti
poco onorevole al nome spagnuolo. Cioè prese la marcia coll'esercito
suo verso il Ferrarese e Ravennate con fretta tale, che non minore
si osserva in chi è rimasto sconfitto, lasciando indietro carriaggi
e munizioni non poche. Ma non furono pigri gli Austriaco-Sardi a
muoversi anch'essi, e venuti per castello San Giovanni a Bologna, si
avviarono per la strada maestra nella Romagna, sperando di raggiugnere
i fuggitivi Napolispani. Questi per buona ventura aveano avuto gambe
migliori, e, pervenuti nel dì 31 di luglio a Rimino, quivi si diedero a
fare un gran guasto, cioè a fortificarsi con trincieramenti, spianate
e tagli di alberi in grave desolazione di quel popolo. Pareva oramai
inevitabile qualche gran fatto d'armi in quelle strettezze, essendo
pervenuti colà anche gli alleati, vogliosi di far pruova dell'armi
loro; quando nel dì 10 di agosto il generale di Montemar fece ben
mostra di aspettar con piè fermo i nemici, anzi di voler venire
a battaglia, ma allo improvviso decampò anche di là, ritirandosi
sollecitamente a Pesaro e Fano, dove precedentemente erano state
premesse le artiglierie e bagagli.

Chiunque nelle precedenti guerre avea mirato il _principe Eugenio_ con
soli trenta mila armati tenersi forte contro l'esercito gallispano,
quasi il doppio numeroso di gente, al vedere la tanto diversa
condotta di quest'altro generale, non sapea trattenersi dallo stupore
o dalla censura. E non è già che fossero sì infievolite le di lui
forze, giacchè la maggior diserzione fu in quella sua precipitosa
ritirata, e ciò non ostante egli stesso si vantò poscia, in tempo che
i Napoletani s'erano separati da lui, di aver lasciata al conte di
Gages suo successore un'armata di diciotto mila combattenti, atti ad
ogni maggiore impresa, ma che tali per disgrazia non erano stati in
addietro. Strana cosa fu ch'egli allegasse per motivo di quest'altra
ritirata ciò che, siccome diremo, avvenne in Napoli solamente nel
dì 19 d'esso mese. Andò egli dunque, dopo varie frettolose marcie, a
intanarsi nella valle di Spoleti, dove gli sembrò di essere sicuro,
stante l'avviso che i collegati aveano risoluto di lasciarlo in pace.
Tenuto in fatti consiglio dal re di Sardegna e dal maresciallo conte
di Traun, prevalse il parere del primo di non passare di là di Rimino,
e di non più inseguire chi combattea con le sole gambe. In oltre pel
singolare rispetto ed affetto ch'esso re sardo professava al sommo
pontefice _Benedetto XIV_, gli premeva di non maggiormente essere
d'aggravio agli Stati della Chiesa: motivo che l'avea trattenuto in
addietro dal passare colà dal Modenese. Quel nondimeno che vie più
preponderava nell'animo suo, era il bisogno dei proprii Stati, che
il richiamava colà per guardarsi dalle minaccie di un altro esercito
spagnuolo. Sicchè da lì a non molto si videro ritornare al Panaro
su quel di Modena le schiere e squadre austriaco-sarde. Nel dì 31
d'agosto arrivò a Reggio il re di Sardegna, e vi si fermò fino al
dì 6 di settembre, in cui venutegli nuove disgustose di Piemonte,
sollecitamente s'inviò alla volta di Torino, dove sfilava intanto
la maggior parte delle sue milizie. Lasciò pochi suoi reggimenti nel
Modenese sotto il comando del _conte d'Aspremont_, il quale unitamente
col conte Traun s'andò fortificando in varii siti di qua dal Panaro, e
massimamente a Buonporto.

In questi medesimi tempi accadde una novità in Napoli, per cui gran
romore e tumulto fu in quella capitale. Nel dì 19 d'agosto comparvero
a vista di quel porto sei navi da guerra inglesi di sessanta cannoni,
quattro fregate, un brulotto e tre galeotte da bombe. Corse a furia il
popolo ad osservare quella squadra, e la corte, entrata in apprensione,
spedì nel giorno seguente il consolo inglese al comandante di essi
legni, per esplorare la di lui intenzione. La risposta fu, che se
il re non cessava di assistere i nemici della regina, egli teneva
ordine di devastare quella città colle bombe; e che lasciava tempo di
due ore a sua maestà per risolvere. Indi, cavato fuori l'orologio,
cominciò a contarne i momenti. Niuno mai in addietro avea pensato a
provvedere il porto e la spiaggia di Napoli di ripari per somigliante
minaccia; e nè pur si trovava nel castello del porto provvisione di
polvere da fuoco. Però, senza perdersi in molte discussioni, quella
corte nel breve suddetto spazio di tempo accettò la neutralità, e
spedì lettere mostrate al comandante inglese, colle quali richiamava
il _duca di Castropignano_ colle sue truppe nel regno. Ciò ottenuto,
senza commettere alcuna ostilità, fece vela la squadra inglese verso
ponente. Il pericolo presente servì appresso di ammaestramento per
alzare fortini e bastioni muniti di artiglierie, di maniera da non
paventar da lì innanzi chi tentasse di accostarsi con palandre e
galeotte per salutar colle bombe quella metropoli. Restò poi eseguito
l'ordine regio, e le milizie napoletane staccatesi dalle spagnuole
tornarono ai quartieri nelle loro contrade: con che si ridusse
l'esercito spagnuolo, siccome dicemmo, a circa diciotto mila persone,
che poi prese quartiere parte in Perugia e parte in Assisi e Folignano.
Fu in questo medesimo tempo, che la corte di Spagna, avvedutasi un
poco troppo tardi di avere raccomandata la fortuna e l'onore delle
sue armi ad un generale che sì male corrispondeva alle sue speranze,
richiamò in Ispagna il _duca di Montemar_, e, adirata contra di lui,
comandò che non si avvicinasse alla corte per venti leghe. Fece questo
passo svanire le immaginazioni dei suoi parziali, persuasi in addietro
ch'egli tenesse ordini di non azzardar battaglia e di salvar la gente,
facendola solamente ben menar le gambe per ischivar gl'impegni. Andò
egli, e durò non poco la sua disgrazia alla corte. Ma perchè egli
non mancava di amici e di merito per altre sue belle doti, col tempo
fu rimesso in grazia. Videsi un manifesto suo, con cui si studiò
di giustificar le azioni sue in questa campagna; ma nulla sarebbe
più facile che il far conoscere l'insussistenza delle sue scuse, e
massimamente se uscissero alla luce i biglietti da lui scritti al duca
di Modena e alla Mirandola in queste emergenze. Restò dunque al comando
dell'esercito spagnuolo il tenente generale _don Giovanni di Gages_
Fiammingo, che pel valore, per l'avvedutezza, e per la scienza militare
potea servire di maestro agli altri. Nel dì 14 di settembre, in cui
s'inviò il Montemar verso la Spagna, il Gages in tre colonne mosse
l'esercito suo alla volta di Fano, siccome consapevole del rilevante
smembramento dell'armata austriaco-sarda; e alla metà di ottobre arrivò
a postar le sue genti alla Certosa di Bologna, e in quelle vicinanze,
con alzare trincieramenti ed altri ripari da difesa. Accorsero anche
gli Austriaco-Sardi alle rive del Panaro, e misero alquanti armati in
Vignola e Spilamberto. Si stettero poi sino al fine dell'anno guatando
da lontano le due armate, e il maresciallo di Traun mise il suo
quartier generale a Carpi.

Un'altra guerra intanto ebbe il re di Sardegna, per cui fu obbligato a
restituirsi in Piemonte. Fu comunemente creduto ch'esso real sovrano
non avesse tralasciato, sì nel principio che nel proseguimento di
questa guerra, di far varie proposizioni di partaggio della Lombardia
alla corte di Spagna per mezzo del _cardinale di Fleury_, che sempre si
mostrò ben affetto verso di lui. Tali progetti riguardavano egualmente
i vantaggi della real casa di Savoia e dell'infante _don Filippo_,
a cui si cercava un riguardevole stabilimento in essa Lombardia,
e massimamente in Parma e Piacenza, città predilette della regina
_Elisabetta Farnese_ sua madre. Fu del pari creduto che la corte del
re Cattolico non aderisse a cedere parte delle meditate conquiste,
perchè avida di tutto, ed assai persuasa di poter colle sue forze
conseguir tutto. Quali poi fossero i sinceri desiderii della corte di
Francia nelle dispute di questi due pretendenti non si potè penetrare,
se non che fu giudicato da molti ch'essa acconsentisse bensì a qualche
acquisto in Lombardia pel suddetto infante don Filippo, ma non già
sì pingue che alterasse l'equilibrio dell'Italia, e potesse un dì
nuocere alla Francia stessa, ben prevedendosi che non durerebbe per
sempre la buona armonia fra quella corte e quella di Spagna. L'aver
dunque la Spagna dato a conoscer il genio troppo vasto, fece immaginare
agl'interpreti de' gabinetti che perciò il cardinale niun soccorso
di gente volesse somministrarle contra del re di Sardegna, tuttochè
esso porporato ricavasse dall'erario spagnuolo grossissime mensuali
somme di danaro, per divertire la regina d'Ungheria dalla difesa degli
Stati d'Italia. Si oppose ancora, per quanto potè, esso cardinale alla
venuta in Provenza dall'_infante don Filippo_, tuttochè genero del
re Cristianissimo _Luigi XV_; ma non potè impedire che la regina di
Spagna non l'inviasse colà di buon'ora ad aspettar l'unione d'un corpo
di truppe, ascendente a più di quindici mila Spagnuoli, che parte per
mare, parte per terra andò arrivando ad Antibo e ad altri luoghi della
Provenza. Più tentativi fece questa armata nel luglio ed agosto, ora
per passare il Varo, ora per penetrare nella valle di Demont; ma sì
buoni ripari avea fatto il re di Sardegna, e sì possenti guardie avea
messo nel contado di Nizza, che indarno si provarono gli Spagnuoli
di passare colà; e tanto più vana riuscì ogni loro speranza, perchè
l'ammiraglio inglese Matteus con poderosa flotta si trovava in que'
mari e contorni, per sostenere le milizie savoiarde. Nella stessa
maniera andarono in fumo le lor minaccie contro la valle di Demont, e
in altre sboccature verso l'Italia. O sia che le trovate resistenze
facessero cangiar disegno, o pure che le vere mire fin da principio
non fossero verso quelle parti; in fine sul principio di settembre
l'esercito spagnuolo comandato dall'infante, che sotto di sè avea il
generale _conte di Glimes_, governatore della Catalogna, entrò nella
Savoia, e nel dì 10 d'esso mese s'impadronì della capitale, cioè di
Sciambery con citare i popoli a rendergli omaggio, e con intimar gravi
contribuzioni.

L'avviso di tale invasione quel fu che sollecitò _Carlo Emmanuele_ re
di Sardegna a rendersi in Piemonte, e ad affrettare il ritorno colà di
buona parte delle sue truppe, dimorate per tanto tempo sul Modenese.
Appena ebbe egli unite le convenevoli forze, che nel suo consiglio
espose la risoluzione da lui formata di snidar dalla Savoia i nemici. I
più de' suoi uffiziali arringarono in contrario, adducendo la mancanza
de' magazzini e foraggi in quella provincia, e il pericolo delle nevi
per quelle alte montagne. Ma l'animoso sovrano ebbe una ragion più
possente dell'altre, cioè il suo coraggio e la sua volontà; e perciò
verso la metà d'ottobre marciò l'esercito suo per più parti alla volta
della Savoia. Non si sentì voglia l'infante don Filippo di aspettarli,
perchè non arrivava il nerbo della sua gente a quindici mila persone.
Ritirossi pertanto in sacrato, cioè sotto il forte di Barreau nel
territorio di Francia, lasciando abbandonata tutta la Savoia al suo
sovrano. Pervenne il re sino a Monmegliano, e quivi il rispetto da lui
professato al re Cristianissimo e agli Stati della Francia fermò il
corso ai passi delle sue truppe, e ad ogni altra impresa. Ciò fatto,
attese egli a riordinar le cose di quel ducato, a mettere in armi tutti
que' sudditi, somministrando loro fucili, giacchè erano stati disarmati
dagli Spagnuoli; e a rinforzar varii siti e forti, per opporsi ad
ulteriori tentativi de' nemici. Venne il dicembre, e venne anche
rinforzato il campo spagnuolo da un buon corpo di truppe, con prenderne
il comando il _marchese de la Mina_, giacchè _il conte di Glimes_ era
stato richiamato in Ispagna. Allorchè gli Spagnuoli si videro assai
forti, rientrarono nella Savoia, e si ritrovarono le nemiche armate
alla vigilia d'un fatto di armi. Forse non l'avrebbe schivato il re di
Sardegna; ma chiarito che, quando anche la vittoria si fosse dichiarata
per lui, non poteano le milizie sue sussistere nel verno in un paese
sprovveduto affatto di grani e di foraggio, determinò più tosto di
ricondursi in Piemonte sul fine dell'anno. S'avverò allora quanto gli
aveano predetto i suoi uffiziali, cioè, che l'Alpi dividenti l'Italia
dalla Savoia gli farebbono guerra. S'erano in fatti caricate di nevi; e
pur convenne passarle, ma con gravissimi disagi, e con perdita di molta
gente perseguitata dai nemici, e di varii attrezzi ed artiglierie, e
vie più di cavalli, muli e carriaggi; laonde, se fu molta la gloria di
avere scacciati i nemici dalla Savoia, restò essa ben contrappesata
dal molto danno di quella o forzata o volontaria ritirata. Solamente
nel dì 3 del seguente gennaio arrivò il re a Torino col principe di
Carignano; e intanto gli Spagnuoli tornarono in pieno possesso della
Savoia, senza che que' popoli facessero risistenza alcuna; mostrando la
sperienza che per quanto i sudditi amino il loro principe, pure anche
più di esso amano sè stessi. Soggiacque nell'anno presente la città di
Livorno ad una deplorabil calamità, per avere il tremuoto, verso la
metà di febbraio, cominciato a scuotere le case di quegli abitanti.
Altre simili scosse si fecero poscia udire sul fine d'esso mese con
tale indiscretezza, che varie chiese ne patirono rovina, e moltissime
case ne rimasero sì desolate, o colle mura sì smosse, che i padroni di
esse salvatisi nella campagna o nelle navi, più non si attentavano a
riabitarle. Fu in quest'anno che il sommo pontefice _Benedetto XIV_,
tuttochè non poco agitato e distratto per l'aggravio inferito ai suoi
Stati da tante milizie straniere che quivi, come in casa propria,
giravano o fissavano anche il lor soggiorno; pure, intento sempre al
pastoral governo, pubblicò, nel mese di agosto, una risentita bolla
contra di chi non ubbidiva ai decreti della santa Sede intorno a
certi riti cinesi già vietati, e ciò non ostante permessi da alcuni
missionarii a que' novelli cristiani. Tali pene intimò, e tali ripieghi
prescrisse, che si potè promettere da lì innanzi un'esatta osservanza
delle costituzioni apostoliche.



    Anno di CRISTO MDCCXLIII. Indiz. VI.

    BENEDETTO XIV papa 4.
    CARLO VII imperadore 2.


Toccò al territorio di Modena di aprire in quest'anno il teatro
delle azioni militari con una non lieve battaglia. Sapea il _conte
di Gages_ che gli Austriaci e Sardi restavano divisi in più corpi e
luoghi; e che i principali posti da loro guerniti di gente erano il
Finale e Buonporto, amendue sul Panaro; e però pensò alla maniera di
sorprendere uno de' loro quartieri. Poco dopo il principio di febbraio,
affinchè non si penetrasse il suo disegno, finse un considerabil
furto a lui fatto, e nascosto il ladro in Bologna. Pertanto fece
istanza al cardinale legato che si chiudessero le porte della città,
e si lasciasse entrar gente, ma non uscirne alcuno. Fermossi egli
nella stessa città con alquanti uffiziali, affaccendati in traccia
del preteso ladro. Sull'alba del seguente dì 2 di febbraio s'inviò la
picciola armata sua alla volta di San Giovanni e di Crevalcuore, e nel
dì seguente, passato il Panaro fra Solara e Camposanto, quivi stabilì
e assicurò un ponte. Nulla di ciò ch'egli sperava gli venne fatto;
perchè la notte stessa, in cui da Bologna si mosse l'esercito suo,
persona nobile parziale della regina d'Ungheria mandò giù dalle mura di
quella città lettera di avviso di quanto manipolavano gli Spagnuoli a
chi frettolosamente la portò a Carpi al maresciallo _conte di Traun_.
Furono perciò a tempo spediti gli ordini alle truppe esistenti nel
Finale di ritirarsi, ed altri ne andarono a Parma ed altri siti, dove
si trovavano milizie austriaco-sarde. Raunate che furono tutte, il
maresciallo, unitosi col _conte di Aspremont_ generale delle savoiarde,
nel dopo pranzo del dì 8 del suddetto febbraio andò in traccia del
Gages, che ritiratosi a Camposanto, e coperto dall'un canto dalle rive
del Panaro, dall'altro s'era afforzato nella parrocchiale e in varie
case di quel contorno. Correva allora un freddo atrocissimo, e al bel
sereno erano stati per più notti i poveri soldati in armi e in guardia.
Venne il tempo di menar le mani, e si attaccò la sanguinosa zuffa, che,
per essere allora il plenilunio, durò sino alle tre ore della notte, in
cui gli Spagnuoli, dopo avere spogliati i suoi morti e mandati innanzi
i feriti, si ritirarono di là dal Panaro, e ruppero il ponte, poscia
sollecitamente si restituirono al loro campo sotto Bologna; giacchè il
maresciallo di Traun non giudicò bene di permettere ad altri, che agli
Usseri, d'inseguirli di là dal fiume; e forse non potè di più, perchè
senza ponte. Secondo il solito delle battaglie che restano indecise,
ciascuna delle parti si attribuì la vittoria, e non mancò ragione, sì
agli uni che agli altri, di cantare il _Te Deum_.

Certo è che gli Austriaco-Sardi rimasero padroni del campo di
battaglia, e costrinsero gli avversarii a ritirarsi, e che il
maresciallo di Traun, benchè malconcio dalla gotta, fece meraviglie
di sua persona, e che gli furono uccisi sotto due cavalli, e tutta
anche la notte stette a cavallo d'un altro. Del pari è certo che gli
Spagnuoli, o per inavvertenza, o per non potere inviare l'avviso, o
pure per coprire la loro ritirata, lasciarono indietro in una cassina
un battaglione di Guadalaxara, che fece bella difesa, ma in fine
fu obbligato a rendersi prigioniere di guerra. Consisteva in più
di trecento soldati, e circa ventotto uffiziali con tre bandiere,
oltre a quasi cento altri prigioni. Gli effetti poi mostrarono che la
peggio era toccata agli Spagnuoli. Contuttociò è fuor di dubbio che
il generale _conte di Gages_ si trovava inferiore di forze, per aver
dovuto lasciare circa due mila persone di là dal fiume a custodire la
testa del ponte, per sospetto che i nemici spedissero genti a quella
volta. Nulladimeno sul principio riuscì alla cavalleria spagnuola di
rovesciar la cavalleria tedesca dell'ala sinistra, e di metterla in
fuga; e se il duca di Atrisco, in vece di perdersi ad inseguirla verso
la Mirandola, fosse ritornato più presto al campo contro la nemica
fanteria, comune sentimento fu che l'armata austriaco-sarda rimaneva
disfatta. Otto furono gli stendardi e due i timbali presi dagli
Spagnuoli. Ebbero prigionieri il governatore di Modena _commendatore
Cumiana_, e i tenenti generali _conte Ciceri e Peisber_, che furono
rilasciati sulla parola, l'ultimo dei quali sopravvisse poco alle
sue ferite. Presero oltre ventidue altri uffiziali e circa ducento
soldati. Quanto ai morti e feriti, ognuna delle parti esagerò il danno
dei nemici, facendosi ascendere sino a quattro mila, ed anche più,
con poscia sminuire il proprio. Fu nondimeno creduto che restasse
molto indebolita l'armata spagnuola, e che, abbondando essa di
uffiziali molto più che quella degli alleati, più ancora ne perissero
o restassero feriti; e che se non furono maggiori i vantaggi riportati
da essa, forse ne fu maggiore la gloria, perchè fin la sua ritirata
meritò plauso, siccome fatta con tal ordine e segretezza, che non se
ne avvidero i nemici, se non allorchè mirarono attaccate le fiamme al
ponte sul Panaro. Secondo i conti degli Austriaco-Sardi, non arrivò a
due mila il numero dei loro morti, feriti e rimasti prigioni. Nè si dee
tacere che il _conte d'Aspremont_, savio e valoroso comandante generale
delle milizie savoiarde, talmente si chiamò offeso per una lettera a
lui mostrata, in cui si prediceva che le truppe del re di Sardegna,
venendo un conflitto, si unirebbono con gli Spagnuoli, che non guardò
misure nell'esporsi ai pericoli. Per una palla che il colpì nelle reni
e passò alle parti inferiori, fu portato a Modena, dove, dopo essere
stato per più giorni fra i confini della vita e della morte, finalmente
nel dì 27 di febbraio pagò il tributo della natura, compianto non poco
per le sue degne qualità. Funesta memoria della battaglia di Camposanto
restò in quella villa e nelle circonvicine, perchè nel dì seguente,
dappoichè gli Austriaco-Sardi si videro liberi dagli Spagnuoli, vollero
compensarsi del bottino che non aveano potuto fare addosso i nemici,
con dare il sacco agl'innocenti abitanti di esse ville. Per questa
crudeltà fu detto che mostrasse gran dispiacere il maresciallo di
Traun, cavaliere di buone viscere, contro il cui volere certamente
questo avvenne; ma senza potere scusare la poca precauzione sua in
prevedere ed impedire gli eccessi della militare avidità. Avvisato
nondimeno del disordine, spedì tosto guardie alle chiese, e, il meglio
che potè, provvide al resto.

Erasi ben ritirato dopo la battaglia suddetta il conte di Gages ne'
trincieramenti suoi presso Bologna, e gli aveva anche accresciuti,
facendo vista di voler quivi, come prima, fissare la permanenza
sua. Non andò molto che si conobbe quanto gli fosse costato quel
combattimento, essendosi ridotta l'armata sua, per quanto fu creduto,
a poco più di otto o dieci mila persone. Sperava egli dei rinforzi
da Napoli; ma, per quante premure ed ordini venissero dalla corte di
Madrid che pure sembrava dispotica nelle Due Sicilie, il ministero
del re _don Carlo_, atteso l'impegno di neutralità concordata
con gl'Inglesi, e il timore della lor flotta signoreggiante nel
Mediterraneo, sempre ricusò d'inviar soccorsi al Gages, a riserva
di qualche partita che sotto mano trapelava colà. All'incontro dalla
Germania era calata gente ad ingrossare l'esercito austriaco, e già
il maresciallo di Traun avea spedito sul Bolognese e Ferrarese circa
dodici mila armati, che minacciavano di passare anche in Romagna per
impedire agli Spagnuoli il trasporto de' viveri e foraggi da quella
provincia. Pertanto il timore di restar troppo angustiato fece prendere
al Gages la risoluzione di mandare innanzi l'artiglierie e i malati,
ed egli poi nel dì 26 di marzo, levato il campo, marciò alla volta
di Rimino, e quivi si fece forte col favore di quella vantaggiosa
situazione. Da che _Francesco III d'Este_ duca di Modena si portò a
Venezia, dopo l'occupazion de' suoi Stati, colla duchessa e figli,
s'era ivi sempre trattenuto sulla speranza che i maneggi suoi o la
fortuna dell'armi facessero tornare il sereno ai proprii affari.
Nulla di questo avvenne; ma la generosa corte di Spagna non volle già
abbandonato un principe, non per altro abbattuto, se non per l'aderenza
sua alla corona spagnuola, e per non aver voluto accordarsi co' nemici
d'essa. Gli conferì dunque il Cattolico _re Filippo V_ la carica di
generalissimo delle sue armi in Italia, con salario convenevole ad
un pari suo. Giudicò anche bene la duchessa sua consorte _Carlotta
Aglae d'Orleans_ di passare a Parigi colla _principessa Felicita_
sua primogenita, per implorare il patrocinio del re Cristianissimo
_Luigi XV_ nel naufragio della sua casa. Nel dì 4 di maggio arrivò
questa principessa a Rimino, accolta dall'esercito spagnuolo con
ogni dimostrazione di stima, e passata per la Toscana al golfo della
Specia, e quindi a Genova, colle galere di quella repubblica fu poi
trasportata in Francia, giacchè l'ammiraglio Matteus le fece rispondere
che una principessa della sua nascita e del suo grado non avea bisogno
di passaporto, e si recherebbe a sommo onore di poterla servire egli
stesso. Alla stessa città di Rimino pervenne nel dì 9 d'esso mese
anche il duca di Modena, incontrato dal generale Gages e da tutta
l'uffizialità, e quivi fra il rimbombo delle artiglierie prese il
possesso della carica sua. Intanto il _maresciallo di Traun_ richiamò
a quartieri sul Modenese l'esercito austriaco; e se i curiosi, che non
sapeano intendere perch'egli non marciasse a Rimino per isloggiare di
là gli Spagnuoli, ne avessero chiesta la ragione a lui, siccome general
prudente, loro l'avrebbe saputa rendere.

Nel luglio di quest'anno arrivarono al porto di Genova quattordici
saiche catalane, maiorchine, cariche d'artiglierie e munizioni di
guerra, destinate per Orbitello, da inviarsi poscia al campo spagnuolo.
Trovossi per questo in grave impegno il senato genovese, perchè
l'ammiraglio britannico, dopo avere inviati alcuni vascelli a bloccar
quelle saiche, fece protestare ai Genovesi, che se permettessero lo
sbarco di que' bronzi, s'intenderebbe rotta con loro ogni neutralità.
Indarno reclamarono essi che nel porto loro era libero ad ognuno
l'accesso. Dopo molte dispute convenne capitolare, e fu concordato
che quei cannoni e munizioni si condurrebbono a Bonifazio in Corsica,
ed ivi si custodirebbono sino alla pace. In essa Corsica mostravano
tuttavia gran renitenza quei popoli a rimettersi sotto il dominio
della repubblica di Genova. Non vi si parlava più del barone di Newoff,
re di pochi giorni, quando costui sopra una nave inglese di sessanta
cannoni nel febbraio di quest'anno giunse a Livorno, e passò dipoi alla
Corsica. Verso la spiaggia di Balagna chiamò egli alcuni dei deputati
di quelle comunità, per intendere i lor sentimenti, con fare delle
belle sparate di soccorsi e d'intelligenza con dei potentati. Ma avendo
quella gente assai conosciuto, queste essere parole e non fatti, il
mandarono in santa pace, ricusando un re venuto a sfamarsi alle spese
loro, e non già ad aiutarli. Tornossene questo venturiere in Olanda ed
Inghilterra a cercar migliore fortuna, nè più si parlò di lui. Avea fin
qui _Carlo Emmanuele_ re di Sardegna mantenuta buona corrispondenza
colla corte di Francia, mostrandosi sempre disposto a ritirar le
sue armi dalla difesa della regina d'Ungheria, e ad abbracciar la
neutralità, o a far altri passi, giacchè nel trattato provvisionale
s'era riserbata la facoltà di poter rinunziare dalla presa alleanza,
qualora la corte di Spagna gli facesse godere qualche rilevante
vantaggio. Era il cardinale _Andrea Ercole di Fleury_, primo ministro
di Francia, il mediatore di questo affare. Ma venne a morte quel
degno porporato nel dì 29 di gennaio dell'anno presente, e, secondo le
vicende dei mondo, l'alta riputazione da lui guadagnata in vita per le
sue dolci maniere, per la prudenza nel governo, e per molte altre sue
belle doti e virtù, calò non poco dopo la sua morte. Attribuirono alla
di lui condotta i Franzesi tutte le calamità loro avvenute in Boemia e
Baviera; e lagnaronsi di lui per non avere in tempo di pace alleggerito
abbastanza il regno di aggravii; aggiugnendo in oltre ch'egli sapeva
accumulare, ma non poscia spendere a tempo per far riuscire i disegni
utili alla monarchia franzese; e ch'egli avea tenuto fin qui in un
letargo il re Cristianissimo, senza lasciargli far uso del suo spirito,
pieno di generosità e capace d'ogni bella impresa.

Ossia che la corte di Spagna non consentisse mai a partito che
proponesse il re di Sardegna, o che questi si servisse delle esibizioni
della Spagna per fare miglior mercato con altri; certo è ch'egli
nello stesso tempo fu in negoziato colle corti di Vienna e di Londra.
Poco profittava egli colla prima. Più condiscendente provò egli il
re britannico _Giorgio II_, con rappresentargli che non conveniva
ai proprii interessi il continuare in questa guerra senza sicurezza
di qualche frutto e ricompensa; aver egli perduto le rendite della
Savoia; restar esposti a maggiori pericoli tutti i suoi Stati; ed
essere enormi le spese ch'egli facea, e perchè? per salvare la regina,
i cui Stati nulla finora aveano patito. Adoperossi dunque il re
inglese per indurre la corte di Vienna ad un trattato che fermasse il
re di Sardegna nell'unione colla casa d'Austria, mercè di un adeguato
compenso alle perdite e spese ch'egli avea fatte ed era per fare.
Non sapea il ministero di Vienna arrendersi; ma giacchè la corte
di Torino facea giocare il non occulto suo maneggio colle corti di
Francia e di Madrid, e si ebbe paura che fra loro seguisse qualche
accordo, a cui avrebbe tenuto dietro la perdita di tutto lo Stato di
Milano, perciò finalmente condiscese la regina ad assicurarsi di quel
reale sovrano. Adunque nel dì 13 di settembre nella città di Worms,
ossia Vormazia, restò conchiuso un trattato di lega fra la regina
d'Ungheria, i re d'Inghilterra e di Sardegna, e ciò in tempo che si
credea e si spacciava come sicura l'alleanza di esso re sardo colle
corti di Francia e Spagna. Ancorchè questo trattato di Worms non
fosse pubblicato, pure ne trapelarono alcune particolarità, ed altre
vennero alla luce per gli effetti che ne seguirono appresso. Cioè fu
accordato nel nono articolo di cedere al re di Sardegna il Vigevanasco,
e tutto il territorio posto alla riva occidentale del lago maggiore,
abbracciando Arona e tutta la riva meridionale del Ticino, che scorre
sino alle porte di Pavia, e la città di Piacenza col suo territorio di
qua dal Po sino al fiume Nura, restando alla regina il Piacentino di
là da Po e quello ch'è di qua dalla Nura. Fu detto che nel consiglio
del re di Sardegna alcun fosse di parere che non si avesse a prendere
il possesso di tali acquisti se non finita la guerra, e che prevalesse
il parere di chi consigliava l'anteporre il certo presente all'incerto
futuro.

Per questo trattato parve che la corte di Francia restasse non poco
irritata contra del re sardo, e certamente dopo esser ella stata
fin qui renitente a dar braccio all'armi spagnuole per far conquiste
in Italia, si vide all'improvviso cangiare registro, con accordare
all'infante _don Filippo_ alquante migliaia delle sue truppe. Ora
perchè il re di Sardegna avea sì ben guerniti e fortificati i passi che
dalla Savoia conducono in Piemonte, oltre alle fortezze che assicurano
quel varco, determinarono gli Spagnuoli di tentare qualche altro
passaggio; e lasciati in Savoia circa quattro mila soldati di presidio,
passarono a Brianzone verso la valle di Castel Delfino. Conosciuti
i lor disegni, sul fine di settembre unì il re sardo l'esercito suo
nel marchesato di Saluzzo, e postosi alla testa d'esso, marciò per
opporsi ai tentativi de' nemici. Calarono i Gallispani ne' primi giorni
d'ottobre pel colle dell'Angello, per San Veran e per altri siti, e
quantunque s'impadronissero del villaggio e forte di Pont, pure ebbero
sempre a fronte i Savoiardi, che in più d'un luogo li rispinsero, e
diedero lor delle busse. Pertanto da che si avvidero essere troppo
pericoloso, se non impossibile, l'inoltrarsi, e tanto più perchè
cominciò a fioccar la neve in quelle montagne, batterono nel dì 9 del
suddetto mese la ritirata, passando di nuovo nel territorio di Francia,
ma con grave loro disagio, e con lasciare indietro dodici cannoni da
campagna, che vennero in potere dei Savoiardi, e colla perdita di molta
gente, la quale o non volle o non potè, per cagion della neve, tener
loro dietro, oltre la perdita di alcune centinaia di muli e di una
parte del bagaglio. Tornossene indietro anche il re _Carlo Emmanuele_
coll'esercito suo, il quale non andò esente da molti patimenti per
l'orridezza della stagione, seco nondimeno riportando la gloria di aver
bravamente respinti i nemici. Furono cantati _Te Deum_ non solamente in
Torino, ma anche in Modena, per così felice impresa. Perchè la regina
d'Ungheria ebbe bisogno d'uno sperto generale in Germania, richiamò
colà il maresciallo _conte di Traun_ governatore di Milano. Lasciò egli
in queste parti grata memoria del suo discreto ed onorato procedere,
della sua moderazione ad affabilità, del suo disinteresse e di molta
carità verso i poveri, siccome ancora della disciplina ch'egli fece
osservare alle milizie sue, sempre acquartierate in Carpi, Correggio
e luoghi circonvicini. Nel dì 12 di settembre arrivò a rilevarlo
il principe _Cristiano di Lobkowitz_, dichiarato capitan generale e
governatore dello Stato di Milano. Era preceduta una sinistra voce
che in compagnia di lui venisse la fierezza e la barbarie; la smentì
egli ben tosto, fattosi conoscere signore di buona legge e di molta
amorevolezza in queste parti. A lui non poco debbono gli Stati di
Modena, perchè, regolandosi con massime diverse da quelle del Traun,
deliberò di liberarle dal peso delle austriache milizie, per passare
a Rimino, con disegno di cacciar di là gli Spagnuoli, i quali, senza
rischio alcuno teneano viva nel cuore d'Italia la guerra.

In fatti sul principio d'ottobre si mosse esso principe a quella volta
con tutte le sue forze. A riserva di alquanti cannoni e di molte
munizioni, che spedite dalla Spagna erano in viaggio, sbarcate già
in vicinanza di Cività Vecchia (pel quale sbarco fecero gl'Inglesi
doglianze e minaccie al sommo pontefice), niun rinforzo di gente era
mai giunto al campo spagnuolo. Però il _duca di Modena_ e il _conte
Gages_, attesa l'inferiorità delle forze, non vollero aspettar la
visita degli Austriaci, e, passati alla Cattolica, andarono poi a
far alto a Pesaro, nella qual città si afforzarono, stendendo la lor
gente sino a Fano e Sinigaglia. Formarono ancora varii trincieramenti
al fiume Foglia con varie batterie di cannoni. Fermossi il principe
di Lobcowitz a Forlì, e parte della sua gente si portò a Rimino,
città ben perseguitata dalle disgrazie in questi tempi. Perchè la sua
cavalleria in quelle strette campagne non potea operare, parve ch'egli
non pensasse a maggiori progressi. Seguirono dunque delle scaramuccie
solamente fra i Micheletti e gli Usseri; e perciocchè questi ultimi
con varie schiere di Croati e Schiavoni in numero di circa quattro
mila persone s'erano postati alla Cattolica, il duca di Modena con uno
staccamento de' suoi combattenti per una parte, il general Gages per
un'altra, e il generale conte Mariani per mare in varie barche, nei
primi giorni di novembre s'inviarono con isperanza di sorprenderli.
Ma un temporale in mare spinse le barche a Sinigaglia, e il Gages
sbagliò la strada; laonde il solo duca co' suoi arrivò colà, e indarno
aspettò i compagni. Avvisati intanto gli Austriaci del disegno degli
Spagnuoli, con gran fretta si salvarono a Rimino, inseguiti poi per
molto di strada dai Micheletti. Fermaronsi poi pel restante dell'anno
in que' postamenti le due nemiche armate, per aspettare stagion più
propria per le azioni militari. Ebbero anche apprensione gli Austriaci
dell'accidente che segue.

Grande strepito, maggior timore cagionò in quest'anno per l'Italia e
per tutti i litorali del Mediterraneo ed Adriatico la peste, ch'era
entrata ed aveva preso piede in Messina. Colà approdò nel dì 20 di
marzo un pinco genovese vegnente da Missolongi di Levante, e carico
di lana e frumento. Esibì il padrone d'esso una patente falsificata,
come s'egli procedesse da Brindisi. Gli fu prescritta la contumacia di
molti giorni, nel qual tempo egli morì, e fu occultamente trafugata
qualche mercatanzia nella città. Insorto poi sospetto che in quel
pinco si annidasse la peste fu esso con tutto il suo carico dato alle
fiamme. Ma già il malore era penetrato nella città; e cominciò a mancar
di vita chi avea commerciato con que' traditori. Secondo il pessimo
costume de' popoli, che troppo abborrimento pruovano a confessarsi
assaliti da questo orribil male, si andarono lusingando i Messinesi
che per tutt'altro fossero avvenute quelle morti, e però non vi posero
quel gagliardo riparo che occorreva in sì brutto frangente, essendosi
permesse processioni ed unione del popolo nelle chiese, cioè il
veicolo più proprio per dilatare il male. Ora appena ebbe sentore del
sospetto di peste in quella città don _Bartolomeo Corsini_ vicerè di
Sicilia, che ne dimandò informazioni, e si trovarono i più de' medici
messinesi, che attestarono, quella non essere vera peste, ma un male
epidemico, ancorchè comparissero abbastanza i buboni; se con lode
o vitupero dell'arte loro, non occorre ch'io lo dica. Ma il saggio
vicerè non fidandosi di quella relazione, inviò tre medici di Palermo
alla visita di quegl'infermi, e tutti allora conchiusero, trattarsi
di quella vera pestilenza che spopola le città. Fu dunque sul fine di
maggio dato all'armi, ristretta Messina con un cordone di milizie; e
perchè il male era passato di qua dallo Stretto, ed aveva infetta la
città di Reggio, ed alcuni altri luoghi della Calabria, la corte di
Napoli anch'essa prese di buone precauzioni per preservare il resto
del regno. Bandi rigorosissimi uscirono per tutta l'Italia, e si arrivò
ne' littorali del Mediterraneo a tanta crudeltà di non voler concedere
menomo sbarco a molti poveri Messinesi che s'erano salvati in barche
per mare, quasichè non si potesse assegnar loro qualche sito da far
la contumacia, senza lasciarli morir di fame. Non vorrebbono in simil
caso essere trattati così quegl'inumani. Gran parte poi del popolo di
Messina in poco più di tre mesi perì; nè solo di peste, ma anche di
fame, essendosi trovata la città sprovveduta di grano; e quantunque
fossero loro spediti di tanto in tanto dei soccorsi per ordine del re
e del vicerè di Sicilia, pure non bastarono al bisogno. Tal discordia
poi passa fra due relazioni, che or ora accennerò, intorno al ruolo
degli estinti di quella città e contado, che meglio ho creduto di non
attenermi ad alcuna di esse.

Maraviglia fu, che essendo in campagna le armate, cioè gente che
non vuol legge, si salvasse l'Italia da questo eccidio. Anche per
l'anno seguente si continuarono i rigori delle guardie e contumacie,
cosicchè terminò in fine col male anche la paura. Se tali diligenze
avessero usate i nostri maggiori, non avrebbe in altri tempi fatta
cotanta strage con dilatarsi la peste. Nè pure in avvenire passerà
dai paesi de' Turchi esso male, o passando non si dilaterà, ogni qual
volta si osservino le buone regole inventate per preservarsi. Questa
funestissima tragedia, o sia l'esatta relazione della peste suddetta,
si truova data alle stampe in Palermo dal canonico don Francesco
Testa, con tutti gli editti in tal congiuntura emanati. Un'altra assai
curiosa e molto utile relazione di quella tragedia in versi sdruccioli
ho io avuto sotto gli occhi, fatta dall'abbate Enea Melani religioso
gerosolimitano, che di tutto era ben informato. Fu essa stampata in
Venezia nel 1747. Oltre a ciò, si patì in quest'anno l'influsso dei
raffreddori per gli Stati della Chiesa, di Venezia e Toscana, che
trassero al sepolcro molte migliaia di persone. Mancò parimenti di
vita _Maria Anna Luisa de' Medici_, figlia di Cosimo III gran duca
di Toscana, e vedova di _Gian-Guglielmo elettor palatino_, a cui non
avea data prole: principessa di gran pietà e saviezza. Era nata nel dì
11 di agosto del 1667. Fatti molti riguardevoli legati, lasciò erede
degli stabili, mobili e gioie della sua casa il duca di Lorena, cioè
_Francesco Stefano_, già divenuto gran duca di Toscana. Le proteste
fatte contra di tal disposizione dal re delle Due Sicilie _don Carlo_
non ebbero certamente la forza che seco portò il possesso. Giunse
ben a tempo questa ricca eredità al gran duca, per valersi dei molti
preziosi arredi, argenti e gioie in aiuto della regina d'Ungheria
sua consorte, lagnandosi indarno in lor cuore i Fiorentini, al vedere
trasportati altrove i tesori ed ornamenti della loro città. Nel dì 9 di
settembre fece il sommo pontefice _Benedetto XIV_ la tanto sospirata
promozione di ventisette cardinali, persone tutte di merito, tre dei
quali si riservò in petto. Quanto alla Germania, dove più che in altri
paesi fu bollente la guerra, appena spuntò la primavera, che la regina
d'Ungheria, dopo avere spedita una potente armata contro la Baviera,
passò col gran duca consorte e correggente in Boemia, e nel dì 12 di
maggio solennemente ricevette in Praga la corona di quel regno. Nel
dì 9 d'esso mese all'armata austriaca, comandata dal principe _Carlo
di Lorena _e dal _maresciallo di Kevenhuller_, venne fatto di dare
una rotta ai Gallo-Bavari, postati alle rive del fiume Inn, con fare
molti prigionieri, e coll'acquisto di quattro cannoni e di varii
stendardi. Dopo di che il vittorioso esercito si spinse addosso alla
città di Dingelfing, che, abbandonata dai Franzesi, non si sa, se per
aver essi posto il fuoco ai magazzini, o pure per barbarie dei Croati,
restò quasi preda delle fiamme. Anche la città di Landau venne in loro
potere, e fu attribuito un simile incendio di essa ai Franzesi, che
le diedero anche il sacco prima d'andarsene. Ritiraronsi in fretta
parimente da Deckendorf e da Landsut. Perchè parea ch'essi Franzesi
facessero peggio degli stessi nemici, non si può dire quanto odio
concepirono contra di loro i Bavaresi. Arrivavano già le scorrerie de'
nemici in vicinanza di Monaco, e però l'_imperador Carlo VII_, che nel
dì 17 di aprile era tornato in quella sua capitale, non trovandosi
ivi sicuro, nel dì 8 di giugno per la seconda volta se ne ritirò,
riducendosi coll'imperiale famiglia ad Augusta. Altrettanto andava
facendo il maresciallo franzese _conte di Broglio_, il quale si ridusse
in salvo sotto il cannone d'Ingolstat, e poscia si staccò anche di là
all'approssimarsi degli Austriaci, ed abbandonò fino Donawert. Nel dì 9
del mese suddetto rientrarono essi Austriaci in Monaco, e in poco tempo
si renderono padroni di quasi tutta la Baviera e dell'alto Palatino,
con acquisto di gran copia di artiglierie; laonde l'imperadore si
ridusse poscia in Francoforte. Furono poi cagione questi rovesci di
fortuna che il gabinetto del re Cristianissimo giudicasse a proposito
di far proporre alla regina d'Ungheria delle proposizioni di pace.
Pareano queste assai discrete, perchè si facea contentare la corte di
Baviera di un ritaglio della monarchia Austriaca, per quanto fu detto,
cioè nella Briscovia; e il re di Prussia di una porzione della Slesia.
Ma il buon vento che allora correa in favor della regina, e gonfiava
le vele di speranze maggiori, ed essendo di pochi il sapersi moderare
nella prospera fortuna, non le lasciò accettare la proposta concordia,
allegando essa sempre di non poter permettere che si sciogliesse
il vincolo della prammatica sanzione, assodato coll'approvazione e
giuramento di tante potenze. Se n'ebbe forse a pentire col tempo.

Nel presente anno e nel dì 27 di giugno seguì una sanguinosa battaglia
a Dettingen fra l'esercito franzese, guidato dal maresciallo _duca di
Noaglies_, e l'inglese ed annoveriano, in cui si trovava lo stesso
re della Gran Bretagna _Giorgio II_. Amendue le parti gareggiarono
in ispacciar maggiori riportati vantaggi, giacchè non fu conflitto
decisivo. Certo è che gli Inglesi rimasero padroni del campo di
battaglia, e contarono non pochi stendardi e bandiere prese. Vennero
intanto sottomesse degli Austriaci la fortezza di Braunau in Baviera,
e Friedberg e Reichental, i presidii dei quali luoghi si renderono
prigionieri di guerra. Nel dì 20 di luglio la fortezza di Straubingen
con capitolazioni oneste si rendè al tenente maresciallo austriaco
_barone di Berenclau_. Sostenne la città di Egra, unicamente restata
in Boemia in poter de' Franzesi, un lunghissimo assedio; ma finalmente
nel dì 8 di settembre quel presidio si diede per vinto e prigioniere
dell'armi della regina d'Ungheria: con che la Boemia interamente tornò
alla quiete primiera. Grande materia di discorsi fu in questo anno
il veder tutti i Franzesi ritirarsi precipitosamente dalla Baviera
verso il Reno, e valicarlo con passare in Alsazia. Parve che quella
sì valorosa nazione, allorchè troppo si allontana da' confini del suo
regno, o non conservi la consueta sua bravura, o non sia accompagnata
dalla fortuna. Trasse anche al Reno l'esercito del principe Carlo:
esercito di gran possa; eseguirono poi varii tentativi per passarlo,
con altre azioni, dal racconto delle quali io mi dispenso. Solamente
come punto di grande importanza merita menzione la resa della città e
fortezza d'Ingolstad, accaduta dopo pochi giorni di assedio nel dì 9 di
settembre, agli Austriaci: piazza la più considerabile della Baviera.
Si conobbe nondimeno che v'intervenne qualche segreto concerto,
perchè non altro fu permesso alla regina d'Ungheria, che di estrarne
le artiglierie, gli attrezzi e le munizioni da guerra. Colà si era
ricoverato il meglio dell'imperador bavarese, e a tutto fu portato
sommo rispetto. Cento settantacinque furono i cannoni, trentaotto i
mortari, che asportati di colà andarono a reclutare i magazzini della
regina d'Ungheria, la cui gloria crebbe di molto nell'anno presente.
Trattarono in questi tempi i Genovesi con tal serietà e dolcezza gli
affari della Corsica, esibendo a que' popoli ragionevoli condizioni di
vantaggio e sicurezza, che riuscì loro in fine di smorzare un incendio
di sì lunga durata, e che era loro costato parecchi milioni.



    Anno di CRISTO MDCCXLIV. Indiz. VII.

    BENEDETTO XIV papa 5.
    CARLO VII imperadore 3.


Per tutto il verno del presente anno andarono calando dalla Germania
copiose reclute, ed anche alcuni reggimenti che passavano ad ingrossare
l'armata del principe Lobcowitz, acquartierata a Cesena, Forlì e
Rimino, conoscendosi abbastanza altro non meditarsi che di procedere
innanzi per cacciar gli Spagnuoli da Pesaro e dagli altri luoghi da
loro occupati. All'incontro, in tale stato era l'armata spagnuola, che
quand'anche la forza non la facesse sloggiare, sarebbe essa obbligata
a ritirarsi a cagion della mancanza dei foraggi per terra; e perchè
giravano per que' lidi alcuni legni inglesi che ne impedivano il
trasporto per mare. Inviarono gli Spagnuoli varii distaccamenti pel
ducato d'Urbino, o per cautelarsi dall'essere assaliti da quella parte,
o per far credere di voler eglino assalire. Ma finalmente il principe
di Lobcowitz sul principio di marzo diede la marcia al poderoso suo
esercito, risoluto di venire a battaglia, se gli Spagnuoli intendevano
di aspettarlo di piè fermo. Nol vollero già essi aspettare, per ordine,
come diceano, venuto da Madrid; però sul fare del giorno del dì 6
senza suono di trombe o tamburi, e con restar sempre chiuse le porte
di Pesaro, si avviarono alla volta di Sinigaglia. Non mantenne il
conte di Gages la promessa fatta al vescovo di Fano di non disfare il
ponte sul Metauro. Alle più valorose truppe e alle guardie del duca
di Modena fu lasciato l'onore della retroguardia. Nel dì 9 arrivò
ad infestarli un grosso corpo d'Usseri e Croati, guidati dal conte
Soro, co' quali convenne venire alle mani, e durò questa persecuzione
anche nei dì seguenti, con danno di amendue le parti. Mentre andava
innanzi il nerbo dell'armata, la retroguardia, che avea preso riposo
a Loreto, nel dì 15 d'esso marzo sotto le mura di quella città si vide
assalita da cinque mila Austriaci, e il conflitto durò per dieci ore,
con ritirarsi in fine il distaccamento austriaco. Nel proseguire il
viaggio a Recanati gli Spagnuoli furono salutati dal cannone di due
navi inglesi, che uccisero il maresciallo di campo Brieschi, comandante
delle guardie vallone, con due altri uffiziali. Nel dì 16 fu di nuovo
assalita la retroguardia suddetta, e si combattè sino alle vent'ore
con vicendevole mortalità. Finalmente nel dì 18 due ore avanti giorno
l'esercito spagnuolo, lasciati molti fuochi nel campo, s'istradò verso
il fiume Tronto, confine del regno di Napoli, e nel mezzo giorno sopra
un preparato ponte di barche cominciò a passarlo, e da quella riva
non si mossero il duca di Modena e il conte di Gages, se non dopo
averli veduti tutti in salvo. Andarono poi essi a prendere riposo per
quattro giorni a Giulia Nuova, e poscia furono ripartite le truppe in
varii quartieri, ma dopo aver patita una grave diserzione nel viaggio.
Stavano esse in Pescara, Atri, Chieti, Città della Penna e Città di
Sant'Angelo; nel qual tempo anche gli Austriaci si accantonarono
fra Recanati, Macerata, Fermo, Ascoli e Tolentino. Se il principe
di Lobcowitz avesse trovata ne' suoi subordinati generali maggiore
ubbidienza ed amore, di peggio sarebbe avvenuto alla precipitosa
ritirata del campo nemico.

All'osservare questa brutta apparenza di cose, non tardò l'infante _don
Carlo_ re delle Due Sicilie, nel dì 25 di marzo, a muoversi da Napoli,
ed accorrere in persona anch'egli nelle vicinanze dell'Abbruzzo con
quindici mila de' suoi combattenti, unendosi con gli Spagnuoli, non
già con animo di rinunziare alla neutralità, ma solamente di guardare
il suo regno dagl'insulti de' nemici, caso che questi fossero i primi
a fare delle ostilità. La regina sua consorte per maggior sicurezza fu
inviata a Gaeta, non ostante le preghiere in contrario della appellata
fedelissima città di Napoli. Non si può negare: giudicò il _principe di
Lobcowitz_ non difficile la conquista del regno di Napoli. Conduceva
egli una poderosa armata, a cui di tanto in tanto arrivavano nuovi
rinforzi di gente e di munizioni. Nel regno stesso non mancavano dei
ben affetti all'augusta casa d'Austria, che segretamente faceano sperar
delle rivoluzioni alla corte di Vienna. Però venne l'ordine ad esso
principe d'inoltrarsi. Nel fine d'aprile un corpo d'Austriaci, valicato
il Tronto, penetrò nell'Abbruzzo, e trovò gente che l'accolse di buon
cuore. Ma il Lobcowitz, sul riflesso che, facendo anche progressi da
quella parte, restavano da superar le montagne, e che tuttavia egli si
troverebbe lontano dal cuore e centro del regno, determinò più tosto
di prendere un cammino più facile per le vicinanze di Roma e di Monte
Rotondo: cammino appunto eletto dagli altri conquistatori del regno di
Napoli. Levato dunque il campo da Macerata e dai circonvicini luoghi,
si avviò, verso la metà di maggio, a quella volta. Per lo contrario
l'infante re, appena ebbe penetrato il di lui disegno, che retrocesse a
San Germano, e alle sue forze s'andarono ad unire quelle dell'esercito
spagnuolo. Ne solamente pensò alla difesa dei proprii confini, ma
eziandio, giacchè stimava che l'avessero i nemici disobbligato dalla
promessa neutralità coi tentativi fatti nell'Abruzzo, spinse alcuni
grossi distaccamenti nello Stato ecclesiastico a Ceperano, Frosinone e
Vico Varo, sino a giugnere co' suoi picchetti al Tevere. Nel dì 24 del
mese suddetto, giunto a Roma il principe Lobcowitz, ebbe una benigna
udienza dal papa, e chiamò poi quella giornata dì di trionfo, stante il
gran plauso e i viva sonori di quella plebe. Ben regalato se ne andò a
Monte Rotondo; di là poi passò a Frascati, Morino, Castel Gandolfo ed
Albano. Intanto, entrata anche tutta l'armata napolispana nello Stato
ecclesiastico, si divise in tre corpi, postandosi il re ad Anagni con
uno, il duca di Modena con un altro a Valmonte, e il generale di Gages
a Monte Fortino. Tutti finalmente si ridussero a Velletri; giacchè
si scoprì invogliato l'esercito austriaco di penetrare per colà nel
regno di Napoli. Non si potea dar pace il pontefice _Benedetto XIV_
al mirare divenuti teatro della guerra i paesi della Chiesa con tanto
aggravio e desolazione de' sudditi suoi. L'unica speranza di vedere in
breve terminato questo flagello era riposta in una giornata campale
che decidesse della fortuna dell'armi. Ma non faceano gli Spagnuoli
di questi conti, bastando loro di tenere a bada gli avversarii, tanto
che non mettessero piede nel regno; perchè ben prevedevano che questo
sarebbe stato un vincerli senza battaglia. Sul principio di giugno
arrivati gli Austriaci al monte della Faiola, ed occupato quel sito che
dominava il convento de' cappuccini di Velletri, quivi cominciarono ad
alzar batterie, per incomodare i Napolispani esistenti nella città,
i quali tenevano aperto alle spalle il commercio col regno, da cui
continuamente ricevevano le bisognevoli provvisioni. A Nemi era il
quartier generale del Lobcowitz. Perchè in questi tempi era restata
poca gente alla custodia dell'Abbruzzo, riuscì al colonnello austriaco
conte Soro con un distaccamento di truppe di entrare nelle città
dell'Aquila, di Teramo e Penna. Si ebbero bene a pentire col tempo
quegli sconsigliati abitanti di avere accolti quei nuovi ospiti con
tanta festa, e di aver prese anche, se pur fu vero, l'armi in loro
favore. Videsi poi sparso per varii luoghi del regno un manifesto
della regina d'Ungheria, contenente le ragioni di aver mossa quella
guerra, coll'animare i popoli alla ribellione. In esso furono toccati
certi tasti che dispiacquero alla sacra corte di Roma; ed essendosene
ella doluta, protestò poi la regina di non aver avuta parte in esso
manifesto.

Stavano dunque a fronte, separate da una valle profonda, le due nemiche
armate, cercando cadauna di ben fortificare i suoi posti, e di occupar
quelli de' nemici. Specialmente nella Faiola e in Monte Spino si
afforzarono gli Austriaci e i Napolispani nel monte dei Cappuccini.
Fioccavano le cannonate dall'una parte e dall'altra. Ma nella notte
antecedente al dì 17 di giugno, avendo il conte di Gages da alcuni
disertori ricavato nome della guardia, ed appresa la situazion degli
Austriaci alla Faiola, sito onde era forte incomodata la regia armata,
con grosso corpo di gente si portò all'assalto di quel posto medesimo,
e se ne impadronì, con far prigioni, oltre agli uccisi, il generale
di battaglia baron Pestaluzzi, il colonnello e tenente colonnello
del reggimento Pallavicini, ed altri uffiziali con ducento sessanta
soldati; e gli servì poi quel sito per inquietar frequentemente
gli Austriaci nel loro campo. Fu cagione questa positura di cose,
cotanto penosa al territorio romano, che il pontefice _Benedetto
XIV_ per sicurezza e quiete di Roma chiamasse colà alcune migliaia
dei miliziotti di varie sue città. Durò poi la vicendevole sinfonia
delle cannonate e bombe sotto Velletri, con poco danno dell'una e
dell'altra parte, sino al dì 10 di agosto; quando il principe di
Lobcowitz, animato dalle notizie prese da un villano di Nemi e da
alcuni disertori, determinò di tentare una strepitosa impresa. Il
disegno suo era d'impadronirsi di Velletri, e di sorprendere ivi il
re delle Due Sicilie, il duca di Modena ed altri primarii uffiziali
della nemica armata. Nella notte adunque precedente al dì 11 del
mese suddetto fece marciare alla sordina due corpi di gente, l'uno di
quattro mila soldati e l'altro di due mila, per diverse vie. Il primo
era comandato ai tenenti generali Braun e Linden, e dai generali di
battaglia Novati e Dolon; e questi fecero un giro verso la sinistra
dell'accampamento napolispano, ed arrivati sul far del giorno al
sito dove erano postati i tre reggimenti di cavalleria della regina,
Sagunto e Borbon, con alcune brigate di fanteria, le quali, quantunque
prive di trinceramenti, non si aspettavano una visita sì fatta, e
tranquillamente dormivano; diedero loro addosso, con attaccar nello
stesso tempo il fuoco alle tende. Molti vi restarono uccisi, altri
rimasero prigionieri; chi ebbe buone gambe, e fu a tempo, si salvò.
Agli abbandonati cavalli furono tagliati i garretti, e per conseguente
tolta la maniera di più servire e vivere. La sola brigata de' valorosi
Irlandesi fece testa, finchè potè; ma sopraffatta dalle forze maggiori,
dopo grave danno, cercò di salvarsi in Velletri. Dietro ai fuggitivi
per quella medesima porta entrarono gli Austriaci nella città, e si
diedero ad incendiar varie case per accrescere il terrore. Presero
l'armi i poveri Velletrani, per difendere ognuno le abitazioni proprie,
ed alquanti vi lasciarono la vita. Avvisato per tempo il re di questa
sorpresa, balzò dal letto, e vestito in fretta si ritirò al posto dei
Cappuccini, ed era solamente in apprensione pel duca di Modena e per
l'ambasciatore di Francia. Ma anche il duca di Modena e l'ambasciatore
ebbero alcuni momenti favorevoli per tener dietro a sua maestà fra le
archibugiate de' nemici. Entrò il general Novali nel palazzo del duca;
furono presi e condotti via tutti i suoi cavalli. Dubbio non ci è, che
se gli Austriaci avessero atteso a perseguitare i Napolispani; e se
fosse giunto a tempo l'altro corpo di gente che dovea raggiugnerli,
restava la città di Velletri in loro potere. Ma, secondo il solito, più
vogliosi i soldati di bottinare che di combattere, si perderono attorno
agli equipaggi degli uffiziali e alle sostanze de' cittadini, con far
veramente un buon bottino, spezialmente dove abitava l'ambasciatore
di Francia, e i duchi di Castropignano e di Atrisco. Ciò diede campo
ad essi Napolispani di rincorarsi e di accorrere alla difesa; e
particolarmente con furore s'inoltrarono le guardie vallone per la
lunga strada di Velletri contra de' nemici. Sorpresero il general
Novati, che s'era perduto a scartabellare le scritture del duca di
Modena, e custodiva le di lui argenterie, che verisimilmente doveano
essere il premio delle sue fatiche, e il fecero prigione. Sopravvenuto
poi un rinforzo del conte di Gages, talmente furono incalzati gli
Austriaci, che chi non rimase o ucciso o prigione, fu forzato a
salvarsi fuori di Velletri, e di lasciar libera la città.

Mentre si facea questa sanguinosa danza in Velletri, il principe di
Lobcowitz con altri nove mila soldati dovea portarsi all'assalto dei
posti della collina fortificati da' nemici. Tardò troppo. Tuttavia gli
riuscì di occupar qualche sito del monte Artemisio. Ma così incessante
fu il fuoco degli Spagnuoli, che quanti si avanzavano, rotolavano
uccisi al fondo della valle, di maniera che dopo un ostinato conflitto
di alcune ore furono forzati anche quegli Austriaci a battere la
ritirata e ad abbandonare gli occupati posti. Terminata la scena,
ognuna delle parti esaltò a dismisura la perdita dell'altra. I più
saggi crederono che tra i morti e prigioni di Napolispani vi restassero
almen due mila persone, fra le quali di prigionieri si contarono circa
ottanta uffiziali, e fra gli altri il general conte Mariani, sorpreso
colla gotta in letto. Vi perderono anche, chi disse nove, e chi dodici
bandiere della brigata d'Irlanda. Dalla banda degli Austriaci rimasero
prigionieri, oltre al generale Novati, diciotto altri uffiziali, e
molti soldati colti in Velletri; e quantunque spacciassero di aver
lasciati morti sul campo solamente circa cinquecento uomini, pure gli
altri fecero ascendere la loro perdita a più di due mila persone.
La verità si è, che se mancò la felicità, non mancò già la gloria
di questo tentativo al principe di Lobcowitz, perchè in simili casi
nè si possono prevedere tutti gli accidenti, nè a tutto provvedere.
Ma certo è altresì che maggior fu la gloria de' Napolispani, i quali
in sì terribil improvvisata, e con tanto avanzamento de' nemici, non
solamente si seppero sostenere, ma anche rovesciarono valorosamente le
loro schiere, superando una tempesta che fece grande strepito entro e
fuori d'Italia. Dopo questo fallo, restate le due armate nei consueti
loro posti, continuarono a salutarsi coi reciproci spari di artiglierie
senza vantaggio degli uni e degli altri. Attese intanto l'infante
re _don Carlo_ a rimontare la sua cavalleria: al che concorsero
tutti i vassalli del regno di Napoli, ed anche quei di Sicilia.
Varii distaccamenti spediti dal re in Abbruzzo ne fecero in questi
tempi sloggiare il colonnello Soro coi suoi partitanti, e tornare
all'ubbidienza della maestà sua le già occupate città. Il rigore
usato contra di quegli abitanti dal comandante napoletano, fu detto
che venisse detestato dalla corte stessa, e tanto più da chi senza
parzialità pesava le azioni degli uomini.

Per tutto il settembre e per quasi tutto l'ottobre stettero in
quella positura ed inazione le due nemiche armate sotto Velletri,
quando si cominciò a scorgere che il principe di Lobcowitz meditava
di decampare, e di ritirarsi alla volta del Tevere, giacchè inviava
innanzi verso Cività Vecchia i suoi malati, e parte delle artiglierie,
munizioni e bagagli. Certamente durante la state non erano cessati
di giugnere nuovi rinforzi di gente al suo campo; ma di gran lunga
sempre maggiore si trovava il numero di coloro che cadevano infermi,
e andavano anche mancando di vita. I caldi di quel paese non si
confacevano colle complessioni tedesche, avvezze ai freddi, e l'aria
delle vicine paludi Pontine stendeva fin colà i perniciosi suoi
influssi, di modo che quanto si trovò in esso ottobre infievolito
lo esercito suo, altrettanto si vide il caso disperato di vincere
la pugna, e di obbligare i Napolispani a retrocedere. Non è già che
restasse esente da gravissimi guai anche l'oste napolispana, stante la
continua diserzione ch'essa patì, maggior di quella degli avversarii,
e la gran quantità de' suoi malati, e la difficoltà di ricevere i
viveri, che bisognava condurre con pericolo ben da lontano, essendosi
spezialmente per qualche tempo trovata in somme angustie per mancanza
di acqua da abbeverar uomini e cavalli. Pure tanta fu la costanza del
re e di tutti i suoi, che sofferirono più tosto ogni disagio, che darla
vinta ai vicini nemici. Pertanto sull'alba del dì primo di novembre il
principe di Lobcowitz levò il campo e in ordine di battaglia s'inviò
verso Ponte Molle, per cui, e per un ponte di barche già formato a
fin di far passare le artiglierie, nel dì seguente ridusse di qua
dal Tevere le genti sue. Perchè da Roma uscirono alcune centinaia
di persone arrolate dal _cardinale Acquaviva_, che infestarono il
loro passaggio, se ne vendicò poscia il principe con dare il sacco
ad alcune innocenti ville. Nello stesso dì primo di novembre anche
l'armata napolispana, trovandosi liberata dai ceppi di tanta durata,
con giubilo inesplicabile si mosse da Velletri per tener dietro ai
nemici, procedendo nondimeno con tanta lentezza, che ben si conobbe
non aver voglia di cimentarsi con loro, siccome quella che contava per
sufficiente vittoria il vederli slontanare da quelle contrade. Nel dì
2 framezzate dal Tevere, i cui ponti erano stati rotti, si fermarono
in faccia le due armate, salutandosi solamente l'una e l'altra con
varie cannonate. Quivi si trovava coll'oste sua il re delle Due Sicilie
_don Carlo_, e sospirando la consolazione di vedere il pontefice
_Benedetto XIV_, e di baciargli il piede, concertò pel dì seguente
l'entrata sua in Roma. Colà portossi la maestà sua, accompagnata dal
_duca di Modena_, dal _conte di Gages_, dal _duca di Castropignano_
e da numerosa altra uffizialità, e fra il rimbombo delle artigliere
di castello Santo Angelo, le quali gran dispetto e mormorazione
cagionarono nel campo tedesco, fu ricevuto con tenero affetto dal santo
padre, e per un'ora continua durò il loro abboccamento.

Confessò dipoi in una delle sue dotte pastorali il buon pontefice,
che fra le altre cose il re gli fece istanza di minorare il soverchio
numero delle feste di precetto (grazia già accordata da sua santità
a varie chiese di Spagna), atteso il detrimento che ne veniva ai
poveri e agli artisti, e ai lavoratori della campagna. Congedatosi
il re da sua Santità, passò dipoi a venerar nella Vaticana basilica
il sepolcro dei santi Apostoli, e a visitar le più rare cose del
vastissimo palazzo pontifizio, dove trovò insigni regali preparatigli
dal santo padre, siccome ancora un lautissimo pranzo per sè e per
tutto il suo gran seguito. Nell'inviarsi fuori di Roma visitò anche
la basilica Lateranense, lasciando da per tutto contrassegni della sua
gran pietà, affabilità e munificenza. Anche il duca di Modena ricevette
dipoi una benignissima e lunga udienza dal pontefice; e laddove il re
s'era incamminato per passare a Velletri e a Gaeta, egli se ne tornò
la sera al campo. Passò dipoi il vittorioso re a Napoli, accolto da
quel gran popolo con incessanti acclamazioni, sigillo della fedeltà ed
amore verso di lui mostrato in sì pericolosa congiuntura. Vedesi data
alla luce la descrizione del rinomato assedio di Velletri, composta
con elegante stile latino dal signor Castruccio Bonamici, uffiziale
militare del suddetto re delle Due Sicilie.

S'andò ritirando l'esercito austriaco su quel di Viterbo, e poscia
su quel di Perugia, inseguito, ma da lungi, dal Napolispano, che,
quantunque superiore di forze, mai non volle e non osò molestarlo.
E perciocchè il conte di Gages, arrivato a Foligno, serrò il
cammino conducente nella Marca; il Lobcowitz, se volle venir di qua
dall'Apennino, altro spediente non ebbe, che di prendere la via del
Furio, per cui passando con grave incomodo delle sue genti, andò
poi a distribuirle a quartieri in Rimino, Pesaro, Cesena, Forlì ed
Urbino. Fu posto il quartier generale in Imola. Vicendevolmente il
conte di Gages ritiratosi da Assisi, Foligno ed altri luoghi, stabilì
il suo quartiere in Viterbo, e mise a riposar la sua armata in que'
contorni, stendendola fin quasi a Cività Vecchia. E tale fu il fine di
questa spedizione pel meditato acquisto di Napoli, che diede occasione
al tribunale dei politici sfaccendati di proferir varie decisioni.
Proruppero i parziali del re delle Due Sicilie in encomii e plausi
per la savia condotta di lui e dei suoi generali, da che avea tenuto
lungi dai suoi confini il potente nemico esercito, e tiratolo nelle
angustie di Valletri, con averlo obbligato a star ivi per tanto tempo
racchiuso. Per lo contrario i ben affetti alla regina di Ungheria si
lasciarono scappar di bocca qualche disapprovazione dell'operato dal
comandante generale austriaco, non sapendo intendere perchè egli avesse
presa la ristrettissima strada di Velletri, e si fosse ostinato io
quella situazione, senza eleggere più tosto, o prima o dappoi, la via
di Sora, od altra per entrare nel regno, dove non era fuor di speranza
qualche mutazione, ed una battaglia potea decidere di tutto. Ma è
troppo avvezza la gente a misurar le lodi e il biasimo delle imprese
dal solo esito loro, quasichè il fine infelice di un'azione faccia
che il saggio non l'abbia con tutta prudenza sul principio intrapresa.
Disgrazia, e non colpa, è ordinariamente l'avvenimento sinistro delle
risoluzioni formate da chi è provveduto di senno. Intanto la misera
città di Velletri respirò dal peso di tanti armati; ma non restò già
esente da altri mali, perchè per gli stenti passati e pel fetore di
tanti cadaveri malamente seppelliti sorse una maligna epidemia in quel
popolo. Spedì il pontefice gente per farne lo spurgo, ed anche aiuto
di pecunia; ma non lasciò per questo di essere ben deplorabile la
lor fortuna. Mentre si facea la guerra fin qui accennata nel levante
dell'Italia, un'altra più fiera, che divampò e si dilatò in questo
medesimo anno nelle parti di ponente trasse a sè gli occhi di tutti.
Avendo finalmente la corte di Spagna ottenuto che il re Cristianissimo
seconderebbe con forze gagliarde i suoi tentativi contro gli stati del
re di Sardegna, si videro in moto alla metà di febbraio gli Spagnuoli,
per tornare dalla Savoia in Provenza. Quivi si accoppiarono poscia
l'infante _don Filippo_ e il _principe di Conty_, supremo comandante
dell'armi franzesi, e per tempo ognun s'avvide, essere le loro mire
dalla parte marittima di Nizza e Villafranca. Contro tanti nemici solo
si trovava il re di Sardegna _Carlo Emmanuele_, a cui fu in questi
tempi dato l'attuai possesso di Piacenza, di Vigevano e dell'altro
paese a lui accordato nella lega di Vormazia; ma nulla perciò egli
sgomentato, si studiò di ben munire di genti e ripari il paese suo
posto al mare.

Prima nondimeno che si desse fiato alle trombe in terra, avvenne una
gran battaglia in mare fra l'ammiraglio inglese _Matteus_ e la flotta
franzese e spagnuola, che s'erano unite in Tolone. Queste ultime la
fama amplificatrice delle cose le faceva ascendere sino a sessanta
vascelli di linea. Erano ben molto meno. Stava il Matteus co' suoi
legni nell'isole di Jeres, attento ai movimenti de' suoi avversarii,
quando, giuntogli l'avviso, nel dì 22 di febbraio, che usciti di
Tolone aveano messo alla vela, passò tosto ad assalire la vanguardia
condotta dalle navi spagnuole. Atrocissimo fu il combattimento verso
capo Cercelli; l'orribile ed incessante strepito di tante artiglierie
sparse il terrore per tutte le coste della Provenza, e corsero infinite
persone sulle alture delle montagne ad essere spettatrici di quella
scena infernale. Per confessione degli stessi nemici, fece maraviglie
di valore l'armata navale di Spagna, comandata dall'_ammiraglio
Navarro_; e tanto più perchè il signor di Court, comandante della
franzese, o non entrò mai veramente in battaglia, o, se v'entrò, poco
tardò a ritirarsi, per non vedere sconciati i suoi legni. Che peraltro
fu creduto che se i Franzesi avessero meglio soddisfatto al loro
dovere, probabilmente potea riuscir quel conflitto con isvantaggio
degl'Inglesi, stante il non essere accorso a tempo in aiuto del Matteus
il vice-ammiraglio Lestok, che fu poi processato per questo. La notte
pose fine a tanto furore; ma nel dì seguente si tornò alle vicendevoli
offese, quando il mare, stato anche nel dì innanzi assai burrascoso,
accresciuta la collera, separò affatto le nemiche armate, spignendole
un fierissimo vento amendue alla volta di Occidente. Perderono gli
Spagnuoli un vascello di sessantasei pezzi di cannone e di novecento
uomini di equipaggio, caduto in man degl'Inglesi sì maltrattato, che,
dopo averne essi estratto il capitano con ducento uomini rimasti in
vita, giudicarono meglio di darlo alle fiamme. Grande fu la copia
dei morti e feriti di essi Spagnuoli: rimasero anche i lor vascelli
talmente sconcertati, che ridotti a Barcellona ed Alicante, non si
sentirono più voglia di tornare in corso. Forse non fu minore il
numero dei morti e feriti dalla parte degli Inglesi, i quali anche per
l'insorta tempesta patirono assaissimo, e si ridussero a Porto Maone. I
soli Franzesi ebbero salve ed illese le lor navi e genti; se con loro
onore, da molti si dubitò. Perchè lo stesso _ammiraglio Matteus_ non
fece di più, fu anch'egli richiamato a Londra, e sottoposto ad un lungo
e rigoroso processo.

Intanto avea il re di Sardegna fatti gagliardi preparamenti di genti
e fortificazioni al fiume Varo, giacchè l'esercito terrestre de'
Gallispani minacciava un'irruzione da quella parte. Alle sboccature
parimente stavano ancorate alquante navi inglesi, per impedire il
passaggio colle loro artiglierie. A nulla servirono quei tanti ripari,
perchè senza difficoltà nel dì 2 di aprile comparve di qua dal Varo
la fanteria spagnuola; al quale avviso i cittadini di Nizza, mercè
della facoltà loro data dal real sovrano, affinchè non rimanessero
esposti a guai maggiori, andarono a presentar le chiavi di quella città
all'_infante don Filippo_. Riposte avea le principali sue speranze il
re sardo nei trincieramenti fatti da' suoi ingegneri a Villafranca e
Montalbano, che certamente parvero inaccessibili, massimamente perchè
alla guardia d'essi vegliavano molte migliaia delle sue migliori
truppe. Ma ossia che intervenisse qualche stratagemma, per cui
l'armata gallispana, ascendente, per quanto fu creduto, a quaranta mila
combattenti, si aprisse senza gran fatica il varco a quel fortissimo
accampamento, con arrivare inaspettatamente addosso al _marchese di
Susa_, e menarlo via prigione; o pure che a forza di furiosi assalti
si superassero tutti gli ostacoli: certo è che nel dì 20 d'aprile
essi Gallispani v'entrarono. Gran resistenza fecero i Savoiardi; più
d'una volta rispinsero le schiere nemiche, e gran sangue fu sparso, e
fatti de' prigionieri dall'una e dall'altra parte. Si sostennero essi
Savoiardi in alcuni siti sino alla notte, in cui il general comandante
_Sinsan_, dopo aver posto presidio nel castello di Villafranca e nel
forte di Montalbano, andò ad imbarcare circa quattro mila de' suoi
colle artiglierie, che potè salvare in molti legni preparati nel
porto di Villafranca, e passò ad Oneglia. Non aspetti alcuno da me
il conto dei morti, feriti e prigioni dell'una e dell'altra parte,
e de' cannoni, bandiere e stendardi presi, perchè so che non amano
di comperar bugie: che di bugie appunto abbondano le relazioni de'
fatti d'armi a misura delle differenti passioni. Poco poi tardarono
Montalbano e il castello di Villafranca a sottomettersi a' Gallispani.
Attese allora il re di Sardegna a ben premunire i passi delle montagne
di Tenda, affinchè lasciassero i nemici il pensiero di penetrar per
quelle parti in Piemonte; e si diede a provveder di tutto l'occorrente
i forti suoi nella valle di Demont e Cuneo, prevedendosi abbastanza
che gli avversarii sarebbono per tentare di nuovo da quella parte una
calata ne' suoi Stati.

Fu nel dì 6 di giugno, che arrivato un grosso distaccamento di
Spagnuoli ad Oneglia, trovò abbandonata quella terra dalle milizie
savoiarde e da buona parte degli abitanti, che si ridussero col più
delle loro sostanze all'alto della montagna. Pensavano intanto i
Gallispani a voli maggiori; e in fatti, avendo ripassato il Varo,
cominciarono dal Colle dell'Agnello e da altri siti, circa il dì 20
di luglio, a calar verso la valle, dove trovarono forti barricate ai
passi, sostenute con vigore per qualche tempo dai Savoiardi, ma poi
abbandonate. S'impadronirono essi Spagnuoli di un ben fortificato
ridotto a Monte Cavallo, e poscia di Castel Delfino; e quindi per la
valle passarono alle vicinanze di Demont. Grandi spese avea fatto il
re di Sardegna per ivi formare una ben regolata fortezza; ma non era
giunto a perfezionarla. Trovavasi egli stesso alla testa della sua
armata in quelle parti, per opporsi agli avanzamenti de' nemici, coi
quali giornalmente accadevano ora favorevoli ora sinistri incontri.
Portò la sventura che una palla infuocata gittata da' Gallispani in
Demont attaccasse il fuoco a quelle fascinate, o pure al magazzino
della miccia, e che si dilatasse l'incendio negli altri. Accorsero
a tal vista i Gallispani, ed ebbero quel forte colla guernigione
prigioniera nel dì 17 d'agosto: dopo di che essendosi ritirato il re
sardo col suo esercito a Saluzzo, eglino passarono nella pianura, e
si diedero a stringere la città e fortezza di Cuneo. Sotto di questa
piazza, mirabilmente difesa dal concorso di due fiumi, avea patito
deliquio altre volte la bravura de' Franzesi, ed era venuta meno la
lor perizia negli assedii: il che commosse la curiosità d'ognuno per
indovinare qual esito avrebbe quell'impresa. Dalla parte sola per cui
si può far forza contra di Cuneo, avea il re di Sardegna fatto ergere
tre fortini o ridotti che coprivano la piazza. Entro v'erano sei
mila, parte Svizzeri e parte Piemontesi, di presidio sotto il comando
del valoroso _barone dì Leutron_, risoluti di far buona difesa. Non
valevano men di loro i cittadini, che, prese animosamente l'armi,
fecero poi di tanto in tanto delle vigorose sortite con danno de'
nemici. Finalmente si videro in armi tutti i popoli di quelle valli
e montagne, ben affezionati al loro sovrano. Colà accorsero ancora
alcune migliaia di Valdesi; e il marchese d'Ormea, sottrattosi in
tal occasione al gabinetto, messosi alla testa delle milizie del
Mondovì col figlio marchese Ferrerio, tutti si diedero ad infestare
i nemici, ad impedire il trasporto de' viveri, foraggi e munizioni al
campo loro, con far sovente de' buoni bottini, e rovesciar le misure
degli assedianti. Giunse intanto da Milano un rinforzo di Varadini,
e il reggimento Clerici col conte _Gian-Luca Pallavicino_ tenente
maresciallo cesareo, comandante di quelle truppe.

Solamente nella notte precedente al dì 13 di settembre aprirono i
Gallispani la trincea sotto di Cuneo, e cominciarono a far giocare le
batterie, e a molestar gravemente la piazza colle bombe; ma se questa
pativa, non patirono meno gli assedianti, perchè spesso assaliti con
somma intrepidezza da que' cittadini e presidiarii. Continuarono poi
gli approcci e le offese sino al dì 30 di settembre, in cui il re
di Sardegna mosse l'esercito suo in ordinanza di battaglia verso le
nemiche trincee. Ossia ch'egli solamente intendesse di avvicinarsi,
e postarsi in maniera da poter incomodare il campo nemico, o pure
che avesse veramente risoluto, siccome animoso signore, di tentare
il soccorso della piazza: la verità si è, che si venne ad un generale
combattimento. Fu detto che un uffiziale ubbriaco portasse l'ordine, ma
ordine non dato dal re, all'ala sinistra di assalire i posti avanzati
degli assedianti, e che, entrata essa in azione, s'impegnò nel fuoco
il restante delle schiere. Dalle ore diecinove sino alla notte durò
l'ostinato conflitto con molto sangue dall'una e dall'altra parte, ma
incomparabilmente più da quella degli assalitori, perchè esposti alle
artiglierie caricate a mitraglia o a cartoccio. Tuttochè per ordine del
re si sonasse la ritirata, la sola notte fece fine all'ire, ed allora
si ricondusse l'esercito sardo ad un sito distante un miglio e mezzo di
là. Fu detto che la cavalleria nemica uscita dai ripari l'inseguisse;
ma lo scuro della notte, e l'aver trovato un bosco di cavalli di
Frisia, impedì loro il progresso. A quanto ascendesse il danno dalla
parte de' Piemontesi, non si potè sapere; se non che conto fu fatto
che circa trecento fossero tra morti e feriti i suoi uffiziali. Da
lì a pochi giorni si scoprì, essere state le mire del re di Sardegna
nel precedente sanguinoso conflitto quelle d'introdurre soccorso in
Cuneo. Ma ciò che allora non gli venne fatto, accadde poi felicemente
nella notte precedente al dì 8 di ottobre, in cui dalla parte del fiume
Stura passò senza ostacoli nella piazza un migliaio de' suoi soldati,
con molti buoi ed altre provvisioni e danaro. Era intanto sminuita non
poco l'armata gallispana per la mortalità e diserzion delle truppe;
di gravi patimenti avea sofferto sì per le dirotte pioggie e per li
torrenti che aveano impedito il trasporto de' viveri e foraggi per
la valle di Demont, come ancora per l'incessante infestazione de'
paesani che faceano continuamente prigioni e prede. Si scorse in fine
ch'essa non era in forze, come si decantava, perchè non potè mai tenere
corpi valevoli ai fiumi, che formassero un'intera circonvallazione
alla piazza. Però dopo circa quaranta giorni di trincea aperta, e
dopo cagionata gran rovina di case in Cuneo, ma senza aver mai fatto
acquisto di alcuna nè pur delle fortificazioni esteriori, nella notte
precedente al dì 22 di ottobre, abbruciato il loro campo, i Gallispani
colla testa bassa e con gran fretta si levarono di sotto a quella
fortezza, incamminandosi alla volta di Demont. Uno sprone ancora ai
lor passi era il timore delle nevi che li cogliessero di qua dall'Alpi
con pericolo di perire uomini e giumenti per mancanza del bisognevole.
Lasciarono indietro più di mille e cinquecento malati; ed inseguiti da
varii distaccamenti di fanti e cavalli, e travagliati dai montanari,
sofferirono altre non lievi perdite e danni. Fermaronsi in Demont
cinque o sei mila Spagnuoli non tanto per coprire la ritirata del
resto dell'esercito e delle artiglierie, quanto ancora per minar le
fortificazioni della fortezza, ben prevedendo di non potersi quivi
mantenere nel verno. Essendosi poi avanzato il general piemontese
Sinsan verso quelle parti con un maggior nerbo di milizie verso la metà
di novembre, gli Spagnuoli se ne andarono, dopo aver fatto saltare
alcune parti di quel forte e la casa del governatore. Arrivarono a
tempo alcuni Savoiardi per salvare ciò che non era peranche saltato in
aria, e s'impadronirono di alquanti pezzi di cannone rimasti indietro:
nel qual mentre gli Spagnuoli come fuggitivi provarono immensi disagi
e perdita di persone a cagion delle nevi, del rigoroso freddo e della
mancanza di vettovaglia. Così restò libera tutta la valle; e il re di
Sardegna, avendo compensata l'infelice perdita delle piazze marittime
colla felicità di quest'altra impresa, pien d'onore si restituì a
Torino.

La corte di Francia dichiarò in questo anno la guerra alla regina
d'Ungheria per la caritativa intenzione, come si diceva, di
costrignerla alla pace coll'_imperador Carlo VII_; e la dichiarò anche
all'Inghilterra, disponendo tutto per invadere la Fiandra, con che
sempre più s'andò dilatando il fuoco divorator della Europa. Per quanti
sforzi facessero i ministri di Vienna e di Londra per tirare in questo
impegno le Provincie Unite, o, vogliam dire gli Olandesi, nulla di
più nè pur ora poterono ottenere se non che l'Olanda contribuirebbe
il suo contingente di venti mila armati a tenor delle leghe. Troppo
loro premeva di conservare la libertà del commercio colla Francia e
Spagna; ed altre segrete ruote ancora concorrevano a muovere que'
popoli più tosto all'amore di una tal quiete e neutralità, che
ad un'aperta guerra. Non tardarono i Franzesi ad impossessarsi di
Coutray, Menin ed altri luoghi. Poscia nel dì 18 di giugno aprirono la
trincea sotto l'importante città d'Ipri, e con più di cento cannoni
e quaranta mortari talmente l'andarono bersagliando, che nel dì 29
d'esso mese v'entrarono, dopo aver conceduto libera l'uscita a quella
guernigione. Erano principalmente animati i Franzesi dalla presenza
dello stesso re Cristianissimo _Luigi XV_, che non guardò a fatiche
in questa campagna. Intanto il principe _Carlo di Lorena_, comandante
dell'esercito austriaco al Reno, altro non istudiava che la maniera
di passar quel fiume, per portare la guerra addosso agli Stati della
Francia. Sul fine di giugno riuscì al generale _Berenklau_ di valicar
esso fiume con dieci mila persone in vicinanza di Magonza, e nel dì
primo di luglio altrettanto fu fatto dallo stesso principe Carlo
col grosso dell'esercito suo, che arditamente poi procedendo mise
piede nell'Alsazia in faccia de' nemici. Gran confusione fu allora in
quella fertile provincia, che cominciò ad essere lacerata in parte
dai Franzesi difensori, e senza paragone più dai feroci Austriaci,
che colle scorrerie, e coll'imporre gravi contribuzioni, seppero ben
prevalersi del loro vantaggio, e tennero nello stesso tempo bloccato
Forte Luigi. Perchè l'armata franzese sul principio d'agosto s'andò
dilatando verso Argentina, non lieve costernazione insorse in quella
stessa sì forte città. Il terribile scompiglio dell'Alsazia cagion fu
che lo stesso re Cristianissimo si movesse con grandi forze dai Paesi
Bassi per accorrere colà; ma caduto infermo in Metz verso la metà di
agosto, fece dubitar di sua vita. Dio il preservò, e a poco a poco
si rimise nello stato primiero di salute. Un teatro di miserie era
intanto divenuta l'Alsazia, e sembrava che l'esercito austriaco in quel
bello ascendente meditasse e sperasse avanzamenti maggiori; quando
giunse la nuova di una metamorfosi che sorprese ognuno; cioè la lega
dell'imperador _Carlo VII_ col re di Prussia _Carlo Federigo III_,
coll'elettor palatino _Carlo di Sultzbac_ e col _lantgravio d'Hassia
Cassel_ contro la regina di Ungheria: lega maneggiata e felicemente
conchiusa dall'industria e pecunia franzese. Stupissi ognuno come esso
Prussiano, dopo una pace di tanto suo vantaggio e sì recente, stabilita
colla regina _Maria Teresa_, di nuovo contra di lei sfoderasse la
spada. Diede egli con un suo manifesto quel colore che potè a questa
sua novità, allegando l'occupazion della Baviera, e l'indebita guerra
fatta da essa regina all'imperio, alla cui difesa come elettore egli
si sentiva obbligato: quasichè questo capo non fosse stato il primo a
muovere contra d'essa regina la guerra; ed esso re prussiano, allorchè
giurò la pace, non sapesse che ardeva quella guerra fra l'imperadore e
la regina. Però la corte di Vienna proruppe in gravi querele contra di
quel re, chiamandolo principe di niuna fede, di niuna religione; e la
regina d'Ungheria corse a Presburgo per commuovere tutta l'Ungheria in
soccorso suo; e non vi corse indarno.

Rimasero per questa inaspettata tempesta sconcertate affatto le misure
del gabinetto austriaco, e fu obbligato il _principe Carlo di Lorena_
di ripassare il Reno coll'esercito suo per correre alla difesa della
Boemia, verso la quale erano già in moto dalla Slesia l'armi del re di
Prussia. Nel dì 23 d'agosto con bella ordinanza imprese esso principe
il passaggio di quel fiume, e felicemente in due giorni ridusse
l'armata all'altra riva. Dai Franzesi, che l'inseguivano, riportò egli
qualche danno, con rimanere uccisi o prigioni molti de' suoi, danno
nondimeno inferiore all'aspettazion della gente, che giudicò non aver
saputo i Franzesi profittar di sì favorevol occasione per nuocergli;
anzi fu creduto che il _maresciallo duca di Noaglies_ per questa
disattenzione fosse richiamato alla corte. Non dovettero certamente
mancare a quel saggio signore delle buone giustificazioni. Il bello poi
fu che l'armata franzese, avendo anch'essa ripassato il Reno, in vece
di tener dietro al principe di Lorena, per frastornare il suo cammino
alla volta della Boemia, rivolse i passi verso la Brisgovia per ansietà
di far sua la fortissima piazza di Friburgo. Intanto giacchè si trovò
la Boemia non preparata a così impetuoso temporale, la regale città
di Praga nel dì 16 di settembre tornò in potere del re prussiano, con
restar prigioniera di guerra la guernigione consistente in circa dieci
mila persone, parte truppe regolate e parte milizie del paese. Anche
la città di Budweis corse la medesima fortuna. Arrivato poi che fu
nella Boemia il poderoso esercito austriaco, più formidabile si rendè,
perchè seco s'unirono venti mila Sassoni, atteso che _Federigo Augusto
III_ re di Polonia ed elettor di Sassonia avea in fine conosciuta la
necessità di far argine alla smisurata avidità del re di Prussia; e vi
s'era anche aggiunto, per quanto fu creduto, un altro impulso, cioè
una ricompensa promossa dalla regina d'Ungheria. Allora cominciarono
a mutar faccia in quelle parti gli affari. Budweis e Tabor tornarono
all'ubbidienza della real sovrana; e la stessa città di Praga fu,
nel dì 25 di novembre, precipitosamente abbandonata dai Prussiani:
nuova che riempiè di giubilo Vienna. Ritirossi poscia il re di Prussia
colle sue forze nella Slesia, dove penetrarono anche gli Austriaci,
unendosi tutti a maggiormente desolare quel prima sì dovizioso paese.
Mentre con tal felicità procedevano l'armi della regina in quelle
parti, seppe l'imperador _Carlo VII_ ben profittare della debolezza in
cui erano restati i presidii austriaci ne' suoi Stati della Baviera,
dacchè il principe di Lorena passò in Boemia. Spinse egli colà la
sua armata sotto il comando del maresciallo _conte di Seckendorf_,
che niuna fatica durò a ricuperar Monaco ed altri luoghi abbandonati
dagli Austriaci; ed esso Augusto dipoi, nel dì 22 d'ottobre, ebbe la
consolazione di rientrar nella sua capitale fra i plausi dell'amante
popolo suo. Fu in questo mentre fatto dall'esercito franzese l'assedio
della città di Friburgo nella Brisgovia: città che parea inespugnabile,
tante erano le sue fortificazioni, oltre all'essere munita di due
castelli; ma non già tale alla perizia e risoluzion dei Franzesi, ai
quali niuna piazza suol fare lunga resistenza, quando non sia soccorsa
da possente armata di fuori. Lo stesso re Cristianissimo colà giunto in
persona non volle riveder Parigi, se prima non vide quell'importante
fortezza sottomessa all'armi sue. La presenza di questo monarca
animava la gente a sacrificar le sue vite, e gran sangue in fatti
costò quell'impresa a' Franzesi. Ma in fine il comandante austriaco
capitolò la resa della città con ritirare nel dì 7 di novembre la
guernigione ne' castelli, i quali poi si arrenderono anch'essi nel dì
25 d'esso mese, restandone prigioni i difensori. Con queste sì varie
vicende ebbe fine l'anno presente; ne' cui ultimi giorni si solennizzò
in Versaglies alla presenza delle maestà Cristianissime il maritaggio
della principessa _Felicita di Este_, figlia primogenita di _Francesco
III_ duca di Modena con _Luigi di Borbon_ duca di Penthievre della
real casa di Francia, grande ammiraglio di quel regno. Merita ancora
d'essere qui riferita una gloriosa azione del regnante pontefice
_Benedetto XIV_. Per bisogni della cristianità (massimamente nel
secolo XVI) essendo stati contratti dalla camera apostolica dei grossi
debiti, avea essa obbligati gli ordini monastici e i canonici regolari
in Italia a pagarne annualmente i frutti: aggravio assai pesante ai
monisteri, che avea anche sminuito non poco il loro splendore. Portato
da un indefesso amore alla beneficenza il santo padre aprì loro il
campo per redimersi da questo peso, con permettere loro di pagare il
capitale d'essi debiti, e di liberarsi dai frutti. Di questa grazia i
più ne profittarono, con decretar anche perenni memorie a così amorevol
benefattore, il quale nello stesso tempo sgravò la camera dai debiti
corrispondenti. Fra gli altri la congregazion cassinense, in attestato
della sua gratitudine, fatta fare in marmo la statua di sua santità, la
collocò nell'atrio della basilica di Monte Casino fra l'altre di molti
pontefici, tutti benemeriti dell'ordine di San Benedetto.



    Anno di CRISTO MDCCXLV. Indiz. VIII.

    BENEDETTO XIV papa 6.
    FRANCESCO I imperadore 1.


Ebbe principio quest'anno colla morte d'uno dei principali attori della
tuttavia durante tragedia. Era soggetto a gravi insulti di podagra e
chiragra l'_imperador Carlo VII_ duca ed elettor di Baviera. Stavasene
egli nella ricuperata città di Monaco, godendo la contentezza di
vedersi rimesso in possesso di buona parte dei suoi Stati; quando più
fieramente che mai assalito nel dì 17 di gennaio da questo malore,
che gli passò al petto, poscia nel dì 20 con somma rassegnazione
passò all'altra vita. Era nato nel dì 6 di agosto del 1697. Principe,
a cui non mancarono già riguardevoli doti, ma mancò la fortuna, che
nè pure s'era mostrata molto propizia al fu duca suo padre. Gli alti
suoi voli ad altro non servirono che al precipizio proprio e de' suoi
sudditi, condotti per cagione di lui ad inesplicabili guai. Accrebbe
certamente decoro a sè stesso e alla casa propria coll'acquisto
dell'imperial corona; ma poco godè egli di questo splendore in vita, nè
potè tramandarlo dopo di sè a' discendenti suoi. Lasciò esso Augusto
tre principesse figlie e un solo figlio, cioè _Massimiliano Giuseppe_
principe elettorale, nato nel dì 28 marzo del 1727, ch'egli prima
di morire dichiarò fuori di minorità. Ora questo principe conobbe
tosto d'essere rimasto erede del principato avito, ma insieme delle
disavventure del padre, perchè tuttavia la principal sua fortezza,
cioè Ingolstat, ed altre minori piazze erano in mano della regina
d'Ungheria. Oltre a ciò, alquanti giorni dopo la morte dell'augusto
padre peggiorarono gl'interessi suoi, perchè l'armata austriaca
s'impadronì d'Amberga e di tutto il Palatinato superiore. Il peggio fu,
che già si allestiva un gran rinforzo di gente, per invadere di nuovo
la capitale della Baviera, o per costringere questo principe a prendere
misure diverse dalle paterne.

Trovavasi il giovinetto elettore in un affannoso labirinto, dall'una
parte spinto dalle esibizioni e promesse del ministero franzese
per continuare nel precedente impiego, e dall'altra combattuto da'
consigli della vedova imperatrice sua madre _Maria Amalia d'Austria_,
dalla corte di Sassonia e dal maresciallo di Seckendorf, che gli
persuadevano per più utile e sicuro ripiego l'accordare gl'interessi
suoi colla regina d'Ungheria. A queste ultime amichevoli insinuazioni
sul principio d'aprile si aggiunse il terrore dell'armi; perciocchè,
entrato l'esercito austriaco con furore nella Baviera, furono obbligati
i Bavaresi e Franzesi ad abbandonare Straubing, Landau, Dingelfingen,
Kelheim, Wilzhoffen, ed altri luoghi dell'elettorato. Gran
costernazione fu in Monaco stesso, e l'elettore se ne partì alla metà
del mese suddetto, chiamato dai Franzesi a Manheim. Ma egli si fermò in
Augusta a stretti colloquii col conte Coloredo, e con altri parziali
della casa d'Austria; e quivi in fine le persuasioni di chi gli
proponeva l'accordo colla regina prevalsero sopra le altre dei ministri
aderenti alla Francia, i quali restarono esclusi dai trattati. Rinunziò
dunque l'elettore alla lega colla Francia; accettò l'armistizio e
la neutralità, con che restassero in poter della regina le fortezze
d'Ingolstat, Scarding, Straubingen e Braunau, sino all'elezion d'un
imperadore; ed antepose la quiete e liberazion presente de' suoi
Stati alle incerte speranze di conseguir molto più coll'andare in
esilio, e continuare sotto la protezion de' Franzesi. Intorno a questa
sua risoluzione e ad altre condizioni di quei preliminari di pace,
sottoscritti in Fussen nel dì 22 d'aprile, varii furono i sentimenti
dei politici: noi li lasceremo masticare le lor sottili riflessioni.
Per sì fatta mutazion di cose furono costrette le truppe franzesi,
palatine ed hassiane a ritirarsi più che in fretta, e con grave lor
danno, dalla Baviera e da' suoi contorni, perchè sempre insultate dalle
milizie austriache.

Frequenti intanto erano i maneggi degli elettori per dare un nuovo
capo all'imperio, e sul principio di giugno fu intimata in Francoforte
la dieta per l'elezione; affinchè essa seguisse con piena libertà,
giudicarono bene i Franzesi di spedire un grosso esercito comandato
dal _principe di Conty_ al Meno nelle vicinanze d'essa città di
Francoforte. Tanta carità de' Franzesi verso i loro interessi non la
sapeano intendere i principi e circoli dell'imperio, e molto meno volle
sofferir questa violenza la corte di Vienna. Trovavasi verso quelle
parti un esercito austriaco, ma non di tal nerbo da poter intimare la
ritirata ai Franzesi. Il saggio maresciallo _conte di Traun_, giacchè
era tornata la quiete nella Baviera, ebbe l'incombenza di provvedere a
questo bisogno, e poscia ebbe anche la gloria di felicemente eseguirne
il progetto. Con un altro gran corpo d'armata prese egli un giro per
le montagne e luoghi disastrosi, e presso il fine di giugno arrivò ad
unirsi coll'altro esercito comandato dal _conte Batthyani_. A questa
armata combinata sul principio di luglio comparve anche il gran duca
di Toscana _Francesco Stefano di Lorena_, e poco si stette a vedere
scomparire dalle rive del Meno e ritirarsi al Reno l'oste franzese.
Restò con ciò liberata la città di Francoforte da quell'intollerabil
aggravio, e tanto più, perchè il gran duca condusse anch'egli
l'esercito suo ad Heidelberga, lasciando in piena libertà i ministri
deputati all'elezione del futuro imperadore. Essendo poi giunto sul
fine di agosto a Francoforte l'_elettore di Magonza_, si continuarono
le conferenze di quella dieta; e giacchè non fu questa volta disdetto
alla regina d'Ungheria il voto della Boemia, l'elettor di Baviera
nell'accordo con essa regina avea impegnato il suo in favore della
medesima: nel dì 13 di settembre, ancorchè mancassero i voti del re
di Prussia e del palatino, seguì le elezioni di _Francesco Stefano_
duca di Lorena, gran duca di Toscana, marito e correggente della
stessa regina _Maria Teresa_, in re dei Romani, che assunse il titolo
d'imperadore eletto. Mossesi da Vienna questa regnante non tanto
per godere anch'essa in persona di veder la coronazione dell'augusto
consorte, e rimesso lo scettro cesareo nella sua potentissima casa,
quanto ancora per convalidare un patto voluto dagli elettori, cioè
ch'essa regina si obbligasse di assistere colle sue forze il nuovo
Augusto in tutte le sue risoluzioni e bisogni. Fece il suo magnifico
ingresso in Francoforte l'_imperadore Francesco I_ nel dì 21 di
settembre, eseguì poi nel dì 4 di ottobre la di lui solenne coronazione
con indicibil festa e concorso d'innumerabil gente. Si aspettava
ognuno che, secondo lo stile, anche alla regina di lui consorte fosse
conferita l'imperial corona. Per più d'un riguardo se ne astenne la
saggia principessa, più di quell'onore a lei premendo il conservare
i proprii diritti, e l'amore de' suoi Ungheri e Boemi, e il poter
sedere da lì innanzi in carrozza al fianco dell'augusto marito. Accettò
nondimeno il titolo d'imperadrice, e non lasciò di far risplendere in
tal congiuntura la mirabil sua magnificenza, essendosi creduto da molti
che ascendesse a qualche milione il prezzo delle gioie e dei regali
da essa distribuiti agli elettori, ministri, generali delle milizie,
soldati, ed altra gente, tanto che ne stupì ognuno. Si restituirono
poscia le imperiali loro maestà a Vienna, e vi fecero il giulivo loro
ingresso nel dì 27 di ottobre.

Continuava intanto la guerra dell'imperadrice suddetta col re di
Prussia, le cui armi occupavano la Slesia. Nel dì 8 del gennaio
dell'anno presente in Varsavia fra la suddetta Augusta regina, il re
d'Inghilterra e il re di Polonia, come elettor di Sassonia, e gli
Olandesi, fu stabilita una lega difensiva, per cui si obbligò esso
elettore di contribuire trenta mila armati per la difesa del regno
d'Ungheria, con promettergli annualmente le potenze marittime cento
cinquanta mila lire sterline, per questo. E giacchè il re prussiano
s'era messo sotto i piedi il precedente trattato di pace, attese
indefessamente la corte di Vienna ad unire un poderoso esercito
contra di lui, lusingandosi di poter profittare di questa rottura,
per ricuperare la sommamente importante provincia della Slesia
dalle mani di chi avea mancato alla fede. Altri conti faceva il re
di Prussia, le cui truppe a maraviglia agguerrite, forti e spedite
nei combattimenti, hanno in questi ultimi tempi conseguito un gran
credito nelle azioni militari. All'apertura della campagna il principe
_Carlo di Lorena_ marciò animosamente coi Sassoni in traccia della
nemica armata. Seguirono varii incontri, finchè nel dì 4 di giugno
prese Striegau e Friedberg, esso principe, forse contro sua voglia,
venne ad una giornata campale con esso re. Toccò una gran rotta agli
Austriaco-Sassoni, non avendo il principe assai per tempo avvertita
la svantaggiosa situazione sua, per cui non potea passare la sua
cavalleria, e la vantaggiosa dell'esercito prussiano. Confessarono i
vinti la perdita di nove mila persone fra uccisi, feriti e prigioni.
Pretesero all'incontro i vincitori prussiani, che de' loro avversari,
quattro mila restassero estinti nel campo, sette mila fossero i
prigioni, fra i quali ducento gli uffiziali, coll'acquisto di sessanta
cannoni, trentasei bandiere ed otto paia di timbali, oltre lo spoglio
del campo. Furono perciò obbligati gli Austriaci e Sassoni a ritirarsi
con grave disagio nella Boemia, per attendere alla difesa, e furono
colà inseguiti dai nemici. Ritirossi poscia nel settembre da essa
Boemia il re di Prussia, e con un manifesto, e coll'avvicinamento
delle sue truppe cominciò a minacciar la Sassonia. L'inseguì in questa
ritirata il principe di Lorena, e nel dì 30 di esso mese a Prausnitz
in Boemia andò coll'esercito suo ad assediarlo. Ebbe anche questa
volta la fortuna contraria, e lasciò in mano dei nemici la vittoria,
con perdita forse di tre mila persone, di trenta pezzi di cannone e di
molte insegne. Ma nè pure il Prussiano potè gloriarsi molto di questa
giornata, perchè anch'egli perdè non solo assai gente, ma anche la
maggior parte del bagaglio proprio e dei suoi uffiziali: stante l'avere
il generale Trench co' suoi Ungheri atteso nel bollore della battaglia
a ciò che più gli premeva, cioè a quel ricco bottino, e a far prigione
chiunque ne aveva la guardia. Fu creduto che se essi Ungheri, senza
perdersi nel saccheggio, avessero secondato il valor degli Austriaci,
con menar anch'essi le mani, ed assalir per fianco i nemici, come era
il concerto, sarebbe andata in isconfitta l'armata prussiana.

Ora essendosi inoltrato il re di Prussia nei confini della Sassonia,
nel dì 23 di novembre si affrettò di prevenir l'unione degli Austriaci
coi Sassoni, e gli riuscì di dare una rotta ad alquanti reggimenti
della Sassonia, colla morte di circa due mila d'essi, e colla
prigionia di altrettanti. Si tirò dietro questa vittoria un terribile
sconvolgimento di cose. Imperciocchè l'elettor sassone re di Polonia
prese le precauzioni di ritirarsi colla real famiglia e co' suoi più
preziosi arredi in Boemia e non finì il mese che le truppe prussiane
entrarono in Mersburg e Lipsia; e il re loro nello stesso tempo con
altro corpo di gente s'impadronì di Gorlitz. Inorridì ognuno all'udir
le smisurate contribuzioni di due milioni e mezzo di fiorini, intimate
al popolo di Lipsia, da compartirsi poi sopra tutto l'elettorato
di Sassonia, con dar tempo di sole poche ore al pagamento. Convenne
contribuire quanto di danaro, gioie ed argenterie si potè unire, in
quel brutto frangente, e dar buone sicurtà mercantili pel residuo.
Anche nel dì 15 di dicembre seguì un altro fatto d'armi fra i Prussiani
e gli Austriaco-Sassoni, colla peggio degli ultimi; dopo di che furono
aperte le porte di Dresda ai re di Prussia. Per cotanta felicità del re
nemico conobbero in fine tanto _Federigo Augusto III_ re di Polonia,
quanto l'imperadrice _Maria Teresa_, la necessità di trattar di pace.
Da Vienna dunque con plenipotenza volò il ministro d'Inghilterra a
trovare _Carlo Federigo III_ re di Prussia, e a maneggiar l'accordo.
Ossia che l'imperadrice della Russia minacciasse il Prussiano, o
pure che altri riguardi movessero esso re: certo è che nel dì 25
di dicembre seguì la pace fra quelle tre potenze, uniformandosi al
precedente trattato di Breslavia, con altri patti, che io tralascio.
Ritiraronsi perciò da lì a non molto l'armi prussiane dalla Sassonia;
e siccome il re elettore se ne tornò al godimento de' suoi Stati,
così l'imperadrice, sbrigata da sì fiero e fortunato avversario potè
attendere con più vigor da lì innanzi a sostenere gli affari suoi in
Italia.

Gran guerra fu eziandio in Fiandra nell'anno presente. Sul fine
d'aprile il valoroso _conte di Sassonia_ maresciallo di Francia con
potente esercito si portò all'assedio di Tournai. V'era dentro un
presidio di nove mila alleati che prometteva gran cose, e certamente
non mancò al suo dovere. Lo stesso re Cristianissmo _Luigi XV_ col
figlio Delfino volle ancora in quest'anno incoraggir quell'impresa
colla presenza sua, e ben molto giovò. Imperciocchè nel dì 11 di maggio
ii giovane _duca di Cumberland_, secondogenito di _Giorgio II_ re
della Gran Bretagna, comandante supremo dell'armata dei collegati in
Fiandra, assistito dal saggio maresciallo _conte di Koningsegg_ (i cui
consigli non furono questa volta attesi) andò con tutte le sue forze ad
assalire i Franzesi a Fontenay. Nove ore durò l'aspro combattimento,
in cui l'esercito collegato superò alcuni trinceramenti, e fece
anche piegare i nemici; ma sopraggiunte le guardie del re, cangiò
aspetto la battaglia, e furono essi alleati costretti a ritirarsi con
disordine ad Ath, con restare i Franzesi padroni del campo, di molte
bandiere, stendardi e cannoni, e con fare circa due mila prigioni.
Che comperassero i Franzesi ben caro questa vittoria, si argomentò
dall'aver essi contato fra morti e feriti quattrocento cinquanta de'
loro uffiziali. Nel dì 23 di maggio la guernigione di Tournay cedè
la città agli assedianti, e si ritirò nella Cittadella, dove, con far
più prodezze, si sostenne sino al dì 20 di giugno. Le furono accordati
patti di buona guerra, a riserva di non potere per tutto il presente
anno militare contro i Franzesi. Era esso presidio ridotto a sei
mila persone. Andò poi rondando l'accorto maresciallo di Sassonia per
alquanti giorni, senza prevedersi dove piombare; quando improvvisamente
spedì un corpo dei suoi, i quali, dopo aver data una rotta a sei
mila Inglesi che marciavano alla volta di Gant, colla scalata
s'impadronirono, nel dì 11 di luglio, della stessa vasta città di Gant,
e nel dì 16 anche del castello. Copiosi magazzini di farine, biada,
biscotto, fieno ed abiti da soldati si trovarono in quella città,
e furono di buon cuore occupati dai Franzesi. Nel dì 21 di luglio
entrarono l'armi galliche anche in possesso di Oudenarde, Grammont,
Alost, e poscia di Dendermonda: dopo di che passarono sotto Ostenda, e
verso la metà d'agosto ne impresero l'assedio e le offese.

Chiunque sapea quanta gente e che smisurato tempo costasse il vincere
quell'importante piazza nelle vecchie guerre di Fiandra, stimava di
mirare anche oggidì le stesse maraviglie di ostinata difesa. Ma non
son più quei tempi, e le circostanze ora sono ben diverse. Il prendere
le piazze anche più forti è divenuto un mestier facile all'ingegno
e valore delle armi franzesi. Ostenda nel dì 23 del suddetto mese
d'agosto con istupore d'ognuno capitolò la resa, e quel presidio
ottenne onorevoli condizioni. Avendo con questa segnalata impresa il re
Cristianissimo coronato la sua campagna, carico di palme se ne tornò
a Parigi e a Versaglies. Anche Neuport, fortezza di gran conseguenza,
nel dì 5 di settembre venne in potere de' Franzesi, ed altrettanto
fece Ath nel dì 8 di ottobre. Un gran dire dappertutto era al mirare
con che favorevol vento procedessero in Fiandra le armate franzesi, e
qual tracollo venisse ivi agl'interessi dell'imperadrice Maria Teresa.
Eppure qui non si fermò l'applicazione del gabinetto di Francia.
Sul principio d'agosto, assistito qualche poco da essi Franzesi, il
cattolico principe di Galles _Carlo Odoardo_, figlio di _Giacomo III
Stuardo_ re d'Inghilterra, già chiamato nel precedente anno in Francia,
ebbe la fortuna di passare sopra una fregata con alcuni suoi aderenti,
e buona copia d'armi e danaro in Iscozia, dove fu accolto con festa da
molti di que' popoli, che non tardarono a sollevarsi, e a riconoscere
per loro signore il di lui padre. Prese tosto tal piede quell'incendio,
che _Giorgio II_ re d'Inghilterra, non tanto per opporsi ai progressi
di questo principe, quanto ancora per sospetti che non si trovasse
qualche rivoluzione nel cuore del regno, richiamò a Londra parte delle
sue truppe esistenti in Fiandra, e fece anche istanza agli Olandesi del
sussidio di sei mila soldati, al quale erano tenuti secondo i patti,
e bisognò inviarli. Contribuì non poco tal avvenimento a facilitar
le conquiste de' Franzesi nei Paesi Bassi. Non mi fermerò io punto
a descrivere quegli avvenimenti, perchè oramai mi chiama l'Italia a
rammentare i suoi.

Fermossi per tutto il verno dell'anno presente col quartier generale
austriaco in Imola il _principe di Lobcowitz_, e si stendevano le sue
truppe per tutta la Romagna. Nello stesso tempo il generale spagnuolo
_conte di Gages_ faceva riposar le sue milizie su quel di Viterbo
e nei contorni, lagnandosi indarno gl'innocenti popoli dello Stato
ecclesiastico di sì fatto aggravio. Diverso nondimeno era il danno
loro inferito da queste armate; perchè gli Austriaci, non contenti
delle naturali, esigevano anche esorbitanti contribuzioni in danaro
dalle legazioni di Bologna, Ferrara e Romagna. Passati i primi giorni
di marzo, giacchè il _conte di Gages_ era stato rinforzato da molti
squadroni spediti dalla Spagna e da un corpo di Napolitani, con essere
in viaggio altre schiere per unirsi con lui, mise in moto l'armata
sua alla volta di Perugia, e quindi per tre diverse strade valicò lo
Apennino; e nel dì 18 cominciarono quelle truppe a comparire a Pesaro.
Credevasi che gli Austriaci postati a Rimino fossero per far testa; ma
non si tardò molto a vedere l'inviamento de' loro spedali alla volta
del Ferrarese, per di là passare a Mantova; e da che i Napolispani
s'inoltrarono verso Fano, il _principe di Lobcowitz_, incendiati i
proprii magazzini, cominciò a battere la ritirata verso Cesena, Forlì e
Faenza. Parea che i Napolispani avessero l'ali; non l'ebbero meno gli
Austriaci; talmente che, arrivato il principe suddetto, nel dì 5 di
aprile, a Bologna coll'armata, non le diede riposo, e fecela marciare
alla volta della Samoggia. Ma da che cominciarono i nemici a comparire
di qua da Bologna, egli postò nel dì 10 di esso mese tutto l'esercito
suo di qua dal Panaro sul Modenese.

Arrivato che fu da Venezia a Bologna anche _Francesco III d'Este_ duca
di Modena, generalissimo dell'armata napolispana, s'inviò questa in
ordinanza di battaglia verso il suddetto Panaro, e nel dì 13 di aprile
nelle vicinanze di Spilamberto lo passò, benchè fosse accorso colà
il _principe di Lobcowitz_ con apparenza di voler dare battaglia. Ma
senza aver fatto alcuna prodezza, si vide la sera tutto l'esercito
austriaco passar lungo le mura di Modena: esercito che servì di
scusa al generale, se altro non cercava che di ritirarsi; perchè
comparve smilzo più d'un poco agli occhi dei molti spettatori. Venne
il Lobcowitz ad accamparsi fra la cittadella di Modena e il fiume
Secchia, mentre i Napolispani andarono a piantare le tende al Montale,
e ne' luoghi circonvicini sino a Formigine, quattro miglia lungi
dalla città. Si figurarono molti che il pensier loro fosse di entrare
in Modena, e già il Lobcowitz avea aggiunto al ponte alto un altro
ponte di barche, per salvarsi di là dal fiume, qualora tentassero i
nemici di assalirlo in quel posto: saggia risoluzione, perchè, passato
di là, non paventava di loro; e quand'eglino avessero in altri siti
superato il fiume, egli se ne sarebbe tornato in sicuro da quest'altra
parte. Ma altri erano i disegni de' Napolispani. Correvano allora i
giorni santi, e vennero quelli ancora di Pasqua: con che divozione li
passassero i Modenesi non sentendo altro che la desolazione del loro
paese per le due vicine armate, facilmente si può immaginare. Ed ecco
che nella notte precedente il dì 22 d'aprile i Gallispani alla sordina
levarono il campo, e per la strada di Gorzana s'avviarono alla volta
delle montagne di San Pellegrino. Una impensata fiera disavventura
arrivò ad esse truppe nel passare per colà in Garfagnana, perchè, colte
da un'improvvisa neve, che principiò a fioccare, e trovandosi senza
foraggi e biade in que' monti, fecero orridi patimenti; seguì non lieve
diserzione di gente, e più di cinquecento cavalli e muli lasciarono
l'ossa su quelle balze. Calati poi nella Garfagnana i Gallispani, sì
improvvisamente arrivarono addosso alla fortezza di Montalfonso, che
quel comandante austriaco, sorpreso senza vettovaglia, si arrendè tosto
col presidio prigioniere di guerra; ed avendo poi fatto altrettanto
quello della Verucola, tornò tutta quella provincia all'ubbidienza
del duca di Modena suo legittimo sovrano. Speravano i Garfagnini un
trattamento da amici dalle truppe spagnuole, e provarono tutto il
contrario. Passò da lì a poco quell'armata sul Lucchese, e stesesi
fino a Massa, dando assai a conoscere ch'essa era per volgersi verso
il Genovesato, a fine di unirsi coll'altra armata de' Gallispani che
si andarono adunando nella riviera occidentale di Genova. Si avvide
per tempo di questo loro disegno il generale austriaco principe di
Lobcowitz; e perciò anch'egli nel dì 23 d'aprile sollecitamente alzò
il campo dai contorni di Modena, e s'avviò alla volta di Reggio,
e di là poi andò a mettere il suo quartiere a Parma, con ispedire
varii distaccamenti in Lunigiana, a fine d'impedire o frastornare il
passaggio de' nemici nel territorio di Genova. In fatti, allorchè
nel dì 9 di maggio si misero i Napolispani a passare la Magra, ne
riportarono una buona percossa: dopo di che arrivarono in fine dopo
tante faticose marcie a prendere riposo nelle vicinanze di Genova.

Si venne a poco a poco da lì innanzi svelando un arcano che avea dato
molto da pensare e da discorrere nei giorni addietro. Molto tempo
era che la repubblica di Genova andava facendo un grande armamento
di nazionali, di Corsi, e di qualunque disertore che capitava in
quelle parti. Chi credea con danaro proprio di essi Genovesi, e chi
colla borsa di Spagna. Tanto gl'Inglesi, padroni per la potente lor
flotta del Mediterraneo, quanto _Carlo Emmanuele_ re di Sardegna
se ne allarmarono, ed inviarono ministri a chiedere il perchè si
facesse quella massa di gente. Altra risposta non riceverono, se
non che trovandosi da ogni parte attorniati da armate gli Stati di
quella repubblica, il senato per propria difesa e sicurezza avea
messe insieme quell'armi. Ma i saggi, che penetravano nel midollo
delle cose, sospettarono di buon'ora la vera cagione di tal novità.
Non fu sì segreto il trattato di Worms, fatto dal re di Sardegna
colle corti di Londra e di Vienna, che non traspirasse accordato al
medesimo re l'acquisto ancora del Finale, già appellato di Spagna.
Del che si maravigliarono non pochi; perciocchè dallo strumento della
vendita d'esso Finale fatta dall'imperador _Carlo VI_ ai Genovesi non
apparisce alcuna restrizione, se non che quel marchesato restasse feudo
imperiale. Ma il re di Sardegna volle in tal congiuntura che si avesse
riguardo alle antiche pretensioni e ragioni della sua real casa su
quel feudo. Dovettero ben trovarsi imbrogliati i ministri della regina
per accordar questo punto, stante l'evizione promessa dall'Augusto
Carlo nella vendita; e pure convenne accordarlo. Sommamente restarono
irritati per questo i Genovesi contra del re di Sardegna, e non fu
perciò difficile alle corti di Francia, Spagna e Napoli di manipolare
un trattato di aderenza d'essa repubblica all'armi loro, mercè della
promessa di assicurarla del dominio e godimento di quello Stato,
allorchè si tratterebbe di pace. Altri vantaggi ancora le esibirono
a tenor delle conquiste che si meditavano nella presente guerra.
Entrarono pertanto i Genovesi nell'impegno, ed aspettarono a cavarsi la
maschera allorchè gli Spagnuoli si avanzarono verso i loro confini. Di
gran conseguenza fu per li Gallispani l'accrescimento di questi nuovi
alleati, che si dichiararono ausiliarii della Spagna, perchè, oltre
al riguardevol rinforzo delle lor genti, si venne ad aprire una larga
porta pel Genovesato all'armi di essi Gallispani, quando probabilmente
non avrebbono essi potuto trovarne un'altra sì facile per calare in
Lombardia.

Giù nella Savoia era passato colle sue genti in Provenza il reale
infante _don Filippo_, e quivi avea ricevuto un buon sussidio di
altri fanti e cavalli, a lui spediti dal re suo genitore: nel qual
tempo ancora non cessavano di andar giugnendo a Nizza e Villafranca
sciabecchi spagnuoli, portanti artiglierie, attrezzi e munizioni, senza
chiederne passaporto ai nemici Inglesi, i quali sembravano chiudere
gli occhi a que' trasporti, ma verisimilmente non li poteano impedire,
anzi andavano facendo prede di tanto in tanto. Era anche in marcia
un corpo di non so quante migliaia di fanteria e cavalleria franzese,
sotto il comando del maresciallo _marchese di Maillebois_, per venire
ad unirsi con esso infante. Andò poi come potè il meglio l'armata
spagnuola progredendo per le disastrose strade della riviera di Ponente
alla volta di Savona. Fu richiamato in questo tempo alla corte di
Vienna il _principe di Lobcowitz_, per valersi di lui nell'importante
guerra di Boemia. Ora l'esercito austriaco, informato che il corpo
degli Spagnuoli comandato dal _duca di Modena_, e rinforzato da due
mila cavalli e tre mila fanti, staccati dall'armata dell'infante,
si era inoltrato sino alla Bocchetta, dopo la metà di giugno, per
opporsi al loro avanzamento, entrò nel Genovesato, impadronendosi
di Novi. Anche il re di Sardegna, a cui la morte nel dì 29 di maggio
avea tolto il _marchese d'Ormea_, gran cancelliere ed insigne primo
ministro suo, mandò le sue milizie ad accamparsi nei siti per dove
potea l'infante _don Filippo_ tentare il passaggio in Lombardia.
Fermaronsi gli Austriaci in Novi sino al principio di luglio, quando
il _duca di Modena_ unito al _general Gages_ marciò a quella volta
con tutte le forze dell'oste napolispana, e gli obbligò a ritirarsi
a Rivalta, e nelle vicinanze di Tortona. Nello stesso tempo anche
l'infante coll'esercito gallispano, mossosi da Savona, e passato lo
Apennino, arrivò a Spigno, e pel Cairo venne ad impadronirsi della
città di Acqui nel Monferrato, con fare retrocedere i Savoiardi.
Parimente con altro corpo di gente il maresciallo di Maillebois calò
per la valle di Bormida: laonde fu obbligato il general piemontese
Sinsan a ritirarsi da Garessio a Bagnasco, per coprire il forte di
Ceva. Alla metà di luglio, allorchè s'intese in piena marcia l'esercito
napolispano alla volta di Capriata, e il gallispano procedere verso
Alessandria, il _conte di Schulemburgo_, general comandante delle
armi austriache, ridusse le sue truppe (colle quali si unì anche la
maggior parte dei Savoiardi) a Montecastello e a Bassignana, formando
quivi un accampamento sommamente vantaggioso pel sito difeso dal Po e
dal Tanaro, e insieme dalla città di Alessandria, con cui tenea quel
campo una continua comunicazione. Venne circa il dì 23 di luglio ad
unirsi il reale infante coll'esercito comandato dal duca di Modena, e
passarono poi tutti ad accamparsi tra il Bosco e Rivalta, stendendosi
sino a Voghera. Intanto fu data commissione al _marchese Gian Francesco
Brignole_, general comandante delle truppe genovesi, di far l'assedio
del vecchio castello di Serravalle, e si attese alle occorrenti
disposizioni del bisognevole, per imprendere quello di Tortona e della
sua cittadella.

Solamente nel dì 15 d'agosto parte dell'esercito collegato di Spagna
si presentò sotto essa Tortona; e perchè quella città è priva di
fortificazioni, il comandante savoiardo, dopo aver sostenuto per
alquanti giorni il fuoco dei nemici, l'abbandonò, ritirando nella
cittadella, o sia nel castello, il suo presidio. Alzaronsi poscia
batterie di cannoni e mortari per bersagliar quella fortezza, e nel
dì 23 si diede principio alla lor sinfonia. Comune credenza era, che
quel castello farebbe lunga difesa, stante la situazione sua sopra un
monte o colle, per non poter esser battuto, se non da un lato, cioè
dal declivo settentrionale della stessa collina. Ma attaccatosi fuoco
nelle fascinate delle fortificazioni esteriori, quella guernigione nel
dì 3 di settembre capitolò la resa, con obbligarsi di non servire per
un anno contra degli alleati della Spagna. Si era già sul principio
d'agosto renduto Serravalle all'armi collegate, con restar prigioniero
di guerra quel tenue presidio. Cominciarono allora i Genovesi a
raccogliere il frutto della loro aderenza alla Spagna, perchè fu
conceduto ad essi il possesso e governo non solamente di quel castello,
ma anche del marchesato d'Oneglia. Sbrigatosi dall'impedimento di
Tortona il real infante _don Filippo_, fu sollecito a spedire il duca
di Vieville con un grosso distaccamento di cavalleria e fanteria e con
cannoni all'acquisto di Piacenza. In quella città non restava se non il
presidio di circa trecento uomini, avendo conosciuto il re di Sardegna
di non poterla sostenere. Perchè quel comandante ricusò di aprir
le porte, gli Spagnuoli impazienti, avendo recato seco delle scale,
improvvisamente diedero la scalata alle mura verso Po, e vi entrarono
nel dì 5 di settembre. Ritirossi la guernigione nel castello, lasciando
esposta la cittadinanza al pericolo di un sacco. La protezione di
_Elisabetta Farnese_ regina di Spagna, quella fu che li salvò da
questo flagello; ed accorsa la nobiltà, con far portare commestibili
alle truppe, acquetò tosto il romore. Volle il comandante piemontese
del castello, prima di rendersi, l'onore di essere salutato con molte
cannonate, e poscia nel dì 13 di esso mese si rendè a discrezione. Quei
presidiarii, che non erano nè savoiardi, nè tedeschi, ma italiani quasi
tutti, si liberarono dalla prigionia con prendere partito nell'armata
di Spagna. Ciò fatto, nel dì 16 comparve a Parma un distaccamento di
Spagnuoli, che niuna difficoltà trovò ad impadronirsene, giacchè gli
Austriaci ne aveano precedentemente menato via il cannone, e tutti
gli attrezzi e le munizioni da guerra, e il loro presidio ne avea
preso congedo per tempo. Volarono corrieri a Madrid con queste liete
nuove, nè s'ingannò chi credette che la magnanima regina di Spagna
intendesse con particolar giubilo e consolazione il riacquisto del
suo paterno retaggio. Fu preso dal generale marchese di _Castellar_ il
possesso di quella città, e di tutto il dominio già spettante alla casa
Farnese, a nome di essa Cattolica regina; ed egli pubblicò poscia uno
straordinario editto, vietante ogni sorta di giuoco d'azzardo, sotto
pene gravissime: regolamento invidiato, ma non isperato da altre città.
Dopo l'acquisto di Parma fu creduto che di quel passo verrebbono gli
Spagnuoli fino a Modena; e persuasi di ciò gli uffiziali savoiardi,
spedirono via in fretta i loro equipaggi. Ma altro non ne seguì,
meditando gli Spagnuoli imprese di maggior loro vantaggio.

Diede in questi tempi il generale di essi _conte di Gages_ un nuovo
saggio della sua avvedutezza, mostrata in tante altre militari
azioni. Fatto gittare un ponte alla Stella verso Belgioioso, spinse
all'altra riva un corpo di tre mila granatieri con della cavalleria.
Pareano le sue mire volte a Milano: il che fu cagione che dal campo
Austriaco-sardo di Bassignana fossero spediti con diligenza quattro
mila soldati per coprire quella città. Ma il Gages all'improvviso fece
marciare il duca di Vieville con quella gente a Pavia. Soli cinquecento
Schiavoni, parte dei quali anche o malata o convalescente, si trovavano
in quella città di molta estensione: laonde non durarono fatica con una
scalata di Spagnuoli a mettervi dentro il piede nella notte precedente
il dì 22 di settembre, con fare un acquisto di somma importanza
nelle congiunture presenti, stante la situazione di quella città,
che, oltre all'essere di là da Po, ha anche il suo ponte a cavallo
del Ticino. Ottenne quel tenue presidio, ritiratosi nel castello, di
potersene andare, con obbligo di non militare per un anno contra dei
Gallispani e loro alleati. Per non essere ben informati gli Spagnuoli,
perderono allora un bel colpo. Nel castello di Milano erano, secondo
la disattenzione austriaca, smontati quasi tutti i cannoni; poco più
di cento soldati stavano alla sua difesa, e questi senza viveri, che
per cinque o sei giorni. Se colà marciavano a dirittura gli Spagnuoli,
troppo verisimilmente veniva quell'insigne castello in breve alle
lor mani. Nè pur Pizzighettone si trovava allora in migliore arnese.
Ebbero dunque tempo il generale conte Pallavicini e il conte Cristiani
gran cancelliere di provvedere con indicibil diligenza di tutto il
bisognevole quelle due fortezze, sicchè le medesime si risero poi pei
susseguenti attentati nemici. Intanto per mare, non ostante il continuo
girare de' vascelli inglesi, andavano continuamente giugnendo a Genova
parte da Napoli e parte dalla Catalogna nuovi rinforzi di gente, di
artiglierie e munizioni, destinati al campo spagnuolo. La presa di
Pavia cagion fu che il generale austriaco _conte di Schulemburgo_
colle sue truppe ripassasse il Po, per vegliare alla sicurezza di
Milano, restando nondimeno a portata di poter recare soccorso, mercè
di un ponte sul Po, al re di Sardegna, rimasto colle sue milizie
nell'accampamento di Bassignana. Erasi fin qui esso re _Carlo
Emmanuele_ fermato in quel sito, attendendo a sempre più fortificarlo,
e a visitar sovente la città d'Alessandria, a cui pure facea
continuamente accrescere nuove fortificazioni. Ma da gran tempo andava
studiando il conte di Gages col duca di Modena di farlo sloggiare di
là, perchè senza di questo nulla v'era da sperare contro Alessandria,
Valenza ed altri luoghi superiori dietro il Po. Giacchè loro era
riuscito di separare la maggior parte delle milizie austriache dalle
piemontesi, lasciato un convenevol presidio in Pavia, si ridussero di
qua da Po; ed unito lo sforzo de' suoi Napoletani, Franzesi e Genovesi,
nella sera del dì 26 di settembre mossero da Castelnuovo di Tortona
l'esercito per passare il Tanaro, ed assalire i forti trincieramenti,
nei quali dimorava il re di Sardegna colle sue truppe.

Marciava in sei colonne questa potente armata, e nella prima si trovava
lo stesso _Gages_ col _duca di Modena_, a fin di fare in varii siti
un vero o finto assalto. Sullo spuntar dell'aurora del dì 27, dato
il segno della battaglia con tre razzi dalla torre di Piovera, fanti
e cavalli allegramente guadarono il fiume, e da più parti, secondo
il premeditato ordine, piombarono addosso agli argini e fossi del
campo nemico. Aveano essi creduto di andare a un duro combattimento,
e si trovò che, a riserva del primo insulto a quelle trincee, non
vi fu occasion di combattere. Perciocchè il re di Sardegna, appena
scoperto il loro disegno, senza voler avventurare il nerbo delle sue
genti, ordinò la ritirata, a cui gli altri diedero il nome di fuga.
Furono veramente inseguiti i Savoiardi dai carabinieri reali e dalle
guardie del duca di Modena, e da altri corpi di cavalleria spagnuola;
ma cinque reggimenti sardi a cavallo, postati sopra un'altura in
ordinanza, coprirono in maniera la ritirata delle artiglierie e la
lor fanteria, che questa, quantunque sbandata, parte si ridusse a
Valenza, e parte ad Alessandria. Con sommo disordine poscia scamparono
anche quei reggimenti. Al primo romore avea bene il real sovrano di
Sardegna chiesto soccorso al conte di Schulemburgo, che colle sue
truppe stava accampato di là da Po, nè tardò egli punto a muoversi;
due anche de' suoi reggimenti passarono allora in aiuto d'esso re; e
da che videro come in rotta i Savoiardi, arditamente quasi per mezzo
ai nemici si ritirarono a Valenza anch'essi. Ma perciocchè non furono
pigri i Gallispani a marciar verso il ponte sul Po, che manteneva la
comunicazione co' Piemontesi; e presa la testa del medesimo, voltarono
due cannoni ivi trovati contro gli Austriaci: questi, o perchè
trovarono interdetto l'ulteriore passaggio, o perchè conobbero già
finita la festa, diedero il fuoco al ponte medesimo, e se ne tornarono
al loro accampamento. Sicchè andò a terminare questa precipitosa
impresa in poca mortalità di gente, in avere i collegati acquistato
non già più che nove cannoni, due stendardi e il bagaglio di tre
reggimenti. Si fece ascendere il numero de' prigioni savoiardi sin
a due mila, fra i quali trentasette uffiziali, e ad alcune centinaia
di cavalli; parte dei quali feriti nelle groppe. Non mancò in questa
disgrazia al re sardo la lode di aver saputo salvare la maggior parte
delle sue truppe ed artiglierie.

Vollero in questi tempi gl'Inglesi far provare il loro sdegno alla
repubblica di Genova per la sua aderenza alla Spagna. Presentatasi
nel dì 26 di settembre una squadra delle lor navi contro la medesima
città, con alquante palandre, cominciò a gittar delle bombe; ma
conosciuto che queste non arrivavano a terra, e intanto i cannoni del
porto non istavano in ozio, tardarono poco a ritirarsi, senza avere
inferito alcun danno alla città. Passarono essi dipoi al Finale,
e fecero quivi il medesimo giuoco contro quella terra, che loro
corrispose con frequenti spari d'artiglierie: laonde, vedendo di nulla
profittare, anche di là se n'andarono con Dio. Non così avvenne alla
tanto popolata terra, o sia città di San Remo, dove o non seppe o non
potè far difesa quel popolo. Secento bombe e tre mila cannonate delle
navi inglesi fecero un lagrimevol guasto in quelle case, ed immenso
danno recarono a quegl'industriosi abitanti. Andarono intanto gli
Austriaci e Piemontesi ad unirsi in Casale di Monferrato, vegliando
quivi agli andamenti de' Gallispani, i quali, perchè Alessandria
era rimasta in isola, nel dì 6 di ottobre sotto di essa aprirono la
trincea. Sino alla notte precedente al dì 12 si tenne forte in quella
città il _marchese di Carraglio_, general veterano del re di Sardegna,
e si ridusse poi con tutti i suoi nella cittadella, di modo che nel
dì seguente pacificamente entrarono in essa città i Gallispani. Avea
nei tempi addietro il re sardo con immense spese atteso a fornir
quella cittadella di tutte le più accreditate fortificazioni dentro e
fuori; abbondanti munizioni da guerra e provvisioni di vettovaglie vi
erano state poste; grosso era il presidio. Per queste ragioni, e per
essere molto avanzata la stagione, troppo impegno essendo sembrato ai
Gallispani l'imprendere quell'assedio, unicamente si pensò a vincere
colla fame una sì rilevante fortezza. Lasciatala dunque bloccata
con sufficiente numero di truppe, il resto della loro armata passò
all'assedio di Valenza, sotto di cui nel dì 17 d'ottobre diedero
principio alle ostilità. Venne in questi tempi al comando dell'armata
austriaca _Wincislao principe di Lictestein_, di una delle più nobili
e più ricche case della Germania, e personaggio di somma prudenza
e pietà, in cui non si sapea se maggior fosse la generosità, o la
cortesia e l'onoratezza: delle quali virtù avea lasciata gran memoria
nell'ambasceria a Parigi, e in tante altre occasioni. Dacchè furono
inoltrati gli approcci sotto Valenza, e si videro gli assedianti in
procinto di dare l'assalto ad una mezza luna, il comandante d'essa
fortezza _marchese di Balbiano_ ne propose la resa agli aggressori; ma,
ricevuta risposta che si voleva la guernigion prigioniera, egli nella
notte avanti al dì 30 del mese suddetto con tutta segretezza abbandonò
la piazza, lasciando dentro solamente cento uomini nel castello,
oltre a molti malati. Il resto di sua gente, che consisteva in mille e
novecento soldati, in varie barche felicemente si trasportò co' suoi
bagagli di là da Po, con aver anche danneggiato i Gallispani, che,
prevedendo questo colpo, tentarono di frastornare il loro passaggio.
Entrati i vincitori in Valenza vi trovarono circa sessanta cannoni, ma
inchiodati, molti mortari, e buona quantità di munizioni ed attrezzi
militari.

Giacchè il _re di Sardegna_ e il _principe di Lictestein_ s'erano
ritirati da Casale coll'esercito loro di là da Po a Crescentino,
passarono i Gallispani ad essa città di Casale, che aprì loro le
porte nel dì 5 di novembre. Il castello guernito di secento uomini
si mostrò risoluto alla difesa, e però ne fu impreso l'assedio, ma
con somma lentezza, ancorchè colà ridotti si fossero l'_infante don
Filippo_, il _duca di Modena_, il _conte di Gages_ e il _maresciallo
di Maillebois_. Erano cadute esorbitanti pioggie, che fuori dell'usato
durarono sino al fine dell'anno. In quel grasso terreno vicino al Po si
trovarono rotte a dismisura le strade, ed immenso il fango, talmente
che i muli destinati per condurre da Valenza il cannone e le carrette
delle munizioni restavano per istrada, e trovavano la sepoltura in
quegli orridi pantani. Dall'escrescenza ed inondazione del Po fu anche
obbligato il re di Sardegna a ritirare il suo campo verso Trino e
Vercelli. Intanto circa il dì 8 di novembre passarono i Francesi ad
impadronirsi della città d'Asti, il cui castello, fatta resistenza sino
al dì 18, si rendè, restando prigioniere il presidio. In questi tempi,
cioè nel dì 17 d'esso mese, comparve sotto la Bastia capitale della
Corsica una squadra di vascelli inglesi, che, fatta indarno la chiamata
al governator _Mari_ Genovese, si diede a fulminar quella città con
bombe e cannonate, proseguendo sino al dì seguente quell'infernale
persecuzione; e poi, spinta da venti furiosi, passò altrove. Restò sì
smantellata e in tal desolazione la misera città, che il governatore,
informato dell'avvicinamento del colonnello Rivarola con tre mila Corsi
sollevati, giudicò bene di ritirarsi di là: sicchè venne quella piazza
in poter d'essi corsi. Per tal novità gran bisbiglio ed affanno fu in
Genova. Intanto, essendosi continuati gli approcci e le offese sotto
il castello di Casale, quel comandante savoiardo si vide obbligato
alla resa, con restar prigioniera di guerra la guernigione. Volle il
_maresciallo di Maillebois_ il possesso e dominio di quella città a
nome del re Cristianissimo, ed altrettanto avea fatto d'Asti, d'Acqui
e delle altre terre di que' contorni. Sì esorbitanti poi furono le
contribuzioni di danaro e di naturali, imposte dai Franzesi a quel
paese, che svegliarono orrore, non che compassione, in chiunque le udì.
Nell'Astigiano le truppe quivi acquartierate levavano anche i tetti
delle case per far buon fuoco. Passò dipoi l'_infante don Filippo_
e il _duca di Modena_ col meglio delle loro forze a Pavia. Eransi
già impossessati gli Spagnuoli di Mortara, del fertilissimo paese
della Lomellina, e di tutto l'antico territorio pavese, con giubilo
incredibile di que' cittadini, che aveano cotanto deplorato in addietro
un sì fiero smembramento del loro distretto. Aveano in oltre essi
Spagnuoli posto il piede in Vigevano, e meditavano di volgere i passi
alla volta di Reggio e Modena; quando venne loro un assoluto ordine
della corte di Madrid di passare a Milano.

Si sapea che non troverebbono intoppo ai loro passi. Il _duca di
Modena_ era di sentimento che si dovesse tenere unito tutto l'esercito
fra Pavia e Piacenza e non istenderne o sparpagliarne le forze; e
il _conte di Gages_, quantunque disapprovasse quell'impresa, pure
fu forzato ad ubbidire. Marciò dunque esso Gages con un grosso
distaccamento di truppe, e dopo avere ricevuti i deputati di Milano,
che gli andarono incontro ad offerire le chiavi, e a chiedere la
conferma dei lor privilegii, nel dì 16 di dicembre entrò con tutta pace
in quella metropoli, e tosto diede ordine, che si barricassero tutte
le contrade riguardanti quel reale castello. Nel dì 19 del suddetto
dicembre fece anche l'infante _don Filippo_ in compagnia del duca di
Modena l'ingresso in Milano, accolto con festose acclamazioni da quel
popolo, che, quantunque ben affetto all'augusta casa d'Austria, pure
pon potea di meno di non desiderare un principe proprio che stabilisse
quivi la sua residenza. E fu certamente creduto da molti non solo
possibile, ma anche probabile, che in questo germoglio della real casa
di Borbone si avessero a rinovare gli antichi duchi di Milano. Perciò
con illuminazioni ed altre dimostrazioni di giubilo si vide o per amore
o per forza solennizzato l'arrivo di questo real principe in quella
città. Questo passo ne facilitò poi degli altri, cioè l'impadronirsi
che fecero gli Spagnuoli delle città di Lodi e Como. Intanto il
_principe di Lictenstein_ col suo corpo di gente si tratteneva sul
Novarese, stendendosi fino ad Oleggio grande, e ad Arona, e alle rive
del Ticino. Nell'opposta riva di esso fiume il conte di Gages si pose
anch'egli colle sue schiere, per impedire ogni passaggio o tentativo
degli Austriaci. In tal positura di cose terminò l'anno presente:
anno considerabilmente infausto al re di Sardegna, per la perdita di
tanto paese, e per tante altre perniciose incursioni fatte da' suoi
nemici verso Ceva ed altri luoghi, ed anche verso Exiles, dove le sue
truppe ebbero una mala percossa nel dì 11 d'ottobre. E pure qui non
terminarono le disavventure del Piemonte. Nell'anno precedente era
penetrata in quelle contrade la peste bovina, e si calcolò che circa
quaranta mila capi di buoi e vacche vi perissero. Un potente mezzo per
dilatare qualsivoglia pestilenza suol essere la guerra, siccome quella
che rompe ogni argine e misura dell'umana prudenza. Però maggiormente
si dilatò questo micidial malore nell'anno presente pel Monferrato, e
per gli altri Stati del re di Sardegna, e di là passò nei distretti di
Milano e di Lodi, e giunse fino al Piacentino di là da Po, anzi arrivò
a serpeggiare nel di qua d'esso fiume, e in parte del Bresciano, con
terrore del resto della Lombardia. La strage fu indicibile; e chi sa
quai sieno le terribili conseguenze di sì gran flagello, bisogno non ha
da imparare da me in quanta desolazione restassero quei paesi, oppressi
nel medesimo tempo dall'insoffribil peso della guerra. Conto fu fatto
che centoottanta mila capi di essi buoi perissero nello Stato di
Milano. Più riuscì sensibile a que' popoli questo colpo, che la stessa
guerra.



    Anno di CRISTO MDCCXLVI. Indizione IX.

    BENEDETTO XIV papa 7.
    FRANCESCO I imperadore 2.


Nel più bell'ascendente pareano gli affari de' Gallispani in Lombardia
sul principio di quest'anno, trovandosi le armi loro dominanti
nel di qua da Po, a riserva della bloccata Alessandria, ed essendo
venuta la città di Milano con Lodi, Pavia e Como alla lor divozione,
con restare il solo castello di Milano renitente ai loro doveri.
Lusingaronsi allora i Franzesi di poter trarre, coll'apparenza di sì
bel tempo _Carlo Emmanuele_ re di Sardegna nel loro partilo, o almeno
di staccarlo colla neutralità dalla lega austriaca ed inglese. Da
Parigi e da altre parti volavano nuove che davano per certo e conchiuso
l'accomodamento colla real corte di Torino; nè si può mettere in dubbio
che qualche maneggio, durante il verno, seguisse fra le due corti per
questo. Ma o sia che le esibizioni della Francia non soddisfacessero
al re di Sardegna; o pure, come è più probabile, e protestò dipoi
esso re per mezzo de' suoi ministri alle corti collegate, ch'egli più
pregiasse la fede ne' suoi impegni, che ogni altro proprio vantaggio,
e gli premesse di reprimere la voce sparsa che l'instabilità nelle
leghe passasse per eredità nella real sua casa: certo è che svanirono
in fine quelle voci, e si trovò più che mai il re sardo costante ed
attaccato alla lega primiera, con aver egli fatto tornare indietro
mal soddisfatto il figlio del _maresciallo di Maillebois_, che,
venuto ai confini, portava seco, non dirò la speranza, ma la sicurezza
lusinghevole di veder tosto sottoscritto l'accordo. Stavano intanto i
curiosi aspettando, che s'imprendesse l'assedio formale del castello
di Milano, giacchè il ridurlo col blocco e colla fame sarebbe costato
dei mesi, e intanto potea mutar faccia la fortuna. Ma il cannon grosso
penava assaissimo ad essere trasportato per le strade troppo rotte da
Pavia a Milano, e però di una in altra settimana s'andava differendo
il dar principio a quell'impresa. Intanto, perchè si lasciarono vedere
alcuni armati spagnuoli nel borgo degli Ortolani, o sia porta Comasina,
che è in faccia al castello, le artiglierie d'esso castello gastigarono
gl'innocenti padroni di quelle case con diroccarle. Attendeva il
real infante _don Filippo_ a solazzarsi in questa metropoli con opere
di musica, ed altri divertimenti; il _duca di Modena_ se ne passò a
Venezia per rivedere la sua famiglia, e restituissi poscia nel febbraio
a Milano; e il _generale Gages_ col nerbo maggiore delle truppe
Spagnuole andò a postarsi alle rive del Ticino verso il lago Maggiore,
per impedire qualunque tentativo che potesse fare il _principe di
Lictenstein_, il quale avea piantato il suo campo ad Oleggio ed Arona,
e in altri siti del Novarese, alla riva opposta del fiume suddetto.

Non attendeva già a solazzi in Vienna l'_imperadrice regina_, ma con
attività mirabile, a cui non era molto avvezza in addietro la corte
austriaca imperiale, provvedeva ai bisogni de' suoi in Lombardia. Era
già stata conchiusa e ratificata la pace col re di Prussia. Pertanto,
sbrigata da quel potente nemico essa regina col consorte Augusto, spedì
subito ordine che una mano de' suoi reggimenti marciasse alla volta
d'Italia. Rigoroso era il verno; le nevi e i ghiacci dappertutto;
convenne ubbidire. Gran copia ancora di reclute si mise allora in
viaggio. Cagion fu la suddetta inaspettata pace, e la spedizion
di tanti armati austriaci, a poco a poco nel febbraio arrivati sul
Mantovano, che andasse in fumo ogni disegno degli Spagnuoli (se pure
alcuno mai ve ne fu) di mettere l'assedio al castello di Milano.
E perciocchè s'ingrossavano forte gli Austriaci nel di qua da Po a
Quistello, a San Benedetto, ed altri luoghi, rivolsero essi Spagnuoli
i lor pensieri alla difesa di Piacenza, Parma e Guastalla, nella qual
ultima piazza erano anche entrati. Occuparono anche la città di Reggio,
dove quel comandante Boselli Piacentino s'ingegnò di lasciare un brutto
nome, peggio trattandola che i paesi di conquista. Fu dunque posto
grosso presidio in Guastalla, ed inviata gente con qualche artiglieria
in rinforzo di Parma; nè in questi medesimi tempi cessavano di arrivare
sul Genovesato munizioni e soldatesche spedite dalla Spagna e da
Napoli, passando felicemente per mare, ancorchè girassero di continuo
per quelle acque i vascelli e le galeotte inglesi. Anche per la riviera
di Ponente passarono verso Genova tre reggimenti di cavalleria; ma non
si vedevano già comparire in Italia nuove truppe franzesi.

Diedesi, appena venuto il mese di marzo, principio alle mutazioni
di scena, che andarono poi continuando e crescendo in tutto l'anno
presente nel teatro della guerra d'Italia. Il primo a fare un bel colpo
fu il _re di Sardegna_, i cui movimenti finirono di dissipar le ciarle
del sognato suo accordo colla Francia. Spedito il _barone di Leutron_
con più di dieci mila combattenti, all'improvviso nel dì 5 del mese
suddetto piombò sopra la città di Asti. Circa cinque mila Franzesi con
più di trecento uffiziali si godevano quivi un buon quartiere. Spedì
bensì il tenente generale signor di Montal comandante di quelle truppe,
al Maillebois l'avviso del suo pericolo, insieme con ottanta mila lire
da lui ricavate di contribuzione; ma caduto il messo colla scorta negli
Usseri, cotal disgrazia ragion fu che i Franzesi non fecero difesa che
per tre giorni, e furono obbligati a rendersi prigionieri, con sommo
rammarico del maresciallo, il quale non fu a tempo per soccorrerli,
e rovesciò poi tutta la colpa di quell'infelice avvenimento sul
comandante suddetto. Mentre egli sconcertato non poco si ritirò per
coprire Casale e Valenza, i vincitori Piemontesi, rastrellando in
varii siti altre picciole guernigioni franzesi, s'inoltrarono alla
volta della già languente cittadella d'Alessandria pel sofferto blocco
di tanti mesi, seguitati da un buon convoglio di viveri condotto
dal marchese di Cravenzana. Sminuito per li patimenti quel presidio,
comandato dal valoroso _marchese di Carraglio_, era anche giunto a
combattere colla fame; e già per la mancanza delle vettovaglie si
trovava alla vigilia di darsi per vinto: quando i dieci battaglioni
franzesi esistenti nella città, all'udire avvicinarsi il grosso corpo
de' Piemontesi, giudicarono meglio di abbandonarla, lasciando in quello
spedale qualche centinaio di malati, che rimasero prigioni del re di
Sardegna. Intanto, per conservar la comunicazione con Genova, ritirossi
il Maillebois a Novi. Questi colpi, e l'ingrossarsi continuamente
verso l'Adda e nel Mantovano di qua da Po le milizie austriache, fecero
conoscere all'infante don Filippo che l'ulteriore soggiorno suo e delle
sue truppe in Milano era oramai divenuto pericoloso. Cominciarono
dunque a sfilare verso Pavia i cannoni grossi venuti per l'ideato
assedio del castello di Milano, ed ogni altro apparato militare.
Ciò non ostante, nel dì 15 di marzo, giorno natalizio dell'infante
suddetto, il duca di Modena diede una suntuosa festa a tutta la nobiltà
di Milano. Ma da che s'intese che il general tedesco _Berenclau_
da Pizzighettone con circa dieci mila de' suoi, dopo l'acquisto di
Codogno, s'incamminava verso Lodi, di colà ritiratisi gli Spagnuoli, si
salvarono quasi tutti a Piacenza. Gli altri parimente, che erano a Como
Lecco e Trezzo, ed assediavano il forte di Fuentes, tutti se ne vennero
a Milano. Ma ecco cominciar a comparire alla porta di quella città le
scorrerie degli Usseri. Allora fu che il generale conte di Gages andò
ad insinuare al real infante che tempo era di ricoverarsi a Pavia,
aggiungendo essere venuto quel giorno ch'egli sì chiaramente avea
predetto all'altezza sua reale, prima di muoversi alla volta di Milano.
Era sul far dell'alba del dì 19 di marzo, in cui quel real principe col
duca di Modena e col corpo di sua gente prese commiato da quella nobil
città. Quanto era stato il giubilo nell'entrarvi, altrettanto fu il
rammarico ad abbandonarla. Due ore dopo la loro partenza ripigliarono
gli Austriaci il possesso di Milano, ed ebbero tempo di solennizzare la
festa di san Giuseppe con tutti i segni di allegria, sì per la felice
liberazione della città, che pel nome del primogenito arciduchino.

Non poterono allora i politici contenersi dal biasimare la condotta
degli Spagnuoli, che invece di attendere ad assicurar meglio il di qua
da Po coll'espugnazione della cittadella d'Alessandria, aveano voluto
sì smisuratamente slargar l'ali e prendere tanto paese, senza ben
riflettere se aveano forze da conservarlo. Esercito troppo diviso non
è più esercito. Erano sparpagliati i Gallispani per tutto il di qua da
Po, ed arrivava il dominio d'essi da Asti per Piacenza e Parma fino
a Reggio e Guastalla. Tenevano Pavia, Vigevano e la città di Milano,
ma con un castello forte che minacciava non meno essi che la città.
Occupavano ancora Lodi e le fortezze dell'Adda. Dappertutto conveniva
tener presidii, e però dappertutto mancava una armata; e ciò che parea
accrescimento di potenza, non era che debolezza. Non fu già consiglio
del duca di Modena, nè del generale Gages, che si andasse a far quella
bella scena o sia comparsa in Milano; ma convenne ubbidire al real
infante, o, siccome è più credibile, agli ordini precisi venuti da
Madrid. Troppo spesso sogliono prendere mala piega le imprese, qualora
i gabinetti lontani vogliono regolar le cose, e saperne più di un
general saggio che sul fatto conosce meglio la situazion delle cose, e
secondo le buone o cattive occasioni dee prendere nuove risoluzioni.
Contuttociò si ha da riflettere che non poterono gli Spagnuoli
prevedere l'improvvisa pace dell'imperadrice regina col re prussiano,
nè seppero figurarsi ch'ella nell'aspro rigore del verno avesse da
far volare in Italia sì gran forza di gente: tutti avvenimenti che
sconcertarono le da loro forse ben prese misure. A questi impensati
colpi e vicende gli affari delle guerre e delle leghe son sottoposti.
Anche dalla parte di Levante non tardò la fortuna a dichiararsi per
l'armi austriache. Nel dì 26 di marzo il generale comandante _conte
di Broun_, essendosi mosso dal Mantovano di qua da Po col suo corpo
di armata, diviso in tre colonne, l'una comandata da lui, e le altre
dai generali _Lucchesi_ e _Novati_, s'inviò alla volta di Luzzara e
di Guastalla. Trovavasi in questa città di presidio il maresciallo di
campo _conte Coraffan_, valoroso uffiziale del re di Napoli, col suo
reggimento di Albanesi, consistente in circa mille e cinquecento delle
migliori soldatesche napoletane, ma senza artiglieria, e sprovveduto
anche di altre munizioni da guerra e da bocca. Ricorse egli per tempo
al _marchese di Castellar_, che con alquanti reggimenti era venuto alla
difesa di Parma, rappresentandogli il bisogno e il pericolo. Ordine
andò a lui di ritirarsi a Parma, ma a tempo non arrivò quell'ordine.
Intanto il Castellar con tre mila de' suoi venne a postarsi al ponte
di Sorbolo, per secondare la supposta ritirata del Coraffan. Poco vi
fermò il piede, perchè un grosso distaccamento da lui inviato al ponte
del Baccanello, assalito dal generale unghero Nadasti, fu forzato a
tornarsene con poco piacere a Parma, lasciando indietro molti morti
e prigioni. Piantati intanto alcuni pezzi di grossa artiglieria sotto
Guastalla, non potendosi sostenere quel presidio, si rendè prigioniere
di guerra con gravi lamenti contra del Castellar, quasi che gli avesse
sacrificati al nemico. Cagion furono questi avvenimenti che anche gli
Spagnuoli esistenti in Reggio, abbandonata quella città, si ritirarono
al ponte d'Enza; laonde spedito da Modena il conte Martinenghi di
Barco, colonnello del reggimento savoiardo di Sicilia, con alcune
centinaia de' suoi e con un rinforzo di Varasdini, ripigliò il possesso
di quella città; e poi passò al suddetto ponte, per iscacciarne i
nemici. Quivi fu caldo il conflitto; vi perirono da trecento e più
Austriaco-sardi con alcuni uffiziali; vi restò anche gravemente ferito
lo stesso colonnello; ma in fine si salvarono gli Spagnuoli a Parma,
lasciando libero quel sito ai Savoiardi. La perdita d'essi Spagnuoli in
questi movimenti e piccioli conflitti si fece ascendere a circa quattro
mila persone fra disertati, uccisi e prigioni.

Non istava intanto ozioso dal canto suo il re di Sardegna. Giunto
egli e ricevuto nella città di Casale, fra pochi giorni, cioè nel dì
28 di marzo, col furore delle artiglierie costrinse i pochi Franzesi
esistenti in quel castello a renderlo, col rimaner essi prigioni. Di
colà poi passò all'assedio di Valenza, dove si trovavano di presidio
due battaglioni spagnuoli, ed uno svizzero, truppe del re delle Due
Sicilie. Il fuoco maggiore nondimeno si disponeva verso Parma. L'essere
in concetto i Parmigiani di sospirare più il governo spagnuolo che
quello degli Austriaci, concetto fondato, verisimilmente nell'aver
taluno della matta plebaglia usate alcune insolenze al presidio
tedesco, allorchè abbandonò quella città, e fatta quel popolo gran
festa all'arrivo d'essi Spagnuoli: tale mal animo impresse in cuore
delle milizie austriache, che non si sentivano che minaccie di trattar
quel popolo da ribelle e nemico; e però marciavano quelle truppe alla
volta del Parmigiano, come a nozze, per l'avidità dello sperato, e
fors'anche promesso, bottino. Ma non così l'intese la saggia ed insieme
magnanima imperadrice regina. Conoscendo essa qual deformità sarebbe
il permettere pel reato di alcuni pochi il gastigo e la rovina di
tante migliaia d'innocenti persone; e che in danno anche suo proprio
ridonderebbe il ridurre in miserie una città che era e dovea restar
sua: mandò ordine che si pubblicasse un general perdono in favore de'
Parmigiani; e questo fu stampato in Modena. La disgrazia volle che
alcuni di quegli uffiziali per tre giorni dimenticarono di averlo
in saccoccia e di pubblicarlo; e però entrarono furiosi i Tedeschi
in quel territorio, stendendo le rapine sopra le ville e case che
s'incontravano, ed anche sfogando la rabbia loro contro quadri, specchi
ed altri mobili che non poteano o volevano asportare. Nè pure andò
esente dalle griffe loro il palazzo di villa della vedova duchessa
di Parma Dorotea di Neoburgo, a cui pure dovuto era tanto rispetto,
per essere ella madre della regina di Spagna, e prozia della regnante
imperadrice. Si fece poi fine al flagello, da che niuno potè scusarsi
di non sapere l'accordato perdono, e maggiormente dappoichè arrivò a
quel campo il supremo comandante _principe di Lictenstein_, il quale
con esemplar rigore di gastighi tolse di vita i disubbidienti, e
massimamente i trovati rei di aver saccheggiate le chiese.

Con cinque mila fanti e buon nerbo di cavalleria dimorava alla custodia
di Parma il tenente generale spagnuolo _marchese di Castellar_; ma
prima d'essere quivi ristretto, felicemente avea rimandati di là
dal Taro quasi tutti que' cavalli, giacchè, in caso di blocco o di
assedio, gli sarebbe mancata maniera di sostenerli. Intanto il generale
dell'artiglieria _conte Gian-Luca Pallavicini_ con grossa brigata
di granatieri, cavalli e pedoni andò nel dì 4 d'aprile a prendere
posto intorno a Parma. Fatta fu la chiamata della resa dal general
comandante conte di Broun; la risposta fu, che il Castellar desiderava
d'acquistarsi maggiore stima presso di quell'austriaco generale.
Così fu dato principio al blocco assai largo di Parma; il grosso
dell'armata austriaca passò ad attendarsi alle rive del Taro, mentre
lungo l'opposta riva aveano piantato il loro campo gli Spagnuoli.
Posto fu il quartier generale d'essi coll'infante, col duca di Modena
e col Gages a Castel Guelfo sulla strada maestra, o sia Claudia. Era
già pervenuto da Vigevano sul territorio di Milano il principe di
Lictenstein colla sua armata, da lui saggiamente conservata in addietro
sul Novarese. Ora anch'egli, dopo aver lasciato un corpo di gente a
Binasco, Biagrasso ed altri siti, per reprimere ogni tentativo degli
Spagnuoli, tuttavia signori di Pavia, col resto di sua gente venne nel
dì 11 di aprile all'accampamento del Taro, ed assunse il comando di
tutta l'armata. Aveano nei giorni addietro gli Spagnuoli inviate per Po
a Piacenza le artiglierie, attrezzi, munizioni e magazzini che tenevano
in Pavia, dando abbastanza a conoscere di non voler fare le radici
in quella città. In fatti, da che videro incamminato con tante forze
il Lictenstein alla volta di Parma, abbandonarono, nel dì 5 d'aprile,
quella città, e passarono a rinforzar la loro oste accampata al fiume
suddetto. Così quella città ritornò all'ubbidienza dell'imperadrice
regina.

Posavano in questa maniera le due poderose armate, l'una in faccia
all'altra, separate dal solo Taro; e gli uni miravano i picchetti
dell'altro campo nella riva opposta, ma senza voglia e disposizione di
azzuffarsi insieme. Conto si facea che cadauna ascendesse a trenta mila
combattenti, avendo dovuto gli Austriaci lasciare un altro buon corpo
a Pizzighettone, per assicurarsi da ogni insulto degli Spagnuoli, che
teneano un fortissimo e ben armato ponte sul Po a Piacenza, e grosso
presidio in quella città. I Franzesi col _maresciallo di Maillebois_
tranquillamente riposavano tra Voghera è Novi, a fin dì conservare
il passo a Genova, d'onde continuamente venivano munizioni da bocca e
da guerra, ma non mai vennero que' quaranta nuovi battaglioni che si
decantavano destinati per la Lombardia dal re Cristianissimo. Stava
sul cuore del generale Gages la guarnigione rinchiusa in Parma in
numero di più di sei mila armati, ed esposta al pericolo di rendersi
prigioniera di guerra, giacchè senza il brutto ripiego di tentare
una battaglia non si potea quella città liberare dal blocco, nè v'era
sussistenza di viveri, se non per poco, e le bombe aveano cominciato
a salutarla con gran terrore de' cittadini. Segretamente dunque
concertò egli col marchese di Castellar la maniera di farlo uscire
di gabbia. Nella notte seguente al dì 19 d'aprile gran movimento si
fece nell'armata spagnuola; si appressarono al fiume in più luoghi le
loro schiere in apparenza di volerlo passare, e tentarono anche di
gittare un ponte. Si disposero a ben riceverle anche gli Austriaci,
tutti posti in ordine di battaglia. In questo mentre, cioè in quella
stessa notte, il marchese di Castellar, lasciato poco più di ottocento
uomini, parte anche invalidi, con sessanta uffiziali nel castello,
alla sordina, e senza toccar tamburo, se ne uscì colla sua gente di
Parma, seco menando quattro pezzi di cannone e trenta carra di bagaglio
e munizioni; e dopo avere sorpreso un picciolo corpo di guardia degli
Austriaci, s'incamminò alla volta della montagna, cioè di Guardasone e
Monchierugolo, con disegno di passare per la Lunigiana nel Genovesato,
e di là alla sua armata. Lasciò questa gente la desolazione per
dovunque passò, e non poco ancora ne sofferirono le confinanti terre
del Reggiano. Tardi gli Austriaci, formanti il blocco, si avvidero
di questa inaspettata fuga. Dietro ai fuggitivi fu spedito il tenente
maresciallo _conte Nadasti_ co' suoi Usseri e con un corpo di Croati,
che gl'inseguì per qualche tempo alla coda. Seguirono perciò varie
battagliole; ma in fine il Nadasti fu obbligato a lasciar in pace i
fuggitivi, perchè non poteano i suoi cavalli caracollar per quei monti,
e caddero anche in qualche imboscata con loro danno. Molti di quella
truppa spagnuola, ma di varie nazioni, e probabilmente la metà di essi,
in questa occasione disertarono. Il resto dopo un gran giro arrivò
in fine ad unirsi coll'esercito del real infante, ridotto a poco più
di tre mila persone. Non mancò poi chi censurò il Castellar, perchè,
avendo sotto il suo comando dieci mila soldati, creduti le migliori
truppe dell'esercito spagnuolo, per non essersi ritirato quando
era tempo, ne avea perduta la maggior parte. Pel Reggiano tornarono
indietro molti degli Usseri, e si rifecero sopra i poveri abitanti di
quello che non aveano trovato nel Parmigiano, saccheggiato prima dagli
altri. Per la ritirata improvvisa del Castellar, che niun pensiero
s'era preso della lor salvezza, in grande spavento rimasero i cittadini
di Parma. Passò da lì a non molto la paura, perchè nella seguente
mattina del dì 20 rientrarono pacificamente in quella città i Tedeschi
col generale conte Pallavicini plenipotenziario della Lombardia
austriaca, il quale tosto vi fece pubblicare un general perdono con
rincorare gli afflitti ed intimoriti cittadini. Poco poi si fece
pregare il presidio di quel castello a rendersi prigioniere di guerra,
con ottener solamente di salvare l'equipaggio tanto suo che degli
altri Spagnuoli, rifugiato in quella poco forte fortezza; che questa
appunto era stata la mira del marchese di Castellar. Trovaronsi in
esso castello ventiquattro cannoni, quattro mortari, ed altri militari
attrezzi e munizioni.

Solamente nel dì 19 d'aprile per cagion delle frequenti pioggie
poterono le soldatesche del re di Sardegna aprire la breccia sotto
Valenza. Era diretto quell'assedio dal _principe di Baden Durlach_,
e coperto dal _barone di Leutron_, dichiarato ultimamente generale di
fanteria. Continuarono le offese contro di quella piazza sino al dì 2
di maggio, nel quale dopo avere i Piemontesi presa la strada coperta ed
aperta la breccia, si vide quel presidio obbligato ad esporre bandiera
bianca. V'erano dentro circa mille e cinquecento difensori, ai quali
toccò di restar prigionieri. Dai Franzesi intanto occupata fu la città
di Acqui; ma acquisto che durò ben poco. Avea già ottenuto il _generale
Gages_ l'intento suo di disimbrogliare da Parma il marchese di
Castellar; e nulla a lui giovando il fermarsi più lungamente alle rive
del Taro, dove patì gran diserzione di sua gente, finalmente nel dì
5 di maggio levò il campo, e s'inviò verso il fiume Nura in vicinanza
maggiore a Piacenza, per quivi cominciare un altro giuoco. S'innoltrò
per questo anche l'armata austriaca sino a Borgo San Donnino, con
estendersi poi a poco a poco più oltre, cioè a Firenzuola, e di là sino
alla Nura. Riuscì agli Usseri che inseguivano nella loro ritirata gli
Spagnuoli, di sorprendere in mezzo ai loro corpi tutto il bagaglio del
duca di Modena, per essersi a cagion d'un equivoco, messo in viaggio
senza aspettare l'armata: argenterie, cavalli, muli e carrozze, tutto
andò. Non consiste la gloria de' prodi condottieri d'armate solo in
dar con vantaggio delle battaglie, ma anche nella maestria di ordire
stratagemmi in danno de' nemici. Ben istruito di questo mestiere si
mostrò in più congiunture il generale conte di Gages. Avea egli spediti
innanzi verso Piacenza varii distaccamenti, consistenti in dieci mila
combattenti, col pretesto di scortare il bagaglio; e ordinato che sotto
essa città di Piacenza si preparasse loro uno stabile quartiere; nè se
n'erano accorti gli Austriaci, esistenti di qua da Po. Prima nondimeno
aveano avuto ordine circa cinque mila tra fanteria e cavalleria tedesca
di passare da Pizzighettone a Codogno, e di postarsi quivi per vegliare
agli andamenti degli Spagnuoli; i quali, per avere sul Po a Piacenza un
ben fortificato ponte, avrebbero potuto recare insulti al di là da Po.
Alla testa d'essi v'erano i generali Cavriani e Gross. Contra di questo
corpo di gente erano indirizzate le segrete mene del conte di Gages.
Appena giunto a Piacenza il tenente generale Pignatelli fece vista
di disfare il ponte suddetto: il che servì ad addormentare i nemici.
Poscia rimesso il ponte nella notte del dì 5 di maggio vegnendo il 6,
colla maggior parte de' suddetti Spagnuoli passò alla sordina di là dal
Po. Dopo avere avviluppati e sorpresi i picchetti avanzati de' nemici,
senza che questi potessero recarne avviso alcuno ai lor comandanti,
inaspettato arrivò la mattina seguente addosso a' Tedeschi, esistenti
in Codogno, che allora faceano l'esercizio militare. Come poterono, si
misero questi in difesa con sei cannoni ed alcuni falconetti carichi
a cartoccio, che erano sulla piazza; ma avanzatisi gli Spagnuoli con
baionetta in canna, e impadronitisi di que' bronzi, gli obbligarono a
ritirarsi parte ne' chiostri e parte nelle case e nel palazzo Triulzio,
dove per quattro ore valorosamente si sostennero facendo fuoco. Ma in
fine soperchiati dal maggior numero de' nemici, quei ch'erano restati
in vita per mancanza di munizioni si renderono prigioni. Quasi due mila
furono i prigioni, circa mille e quattrocento i morti e feriti; e il
resto trovò scampo nella fuga. La perdita dalla parte degli Spagnuoli
non si potè sapere. Restarono in loro potere dieci bandiere, due
stendardi, i suddetti cannoni e i bagagli di quelle genti, a riserva
di quello del general Gross, che, nel darsi per vinto, salvò il suo
e quello degli altri uffiziali ch'erano con lui. Se ne tornarono con
tutto comodo i vincitori a Piacenza, nè dimenticarono di condurre
colà quanti grani, foraggi e bestie bovine poterono cogliere nel loro
ritorno.

Erasi postato l'esercito spagnuolo sotto Piacenza, e quivi fortificato
con buoni trincieramenti, guerniti di molta artiglieria. Gran copia
ancora di cannoni si stendeva sulle mura della città. Passata la
spianata, ch'è intorno ad essa città, e sulla strada maestra dalla
parte di levante, stava situato il seminario di San Lazzaro, fabbrica
grandiosa, eretta con grandi spese dal _cardinale Alberoni_, per
quivi educare gratis e istruire i cherici di Piacenza sua patria. In
quel magnifico edifizio furono posti di guardia due mila Spagnuoli,
ed alzate fortificazioni all'intorno. Ma da che l'esercito austriaco
ebbe passata la Nura, ansioso d'accostarsi il più che fosse possibile
a Piacenza, determinò di sloggiare di colà i nemici. Pertanto nel
dì 18 di maggio si avanzarono alla volta d'esso seminario alcuni
battaglioni con artiglierie, e tutta la prima linea dell'armata si
mise in ordine di battaglia per sostenerli, con risoluzione ancora
di venire ad un fatto d'armi, se fossero accorsi gli Spagnuoli, per
maggiormente contrastare quel sito. Ma eglino punto non si mossero; e
però, dopo avere quel presidio mostrato per un pezzo la fronte agli
aggressori, prese il partito di cedere il luogo, con ritirarsi alla
città. Le cannonate contra d'essa fabbrica sparate dagli Austriaci
per impadronirsene, e poi le altre degli Spagnuoli per incomodargli,
dappoichè se ne furono impadroniti, sommamente danneggiarono, anzi
ridussero quasi come uno scheletro quel grande edifizio. Il cardinale,
che costante volle dimorare in Piacenza, senza punto alterarsi o
scomporsi, ne mirò l'eccidio. Con tale acquisto si stese la prima linea
degli Austriaci in vicinanza del seminario suddetto; dalla parte ancora
della collina furono tolte agli Spagnuoli alcune cascine, il castello
di Ussolengo, ed altri siti sino alla Trebbia; sicchè da quella parte
ancora fu ristretta Piacenza. Alzatesi poi a San Lazzaro da' Tedeschi
alcune batterie di cannoni e mortari, cominciarono nel fine del mese
di maggio colle bombe ad infestare la città; così che convenne a quegli
abitanti di evacuare i monisteri e le case dalla parte orientale della
medesima, benchè in fine si riducesse a poco il loro danno per la
troppa lontananza delle batterie e de' mortari nemici. Riuscì ancora
nel dì 4 di giugno agli Austriaci di occupare di là dalla Trebbia
a forza d'armi il castello di Rivalta, con farvi prigionieri circa
cinquecento uomini di fanteria ed alcuni pochi di cavalleria. Anche
Monte Chiaro si arrendè ai medesimi Austriaci.

Certo è che non poco svantaggiosa oramai compariva la situazion degli
Spagnuoli, perchè confinati nell'angustie dei loro trincieramenti
intorno alla città, e colla comunicazione di Genova, divenuta
pericolosa per le scorrerie degli Usseri. Peggiore senza paragone si
scorgeva lo stato di quella cittadinanza, chiusa entro le mura, col
suo territorio e poderi tutti in mano dei nemici, senza speranza di
ricavarne alcun fruito, e colla sicurezza di ritrovar la desolazione
dappertutto. Scarseggiavano essi in oltre di viveri, senza potersene
provvedere, al contrario degli Spagnuoli, che pel ponte del Po
scorrendo di tanto in tanto nel Lodigiano e Pavese, ne riscotevano
contribuzioni, e ne asportavano bestiami ed altre vettovaglie per loro
uso. Ma nè pure dal canto loro aveano di che ridere gli Austriaci,
perchè imbrogliati dalla sagacità del generale conte di Gages, che,
coll'essersi posto a cavallo del Po, frastornava ogni loro progresso,
e gli obbligava a tener divise le loro forze nel di qua e nel di
là. Se avessero voluto ingrossarsi molto sul Piacentino, avrebbero
lasciati troppo esposti alle scorrerie e ai tentativi degli Spagnuoli i
territorii di Lodi, Pavia e Milano. E se infievolivano l'oste di qua,
per soccorrere il di là, si poteano aspettare qualche brutto scherzo
dai nemici, ai quali era facile l'unirsi tutti in Piacenza. Cagion fu
questa divisione che sul principio di giugno liberamente scorse un
grosso distaccamento di Spagnuoli sino a Lodi. Entrato nella città,
ne fece chiudere tosto le porte; volle il pagamento della diaria per
due mesi; occupò tutto il danaro dei dazii e della cassa regia, ed
intimò una contribuzione al pubblico. Poscia preso quanto di sale,
farina, legumi, formaggio e carne porcina si trovò in quelle botteghe
e magazzini, dopo avere ordinato che coll'imposta contribuzione fossero
soddisfatti i particolari, tutto portarono a salvamento in Piacenza.

Mentre in questa inazione dimoravano intorno a Piacenza le due
nemiche armate, nel dì 13 di giugno si cominciò a prevedere qualche
novità, stante l'essersi mosso con tutta la sua gente (erano circa
dodici mila combattenti) il _maresciallo di Maillebois_ alla volta di
Piacenza. Schivò egli nella marcia le truppe del re di Sardegna che
erano in moto contra di lui. Per aver egli abbandonato Novi, ricca
terra de' Genovesi, non trovarono difficoltà i Piemontesi ad entrarvi,
ed imposero tosto a quel popolo una contribuzione di ducento mila
lire di Genova. Si spinsero ancora sotto Serravalle, terra già del
Tortonese, e ceduta dai Gallispani ai Genovesi. Nel dì 14 s'unirono
con gli Spagnuoli in Piacenza le truppe suddette franzesi; colà ancora
erano stati richiamati tutti i distaccamenti inviati di là da Po. Non
mancarono spie che riferirono all'esercito austriaco questi andamenti
dei Gallispani, nè molto studio vi volle per comprendere la lor voglia
di venire ad un fatto d'armi. Il perchè notte e giorno stettero in
armi i Tedeschi, per non essere colti sprovvisti, e fu chiamato da
Firenzuola il supremo comandante _principe di Lictenstein_, che colà
trasferitosi per cercare riposo alla sua indisposizione d'asma, avea
lasciata la direzion dell'armi, al _marchese Antoniotto Botta Adorno_,
cavaliere di Malta, generale di artiglieria, a cui per l'anzianità del
grado conveniva appunto quel comando. Fu anche richiamata al campo
la maggior parte della gente comandata dal generale Roth, che era
a Pizzighettone. Dappoichè nel dì 15 di giugno ebbero preso riposo
le truppe franzesi, e dopo avere il maresciallo di Maillebois, il
duca di Modena e il generale Gages nel consiglio di guerra tenuto
in camera del real infante don Filippo, stabilita la maniera di
procedere al meditato conflitto, sull'imbrunir della sera cominciarono
ad ordinare col maggior possibile silenzio le loro schiere; formando
tre principali colonne, per assalire da tre parti il campo tedesco.
Tale era il loro disegno. L'ala diritta, comandata dal Maillebois coi
Franzesi, rinforzati da alquanti battaglioni e squadroni spagnuoli,
dovea pervenire alla collina, e, dietro ad essa camminando, assalire
alla schiena il nemico accampamento, dove nè buoni trincieramenti, nè
preparamento di artiglierie si ritrovavano. Dovea fare altrettanto
l'ala sinistra, marciando al Po morto per le due vie, l'una maestra
e l'altra più breve, che da Piacenza guidano verso Cremona. Il
centro o sia corpo di battaglia, che era in faccia al seminario di
San Lazzaro sulla via maestra o sia Claudia, dovea tenere a bada ed
occupar l'altre forze degli Austriaci, la prima linea de' quali era
postata in vicinanze d'esso seminario, e la seconda non molto distante
dal fiume Nura. Conto si facea che l'oste austriaca ascendesse a
circa trentacinque o quaranta mila combattenti, e la gallispana a
quarantacinque mila; se non che voce comune correa fra essi Spagnuoli e
Franzesi d'esser eglino superiori di quindici mila persone ai nemici;
talmente che, attesa la decantata presunzione, che i più vincono i
meno, non si può dire con che allegria e coraggio uscissero di Piacenza
e fuori de' lor trincieramenti le truppe gallispane, parendo a ciascuno
di andare non ad un pericoloso cimento, ma ad un sicuro trionfo.
All'oste austriaca non mancarono sicuri avvisi di quanto meditavano i
nemici, e però si trovarono ben preparati a quella fiera danza.

Sulla mezza notte adunque precedente il dì 16 di giugno marciò
segretamente il maresciallo franzese Maillebois colle sue milizie,
e dopo aver occupato Gossolengo, credette di prendere il giro sotto
la collina; ma o perchè mal guidato, o perchè non fossero a lui noti
tutti i posti avanzati de' Tedeschi, andò ad urtare in alcune cascine
guernite dai medesimi, e quivi si cominciò a far fuoco, e a metter
l'all'armi in tutto il campo austriaco. Oltre alla strage di molti
Schiavoni, Usseri ed altri, che erano, o accorsero in quella parte,
fecero prigionieri circa quattrocento uomini, che tosto inviarono alla
città con due piccioli pezzi di cannone presi: il che fece credere in
Piacenza già sbaragliati i nemici. Tutti poi in galleria pel primo buon
successo, marciarono verso la strada di Quartizola, dove il generale
austriaco _conte di Broun_, che comandava l'ala sinistra, gli stava
aspettando con alquanti cannoni d'un ridotto carichi a cartoccio.
Non sì tosto si presentarono sul far del giorno i Franzesi ai
trincieramenti nemici, che furono salutati con lor grave danno da quei
bronzi. Ciò non ostante, a' fianchi e alla schiena assalirono i ridotti
degl'Austriaci, e il conflitto fu caldo, ma senza che essi potessero
superar i gran fossi della circonvallazione. Trovandosi all'incontro
esposti alle palle due o tre de' migliori reggimenti Tedeschi di
cavalleria, ed impazientatisi, chiesero più d'una volta al generale
Lucchesi di poter uscire in aperta campagna contra de' Franzesi.
Bisognò in fine di esaudirli. Stupore fu il vedere come questi
cavalli passarono un alto e largo fosso del canale di San Bonico, e
s'avventarono contro la fanteria franzese. Non aveva quivi seco il
Maillebois che circa cinquecento cavalli, essendo restato addietro
il maggior nerbo della sua cavalleria: del che può essere che fusse
a lui poscia fatto un reato di poco maestria di guerra nella corte di
Francia. Caricata dunque la fanteria franzese dall'urto della nemica
cavalleria, maraviglia non è, se cominciò a piegare e a ritirarsi il
meglio che potè, ma con grave sua perdita e danno. In meno di tre ore
terminò quivi il combattimento, e con ciò rimasta libera l'ala sinistra
degli Austriaci, potè somministrar poscia de' rinforzi alla destra, la
quale nello stesso tempo era stata assalita a' fianchi dagli Spagnuoli
condotti dal generale _conte di Gages_ e da altri lor generali.

Quivi fu il maggior calore delle azioni guerriere, e durò il fiero
combattimento fin quasi alla sera. Aveano essi Spagnuoli con gran
fatica passato il Po morto; dopo di che si scagliarono contro i ridotti
del campo nemico; alcuni ne presero, e s'impadronirono di qualche
batteria; ma vennero anche costretti dalla forza degli avversarii
a retrocedere. Per più volte rinovarono gli assalti e progressi con
far tali maraviglie di valore, spezialmente i soldati valloni, che
confessarono dipoi gli stessi Austriaci di essere stati più volte
sull'orlo di vedere dichiarata la fortuna per gli Spagnuoli. Ma così
forte resistenza fecero, e buon provvedimento diedero da quella parte
i generali _Berenclau_ e _Botta Adorno_, che furono in fine respinti
gli aggressori, e posto fine allo spargimento del sangue. Fu detto
che anche il centro di battaglia de' Gallispani s'inoltrasse verso il
seminario di San Lazzaro, e che ancora se ne impadronisse; ma che dal
conte Gorani fosse bravamente ricuperato quel sito. Altri v'ha che
niegano tal fatto. Bensì è certo che il general comandante _principe
di Lictenstein_ in questo terribil conflitto accudì a tutte le parti,
esponendo sè stesso anche ai maggiori pericoli; e da che gli fu ucciso
sotto un cavallo, allora prese la corazza. Sentimento ancora fu di
alcuni, che se gli Spagnuoli avessero condotta seco la provvision
necessaria di assoni e fascine, per passare i fossi profondi e pieni
d'acqua degli Austriaci, avrebbero probabilmente cantata la vittoria.
Comunque ciò fosse, convien confessare che non giuocarono a giuoco
eguale queste due armate. Tenevano i Tedeschi per tutto il campo loro
delle buone fortificazioni, de' fossi e contraffossi pieni d'acqua, e
dei ridotti ben guerniti di artiglierie. Negli stessi fossi sott'acqua
erano posti cavalli di Frisia, nei quali s'infilzava o imbrogliava
chi si metteva a passarli. Trovaronsi anche le truppe tedesche non
sorprese, ma ben preparate e disposte al combattimento. Il generale
_conte Pallavicini_ comandando la seconda linea, senza che fosse più
frastornato dai nemici, inviava di mano in mano rinforzi a chi ne
abbisognava. Questa vantaggiosa situazion di cose quanto giovò ad
essi, altrettanto pregiudicò agli sforzi de' Gallispani, obbligati ad
andare a petto aperto contro la tempesta dei cannoni e fucili nemici,
e fermati di tanto in tanto da' ridotti e fossi suddetti, per cagion
de' quali poco potè la lor cavalleria far mostra del suo valore.
Però avendo anch'essi provato che non si potea superare quella forte
barriera di uomini, cavalli, artiglierie e fortificazioni, finalmente
tanto essi che i Franzesi se ne tornarono in Piacenza con volto e voce
ben diversa da quella con cui ne erano usciti.

Non si potè mettere in dubbio che la vittoria restasse agli Austriaci,
e fossero giustamente cantati i loro _Te Deum_. Imperciocchè, oltre
all'esser eglino rimasti padroni del campo, guadagnarono qualche pezzo
di cannone, e più di venti fra bandiere e stendardi, e una gravissima
percossa diedero alla nemica armata. Fu creduto che intorno a cinque
mila fossero i morti dalla parte de' Gallispani, più di due mila i
prigionieri sani, e almeno due mila i feriti, che rimasti sul campo
furono anch'essi presi per prigioni, e rilasciati poscia ai nemici
uffiziali. Pretesero altri di gran lunga maggiore la loro perdita.
Spezialmente delle guardie vallone e di Spagna, e di due reggimenti
franzesi, pochi restarono in vita. Chi ancora dal canto di essi
volle disertare, seppe di questa occasione ben prevalersi, e furono
assaissimi. Quanto agli Austriaci, si sa che alcuni loro reggimenti
rimasero come disfatti; ma le relazioni d'essi appena fecero ascendere
il numero de' lor morti, feriti e prigionieri a quattro mila persone.
Sparsero voce all'incontro gli Spagnuoli di aver fatto prigioni in
tale occasione più di mille e cinquecento nemici. Se ne può dubitare.
Certo è che i Franzesi si dolsero degli Spagnuoli, ma questi ancora
molto più si lamentarono de' Franzesi, rovesciando gli uni su gli
altri la colpa della male riuscita impresa. Il più sicuro indizio
nondimeno degli esiti delle battaglie, e de' guadagni e delle perdite,
si suol prendere dai susseguenti fatti. Certo è che i Gallispani,
benchè tanto indeboliti, pure o per necessità, o per far credere che
un lieve incomodo avessero sofferto nella pugna suddetta, più vigorosi
che mai si fecero conoscere poco dipoi. Cioè quasichè nulla temessero,
anzi sprezzassero il campo nemico assediatore di Piacenza, da che
ebbero lasciato un sufficiente corpo di gente alla difesa delle loro
straordinarie fortificazioni, con più di dieci mila combattenti passato
sui loro ponti il Po, si stesero a Codogno, San Colombano ed altri
luoghi del Lodigiano. Un corpo ancora di Franzesi passò il Lambro, per
raccogliere foraggi dal Pavese. Trovossi allora la città di Lodi in
gravissimi affanni, perchè, entrativi gli Spagnuoli, richiesero a quel
popolo quindici mila sacchi di grano, altrettanti di avena o segala, e
sei mila di farina, e tutto nel termine di due giorni. Colà eziandio
comparvero più di tre mila muli per caricar tanto grano, e condurlo
al loro quartier generale di Fombio e a Piacenza: città divenuta in
questi tempi un teatro di miserie. Piene erano tutte le case di feriti;
per le strade abbondavano le braccia e gambe tagliate, e i cadaveri
de' morti; gran fetore dappertutto; e intanto il povero popolo faceva
le crocette per la scarsezza de' viveri. Buona parte de' religiosi
non potendo reggere in tali angustie, e non pochi ancora dei nobili
si ritirarono chi a Milano, chi a Crema, ed altri luoghi. Chiunque
non potè di meno, rimase esposto a molti involontarii digiuni. Nelle
precedenti guerre aveano le città di Piacenza e Parma goduto di molte
esenzioni e privilegii: ecco che secondo le umane vicende sopra di loro
piovvero a dismisura i disastri, ma più senza comparazione sulla prima
che sulla seconda. Fra Piacenza e Genova era in questi tempi interrotta
ogni comunicazione, attesa la permanenza delle soldatesche piemontesi
in Novi.

Ancorchè non desistessero gli Austriaci di tenersi forti e copiosi
nei loro trincieramenti sotto Piacenza, minacciando scalate ed altri
tentativi, pure il teatro della guerra parea trasportato di là da Po
sul Lodigiano sino al Lambro e all'Adda. Quivi gli Spagnuoli dall'un
canto e i Franzesi dall'altro faceano alla lunga e alla larga da
padroni coll'esterminio di quei poveri contadini ed abitanti, ai quali
nulla si lasciava di quello che serviva al bisogno del campo e alla
particolare avidità d'ogni soldato. Giugnevano i loro distaccamenti
a Marignano, e fino in vicinanza di Milano e Pavia, mettendo quel
paese tutto in contribuzione. Gran suggezione ancora recavano al
forte della Ghiara, anzi allo stesso Pizzighettone; giacchè aveano
gittato un ponte sull'Adda, e ricavavano da Crema co' loro danari molte
provvisioni, delle quali abbisognavano. Per ovviare a questi andamenti
degli Spagnuoli, furono spediti grossi rinforzi di gente al generale
Roth comandante in Pizzighettone, e si accrebbero le guernigioni di
Cremona e Guastalla. E perciocchè si prevedeva che, a lungo andare,
non avrebbero potuto sussistere i Gallispani in quel ristretto
territorio, senza più potere ricevere nè genti, nè munizioni da guerra
da Genova; corse sospetto che i medesimi potessero tentare di mettersi
in salvo col passare o di qua o di là dell'Adda verso il Cremonese
e Mantovano. Ma queste erano voci del solo volgo. Intanto il _re di
Sardegna_, seriamente pensando ai mezzi più pronti per procedere contro
i Gallispani, venne col nerbo maggiore delle sue forze verso la metà
di luglio alla Trebbia, e fece con tal diligenza gittare un ponte sul
Po a Parpaneso, e passare di là il generale _conte di Sculemburgo_ con
assai milizie, che si potè assicurarne la testa, ed essere in istato di
ripulsare i nemici, se fossero venuti per impedirlo, siccome seguì, ma
senza alcun profitto. Ciò eseguito, nel dì 16 di luglio gli Austriaci
accampati sotto Piacenza, dopo aver fatto spianare i loro ridotti e
batterie, e messe in viaggio tutte le artiglierie, munizioni e bagagli,
levarono il campo, e s'inviarono alla volta della Trebbia, abbandonando
in fine i contorni della misera città di Piacenza. Prima di mettersi
in viaggio, minarono il seminario di San Lazzaro, per farlo saltare
in aria; non ne seguì già il rovesciamento da essi preteso: tuttavia
qualche parte ne rovinò, e se ne risentirono tutte le muraglie maestre,
riducendosi quel grande edifizio ad uno stato compassionevole, benchè
non incurabile. Fermossi l'oste austriaca alla Trebbia, e i generali
_marchese Botta Adorno_, _conte Broun_ e di _Linden_, colla uffizialità
maggiore si portarono ad inchinare il re di Sardegna, il quale assunse
il comando supremo di tutta l'armata. Tennesi poi fra loro un consiglio
generale di guerra, a fine di determinar le ulteriori operazioni della
presente campagna. Per l'allontanamento de' Tedeschi ognun crederebbe
che si slargasse di molto il cuore agl'infelici Piacentini dopo tanti
patimenti sofferti in così lungo assedio. Ma appena poterono eglino
passeggiar liberamente per li contorni, che videro un orrido spettacolo
di miserie, nè trovarono se non motivi di pianto. Per più miglia
all'intorno quelle case che non erano diroccate affatto, minacciavano
almeno rovina; erano fuggiti i più de' contadini; perite le bestie;
si scorgeva immensa la strage degli alberi. E come vivere da lì
innanzi, essendo in buona parte mancato il raccolto presente, e tolta
la speranza di ricavarne nell'anno appresso, non restando maniera di
coltivar le terre? Molto oro, non si può negare, sparsero gli Spagnuoli
per le botteghe di quella città, per provvedersi massimamente di panni
e drapperie; ma il resto del popolo languiva per la povertà e penuria
de' grani. Per sopraccarico venuti i Franzesi, nè potendo ottenere
dagli Spagnuoli frumento o farine, richiesero, sotto pena della vita,
nota fedele di quanto se ne trovava presso dei cittadini; e ne vollero
la metà per loro. Non andarono esenti dalla militar perquisizione nè
pure i monisteri delle monache.

In questa positura erano gli affari della guerra in Lombardia, quando
eccoti portata da corrieri la nuova d'una peripezia che ognun conobbe
d'incredibile importanza per la Francia, e per chiunque avea sposato il
di lei partito. Il Cattolico monarca delle Spagne _Filippo V_ godeva
al certo buona salute; ma per la mente troppo affaticata in addietro
era divenuto, per così dire, una pura macchina. Assisteva a' consigli,
ma più per testimonio che per direttore delle risoluzioni. Queste
dipendevano dal senno de' suoi ministri, e più dai voleri della regina
consorte _Elisabetta Farnese_, i cui principali pensieri tendevano
sempre all'esaltazione de' proprii figli. Da molti anni in qua usava
il re di fare di notte giorno, costume preso allorchè soggiornò in
Siviglia. Nel dopo pranzo adunque del dì 9 di luglio, quando stava per
levarsi di letto, fu sorpreso da un mortale deliquio, alcuni dissero
di apoplessia, ed altri di rottura di vasi, che in sette minuti il
privò di vita. Mancò egli fra le braccia della real consorte in età
di anni sessantadue, sei mesi e giorni venti, essendo inutilmente
accorsi i medici e il confessore. Morto ancora il trovarono i reali
infanti. Lasciò questo monarca fama di valore, per avere ne' tanti
sconcerti passati del regno suo intrepidamente assistito in persona
alle militari imprese; maggiore nondimeno fu il concetto che restò
dell'incomparabile sua pietà e religione, in ogni tempo conservata,
con pari tenore di vita, talmente che fu creduto esente da qualunque
menoma colpa di piena riflessione. Tanto nondimeno i suoi popoli che
i suoi avversarii notarono in lui _peccata Caesaris_, per le tante
guerre non necessarie che impoverirono i suoi sudditi con arricchir
gli stranieri, e per la poca fermezza ne' suoi trattati. Ma son
soggetti anche i buoni regnanti alla disavventura di aver ministri
che sanno dar colore di giustizia ai consigli dell'ambizione, e far
credere la ragione di Stato una legge superiore a quella del Vangelo.
A così glorioso regnante succedette il real principe d'Asturias _don
Ferdinando_, figlio del primo letto, nato nell'anno 1713 a dì 23 di
settembre da _Maria Luisa Gabriella di Savoia_. Avea questo nuovo
monarca fin l'anno 1729 sposata l'infante _donna Maria Maddalena di
Portogallo_; e per quanto appariva agli occhi degli uomini, gareggiava
col padre, se non anche andava innanzi, nella pietà e religione. Gran
saggio diede egli immediatamente dell'animo suo eroico, col confermare
tutte le cariche (anche mutabili) conferite dal re suo genitore, e fin
quelle di chi avea poco curata, anzi disprezzata, la di lui persona
in qualità di principe ereditario. Vie più ancora si diede a conoscere
l'insigne generosità del suo cuore pel gran rispetto e per le finezze
ch'egli usò verso la regina sua matrigna, approvando per allora tutti i
lasciti a lei fatti dal re defunto, e non volendo ch'ella si ritirasse
in altra città, ma soggiornasse in Madrid; al qual fine la provvide
per lei e pel _cardinale infante_ di due magnifici palagi uniti, e di
tutti i convenevoli arredi del lutto. Osservossi eziandio in lui (cosa
ben rara) un tenero amore verso de' suoi reali fratelli, e massimamente
verso dell'infante _don Carlo_ re delle Due Sicilie. Per conto poi
d'essa real matrigna, e per varii assegnamenti fatti dal re defunto, si
presero col tempo delle alquanto diverse risoluzioni.

Arrivata la nuova di questo inaspettato avvenimento in Italia e in
tutti i gabinetti d'Europa, svegliò la gioia in alcuni, il timore in
altri, riflettendo ciascuno che poteano provenire mutazioni di massime,
essendo sopra tutto insorta opinione che questo principe, perchè nato
in Ispagna, tuttochè della real casa di Borbone, sarebbe re spagnuolo,
e non più franzese; e che la Spagna uscirebbe di minorità e tutela,
quasichè in addietro nel gabinetto di Madrid dominasse al pari che in
quello di Versaglies, la corte di Francia. Non passò certamente gran
tempo che gl'Inglesi, con rivolgersi al re di Portogallo, per mezzo
suo cominciarono a far gustare al nuovo re proposizioni di concordia e
pace. Men diligenti non furono al certo i Franzesi a mettere in ordine
le batterie della loro eloquenza, per contenerlo nella già contratta
alleanza: con qual esito, si andò poi a poco a poco scoprendo. Ma in
questi tempi un altro impensato accidente riempiè di duolo la corte
di Francia. Si era già sgravata col parto d'una principessa la moglie
del delfino di Francia _Maria Teresa_, sorella del nuovo monarca
spagnuolo; quando sopraggiunta una febbre micidiale, nel termine di
tre giorni troncò lo stame del di lei vivere nel dì 23 di luglio in età
di poco più di vent'anni. Andava intanto il re di Sardegna insieme co'
generali tedeschi meditando qualche efficace ripiego, per costringere i
Gallispani ad abbandonare la città e l'afflitto territorio di Lodi. Fu
perciò ordinato al generale conte di Broun di passare il Po a Parpaneso
con un grosso corpo d'armati, e di occupare la riva di là del Lambro.
Sul principio d'agosto anche lo stesso re sardo colle maggiori sue
forze passò colà a fine di ristrignere gli Spagnuoli non men da quella
parte che da quella di Pizzighettone. Uniti poscia i Piemontesi ed
Austriaci ebbero forza di passare sull'altra parte del Lambro, e di
piantare due ponti su quel fiume, alla cui sboccatura s'era fortificato
il _maresciallo di Maillebois_, stando a cavallo del medesimo. Furono
cagione tali movimenti che gli Spagnuoli si ritirarono dall'Adda.
Abbandonato anche Lodi, inviarono a Piacenza le loro artiglierie e
munizioni, raccogliendosi tutti a Codogno e Casal Pusterlengo. Precorse
intanto voce che per l'ordine del novello re di Spagna _Ferdinando
VI_ circa sei mila Spagnuoli, già mossi per passare in Italia,
non progredissero nel viaggio, e fosse anche fermata gran somma di
danaro, che s'era messo in cammino a questa volta: tutti preludii di
cangiamento d'idee in quella corte.

Non poteano in fine più lungamente mantenersi nel di là da Po i
Gallispani, troppo inferiori di forze ai loro avversarii, perchè
sempre più veniva meno il foraggio con altre provvisioni, nè adito
restava di procacciarsene senza pericolo. Stavano i curiosi aspettando
di vedere qual via essi eleggerebbono, cioè se quella di ritirarsi
verso Genova, o pure d'inviarsi alla volta di Parma; nè mancavano gli
Austriaco-Sardi di stare attenti a qualunque risoluzione che potesse
prendere la nemica armata; al qual fine il generale _marchese Botta
Adorno_ con più migliaia di Tedeschi s'era postato di qua dalla Trebbia
verso la collina, per accorrere, ove il chiamasse la ritirata de'
Gallispani. Fu anche spedito il conte Gorani con alcune compagnie di
granatieri e di cavalleria al ponte di Parpaneso per vegliare agli
andamenti de' nemici, caso che tentassero di voler passar il Po verso
la bocca del Lambro, e per dar loro anche dell'apprensione. Tennero
intanto i Gallispani consiglio segreto di guerra, per uscire di quelle
strettezze. Fu detto che fossero diversi i sentimenti del consiglio di
guerra, e fra gli altri del Gages e Maillebois, tra' quali passarono
parole assai calde. Proponeva il Gages di ridursi in Piacenza, dove
non mancavano provvisioni per due ed anche per tre settimane, persuaso
che i nemici per mancanza di foraggi non avrebbero potuto fermarsi
di là dalla Trebbia; nè a cagion del puzzo tornare sotto Piacenza:
sicchè sarebbe restato libero il ritirarsi a Tortona. Ma prevalse
in cuore del reale infante il parere del Maillebois, perchè creduto
migliore, o perchè parere franzese. Nella notte dunque precedente al
dì 9 di agosto i Gallispani, lasciate scorrere pel fiume Lambro nel
Po le tante barche da loro adunate, con somma diligenza si diedero
a formar due ponti sopra esso Po, e per tutto quel giorno attesero a
passare di qua coll'intera loro armata, cannoni e bagaglio; e nella
notte e dì seguente, dopo avere rotti i ponti, cominciarono a sfilare
alla volta di Castello San Giovanni. Ma essendo giunto l'avviso della
loro ritirata al suddetto generale marchese Botta, prese egli una
risoluzione non poco ardita, e che fu poi scusata per la felicità del
successo: cioè di portarsi ad assalire i nemici, tuttochè il corpo suo
forse non giugnesse a sedici mila armati; laddove quel de' nemici si
faceva ascendere a ventisette mila, computati quei che nello stesso
dì uscirono di Piacenza. Contro le istruzioni a lui date era prima
passato di qua dal Po pel ponte di Parpaneso il conte Gorani col suo
picciolo distaccamento. Per farsi onore, fu egli il primo a pizzicare
la retroguardia dei Gallispani, che era pervenuta a Rottofreddo in
vicinanza del picciolo fiume Tibone; e all'incontro di mano in mano
che andavano arrivando i battaglioni del generale Botta, entravano
in azione. Fu dunque obbligata la retroguardia suddetta a voltar
faccia, e a tenersi in guardia, colla credenza che ivi fosse tutto il
forte degli Austriaci, cioè senza avvedersi di combattere sulle prime
contra di pochi, che si poteano facilmente avviluppare o mettere in
rotta. Andò perciò sempre più crescendo il fuoco, finchè giunti tutti
i Tedeschi, divenne generale il conflitto. Fu spedito all'infante,
pervenuto già col duca di Modena e col corpo maggiore di sua gente
a Castello San Giovanni, acciocchè inviasse soccorso, siccome fece,
con alcuni reggimenti di cavalleria. Era allora alto il frumentone,
o sia grano turco; coperti da esso combattevano i fucilieri tedeschi.
Giocavano la artiglierie, e massimamente una batteria di quei cannoni
alla prussiana, che presto si caricano, nè occorre rinfrescarli
che dopo molti tiri, posta dagli Austriaci sopra un picciolo colle
caricata a sacchetti. Appena si accostarono alla scoperta le nemiche
schiere, che con orrida gragnuola si trovarono flagellate. Per più
ore durò il sanguinoso cimento; rispinta e più di una volta fu messa
in fuga la fanteria tedesca dalla cavalleria spagnuola; finchè giunto
a quella danza anche il _marchese di Castellar_, che seco conduceva
il presidio di Piacenza, consistente in cinque mila combattenti, gli
Austriaci si ritirarono, tanto che potè l'oste nemica continuare il
viaggio, e giugnere in secreto al suddetto castello di San Giovanni.
Si venne poscia ai conti, e fu creduto che restassero sul campo tra
morti e feriti quasi quattromila Gallispani, e che almeno mille e
ducento fossero i rimasti prigioni, senza contare quei che disertarono;
perciocchè abbondando l'oste spagnuola della ciurma di molte nazioni,
non mai succedeva fatto d'armi o viaggio, che non fuggisse buona copia
di essi. Restò il campo in poter dei Tedeschi con circa nove cannoni, e
undici tra bandiere e stendardi; ma in quel campo si contarono anche di
essi tra estinti e feriti circa quattro mila persone. Vi lasciò la vita
fra gli altri uffiziali il valoroso generale _barone di Berenclau_,
e tra i feriti furono i generali _Pallavicini, conte Serbelloni,
Voghtern, Andlau_ e _Gorani_. Di più non fecero i Gallispani, perchè
loro intenzione era non di decidere della sorte con una battaglia, ma
bensì di mettere in salvo i loro sterminati bagagli, e di ritirarsi. Fu
nondimeno creduto che se il conte di Gages avesse saputa l'inferiorità
delle forze nemiche, potuto avrebbe in quel giorno disfare l'armata
tedesca.

Non sì tosto ebbe fine l'atroce combattimento, che sull'avviso della
secreta partenza del marchese di Castellar da Piacenza un distaccamento
austriaco si presentò sotto quella città, e ne intimò immediatamente la
resa; e perchè non furono pronti i cittadini a spalancar le porte, per
aver dovuto passar di concerto coi Gallispani, ivi rimasti o malati o
feriti, si venne alle minaccie d'ogni più aspro trattamento. Uscirono
in fine i deputati della città, e dopo aver giustificati i motivi del
loro ritardo, fu conchiuso il pacifico ingresso de' Tedeschi nella
medesima sera, con rilasciare libero il bagaglio alla guernigione
gallispana tanto della città che del castello, la quale restò in numero
di ottocento uomini prigioniera di guerra. Vi si trovò dentro più di
cinque mila (altri scrissero fino ad otto mila) tra invalidi, feriti
ed infermi, compresi fra essi quei della precedente battaglia; più
di ottanta pezzi di grosso cannone, oltre ai minori; trenta mortari,
e quantità grande di palle, bombe, tende ed altri militari attrezzi,
con varii magazzini di panni e tele, di grano, riso e fieno entro e
fuori delle mura. Presero gli Austriaci il possesso di quella città;
ed ancorchè nei dì seguenti vi entrassero i ministri, e un corpo di
gente del re di Sardegna che ne ripigliò il civile e militare governo,
pure anch'essi continuarono ivi il loro soggiorno per guardia delle
artiglierie e de' magazzini, finchè si ultimasse la proposta divisione
di tutto, cioè della metà d'essi per ciascuna delle corti. Allora fu
che veramente sotto l'afflitta città di Piacenza ebbe fine il flagello
della guerra militare; ma un'altra vi cominciò non men lagrimevole
della prima. Gli stenti passati, il terrore, ma più di ogni altra
cosa il puzzore e gli aliti malefici di tanti cadaveri di uomini e di
bestie seppelliti (e non sempre colle debite forme) tanto in quella
città che nei contorni, cagionarono una grande epidemia negli uomini:
dura pensione provata tante altre volte dopo i lunghi assedii delle
città. Ne seguì pertanto la mortalità di molta gente, talmente che
in qualche villa non potendo i preti accorrere da per tutto; senza
l'accompagnamento loro si portavano i cadaveri alle chiese.

Era già pervenuta a Voghera l'armata gallispana, ridotta, per quanto
si potè congetturare, a quattordici mila Spagnuoli e sei mila Franzesi,
inseguita sempre e molestata nel viaggio da Usseri e Schiavoni. Giacchè
i Piemontesi non aveano voluto aspettare in Novi l'arrivo di tanti
nemici, e s'era perciò aperta la comunicazione de' Gallispani con
Genova, ed inoltre un corpo di circa otto mila tra Franzesi e Genovesi,
condotto dal _marchese di Mirepoix_, scendendo dalla Bocchetta, era
venuta sino a Gavi, per darsi mano con gli altri: venne dal maresciallo
di Maillebois e dal generale conte di Gages, nel consiglio tenuto
col reale infante e col duca di Modena, fissata l'idea di far alto in
essa Voghera; ed ordinato a questo fine che si facesse per tre giorni
un general foraggio per quelle campagne. Ma ecco improvvisamente
arrivar per mare da Antibo il _marchese della Mina_, o sia _de las
Minas_, spedito per le poste da Madrid, che giunto a Voghera, dopo
aver baciate le mani all'infante _don Filippo_, presentò le regie
patenti, in vigor delle quali, siccome generale più anziano del Gages,
assunse il comando dell'armi spagnuole in Lombardia, subordinato bensì
in apparenza ad esso infante, ma dispotico poi infatti. Ordinò egli
pertanto che tutte le truppe di Spagna si mettessero in viaggio a dì
14 d'agosto alla volta di Genova. Per quanto si opponessero con varie
ragioni i Franzesi, non si mutò parere; laonde anch'essi, scorgendo
rovesciate tutte le già prese misure, per non restar soli indietro, si
videro forzati alla ritirata medesima. Marciava questa armata verso
la Bocchetta, e già scendeva alla volta di Genova, facendosi ognuno
le meraviglie per non sapere intendere come que' generali pensassero
a mantenere migliaia di cavalli fra le angustie e le sterili montagne
di quella capitale: quando in fine si venne a svelar l'intenzione
del generale della Mina, o, per dir meglio, gli ordini segreti a lui
dati dal gabinetto della sua corte, cioè di prender la strada verso
Nizza, e di menar le sue genti fuori d'Italia. Di questa risoluzione,
che fece trasecolare ognuno, si videro in breve gli effetti; perchè
egli, dopo avere spedito per mare tutto quel che potè di artiglierie,
bagagli ed attrezzi, senza ascoltar consigli, senza curar le querele
altrui, cominciò ad inviare parte delle sue truppe per le sommamente
disastrose vie della riviera di Ponente verso la Provenza. L'infante
don Filippo e il duca di Modena, rodendo il freno per così impensata
e disgustosa mutazione di scena, si videro anch'essi forzati dopo
qualche tempo a tener quella medesima via, non sapendo spezialmente il
primo comprendere come s'accordassero con tal novità le proteste del
fratello re Ferdinando, di avere cotanto a cuore i di lui interessi. Fu
allora che non pochi Italiani delle brigate spagnuole non sentendo in
sè voglia di abbandonare il proprio cielo, seppero trovar la maniera di
risparmiare a sè stessi il disagio di quelle marcie sforzate. Il _conte
di Gages_ e il _marchese di Castellar_ s'inviarono innanzi per passare
in Ispagna. Era il Castellar richiamato colà. Al Gages fu lasciato
l'arbitrio di andare o di restar nell'armata; ma anch'egli andò.

Pareva intanto che gli Austriaco-Sardi facessero i ponti d'oro a
quella gente fuggitiva, quasichè non curassero più di pungerla o
di affrettarla, come era seguito a Rottofreddo, e bastasse loro di
vedere sgravata dalle lor armi la Lombardia. Ma tempo vi volle per
ben assicurarsi delle determinazioni de' nemici. Chiarita la ritirata
d'essi alla volta di Genova, allora passato il Po, andarono il
_generale Broun_ e il _principe di Carignano_ con dodici mila armati
ad unirsi a San Giovanni col _generale Botta_. Mossosi poi di là da
Po anche il re di Sardegna, si avanzò sino a Voghera e Rivalta; dove
concorsi tutti i generali, tenuto fu consiglio di guerra, e presa
la risoluzione di procedere avanti contro di Genova. Opponevasi ai
loro passi primieramente Tortona e poi Gavi. Perchè nella prima era
restata una gagliarda guernigione di Spagnuoli e Genovesi, e gran
tempo sarebbe costato l'espugnazion di quella piazza, solamente si
pensò a strignerla con un blocco. A questa impresa furono destinati
alquanti battaglioni, la metà austriaci e la metà savoiardi, che si
postarono sulla collina contro la cittadella; al piano si stese un
corpo di cavalleria. E perciocchè il più della lor gente a cavallo non
occorreva per quell'impresa, e molto meno per la meditata di Genova, fu
inviata a prendere riposo nel Cremonese, Modenese e Guastallese. Nel 19
d'agosto arrivò la vanguardia tedesca col generale Broun a Novi, bella
terra del Genovesato, ma terra troppo bersagliata nelle congiunture
presenti e sottoposta di nuovo ad una contribuzione più rigorosa delle
precedenti. Il castello di Serravalle assalito dagli Austriaco-Sardi, e
perseguitato con due mortari a bombe, non tenne forte che una giornata,
e tornò all'ubbidienza del re di Sardegna. Fattesi poi le necessarie
disposizioni, si prepararono gli Austriaci per inoltrarsi verso Genova,
e nello stesso tempo il suddetto re colla maggior parte delle sue
forze s'inviò verso le valli di Bormida ed Orba, per penetrare nella
riviera genovese di Ponente verso Savona e Finale, a fine d'incomodar
la ritirata de' nemici. Incredibil numero di cavalli perderono gli
Spagnuoli nella precipitosa loro marcia per quelle strade piene di
passi stretti, balze e dirupi. Tuttochè Gavi, vecchia fortezza, fosse
mal provveduta di fortificazioni esteriori, però teneva tal presidio
e treno d'artiglieria, che poteva incomodar di troppo i passaggi degli
Austriaci, e la lor comunicazione colla Lombardia; fu perciò incaricato
il _generale Piccolomini_ di formarne l'assedio; al qual fine da
Alessandria furono spediti cannoni e bombe. Intanto verso il fine
d'agosto s'inoltrò il grosso dell'armata austriaca per Voltaggio alla
volta della Bocchetta, passo fortificato dai Genovesi, e guernito di
alquante compagnie d'essi e di Franzesi. Dopo aver fatto i due generali
Botta e Broun prendere le superiori eminenze del giogo, inviarono
all'assalto di quel sito tre diversi staccamenti di granatieri e
fanti; e, se si ha da prestar fede alle relazioni loro, col sacrifizio
di soli trecento de' loro uomini forzarono i Genovesi a prendere la
fuga coll'abbandono de' cannoni e munizioni che quivi si trovarono.
Pretesero all'incontro i Genovesi di avere sostenuto con vigore, e
renduto vano il primo assalto degli Austriaci, e si preparavano a far
più lunga resistenza, quando furono all'improvviso richiamati dal loro
generale i Franzesi. Non avea mancato in questi tempi il _maresciallo
di Maillebois_ d'incoraggire il governo di Genova, con fargli sapere
l'assistenza delle truppe di suo comando, ed una risoluzione diversa da
quella degli Spagnuoli, che tutti in fine erano marciati verso ponente.
Ma non durò gran tempo la sua promessa, perchè, vago anch'egli di
mettere in salvo sè stesso e tutta la sua gente, la fece sfilare verso
la Francia, lasciando in grave costernazione l'abbandonata infelice
città di Genova. Il tempo fece dipoi conoscere che dalla corte di
Versaglies non dovette essere approvata la di lui condotta, perchè,
richiamato a Parigi, fu posto a sedere, e dato il comando di quella
molto sminuita armata al duca di Bellisle. Se crediamo a' Genovesi
il loro comandante rimasto alla Bocchetta dopo l'abbandonamento de'
Franzesi scrisse tosto al governo, per ricevere ordini più precisi,
esibendosi di poter sostenere quel posto anche per qualche giorno.
L'ordine che venne, fu ch'egli si ritirasse colla sua gente; laonde
non durarono poi gli Austriaci ulteriore fatica per impadronirsene,
con inseguir anche e pizzicare i fuggitivi Genovesi. Liberata da
questo ostacolo l'oste austriaca, non trovò più remora a' suoi passi,
e potè francamente calare buona parte d'essa sino a San Pier d'Arena a
bandiere spiegate, dove nel dì 4 di settembre si vide piantato il suo
quartier generale.

Se battesse il cuore ai cittadini di Genova al trovarsi in così
pericoloso emergente, ben facile e giusto è l'immaginarlo. Fin quando
si vide l'esercito gallispano muovere i passi dalla Lombardia verso
la loro città, ben s'era avveduto quel senato della brutta piega che
prendevano i proprii interessi; e però furono i saggi d'avviso che si
spedissero tosto quattro nobili alle corti di Vienna, Parigi Madrid
e Londra, per quivi cercar le maniere di schivar qualche temuto anzi
preveduto naufragio. Ma guai a quegl'infermi che, presi da micidial
parosismo, aspettano la lor salute da' medici troppo lontani! Il
perchè, peggiorando sempre più i loro affari, que' savii signori,
già convinti d'essere abbandonati da ognuno, ed esposti ai più gravi
pericoli, altra migliore risoluzione in così terribil improvvisata non
seppero prendere, che di trattare d'accordo coi generali della regnante
imperadrice. Non mancavano certamente, se alle apparenze si bada,
forze a quel senato per difendere la città guernita di buone mura,
anzi di doppie mura, di copiosa artiglieria e di grossi magazzini di
grano, ed altri beni quivi lasciati dagli Spagnuoli, e con presidio di
non poche migliaia di truppe regolate. Nè già avea lasciato in quella
strettezza di tempo il governo di distribuir le guardie e milizie
dovunque occorreva, e di disporre le artiglierie ne' siti più proprii
per la difesa della città. Contuttociò battuti dalla parte di terra da'
Tedeschi, angustiati per mare dalle navi inglesi, e perduta la speranza
d'ogni soccorso, che altro potevano aspettar in fine, se non lo
smantellamento delle lor suntuose case e delizie di campagna, ed anche
la propria rovina e schiavitù? Nè pur sapeano essi ciò che si potessero
promettere del numeroso bensì e vivace popolo di quella capitale,
perchè popolo già mal contento, per essergli mancato il guadagno,
e cresciuto lo stento, mentre da tanto tempo, sì dalla banda della
Lombardia, che da quella del mare, veniva difficoltato il trasporto
della legna, carbone, carni e varii altri commestibili; e forse popolo
che declamava contro l'impegno di guerra preso dal consiglio di alcuni
più prepotenti de' nobili. Aggiungasi che fra la dominante nobiltà
ed esso popolo passava bensì in tempo di quiete la corrispondenza
convenevole dell'ubbidienza e del comando, ma non già assai commercio
di amore, stante l'altura con cui trattavano que' signori il minuto
popolo, già degradato dagli antichi onori e privilegii; talmente che
non si potea sperare che alcun d'essi volesse sacrificar le proprie
vite per mantenere in trono tanti principi, che sembravano non curar
molto di farsi amare da' loro sudditi. E se i nemici fossero giunti a
salutar la città colle bombe, potea la poca armonia degli animi far
nascere disegni e desiderii di novità in quella gran popolazione.
Finalmente si trovava la città sì sprovveduta di farine, che la
fame fra pochi dì avrebbe sconcertate tutte le misure. Saggiamente
perciò da quel consiglio fu preso lo spediente di non resistere, e di
comperar più tosto coi meno svantaggiosi patti che fosse possibile la
riconciliazione coll'imperadrice e coi suoi alleati, che di azzardarsi
ad un giuoco in cui poteano perdere tutto.

Eransi già accampate le truppe austriache alle spiaggie del mare,
vagheggiando i movimenti di quello dai più d'essi non prima veduto
elemento. Spezialmente sull'asciutte sponde della Polcevera non pochi
reggimenti d'essi s'erano adagiati; nè sarebbe mai passato per mente
a que' buoni Alemanni che quel picciolo torrente potesse, per così
dire, in un istante cangiarsi in un terribil gigante. Ma nel dì 6 del
suddetto settembre ecco alzarsi per aria un fiero temporale gravido
di fulmini con impetuoso vento e pioggia dirotta, per cui scese sì
gonfia di acque ed orgogliosa essa Polcevera, che trascinò in mare
circa secento persone tra soldati, famigli ed anche alcuni uffiziali,
assaissimi cavalli, muli e bagagli. Guai se questo accidente arrivava
di notte, la terza parte dell'armata periva. Nel giorno stesso dei 4
in cui parte dell'esercito austriaco cominciò a giugnere a San Pier
d'Arena, furono deputati dal consiglio di Genova alcuni senatori
che andassero a riverire il _generale Broun_, condottiere di quel
corpo di gente. Introdotti alla sua udienza, rappresentarono la somma
venerazione della repubblica verso l'augusta imperadrice, mantenuta
anche in questi ultimi tempi, nei quali aveano protestato e tuttavia
protestavano di non aver guerra contro della maestà sua; e che essendo
le di lei milizie entrate nel dominio della repubblica, il governo
inviava ad offrire tutti i più sicuri attestati di amicizia ai di lei
ministri, mettendosi intanto sotto la protezione e in braccio alla
clemenza della cesarea reale maestà sua. Intendeva molto bene il Broun
la lingua italiana; ma non arrivò mai a capire ciò che volesse dire
quella protesta di non aver fatta guerra contro l'augusta sua sovrana.
Pure, senza fermarsi in questo, rispose ai deputati, che stante la
lor premura di godere della cesarea clemenza e protezione, e di non
provare i disordini che potrebbe produrre l'avvicinamento dell'armi
imperiali, egli manderebbe le guardie alle porte della città, affinchè
si prevenisse ogni molestia e sconcerto nel di dentro e al di fuori
d'essa. E perciocchè risposero i deputati, che a ciò ostavano le leggi
fondamentali dello Stato, il generale alterato replicò loro, che non
sapeva di leggi e di statuti, con altre parole brusche, colle quali li
licenziò. Arrivato poi nel giorno appresso il _marchese Botta Adorno_,
primario generale e comandante dell'esercito austriaco, si portarono
a riverirlo i deputati. In lui si trovò più cortesia di parole, ma
insieme ugual premura che fruttasse alla maestà dell'imperadrice la
fortuna presente delle sue armi. Proposero di nuovo que' senatori
la risoluzione della repubblica di mettersi sotto la protezione
d'essa imperadrice, a cui darebbono gli attestati della più riverente
amicizia, con ritirar da Tortona le loro genti; con far cessare le
ostilità del presidio di Gavi; con rimettere tutti i prigionieri, ed
anche i disertori, implorando nondimeno grazia per essi; col congedar
le milizie del paese, e quelle eziandio di fortuna, ritenendo solamente
le consuete per guardia della città, e con esibirsi di somministrare
tutto quanto fosse in lor potere per comodo e servigio dell'armi
austriache, rimettendosi in una totale neutralità per l'avvenire. Le
risposte del generale Botta furono, che darebbe gli ordini, affinchè
l'esercito cesareo reale desistesse da ogni ostilità, ed osservasse
un'esatta disciplina; ma essere necessaria una promessa nella
repubblica di stare agli ordini dell'augustissima imperadrice, dalla
cui clemenza per altro si poteva sperare un buon trattamento: e che,
per sicurezza della lor fede, conveniva dargli in mano una porta della
città; e che intanto si lascierebbe intatta l'autorità del governo, la
libertà e quiete della città. Portate al consiglio queste proposizioni,
furono accettate, e si consegnò al generale Botta la porta di San
Tommaso, sebben poscia egli pretese e volle anche l'altra della
Lanterna.

Nel giorno seguente 6 di settembre portossi personalmente esso marchese
in città per formare una capitolazion provvisionale, la quale sarebbe
poi rimessa all'arbitrio della maestà dell'imperadrice. Ne furono
ben gravose le condizioni; ma giacchè il riccio era entrato in tana,
convenne ricevere le leggi da chi le dava non come contrattante, ma
come vincitore; e furono: Che si consegnassero le porte della città
alle soldatesche dell'imperadrice regina: il che non ebbe poi effetto,
essendosi, come si può credere, tacitamente convenute le parti che
bastassero le due sole già consegnate. Che le truppe regolate, o sia
di fortuna, della repubblica s'intendessero prigioniere di guerra.
Che l'armi tutte della città, e le munizioni da bocca e da guerra
destinate per le milizie, si consegnassero agli uffiziali di sua
maestà. Che lo stesso si intendeva di tutti i bagagli ed effetti
delle truppe gallispane e napoletane, e delle loro persone ancora.
Che il presidio e fortezza di Gavi, se non era per anche renduta, si
rendesse tosto all'armi di essa imperadrice. Che il doge e sei primarii
senatori nel termine di un mese fossero tenuti di passare alla corte
di Vienna, per chiedere perdono dell'errore passato, e per implorare
la cesarea clemenza. Che gli uffiziali e soldati d'essa imperadrice
e de' suoi alleati si mettessero in libertà. Che subito si pagherebbe
la somma di cinquanta mila genovine all'esercito imperiale, a titolo
di rinfresco, e per ottenere il quieto vivere: del resto poi delle
contribuzioni dovea intendersi la repubblica col generale _conte di
Cotech_, autorizzato per tale incumbenza. Che quattro senatori intanto
passerebbero per ostaggi di tal convenzione a Milano. Finalmente che
questo accordo non sortirebbe il suo effetto, finchè non venisse
ratificato dalla corte di Vienna. Tralascio altri meno importanti
articoli. Non si sa che avesse effetto la consegna dell'armi e
munizioni da guerra della città; ma sibbene alle mani dei ministri
austriaci pervennero tutti i magazzini (erano ben molti) spettanti a'
Gallispani; con che quell'esercito, poco prima bisognoso di tutto,
si vide provveduto di tutto; e col ritorno dei disertori, ai quali
fu accordato il perdono, venne aumentato di due mila persone. Non si
tardò a sborsare le cinquanta mila genovine, il ripartimento delle
quali fra gli uffiziali e soldati ebbe l'attestato delle pubbliche
gazzette. Bisogno più non vi fu di trattare e disputare intorno al
resto delle contribuzioni; perciocchè il suddetto conte di Cotech,
commissario generale austriaco, il quale ne sapea più di Bartolo e
Baldo nel suo mestiere, inviò al _doge Brignole_ e senato di Genova una
intimazione scritta di buon inchiostro. In essa esponeva, che essendosi
la repubblica di Genova impegnata in una guerra manifestamente ingiusta
contro la maestà dell'imperadrice regina e de' suoi collegati,
ed aperto il varco a' suoi nemici per invadere gli Stati d'essa
imperadrice e del re di Sardegna; giusta cosa sarebbe stata l'esigere
da essa il rifacimento di tante spese e danni sofferti che ascendevano
a somme inestimabili. Ma che avendo essa repubblica riconosciuto
la mano dell'onnipotente, che l'avea fatta soccombere sotto l'armi
giuste e trionfanti della maestà sua cesarea e reale; ed essendosi
volontariamente offerta di soggiacere agli aggravii che le si doveano
imporre: perciò esso conte di Cotech perentoriamente le facea intendere
di dover pagare alla cassa militare austriaca la somma di _tre milioni
di genovine_ (cioè _nove milioni di fiorini_) in tanti scudi di
argento, e in tre pagamenti: cioè un milione dentro quarantott'ore; un
altro nello spazio di otto giorni; e il terzo nel termine di quindici
giorni: sotto pena di ferro, fuoco e saccheggio, non soddisfacendo
nei termini sopra intimati. Questa fu l'interpretazione che diede il
ministro alla clemenza dell'imperatrice regina, a cui s'era rimessa
quella repubblica.

Aveano gl'infelici Genovesi il coltello alla gola; inutile fu il
reclamare; necessario l'ubbidire. Concorsero dunque le famiglie
più benestanti al pubblico bisogno coll'inviare alla zecca le loro
argenterie; si trasse danaro contante da altri; convenne anche
ricorrere al banco di San Giorgio, depositario del danaro non solo de'
Genovesi, ma di molte altre nazioni; tanto che nel termine di cinque
giorni fu pagato il primo milione. Più tempo vi volle per isborsare
il secondo, non potendo la zecca battere se non partitamente sì
gran copia d'argento. Con parte di quel danaro furono non solamente
soddisfatti di molti mesi trascorsi gli uffiziali austriaci, ma anche
riconosciuto dalla generosità dell'augusta sovrana con proporzionato
regalo il buon servigio de' suoi uffiziali. Parte d'esso tesoro fu
condotto a Milano da riporsi in quel castello. A conto ancora del
pagamento suddetto andò la restituzion delle gioie e di altri arredi
della casa de Medici, impegnati in Genova dal regnante Augusto. Nè si
dee tacere che videsi ancor qui una delle umane vicende. Tanta cura
degl'industriosi Genovesi per raunar ricchezze andò a finire in una sì
trabocchevol tassa di contribuzioni, la quale, tuttochè imposta ad una
città cotanto diviziosa, pure a molti può fare ribrezzo. Non sarebbe ad
una città povera toccato un così indiscreto salasso. E vie più dovette
riuscire sensibile a quella nobil repubblica, perchè accaduto dappoichè
appena ella s'era rimessa dalla lunga febbre maligna della Corsica,
in cui non oso dire quanti milioni essi dicono di avere impiegato, ma
che certamente si può credere costata a lei un'immensità di danaro.
Fama corse che il re di Sardegna si lagnasse, perchè nè pure una
parola si fosse fatta di lui nella capitolazione, e nè pure si fosse
pensato a lui nell'imposta di tanto danaro e nella occupazione di tanti
magazzini. Pari doglianza fu detto che facesse l'ammiraglio inglese.

Ciò che in sì improvvisa e deplorabil rivoluzione dicessero, almen
sotto voce, gli afflitti e battuti Genovesi, non è giunto a mia
notizia. Quel che è certo, entro e fuori d'Italia accompagnata fu la
loro disavventura dal compatimento universale, e fino da chi dianzi
non avea buon cuore per essi. Però dappertutto si scatenarono voci
non men contra degli Spagnuoli che dei Franzesi, detestando i primi,
perchè principalmente da lor venne il precipizio de' Genovesi; e gli
altri, perchè mai non comparvero in Italia nell'anno presente quelle
tante lor truppe che si spacciavano in moto sulle gazzette, e che
avrebbero potuto esentare da sì gran tracollo gl'interessi proprii e
quei de' loro collegati. Aggiugnevano i politici, che quand'anche il
novello re di Spagna avesse preso idee diverse da quelle del padre,
richiedeva nondimeno l'onor della corona che non si sacrificassero
sì obbrobriosamente gli amici ed alleati; e in ogni caso poteva
almeno e doveva il comune esercito procacciare, per mezzo di qualche
capitolazione, condizioni men dure e dannose a chi avea da restare
in abbandono. Finalmente diceano doversi incidere in marmo questo
nuovo esempio, giacchè s'erano dimenticati i vecchi, per ricordo a'
minori potentati del grave pericolo a cui si espongono in collegarsi
co' maggiori; perchè facile è il trovar monarchi tanto applicati
al proprio interesse, che fanno servir gli amici inferiori al loro
vantaggio, con abbandonarli anche alla mala ventura, per risparmiare
a sè stessi l'incomodo di sostenerli. Chi più si figurava di sapere
gli arcani dei gabinetti, spacciò che fra la Spagna, Inghilterra e
Vienna era già conchiuso un segreto accordo, per cui la Spagna dovea
richiamar d'Italia le sue truppe; e gli Inglesi lasciar passare a
Napoli dieci mila Spagnuoli; e l'imperadrice regina fermare a' confini
del Tortonese i passi delle sue truppe: avere i primi soddisfatto
all'impegno, ed aver mancato alla sua parte l'austriaca armata. Di
qua poi essere avvenuto che la Spagna irritata poscia di nuovo s'unì
colla Francia. Tutti sogni di gente sfaccendata. Nè pur tempo vi era
stato per sì fatto maneggio e preteso accordo; e certo l'imperadrice
regina, principessa generosa e d'animo virile, non era capace di
obliar la propria dignità con tradire non solo gli Spagnuoli, ma anche
i mediatori Inglesi, cioè i migliori de' suoi collegati. La comune
credenza pertanto fu, che la Francia non pensò all'abbandono de'
Genovesi; e se il suo maresciallo si lasciò trascinare dall'esempio
degli Spagnuoli, non fu questo approvato dal re Cristianissimo.
Quanto poscia alla corte del re Cattolico, si tenne per fermo, che sui
principii cotanto prevalesse il partito contrario alla vedova _regina
Elisabetta_, che si giugnesse a quella precipitosa risoluzione a cui da
lì a non molto succedette il pentimento, essendo riuscito al gabinetto
di Francia di tener saldo nella lega il re novello di Spagna, ma dopo
essere cotanto peggiorati in Italia i loro affari, e con dover tornare
all'abici, qualora intendessero di calar un'altra volta in Italia. Per
conto poi de' Genovesi poco servì a minorare i loro danni ed affanni
l'altrui compatimento, e il cangiamento di massime nella corte del re
di Spagna. Contuttociò dicevano essi di trovar qualche consolazione in
pensando, che ognuno potea scorgere, non essere le loro disavventure
una conseguenza di qualche loro ambizioso disegno, ma una necessità di
difesa; nè potersi chiamar poco saggio il loro consiglio per l'aderenza
presa con due corone potentissime, le quali sole poteano preservarli
dai minacciati danni: giacchè a nulla aveano servito i tanti loro
ricorsi e richiami alle corti di Vienna, Inghilterra ed Olanda.

Ma lasciamo oramai i Genovesi, per seguitare _Carlo Emmanuele_ re
di Sardegna. Nè pur egli fu pigro a prendere la fortuna pel ciuffo.
Colla maggior diligenza possibile fece egli calar le sue truppe per
l'aspre montagne dell'Apennino sulla riviera di Ponente, a fin di
tagliare la strada, se gli veniva fatto, ai fuggitivi Franzesi; e
fama corse essere mancato poco che l'infante _don Filippo_ e il _duca
di Modena_ non fossero sorpresi nel viaggio. Ma la principal mira
d'esso re erano Savona e il Finale, paesi dietro ai quali s'erano
consumati tanti desiderii de' suoi antenati, e sui quali la real casa
di Savoia manteneva antiche ragioni o pretensioni. Giunsero colà le
sue milizie nel dì 8 di settembre; ed arrivò anche lo stesso re nel
dì seguente a Savona, incontrato dal vescovo e dai magistrati della
città, che andarono a presentargli le chiavi. Colà giunse ancora il
generale Gorani, spedito con alcuni battaglioni austriaci, per darsi
mano a sottomettere il castello assai forte d'essa Savona. Trovavasi
alla difesa di quello un comandante di casa Adorno nobile genovese,
il quale alla chiamata di rendersi diede quella risposta che conveniva
ad un coraggioso e fedele uffiziale; e tanto più perchè fu fatta essa
chiamata per parte del re di Sardegna. Raccontasi che egli dipoi, come
se quella piazza avesse da essere il sepolcro suo, distribuì ai soldati
varii effetti e danari di sua ragione, e nel testamento suo dichiarò
eredi suoi le mogli e i figli di quegli uffiziali che morrebbono nella
difesa: al che egli dipoi si accinse con tutto vigore. Si tardò ben
molto a cominciare le ostilità contra di quel castello, perchè non
poteano volare per le aspre montagne i mortai e l'artiglieria grossa
che occorreva a quell'assedio. Passarono le brigate austriaco-sarde
al Finale, e il forte di quella terra non si fece molto pregare a
capitolar la resa, con restar prigione il presidio, e coll'avere gli
uffiziali ottenuto buon trattamento per loro e per i loro equipaggi.
Giunse colà nel dì 15 di settembre il re di Sardegna; allora fu che,
non potendosi più ritenere l'antico abborrimento di quel popolo al
giogo genovese, scoppiò in segni d'incredibil allegrezza, e con sommo
applauso, ed applauso di cuore accolse il novello sovrano. Proseguì
poscia esso re colle milizie il viaggio, occupando di mano in mano i
posti e le terre che i Franzesi andavano abbandonando, finchè giunse
a Ventimiglia, Villafranca e Montalbano, all'assedio de' quali luoghi
egli fu forzato a dover fermare il piede. Dovunque passarono l'armi
sue vincitrici, segni ne restarono della singolar sua moderazione
e della savia sua maniera di trattare chiunque a lui si arrendeva.
Non la voleva egli contra la borsa di que' popoli; esatta disciplina
osservavano le sue truppe; solamente, per buona precauzione, levò
l'armi al conquistato paese. Impiegò egli in quei viaggi e nella
conquista della riviera di Ponente il resto di settembre e la metà
d'ottobre; nè altro considerabil avvenimento si contò, se non che il
generale austriaco Gorani, nel riconoscere il posto della Turbia, nel
dì 12 d'esso ottobre perdè la vita; i Franzesi nel dì 18 ripassarono
il Varo; il castello di Ventimiglia nel dì 23 si sottomise all'armi de'
Piemontesi.

Intanto la corte di Vienna, considerando il bell'ascendente dell'armi
sue in Lombardia e nel Genovesato, e già cacciati di là da' monti i
nemici tutti, vagheggiava il bel regno di Napoli, come un premio dovuto
al valore e alla buona fortuna dell'armi sue nell'anno presente. Niun
v'era de' ministri che, ricordevole delle tante pensioni e regali
procedenti una volta da quel fruttuoso paese, non inculcasse venuto
ormai il tempo di riacquistar giustamente ciò che s'era sì miseramente
perduto negli anni addietro; avere l'imperadrice oziosi circa dieci
mila cavalli, adagiati nel Modenese, Cremonese, Mantovano ed altri
luoghi. Accresciuti questi da qualche quantità di fanteria, ecco un
esercito capace di conquistare tutto quel regno; trovarsi il re di
Napoli privo di gente, di danaro e di maniera per resistere; col solo
presentarsi colà un esercito austriaco, altro scampo non restare a quel
re, che di fuggirsene in Sicilia; e che la Sicilia stessa, qualora
volessero dar mano gl'Inglesi, facilmente coronerebbe il trionfo
dell'armi imperiali. Forti erano e ben gustate queste ragioni; e non è
da dubitare che la corte cesarea ardesse di voglia di quell'impresa;
al qual fine si videro anche sboccare in Italia alcune migliaia di
fanti Croati e Schiavoni, gente mal in arnese, ma forte di corpo,
reggimentata, e che sa, occorrendo, ben maneggiare i fucili e sciable.
Ma altri furono in que' tempi i disegni dell'Inghilterra, cioè di
quella potenza che avea come dipendenti, per non dire come servi,
i suoi collegati, pel bisogno che tutti aveano delle sue sterline,
cioè d'un danaro onde veniva il moto principale della macchina di
quell'alleanza. Da che la Francia osò, se non di attaccare, almeno di
secondare il fuoco nelle viscere della Gran Bretagna colla sedizion
della Scozia, in cui non si trattava di meno che di detronizzare il
regnante re _Giorgio II_, lo spirito della vendetta, o sia la brama
di rendere la pariglia al re Cristianissimo, fece gran breccia nella
corte britannica. Fu dunque risoluto l'armamento d'una possente flotta,
per portare la desolazione in qualche sito delle coste di Francia; e
in oltre, giacchè più non restavano in Lombardia nemici da combattere,
questo parea il tempo di portare la guerra anche dalla parte d'Italia
nel cuor della Francia, acciocchè ella non si gloriasse di farla sempre
in casa altrui. A questa determinazione ripugnava non poco il gabinetto
imperiale tra per li noti infelici tentativi altre volte fatti o nella
Provenza o nel Delfinato, e perchè si vedeva interrompere l'impresa di
Napoli, dove certo si conosceva il guadagno; laddove poco o nulla v'era
da sperare nella Provenza. Per lo contrario, l'Inghilterra non solo
desiderava, ma comandava una tale spedizione; e per questo fine ancora
mosse il re di Sardegna a contribuir buona parte della sua fanteria.

Tali nondimeno divennero le forze austriache in Italia, tali i nuovi
rinforzi inviati per accrescerle, che si figurò il ministero cesareo di
poter accudire all'una impresa senza pregiudizio dell'altra; nè si può
negare che ben pensati erano i suoi disegni. Ma ordinaria disavventura
delle leghe è l'avere ogni contraente dei particolari interessi e
desiderii che non s'accomodano con quei degli altri. In Londra v'erano
delle segrete intenzioni contrarie a quelle di Vienna. Si voleva
far del male alla Francia, è non già alla Spagna. Sempre fitto il re
d'Inghilterra nella speranza d'una pace particolare col re Cattolico,
fervorosamente maneggiata dall'austriaca regina di Portogallo, e
creduta anche assai verisimile, per essersi scoperte nel novello re di
Spagna delle massime ben diverse da quelle del re fu suo padre: con
ogni riguardo procedeva verso gli Spagnuoli, astenendosi, per quanto
mai poteva, dal recar loro danno, anzi da ogni menomo loro insulto;
nemico in fine di solo nome, ma non già di fatti. Però la conquista
del regno di Napoli, meditata in Vienna, che avrebbe infinitamente
disgustata la corona di Spagna, si trovò ascosamente attraversata
dagl'Inglesi, i quali fecero valere la necessità di entrare in Provenza
colle maggiori forze possibili, per non soggiacere agl'inconvenienti
patiti altre volte in sì fatte spedizioni, ed essere troppo pericoloso
l'indebolir cotanto l'armata di Lombardia, coll'inviarne sì gran parte
in sì lontane e divise contrade; e che costerebbe troppo il mantenere
in tali circostanze quell'acquisto. Queste ed altre ragioni, delle
quali il gabinetto di Vienna intendeva molto bene il perchè, fecero che
l'imperadrice regina forzatamente desse bando ad ogni disegno sul regno
di Napoli; e intanto il re Cattolico con varii convogli per mare spedì
ad esso Napoli alcune migliaia delle sue truppe, le quali ebbero sempre
la fortuna di non essere vedute dagl'Inglesi, nè di incontrarsi nelle
lor navi, le quali pure padroneggiavano per tutto il mare Ligustico e
Toscano.

Fissata dunque la spedizione austriaco-sarda contro la Provenza, per
cui tanto all'imperadrice che al re di Sardegna uno straordinario
aiuto di costa in moneta fu somministrato dall'Inghilterra, esso re
sardo, per disporla ed animarla come generalissimo, passò a Nizza
già abbandonata dai Franzesi. Quivi ricevette egli l'avviso che s'era
renduto alle sue armi Montalbano, e che poco appresso, cioè nel dì 4
di novembre, avea fatto altrettanto il castello di Villafranca. Giunse
anche da lì a poche settimane la lieta nuova che la cittadella di
Tortona era tornata in suo dominio nel dì 25 del mese suddetto, con
aver quella guernigione spagnuola ottenuta ogni onorevol capitolazione;
giacchè anche esso re in tutta questa guerra ogni maggior convenienza
e rispetto osservò sempre verso la corona di Spagna. Intanto sì dalla
parte di Genova che di Lombardia andavano sfilando le soldatesche
destinate per l'invasione della Provenza, facendosi la massa della
gente a Nizza. Scelto per comandante di quell'armata il generale _conte
di Broun_, questi verso la metà di novembre giunse per mare a quella
città, e cominciò a prendere le misure per effettuare il meditato
disegno. Giacchè si calcolava di non trovare nè viveri nè foraggi in
Provenza, l'ammiraglio inglese Medier, chiamato a consiglio, assunse
il carico di condurre dai magazzini di Genova e della Sardegna il
bisognevole, siccome ancora le artiglierie, attrezzi e munizioni
da guerra. Sopraggiunse in questi tempi gagliarda febbre al re di
Sardegna, che grande apprensione ed affanno cagionò in quell'armata, ma
più in cuore dei sudditi suoi, i quali perciò con pubbliche preghiere
implorarono da Dio la conservazione d'una vita sì cara. Dichiarossi
poi nel dì 25 di novembre il vaiuolo, e questo di qualità non maligna,
talchè, passato il convenevol tempo richiesto da sì fatta malattia,
cessò ogni pericolo e timore. A cagione nondimeno della convalescenza
fu conchiuso ch'esso re passerebbe il verno in quella città. Finalmente
sul fine di novembre si trovò raunato l'esercito destinato ai danni
della Provenza, che si fece ascendere a trentacinque mila combattenti
tra fanti e cavalli, cioè due terzi di Austriaci, e l'altro di
Piemontesi comandati dal tenente generale _marchese di Balbiano_;
perciò s'imprese il passaggio del fiume Varo.

Credevasi di trovar quivi forte resistenza dalla parte de' Franzesi;
ma non erano tali le forze di questi da poter punto frastornare i
passi degli Austriaci e Savoiardi. S'erano già separate le milizie
spagnuole dai Franzesi, e misteriosi parevano i loro movimenti, perchè
ora sembrava che volessero prendere il cammino verso la Spagna, ed
ora che pensassero a ritirarsi in Savoia. E veramente a quella volta
tendevano i loro passi, quando arrivò in Tarascon al generale _marchese
della Mina_ un corriere dell'ambasciatore Cattolico esistente in
Parigi, da cui veniva avvertito di tener le truppe di suo comando unite
con quelle di Francia, stante una nuova convenzione stabilita fra le
due corone di Madrid e Versaglies. Servì un tale avviso, perchè il
marchese non progredisse innanzi, per aspettare più accertati ordini
dalla corte del suo sovrano. Non ascendevano dal canto loro i Franzesi
a più di cinque o sei mila persone sotto il comando del _marchese di
Mirepoix_ tenente generale, avendo pagato gli altri il disastroso
ritorno dal Genovesato o con lunghe malattie o colla morte. Vero è
che si trovarono alquanti corpi d'essi Franzesi qua e là postati al
basso e all'alto del Varo, per contrastarne il passo a' nemici; due
fortini ancora o ridotti teneano sulle sponde d'esso fiume; pure tra
le batterie erette di qua dal fiume, che faceano buon giuoco, e pel
cannone di tre vascelli e di altri legni minori inglesi che s'erano
postati all'imboccatura del fiume stesso, animosamente in più colonne
passarono gli Austriaco-Sardi, essendosi precipitosamente ritirati
da tutti que' postamenti i Franzesi. Detto fu che solamente costasse
quel passaggio ottanta persone, le quali ebbero anche la disgrazia di
annegarsi. Fu dipoi formato un sodo ponte sul Varo; e volarono ordini
perchè venissero le grosse artiglierie, per dar principio all'assedio
d'Antibo, mira principale del _generale Broun_, che servirebbe di scala
all'altro di Tolone.

Trovarono gli aggressori in que' contorni abbandonate le case, e
fuggiti col loro meglio i poveri abitanti. Ma per buona ventura vi
restarono le cantine piene di vino, e vino, come ognun sa, sommamente
generoso di quelle colline, onde ne avrebbe quel popolo, secondo
il costume, ricavato un tesoro. Giacchè altro nemico da combattere
non aveano trovato i Tedeschi, gli Svizzeri ed anche gl'Italiani,
sfogarono il loro valore e sdegno contra di quelle botti, e per tre
giorni ognun trionfò di que' cari nemici. Era un bel vedere qua e là
per terra migliaia di soldati che più non sapeano in qual parte del
mondo si fossero: così ben conci erano dal tracannato liquore. Non
sanno più i gran guerrieri del nostro tempo usare stratagemmi, nè
studiano i libri vecchi, per impararne l'arte. Se quattro o cinque
mila Franzesi, col muoversi di notte, avessero colto in quello stato
i lor nemici, voglio dire quegli otri di vino, chi non vede qual
brutto governo ne avrebbero potuto fare? il generale Broun per questo
inaspettato accidente non sapea darsi pace, e vi rimediò come potè.
Gli antichi preparavano buona cena alle truppe nemiche, per farne
poi loro pagare lo scotto nella notte seguente. Tanto nulladimeno
si affrettarono quei bravi bevitori a votar quelle botti, spandendo
anche per le cantine il vino sopravanzato alla loro ingordigia, che ne
fecero poi lunga penitenza, costretti sovente a bere acqua, per non
trovare di meglio. Si stesero dipoi i loro staccamenti alle picciole
città di Vences, Grasse ed altri luoghi, i vescovi delle quali città
impiegarono con somma carità quanto aveano, per esentare i popoli
da un duro trattamento. Trovarono un discreto nemico nel suddetto
generale Broun, il quale portò poscia il suo quartiere generale sino
a Cannes, sulla spiaggia del mare di là da Antibo, con bloccare quel
porto, e dar principio alle ostilità contra del medesimo. Non trovando
quelle soldatesche in alcun luogo opposizione alcuna, s'inoltrarono
fino a Castellana, Draghignano ed altre lontane terre. Altro miglior
partito non seppe trovare il re Cristianissimo, per mettere argine
a questo torrente, che di ordinare la mossa di almen trenta mila
combattenti delle truppe regolate esistenti in Fiandra, giacchè si
conobbe insufficiente medicina a questo malore il formar de' nuovi
reggimenti in Provenza. Uomini di nuova leva son per lo più soldati
di nome, conigli di fatti. Un soccorso tale, che dovea far viaggio di
più centinaia di miglia, per arrivare in Provenza, non frastornava
punto i sonni e i passi dell'armata austriaca e savoiarda; la quale
perciò nel dì 15 di dicembre giunse ad impadronirsi anche della città
di Frejus, con istendere le contribuzioni per tutte quelle contrade. E
perciocchè si trovò che le barche armate dell'isole di Sant'Onorato e
di Santa Margherita infestavano non poco i convogli destinati pel campo
di Cannes, ordinò il Broun che sopra molti legni venuti da Villafranca
s'imbarcassero tre mila soldati, e facessero colà una discesa. Non
indarno questa fu fatta. Capitolarono le picciole guernigioni dei due
forti esistenti in quelle isole, e cederono il campo ai nuovi venuti.
Molto dipoi costò ai Franzesi la ricupera di quei luoghi. Le speranze
intanto di vincere il forte d'Antibo erano riposte nei grossi cannoni e
mortai che si aspettavano da Genova; quando si sconcertarono tutte le
misure per un inaspettato avvenimento, che sarà ben memorabile anche
nei secoli avvenire.

Da che piegarono il collo i rettori di Genova sotto l'armi fortunate
dell'imperadrice regina colla capitolazione che di sopra accennammo,
restò quella nobil città ondeggiante fra mille tetri ed inquieti
pensieri. Le apparenze erano che in quel governo durasse l'antica
libertà e signoria; perchè il doge, il senato e gli altri magistrati
continuavano come prima nell'esercizio delle loro funzioni ed autorità;
tenevano le guardie dei lor proprii soldati (soldati nondimeno
dichiarati prima prigionieri di guerra dei Tedeschi) a Belvedere
e alle porte, a riserva di quelle di San Tommaso e della Lanterna
cedute agli Austriaci. Gli stessi Austriaci pareva che non turbassero
i fatti della città, giacchè non permetteva il Botta che alcuno de'
suoi soldati entrasse in quella senza sua licenza in iscritto. Ma in
fine tutta questa libertà non era diversa da quella degli uccelletti
che legati per un piede si lasciano svolazzare qua e là. Se non
entravano a centinaia e migliaia di Tedeschi in città a farvi da
padrone, poteano ben entrarvi, qualora ne venisse loro il talento;
e non pochi ancora v'entravano, con pagar poscia i viveri meno del
dovere, e con vilipendere ed ingiuriare toccando forte sul vivo i
poveri abitanti. Intanto di circa otto mila Tedeschi non andati in
Provenza, parte acquartierata in San Pier d'Arena teneva in ceppi la
città, e parte stesa per la riviera di Levante s'era impadronita di
Sarzana, della Spezia e di altri luoghi in quelle parti. Nella fortezza
di Gavi, ceduta da' Genovesi, comandava la guernigione austriaca; e
per tutta la riviera di Ponente altro più non restava che inalberasse
le bandiere della repubblica, fuorchè l'assediato castello di Savona,
avendo il re di Sardegna conquistate tutte l'altre terre e città, con
farsi anche giurare fedeltà dai Finalini. Ed allorchè fu per marciare
l'armata in Provenza, credette ben fatto il generale Botta di occupare
all'improvviso il bastione di San Benigno, guernito di gran copia
di bombe e cannoni, che sovrasta alla Lanterna, e domina non men la
città che il borgo di San Pier d'Arena. In tal positura di cose si
scorgeva da ognuno ridotta al verde la potenza e libertà de' Genovesi.
Aggiungasi il guasto de' poderi e delle case, con una man di estorsioni
ed avanie, che più di uno degli uffiziali e soldati austriaci, non mai
sazii di conculcare i vinti, andavano commettendo per tutti i luoghi
dei loro quartieri. Nè da Vienna altra indulgenza finora avea potuto
ottenere l'inviato della repubblica, se non l'esenzione che il doge e
i sei senatori si portassero colà. Pretesero i Tedeschi insussistenti e
vane tutte le suddette accuse. Il peggio era, che dopo avere il senato
smunte le case de più ricchi, intaccato il banco di San Giorgio, e
battute in moneta le argenterie de' benestanti, col giugnere in fine
a pagar anche buona parte del secondo milione di genovine, animato
a questo sforzo dalle molte speranze date che sarebbe condonato il
resto: non istettero molto ad udirsi le richieste anche del terzo;
e queste poi si andarono maggiormente inculcando, corteggiate dalle
minaccie del commissario generale Cotech del saccheggio, e di ogni
altro più aspro trattamento. La mirabil industria d'esso commissario
avea saputo con tanta facilità, cioè con un solo tratto di penna,
trovare il _lapis philosophorum_; si credeva egli che in essa penna
durerebbe per sempre quella virtù. Intanto quel governo, di consenso
del marchese Botta, scelse quattro cavalieri per inviarli a Vienna
a rappresentar l'impotenza d'un ulterior pagamento, sperando pure
migliori influssi dall'imperiale e real clemenza e protezione, in
braccio a cui s'erano gittati. Ma o sia che non venisse mai dalla corte
l'approvazione di tal deputazione, o che venisse in contrario: mai non
si poterono ottenere dal marchese i necessarii passaporti. Se poi s'ha
da credere tutto quanto concordemente asseriscono i Genovesi, giunse
il conte di Cotech ad intimare, oltre al suddetto terzo milione, anche
il pagamento di altre gravi somme per li quartieri del verno e quieto
vivere, e ducento mila fiorini per li magazzini delle truppe genovesi
dichiarate prigioniere di guerra, i quali non vi erano, ma vi dovevano
essere. Allegò il governo l'impossibilità a più contribuire; e perchè
succederono le minaccie, fu risposto che il Cotech prendesse quante
risoluzioni volesse, ma che queste in fine non potrebbero essere che
ingiuste. Non andò molto, che il generale Botta parimente richiese
cannoni e mortari alla repubblica, per inviarli in Provenza; e non
volendoli questa dare di buon grado, egli spedì gente a levarli dai
posti per quel trasporto.

Questo era il deplorabile stato di Genova, cagione che già molti nobili
e ricchi mercatanti aveano cangiato cielo, non sofferendo loro il
cuore di mirare i mali presenti della patria, con paventarne ancora
de' peggiori in avvenire. La troppo disgustosa voce del minacciato
sacco, vera o falsa che fosse, disseminata oramai fra quel numeroso
popolo, di troppo accrebbe il già prodotto fermento di odio, di
rabbia, di disperazione. E tanto più crebbe, perchè, lamentandosi
alcuni dell'aspro trattamento che provavano, scappò detto ad un
uffiziale italiano nelle truppe cesaree, che si meritavano di peggio.
Poi soggiunse: _E vi spoglieremo di tutto, lasciandovi solamente gli
occhi per poter piagnere._ Meriterebbe d'essere cancellato dal ruolo
de' cavalieri d'onore chi nudriva così barbari sentimenti, e si facea
conoscere un tartaro, e non un cristiano. L'infima plebe imparò allora
a lodare lo stato antecedente, perchè altro aspetto non aveva il
presente che quello di sterminio e di schiavitù. Pure, non trovandosi
chi osasse di alzare un dito, in soli segreti lamenti e combriccole
andava a terminare il risentimento di ognuno: quand'ecco una scintilla
va ad attaccare un grande impensato incendio. Era il dì 5 di dicembre,
e strascinavano gli Alemanni un grosso mortaio da bombe, per inviarlo
in Provenza. Sono assaissime strade di Genova vote al disotto, affinchè
passino l'acque scendenti dalle montagne in tempo di pioggie, ed
anche per le cloache. Al troppo peso di quel bronzo, nel passare pel
quartiere di Portoria, si fondò la strada, onde restò incagliato il
trasporto. La curiosità trasse colà non pochi del minuto popolo, che
furono ben tosto sforzati a dar mano per sollevare il mortaio. E perchè
mal volentieri facevano essi quel mestiere, perchè non pagati, e perchè
parea loro cosa dura di faticare in danno della stessa lor patria:
si avvisò uno de' Tedeschi di pagargli col regalo di alcune poche
bastonate. Non sapea costui di che fuoco ed ardire sia impastato il
popolo di Genova; ne fece immantenente la pruova. Il primo a scagliare
contra di lui una buona sassata, fu un ragazzo, con dire prima ai
compagni: _La rompo?_ E all'esempio suo tutti gli altri diedero di
piglio ai sassi, i quali ebbero la virtù di far fuggire i Tedeschi.
Rinvenuti in sè quei soldati, tornarono poscia colle sciable nude per
gastigar quella povera gente; ma ricevuti con più copiosa grandine
di sassi, furono di nuovo obbligati a salvarsi colla fuga. Nulla di
più avvenne in quel giorno. Nella notte quei che erano intervenuti
a quella picciola commedia, andando per le strade, cominciarono a
gridare _all'armi_, ripetendo sovente: _Viva Maria_: con che si raunò
una gran brigata, tutta della feccia più vile della città. Deridevano
gli Austriaci questo schiamazzo, insultandoli con gridare: _Viva Maria
Teresa_. Presentossi poscia al palazzo pubblico la plebe, chiedendo
armi con terribile strepito. Ordinò il governo che si chiudessero le
porte, si raddoppiassero le guardie, si mettessero soldati fuori del
rastrello con baionetta in canna. Nulla potendo ottenere, raddoppiarono
le grida; e intanto sparso il romore per varii quartieri, maggiormente
crebbe la folla de' sollevati, che tornata con più empito la seguente
mattina, giorno 6 di dicembre, al palazzo, continuò a fare istanza
d'armi, e tentò anche di scalar l'alte finestre dell'Armeria, ma con
esserne rispinta. Nè mancò il governo di ragguagliare il _generale
Botta_ di questa novità. Giacchè era fallito questo colpo al popolo,
si voltò alle guardie delle porte e sorprendendole s'impadronì
dell'armi loro; sforzò le porte degli uffiziali militari; entrò in
qualsivoglia bottega di armaiuoli, e quante armi trovò, tutte se le
portò via, senza toccare il resto. Ma non v'era capo, ognun comandava,
nè altro si mirava che confusione. Spediti dal governo alcuni de'
cavalieri più accreditati fra il popolo, impegnarono indarno la loro
eloquenza per frenarli. Andò poi l'infuriata gente alle porte di San
Tommaso, credendosi di atterrire le guardie tedesche con una scarica
di fucili e con altre grida. Chiusero gli Alemanni le porte, e si
risero delle loro bravate. Ma non si rallentò per questo il coraggio
del popolo, che corso a prendere un picciolo cannone, lo presentò a
quelle porte per batterle. Questo fu un farne un regalo agli Alemanni,
i quali, aperte all'improvviso le porte, e spedita fuori una man di
granatieri, nè pur lasciarono tempo di spararlo, e sel portarono via.
Fuori anche d'esse porte sboccò nella città una banda di quindici o
venti uomini di cavalleria tedeschi, che, dopo la scarica delle lor
carabine, colle sciable alla mano corsero per Acquaverde e strada Balbi
fin sulla piazza dell'Annunziata. Di più non vi volle per dissipare
l'indisciplinata gente, che sparpagliata prese sulle prime qua e là la
fuga. Ma attruppatisi poi alcuni di essi, ed uccisi con moschettate
due dei cavalli nemici, fecero ritirare il resto più che di fretta.
Da questo fatto argomentarono molti, che se il generale Botta avesse
inviato delle buone schiere e squadre d'armati nella città, avrebbe
potuto in quel tempo sopire il tumulto, perchè movimento contraddetto
dal governo, nè secondato da persona alcuna di conto.

Servì di scuola agli ammutinati il rischio corso a cagion
dell'irruzione della poca cavalleria nemica per premunirsi; e però
nella seguente notte barricò le principali strade con botti ed altra
copia di legnami, e con replicati fossi. Era cresciuto a dismisura il
popolaccio, e giacchè tutti i palazzi de' nobili si trovavano chiusi e
ben custoditi, nè sito finora s'era trovato per farvi le loro sessioni,
sforzarono il portone dei padri Gesuiti nella strada Balbi, ed
impadronitisi di tutte quelle scuole e congregazioni, quivi piantarono
il loro quartier generale. Fu creato un commissario generale, che
scelse varii luogotenenti, ordinò pattuglie di giorno e di notte,
per ovviare ai disordini, pubblicò editti rigorosi, che ognun dovesse
accorrere alla difesa. In una parola assunse il governo e comando della
città, senza nondimeno perdere il rispetto al doge e senato, se non che
gli ordini del ceto nobile non erano attesi, e il magistrato popolare
voleva essere ubbidito. Pretese dipoi quel popolo, che fosse nulla
la capitolazione fatta dal governo con gli Austriaci, siccome fatta
senza participazione e consenso del secondo e terzo ordine popolare,
che a tenore delle leggi e convenzioni pubbliche si richiedeva. Avea
comandato esso governo nobile che non si sonasse campana a martello,
e intimato ai capitani delle popolatissime vicine valli del Bisagno e
della Polcevera di non prendere l'armi. Se ubbidissero, staremo poco
a vederlo. Intanto il generale marchese Botta avea spediti ordini
pressanti alle milizie tedesche, sparse per le due riviere di Levante
e Ponente, acciocchè accorressero a Genova. Prese eziandio altre
precauzioni per sostenere le porte di San Tommaso, ed occupò varii
postamenti, atti non meno all'offesa che alla difesa. Ma venuto il dì
7 di dicembre, ecco in armi tutto il gran quartiere di San Vincenzo ed
il Bisagno, che si diedero mano con gli altri popolari. Andarono essi
ad impossessarsi di tutte le artiglierie, poste nei lavori esteriori
della città, e di una batteria detta di Santa Chiara. Con questi bronzi
cominciarono a fulminare alcuni posti, dove erano i nemici, con farne
anche prigioni alcuni. Al vedere sì stranamente cresciuto l'impegno,
il generale Botta mandò a dire al governo che acquetasse il tumulto;
e ricevuto per risposta dal palazzo di non aver forza da farlo, si
esibì egli di andare al palazzo per comporre le cose; ma poscia non si
attentò, o lo trattenne il decoro.

Arrivò il giorno 8 di dicembre, giorno solenne spezialmente in Genova
per la festa della Concezione di Maria Vergine, che quel popolo tiene
per sua principal protettrice; ed allora fu che altro nerbo, altro
regolamento prese il fin qui ammutinato minuto popolo della città e
del Bisagno. Imperciocchè, unitosi con loro il secondo ordine dei
mercatanti ed artisti, si cominciò a dar pane, vino e danaro; si
provvidero le occorrenti munizioni ed armi; si stabilì un'ospedale
per li feriti, e si presero altre saggie misure, che accrebbero il
coraggio ad ogni amator della patria. Per la strada Balbi in quel
giorno crebbero le ostilità delle artiglierie dall'una e dall'altra
parte, quando consigliato il popolo a proporre un aggiustamento,
espose un panno bianco. Venuto a parlamento un uffiziale tedesco,
intese le loro proposizioni, consistenti in richiedere che fossero
lasciate libere le porte; riposti al suo sito i cannoni asportati;
cessata ogni ulterior pretensione di danaro, e di qualsivoglia
altra, benchè menoma, esazione, con dare per questo sei uffiziali
in ostaggio. Rapportate furono al generale Botta e al suo consiglio
quelle dimande, l'ultima delle quali mosse ciascuno a sdegno o riso,
considerata la viltà dei proponenti, e la trionfal maestà di chi udiva
tali proposizioni. La risposta fu, che si voleva tempo a rispondere.
Giudicò bene d'interporsi, per veder pure se si poteva amichevolmente
terminar questa pugna, il _principe Doria_, signore ben veduto dagli
Austriaci, e insieme sommamente amato dal popolo per le sue belle
doti e copiose limosine. Concorse anche per istanza e commission
del governo a sì lodevol impresa il padre Visetti, rinomato sacro
oratore della compagnia di Gesù, siccome persona molto stimata dal
marchese generale Botta. Per quanto questi rappresentasse le triste
conseguenze, che potea produrre la durezza de' Tedeschi contra di sì
numeroso, ardito e disperato popolo, essendo egualmente pregiudiciale
agl'interessi e alla gloria dell'imperadrice regina, il danno che
sovrastava all'armata imperiale, e l'eccidio minacciato della città;
non poterono fissare concordia alcuna. Si arrendeva il generale sul
capitolo dell'esazione richiesta sopra il terzo milione, ma troppo
abborriva il rilasciar le porte. Più volte andò il principe innanzi e
indietro, con rapportar le risposte. Trovatosi il popolo risoluto in
voler la libertà delle porte, parve che Il general Botta inchinasse a
soddisfarlo, con trovarsi poi ch'egli intendeva di una porta, e non
di tutte e due quelle di San Tommaso. Pretesero i Genovesi ch'esso
generale tergiversasse o lavorasse di sottigliezze; ma certo egli si
trovava in un mal passo, perchè, in qualunque maniera ch'egli avesse
operato, mal intese sarebbero state le sue risoluzioni. Cioè se con
cedere avesse calmata quella popolar commozione, gli sarebbe stato
attribuito a delitto l'avere sacrificato l'onore dell'armi imperiali e
l'interesse dell'imperadrice regina, condonando il milione promesso,
e restituendo le porte senza licenza della corte. Se poi non cedeva,
volendo più tosto aspettar la rovina che poi seguitò, sarebbe stato
egualmente esposto al biasimo e alla censura il suo contegno. Dopo il
fatto ognun la fa da giudice e spula sentenze; ma per giudicar bene,
convien mettersi nel vero punto delle cose e delle circostanze prima
del fatto.

Continuarono anche nel dì 9 di dicembre i trattati, ma senza frutto,
talmente che il principe Doria, dopo aver battute tante ragioni e
fatiche, se ne lavò le mani, e si ritirò lungi da Genova. Nè miglior
fortuna ebbe l'eloquenza del padre Visetti. E perchè il generale
austriaco andava prendendo tempo alle risoluzioni, spendendo intanto
speranze e buone parole, pretese il popolo genovese ciò fatto ad arte,
tanto che arrivassero al suo campo le truppe richiamate dalle due
riviere. Tutto questo accresceva l'impazienza e i moti dei Genovesi,
per tentare colla forza la sospirata liberazione. Frequenti furono
in tutti que' dì le pioggie; pure nulla poteva ritenerli dal fare
ogni opportuno preparamento per quell'impresa; nè loro mancò qualche
sperto ingegnere che suggerì i mezzi più adattati al bisogno. Si
videro a folla uomini, donne, ragazzi, e massimamente i facchini,
tutti a gara portare chi fascine, chi palle, chi polve da fuoco e
granate, chi formar palizzate e gabbioni, e chi colle sole braccia
strascinar per istrade sommamente erte cannoni, mortai e bombe. Ne
trassero fino alle alture di _Prea_, o sia _Pietra minuta_: il che
parrebbe inverisimile, mirando quel sito. Parimente postò il popolo
varie altre batterie di cannoni in siti che dominavano San Benigno,
in strada Balbi, all'arsenale e altrove, dove maggiormente conveniva
per offendere i nemici. Non mancavano armi, palle e polve ad alcuno.
Mal digeriva il popolo le dilazioni che andava prendendo il generale
suddetto, e tanto più perchè già si sentivano giunti in Bisagno circa
settecento Tedeschi, ed esserne assai più in moto. Gli fu dunque dato
un termine perentorio sino alle ore 16 del di 10 di dicembre. 0 sia che
in quello spazio di tempo non venisse risposta, o che venisse quale
non si voleva; o sia, come pretesero altri, che l'impaziente popolo
la rompesse prima di quell'ora: certo è, ch'esso diede all'armi, da
che si udì sonar campana a martello nella cattedrale di San Lorenzo,
il cui esempio da tutte l'altre campane della città fu immediatamente
imitato. In concordi altissime voci fu intonato il grido di battaglia,
cioè _viva Maria_, il cui santo nome ispirava coraggio nei petti di
ognuno. Cominciarono con gran fracasso le artiglierie a giocare contro
la commenda di San Giovanni, ed atterrato quel campanile con altre
rovine, fu obbligato quel presidio tedesco a rendersi prigioniere. La
batteria superiore di Prea-minuta bersagliava le porte e l'altura de'
Filippini, scagliando anche bombe e granate sulla piazza del principe
Doria fuori della città dove erano schierate alcune centinaia di
cavalleria nemica. Come stesse il cuore ai Tedeschi all'udir tante
grida di quel numeroso infuriato popolo, e insieme il suono ferale di
tante campane della città, di maggiore efficacia che quel dei tamburi,
io nol so dire. La verità si è, che il generale marchese Botta, già
credendo assai giustificata la sua risoluzione in sì brutto frangente,
fece dar segno di tregua; e, cessato il fuoco, mandò pel padre Visetti
a significare al governo che avrebbe ceduto le porte se gliene fosse
fatta la dimanda. Accettò il governo, e fece il decreto di richiederle.
Ma il popolo rispose di non voler più riconoscere per limosina ciò che
non potea mancare alla propria industria e valore.

Ricominciate dunque le offese, più che mai fieramente continuarono,
finchè gli Austriaci forzati abbandonarono la porta ed altri posti
vicini, siccome ancora la porta di Lanterna e il posto di San Benigno.
Colà, subentrati i popolari, cominciarono dal parapetto delle mura
a fare un fuoco continuo sopra i nemici, e caricato a cartocci il
cannone, tolto loro dinanzi, più volte Io spararono, e non mai in
fallo. Andarono a poco a poco rinculando i Tedeschi dalle alture e da
tutti gli occupati posti, ed uniti poi con gli altri, abbandonarono
anche la piazza del principe Doria, ad altro non pensando che a
ritirarsi verso la Bocchetta e Lombardia. Fu scritto, che giunti alla
chiesa de' trinitarii, arrivarono loro addosso i popolari, e trovandoli
disordinati e intenti a fuggire, ne fecero macello. La verità si
è, che niun combattimento vi succedette. Forse non furono più di
venticinque i Tedeschi uccisi, non più di dodici gli uccisi Genovesi;
e a pochissimi si ridusse il numero de' feriti. Andavano gli Alemanni
accompagnati da varie bombe e da molte cannonate della città; ed avendo
que' della Cava ravvisato il general Botta, appuntarono contro di lui
un cannone, la cui palla a canto a lui sventrò il cavallo del cavalier
Castiglioni, e una scheggia di un muro percosso andò a leggiermente
ferire in una guancia lo stesso generale. Ritiraronsi dunque, venuta la
notte, gli Austriaci con gran fretta e disordine verso la Bocchetta:
posto che prudentemente il generale suddetto avea per tempo fatto
preoccupare sull'incertezza di quell'avvenimento. E buon per loro, che
i Polceverini non si mossero per inseguirli o tagliar loro la strada:
ne potea loro succedere gran male. Fu creduto che quella brava gente
non facesse in tal congiuntura insulto ai fuggitivi, perchè ubbidiente
all'ordine del governo di non prendere l'armi. Si figurarono altri che
il generale austriaco regalasse il capitano della Valle, e gli facesse
credere seguito un aggiustamento: il che non sembra verisimile, stante
l'essere appena cessato lo strepito di tante armi e cannoni, quando
si vide per quella lunga salita andarsene frettolosa la piccola armata
tedesca. Eransi rifugiati più di settecento Alemanni in tre palagi di
Albaro; ma quivi bloccati dai Bisagnini, ed infestati da una frequente
moschetteria, e poscia da un cannone tirato da Genova, furono costretti
ad arrendersi, con venire nel dì 14 di dicembre condotti prigioni alla
città. Altri poi ne furono presi in San Pier d'Arena e in altri luoghi,
di modo che conto si fece che più di quattro mila Austriaci rimasero
nelle forze de' Genovesi, e fra loro circa cento cinquanta uffiziali.
Molti dei primi, perchè non si potè mai riscattarli, vennero meno
di malattie e di stento. E perciocchè quegli uffiziali sparlavano,
pretendendosi non obbligati alla parola data, perchè presi da gente
vile e non decorata del cingolo della milizia, e molto più perchè
gli ostaggi dati dai Genovesi furono mandati nel castello di Milano:
vennero in Genova trasportate ad altro monistero le monache dello
Spirito Santo, e nel chiostro d'esse rinserrati e posti a far orazioni
e meditazioni quegli uffiziali sotto buona guardia. Quegli Alemanni che
restarono in quelle focose azioni feriti riceverono nello spedale della
città ogni più caritativo trattamento.

Tale fu il fine della tragedia del dì 10 di dicembre, terminata la
quale, il popolo vincitore nel dì seguente corse a San Pier d'Arena a
raccogliere le spoglie della felice giornata. Vi si trovarono grossi
magazzini di grano, di panni, di armi e di munizioni da guerra.
Quivi ancora venne alle lor mani non lieve numero di Tedeschi feriti
o malati; buona parte de' bagagli non solo dei poco dianzi fuggiti
uffiziali, ma degli altri ancora che erano passati in Provenza. Furono
eziandio sorprese non poche barche nel porto cariche di grano e d'ogni
altra provvisione per l'armata della suddetta Provenza. Parimente
in Bisagno restarono preda di quel popolo gli equipaggi d'altri
Alemanni. In una parola, ascese ben alto il valore del copiosissimo
bottino, ma non giù a quei tanti milioni che la fama decantò: corse
anche voce che fossero presi cinque muli carichi della pecunia dianzi
pagata da' Genovesi; ma questo danaro non vi fu chi lo vedesse. Per
sì fortunati successi tutta era in festa la città; ma non già que'
forestieri, per qualche ragione aderenti agli Austriaci, che non
poteano fuggire, perchè durante questa terribil crisi non ischivarono
di essere svaligiati. Fu anche messa solennemente a sacco dal popolo
la posta di Milano, ultimamente piantata in quella città. Fin dentro
ai monisteri delle monache andò l'avido popolo a ricercare quanto vi
aveano rifugiato i Tedeschi. All'incontro, l'inviato di Francia, a
cui non si farà già torto in credere che soffiasse non poco in questo
fuoco, ed impiegasse anche buona somma di danaro, spedì tosto per mare
due felucche a Tolone o Marsiglia, dando cento doble a cadauno de'
padroni d'esse, e promettendone altre cento a chi di loro il primo
arrivasse colà, per ragguagliare il _maresciallo duca di Bellisle_ di
sì importante metamorfosi di cose. E se non allora, certamente poco
dipoi spedì anche il governo di Genova lettere premurose al generale
medesimo, e delle altre supplichevoli al re Cristianissimo, implorando
soccorsi. Dopo il fatto declamarono forte i Tedeschi, perchè il loro
generale non avesse tolte l'armi a quella città, non avesse occupato
Belvedere e tutte le porte, ed avesse permesso ai ministri di Francia,
Spagna e Napoli il continuar ivi la loro dimora. Ciò sarebbe stato
contro la capitolazione; ma non importa. Così la discorrevano essi.
Altri poi (e con buon fondamento) asseriscono, che se gli Austriaci
avessero saputo trattar bene quel popolo, e promettergli lo sgravio
di alcuni dazi e gabelle, nulla era più facile che il far proclamare
l'augusta imperadrice signora di quella nobil città. Ma, acciecati dal
lieve guadagno presente, nulla pensarono all'avvenire.

Con rapido volo intanto portò la fama per tutta la Riviera di Levante
l'avviso della liberata città; avviso, che siccome riempiè di terrore
le schiere austriache sparse in Sarzana, Chiavari, Spezia ed altri
luoghi, così colmò di allegrezza quegli abitanti. La gente saggia
d'essi paesi, per evitare ogni maggiore inconveniente, quella fu che
amichevolmente persuase a quelle truppe di andarsene con Dio; e se ne
andarono, ma col cuor palpitante, finchè giunsero di qua dall'Apennino.
Loro furono somministrate vetture, e conceduto lo spazio d'otto giorni
pel trasporto de' loro spedali e bagagli. Un gran dire fu per tutta
Europa dell'avere i Genovesi con risoluzione sì coraggiosa spezzati i
loro ceppi; ed anche chi non gli amava, li lodò. Fu poi comunemente
preteso, che se il ministro austriaco con più moderazione fosse
proceduto in questa contingenza, maggior gloria di clemenza sarebbe
provenuta all'imperadrice regina, ed avrebbono le sue armi sfuggito
questo disgustoso rovescio di fortuna. Non si potè cavar di testa
agli Austriaci, e dura tuttavia, anzi durerà sempre in loro la ferma
persuasione che il governo di Genova manipolasse lo scotimento del
giogo, e sotto mano se l'intendesse col popolo; fingendo il contrario
ne' pubblici atti. Non si può negare: molti giorni prima gran bollore
appariva negli abitanti di Genova, e si tenevano varie combriccole:
del che fu anche avvisata la corte di Vienna, senza che nè essa nè
gli uffiziali dell'armata ne facessero alcun conto, per la soverchia
idea delle proprie forze e dell'altrui debolezza. Pure altresì è vero
che in una repubblica, composta di tanti nobili, ciascun de' quali ha
degl'interessi ed affetti particolari, e fra' quali e il popolo non
passa grande intrinsichezza, sembra che non si potesse ordire una tela
di tante fila, senza che in qualche guisa ne traspirasse il concerto.
Non è capace di segreto un popolo; di tutti i moti della medesima
plebe il governo andò sempre ragguagliando il generale austriaco. Si sa
ancora che niuno de' nobili pubblicamente s'unì col popolo, se non dopo
la liberazione della città. Vero è che il governo comunicò al popolo
la risposta data al generale di non poter pagare un soldo di più, e
si fece correr voce di gravi soprastanti malanni; ma non per questo si
mosse mai il governo contro gli Austriaci.

Rimettendo io a migliori giudizii la decisione di questo punto,
dirò solamente quel poco che da persone assennate e ben istruite di
quegli affari ho inteso. Cioè: che i nobili del governo senza mai
tramare rivolta alcuna, sempre onoratamente trattarono col comandante
austriaco. Ma essere altresì vero che non era loro ignoto meditarsi
dal popolo qualche rivoluzione. Questa poi scoppiò prima del tempo,
e per l'accidente di quel mortaio, cioè quando non erano peranche
all'ordine tutte le ruote. Quali poi fossero le conseguenze di quella
strepitosa mutazion di cose, andiamo a vederlo. Avea bensì il _conte
della Rocca_, comandante l'assedio della cittadella di Savona, avanzati
i lavori sotto la medesima; tuttavia non potè mai, se non all'entrar
di dicembre, procedere con braccio forte: tanta difficoltà si provò
a trar colà tutte le artiglierie e gli ordigni di guerra. Solamente
dunque allora cominciò a battere in breccia quella fortezza: quando
eccoti giugnere l'avviso delle novità occorse in Genova, città distante
non più di trenta miglia. Conobbesi ben tosto che penserebbe quella
repubblica al soccorso di Savona; e però ordine fu dato che dal
Mondovì, da Asti e da altri luoghi del Piemonte colà frettolosamente
passassero alcuni battaglioni di truppe regolate e molte migliaia di
miliziotti, per rinforzare quell'assedio, ed accelerare un sì rilevante
conquisto. In fatti non trascurarono i Genovesi di spignere a quella
volta per mare un grosso convoglio di gente e di munizioni da bocca e
da guerra, scortato da tre galere. Inviarono anche per terra un corpo
di forse tre o quattro mila volontarii pagati nondimeno dal pubblico;
ma inviarono tutto indarno. Veleggiavano per quel mare le navi inglesi,
che avrebbero ingoiato il convoglio, forzato perciò a retrocedere;
e per terra esso conte della Rocca con forze molto superiori venne
incontro alle brigate genovesi di terra; laonde queste giudicarono
meglio di riserbare ad altre occasioni la loro bravura. Continuarono
pertanto le ostilità e gli assalti, ne' quali perì qualche centinaio
di Piemontesi, talchè la guernigione del castello di Savona composta
di mille e cento uomini, perduta ogni speranza di soccorso, dovette
nel dì 19 di dicembre rendersi prigioniera e cedere la piazza: colpo
ben sensibile ai Genovesi, sì per la qualità del luogo, dove il porto
da essi interrito se risorgesse, siccome uno dei migliori e più sicuri
porti del Mediterraneo, darebbe un gran tracollo al commercio della
stessa Genova, e sì perchè la real casa di Savoia su quella città,
per cessione fattane dai marchesi del Carretto, ha sempre mantenuto
vive le sue ragioni; e queste, colla giunta del possesso, venivano ad
acquistare un incredibil vigore. Trovossi in quella fortezza gran copia
di cannoni di bronzo.

Non provò già un'egual felicità l'impresa di Provenza. Sì perniciosa
influenza ebbero le novità di Genova sopra i disegni degli
Austriaco-Sardi in quelle contrade, che tutti andarono a voto. Da
Genova aveano da venire i grossi cannoni e i mortai per vincere il
forte d'Antibo, e procedere poscia alle offese di Tolone. Di là ancora
si dovea muovere buona parte delle vettovaglie necessarie al campo,
e delle munizioni da guerra. Ebbe il generale _conte di Broun_ un bel
aspettare: s'era cangiato di troppo il sistema delle cose di Genova.
Sicchè tutte le prodezze di quell'esercito si ridussero a fare degli
inutili giocolini sotto Antibo, e a liberamente passeggiare per quella
parte di Provenza, tanto per esigere contribuzioni, quanto per tirarne
foraggi e viveri da far sussistere l'armata. Era giunta, siccome
dissi, l'ala sinistra d'essi fino a Castellana, luogo comodo per far
contribuire le diocesi di Digne, Sanez e Riez dell'alta Provenza.
Niun ostacolo aveano trovato ai lor passi, giacchè il _marchese di
Mirepoix_, troppo smilzo di truppe, andava saltellando qua e là alla
difesa delle rive de' fiumi, ma senza voglia alcuna di affrontarsi co'
nemici. Arrivò poscia al comando dell'armi franzesi in Provenza il
maresciallo _duca di Bellisle_, ed era in cammino a quella volta il
gran distaccamento d'armati mosso dalla Fiandra, per somministrargli
i mezzi di frenare il corso de' nemici, ed anche per obbligarli alla
ritirata. Corrieri sopra corrieri spediva egli per affrettare il loro
arrivo; ma più l'affrettavano i desiderii e le orazioni a Dio de'
Provenzali, che o provavano di fatto o sentivano accostarsi l'oste
nemica. Intanto il _generale Botta_, tenendo forte la Rocchetta, piantò
il suo quartier generale a Novi, e fu rinforzato di nuova gente; ma
perciocchè da gran tempo andava egli chiedendo alla corte di Vienna la
permissione di passare alla sua patria Pavia, per cagione d'alcuni suoi
abituali incomodi di salute, maggiormente rinforzò le suppliche sue per
ottenere questa licenza, e in fine l'ottenne.

Nè si dee tacere che nel di 15 d'agosto dell'anno presente un colpo
di apoplessia portò all'altra vita _Giuseppe Maria Gonzaga_, duca
di Guastalla, principe a cui furono sì familiari le alienazioni
di mente, che stette sempre in mano della duchessa _Maria Eleonora
di Holstein_ sua moglie, e de' ministri il governo di quel popolo:
popolo ben trattato e felice in tal tempo, e popolo che sommamente
deplorò la perdita di lui. Essendo egli mancato senza prole, terminò
quell'illustre ramo della casa Gonzaga, e restò vacante il ducato di
Guastalla, quello di Sabbioneta e il principato di Bozzolo. Al feudo
della sola Guastalla era chiamato il conte di Paredes spagnuolo della
nobil casa della Cerda, in vigore delle imperiali investiture, siccome
discendente da una Gonzaga di quella linea. Sugli allodiali giuste e
incontrastabili ragioni competevano al duca di Modena. Il bello fu che
l'imperadrice regina fece prendere il possesso di tutti quegli Stati e
beni, quasichè fossero dipendenze dello stato di Milano o del ducato di
Mantova: del che fece querele il consiglio dell'imperadore consorte,
con pretenderli spettanti alla sola giurisdizione sua. Fu intorno a
questi tempi che gli Austriaci usarono una prepotenza, la qual certo
non fece onore nè alla nazione alemanna, nè all'augusta imperadrice,
a cui pure stava cotanto a cuore il pregio della giustizia e della
clemenza. Cioè inviarono nel Ferrarese a fare un'esecuzione militare
sugli allodiali della serenissima casa d'Este, benchè spettanti, in
vigore di donazione paterna, in usufrutto alle principesse _Benedetta_
ed _Amalia_ sorelle del duca di Modena, intimando per essi una grossa
contribuzione di danari e di naturali, fiancheggiata dalle minaccie
di vendere tutte le razze de' cavalli, bestie bovine, grani e foraggi
di quelle tenute. Operarono essi nello Stato di Ferrara con autorità
non minore, come se si trattasse di un paese di conquista, e ciò con
detestabil dispregio della sovranità pontifizia. Per non vedere la
rovina di que' beni, forza fu di accordar loro quanto vollero in gran
somma di danaro. Impiegarono poscia il nunzio pontifizio ed anche
l'inviato del re di Sardegna i lor caldi uffizii presso le loro cesaree
maestà, rappresentando il grave torto fatto ad innocenti principesse,
e l'obbligo di rifondere almeno il denaro indebitamente percetto.
Si ha tuttavia da vedere il frutto delle loro istanze, e lo scarico
dell'imperiale coscienza. Nè fu men grande l'altra prepotenza, con
cui trattarono il ducato di Massa di Carrara, non di altro reo, se
non perchè quella duchessa _Maria Teresa Cibò_, sovrano sola di tale
Stato, era congiunta in matrimonio col _principe ereditario_ di Modena.
Da esso popolo ancora colle minaccie di ogni più fiero trattamento
estorsero una rigorosa contribuzione, tuttochè questa non fosse guerra
d'imperio. In che libri mai (convien pur dirlo) studiano talvolta i
potenti cristiani? Certo non sempre in quei del Vangelo. Ma ho fallato.
Doveva io dir ciò non dei principi, che tutti oggidì son buoni, ma di
que' ministri adulatori e senza religione, che tutto fanno lecito al
principe, per maggiormente guadagnarsi l'affetto e la grazia di lui.

Sullo spirare dell'anno presente gran romore ancora cagionò in Napoli
l'affare della sacra inquisizione. Ognun sa quale avversione abbia
sempre mantenuto e professato quel popolo a sì fatto tribunale. Ma
perciocchè la conservazion della religione esige che vi sia pure chi
abbia facoltà di frenare o gastigare chi nutrisce sentimenti e dottrine
contrarie alla medesima; e questo diritto in Italia è radicato almeno
ne' vescovi, aveano gli arcivescovi di Napoli col tacito consenso dei
piissimi regnanti introdotta una spezie di inquisizione, con avere
carceri apposta, consultori, notai e sigillo proprio, per formare
segreti processi, e catturare i delinquenti. Quivi anche si leggeva
scolpito in marmo il nome del _santo uffizio_. Trovò lo zelantissimo
e dignissimo _cardinale Spinelli_, arcivescovo di quella metropoli
così disposte le cose; ed anch'egli teneva in quelle carceri quattro
delinquenti solenni, processati per materia di fede, da due dei quali
fu anche fatta una semipubblica abiura. Però egli pretese di non aver
fatta novità; ma fu poscia preteso il contrario dalla corte. Ne fece
grave doglianza il popolo, commosso da chi più degli altri mirava di
mal occhio come introdotta sotto altro verso l'inquisizione; laonde
l'eletto d'esso popolo, con rappresentare al re turbate le leggi
del regno, e vilipese le antiche e recenti grazie regali in questo
particolare concedute ai suoi sudditi, ebbe maniera d'indurre il re
a pubblicare un editto, in cui annullò e vietò tutto quell'apparato
di novità, bandì due canonici, ed ordinò che da lì avanti la curia
ecclesiastica procedesse solamente per la via ordinaria, e colla
comunicazion de' processi alla secolare, con altri articoli che non
importa riferire; ma con tali formalità, che si potea tenere come
renduta inutile in questo particolare la giurisdizione episcopale.
Giudicò bene la corte di Roma d'inviare a Napoli il _cardinale Landi_,
arcivescovo di Benevento, personaggio di sperimentata saviezza, per
trattare di qualche temperamento all'editto. Qual esito avesse l'andata
di lui, non si riseppe. Solamente fu detto, che affacciatisi alla
di lui carrozza alcuni di quegli arditi popolari, gli minacciarono
fin la perdita della vita, se non si partiva dalla città. Meritossi
il re per quell'alto dal popolo un regalo di trecento mila ducati
di quella moneta. Vuolsi anche aggiugnere, che durando i mali umori
nella Corsica, nè potendo i Genovesi accudire a quegli interessi,
perchè distratti da più importante impegno, le più forti case di
quell'isola tumultuarono di nuovo, discontente del governo di Genova,
quasichè non mantenesse le promesse de' capitoli stabiliti, e insieme
disingannata che altre potenze non davano che parole: s'impadronirono
della città e del castello di Calvi, della fortezza di San Fiorenzo e
di altri luoghi. Avendo poscia chiamati ad una dieta generale i capi
delle pievi, stabilirono una democrazia e reggenza, che da lì innanzi
governasse il paese. Fu detto che dopo avere il popolo in Genova prese
le redini, e ripigliata la libertà, implorasse l'aiuto dei Corsi, con
promettere loro il godimento di qualsiasi antico privilegio. Ma fatta
questa esposizione a gente che più non si fidava, niun buon effetto
produsse. A tanti guai, che renderono quest'anno di troppo lagrimevole
in Lombardia, si aggiunse il flagello dell'epidemia e mortalità
de' buoi, che fece strage in Piemonte e Milanese, e passò anche nel
Reggiano, Modenese e Carpignano, e toccò alquante ville del Bolognese
e Ferrarese. Povere lasciò molte famiglie, e cessò dipoi nel verno.
E tale fu il corso delle bellicose imprese ed avventure di quest'anno
in Italia; alle quali si vuol aggiugnere, che nel dì 29 di giugno la
santità di _papa Benedetto XIV_ con gran solennità celebrò in Roma
la canonizzazione di cinque santi. Fu anche dal medesimo pontefice,
correndo il mese d'aprile approvato un nuovo ordine religioso,
intitolato la congregazione de' _Cherici Scalzi della passion_ di Gesù
Cristo il cui istituto è di promuovere la divozion de' fedeli verso la
stessa passione con le missioni ed altri pii esercizii.

Quanto alle guerre oltramontane, non potè nè pure il verno trattener
l'armi franzesi da nuovi acquisti. Sul principio di febbraio, al
dispetto de' freddi, delle pioggie e dei fanghi, il prode maresciallo
di Francia _conte di Sassonia_, raunato un esercito di quaranta mila
persone, dopo aver preso alcuni forti, all'improvviso si presentò sotto
la riguardevol città di Brusselles, e senza dimora eresse batterie
e minacciò la scalata. Non passò il di 20 di detto mese, che quella
numerosa guernigione di truppe olandesi rendè la città e sè stessa
prigioniera di guerra. Gran treno d'artiglieria quivi si trovò. Immenso
danno e tristezza cagionò nei dì 25 del seguente marzo a tutta la
Francia un orribile incendio, succeduto (non si seppe se per poca
cautela, o per malizia degli uomini) nel gran magazzino della compagnia
dell'Indie, situato nel porto d'Oriente sulle coste marittime della
Bretagna. A più e più milioni si fece montare il danno recato da quelle
fiamme, tanto alla regia camera, che alla compagnia suddetta. D'altro
in questi tempi non risonavano i caffè che di vicina pace, quando tutti
questi aerei castelli svanirono al vedere che il re Cristianissimo
_Luigi XV_ partitosi da Versaglies nel dì 4 di maggio, entrò in
Brusselles, e poscia in Malines, e mise in un gran moto le divisioni
della sua potentissima armata. Conobbesi allora che guerra e non pace
avea anche nell'anno presente a far gemere la Fiandra e l'Italia. Dove
tendessero le mire de' Franzesi, si fece poi palese ad ognuno nel dì
20 del suddetto mese, essendosi presentato un gran corpo d'essi sotto
la nobil ed importante città d'Anversa; ancorchè fosse preveduto questo
colpo, tuttavia gli alleati, siccome troppo inferiori di forze, dovendo
accudire a molti luoghi non l'aveano rinforzata di sufficiente nerbo
di gente per sostenerla. V'entrarono dunque pacificamente i Franzesi,
e tosto si applicarono a formar l'assedio di quella cittadella,
guernita d'un presidio di due mila persone. Non son più quei tempi che
gli assedii durano mesi ed anni. Ai Franzesi spezialmente, che han
raffinata l'arte di prender le piazze, costa poco tempo il forzarle
a capitolare. In fatti, nel dì ultimo di maggio il comandante della
cittadella suddetta giudicò meglio di cederla agli assedianti, con
ottener delle convenevoli condizioni, ma insieme con lasciare ai
Franzesi anche i forti esistenti lungo la Schelda.

Dopo sì glorioso acquisto se ne tornò il re Cristianissimo a
Versaglies, per assistere al parto della delfina; e il principe di
Conty, a cui fu confidato il supremo comando dell'armi in Fiandra,
imprese nel dì 17 di giugno l'assedio della città di Mons. Incamminossi
intanto verso la Fiandra il principe _Carlo di Lorena_, per assumere
il comando dell'armata collegata, nel mentre che lentamente marciava
dalla Germania un copioso corpo di milizie austriache a rinforzarla.
Ma vi arrivò ben tardi, e non mai giunsero l'armi d'essi alleati
a tal nerbo da poter impedire i progressi delle milizie franzesi.
L'aver dovuto accorrere gl'Inglesi, ed anche gli Olandesi, alla guerra
bollente in Iscozia, sconcertò di troppo le lor misure in Fiandra, ed
agevolò ai Franzesi il buon esito d'ogni loro impresa. In fatti, la
sì forte città di Mons, dopo una vigorosa difesa nel dì 12 di luglio
dovette soccombere alla forza dei Franzesi, e la guernigione di circa
cinque mila collegati non potè esentarsi dal restar prigioniera di
guerra. La medesima fortuna corse dipoi la fortezza di san Ghislain,
al cui presidio nel dì 24 di luglio altra condizione non fu accordata
che quella di Mons. Ciò fatto, passarono i Franzesi all'assedio di
Charleroy, piazza che nel dì 2 d'agosto si trovò costretta a mutar
padrone, con restar prigioni di guerra i suoi difensori. Inutili
erano riusciti fin qui tutti i maneggi fatti dalle cesaree maestà per
far dichiarare guerra dell'imperio la presente, avendo i principi e
le città della Germania, fomentate spezialmente dal re di Prussia,
ricusato di far sua la causa dell'augusta casa d'Austria. Nè la corte
di Francia avea mancato di divertir la dieta Germanica dall'entrare
in verun impegno, con assicurarla che dal canto suo non s'inferirebbe
molestia alcuna alle terre dell'imperio. Questo contegno fece credere
a molti che la nazion germanica coll'ultima mutazion di cose si
fosse alquanto emancipata: il che da altri veniva riprovato, sul
riflesso, che il lasciare la briglia al sempre maggiore ingrandimento
della Francia era un preparar catene col tempo alla Germania stessa.
In fatti, non ostante le lor belle promesse, allorchè i Franzesi
s'avvidero di poter fare un bel colpo, non sentirono scrupolo a rompere
i confini delle terre germaniche, e ad impossessarsi nel dì 21 di
agosto di Huy, appartenente al principato di Liegi, e di fortificarlo,
tuttochè sia da credere che assicurassero il cardinale principe di
nulla voler usurpare del suo dominio. L'occupazione di quel posto
avea per mira di obbligare l'esercito collegato a ripassar la Mosa
per la penuria de' viveri, siccome appunto avvenne. Allora fu che il
maresciallo conte di Sassonia si appigliò a formare l'assedio di Namur,
piazza fortissima, se pur alcuna di forte v'ha contro i Franzesi; e
nel dì 11 di settembre cominciarono a far fuoco le batterie. Non era
molto lungi di là l'esercito de' collegati; ma il maresciallo, che
ben situato copriva l'assedio, non si sentiva voglia di accettare
l'esibizion d'una battaglia. Fino al dì 20 del suddetto mese fece
resistenza la città di Namur, e quella guernigione ne accordò la resa,
per ritirarsi alla difesa del castello, sotto cui fu immediatamente
aperta la trincea. Non andò molto che la breccia fatta consigliò a
que' difensori nel dì 30 del settembre suddetto di prevenire i maggiori
pericoli, con proporre la resa della piazza, ma senza potersi esentare
dal rimaner prigioniera di guerra.

Le apparenze erano, che, terminata sì felice impresa, prenderebbero
riposo l'armi franzesi; e tanto più perchè in questi tempi rondava una
potente flotta inglese, con animo di qualche irruzione sulle coste di
Francia, alla difesa delle quali parea che avesse da accorrere parte
della franzese armata. Così non fu. Il maresciallo _conte di Sassonia_,
dopo avere colla presa di Namur ridotti i Paesi Bassi austriaci in
potere del re Cristianissimo, sentendosi molto superior di forze
all'oste de' collegati, meditava pur qualche altro colpo di mano contra
de' medesimi. Per coprire Liegi dagl'insulti de' Franzesi, s'era in
varii siti ben postata l'armata d'essi alleati fra Mastricht e quella
città. Spedì il maresciallo un forte distaccamento verso lo stesso
Mastricht, affinchè se il _principe Carlo di Lorena_, che in quelle
vicinanze avea fissato il quartiere con grosso corpo di gente, volesse
accorrere in difesa de' suoi, egli potesse assalirlo per fianco.
Ciò fatto nel dì 7 d'ottobre a bandiere spiegate marciò contro l'ala
sinistra de' collegati, comandata dal _principe di Waldech_, generale
degli Olandesi, in vicinanza di Liegi. Per più ore durò il fiero
combattimento. Fu detto che due reggimenti di cavalleria olandese, come
se bruciasse l'erba sotto i loro piedi, si ritirassero dal conflitto.
Certo è che in fine gli alleati, senza potere ricevere soccorso dal
principe di Lorena, piegarono, e ritirandosi, come poterono il meglio,
lasciarono il campo di battaglia ai vincitori Franzesi. Si sparse voce
che quattro mila collegati vi avessero perduta la vita, e che in mano
de' Franzesi restassero molti cannoni, bandiere e stendardi, con grosso
numero di prigionieri tra sani e feriti. Pretesero altri che non più di
mille fossero da quella parte gli estinti; nè si seppe quanto costasse
a' Franzesi la loro vittoria. Passarono poscia i vincitori, divisi in
varie parti, a godere i quartieri del verno.

Altra guerra fu nell'anno presente tra i Franzesi e gl'Inglesi. Riuscì
a questi ultimi di torre agli altri, nell'America settentrionale,
capo Bretone, posto di somma importanza, e riputato dagl'Inglesi
d'incredibil utilità per la pesca di quei contorni. All'incontro i
Franzesi, siccome accennammo nel precedente anno, colla spedizione
del cattolico principe di Galles _Carlo Odoardo Stuardo_, aveano
attaccato il fuoco nella Scozia, e con quella diversione facilitati a
sè i progressi nei Paesi Bassi austriaci. Trovò quel principe fra que'
popoli gran copia di aderenti alla real sua casa, che presero l'armi,
e sparsero il terrore sino nel cuore dell'Inghilterra; perciocchè
venne a lui fatto di dare una rotta alle truppe inglesi a Preston, e
poi nel di 28 di gennaio a Falkirk, di prendere Carlisle, Inverness,
e di fare altre conquiste nei confini della stessa Inghilterra. Per
dubbio che qualche cattivo umore si potesse covare in Londra stessa,
prese il re _Giorgio II_ la precauzione di tenere alla guardia d'essa
città e della real corte un buon sussidio di soldatesche: ed inviò
il suo secondogenito _Guglielmino Augusto duca di Cumberland_ con
gagliarde forze contra del principe Stuardo. Varie furono le vicende
di quella guerra; ma si venne a conoscere che gl'Inglesi non amavano
di mutar regnante, e si mostravano zelanti della conservazion della
real casa di Brunsvich. All'incontro non s'udiva che imbarco di
soccorsi franzesi spediti di tanto in tanto al principe suddetto;
e pur egli, a riserva di alquanti ufficiali irlandesi e di poche
milizie franzesi, non ricevette mai rinforzo alcuno di gente bastante
a continuare la buona fortuna dell'armi sue. Troppe navi inglesi
battevano il mare, e custodivano le coste, per impedire ogni sbarco
di truppe straniere. Andarono finalmente a fare naufragio tutte le
speranze del principe Stuardo in un fatto d'armi accaduto nel dì 27
di aprile presso d'Inverness, dove l'esercito suo rimase disfatto.
Peggiorarono poi da lì innanzi i di lui affari; molti anche della
primaria nobiltà di Scozia ed anche lordi suoi seguaci, caddero in mano
del duca di Cumberland, ed alquanti di loro lasciarono poi la vita
sopra un catafalco in Londra. Le avventure dello sventurato principe
per salvar la sua vita, mentre da tutte le parti si facea la caccia di
sua persona, tali furono dipoi, che di più curiose non ne inventarono
i romanzi. Contuttociò ebbe la fortuna di giugnere felicemente nelle
spiagge di Francia sano e salvo nel mese di ottobre; e passato alla
corte di Versaglies, si vide colle maggiori finezze ed onori accolto,
come principe di gran valore e senno, dal re Cristianissimo _Luigi XV_.
Sbrigati che furono gl'Inglesi da questo fiero temporale, pensarono
anch'essi alla vendetta; e a questo fine allestirono un possente stuolo
di navi con più migliaia di truppe da sbarco. Non era un mistero questo
lor disegno, e però si misero in buona guardia le coste della Francia.
Sul fine appunto del mese di settembre comparve la flotta inglese alle
vicinanze di Porto-Luigi in Bretagna, sperando di mettere a sacco
il porto di Oriente, dove si conservano i magazzini della compagnia
dell'Indie, ricchi di più milioni. Ne era già stato trasportato il
meglio. Sbarcarono gl'Inglesi; fecero del danno alla compagnia; ma
invece di superar quel porto, ne furono rispinti colla perdita di molta
gente, e di alcuni pochi pezzi di cannone. Quattro lor navi ancora,
rapite da vento furioso, andarono a trovar la loro rovina in quegli
scogli. Tornarono essi da lì a non molto a fare un altro sbarco, e non
ebbero miglior fortuna; se non che lasciarono in varii luoghi de' vivi
monumenti della lor rabbia, collo aver dato alle fiamme alcune ville
e conventi di religiosi nella suddetta provincia di Bretagna. Gran
tesoro costò loro quella spedizione, e non ne riportarono che danno e
pentimento.



    Anno di CRISTO MDCCXLVII. Indizione X.

    BENEDETTO XIV papa 8.
    FRANCESCO I imperadore 3.


Furono alquanto lieti i principii dell'anno presente, perchè gli
accorti monarchi fecero vedere in lontananza agli afflitti lor
popoli un'iride di pace come vicina. Imperciocchè si mirò destinata
Bredà in Olanda per luogo del congresso, e spediti plenipotenzarii
per trattarne, e convenire delle condizioni. La gente, credula alle
tante menzogne delle gazzette, si figurava già segretamente accordati
Franzesi, Spagnuoli ed Inglesi nei preliminari; e a momenti aspettava
la dichiarazione di un armistizio, cioè un foriere dello smaltimento
delle minori difficoltà, per istabilire una piena concordia. Ma poco
si stette a conoscere, che tante belle sparate di desiderar la pace
ad altro non sembravano dirette che a rovesciare sulla parte contraria
la colpa di volere continuata la guerra, onde presso i proprii popoli
restasse giustificata la continuazion degli aggravii, e tollerati i
danni procedenti dal maneggio di tante armi. Trovaronsi in effetto
inciampi sul primo gradino. Cioè si misero in testa i Franzesi di non
ammettere al congresso i plenipotenziarii dell'imperadore, perchè non
riconosciuto tale da essi; nè della regina d'Ungheria, per non darle
il titolo a lei dovuto d'imperatrice; nè del re di Sardegna, perchè
non v'era guerra dichiarata contra di lui. Tuttavia non avrebbe tal
pretensione impedito il progresso della pace, se veramente sincera
voglia di pace fosse allignata in cuore di que' potentati; perchè
avrebbero (come in fatti si pretese) potuto i ministri di Francia,
Inghilterra ed Olanda comunicar tutte le proposizioni e negoziati
ai ministri non intervenienti; e convenuto che si fosse dei punti
massicci, ognun poscia avrebbe fatta la sua figura nelle sessioni. Ma
costume è dei monarchi, i quali tuttavia si sentono bene in forze,
di cercar anche la pace per isperanza di guadagnar più con essa che
coll'incerto avvenimento dell'armi. Alte perciò erano le pretensioni di
ciascuna delle parti, e in vece di appressarsi, parve che sempre più si
allontanassero quei gran politici. Ciò che di poi cagionò maraviglia,
fu il vedere che nè pure al signor di Mancanas, plenipotenziario di
Spagna, fu conceduto l'accesso ai congressi, quando le apparenze
portavano, che le corti di Versaglies e Madrid passassero di
concerto, e fosse tornata fra loro una perfetta armonia. Veramente il
cannocchiale degl'Italiani non arrivava in questi tempi a discernere le
mire ed intenzioni arcane del gabinetto di Madrid. Le truppe di quella
corona seguitavano a fermarsi in Aix di Provenza, senza che apparisse
se le medesime si unissero mai daddovero colle franzesi, benchè si
scrivesse che le spalleggiassero, allorchè, siccome diremo, obbligarono
i nemici a retrocedere. Ne fu poi ordinata una non lieve riforma, e
il resto andò a svernare in Linguadoca, con prendere riposo l'infante
_don Filippo_ e il _duca di Modena_ in Mompellieri. Nel medesimo
tempo si attendeva forte in Madrid al risparmio per rimettere, come si
diceva, in migliore stato l'impoverito regno, annullando spezialmente
le tante pensioni concedute dal re defunto; e pur dicevasi, farsi leva
di nuove milizie per ispedirle in Provenza. Fluttuava del pari anche
la repubblica d'Olanda fra due opposti desiderii, cioè quello di non
entrare in guerra dichiarata contro la Francia, minacciante oramai i di
lei confini; e l'altro di mettere una volta freno dopo tante conquiste
agli ulteriori progressi di quella formidabil potenza. La conclusione
intanto fu, che ognun depose per ora il pensier della pace; giacchè
quei soli daddovero la chieggono che son depressi, e non si sentono più
in lena per continuare la guerra.

Passarono il gennaio in Provenza gli Austriaco-Sardi, ma in cattiva
osteria, combattendo più co' disagi che co' Franzesi, i quali andavano
schivando le zuffe, sperando poi di rifarsi allorchè fossero giunte
le numerose brigate di Fiandra. Bisognava che quell'armata aspettasse
la sussistenza sua in maggior parte dal mare, venendo spedite le
provvisioni per uomini, cavalli e muli da Livorno, Villafranca e
Sardegna. Ma il mare è una bestia indiscreta, massimamente in tempo di
verno. Però, tardando alle volte l'arrivo de' viveri, uomini e cavalli
rimanevano in gravi stenti; e giorno vi fu che convenne passarlo senza
pane. Tutto il commestibile costava un occhio non osando i paesani
di portarne, o facendolo pagar carissimo, se ne portavano. Soffiarono
talvolta sì orridi venti, che i soldati sull'alto della montagna nè pur
poteano accendere o tener acceso il fuoco. Trovavansi anche non pochi
di loro senza scarpe e camicie, da che s'erano perduti i magazzini di
Genova. Ora tanti patimenti cagion furono che entrò nell'esercito un
fiero influsso di diserzione, fuggendo chi potea alla volta di Tolone,
dove speravano miglior trattamento. Tanti ne arrivarono colà, che il
comandante della città non volle più ammetterli entro d'essa per saggia
sua precauzione. Caddero altri infermi, e conveniva trasportarli fino a
Nizza, per dar luogo ad essi negli spedali della Riviera. Per quindici
dì que' cavalli e muli non videro fieno o paglia, campando massimamente
con pane e biada, e questa anche scarsa alle volte. Chi spacciò che
furono forzati a cibarsi delle amare foglie degli ulivi, dovette
figurarsi che i cavalli fossero capre. Arrivò la buona gente fino a
credere che que' cavalli per la soverchia fame mangiassero la minuta
ghiaia del lido del mare, senza avvedersi che queste erano iperboli o
finzioni di chi si prende giuoco della stolta credulità altrui. Quel
che è certo, non pochi furono i cavalli e muli che quivi lasciarono le
lor ossa, e gli altri notabilmente patirono, e parte restarono inabili
al mestier della guerra. Intanto a questo gran movimento d'armi non
succedea progresso alcuno di conseguenza. Ridevasi il forte di Antibo
dei Croati lasciati a quel blocco, che non poteano rispondere alle
cannonate, se non con gl'inutili loro fucili. Però fu spediente di
trarre da Savona con licenza del re sardo quanta artiglieria grossa
occorreva per battere quella Rocca; e in quel frattempo le navi inglesi
la travagliarono con gran copia di bombe, le quali recarono qualche
danno alla terra, senza nondimeno intimorir punto i difensori di quel
forte. Giunsero finalmente i grossi cannoni, ma giunsero troppo tardi.

Imperciocchè si cominciò ad ingrossare l'esercito franzese co'
corpi di gente, che dalla Fiandra pervenuti a Lione, senza dilazione
andavano di mano in mano ad unirsi col campo del _maresciallo duca di
Bellisle_. Avea questi raunate alcune migliaia di miliziotti armati; e
da che si trovò rinforzato dalla maggior parte delle truppe regolate,
divisò tosto la maniera di liberar la Provenza dalla straniera
armata. Scarseggiava forte anch'egli di viveri e foraggi, perchè
venne a militare in luoghi dove niun magazzino si trovò preparato, e
difficilmente ancora non si potea preparare per mancanza di giumenti.
Fiera strage anche in que' paesi avea fatto la mortalità de' buoi.
Ebbe nondimeno il contento di udire che le truppe spedite di Fiandra,
ancorchè stanche e malconcie, nulla più sospiravano che di essere a
fronte de' nemici, e chiedevano di venire alle mani. La prima impresa
ch'ei fece, fu di spedire alla sordina un distaccamento d'alquante
brigate de' suoi alla volta di Castellana, dove stava di quartiere
il generale austriaco conte di Neuhaus con dodici o quattordici
battaglioni. Dopo gagliarda difesa toccò a questi di cedere a chi
era superiore di forze, con lasciar quivi alcune centinaia di morti
e prigioni, e si contò fra gli ultimi lo stesso generale ferito
con buon numero d'altri uffiziali. Non gli sarebbe accaduta questa
disavventura se avesse fatto più conto del parere del giovane marchese
d'Ormea che si trovò a quel conflitto. Di meglio non succedette in
alcuni altri luoghi agli Austriaco-Sardi: laonde il generale _conte
di Broun_, all'avviso delle tanto cresciute forze nemiche, fatto
sciogliere l'assedio di Antibo e rimbarcare l'artiglieria, si andò poi
ritirando a Grasse. Quindi, fatte tutte le più savie disposizioni, sul
principio di febbraio cominciò la sua cavalleria a ripassare il Varo,
e fu poi seguitata dalla fanteria, senza che nel passaggio occorresse
sconcerto o danno alcuno notabile, ancorchè non lasciasse qualche corpo
di Franzesi d'insultarli. Penuriavano di tutto, come dissi, anche i
Franzesi in quel desolato paese; e però non poterono operare di più.

Ecco dove andò a terminare la strepitosa invasione della Provenza.
Assaissimi danni recò ben essa a que' poveri abitanti; ma pagarono
caro gli Austriaco-Sardi il gusto dato alla corte di Londra; perchè,
oltre ai non lievi patimenti ivi sofferti, fu creduto che l'esercito
loro tornasse indietro sminuito almeno d'un terzo; e la lor bella
cavalleria per la maggior parte si rovinò, talchè nè pel numero nè per
la qualità si riconosceva più per quella che andò. Restò alla medesima
anche un altro disagio, cioè di dover passare in tempo di verno e
di nevi per le alte montagne di Tenda: sì, se volle venir a cercare
riposo in Lombardia, dove ancora per un gran tratto di via l'accompagnò
la fame a cagion della mancanza de' foraggi. Quanto ai Provenziali,
non lievi furono, ma non indiscrete le contribuzioni loro imposte.
La necessità di scaldarsi, di far bollire la marmitta, cagion fu che
dovunque si fermarono le truppe nemiche restarono condannate tutte le
case a perdere i loro tetti. Non ha per lo più quella bella costiera di
montagne, che si stende dal Varo verso Marsiglia, se non ulivi, fichi e
viti. Ordine andò del generale Broun che si risparmiassero, per quanto
mai fosse possibile, gli ulivi, onde si ricavano olii sì preziosi,
non so ben dire, se per solo motivo di generosa carità, o perchè la
provincia si esibisse di fornirlo in altra maniera di legna. Ben so
che, a riserva d'un mezzo miglio intorno all'accampamento di Cannes,
dove tutte quelle piante andarono a terra, e di qualche altro luogo,
dove non si potè di meno nella ritirata, rimasero intatti gli ulivi; e
che esso conte di Broun riportò in Italia il lodevole concetto di molta
moderazione, pregio che di rado si osserva in generali ed armate che
giungono a danzare in paese nemico. Per questo, e in considerazione
molto più del suo valore e prudenza, venne egli dipoi eletto general
comandante dell'armi cesareo-regie in Italia. Quel che è da stupire,
non ebbe già sì buon mercato la città e territorio di Nizza, tuttochè
dominio del re di Sardegna. Quivi legna da bruciare non si truova, e
v'è portata dalla Sardegna, o si provvede dalla vicina Provenza. Pel
bisogno di tanta gente, che quivi o nella venuta o nel ritorno ebbe a
fermarsi, si portò poco rispetto agli ulivi, cioè alla rendita maggiore
di quegli abitanti: danno incredibile, considerato il corso di tanti
anni che occorre per ripararlo. Prima di questi tempi trovandosi in
Nizza il re di Sardegna bene ristabilito in salute, benchè le montagne
di Tenda fossero assai guernite di neve, pure volle restituirsi alla
sua capitale. Giunse pertanto a Torino nel dì 15 di gennaio, e somma
fu la consolazione e il giubilo di que' cittadini in rivedere il loro
amato e benigno sovrano.

Che breccia avesse fatto nel cuore degli Augusti austriaci regnanti
la rivoluzione di Genova, sel può pensare ognuno. D'altro non si
parlava in Vienna che dell'enorme tradimento dei Genovesi. Questi
dichiarati spergiuri e mancatori di fede; questi ingrati, da che l'armi
vittoriose dell'imperadrice regina, che avrebbero potuto occupare il
governo di quella repubblica e disarmare il popolo, s'erano contentate
d'una sola contribuzione di danaro, non eccessiva per sì doviziosa
città. Crebbero le rabbiose dicerie, da che si conobbe che cattive
conseguenze ridondarono dipoi sopra l'impresa di Provenza. Riflettendo
alla grave perdita de' magazzini e di tanti bagagli dei cesarei
uffiziali, ma sopra tutto all'onore dell'armi imperiali leso da quel
popolo, maggiormente si esaltava la bile, e si eccitavano i pensieri
e desiderii di vendetta. Poterono allora accorgersi i ministri di
quella gran corte che i buoni uffizii fatti passare da chi è padre
comune de' fedeli, cioè dal regnante pontefice _Benedetto XIV_,
per ottenere la diminuzion dell'imposta contribuzione ai Genovesi,
tendevano bensì al sollievo di quella nazione, ma anche alla gloria
delle loro maestà, e alla maggior sicurezza de' loro interessi. E
certamente se l'imperadrice regina fosse stata informata della trista
situazione a cui i suoi ministri ed uffiziali con tante estorsioni ed
abusi della buona fortuna aveano ridotta quella repubblica, siccome
principessa d'animo grande ed inclinata alla clemenza, si può credere
che avrebbe colla benignità e indulgenza prevenuto quel precipizio di
cose. Ora in Vienna fra gli altri consigli dettati dallo spirito di
vendetta, si appigliò la corte a quello di confiscare tutti i beni,
crediti ed effetti spettanti a qualsivoglia Genovese in tutti gli
Stati dell'austriaca monarchia, ascendenti a milioni e milioni. Si
maravigliavano i saggi al trovare nell'editto pubblicato per questo,
che vi si parlava di ribellione, di delitto di lesa maestà, e che
si usavano altri termini non corrispondenti al diritto naturale e
delle genti. Nei monti di Vienna, di Milano e d'altri luoghi stavano
allibrate immense somme di danaro genovese, per la cui sicurezza era
impegnata la sovrana e pubblica fede, anche in caso di ribellione
e d'ogni altro maggiore pensato o non pensato avvenimento. Come
calpestare sì chiari patti? E come condannare tanti innocenti privati,
e tanti che abitavano fuori del Genovesato, e se ne erano ritirati dopo
quella spezie di cattività? Il fallimento poi de' Genovesi si sarebbe
tirato dietro quello di tante altre nazioni. Perchè verisimilmente
dovettero essere fatti dei forti richiami, e meglio esaminato l'affare,
se ne toccò con mano l'ingiustizia. Smontò dipoi la corte imperiale
da questa pretenzione, e con altro editto solamente pretese che i
frutti e le rendite annue degli effetti de' Genovesi pervenissero al
fisco, non essendo di dovere che servissero per far guerra alla maestà
sua imperiale e regale. Di grandi grida ci furono anche per questo,
pretendendo la gente che si avessero a tenere in deposito; altrimenti
quella corte in altri bisogni farebbe la penitenza della non mantenuta
fede. Nello stesso tempo seriamente si pensò alle maniere militari da
far pentire i Genovesi del loro attentato; e a questo fine s'inviarono
in Italia in gran copia le reclute, e dei nuovi corpi di Croati.
Giacchè il _generale Broun_ sinceramente scrisse alla corte, quanto
difficil impresa sarebbe l'assedio di Genova, in vece sua fu eletto il
generale _conte di Schulemburg_. Spedito intanto dai Genovesi ad essa
corte imperiale il padre Visetti gesuita, siccome ben informato dei
passati avvenimenti, par addurre le discolpe del loro governo, non solo
non fu ammesso, ma venne anche obbligato a tornarsene frettolosamente
in Italia. Durante tuttavia il verno, non volle l'esercito austriaco
marcire nell'ozio. Esso ripigliò la Bocchetta con isloggiarne i
Genovesi. La dimora in quel luogo spelato e freddo costò agli Austriaci
gran perdita di gente. Rallentato poi che fu il verno, calarono varie
partite di Croati al basso verso Genova per bottinare ed inquietare
gli abitanti del paese. Contaronsi allora alcune crudeltà di quella
gente che facevano orrore. Ne restò così irritato il popolo di Genova,
che fece sapere ai comandanti cesarei, che se non mutavano registro,
andrebbono a tagliare a pezzi tutti gli uffiziali di lor nazione
prigionieri.

Sì a Versaglies che a Madrid aveano portate i Genovesi le loro più vive
istanze e preghiere per ottener soccorsi nel gravissimo loro bisogno.
L'obbligo della coscienza e dell'onore esigeva dalle due corone
un'emenda d'avere sì precipitosamente abbandonata al voler dei nemici
quella repubblica. Perorava ancora l'interesse, affinchè sì potente
città non cadesse in mano dell'austriaca potenza; e molto più avea
forza presso de' Franzesi il debito della gratitudine, non potendo essi
non riconoscere dall'animosa risoluzion de' Genovesi l'esenzion delle
catene che s'erano preparate alla Provenza. Però amendue le corti,
e massimamente quella di Francia, promisero protezione e soccorso;
ordini anche andarono per la spedizione di un convoglio di truppe e
munizioni all'afflitta e minacciata città. Precorse intanto colà il
lieto avviso, e la sicurezza dell'impegno preso dalle due corone in suo
favore: nuova che sparse l'allegrezza in tutto quel popolo, e raddoppiò
il coraggio in cuore di ognuno. Allora fu che il governo nobile
cominciò pubblicamente ad intendersi ed affrattellarsi col popolare,
per procedere tutti di buon concerto alla difesa della patria. Erasi
già, all'arrivo del generale Sculemburgo, messa in moto parte delle
soldatesche austriache, cioè Croati, Panduri e Varasdini, con riuscir
loro di occupare varii siti non solamente nelle alture delle montagne,
ma anche nel basso verso Bagnasco, Campo-Morone e Pietra-Lavezzara, con
iscacciare da alcuni postamenti i Genovesi, e con esserne anche essi
vicendevolmente ricacciati. Non potè questo succedere, spezialmente nel
dì 16 di febbraio, senza spargimento di sangue. Si diedero all'incontro
i Genovesi ad accrescere maggiormente le fortificazioni esteriori della
loro città; a disporre le artiglierie per tutti gli occorrenti siti; a
ridurre in moneta le argenterie contribuite ora più di buon cuore da'
cittadini, che ne' giorni addietro. Ottennero in oltre da lì a qualche
tempo licenza da Roma di potersi valere di quelle delle chiese, con
obbligo di restituirne il valore nel termine di alquanti anni, e di
pagarne intanto il frutto annuo in ragione del due per cento. Furono
poscia dalla corte del re Cristianissimo spediti a poco a poco a
quella repubblica un milione e ducento mila franchi; ed in oltre fatto
ad essa un assegno di ducentocinquanta mila per mese: danaro che fu
poi puntualmente pagato. Non si sa che dal cielo di Spagna scendesse
sui Genovesi alcuna di queste rugiade. Succedette intanto l'arrivo
di alquanti ingegneri e cannonieri franzesi; e nella stessa città si
andarono formando assaissime compagnie urbane, ben vestite all'uniforme
e ben armate, parte composte di nobili cadetti, parte di mercatanti
e persone del secondo ordine, e molte più delle varie arti di quella
città, animandosi ciascuno a difendere la patria, e gridando: _O morte,
o libertà_. Cotal fidanza nella protezione della Vergine santissima
era entrata in cuore di ognuno, che si tenevano oramai per invincibili,
attribuendo a miracolo ogni buon successo de' piccioli conflitti che di
mano in mano andavano succedendo contra degli Austriaci, o cacciati, o
uccisi, o fatti prigioni.

Ad accrescere il comune coraggio serviva non poco l'accennato promesso
soccorso delle due corone, e il sapersi che erano già imbarcati sei
mila fanti in Marsilia e Tolone in più di sessanta barche e tartane,
oltre ad altre vele che conducevano provvisioni da bocca e da guerra,
altro non bramando da esse, se non che si abbonacciasse il mare, e
desse loro le ali un vento favorevole. Venuto oramai il tempo propizio,
circa la metà di marzo fecero vela. Rondava per quei mari il vice
ammiraglio Medley con più vascelli e fregate inglesi, aspettando con
divozione i movimenti di quel convoglio, per farne la caccia. E in
fatti, per quanto potè, la fece. Fioccarono più del solito le bugie
intorno all'esito di quella spedizione. All'udir gli uni, buona parte
di que' legni e truppe gallispane era rimasta preda degl'Inglesi;
disperso il restante, parte avea fatto ritorno a Tolone, parte si era
rifugiato in Corsica e a Monaco. Sostenevano gli altri che una fortuna
di mare avea sparpagliati tutti que' navigli; e ciò non ostante,
non esservi stato neppure uno d'essi che non giugnesse a salvamento,
approdando chi a Porto-Fino, chi alla Spezia e Sestri di Levante, e chi
a dirittura a Genova stessa, dove certamente pervenne la Flora, nave da
guerra franzese, la quale sbarcò il signor di Mauriach, comandante di
quelle milizie, e buon numero di uffiziali, granatieri e cannonieri.
Ventilate da' saggi non parziali tanto alterate notizie, fu conchiuso
che circa quattro mila Gallispani per più vie arrivassero a Genova;
più di mille cadessero in man degli Inglesi; e qualche bastimento si
ricoverasse in Monaco, dove fu poi bloccato da essi Inglesi, ma senza
frutto. Con immenso giubilo venne accolto da' Genovesi questo soccorso,
spezialmente perchè caparra d'altri maggiori; e in fatti si intese che
altro convoglio s'allestiva in Tolone e Marsilia, parimente destinato
in loro aiuto. Ma neppure dall'altro canto perdonavano a diligenza
alcuna gli Austriaci, con preparar magazzini, artiglierie grosse e
minori, mortai da bombe, ed altri attrezzi e munizioni da guerra, più
che mai facendo conoscere di voler dare un esemplare gastigo, se veniva
lor fatto, alla stessa città di Genova. Giacchè sì sovente nelle armate
austriache il valore non è accompagnato da tutti que' mezzi de' quali
abbisogna il mestier della guerra: il che poi rende indisciplinate e
di ordinario troppo pesanti le loro milizie ovunque alloggiano: alcune
città del cotanto smunto Stato di Milano (giacchè mancava d'attiraglio
quell'esercito) furono costrette a provvedere cinquecento carrette, con
quattro cavalli e un uomo per ciascuna, per condurre le provvisioni
al destinato campo. Le braccia di migliaia di poveri villani vennero
anch'esse impiegate a rendere carreggiabili le strade della montagna,
affin di condurre per esse le artiglierie. Con tutto questo apparato
nondimeno non poche erano le savie persone credenti che non si
potesse o volesse tentar quell'impresa, come molto pericolosa, per
varii riguardi che non importa riferire. Ed avendo veduto che dopo un
gran consiglio de' primarii uffiziali fu spedito a Vienna il general
Coloredo, molti si avvisarono che altra mira non avessero i suoi
passi che di rappresentare le gravi difficoltà che s'incontrerebbono,
e il rischio di sacrificare ivi al per altro giusto sdegno non
meno l'armata, che la riputazione dell'augusta imperatrice regina.
S'ingannarono, e poco stettero ad avvedersi del falso loro supposto.

All'incontro in Genova si teneva per inevitabile la visita, e colla
visita ogni maggiore asprezza de' Tedeschi. Questo imminente rischio
intanto fu un'efficace predica perchè quella popolata città divenisse
un'altra Ninive, sì per placare l'ira del cielo, come per implorare
l'aiuto del Dio degli eserciti in sì scabrosa contingenza. Cessò
pertanto il vizio; purgò ciascuno le sue coscienze colla penitenza,
ed altro ivi non si vedevano che divote processioni ai santuari. Più
ancora delle missioni de' religiosi possono aver forza le missioni
dell'irreligiosa gente armata, per convertire i popoli a Dio. Venuto
che fu il dì 10 di aprile, il generale _conte di Schulemburg_ (già
scelto per capo e direttore di quell'impresa), dopo aver visitato
i siti e le strade, mise in marcia l'esercito austriaco, il quale
fu figurato ascendente a venti in ventidue mila fanti; giacchè la
cavalleria in quelle sterili montagne non potea concorrere alle fatiche
e all'onore dell'ideato conquisto. Sui primi passi corse rischio
della vita il generale suddetto, perchè, mancati i piedi al cavallo,
gli rotolò addosso con tal percossa, che sputò sangue, e per alquanti
giorni si dubitò, se non di sua vita, almeno d'inabilità a continuare
in quel comando. Gli antichi superstiziosi romani avrebbono preso ciò
per un cattivo augurio. Calò quell'armata, superati alquanti ridotti,
a Langasco, ponte Decimo ed altri siti; e fatti alcuni prigioni,
s'impossessò di varii posti in distanza ove di cinque, ove di quattro
miglia dalla città, ma senza stendersi punto alla parte del Bisagno,
dove sembrano più facili le offese d'essa città. Il quartier generale
fu posto alla Torrazza. Non è improbabile che il consiglio militare
austriaco avesse risoluta quella spedizione in tempo massimamente
che la barriera delle nevi delle Alpi gli assicurava per ora da'
tentativi de' Gallispani in Lombardia, stante la speranza di poter
almeno ridurre quella repubblica a qualche onesto aggiustamento, onde
risarcito restasse l'onore dell'armi dell'augusta regina, con animo
di slargar la mano occorrendo ad ogni possibil sorta d'indulgenza. Fu
infatti spedito nel dì 15 d'aprile a quel governo un uffiziale, che in
voce e in iscritto gli fece intendere, come l'esercito regio-cesareo
era pervenuto in quelle vicinanze per farsi ragione de' delitti e
della fede violata dai medesimi Genovesi, con tanti danni inferiti
alle persone e sostanze dell'esercito dell'imperatrice regina. Che
erano anche in tempo di ravvedersi, e di ricorrere pentiti del loro
errore alla clemenza di sua maestà, nel cui cuore più possanza avea
il desiderio di far grazie che di dispensar gastighi. E di questa
clemenza e de' sentimenti cristiani d'essa imperatrice regina, a
cui troppo dispiacerebbe la rovina d'una delle più belle e floride
città d'Italia, si faceva un pomposo elogio. Ma che? se indugiassero
a pentirsi ed umiliarsi, si procederebbe, da che fossero giunte le
artiglierie, con ogni maggior rigore contro la loro città, persone,
case e campagne, colla giunta di altre più strepitose minaccie di
ferro, fuoco e rovine: le quali come s'accomodassero con quella gran
clemenza e sentimenti cristiani che giustamente si attribuivano alla
maestà sua, non arrivarono alcuni a comprenderlo. La risposta della
repubblica, conceputa con termini della maggior venerazione verso
l'augusta imperatrice regina, portava, che non ad essi s'avea da
imputare la necessità in cui si era trovato il popolo, secondo il gius
naturale e delle genti, di prendere l'armi per sua difesa, e non per
offesa, da che ad altro non pensavano gli austriaci ministri, se non a
ridurlo nell'estrema povertà e schiavitù, senza neppure che i richiami
loro pervenissero alla regina, il solo conoscimento della cui clemenza
avea indotto il governo a volontariamente aprir le porte all'armi sue.
Che pertanto, non riconoscendo in sè delitto, nè motivo di chiedere
perdono, speravano che la somma rettitudine della maestà sua troverebbe
il loro contegno degno di compatimento, e non di risentimento; e che,
altrimenti avvenendo, essi attenderebbono a difendere quella libertà in
cui Dio gli avea fatti nascere, pronti a dar le lor vite più tosto che
cedere a chi la volesse opprimere.

Non vi fu bisogno di microscopio per iscoprir le ragioni onde furono
mossi i Genovesi a sì fatta risposta. Aveano contratto nuovi legami
ed impegni colle corone di Francia e Spagna; senza loro consenso non
poteano onoratamente venire a trattati contrarii. Perduta la protezion
di quelle corti, chi più avrebbe sostenuti i loro interessi in un
congresso di pace? Venendo ora ad un accomodamento, nulla si sarebbe
parlato di Savona e Finale, con privarsi intanto i Genovesi anche
della speranza di ricuperarle colle armi, qualora gli Austriaci fossero
ricacciati in Lombardia dai Gallispani. La fortezza poi della città,
l'ardore e la concordia del popolo alla difesa, e le promesse delle
due corone per una valida assistenza, bastavano bene ad infondere
coraggio in chi naturalmente non ne manca. Quando anche peggiorassero
gli affari, sempre tempo vi resterebbe per una capitolazione. Rinnovò
intanto quel popolo il giuramento di spendere roba e vita per mantenere
la propria libertà, sempre fidandosi nell'intercessione della Vergine
santissima e nella protezione di Dio. Queste riflessioni nondimeno
sufficienti non furono perchè molte famiglie nobili e cittadinesche
non si andassero ritirando da Genova nei mesi precedenti, e molto più
all'avvicinamento di questo temporale, con ricoverarsi chi a Massa,
chi a Lucca, e chi in altre sicure e quiete contrade. Ma spezialmente
dissero addio alla loro città i benestanti di Sarzana. Imperocchè
libera bensì restava a' Genovesi tutta la riviera di Levante, onde
potessero ricavar viveri ed altri naturali, essendo esposta sempre a
pericoli la via del mare per cagion delle navi inglesi, intente a far
delle prede: ma presero gli Austriaci la risoluzione di spogliargli
anche di quel sussidio, con inviare colà due corpi di gente, l'uno
per le montagne di Parma, e l'altro per quelle del Reggiano; e tanto
più, perchè Genova avea da pensare a sè stessa, nè forze le rimanevano
per difendere quella riviera. Conosciuto poscia che per le strade di
Pontremoli e delle Cento-Croci si andava ad urtare nelle montagne
genovesi, dove i popoli erano tutti in armi, giudicarono meglio di
tener solamente la via de' monti reggiani. Fu il _generale Voghtern_
che condusse più di due mila Panduri, e circa cinquecento Usseri a
quella volta; ma gli convenne far alto su quel di Massa di Carrara,
perchè neppur da quelle parti non mancavano ostacoli, ed egli s'era
avviato colà senza cannoni, e, per così dire, col solo bordone.
Da Sarzana erano partiti col loro meglio i cittadini più agiati; e
all'incontro i contadini aveano in essa città asportati i lor mobili.
Fece a questi sapere il comandante genovese della picciola fortezza di
Sarzanello, che quando non si appigliassero al partito di difendersi,
rovescierebbe loro addosso colle sue artiglierie la città. Giacchè
di tanto in tanto andavano arrivando a Genova con varie imbarcazioni
franzesi e spagnuole de' nuovi soccorsi, non trascurò quel governo di
accudire anche alla difesa d'essa Sarzana. Colà spedito un corpo di
truppe regolate, e un numero molto maggiore di paesani armati, rimasero
talmente sconcertati i disegni del suddetto generale Voghtern, che,
a riserva d'un palazzo e di poche case saccheggiate sul Sarzanese,
niun'altra impresa osò di tentare. Stavasene egli a Lavenza ritirato
senza artiglierie, e facendo crocette per mancanza di viveri: laonde
prese la savia risoluzione verso la metà di maggio di ritornarsene in
Lombardia, con passare pel Lucchese e per Castelnuovo di Garfagnana.
Molta fu la moderazione sua in quel viaggio; ma imparò che, per far
de' buoni digiuni tanto di pane che di foraggi, altro non vi vuole
che condur truppe e cavalli per delle montagne senza alcun precedente
preparamento.

Eransi l'armi austriache impadronite dei due monti, cioè di Creto e del
Diamante, da dove con alquanti cannoni e qualche mortaio infestavano
i Genovesi, i quali s'erano ben fortificati e trincierati con buona
copia di artiglierie nel monte chiamato dei due Fratelli: monte che
fu la salute della loro città. Aveano ben essi Austriaci con immense
fatiche dei poveri paesani fatte spianar le strade verso la Bocchetta,
e per la valle di Scrivia, con disegno di condurre per colà le grosse
artiglierie e i mortai, tratti da Alessandria e da altre piazze.
Il primo grosso cannone che passò la Bocchetta, trovando le strade
inferiori tutte guaste dai Genovesi, rotolò giù per un precipizio.
Non aveano muli, non varii attrezzi atti a superar le difficoltà dei
siti montuosi. Tuttavia ne trassero alquanti, mercè de' quali con
bombe e grosse granate infestavano, per quanto poteano, i postamenti
contrarii, dai quali erano corrisposti con eguale, anzi con più fiera
tempesta. Incredibil fu l'allegrezza e consolazione recata nel dì 30 di
aprile ai Genovesi dall'arrivo in quella città del _duca di Bouflers_,
spedito dal re Cristianissimo, per quivi assumere il comando delle sue
truppe, parte venute, e parte preparate a venire in loro soccorso. Era
cavaliere non men cospicuo pel valore, che per la prudenza, affabilità
e cortesia. Un eloquente e ben ornato discorso da lui fatto al doge e
ai collegati per esaltare il coraggio delle passate e presenti loro
risoluzioni, e per assicurarli della più valida protezione del suo
monarca, toccò il cuore a tutto quel maestoso consesso. Conoscendo
poscia gli Austriaci che più gente occorreva per tentare d'accostarsi
alla città di Genova in sito da poterla molestare con bombe ed
altre offese, stante l'immenso giro delle mura nuove, che da lungi
la difendono, e per cagione de' posti avanzati che maggiormente ne
difficultano l'accesso: tanto si adoperarono, che ottennero dal re di
Sardegna un rinforzo di circa cinque o sei mila fanti. Non si aspetti
il lettore ch'io entri a riferire le tante azioni di offesa e difesa
succedute in quel rinomato assedio. Son riserbate queste a qualche
diffusa storia, che senza dubbio sarà composta ed uscirà alla luce.
Solamente dirò che gli sforzi de' Tedeschi furono dalla parte della
Polcevera, senza poter nondimeno penetrare giammai in San Pier d'Arena,
ben presidiato e difeso dai Gallispani. Contuttociò si inoltrarono
essi cotanto verso il basso, che pervennero all'Incoronata, a Sestri
di Piemonte e a Voltri, formando a forza di mine e braccia una strada
sino al mare. Non poche furono le crudeltà commesse in tale occasione.
Non solamente dato fu il sacco a quelle terre (siccome dipoi anche alla
Masone), ma eziandio rimase uccisa qualche donna e fanciullo, e niuna
esenzione provarono i sacri templi. Fecero poi credere che gl'Inglesi
accorsi per mare a quella festa fossero stati gli assassini d'esse
chiese; ma si sa che gli stessi Austriaci portarono a Piacenza calici
e pissidi, e fin gli usciuoli dei tabernacoli, per venderli. Niun si
trovò che volesse comperarne. Il colonnello Franchini fra gli altri
prese spasso in far eunucar un giovane laico cappuccino, e mandollo
con irrisioni a Genova. Restò in vita e guarì il povero religioso; ma
non già il barbaro Franchini, il quale da lì a tre giorni, colto da
un'archibugiata, fu chiamato al tribunale di Dio. Era colui Fiorentino
e disertore dei Genovesi.

Dopo avere i Franzesi ricuperate con gran tempo e fatiche l'isole
di Santo Onorato e di Santa Margherita, finalmente il _cavalier
di Bellisle_ nella notte del dì 2 venendo il dì 3 di giugno, con
quarantatrè battaglioni passato il Varo, sorprese in Nizza, oltre
a molti soldati, alcuni uffiziali tedeschi e piemontesi. Trattò
cortesemente gli ultimi con dichiararli bensì prigionieri di guerra,
ma con rilasciar loro gli equipaggi. Non così indulgente si mostrò
agli Austriaci, perchè informato delle barbarie da essi usate contra
de' Genovesi. Continuarono intanto le bellicose azioni sotto Genova,
e pochi giorni passarono senza qualche scaramuccia o tentativo
degli assedianti e degli assediati. Spezialmente merita d'aver qui
luogo l'operato dagli Austriaci nella notte precedente il giorno
della Pentecoste, allorchè, come dissi, vollero aprirsi una strada
al mare. Col benefizio d'una pioggia arrivarono essi al convento
della Misericordia dei padri riformati sopra la costa di Rivaruolo,
distante da Genova quattro buone miglia. Quivi trovati solamente
sessanta uomini di milizie del paese, quando ve ne dovevano essere
quattrocento, con facilità se ne impadronirono. Pervenuta tal notizia
sul far del giorno in Genova, furono immediatamente chiuse le porte,
affinchè niuno potesse portare al nimico la notizia di quanto s'era
per operare, come altre volte era avvenuto. Fece dunque nel dì 21 di
maggio il _duca di Bouflers_ fare una sortita di più corpi di truppe,
parte regolate e parte paesane, destinate a sloggiare dal convento
suddetto gli Austriaci. Gran fuoco vi fu, e già questi cedevano, quando
sopraggiunti in aiuto secento granatieri piemontesi, costrinsero alla
ritirata i Gallo-Liguri, i quali poi non negarono di aver perduto
trecento venticinque soldati, oltre al signor de la Faye, rinomato
ingegnere franzese, e un capitano di granatieri. Restò anche prigione
dei Piemontesi il signor Francesco Grimaldi colonnello, che, ingannato
dalle loro coccarde, disavvedutamente si trovò in mezzo d'essi. Fecero
i Genovesi ascendere circa ad ottocento la perdita degli Austriaci
fra morti, feriti e prigioni; ma io non mi fo mallevadore di questo.
Tentarono anche gl'Inglesi di far provare a Genova gli effetti della
loro nemistà con mettersi a scagliar bombe dalla parte del mare. Ma
queste non giugnevano mai a terra, perchè troppo lungi erano tenute
le palandre dalla grossa artiglieria disposta sul molo e sul porto:
laonde molto non durò quella scena. Le nuove intanto provenienti da
quella città parlavano di tante centinaia o migliaia di Gallispani
colà o nella riviera di Levante di mano in mano arrivati, che avrebbero
formato un possente esercito, capace di sconcertar tutte le misure de'
Tedeschi. Ma questi furono desiderii, e non fatti. Con tutti nondimeno
i loro sforzi, non poterono mai gli assedianti piantare alcun cannone
o mortaio che molestasse la città, nè occupare pur uno d'essi posti
avanzati, muniti dai Genovesi, come il monte dei due Fratelli, Sperone,
Granarolo, Monte Moro, Tenaglia, la Concezione, San Benigno, oltre
a Belvedere, e alla lunghissima e forte trincea che da questo ultimo
monte si stendeva sino al mare, e inchiudeva Conigliano con profondo
fosso pieno d'acqua. Unanime e ben fornito di coraggio era tutto il
popolo della città per difenderla. Le compagnie de' cadetti nobili,
de' mercatanti e delle varie arti col loro uniforme, anche sfarzoso, e
fin le persone religiose per comando del governo accorrevano per far
le guardie, massimamente al monistero e luoghi dove si custodivano
i tanti uffiziali e soldati prigioni. Di questi ultimi non pochi
presero partito, e insieme coi disertori tedeschi, i quali andavano
sopravvenendo, furono spediti a Napoli. Al pari anche delle milizie
regolate fecero di grandi prodezze in assaissimi luoghi i paesani
genovesi.

S'avvide in fine il _generale Schulemburg_ che maniera non restava di
poter prevalere contro la città dalla parte della Polcevera; e però
tenuto consiglio, fu da tutti conchiuso di volgere le lor forze alla
parte del Levante, cioè alla valle del Bisagno: sito, dove minori
sono le fortificazioni, e più facile potrebbe riuscire di offendere la
città. Pertanto nella notte e mattina del dì 13 di giugno, dopo avere
ordinati alcuni falsi assalti dalla parte della Polcevera, e superati
con perdita di poca gente varii trincieramenti, improvvisamente
calarono gli Austriaci con bell'ordine a quella volta, e venne lor
fatto d'impadronirsi di varii posti, lontani nondimeno circa quattro
miglia da Genova, arrivando sino alla spiaggia di Sturla e del mare,
essendosi ritirati i Genovesi, con cedere alla superiorità delle
forze nemiche. Tentarono essi di penetrare nel colle della Madonna
del Monte e ne furono rispinti con loro danno, siccome ancora dal
colle d'Albaro, dove stavano ben trincierati i Gallo-Liguri. In questi
medesimi giorni i Gallispani, dopo avere in addietro con poca fatica
obbligato alla resa il forte di Monte-Albano, ed impreso l'assedio
del castello di Villafranca, anche di questo si renderono padroni,
con aver fatti prigionieri alquanti battaglioni piemontesi. Passarono
dipoi verso Ventimiglia, dove si trovava il _generale Leutron_ con
venticinque battaglioni, per contrastar loro il passo; ma accortosi
questi che i nemici prendevano la via per la montagna di Saorgio, a
fine di tagliargli la ritirata, prevenne il loro disegno, con lasciar
solamente trecento uomini nel castello di quella città. Fece poscia
quel tenue presidio sì bella difesa, che solamente nel dì 2 di luglio
dopo essere stato rovinato tutto esso castello dalle cannonate e bombe,
si rendè a discrezione prigioniere de' vincitori. Avendo preveduto
per tempo il _duca di Bouflers_ il disegno degli Austriaci di passare
in Bisagno, s'era portato con varii suoi ingegneri alla visita di
quel sito; e trovato che il monte detto di Fasce era a proposito per
impedire il maggiore avvicinamento dei nemici, avea ordinato che mille
e cinquecento lavoratori vi alzassero de' buoni trincieramenti, e
che vi si piantasse una batteria di cannoni, destinando alla guardia
di posto di tanta importanza il valore di settecento Spagnuoli. Da
che furono postati in Bisagno gli Austriaco-Sardi, seguirono varie
sanguinose azioni, dal racconto delle quali mi dispenserò, non essendo
mio istituto di farne il diario, bastandomi di dire che dall'incessante
fuoco de' Genovesi furono obbligati i nemici a rilasciare alcuno degli
occupati posti, e a retrocedere, allorchè tentarono di occuparne degli
altri. Mandò anche ordine il duca di Bouflers che un buon corpo di
Franzesi e Spagnuoli pervenuti dalla Corsica alla Spezia, unito con
secento paesani, si tenesse in vicinanza di Sturla, per impedire a'
nemici lo stendersi ai danni della riviera di Levante.

Le speranze intanto dell'armata austriaca erano riposte nell'arrivo di
grosse artiglierie e mortai, parte de' quali già stava preparata in
Sestri di ponente, condotta da Alessandria, e un'altra dovea venire
da Savona. Non mancarono i vascelli inglesi di accorrere colà per
farne il trasporto; ma allorchè vollero sbarcare que' bronzi a Sturla,
accorsero due galere genovesi, che spingendo avanti un pontone, dove
erano alquante colubrine, talmente molestarono que' vascelli, che
lor convenne ritirarsi in alto, e desistere per allora dallo sbarco.
Seguì poi nella notte fra il dì 24 e 25 di giugno una calda azione.
Perciocchè, calato con grosso corpo di truppe dal monte delle Fasce
il signor Paris Pinelli, per isloggiar da quelle falde gli Austriaci
che si erano postati in due siti, gli riuscì bensì di rovesciar que'
picchetti; ma, accorso un potente rinforzo di Tedeschi, fu obbligata la
sua gente a retrocedere. Essendo restata a lui preclusa la ritirata,
dimandò quartiere; ma que' barbari inumanamente gli troncarono il
capo. Era egli cavaliere di Malta, e da Malta appunto era venuto
apposta per assistere alla difesa della patria. Portata questa nuova
al generale Pinelli suo fratello, che stava alla Scofferra, talmente
si lasciò trasportare dall'eccesso del dolore e della rabbia, che
con una maggior crudeltà volle compensar l'altra, levando di vita due
bassi uffiziali tedeschi, dimoranti prigioni presso di lui. Il corpo
dell'ucciso giovane richiesto agli Austriaci, e portato a Genova,
co' maggiori militari onori fu condotto alla sepoltura. Altro, come
dissi, non restava all'armata austriaca, che di ricevere un buon
treno d'artiglierie, mortai e bombe, lusingandosi che, con alzar buone
batterie, si potrebbero avanzar più oltre, e giugnere almeno a fulminar
parte della città con una tempesta di bombe: il che se mai fosse
avvenuto, parea non improbabile che i Genovesi avessero potuto accudire
a qualche trattato. Ma queste erano lusinghe, trovandosi le loro
armi tre o quattro miglia lontane da Genova, e con più siti avanzati
che coprivano la città, e guerniti di difensori che non conoscevano
paura. Vennero infatti, nonostante l'opposizion de' Genovesi, cannoni
e mortai; furono sbarcati; si alzarono batterie: con che allora gli
assedianti si tennero in pugno la conquista di Genova. Anzi è da
avvertire, che portata da un uffiziale a Vienna la nuova della discesa
in Bisagno, ossia che quell'uffiziale spalancasse la bocca, oppure
che a dismisura si amplificassero le conseguenze di tale azione,
senza saper bene la positura di quegli affari; certo è che nella corte
imperiale sì fattamente prevalse la speranza di quel grande acquisto,
che di giorno in giorno si aspettava l'arrivo de' corrieri apportatori
di sì dolce nuova, e si giunse fino a spedir fuori per qualche
miglio i lacchè, acciocchè, sentito il suono delle liete cornette,
frettolosamente ne riportassero l'avviso alle cesaree loro maestà. Non
tardarono molto a disingannarsi.

Un giuoco, che non si sapeva intendere in questi tempi, era il contegno
dei Franzesi, e molto più degli Spagnuoli, fra i quali compariva una
concordia che insieme potea dirsi discordia. Erano venuti a Mentone
l'infante _don Filippo_ e il _duca di Modena_. Ognun si credea, e per
fermo lo tenevano i Genovesi, che quel corpo di Gallispani, lasciando
bloccato il castello di Ventimiglia, proseguirebbe alla volta di
Savona, anzi si faceva, ma senza fondamento, già pervenuto ad Oneglia:
quando all'improvviso fu veduto retrocedere al Varo. Chi dicea, per
unirsi col corpo maggiore dell'armata, comandata dal _maresciallo di
Bellisle_ e dal _marchese de las Minas_; e chi per prendere la via
dei monti di Tenda, e passar nella valle di Demont, allorchè il nerbo
maggiore degli altri Gallispani fosse penetrato colà. Certo è che
da un turbine erano minacciati gli Stati del re di Sardegna; perchè,
congiunte che fossero l'armi franzesi e spagnuole, trovavansi superiori
di molto quelle forze alle sue. Il perchè sul fine di giugno, o
principio di luglio, fu spedito il giovane marchese d'Ormea al generale
Sculemburg, per rappresentargli l'urgente bisogno che avea il re di
richiamar le sue truppe dall'assedio di Genova, per valersene alla
propria difesa. Gran dire fu nell'armata austriaca per questa novità,
parendo a quegli uffiziali che fosse tolta loro di bocca la conquista
di quella città: cotanto s'erano isperanziti per la venuta delle bombe
e de' mortai. Sparlarono però non poco del re di Sardegna, quasi che
fra lui e i Franzesi passassero intelligenze, quando chiarissimo era
il motivo di rivoler quelle milizie. Trovavasi l'esercito austriaco
assai estenuato tanto per le morti della gente perita nelle moltissime
passate baruffe, quanto per la disertata, e per l'altra mancata di
malattie e di stenti. Perciocchè, nulla trovando essi fra quegli
sterili dirupi, tutto conveniva far passare colà dalla Lombardia pel
vitto, per le munizioni da guerra e foraggi. E tali trasporti non di
rado con varii impedimenti e dilazioni a cagion de' tempi, delle strade
difficoltose e del rompersi le carrette, che interrompevano il corso
delle susseguenti, di maniera che giorno vi fu in cui si penò ad aver
la pagnotta. Gran parte ancora delle tante carrette a quattro cavalli,
provvedute dallo Stato di Milano, andò a male.

A tale stato ridotte le cose, e sminuite le forze per la richiesta
retrocession de' Piemontesi, conobbe il conte di Sculemburg generale
austriaco la necessità di levare il campo; e tanto più, perchè
andavano di tanto in tanto giugnendo per mare a Genova nuove truppe
di Francia, ed alcune di Spagna. Pertanto colla maggior saviezza
possibile nel dì 2 di luglio, giorno della Visitazione della Vergine
santissima, cominciò egli a spedire in Lombardia gli equipaggi,
attrezzi militari, malati e vivandieri. Rimbarcarono gl'Inglesi le
artiglierie; parte dei Piemontesi s'inviò verso Sestri di ponente per
passare in barche alla volta di Savona. Siccome questi movimenti non
si poteano occultare, così cagion furono di voce sparsa per l'Italia,
che gli Austriaci nel dì 4 del suddetto mese di luglio avessero sciolto
l'assedio di Genova. La verità si è, che essi solamente nella notte
scura precedente al dì 6 marciarono alla sordina verso le alture
dei monti, e sospirando si ridussero in Lombardia, prendendo poi
riposo a Gavi, Novi ed altri siti, ancorchè più giorni passassero
prima che avessero abbandonati tutti i dianzi occupati posti. Non
vi fu chi gl'inseguisse o molestasse, perchè bastava ai Genovesi per
un'insigne vittoria l'allontanamento di sì fieri nemici, con restar
essi padroni del campo. S'aggiunse in oltre un fastidioso accidente,
che arenò qualunque risoluzione che si potesse o volesse prendere da
loro in quell'emergente. Pochi dì prima era caduto infermo il _duca
di Bouflers_. Fu creduta sul principio dai medici scarlattina la sua
febbre, ma venne poi scoprendosi che era vaiuolo, e di sì perniciosa
qualità, che nel dì 3 di luglio il fece passare all'altra vita. Non
si può esprimere il cordoglio che provarono per colpo sì funesto i
Genovesi: tanta era la stima e l'amore ch'essi aveano conceputo per
così degno cavaliere, stante la gloriosa forma del suo contegno, e il
mirabil suo zelo per la lor difesa e salute. Il piansero come fosse
mancato un loro padre, e con sontuose esequie diedero l'ultimo addio al
suo corpo, ma non già alla memoria di lui.

Ora, trovandosi il popolo di Genova liberato da quella furiosa
tempesta, chi può dire quai risalti d'allegrezza fossero i suoi?
Erano ben giusti. Le lettere procedenti di là in addietro portavano
sempre che nulla mancava loro di provvisioni da vivere. Vennesi poi
scoprendo, che dopo la calata de' nemici in Bisagno erano stranamente
cresciute le loro angustie, giacchè per terra nulla più riceveano,
e gravi difficoltà s'incontravano a ricavarne per mare, a cagion de'
vascelli inglesi sempre in aguato per far loro del male; e la città si
trovava colma di gente, essendosi colà rifugiate migliaia di contadini,
spogliati tutti d'ogni loro avere. Parimente si seppe essere costata
di molto la lor difesa per tante azioni, dove aveano sacrificate le
lor vite assaissimi Gallispani e nazionali. Ma in fine tutto fu bene
speso. Era risonato, maggiormente risonò per tutta l'Italia, anzi per
tutta l'Europa, il nome de' Genovesi, per aver sì gloriosamente e con
tanto valore ricuperata e sostenuta la loro libertà. Uscì poscia chi
volle de' nobili e del popolo, per visitare i siti già occupati dai
nemici. Trovarono dappertutto, cioè in un circondario di moltissime
miglia, un lacrimevole teatro di miserie ed un orrido deserto. Le tante
migliaia di case, palazzi e giardini per sì gran tratto ne' contorni,
già nobile ornamento di quella magnifica città, spiravano ora solamente
orrore, perchè alcuni incendiati, e gli altri disfatti; le chiese e i
monisteri profanati e spogliati di tutti i sacri vasi e arredi. Per non
far inorridire i lettori, mi astengo io dal riferire le varie maniere
di barbarie praticate in tal congiuntura dai bestiali Croati contro
uomini, donne, fanciulli, preti e frati: il che fu cagione che anche i
paesani genovesi talvolta infierissero contra di loro. Seguirono senza
dubbio tante crudeltà contro il volere della clementissima imperadrice;
ma non è già onore dell'inclinata nazione germanica l'essersi in questa
occasione dimenticata cotanto d'essere seguace di Cristo Signor nostro.
Niun movimento, siccome dissi, fecero per molti giorni i Franzesi e
Genovesi contra de' Tedeschi, a riserva d'un'irruzione fatta da alcune
centinaia di que' montanari ne' feudi imperiali del conte Girolamo
Fieschi in vale di Scrivia, dove diedero il sacco, e poscia il fuoco a
quelle castella e case. Ma saputasi questa enorme ostilità in Genova,
condannò quel governo come masnadieri e ladri coloro che senza autorità
aveano tanto osato contra feudi dell'imperio: laonde cessò da lì
innanzi tale insolenza.

Aveano in questo mentre adunate i Franzesi di molte forze in Delfinato
e Provenza, ma senza che s'intendessero i misteri degli Spagnuoli; i
quali tuttochè stessero in quelle parti, pure niuna voglia mostravano
di concorrere nei disegni degli altri. Erasi il grosso delle milizie
del re di Sardegna accampato parte a Pinerolo e parte a Cuneo, e in
altri luoghi della valle di Demont, con esser anche accorse colà
in aiuto suo non poche truppe austriache: giacchè quest'ultimo si
giudicava il sito più pericoloso ed esposto alla calata de' Franzesi,
restando per altro incerto a qual parte tendessero i loro tentativi, e
il tanto loro andare qua e là rodando per quelle parti. Non lasciò esso
re di guernire di gente anche gli altri passi dell'Alpi, per li quali
si potessero temere i loro insulti. Uno fra gli altri fu quello di
Colle dell'Assietta fra Exiles e le Fenestrelle: posto considerabile,
perchè, superato esso, si passava a dirittura verso di Pinerolo e
Torino. E questo appunto venne scelto dal _cavalier di Bellisle_,
fratello del maresciallo, e luogotenente generale nell'armata di
Francia, per superarlo, giudicando assai facile l'impresa per le
notizie avute che alla guardia di que' trincieramenti non istessero se
non otto battaglioni piemontesi fra truppe regolate e Valdesi. Dicono
ch'egli avesse circa quaranta battaglioni, parte de' quali fu spedita
a prendere varii siti all'intorno, affinchè, se il colpo veniva fatto,
niuno de' Piemontesi potesse colla fuga salvarsi. Stava all'erta il
_conte di Bricherasco_, tenente generale del re di Sardegna, deputato
alla custodia di quell'importante passo, e a tempo gli arrivò un
rinforzo di due o pur tre battaglioni austriaci, comandati dal generale
_conte Colloredo_. Alle ore quindici dunque del dì 19 di luglio vennero
i Franzesi, divisi in tre colonne, all'assalto della Assietta con
alquanti piccioli cannoni (niuno ne aveano i Piemontesi) e cominciarono
parte a salire, parte ad arrampicarsi per quell'erta montagna. Vollero
alcuni sostenere, che nella precedente notte fosse ivi nevicato, onde
stentassero i Franzesi a tenersi ritti, e maneggiarsi nella salita; ma
non fu creduto, perchè poco prudente sarebbe sembrata in circostanza
tale la risoluzione del Bellisle. E pure questa fu verità. Per tre
volte i Franzesi divisi in tre colonne, non ostante il loro grande
disavantaggio, andarono bravamente all'assalto, e sempre furono con
grave loro perdita o uccisi, o feriti, o rotolati al basso. Fremeva,
nè sapeva darsi pace di tanta resistenza e di sì infelice successo,
il cavalier di Bellisle; e però impaziente, a fine di animar la sua
gente ad un nuovo assalto, si mise egli alla testa di tutti, e salito
sino alle barricate nemiche, quivi arditamente piantò una bandiera,
credendo che niuno de' suoi farebbe meno di lui. Quando eccoti un
colpo di fucile, per cui restò ferito, e poscia un colpo di baionetta
che lo stese morto a terra. Il valore e coraggio bella lode è ancora
de' generali di armata, ma non mai la temerità; perchè la conservazion
della lor vita è interesse di tutto l'esercito. Probabilmente non fu
molto lodata l'azione d'esso cavaliere uno dei più rinomati e stimati
guerrieri che si avesse la Francia, la cui perdita fu generalmente
compianta da' suoi. Dopo altri tentativi ebbe fine sul far della
notte il conflitto; ed usciti pochi granatieri piemontesi ed austriaci
inseguirono colle sciable alla mano fin quasi a Sestrieres i fuggitivi
Franzesi. Per sì nobil difesa gran lode conseguirono i due generali
conte di Bricherasco e conte Colloredo, e il cavaliere Alciati maggior
generale, e il conte Martinenghi brigadiere del re di Sardegna. In
fatti fu la vittoria compiuta. Circa secento feriti rimasti sul campo
furono fatti prigioni, e fu creduto che la perdita dei Franzesi tra
morti, feriti e prigionieri ascendesse a cinque mila persone, fra le
quali trecento uffiziali. A poco più di ducento uomini si ristrinse
quella de' Piemontesi ed Austriaci; e però con ragione si solennizzò
quel trionfo con varii _Te Deum_ per gli Stati del re di Sardegna e
in Milano. Fu anche immediatamente celebrato in un elegante poemetto
italiano dal signor Giuseppe Bartoli, pubblico lettore di lingua greca
nell'università di Torino.

Quello poi che più fece maravigliar la gente, fu, che quantunque tale
percossa bastante non fosse ad infievolire le forze de' Gallispani,
pure niun tentativo o movimento fecero da lì innanzi contro le terre
del Piemonte, anzi piuttosto furono invase da' Piemontesi alcune
contrade della Francia, benchè con poco successo. L'accampamento
maggiore del re suddetto, siccome dissi, fu a Cuneo e nella valle
di Demont, dove egli medesimo si portò in persona, perchè quivi
parea sempre da temersi qualche irruzion de' nemici. Attesero in
questi tempi i Genovesi a fortificar varii posti fuor della città,
e spezialmente quello della Madonna del Monte, avendo la sperienza
fatto loro conoscere quai fossero i pericolosi, e quali gli utili e
i necessarii per la loro difesa. Entrata una specie di epidemia fra
i tanti contadini, già rifugiati in essa città a ragion de' terrori,
fatiche e stenti passati, ne condusse non pochi al sepolcro, e gli
stessi cittadini non andarono esenti da molte infermità. Ebbero essi
Genovesi in questi medesimi giorni molte vessazioni alla Bastia in
Corsica; ma io mi dispenso dal riferire que' piccioli avvenimenti.
Nel dì 5 poi di settembre una grossa partita di Gallispani, varcato
l'Apennino, scese in valle di Taro del Parmigiano; vi fece alquanti
Austriaci prigionieri; intimò le contribuzioni a quel borgo ed altre
ville, con asportarne gli ostaggi, e circa mille e cinquecento capi di
bestie tra grosse e minute. Per timore che non calassero anche a Bardi
e Compiano, essendo accorsi due reggimenti tedeschi, cessò tosto quel
turbine. Intanto il re di Sardegna, lungi dal temere che i Gallispani
s'inoltrassero per la riviera di Ponente, fece di nuovo occupare
dalle sue truppe la città di Ventimiglia, ed imprendere dal barone di
Leutron il blocco di quel castello, alla cui difesa era stato posto
un gagliardo presidio. Per molto tempo soprintendente al governo di
Milano e degli altri Stati austriaci di Lombardia era stato il conte
_Gian-Luca Pallavicini_ come plenipotenziario e generale d'artiglieria
dell'augustissima imperadrice, cavaliere disinteressato e magnifico in
tutte le sue azioni. Fu egli chiamato a Vienna per istanze e calunnie
degl'Inglesi, ma, ciò non ostante, promosso al riguardevol posto di
governatore perpetuo del castello di Milano. In luogo suo nel dì 19 di
settembre pervenne ad essa città di Milano il _conte Ferdinando_ di
_Harrach_, dichiarato governatore e capitan generale della Lombardia
Austriaca. Portò qui seco la rinomanza di una sperimentata saviezza,
massimamente negli affari politici, e un complesso di altre belle doti,
che fecero sperare a que' popoli un ottimo governo, e tollerabile la
perdita che avea fatta dell'altro.

Sperava pure la città di Genova dopo tante passate sciagure di godere
l'interna calma; e pure un'altra inaspettata si rovesciò sopra d'essa,
da che fu passata la metà di settembre. Uno strabocchevole temporale
di terra e di mare, con diluvio di pioggia e vento, con fulmini e
gragnuola grossissima, talmente tempestò quella città, che ruppe
un'immensa copia di vetri delle case, rovesciò non pochi camini e
tetti, talmente che parve quivi il dì del finale giudizio. Dominò in
oltre un furioso libeccio sul mare, che allagò parte della città, e
danneggiò gran copia di quelle case, oltre della rovina degli orti e
delle vigne per più miglia. Arrivò verso il fine del mese suddetto a
conoscere quell'afflitto popolo il _duca di Richelieu_, personaggio
di rara attività e di mente vivace, inviato dal re Cristianissimo
a comandar l'armi gallispane nel Genovesato. Ascendevano queste,
per quanto fu creduto, a quindici mila persone. Un corpo di questa
gente venne ad impossessarsi della picciola città di Bobbio, e per la
Trebbia arrivò fin presso a Piacenza. Se quel fiume non fosse stato
gonfio, avrebbe fatto paura alla tenue guernigione di quella città.
Rastrellarono molti bestiami, imposero contribuzioni, presero qualche
nobile piacentino per ostaggio. Ma sollevatisi i villani in numero
di due e più mila, strinsero circa cento trenta di quei masnadieri,
che ristretti in Nibbiano non si vollero arrendere prigioni, se non
ad un corpo di truppe regolate tedesche, le quali gli obbligarono
a restituire tutto il maltolto. Qualche irruzione ancora seguì
nel basso Monferrato, dove essi Gallo-Liguri colsero varii soldati
Austriaco-sardi, fecero bottino di bestiami, e preda di drappi e panni,
che andavano in Piemonte, oltre all'aver esatte alquante contribuzioni.
Fioccarono anche i flagelli sulla bassa Lombardia, perchè la cessata
nel precedente verno epidemia de' buoi ripullulò, e crebbe aspramente
nel Veronese, Vicentino, Bresciano, in qualche sito del Padovano e del
Mantovano di là da Po; e passata nel Ferrarese, quivi diede principio
ad un'orrida strage. In oltre il Po soverchiamente ingrossato di acque
inondò Adria ed Adriano. Anche l'Adige e la Brenta allagarono parte del
Polesine di Rovigo e del Padovano. A tanti guai s'aggiunse di più la
scarsezza del raccolto de' grani in molte provincie.

Godè Roma all'incontro non solo un'invidiabil tranquillità, ma
occasioni eziandio di allegrezze, stante la promozione fatta nel
dì 10 d'aprile dal sommo pontefice _Benedetto XIV_ de' cardinali
nominati dalle corone, e in appresso nel dì 5 di luglio ancora del
duca di Jorch secondogenito del cattolico re d'Inghilterra Giacomo
III. Fu in essa metropoli fabbricata per ordine del re di Portogallo
una cappella di tanta ricchezza e di sì raro lavoro, che riuscì di
ammirazione ad ognuno. Costò circa cinquecento mila scudi romani,
ed imbarcata in questo anno venne trasportata a Lisbona. Maggiori
furono i motivi di giubilo nella real corte di Napoli; perciocchè
quella regina alle tre della notte precedente il dì 14 di giugno
nella villa di Portici diede alla luce un principino, a cui fu posto
nel battesimo il nome di _Filippo Antonio Gennaro_, ec. Questo regalo
fatto da Dio a que' regnanti tanto più si riconobbe prezioso, perchè
il re di Spagna _Ferdinando_ non avea finora veduti frutti del suo
matrimonio; e questo germe novello riguardava non meno il re delle
Due Sicilie che la monarchia di tutta la Spagna. Quali fossero i
risalti di gioia in quella real corte, e nella nobiltà e popolo d'una
metropoli tanto copiosa di gente, non si potrebbe dire abbastanza.
Grandi feste ed allegrezze per più giorni solennizzarono dipoi questo
fortunato avvenimento. Fece il re un dono alla regina di cento mila
ducati, e un accrescimento di altri dodici mila annui all'antecedente
suo appannaggio. Dalla città e regno fatto fu preparamento a fin di
donare a sua maestà un milione per le fasce del nato principino, che
fu intitolato duca di Calabria. Partecipò di tali contentezze anche la
real corte di Madrid, il cui monarca dichiarò infante di Spagna questo
suo real nipote, e fu detto che gli assegnasse anche una pensione annua
di quattrocento mila piastre.

A due sole considerabili imprese si ridusse la guerra fatta nel
presente anno nei Paesi Bassi fra il re Cristianissimo e gli alleati.
V'intervenne in persona lo stesso re, il cui potentissimo esercito
era di gran lunga superiore a quello dei nemici. Nel dì 2 di luglio si
trovarono a vista le due armate fra Mastricht e Tongres. Attaccarono i
Franzesi la zuffa coll'ala sinistra de' collegati, composta d'Inglesi,
Hannoveriani, ed Assiani, i quali fecero una mirabil resistenza nel
villaggio di Laffeld, con farne costare ben caro l'acquisto ad essi
Franzesi. Il valoroso _conte di Sassonia_ maresciallo generale di
Francia, veggendo più volte rispinti i suoi, entrò egli stesso con
altro nerbo di gente nella mischia, e finalmente gli riuscì di far
battere la ritirata ai nemici e d'inseguirli. Intervenne a sì calda
azione il _duca di Cumberland_, secondogenito del re britannico e
generale delle sue armi, e con tale ardore, che corse gran pericolo di
sua vita. Per difenderlo si espose ad ogni maggior cimento il _generale
Ligonier_, comandante dell'armata sotto di lui, con restar per questo
prigioniere dei Franzesi. Poco ebbero parte in questo conflitto
il centro e l'ala dritta d'essi collegati, composta d'Austriaci ed
Olandesi, i quali ultimi nondimeno vi perderono molta gente. Peraltro
ragione ebbero i Franzesi di cantare la vittoria tuttochè comperata
con molto loro sangue, perchè rimasero padroni del campo; fecero mille
secento prigioni; acquistarono trentatre cannoni, quattordici tra
bandiere e stendardi; e colti sul campo circa due mila feriti degli
alleati, li condussero negli spedali franzesi. Fu detto che intorno
a tre mila de' collegati e più di tre mila dei Franzesi vi restassero
estinti. Ritirossi l'armata d'essi alleati di là dalla Mosa, e finchè
il re si fermò in quelle parti, non osò di ripassar quel fiume.

L'altra anche più sonora impresa fu quella dell'assedio d'una piazza
fortissima impreso dai Franzesi; giacchè nella positura delle cose
osso troppo duro forse comparve Mastricht da essi minacciato. Città del
Brabante olandese è Bergh-op-Zoom, considerata per una delle fortezze
inespugnabili, parte per la situazione sua sopra un'altura in vicinanza
del mare, con cui comunica mediante un canale, e a cagion di alcune
paludi che ne rendono difficile l'accesso; e parte per le tante sue
fortificazioni, oltre ad alcuni forti e ridotti sino al mare, da dove
può ricevere soccorsi. Il celebre duca di Parma Alessandro Farnese
nel 1588, il marchese Spinola nel 1622 indarno l'assediarono. Fu poi
da lì innanzi maggiormente fortificata. Niuno di questi riguardi potè
trattenere la bravura franzese dall'imprenderne l'assedio, e dall'aprir
la trincea nella notte del dì 15 venendo il di 16 di luglio. Al _conte
di Lowendhal_ tenente generale del re, uffiziale di distinto valore
e perizia nell'arte militare, fu appoggiata questa impresa. Dopo
l'assedio memorabile della fortissima città di Friburgo, altro non
si vide più difficile e strepitoso di questo. Perciocchè nelle linee
contigue ad esso Bergh-op-Zoom, e fra le paludi e la costa del mare,
si postò il _principe di Hildburghausen_ con circa venti mila soldati,
da dove non potè mai essere rimosso; di modo che durante l'assedio
potè sempre quella fortezza essere di mano in mano soccorsa con
truppe fresche, e provveduta di quante munizioni da bocca e da guerra
andavano occorrendo. Come superare una piazza a cui nulla mancava, e
il cui presidio potea fare sortite frequenti, con sicurezza di essere
d'ogni sua perdita rifatto? Ma niuna di queste difficoltà ritener potè
l'ardire de' Franzesi. Sì dall'una che dall'altra parte si cominciò
a giocare di cannonate, di bombe, di mine; e i lavori d'una settimana
vennero talvolta rovesciati in un'ora. Tanto le offese costarono gran
sangue, ma incomparabilmente più dal canto degli assedianti.

Progredì così lungamente questo assedio, che i Franzesi sfornirono di
polve da fuoco e di altre munizioni tutte le loro piazze circonvicine;
e intanto stavano dappertutto sulle spine i parziali e i novellisti
per l'incertezza dell'esito di sì pertinace assedio. Di grandi
apparenze vi furono che sarebbero in fine costretti i Franzesi a
ritirarsi; ma differentemente si dichiarò la fortuna, perchè ancor
questa appunto intervenne a decidere quella quistione. Erano già fatte
breccie in due bastioni e in una mezzaluna, e queste imperfette,
o certamente non credute praticabili: quando il generale conte di
Lowendhal determinò di venire all'assalto. Ammannite dunque tutte le
occorrenti truppe all'esecuzione di sì pericoloso cimento, sul far
del dì 16 di settembre, dato il segno con lo sparo di tutti i mortai
a bombe, andarono coraggiosamente all'assalto: impresa che non si
suole effettuare senza grave spargimento di sangue. Ma quello non
fu un assalto, fu una sorpresa. Detto fu che i Franzesi per buona
ventura o per tradimento s'introducessero segretamente nella città
per una galleria esistente sotto un bastione, e mal custodita da quei
di dentro. La verità si è, che altro non avendo trovato alla difesa
delle breccie che le guardie ordinarie, con poca perdita e fatica
salirono, ed impadronitisi de' bastioni e di due porte della città,
quindi passarono alla volta della guernigione, la quale raccolta tanto
nella piazza, quanto in varie contrade, fece una vigorosa resistenza,
finchè, veggendosi sopraffatta dagli aggressori, che si andavano
vieppiù ingrossando, e venendo qualche casa incendiata parte d'essa
ebbe maniera di ritirarsi, sempre combattendo, fuori della porta
di Steenbergue. Corse fama che il conte di Lowendhal avesse dati
buoni ordini, e prese le misure, affinchè la misera città rimanesse
esente dal sacco. Checchessia, i volontarii lo cominciarono, e gli
tennero loro dietro, senza risparmiare alcuno di quegli eccessi che
in sì fatti furori sogliono i militari, non più cristiani, non più
uomini, commettere. Si salvarono in questa confusione i principi
d'Assia e d'Anhalt, e il generale Constrom; ma non poca parte di quel
presidio rimase o tagliata a pezzi dagl'infuriati assalitori, o fatta
prigioniera.

Nè qui terminarono le conseguenze di giorno cotanto favorevole a'
Franzesi. Il campo del principe d'Hildburgausen, afforzato nelle linee
presso di Bergh-op-Zoom, all'intendere presa la città, e alla comparsa
de' fuggitivi, altro consiglio non seppe prendere, se non quello di
dar tosto alle gambe, lasciando indietro equipaggi, tende, artiglierie
e fasci di fucili. Tutto andò a ruba, nè vi fu soldato franzese che
non arricchisse. Videsi nondimeno lettera stampata che negava questo
abbandono di bagagli e fucili, a riserva di un reggimento, il quale amò
meglio di mettere in salvo i suoi malati che i suoi equipaggi. Oltre
a ciò, non perdè tempo il conte di Lowendhal a spedire armati, per
intimare la resa ai forti di Rover, Mormont e Pinsen, che non si fecero
molto pregare ad aprir le porte, con restar prigionieri que' presidii.
Trovandosi ancora in quel porto diecisette bastimenti con assai
munizioni da guerra e da bocca, che per la marea contraria non poterono
salvarsi, furono obbligati dalle minaccie de' cannoni ad arrendersi.
Se si ha da credere a' Franzesi, quasi cinque mila soldati tra uccisi
e prigionieri costò quella giornata agli alleati; due sole o tre
centinaia ad essi. Oltre ai semplici soldati, gran copia di uffiziali
rimasero ivi prigioni. Prodigiosa fu la preda ivi trovata, e spettante
al re, cioè più di ducento cinquanta cannoni, la metà de' quali di
grosso calibro, quasi cento mortai, qualche migliaio di fucili, ed
altri militari attrezzi, e magazzini a dismisura abbondanti di polve
da fuoco, di granate, di abiti, di scarpe, panni, ec. Un pezzo poi si
andò disputando per sapere qual destino avesse facilitata cotanto la
caduta di sì forte piazza, in cui nulla si desiderava per resistere
più lungamente, e fors'anche per render vano in fine ogni tentativo
degli assedianti. In fine fu conchiuso, essere ciò proceduto dalla
poco cautela del Constrom, il quale non si figurò che le imperfette
breccie abbisognassero di maggior copia di guardie. Contra di lui
fu poi fulminata sentenza di morte; ma salvollo il riguardo alla sua
rispettabil vecchiaia. La risposta del re Cristianissimo alla lettera
del conte di Lowendhal, recante sì cara nuova, fu di dichiararlo
maresciallo, con vedersi poi in Francia un raro avvenimento, cioè
due stranieri, primarii e gloriosi condottieri delle armate di quella
potentissima corona. Passarono, ciò fatto, le truppe comandate da esso
conte a mettere l'assedio al forte di Lillò, e ad alcuni altri pochi
di minor considerazione, per liberare affatto il corso della Schelda:
nè tardarono a costringere alla resa il Forte-Federigo, e quindi
esso Lillò nel dì 12 d'ottobre, coll'acquisto di quasi cento pezzi
d'artiglieria, e con farvi prigioniera la guarnigione di ottocento
soldati. Gran gioia dovette essere quella di Anversa al veder come
liberato da quei nemici forti il corso del loro fiume.

In Italia ebbero fine le militari imprese con quella di Ventimiglia.
Già si era impadronito d'essa città il generale piemontese _barone di
Leutron_, e da varie settimane teneva strettamente bloccato quel forte
castello. Segreti avvisi pervennero ai generali gallispani, esistenti
in Nizza, che già si trovava in agonia quella fortezza, e se in pochi
dì non giugneva soccorso, il comandante, per mancanza di munizioni e
viveri, dovea rendere la piazza e sè stesso al re di Sardegna. Però la
maggior parte dell'armata gallispana si mise in marcia a quella volta
col maresciallo _duca di Bellisle_, e col generale spagnuolo _marchese
della Mina_. Vollero del pari intervenire a questa scena l'infante _don
Filippo_ e il _duca di Modena_. Erasi a dismisura afforzato con trince
e barricate il barone di Leutron al per altro difficilissimo passo de'
Balzi Rossi di là da Ventimiglia. Non osarono i Franzesi di assalir
per fronte un sito sì ben difeso dalla natura e dall'arte, e in sole
picciole scaramuccie impiegarono due giornate. Ma nella terza, cioè nel
dì 20 di ottobre, ben informato il sopraddetto barone della superiorità
delle forze nemiche, e che essi Gallispani si erano stesi per l'alto
della montagna con intenzione di venirgli alle spalle, benchè forte di
venticinque battaglioni, prese la risoluzione di ritirarsi: il che fu
con buon ordine da lui eseguito. Uscì anche il presidio franzese del
castello, per secondare lo sforzo di chi veniva in soccorso; e però la
città, dove si trovavano o s'erano rifugiati alquanti Piemontesi, tardò
poco ad aprir le porte. Finì questa faccenda colla liberazion di que'
luoghi, e colla prigionia di forse cinquecento Piemontesi. Ritirossi
il Leutron a Dolce-Acqua e alla Bordighera; e rotti i ponti sul fiume,
quivi si trincierò. L'armata gallispana, dopo aver ben provveduto quel
castello di nuova gente, vettovaglie e munizioni da guerra, e lasciato
grosso presidio nella stessa città di Ventimiglia, se ne tornò a
cercar quartiere di verno e riposo, parte in Provenza e Linguadoca, e
parte in Savoia, con passare a Sciambery anche il suddetto infante col
duca di Modena. Circa questi tempi il _duca di Richelieu_ ricuperò il
posto della Bocchetta di Genova, e attese a fortificare i luoghi più
importanti della riviera di Levante, che parevano minacciati da qualche
irruzion de' Tedeschi. Ad altro nondimeno allora non pensavano gli
Austriaci, se non a ristorarsi ne' quartieri presi in Lombardia, dopo
tante fatiche e disagi patiti per quasi due anni senza mai prendere
riposo. E perciocchè nel dì 15 di settembre due coralline genovesi
furono predate dagl'Inglesi sotto il cannone di Viareggio, senza
che quel forte le difendesse, rimase esposta la repubblica di Lucca
a gravi minaccie e pretensioni del suddetto duca di Richelieu. Non
arrivò il pubblico ad intendere come tal pendenza si acconciasse. Negli
ultimi mesi ancora dell'anno presente si videro di nuovo lusingati
i popoli con isperanze di pace, giacchè si stabilì fra i potentati
guerreggianti un congresso da tenersi in Aquisgrana, non parendo più
sicura Bredà, e furono dal re Cristianissimo chiesti i passaporti per
li suoi ministri, e per quei di Genova e del duca di Modena. Si teneva
per fermo che fossero spianati alcuni punti scabrosi nei gabinetti di
Francia e d'Inghilterra, al vedere già preso per mediator della pace il
re di Portogallo, che destinò a quel congresso don Luigi d'Acugna suo
ministro. Ma si giunse al fine dell'anno con restar tuttavia ambidue le
voglie di pace nelle potenze guerreggianti, ed incerto, se il congresso
suddetto fosse o non fosse un'illusione de' poveri popoli. Nè si dee
tacere una strana metamorfosi avvenuta nelle Provincie Unite, dove
pei potenti soffii della corte britannica, e per le parzialità dei
popolari, non solamente fu dichiarato statolder il principe d'Oranges
e di Nassau _Guglielmo_, genero del re d'Inghilterra, ma statolder
perpetuo; nè solamente egli, ma anche la sua discendenza tanto
maschile che femminile. Parve ad alcuni di osservare in tanta novità
il principio di grandi mutazioni per l'avvenire nel governo di quella
repubblica, considerando essi che anche a Giulio Cesare bastò il titolo
di _dittatore perpetuo_; e che avendo in sua mano tulle le armi della
romana repubblica, senza titolo di re, potea fare e faceva da re. Ma i
soli profeti, che sono ispirati da Dio, han giurisdizione sulle tenebre
de' tempi avvenire.



    Anno di CRISTO MDCCXLVIII. Indiz. XI.

    BENEDETTO XIV papa 9.
    FRANCESCO I imperadore 4.


Diede principio all'anno presente una bella apparenza di pace, ma
contrappesata da un'altra di continuazione di guerra. Dalla parte
della Francia non altro s'udiva che magnifici desiderii di rendere il
riposo all'Europa, nè altra voglia facevano comparire le contrarie
potenze: sembrando tutti d'accordo in voler la pace, ma discordi,
perchè voglioso ciascuno di quella sola che fosse vantaggiosa ai suoi
privati interessi, e portasse un equilibrio, bel nome inventato dai
politici di questi ultimi tempi, quale ognun se l'ideava più conforme
o necessario al proprio sistema. Aprissi dunque il nuovo congresso
di ministri in Aquisgrana, come città neutrale del regno germanico.
I popoli, benchè tante volte beffati da queste fantasie di sospirata
pace, pure non lasciavano di lusingarsi, che avesse finalmente,
dopo sì lungo fracasso di tuoni e fulmini, a succedere il sereno. Ma
intanto un brutto vedere faceva l'affaccendarsi a gara i potentati in
preparamenti maggiori di guerra; e quantunque si sapesse che appunto
sforzi tali sogliono rendere più pieghevoli i renitenti alla concordia;
pure motivo non mancava di temere che quest'anno ancora avesse da
riuscire fecondo di rovine e di stragi. Sopra tutto gli Olandesi, che
fin qui incantati dal gran guadagno della loro neutralità e libera
navigazione, e dalle dolci parole della Francia, aveano dato tempo al
re Cristianissimo di stendere le sue conquiste nello stesso Brabante
di loro ragione, e vedevano in aria minaccie di peggio: si diedero,
ma troppo tardi, a mendicar truppe dalla Germania, dagli Svizzeri e
dai paesi del Nort. Trovarono intoppi dappertutto, probabilmente per
li segreti maneggi, o per l'efficacia della pecunia franzese; e però
non si sapevano determinare a dichiarar guerra aperta alla Francia;
e se facevano nell'un dì un passo innanzi, nell'altro ne facevano
due indietro. Aveano essi unitamente col re britannico fatto ricorso
ad _Elisabetta imperadrice della Russia_, per trarre di colà un
possente esercito d'armati, cioè un esorcismo valevole a mettere freno
all'esorbitante potenza franzese, che essi chiamavano troppo avida, e
principale origine o promotrice di tutte le guerre che da gran tempo
sono insorte fra i principi cristiani. Non pareva già credibile che
la corte russiana fosse per condiscendere alla richiesta di trenta o
trentacinque mila de' suoi soldati, pel mantenimento annuo de' quali
si esibivano dalle potenze marittime cento mila lire sterline, stante
l'immenso viaggio che occorreva per condurre tali truppe alle rive del
Reno, o in Olanda. Ma più che il danaro dovette prevalere in cuore di
quella grande imperadrice il riflesso di contribuire alla difesa di
quella de' Romani: giacchè troppo utile o necessaria si è l'amistà ed
unione di queste due monarchie per l'interesse loro comune, e comune
anche della cristianità, a fine di far fronte ne' bisogni alla potenza
turchesca. Si venne dunque a scoprire sul principio di quest'anno,
essere quel negozio conchiuso, e che la Germania avrebbe il gusto o
disgusto di conoscere di vista che razza di milizia fosse quella che
avea dato di sì brutte lezioni alla Svezia, e tanto terrore ai Turchi:
quantunque non pochi speculativi si figurassero dovere riuscir quel
trattato un semplice spauracchio a' Franzesi, non già un vero soccorso
ai collegati avversarii.

Minore non era in questi tempi l'apparato di guerra per l'Italia,
bollendo più che mai lo sdegno dell'imperadrice regina contra
dei Genovesi, quasichè il valor d'essi avesse non poco scemata la
riputazion delle armi austriache. A rinforzare il suo esercito in
Lombardia andavano calando in essa, oltre alle numerose reclute di
gente e di cavalli, anche de' nuovi corpi di truppe. E perciocchè,
secondo il parere dei savii suoi generali, il tornare all'assedio
di Genova sarebbe stato un andare a caccia di un nuovo, anzi maggior
pentimento, per le tante difese accresciute a quella città; rivolte
pareano tutte le mire degli Austriaci a portar la guerra e la
desolazione nella riviera di Levante, e massimamente contro Sarzana
e le terre del golfo della Spezia. Ma non istette in ozio l'attività
del _duca di Richelieu_. Per quanto era possibile, accrebbe egli le
fortificazioni a qualunque luogo capace di difesa in essa riviera, non
risparmiando passi ed occhiate per provvedere a tutto. E perciocchè
temeva che gli Austriaci, valicando l'Apennino, e avendo la mira
sopra Sarzana, potessero impadronirsi di Lavenza, picciola fortezza
del ducato di Massa, tuttochè si trattasse di luogo imperiale, e però
neutrale; meglio stimò di mettervi presidio franzese, e di levare ai
nemici l'uso dell'artiglieria, che ivi si trovava. Col tempo misero
quelle milizie il piede anche in Massa contro il volere della duchessa
reggente, e con grande danno di quegli abitanti, i quali perderono da
lì innanzi il commercio per mare, perchè considerati quai nemici delle
navi inglesi. Fra questo mentre andavano di tanto in tanto giugnendo
a Genova, senza chiedere licenza a quelle navi, alcuni ora grossi,
ora tenui rinforzi di gente franzese, spediti da Nizza, Villafranca e
Monaco; ma non s'udiva già che nella Provenza e Delfinato si facesse
gran massa di soldatesche, nè armamento tale, che fosse capace
di divertire le forze de' Tedeschi, caso che tentassero daddovero
una irruzione nel Genovesato. I principali pensieri dalla corte di
Francia erano rivolti più che mai in questi tempi ai Paesi Bassi, dove
infatti era il gran teatro della guerra: il che teneva in un continuo
batticuore il governo e popolo di Genova. Anche gli aiuti di Spagna
consistevano in sole voci di gran preparamento, e però in sole speranze
e promesse. E intanto il reale infante _don Filippo_ e il _duca di
Modena_, deposti per ora i pensieri marziali, se ne andarono a passare
il verno in sollazzi nella città di Sciambery. Ma poco vi si fermò il
duca, perchè nel furore del verno, e ad onta dei ghiacci e delle nevi,
si portò per gli Svizzeri e Grigioni a Venezia a visitare la sua ducal
famiglia; e di là poi nel marzo si restituì in Savoia.

Scorsero i primi mesi del presente anno senza riguardevoli novità;
giacchè non meritano d'aver luogo in questi brevi Annali alcuni
vicendevoli tentativi fatti da' Gallispani per sorprendere Savona ed
altri luoghi o della riviera di Ponente o delle montagne piemontesi,
ed altri fatti dagli Austriaco-Sardi per tornare ad impadronirsi di
Voltri. Così ne' Paesi Bassi niun'altra considerabile azione seguì,
fuorchè in vicinanza di Berg-op-Zoom, dove conducendo i Franzesi con
buona scorta un gran convoglio di munizioni da bocca e da guerra, dopo
la metà di marzo furono assaliti da un più possente corpo di collegati,
e messi finalmente in rotta con perdita di molta gente e roba. Venuta
la primavera, il general comandante austriaco _conte di Broun_ sempre
più dava a credere di voler portare la guerra verso Sarzana e la
Spezia: al qual fine de' grossi magazzini di biade e fieni si fecero a
Fornovo, Berceto e Borgo Val di Taro. S'inoltrò anche a Varese, terra
del Genovesato, un gran corpo di sua gente. Ma per condurre un'armata
di là dall'Appennino col necessario corteggio di artiglieria, foraggi e
viveri, occorrevano migliaia di muli; e di questi restava anche a farsi
in gran parte la provvisione: disgrazia, che non fu la prima ed unica,
per cui sono ite talvolta in fumo le ben pensate idee ed imprese de'
generali austriaci. A queste difficoltà, che impedivano l'avanzamento
dell'armi tedesche, probabilmente s'aggiunse qualche motivo e riflesso
segretamente comunicato dalla corte cesarea al suddetto conte di
Broun, per cui quantunque egli facesse dipoi varie mostre di portare la
guerra nel cuore del Genovesato, pure non corrisposero mai i fatti alle
minaccie; ed egli arrivò poi a distribuire buona parte dell'esercito
suo nel Parmigiano, Modenese e Reggiano. Dall'altro canto nè pure mai
si videro comparire in Provenza i generali delle due corone alleate,
cioè il _maresciallo di Bellisle_ e il _marchese de la Mina_, nè
s'udì moto alcuno delle lor armi in quelle parti. Anche il duca di
Modena passò nell'aprile a Parigi, di modo che in questo aspetto di
cose sembrava a non pochi di mirare un crepuscolo di vicina pace. Ma
a tali speranze si contrapponeva il movimento delle truppe russiane,
non sembrando verisimile che si avesse da esporre alle fatiche d'un
sì sterminato viaggio quel grosso corpo di gente, qualora si fosse
alla vigilia di qualche concordia. Non s'era fin qui potuto persuadere
a molti di coloro, i quali mettono il loro più gustoso divertimento
nel trafficar novelle di guerre, ed interpretazioni dei segreti de'
gabinetti, che si avessero a muovere daddovero i reggimenti accordati
dalla imperadrice russiana alle potenze marittime; e al più si credeva
che non dovessero se non minacciare la Francia, con istarsene ferme
ai loro confini. Si videro poi entrare nella Polonia, e sempre più
inoltrarsi alla volta del mezzodì, ad onta delle nevi e de' ghiacci.
Fortuna fu per la Francia che il ministro di Olanda spedito alla corte
russiana colle necessarie facoltà per maneggiar quel contratto, non
s'attentò a segnarlo senza l'ordine del novello statolder _principe
Guglielmo di Nassau._ L'andata d'un corriere e il suo ritorno
ritardarono per più di un mese la mossa de' preparati russiani.

Seppero i Franzesi mettere a profitto il ritardo di quella gente; e
conoscendo la lor grande superiorità sopra le forze de' collegati,
parte delle quali era tuttavia troppo lontana, o non peranche ben
reclutata, si affrettarono a far qualche strepitosa impresa. I lor
varii preparamenti, marcie e contramarcie aveano fin qui imbrogliata
la previdenza degli alleati, con obbligarli a tener divise ed impiegate
in varii vigorosi presidii le lor armi, per non sapere sopra qual parte
avessero a volgersi gli sforzi nemici, mentre nello stesso tempo erano
minacciati Lucemburgo, Mastricht, Bredà e la Zelanda. Finalmente si
tirò il sipario nella notte precedente al dì 16 d'aprile, e si vide
investita la fortissima città di Mastricht, città intersecata dalla
Mosa con ponte di comunicazione fra le due rive. Il maresciallo_
di Sassonia_ col nerbo maggiore delle milizie aprì da due lati la
trincea sotto la piazza; e il _maresciallo di Lowendhal_ anch'egli
dalla parte destra del fiume di Wyck diede principio alle offese,
comunicando insieme le due armate franzesi mercè d'uno o più ponti.
Eransi ritirate l'armi de' collegati da que' contorni, così consigliate
dall'inferiorità delle forze; e però non andò molto che cominciarono
a tuonare le copiose batterie di cannoni e mortari contro l'assediata
città. Non mancarono al loro dovere i difensori; ma aveano a far con
gente che da gran tempo aveva imparato a farsi ubbidire dalle più
orgogliose fortezze. Durante lo strepito di queste azioni guerriere,
nel pacifico teatro della città di Aquisgrana adunati i ministri delle
potenze belligeranti, più che mai trattavano di dar fine a tante ire
e discordie. Avea non poco ripugnato la corte di Vienna ad ammettere
a quel congresso i ministri del duca di Modena e della repubblica di
Genova: prevalse poi la giustizia, che assisteva questi due sovrani.
Per lo contrario, non ebbe già effetto la proposta mediazione del re
di Portogallo, e bisogno nè pur ve ne fu. Ordinariamente le paci fra'
monarchi dipendono da certe segrete ruote di qualche poco conosciuto
emissario, e non dall'unione e maestoso consesso de' gran ministri
de' contrarii partiti, che, in apparenza amici, pure più fra loro
combattono per la diversità delle pretensioni, che le opposte armate
in campagna. Anzi frequentemente accade che anche più difficilmente
si accordino fra loro gli stessi collegati, pensando troppo ognuno al
privato proprio interesse, di modo che per lo più non si giugne ad una
pace generale, se non ne precede una particolare, trovandosi sempre
qualche soda o plausibil ragione per mancare ad uno de' patti primarii
delle leghe, cioè di non far pace senza il totale consenso degli
alleati.

Così appunto ora avvenne. Eccoti che si viene all'improvviso a
scoprire che nel dì 30 d'aprile i ministri di Francia, Inghilterra
ed Olanda aveano segnati i preliminari della pace, e ciò senza
saputa, non che senza consenso di que' dell'imperadrice regina e del
re di Sardegna. Tali erano sì fatti preliminari, che formavano una
pace vera fra le tre suddette potenze, lasciando luogo all'altre di
aderirvi il più presto possibile. Portavano i principali punti di
questa concordia: Che si restituirebbero tutte le conquiste fatte
dopo il principio della presente guerra dalle prefate potenze, e, per
conseguente, quanto avea la Francia tolto ne' Paesi Bassi all'_augusta
regina_ e agli _Olandesi_; e si renderebbe capo Breton alla Francia
nell'America settentrionale. Che dalla parte del mare si demolirebbero
le fortificazioni di Dunquerque. Che all'infante _don Filippo_ si
cederebbero i ducati di Parma, Piacenza e Guastalla, colla reversione
a chi ora li possedeva, caso ch'esso mancasse senza figli, o ottenesse
la corona delle Due Sicilie. Che il _duca di Modena_ sarebbe rimesso
in possesso di tutti i suoi Stati, e che gli si darebbe un compenso di
ciò che non potesse essergli restituito. Che la _repubblica di Genova_
sarebbe ristabilita nel possesso di quanto ella godeva nel 1740. Che
il re di Sardegna rimarrebbe in possesso di tutto quel che possedeva
prima d'esso anno 1740, o avea acquistato per cessione l'anno 1743,
a riserva di Piacenza. Che il ducato di Slesia colla contea di Glatz
sarebbe garantito al _re di Prussia_ da tutte le potenze contraenti.
Che la Spagna confermerebbe _agl'Inglesi_ il trattato dell'Assiento
per alquanti anni, oltre ad alcune segrete promesse di altri vantaggi
e privilegii di commercio per gl'Inglesi nell'America spagnuola. A me
non occorre dirne di più; se non che in vigore di questa concordia
uscì di Mastricht colla più onorevol capitolazione la guernigione
degli alleati; e restò quella città in potere de' Franzesi per
ostaggio, tantochè si effettuasse la vicendevol restituzione degli
Stati a tenore dei preliminari, i quali nel debito tempo si videro
ratificati dalle tre potenze formatrici di quell'accordo. Per conto
del re Cattolico, si può credere che le risoluzioni prese dal re
Cristianissimo per la pace fossero preventivamente comunicate anche
alla maestà sua, stante la buona armonia di quelle due corti. Ma certo
è bensì che senza partecipazione dell'augustissima regina tagliato
fu il corso della presente guerra, mentre ella dalla continuazione
di questa sperava maggiori vantaggi e men pregiudizio ai proprii
affari. Non così l'intesero i potentati, autori di que' preliminari.
Trovavasi tuttavia in un bell'ascendente la fortuna e il valore
dell'armi franzesi; contuttociò conobbe quel gabinetto che tempo era
di contentarsi dei trionfi passati, senza cercarne con troppo pericolo
o troppo costo de' nuovi. Pesante era la carestia de' grani di quel
regno. Dall'Inghilterra, che soleva somministrarne, non si potea
sperare soccorso; meno da Danzica e da altri emporii del Settentrione
o del Mediterraneo, perchè gl'Inglesi erano padroni del mare, e
maggiormente si sarebbe precluso il commercio per quel vasto elemento,
ove fosse accoppiata con gl'Inglesi la forza degli Olandesi. Di gravi
percosse aveano già patito le flotte franzesi, e più ne poteano temere.
Cominciava anche a risentirsi la Francia pel sacrifizio di trecento,
se non più, migliaia d'uomini, consumati dai capricci dell'ambizione;
ogni dì ancora occorrevano nuove leve; nè altronde si potevano fare
che da quel continente. Avrebbe ben fruttato più a quel gran regno
la metà di tanta fiorita gente perduta, se fosse stata inviata a
fondar delle colonie nel Mississipi. Vero è, che la Francia ricavava
abbondanti rugiade dall'erario spagnuolo, e grosse contribuzioni dal
conquistato paese; ma chi non sa qual immensa voragine sia la guerra, e
guerra maneggiata con più centinaia di migliaia d'armati; e con quante
pensioni comperasse la Francia le amicizie di quegli stranieri che
le potevano nuocere? Però le convenne in questi ultimi tempi imporre
esorbitanti e disusate gravezze ai popoli suoi, per le quali si vide
poi che il parlamento di Parigi giunse a far delle delicate doglianze
al suo monarca. Finalmente l'epidemia de' buoi entrata in Francia, e
i trenta mila Russiani, ch'erano in viaggio, aggiunsero un grano alla
bilancia, e la fecero calare. Tali furono i motivi che indussero il
re Cristianissimo a desiderar daddovero la pace, e a conchiuderla,
contando egli per suo vantaggio, anche senza ritener per sè alcuno
degli acquisti, l'avere alquanto indebolita la potenza dell'emula casa
di Austria colla perdita della Slesia, e con lo smantellamento d'alcune
fortezze nella Fiandra e nella Briscovia.

Concorsero del pari a dar mano all'accordo gl'Inglesi, perchè stanchi
di sostenere con sì enorme effusione dei lor tesori in tante parti
l'impegno preso, non per acquistare un palmo di terreno per loro, ma
per impedire che la Francia maggiormente non islargasse l'ali alle
spese de' lor collegati, e per riacquistare qualche vantaggio al
proprio interrotto commercio nell'America. Ottenuto questo colla pace,
più non occorreva cercarlo coll'incredibil dispendio della guerra, la
quale avea accresciuto il debito antecedente di quella nazione, con
farlo giugnere a settanta milioni di lire sterline. Lamentavansi ancora
essi Inglesi, perchè l'augusta imperadrice non mantenesse in campagna
la intera stipulata quota delle truppe, per cui tirava il sussidio
di grosse somme da Londra. Più ancora inclinò a questa concordia la
repubblica delle Provincie Unite, perchè, per difendere l'altrui, aveva
tirato un troppo grave incendio sulla casa propria. Spogliata di gran
parte del suo Brabante mirava colla perdita di Mastricht oramai aperta
la porta alla desolazione del suo paese. Però non trovava ella nei
libri suoi l'obbligo di comperare a sì caro prezzo la indennizzazione
altrui. Aggiugnevano in oltre qualche mal umore nelle viscere de'
suoi medesimi Stati, per cagione di cui si scorgeva troppo utile, se
non anche necessario, il non impegnarsi maggiormente in pericolosi
cimenti di guerra, quando amichevolmente si potea ricuperare il perduto
proprio, e l'antemurale restante delle piazze austriache. Per lo
contrario non si sapeva accomodare l'imperadrice regina alla legge che
venivale data da amici e nemici, duro a lei parendo il rinunziare per
sempre al felice ducato della Slesia e ad alcuni paesi della Lombardia
austriaca. Contuttociò accomodandosi la prudenza del suo gabinetto alla
presente situazione di cose, senza gran ritardo comparve in Aquisgrana
il consenso della maestà sua agli articoli preliminari della pace,
con qualche restrizione nondimeno allo stabilito in essi. Nè pure
tardò ad approvare la suddetta orditura di pace il re di Sardegna;
ed anche il re Cattolico vi spedì l'assenso suo, ma intralciato da
qualche riserva, spettante al commercio preteso dagl'Inglesi nell'Indie
spagnuole. Contuttociò lungamente continuarono in Italia le ostilità
fra gli Austriaci e i difensori del Genovesato. Anzi si vide stampata
e pubblicata nel dì 20 di maggio un'intimazione del generale _conte
di Broun_ ai popoli della riviera di Levante di non commettere atto
alcuno di opposizione all'armi cesaree, perchè così sarebbero ben
trattati, minacciando all'incontro ferro e fuoco a chi si abusava
della clemenza di sua maestà regia imperiale. Continuò anche in mare
la guerra fra gl'Inglesi e i legni genovesi; finchè finalmente vennero
gli ordini dell'armistizio, e si cominciò a vagheggiare come vicina la
sospirata pace, e a sperar non lungi l'adempimento delle già accennate
condizioni. Non sapevano intanto i politici del volgo accordare con sì
belle disposizioni l'osservarsi che l'esercito ausiliario russiano,
continuando il viaggio, mostrava di non aver contezza alcuna che i
raggi della pace spandessero l'allegrezza pel resto d'Europa. In fatti,
dopo di aver valicata la Polonia ed Alta Silesia, si vide alla metà
di giugno comparire la prima colonna di quelle truppe in Moravia.
Vollero le imperiali maestà godere di questo spettacolo, e portatesi
a Brun, dove nobilmente furono accolte e trattate dal cardinale di
Troyer vescovo d'Olmultz, ebbero il piacere di considerare la bella
comparsa di quella gente, tutta ben armata, vestita e disciplinata, e
senza alcun segno dell'antica loro barbarie. Seco veniva una magnifica
cappella co' suoi cantori; e il loro passaggio per tanti paesi non
fu accompagnato da lamenti degli abitanti, perchè pagavano tutto.
Solamente parve che taluno non mirasse di buon occhio la venuta di
que' Settentrionali, per timore che alla nazione russiana potesse
piacer più del proprio il cielo di mezzodì. Si diffuse poi sopra quelle
truppe ed uffiziali la munificenza dell'imperadrice regina. Ma allorchè
comunemente si credeva, che stante l'intavolata ed immancabile pace,
avessero i russiani a ritornarsene all'agghiacciato lor clima, o pure
fermar il piede in Boemia, non senza maraviglia d'ognuno si videro
istradati anche alla volta della Franconia e del Reno. A tal vista si
diedero a strepitare e a parlar alto i Franzesi, e tal forza ebbero le
loro minaccie, che dalla potenze marittime fu spedito ordine a que'
troppo arditi stranieri di retrocedere sin in Boemia: con che cessò
ogni apprensione della loro venuta.

Dappoichè tutti i principi impegnati nella guerra presente si
trovarono assai concordi in approvare ed accettare i preliminari,
cioè il massiccio della futura pace, si ripigliarono i congressi de'
ministri in Aquisgrana, a fin di spianare, per quanto fosse possibile,
le diverse particolari pretensioni de' principi, le quali potessero
difficoltar la conchiusione dell'universal concordia, o lasciar semi
di guerre novelle. Per conto dell'Italia, di gravi doglianze aveano
fatto e faceano i militari alla corte di Vienna, perchè si fosse ceduta
al re di Sardegna tanta parte del contado d'Anghiera colla metà del
lago Maggiore, senza aver considerato che sensibil danno ed angustia
ne provenisse alla stessa città di Milano. Però l'augusta imperadrice
cominciò a pretendere, che siccome più non sussisteva il trattato di
Vormazia per la cessione all'infante don Filippo di Piacenza, così
dovesse anche la maestà sua restare sciolta dall'obbligo di mantenere
al re di Sardegna quanto gli avea ceduto. Pretendeva in oltre più d'un
milione di genovine, di cui erano rimasti debitori i Genovesi. Quanto
all'infante don Filippo, si faceva istanza che col ducato di Guastalla
andassero uniti quello di Sabbioneta, e il principato di Bozzolo,
siccome goduti dagli ultimi duchi d'essa Guastalla. Finalmente il conte
di Monzone, ministro del duca di Modena, richiedeva che fosse rimesso
questo principe in possesso de' contadi d'Arad e di Jeno in Ungheria;
e perchè si trovò che per li bisogni della guerra erano stati venduti,
insisteva per un equivalente di Stati in Lombardia. Restavano poi da
dibattere varie altre pretensioni de' principi fuori d'Italia, che
tralascio, perchè non appartenenti all'assunto mio. Giunsero ancora
al congresso d'Aquisgrana le doglianze de' Corsi contro la repubblica
di Genova; ma parve che niun conto ne facessero que' ministri. Per
ismaltir dunque le materie suddette s'impiegarono cinque mesi e
mezzo dopo la pubblicazion de' preliminari; e finalmente si venne in
Aquisgrana allo strumento decisivo della pace nel dì 18 d'ottobre del
presente anno. Non rapporterò io se non quegli articoli che riguardano
l'Italia; cioè:

2. Dal giorno delle ratificazioni di tutte le parti sarà ciascuno
conservato e rimesso in possesso di tutti i beni, dignità, benefizii
ecclesiastici, onori ch'egli godeva o doveva godere al principio della
guerra, non ostante tutti gli spossessi, le occupazioni e confiscazioni
occasionate per la suddetta guerra.

6. Tutte le restituzioni e cessioni rispettive in Europa saranno
interamente fatte ed eseguite da ambe le parti nello spazio di sei
settimane, e più presto, se si potrà, contando dal giorno del cambio
delle ratificazioni di tutte le parti.

7. I ducati di Parma, Piacenza e Guastalla si daranno all'altezza reale
dello infante don Filippo, e suoi discendenti maschi, col diritto di
riversione a' presenti possessori, se il re di Napoli passasse alla
corona di Spagna, o don Filippo morisse senza figli.

8. Quindici dì dopo le ratificazioni si terrà un congresso a Nizza,
cioè fra i ministri delle parti contrattanti, a fin di spianare e
risolvere tutte le difficoltà restanti all'esecuzione del presente
trattato di pace.

10. Le rendite ordinarie de' beni che debbono essere restituiti o
ceduti, e le imposte fatte in essi paesi pel trattamento e per li
quartieri d'inverno delle truppe, apparterranno alle potenze che ne
sono in possesso, sino al giorno delle ratificazioni, senza che sia
permesso di usare alcuna via d'esecuzioni, purchè si dia cauzione
sufficiente pel pagamento. Dichiarando che i foraggi ed utensili per le
truppe che ivi si truovano, saranno somministrati sino all'evacuazione.
Tutte le potenze promettono e s'impegnano di nulla ripetere, nè di
esigere delle imposte e contribuzioni ch'esse potessero aver poste
sopra i paesi, città e piazze occupate nel corso di questa guerra, e
che non saranno state pagate nel tempo che gli avvenimenti della guerra
gli avranno obbligati ad abbandonare i detti paesi. Questo articolo
spezialmente riguardava la repubblica di Genova, da cui l'imperadrice
regina pretendeva più di un milione, siccome accennammo.

12. La maestà del re di Sardegna resterà in possesso di Vigevano, di
parte del Pavese, e di parte del contado di Anghiera, secondo, che gli
è stato ceduto nel trattato di Vormazia.

13. Il serenissimo duca di Modena, sei settimane dopo il cambio
delle ratificazioni, prenderà possesso di tutti i suoi Stati, beni,
ec. Per quello che mancherà, si pagherà a giusto prezzo; il qual
prezzo, siccome ancora l'equivalente de' feudi ch'egli possedeva in
Ungheria, se non gli fossero restituiti, sarà regolato e stabilito nel
congresso di Nizza. Di maniera che nello stesso tempo e giorno che esso
serenissimo duca di Modena prenderà possesso di tutti i suoi Stati,
egli possa anche entrare in godimento, sia de' suoi feudi in Ungheria,
sia dell'equivalente. Gli sarà parimente fatta giustizia nel detto
termine di sei settimane dopo il cambio delle ratificazioni sopra gli
allodiali della casa di Guastalla.

14. La serenissima repubblica di Genova sarà rimessa in possesso di
tutti i suoi Stati, posseduti da essa prima della presente guerra, come
anche i particolari in possesso di tutti i fondi esistenti nel banco di
Vienna ed altrove.

Finalmente furono confermati i preliminari stabiliti nel dì 30
d'aprile di quest'anno 1748, e garantiti da tutte le potenze gli Stati
restituiti o ceduti. E caso che alcuna potenza rifiutasse di aderire
al suddetto trattato, la Francia, Inghilterra ed Olanda promisero
d'impiegare i mezzi più efficaci per l'esecuzione dei soprascritti
regolamenti.

Avreste creduto, che questa pace avesse sparso una larga pioggia
di giubilo, spezialmente sopra que' popoli che sofferivano il peso
dell'armi straniere; ma per disgrazia si convertì essa pace in
una più sensibil guerra di prima. Detto fu che i ministri della
regina imperadrice e del re di Sardegna avessero fatte gagliarde
istanze, affinchè gli Stati destinati a tornare in mano de' loro
legittimi antichi padroni avessero a goder l'esenzione da ulteriori
contribuzioni. Frutto certamente non se ne vide. Può essere che
si credesse prevveduto abbastanza coll'articolo decimo a questo
bisogno; ma non si avvisavano già i primarii ministri del congresso
di Aquisgrana che i generali degli Spagnuoli avessero un dizionario
in cui le parole di _Foraggi_ ed _Utensili_, espresse nel suddetto
articolo, importassero la facoltà di scorticare i poveri con nuove
contribuzioni, che non aveano però nome di contribuzioni. Fecero
pertanto gl'intendenti Gallispani a chiari conti conoscere ai deputati
di Nizza e Villafranca, a quanto ascendesse il debito loro per la
somministrazion della paglia e fieno, della legna e del lume, ec.
dovuti a ventiquattro battaglioni esistenti in quelle parti (benchè
mancati della metà della gente) e ai tanti generali ed uffiziali, anche
lontani o sognati, di quel corpo di truppe. E perchè quel desolato
paese non potea far que' naturali, convenendo perciò che gl'intendenti
li facessero venire di Francia a caro prezzo, si fece montar molto
più alto la somma del debito, riducendosi in fine a tassarlo tutto per
cento mila lire di Piemonte (cioè per venti mila Filippi) al mese, e
ad intimarne il pagamento; e questo anticipato per li mesi di novembre
e dicembre, con aggiugnere la minaccia dell'esecuzion militare in
caso di ritardo. Restarono di sasso que' deputati, e rappresentarono
l'evidentissima impotenza del paese, già estenuato per sì lunga
guerra, e per tanti passaggi di truppe: ma riscaldatosi nel contrasto
l'intendente spagnuolo, giunse a dire che li farebbe scorticare, e
fatte le lor pelli in fette, le venderebbe a chi se ne volesse servire:
Convenne pagare: io non so il come. Non furono meglio trattati i
popoli della Savoia. Fin l'anno 1745 si vide steso da mano maestra un
loro memoriale al Cattolico monarca Filippo V, in cui essi esponevano
gl'incredibili aggravii posti dall'intendente spagnuolo a quelle
montagne, coll'esigere in danaro il servigio militare delle truppe: con
che venivano obbligati gli abitanti a pagare più di cento mila doble
l'anno; e, ciò nonostante, i soldati si facevano lecito di prender
fieno e legna, senza incontrar questo nei conti: oltre al torre le lor
bestie, e voler carreggi senza fine, e obbligar la gente bene spesso
alle fortificazioni. Queste ed altre avanie, per le quali nulla restava
pel proprio sostentamento a que' poveri popoli, aveano obbligato
gran copia di famiglie ad abbandonare il paese, per cercare il pane
in Francia o altrove. Che quel memoriale non avesse la fortuna di
pervenir sotto gli occhi del re Cattolico, si può ben credere, stante
la somma pietà di quel monarca, che non avrebbe mai permesso un così
duro strazio a popoli battezzati ed innocenti. E pure la miseria d'essi
crebbe dopo la pace di Aquisgrana, perchè anche ad essi l'intendente
spagnuolo intimò di pagare, oltre all'ordinaria contribuzione, cento
mila lire di Piemonte per mese, e queste anticipate per novembre e
dicembre. E perciocchè si giunse al fine dell'anno senza che seguisse
restituzione alcuna degli occupati paesi, fu replicata la medesima dose
di anticipato pagamento anche pel gennaio dell'anno seguente 1749.

Ancora fu che il re di Sardegna, il quale fin qui avea con soave
mano trattato Savona, il Finale e gli altri paesi della genovese
riviera di Ponente a lui sottomessi, irritato da sì aspre estorsioni
fatte a' sudditi suoi, impose a titolo di proservizio, rappresaglia,
retorsione e quieto vivere, a quei paesi l'anticipata contribuzione di
trecento mila lire di Piemonte (sono sessanta mila filippi) e poscia
un'altra di quarantacinque mila lire. Ancorchè gli Stati del duca di
Modena credessero di non dover soggiacere a somiglianti aggravii,
sì per non esser dichiarati paesi di conquista, come ancora perchè
somministravano il contingente di foraggi ed utensili alle soldatesche
ivi esistenti; pure anche ad essi furono intimate due contribuzioni,
ed esatte. Vero è, che tanto la regina imperadrice che il re suddetto
non dimenticarono in tal occasione l'innata lor clemenza e generosità
verso que' popoli; ed anche Piacenza fu quotizzata, ma con molto più
tollerabile aggravio. A cagione di questi disgustosi salassi furono
portate al congresso di Aquisgrana le doglianze e le lagrime degli
afflitti popoli, ed arrivarono anche all'altro già incominciato in
Nizza. Sorde si trovarono le orecchie di chi dovea porgere il rimedio,
perchè andavano d'accordo i generali d'armi in voler risparmiare
ai regnanti il pensiero di premiar tante lor fatiche, con prendere
la ricompensa sui paesi che si aveano ad abbandonare. Erano intanto
venute le ratificazioni della pace d'Aquisgrana dalle corti di Francia,
Inghilterra ed Olanda; poi quelle del re Cattolico, del re di Sardegna,
del duca di Modena e della repubblica di Genova; sicchè fu al debito
tempo aperto il congresso di Nizza, dove intervennero i due generali
gallispani _Bellisle_ e _Las Minas_, e per l'augusto imperadore
il generale _conte Broun_, accompagnato dal conte Gabriello Verri
fiscale generale di Milano, giurisconsulto di gran credito. Similmente
l'imperadore, il re di Sardegna, il duca di Modena e la repubblica
di Genova v'inviarono i lor ministri. Furono dibattute le vicendevoli
pretensioni de' principi per le fortezze, artiglierie, munizioni, ec.
che si doveano restituire. E perchè tuttavia insistevano i ministri
austriaci sul preteso lor credito contra de' Genovesi, pericolo vi
fu, che si sciogliesse senza conclusione alcuna quell'adunanza. Andò
poi così innanzi la copia e l'intralciamento degli affari, che arrivò
il fine dell'anno senza che i popoli gustassero un menomo sapor della
pace; perchè niuno disarmava, e se non si faceva guerra agli uomini, si
faceva ben viva alle borse. In quest'anno nel Ferrarese un grave danno
recò l'epidemia bovina. Anche il Finale di Modena, e qualche luogo
della Romagnuola e del Bolognese parteciparono di questa sciagura.



    Anno di CRISTO MDCCXLIX. Indiz. XII.

    BENEDETTO XIV papa 10.
    FRANCESCO I imperadore 5.


Spuntò il felicissimo presente anno tutto gioviale con corona d'ulivo
in capo, risoluto di dare agli aggravati popoli quella quiete che il
precedente con varie promesse avea fatto sperare. S'era già preparata
la gente a solennizzar con isfogo di giubilo il fine di tanti guai,
perchè nel congresso d'Aquisgrana era stato stabilito che nel dì
4 di gennaio si desse principio all'evacuazione degli occupati
paesi: quand'ecco insorgere una nuova remora all'adempimento della
sospirata pace. Restavano tuttavia indecise nel congresso di Nizza
le soddisfazioni dovute al duca di Modena tanto per gli allodiali
della linea estinta dei duchi di Guastalla, dovuti secondo le leggi
alla serenissima casa d'Este, quanto pei contadi di Arad e di Jeno
in Ungheria, tolti in occasion della presente guerra ad esso duca.
Con tutto il suo buon cuore non trovava l'augusta imperadrice la
maniera di restituirli, perchè gli aveva alienati; e i ministri suoi
non trovavano un equivalente di Stati da darsi a questo principe,
giacchè l'esibizione di pagargli annualmente i frutti corrispondenti
alle rendite non soddisfaceva. Insistevano perciò i ministri
gallispani a tenore degli ordini delle lor corti su questo punto, e
sulla restituzione de' fondi spettanti ai Genovesi; e perchè restò
incagliato l'affare, bastò intoppo tale a fermar tutto l'altro resto
della esecuzion della pace, e a moltiplicar anche per un mese gli
aggravii delle provincie che s'aveano a restituire. Detto fu, che
il re Cristianissimo ricavasse dagli Stati occupati ne' Paesi Bassi
cinquanta mila fiorini per giorno. Se ciò sussiste, nè pur que'
popoli sotto barbieri tali avranno avuto gran voglia di ridere. Il
perchè somma premura avendo la clementissima imperadrice di redimere i
sudditi suoi ed altrui da ulteriori vessazioni, cotanto s'industriò,
che le venne fatto di ricuperare i feudi suddetti da un generoso
comprator d'essi; di render i lor fondi ai particolari genovesi;
e conseguentemente di poter adempire interamente gli articoli del
trattato conchiuso in Aquisgrana. D'essi Stati adunque fu rimesso
in possesso il duca di Modena, siccome ancora gli fu accordato il
possesso degli allodiali di Guastalla. E perciocchè furono ancora
tolte di mezzo le controversie eccitate fra la corte Austriaca e
la repubblica di Genova, niun ostacolo più restò a perfezionare il
grande edifizio della pace universale. Videsi pertanto un regolamento
stabilito in Aquisgrana de' giorni precisi, nei quali a poco poco si
dovea far l'evacuazione di alcune città o piazze de' Paesi Bassi, e
nello stesso tempo di altre dell'Italia. Spezialmente il principio di
febbraio quel fu che diserrò le porte all'allegrezza de' varii paesi.
Quetamente presero le truppe spagnuole il possesso di Parma, Piacenza e
Guastalla a nome del reale infante _don Filippo_ con somma consolazione
di quei cittadini. Altrettanto fecero il re di Sardegna e i Genovesi
degli Stati lor proprii. Nel dì 7 del mese suddetto fu consegnata la
Mirandola alle soldatesche di _Francesco III_ duca di Modena. E nel
dì 11 anche la città e cittadella di Modena, con tutte le altre sue
pertinenze, tornarono a godere i benigni influssi del legittimo loro
sovrano. Convien qui fare giustizia all'augustissima imperadrice regina
_Maria Teresa_, e alla maestà di _Carlo Emmanuele_ re di Sardegna, che
per sette anni tennero il dominio di questo ducato. Certo è che non
mancarono gravissimi guai e danni, frutti inevitabili della guerra,
a questi Stati, i quali anche contrassero più e più milioni di debiti
pubblici in sì lagrimevole congiuntura. Contuttociò restò qui, e per
lungo tempo resterà memoria della gloriosa moderazione di questi due
clementissimi sovrani, che si tennero lungi da ogni eccesso, finchè qui
esercitarono la lor signoria. Placido e pien di giustizia si provò qui
il governo civile, perchè venne appoggiata l'amministrazione d'essi
Stati al conte Beltrame Cristiani, gran cancelliere della Lombardia
Austriaca, personaggio che per l'elevatezza della mente, per l'attività
nell'operare, e per le massime dell'onoratezza, inclinante tutta al
pubblico bene, ha pochi pari. Suo luogotenente il conte Emmanuele
Amor di Soria, senator di Milano, avveduto ed incorrotto ministro
della giustizia e dell'economia camerale, lasciò anch'egli in queste
parti con onore il suo nome. Assai discreto medesimamente si trovò il
contegno militare, avendo tanto gli ufiziali che le truppe delle lor
maestà osservata una lodevol disciplina, senza estorsioni ed avanie in
danno degli abitanti.

Ma non poterono già altri popoli, per lor disavventura imbrogliati
nella presente guerra, contare un egual trattamento e fortuna. Aveva io
all'anno 1300 fra le glorie de' nostri tempi registrato ancor quella
dalle guerre oggidì fatte con moderazione fra i principi cristiani,
cioè senza infierire contro le innocenti popolazioni, e senza la
desolazione dei conquistati o dei nemici paesi. Debbo io ora con
vivo dispiacere ritrattarmi. Ci ha fatto questa ultima guerra vedere
troppi esempli di barbarie entro e fuori d'Italia, con lasciare la
briglia alla licenza militare, per fare colla rovina della povera
gente vendetta de' pretesi reati de' loro principi. Che i Turchi, che
i Barbari, i quali pare che non conoscano legge alcuna di umanità,
cadano in così brutali eccessi, non è da maravigliarsene; ma che genti
professanti la legge santa del Vangelo, legge maestra della carità,
facciano altrettanto, non si può mai comportare. E non vede chi così
opera, che in vece di gloria egli va cercando l'infamia, la quale senza
dubbio tien dietro alle crudeltà? Ma lasciando queste inutili doglianze
e luttuose memorie, vogliam più tosto i ringraziamenti nostri alla
divina clemenza, che ha fatto in quest'anno cassar l'ire dei regi, e
coll'evacuazion de' paesi che si aveano a restituire, ha ridonata la
tranquillità e l'allegrezza a tanti regni e principati, involti per
sette anni nelle calamità della guerra. Tanto più memorabile dee dirsi
questa pace, perchè non solamente si è diffusa per tutta l'Europa,
ma viene anche accompagnata dall'universale di tutta la terra, non
udendosi in questi tempi alcun'altra guerra di rilievo per le altre
parti del mondo, di modo che non abbiam da invidiare la felicità
de' tempi d'Augusto. Resta solamente nella Corsica il fermento della
ribellione; ma non andrà molto (così è da sperare) che l'interposizione
de' monarchi di Francia e Spagna pacificamente e con oneste condizioni
ridurrà que' popoli all'ubbidienza verso la legittima ed antica
sovranità della repubblica di Genova. Ma oltre ai ringraziamenti da
noi dovuti al supremo Autor di ogni bene, conviene ancora inviare al
suo trono le umili nostre preghiere, acciocchè il gran bene della pace
a noi restituita non sia dono di pochi giorni, e che i potentati di
Europa giungano a sacrificare al riposo de' poveri popoli, i quali dopo
tanta calamità cominciano a respirare, i lor risentimenti, oppur le
suggestioni della non mai quieta ambizione. Regnando la pace in Italia,
che non possiamo noi sperare da che abbiamo principi di sì buon volere
e di tanta rettitudine? A me sia lecito di ricordare qui il nome per
riconoscimento della presente nostra fortuna.

Ha lo Stato della Chiesa romana per suo principe e rettore il sommo
pontefice Benedetto XIV, che per somma pietà, per l'ottimo suo cuore,
per la penetrazion della mente, e per la singolar dottrina può ben
gareggiare co' più rinomati ed illustri successori di san Pietro.
Non ha egli accettato il governo della Chiesa di Dio e del principato
romano, per alcun comodo od utile suo, ma unicamente per far servire
i pensieri e la vigilanza sua al pubblico bene. Eterna memoria del suo
sapere e zelo per la istruzione della Chiesa cattolica saran le varie
insigni opere già da lui date alla luce, ed ultimamente ancora due
tomi del suo Bollario. E perciocchè gl'innocenti popoli suoi per le
peripezie delle ultime guerre hanno partecipato anche essi delle comuni
calamità, si studia l'amorevolissimo padre di ricomporre le da lor
patite slogature: giacchè se chiedeste quali sieno i suoi nipoti, vi si
risponde che tali propriamente sono i sudditi suoi. Roma spezialmente,
che l'ha alzato al trono, quella è che sopra le altre gode i benefici
influssi d'un principe, che non conoscendo cosa sia amor proprio e
de' suoi, quanto a lui viene dal principato, tutto vuol rifondere
in decoro e abbellimento della sua benefattrice città. Testimonianze
perciò delle sue gloriose idee, e monumenti per l'immortalità del suo
nome, sono e saranno un braccio dello spedale di Santo Spirito in essa
Roma: fabbrica di singolar magnificenza e di somma utilità pel bene
dei poveri; lo stradrone che guida da San Giovanni Laterano sino a
Santa Croce in Gerusalemme. Rinnovata entro e fuori con atrio insigne
la stessa basilica di Santa Croce. Assicurata la maravigliosa cupola
di San Pietro dai timori insorti di rovina. Terminata la fontana di
Trevi, che per la grandiosità e vaghezza è l'ammirazion d'ognuno.
Ornata mirabilmente al di dentro, e decorata al di fuori d'una nobil
facciata la chiesa di Santa Maria Maggiore, colla giunta ancora
delle fabbriche adiacenti, e beneficata di molto la chiesa di Santo
Apollinare. Ristaurate ed abbellite le chiese di San Martino in Monte e
di Santa Maria degli Angeli; e rinnovato il triclinio di papa Leone III
nella basilica Lateranense. Ha egli in oltre fabbricato un nicchio col
musaico a canto della scala santa; rinnovato il musaico della basilica
di San Paolo; scoperto il già sotterrato insigne obelisco di campo
Marzo. Sonosi stesi i suoi benefizii anche alla camera apostolica,
estenuata in addietro per varie cagioni, con procacciarle ogni
risparmio e vantaggio, e sopra tutto coll'assegnare alla medesima il
capitale de' vacabili che vengono a vacare: il che aveano dimenticato
di fare tanti suoi antecessori. Vedesi parimente dal nobilissimo
suo genio maggiormente arricchita la galleria delle antichità nel
Campidoglio, ed erettane un'altra egualmente magnifica di pitture e
medaglie; per tacer altri monumenti dell'imcomparabil sua munificenza
verso a Roma, ed anche verso la metropolitana e l'istituto delle
scienze di Bologna patria sua. Roma ne' secoli barbarici, e molto più
durante la dimora de' papi in Avignone, era incredibilmente decaduta
dall'antico suo splendore. Ha circa tre secoli ch'essa va sempre più
ricuperando la sua maestà e bellezza; ma sì fattamente in questo ultimo
mezzo secolo sono in essa cresciuti gli ornamenti, che giustamente
tuttavia le è dovuto il pregio e titolo di regina delle città. E però a
sì glorioso ed amorevol principe, nato solamente per l'altrui bene, chi
non augurerà di cuore vita lunghissima ed ogni maggiore prosperità?

Grande obbligo hanno o al men debbono professare a Dio i regni di
Napoli e Sicilia, perchè loro abbia conceduto nella persona del re don
Carlo, germoglio della real casa di Francia, dominante in Ispagna, un
regnante di somma clemenza, e regnante proprio. Gran regalo in fatti
della divina provvidenza è per essi dopo tanti anni di divorzio il
poter godere della presenza di un reale sovrano, della sua magnifica
corte, e della retta amministrazion della giustizia, senza doverla
cercare oltra monti. Gran consolazione in oltre è il vedere, come
questo monarca col suo consiglio si studii di aumentar le manifatture,
la navigazione, il traffico e la sicurezza de' sudditi suoi. A lui
è anche tenuta la repubblica delle lettere, pel suo desiderio che
maggiormente fioriscano l'arti e le scienze, e per la mirabile scoperta
della città d'Ercolano, tutta ne' vecchi tempi profondamente seppellita
sotterra dai tremuoti e dalle bituminose fiumane del Vesuvio. In
quel luogo noi abbiam pure un insigne teatro dell'antica erudizione.
Finalmente la placidezza del suo governo, la nobil figliolanza a lui
donata dal cielo, e il valore dalla maestà sua mostrato nella difesa
di Velletri e de' regni suoi, son pregi che concorrono a compiere la
gloria di questo monarca e la felicità de' popoli suoi.

Appartiene all'augustissimo imperadore Francesco I il gran ducato
della Toscana, cioè ad un clementissimo e piissimo sovrano. Non può già
essere che quella contrada, per tanti anni retta da savissimi principi
della immortal casa de' Medici, non risenta oggidì qualche convulsione
per la lontananza del principe suo. Contuttociò hanno quei popoli
di che ringraziar Dio, perchè i riguardi dovuti a così gran monarca
gli abbiano preservati da ogni disastro nell'ultima sì perniciosa e
dilatata guerra; e perchè la rettitudine del governo e della giustizia
presente non lasci loro da augurarsi quella de' tempi passati; e perchè
la vigilanza e attività del conte Emmanuele di Richecourt nulla ommette
per sostenere, anzi aumentare l'industria e il commercio della Toscana,
onde per questa via si risarcisca e compensi ciò che si perde pel
mantenimento della corte lontana: pare che la Toscana non abbia molto a
dolersi della presente sua situazione.

Quanto agli Stati della serenissima repubblica di Venezia, le
contingenze dell'ultima lunga guerra non son giunte a turbare il
riposo di quegli abitanti; e quantunque per precauzione prudente e
buona custodia delle sue città e fortezze abbia quel senato in tal
congiuntura fatto buon armamento, pure nulla per questo ha accresciuto
i pubblici aggravii; anzi delle altrui calamità non poco han profittato
gli Stati suoi di Lombardia. Del resto così ben concertate son le
maniere di quel governo, così acconcie le sue antiche leggi, acciocchè
regni in ogni popolazione la tranquillità, la giustizia e il traffico,
che ognuno da gran tempo riconosce per buona madre una repubblica di
tanta saviezza.

Altrettanto a proporzione è da dire della repubblica di Lucca. Ha
cooperato la situazione sua, ma anche l'inveterata prudenza di que'
magistrati, e l'osservanza delle ben pesate lor leggi, a mantenere
il paese immune dalle calamità che in questi ultimi tempi sopra
tanti altri popoli largamente son piovute. Più de' vasti dominii può
essere felice un picciolo, qualora la libertà, la concordia, l'esatta
giustizia, il buon comparto e la discretezza de' tributi, fa che ognuno
possa essere contento nel grado suo.

Ma per conto di gran parte della Lombardia, paese bensì felice, ma
destinato da tanti secoli a provare che pesante flagello sia quel della
guerra, certo è che per la conchiusa pace comincerà essa a respirare,
ma con restar tuttavia languente il corpo suo per lo sconvolgimento
e per le piaghe degli anni addietro. Il serenissimo signor duca di
Modena Francesco III per più anni ha veduto in mano altrui gli Stati
suoi; l'ha sempre accompagnato il coraggio nelle fatiche militari e ne'
disastri. Ha confessato la maggior parte degli uffiziali gallispani,
essere sempre stato giusto il pensare e consigliare di questo principe,
durante la guerra, talmente che se si fosse fatto più conto del parere
del duca di Modena, le cose avrebbero avuto un esito molto migliore.
Finalmente ha egli con tutto suo onore superata la pericolosa tempesta,
e ha dato a' suoi fedelissimi sudditi la contentezza di ripigliar le
redini del suo governo. Ora se si rivolgerà la paterna sua cura, come
è da sperare dalle saggie e rettissime massime sue, e dall'ottimo suo
cuore, alle maniere più proprie per sollevare i suoi popoli da tanti
debiti contratti e da molti aggravii, non già imposti dalla sempre
amorevole serenissima casa d'Este, ma dal malefico influsso delle
guerre passate; ritornerà a fiorire la allegrezza nel dominio suo, e
sarà benedetta quella benefica mano che avrà fatto dimenticare tante
sciagure in addietro sofferte.

Forze maggiori son da dir quelle che in questi ultimi tempi han
provati gli stati di Parma e Piacenza, perchè ivi non poco ha danzato
il furore delle nemiche armate. Tuttavia da che la pace ha ridonato
a que' popoli un principe proprio nella persona del real infante don
Filippo fratello de' potentissimi re di Spagna e di Napoli, ben si dee
sperare che, ritornando colà il sangue della serenissima casa Farnese,
vi ritornerà ancora quella felicità che godevasi quivi sotto gli ultimi
prudenti duchi. Non si può stimare abbastanza il privilegio di aver
principe proprio e presente che faccia circolare il sangue de' sudditi,
e risparmii loro la pena di cercar lungi la giustizia, ed altri
provvedimenti necessarii ad uno Stato.

Per sua legittima signora riconosce il ducato di Milano, oggidì
congiunto con quello di Mantova, l'augustissima imperatrice regina
Maria Teresa d'Austria. Delle comuni disavventure e di un nuovo
smembramento ha esso partecipato nell'ultima guerra. Qual sia per
essere il riposo e sollievo suo nei venturi tempi di pace non si
può peranche comprendere, stante la risoluzion presa dall'imperiale
e real maestà sua di non provar più il rammarico di aver creduto di
avere, e di avere effettivamente pagato un poderoso esercito per sua
difesa in Italia, con averne poi trovata solamente appena la metà al
bisogno. Manifesta cosa è, tanta essere la pietà e l'amore del giusto
in questa generosa regnante, che in sì bel pregio niun altro principe
può vantarsi di andarle innanzi. Nè già mancavano nel consiglio suo
ministri di somma avvedutezza e di ottima morale, per gli avvisi dei
quali si son talvolta veduti fermati in aria i fulmini del suo sdegno,
e ritrattate le risoluzioni, le quali sarebbero tornate in discredito
e disonore della sovrana, che pur tanto è inclinata alla clemenza, nè
altro desidera che il giusto. Ragionevole motivo perciò hanno in Italia
i popoli suoi di sperare che ai tempestosi passati giorni succederà un
bel sereno.

Quanta parte d'Italia sia sottoposta alla real casa di Savoia, ognun lo
sa, ma non tutti sanno quanto abbiano sofferto di guai i suoi Stati di
qua da Po, e che intollerabili miserie si sieno rovesciate sopra quei
della Savoia e di Nizza. Nulladimeno così ben regolato è il governo
di quella real corte, così rette le massime del savio e benignissimo
principe Carlo Emmanuele III re di Sardegna e duca di Savoia, tanto
l'amore verso i sudditi suoi, ch'essi non tarderanno ad asciugar le
lagrime; giacchè non ha egli men cura del proprio che del pubblico
bene.

Resta la serenissima repubblica di Genova, che nelle prossime passate
rivoluzioni si è trovata sbattuta più d'ognuno dai più feroci venti,
con pericolo di far naufragio anche di tutto. Gravissime, non può
negarsi, sono state le perdite sue, deplorabili le sue sciagure; ma
da che a lei è riuscito di salvar la gioia più cara c preziosa della
libertà, e dappoichè nulla s'è scemato de' legittimi suoi dominii:
molto ha di che consolarsi ora e per l'avvenire. E tanto più, perchè il
senno de' suoi magistrati, l'attività, il commercio degl'industriosi
cittadini potranno fra qualche tempo avere risarciti i patiti
danni, restando intanto per tutta l'Europa immortale la gloria della
lor costanza e valore in tante altre congiunture, ma spezialmente
nell'ultima, da essi mostrato.

Per memoria de' posteri non vo' lasciar di aggiugnere, che niuno
dovrebbe mai desiderar di godere, o rallegrarsi di aver goduto un
verno placido, e senza nevi e ghiacci, ne' paesi, dove regolarmente
si pruova questa disgustosa, ma forse utile pensione. Non potea essere
più placido in Lombardia ed in altri paesi il verno dell'anno presente,
perchè privo di nevi e ghiacci, talmente che non se ne potè ammassare
nelle conserve per refrigerio ed uso della vegnente state. Ma che? Sul
fine di marzo venne più d'uno scoppio di neve, che quantunque da lì a
poco si squagliasse, pure ci rubò i primi frutti, danneggiò gli orli
e la foglia dei gelsi, e poco propizia fu ai grani, che già s'erano
mossi. Poco è questo. Nel dì 25 d'aprile per tre giorni nevicò in
Milano, e succederono brine che fecero perdere tutti i frutti. Sul
principio poi di giugno eccoti fuor del solito fioccar folta neve
ne' gioghi dell'Appennino, che si rinforzò e sostenne gran tempo, con
produrre un pungente freddo, dirottissime pioggie ogni dì, e temporali
e gragnuole orribili: onde si videro gonfii e minacciosi tutti i fiumi,
e ne seguirono anche gravi inondazioni, e fiere burrasche in mare.
Nè caldo nè gelo vuol restare in cielo: è proverbio dei contadini
toscani. Spezialmente orribile e dannoso fu il turbine succeduto nella
notte del dì 11 di giugno in una striscia dell'alma città di Roma, e
particolarmente fuori di essa, di cui si è veduta relazione in istampa.



CONCLUSIONE


Qui mia intenzione era di deporre la penna; e l'avrei fatto, se i
consigli di più d'uno non m'avessero spinto a mostrarmi inteso di
quanto ha scritto un moderno giornalista anonimo contra di questi
Annali, cioè contro di me, con una censura, la quale può dubitarsi
che convenga ad onesto scrittore. Certamente tanti e tanti, che han
letto le adirate sue parole senza leggere essi Annali, abbisognano di
qualche lume, per non essere condotti ad un sinistro giudizio da sì
appassionato scrittore. Mi vuol egli dunque processare quasi per troppo
parziale degli antichi imperadori. Ma sappia ch'io non ho mai pensato
a farmi punto di merito nè cogli antichi nè co' moderni Augusti. Il
solo amore della verità, o di quanto io credo verità, quello è che
guida la mia penna; e la verità non può chiamarsi guelfa o ghibellina.
Ho io trovato in troppe storie che, negli antichi secoli non si potea
consecrare l'eletto papa senza il consenso degli imperadori. Avrebbe
desiderato il censore, che io non avessi toccato questa particolarità,
o pur l'avessi chiamata iniquità ed usurpazione. Ho io dato nome
d'_uso_ od _abuso_ a quel rito durato per più secoli, nè a me tocca
dirne di più. Lo stesso san Gregorio il Grande se ne servì per
sottrarsi al pontificato; tanti altri sommi pontefici furono lontani
dal disapprovarlo; e in un concilio, tenuto da uno degli stessi papi,
quest'uso fu appellato _rito canonico_. Doveva il giornalista osservare
che io lodai la libertà da più secoli in qua goduta per la elezione e
consecrazion de' papi, e conoscere ch'io non ho men di lui zelo per la
libertà e per l'onore del pontificato; ma aver egli ben poca grazia in
volere che io assolutamente condanni quello che i papi stessi una volta
non disapprovavano.

Scaldasi poi forte esso anonimo, perchè io dopo il Pagi ed altri
scrittori abbia mostrato che gl'imperadori Carolini e i lor successori
per lungo tempo conservarono l'alto dominio sopra Roma ed altri Stati
della Chiesa Romana, non volendo essere da meno de' precedenti greci
imperadori; che il prefetto posto in Roma da essi Augusti vi durò
sino a' tempi di papa Innocenzo III; che la Romagna, benchè
donata da Pippino alla Chiesa suddetta, e da lei signoreggiata per
molto tempo, fu poi posseduta dai re d'Italia ed imperadori sino a
papa Nicolò III che la ricuperò. Al censore suddetto ben conviene il
provare, se può, che non sussistano sì fatte opinioni. Ma se io non
ho tali cose asserito di mio capriccio, anzi ho prodotto le pruove
di tutto, prese dalla storia e dalle memorie de' vecchi tempi, come
mai pretendere ch'io asconda que' fatti, o chiami usurpazione quello
che tanti papi lasciarono godere agl'imperadori? Ma si va replicando
ch'essi Augusti confermavano di mano in mano la Romagna ai papi. Tutto
sia; e pure non ne restituivano il dominio e possesso; ed Arrigo il
santo imperadore, che tanto operò in favor della Chiesa Romana, non
fece meno dei suoi antecessori. Così nel diploma di Lodovico Pio e
d'altri Augusti noi troviamo donato ad essa Chiesa il ducato di Spoleti
(per tacer altri paesi), e, ciò non ostante, miriamo essi Augusti
tuttavia sovrani e possessori di quegli Stati. Come mai questo? Se
il giornalista si fa lecito di pronunziar sentenza contra di tanti
imperadori, io per me non oso d'imitare l'arditezza sua.

Quel ch'è più strano, si lascia egli scappar dalla penna _che questi
Annali sono uno dei libri più fatali al principato romano_. A questo
epifonema si risponde, che se mai per disavventura si trovasse un
imperadore cotanto perverso che volesse turbare il principato romano,
così giusto, così antico, e confermato dal sigillo di tanti secoli e
dal consenso di tanti Augusti; egli non avrà bisogno di questi Annali,
nè d'altri libri, per far del male. A lui basteranno i consigli
delle sue empie e disordinate passioni. Ma di simili Augusti è da
sperare che niuno mai ne verrà. Chiunque fra' regnanti cristiani sa
cosa sia giustizia, sa eziandio che i dominii e diritti stabiliti da
lunga serie di tempi, e massimamente di più secoli e da una tacita
rinunzia d'ogni pretensione, sono, per così dire, consecrati dalle
leggi del cristianesimo e della prescrizione. Altrimenti tutto sarebbe
confusione, e niuno mai si troverebbe sicuro nelle sue signorie, per
antiche o antichissime che fossero. Mi si perdoni, non abbonda di
giudizio chi arriva a spacciare per _fatali al principato de' papi_
le memorie degli antichi secoli: quasichè, secondo lui, possano aver
credito e valore titoli rancidi, anzi affatto estinti, e schiacciati
sotto il peso d'una sterminata lunghezza di tempo. Ma potrebbero
servir di pretesto ai cattivi. Già si è risposto a questa chiamata. Nè
solamente questo nuovo politico è dietro a nuocere con sentenze tali
al principato romano, ma anche al dominio di tanti altri principi,
pochi essendo quelli che non possano trovar nelle storie de' vecchi
secoli qualche atto o diritto _fatale al suo principato_, per usare
la frase di lui. Ma qual principe saggio, possessore immemorabile
di una ben fondata signoria, si formalizza, o si dee mettere paura,
perchè la storia dei precedenti secoli non s'accordi col suo presente
sistema? La conclusione si è, che il giornalista tacitamente vorrebbe
che si adulterasse o si bruciasse parte della storia, per
levare dagli occhi nostri ogni spauracchio, da lui creduto _fatale al
principato pontifizio_, ma con lasciare intatte le antiquate ragioni
della Chiesa Romana sull'Alpi Cozie, sulla Corsica e Sardegna, su
Mantova ed altri paesi. Secondo lui, allora sarà da lodar la storia che
riferirà tutto quanto è favorevole a Roma, e tacerà tutto quello che
ha ombra di suo pregiudizio. Potrà egli formare una storia tale, ma non
già io.

Seguita un altro processo a me fatto da questo censore. Non ho
io defraudato delle convenevoli lodi (non può egli negarlo) tanti
romani pontefici o santi o buoni, che sono la maggior parte; ma non
ho lasciato di toccare i difetti di pochi altri, spezialmente degli
Avignonesi, disdicevoli, a mio credere, in chi secondo l'intenzione
di Dio dovrebbe essere quanto sublime nel grado, altrettanto eminente
esemplare d'ogni virtù. Se l'ha a male il giornalista, nè può
sofferire, che uno storico ardisca di giudicar delle azioni e del
merito de' gran personaggi; ed è sì accorto, che non bada altrove a
produrre un passo, tutto contrario a queste sue belle pretensioni,
cioè l'autorità del reverendissimo e celebre padre Orsi dell'ordine
de' predicatori, segretario della congregazione dell'Indice, e autore
d'una nobile Storia ecclesiastica, con dire: _Quanto a' giudizii, che
non vuole il signor Fleury che sieno interposti dallo storico sopra le
persone e sopra le loro azioni, oppone il padre Orsi il sentimento di
Dionisio Alicarnasseo, che nella lettera a Pompeo Magno toglie al cielo
con grandissime lodi Teopompo, per aver più liberamente, che tutti
gli altri storici, giudicato degli uomini e delle azioni, delle quali
scrisse la storia_. Ma forse questo giornalista ha inteso di dire a me,
e a chicchessia: Dite quanto mal volete degl'imperadori, re e principi;
ma, per conto de' papi, rispettate ogni lor costume ed azione, e
non osate di parlarne se non in bene. Torno a dire, ch'egli formi
una storia tale, perchè niuno gliel contrasta. Ma chiunque sa che il
principal credito della storia è la verità, e il giudicar, come poco fa
dicemmo, delle operazioni degli uomini, per ispirar nei lettori l'amore
della giustizia e del retto operare, e l'abborrimento a ciò che sa di
vizio: crederà ben meglio fatto e giusto ed utile alla repubblica, che
si dia il suo vero nome a quello ancora che difettoso apparisce ne'
costumi e nelle azioni de' pastori della Chiesa di Dio. La storia ha da
essere una scuola per chi dee loro succedere, a fin d'imparare nelle
lodi de' buoni, e nella disapprovazion de' cattivi, quello ch'essi
han da fare o non fare. E forse che le divine Scritture dell'uno e
dell'altro Testamento non ci han lasciato un chiaro esempio di questo?
Anche ivi noi troviam riprovato ciò che meritava biasimo ne' sacri
ministri; e la stessa libertà comparisce negli Annali dell'immortale
cardinal Baronio, e in altri insigni storici, che sapevano il lor
mestiere, e tenevano per irrefragibile il sentimento di Tacito:
_Praecipuum munus Annalium, ne virtutes sileantur, utque pravis dictis
factisque ex posteritate et infamia metus sit_.

Vegga dunque l'anonimo censore che, in vece di ben servire alla santa
Romana Chiesa, non la discrediti col soverchio suo zelo. Che appunto
in vergogna d'essa ritornerebbe l'esigere che si avesse a nascondere
ed opprimere la verità in parlando de' papi; e il pretendere ch'essi
sieno sempre stati esenti dalle umane passioni; non si sieno mai
abusati della loro autorità; non abbiano mai fatto guerre poco giuste;
non fulminate scomuniche e interdetti senza buone ragioni. Noi possiam
bene ascondere queste macchie a' nemici del cattolicismo: ma non le
sanno forse, o non le sapranno eglino senza di noi? Fresche ne abbiamo
anche le pruove. Meglio è pertanto che onoratamente le riferiamo ancor
noi quali sono, per far loro conoscere che nè pur noi le approviamo:
giacchè negar non possono gli stessi protestanti, che non sono vizii
e difetti della religione e del pontificato gli eccessi e mancamenti
particolari de' sacri pastori. Il divino nostro legislatore ha
ben promessa e manterrà l'infallibilità, la verità de' dogmi e la
sussistenza eterna della Chiesa cattolica, ed ha conceduto privilegii
singolari alla sedia di san Pietro pel mantenimento della fede e
della gerarchia; ma non si è già impegnato ad esentare i suoi vicarii
delle umane infermità; e però non abbiam da maravigliarci, se talora
la storia ce ne fa veder taluno meritevole di biasimo, perchè per
essere papa non si lascia d'essere uomo, e i papi anch'essi umilmente
si accusano delle lor colpe al sacro altare; Per altro, essendo la
cristianità da circa due secoli in qua avvezza a mirar la vita e il
governo esemplare di tanti sommi pontefici, e massimamente degli ultimi
tempi e del regnante _Benedetto XIV_, glorioso pel complesso di tutte
le virtù; niuna savia persona si formalizza, per trovar ne' vecchi
secoli sulla cattedra di San Pietro chi fu di tempra ben differente.
Anzi ringrazia Dio d'essere nato in tempi sì ben regolati per la Chiesa
sua santa, mentre i disordini passati fanno maggiormente risaltare il
buon ordine presente. Poste poi tali premesse, io mi credo disobbligato
dall'entrare in un minuto esame di quanto il giornalista si è studiato
di opporre alla discreta libertà di questi Annali, coerente alle leggi,
colle quali s'ha da reggere la storia, acciocchè sia utile al pubblico.

Ma non si può già lasciar passare, essersi egli lasciato trasportare
dalla eccessiva passione sua tant'oltre, che laddove pretende non
dover io trovar cosa biasimevole in veruno de' papi, poscia, in vece
di sapermene grado, bizzarramente meco s'adira, perchè difendo la fama
d'alcuni d'essi, vivuti nel secolo decimo, dalla troppo acre censura
del cardinal Baronio, volendo che si stia alle asserzioni di lui, e
non già alle fondate ragioni mie in lor favore. Similmente mi vuol
reo, perchè ho toccato i mali effetti del _nepotismo_ de' papi; nè gli
passa per mente, che il santo pontefice Innocenzo XII colla sua celebre
bolla più e meglio di me ha parlato contra di tale abuso; e che il
celebre cardinale Sfondrati con libro apposta ne fece comparire tutta
la deformità. Oltre a ciò, non vorrebbe ch'io, dopo aver
lodata la piena libertà del sacro collegio, ricuperata già tanti secoli
sono, in eleggere e consecrare i papi, avessi desiderato che cessino
le lunghezze de' conclavi, e le private passioni de' sacri elettori
in affare di tanta importanza per la Chiesa di Dio. Nè si ricorda
che l'eminentissimo cardinale Annibale Albani in tale occasione fece
ristampare e spargere per Roma la famosa lettera CLXXX dell'Ammanati
cardinale di Pavia al cardinale di Siena, dove le irregolarità
occorrenti ne' conclavi sono pienamente riprovate.

E che diremo noi delle idee di questo giornalista, allorchè pretende
aver la contessa Matilda donato alla Chiesa Romana Mantova, Parma,
Reggio e Modena? Io nol posso assicurare che non ridano gl'intendenti
delle leggi, all'udir sì fatte pretensioni. Davansi allora le città
del regno d'Italia in governo e feudo. Come poterne disporre senza
la permissione del sovrano? A questo confronto avrebbe anche potuto
Matilda donare il ducato di Toscana, di cui era duchessa. E se ella
avesse donata Ferrara, dove signoreggiò, ad alcuno, pare egli a questo
valentuomo che legittima fosse stata una tal donazione? Bisogna poi
ch'egli non abbia occhi, allorchè scrive ch'io chiamo gli Estensi duchi
della stessa Ferrara fin dall'anno 1097. Lascerò ancora che altri
dica qual nome si convenga a lui colà, dove in dispregio d'illustri
principi osa trattare da spurio don Alfonso d'Este, figlio di Alfonso
I duca di Ferrara, e padre del duca Cesare: cosa non mai sognata, non
che pretesa, dai camerali romani, per essere una evidente menzogna e
calunnia. Questo è un impiegare l'ingegno e il tempo non già in difesa,
ma in obbrobrio della sacra corte di Roma, la quale per altro non potrà
mai approvare chi con disordinate pretensioni, e fin colla calunnia,
prende a combattere per lei.

Che se non per anche fosse questo animoso censore persuaso de' giusti
diritti di chi scrive istorie, io il prego di ascoltare un giudice più
autorevole di me in questa parte; cioè il celebre padre Mabillone,
grande ornamento dell'ordine benedettino. Secondo il solito fu
anch'egli costretto a udire i lamenti e rimbrotti di alcuni a cagion
della veracità da lui parimente praticata nel compilare l'insigne
opera degli Annali Benedettini. Si vide egli obbligato per questo
ad una breve apologia, un pezzo di cui vien riferito dall'autore
della di lui Vita, stampata fra' suoi Analetti. Eccone le parole: _Ut
aequitatis amor prima judicis dos est, sic et rerum anteactarum sincera
et accurata investigatio historici munus esse debet. Judex persona
publica est, ad suum cuique tribuendum constituta. Ejus judicio stant
omnes in rebus, de quibus fert sententiam. Maximi proinde criminis
reum se facit, si pro virili sua parte jus suum unicuique non reddat.
Idem historici munus est, qui et ipse persona publica est, cujus fidei
committitur examen rerum ab antiquis gestarum. Quum enim omnibus non
liceat eas per se investigare; sententiam ejus sequuntur plerique,
quos proinde fallit, nisi aequam ferre conetur. Nec satis est
tamen verum amet et investiget, nisi is insit animi candor, quo ingenue
et aperte dicat, quod verum esse novit. Mentiri si christianis omnibus,
a fortiori religiosam vitam professis nulla unquam ratione licet; longe
minus, quum mendacium exitiate et perniciosum multis evadit. Fieri
vero non potest, quia historici mendacia vertant in perniciem multorum,
qui verbis ejus fidem adhidendo decipiuntur, dum errorem pro veritate
amplectuntur. Non levis proinde ejus culpa est, quae tot alias secum
trahit. Debet ergo, si candidus sit, procut studio partium certa ut
certa, falsa ut falsa, dubia ut dubia tradere, neque dissimulare, quae
utrique parti favere aut adversari possint_. Questi, e non l'anonimo
giornalista, sono stati a me, e saranno anche ad altri, i veri maestri
per tessere una storia, che non paia indegna della pubblica luce.



TAVOLE CRONOLOGICHE

E INDICE DELLE MATERIE



TAVOLA CRONOLOGICA DEI CONSOLI ORDINARII

DE' QUALI SI FA MENZIONE IN QUESTI ANNALI.


  An. di
  Cristo

    1 Caio Giulio Cesare, figliuolo d'Agrippa — Lucio
        Emilio Paolo.
    2 P. Vincio — P. Alfenio Varo.
    3 Lucio Elio Lamia — M. Servilio.
    4 Sesto Elio Cato — Caio Senzio Saturnino.
    5 Gneo Cornelio Cinna Magno — Lucio Valerio
        Messalla Voluso.
    6 Marco Emilio Lepido — Lucio Arrunzio.
    7 Aulo Licinio Nerva Siliano — Quinto Cecilio
        Metello Cretico Silano.
    8 Marco Furio Camillo — Sesto Nonio Quintiliano.
    9 Caio Pompeo Sabino — Quinto Sulpicio Camerino.
   10 Publio Cornelio Dolabella — Caio Giunio
        Silano.
   11 Manio Emilio Lepido — Tito Statilio Tauro.
   12 Germanico Cesare — Caio Fonteio Capitone.
   13 Caio Silio — Lucio Munazio Planco.
   14 Sesto Pompeo — Sesto Appuleo.
   15 Druso Cesare figliuolo di Tiberio — Caio
        Norbano Flacco.
   16 Tito Statilio Sisenna Tauro — Lucio Scribonio
        Libone.
   17 Caio Cecilio Rufo — Lucio Pomponio Flacco
        Grecino.
   18 Claudio Tiberio Nerone imperadore per la
        terza volta — Germanico Cesare per la
        seconda.
   19 Marco Giunio Silano — Lucio Norbano Balbo.
   20 Marco Valerio Messalla — Marco Aurelio
        Cotta.
   21 Claudio Tiberio Nerone Augusto per la quarta
        volta — Druso Cesare, suo figliuolo, per la
        seconda.
   22 Quinto Haterio Agrippa — Caio Sulpicio
        Galba.
   23 Caio Asinio Pollione — Lucio Antistio Vetere,
        o sia Vecchio.
   24 Servio Cornelio Cetego — Lucio Visellio
        Varrone.
   25 Marco Asinio Agrippa — Cosso Cornelio
        Lentolo.
   26 Caio Calvisio Sabino — Gneo Cornelio Lentolo
        Getulio.
   27 Marco Licinio Crasso — Lucio Calpurnio
        Pisone.
   28 Appio Giunio Silano — Silio Nerva.
   29 Lucio Rubellin Gemino — Caio Rufio Gemino.
   30 Lucio Cassio Longino — Marco Vicinio.
   31 Tiberio Augusto per la quinta volta — Lucio
        Elio Seiano.
   32 Gneo Domizio Enobarbo — Marco Furio
        Camillo Scriboniano.
   33 Lucio Sulpicio Galba — Lucio Cornelio
        Sulla Felice.
   34 Paolo Fabio Persico — Lucio Vitellio.
   35 Caio Cestio Gallo — Marco Servilio Moniano.
   36 Sesto Papinio Allenio — Quinto Plauzio.
   37 Gneo Acerronio Procolo — Caio Petronio
        Ponzio Negrino.
   38 Marco Aquilio Giuliano — Publio Nonio Asprenate.
   39 Caio Cesare Caligola Augusto per la seconda
        volta — Lucio Apronio Cesiano.
   40 Caio Cesare Caligola Augusto per la terza
        volta; solo, perchè morì il collega console
        disegnato nell'ultimo dì del precedente
        anno.
   41 Caio Cesare Caligola Augusto per la quarta
        volta — Gneo Senzio Saturnino.
   42 Tiberio Claudio Germanico Augusto per la
        seconda volta — Caio Cecina Largo.
   43 Tiberio Claudio Augusto per la terza volta — Lucio
        Vitellio per la seconda.
   44 Lucio Quinzio Crispino per la seconda volta — Marco
        Statilio Tauro.
   45 Marco Vinicio per la seconda volta — Tauro
        Statilio Corvino.
   46 Publio Valerio Asiatico per la seconda volta — Marco
        Giunio Silano.
   47 Tiberio Claudio Augusto Germanico per la
        seconda volta — Lucio Vitellio per la terza.
   48 Aulo Vitellio — Quinto Vipsanio Publicola.
   49 Aulo Pompeo Longino Gallo — Quinto Veranio.
   50 Caio Antistio Vetere, o sia Vecchio — Marco
        Suillio Nervilino.
   51 Tiberio Claudio Augusto per la quinta volta — Servio
        Cornelio Orfito.
   52 Publio Cornelio Sulla Fausto — Lucio Salvio
        Ottone Tiziano.
   53 Decimo Giunio Silano — Quinto Haterio
        Antonino.
   54 Marco Asinio Marcello — Manio Acilio Aviola.
   55 Nerone Claudio Augusto — Lucio Antistio
        Vetere, o sia Vecchio.
   56 Quinto Volusio Saturnino — Publio Cornelio
        Scipione.
   57 Nerone Claudio Augusto per la seconda volta — Lucio
        Calpurnio Pisone.
   58 Nerone Claudio Augusto per la terza volta — Valerio
        Messalla.
   59 Lucio Vipstano Aproniano — Lucio Fonteio
        Capitone.
   60 Nerone Claudio Augusto per la quarta volta — Cosso
        Cornelio Lentulo.
   61 Caio Cesonio Peto — Caio Petronio Turpiliano.
   62 Publio Mario Celso — Lucio Asinio Gallo.
   63 Caio Memmio Regolo — Lucio Virginio, o
        sia Virginio Rufo.
   64 Caio Lecanio Basso — Marco Licinio Crasso.
   65 Aulo Licinio Nerva Siliano — Marco Vestinio
        Attico.
   66 Caio Lucio Telesino — Caio Suetonio Paolino.
   67 Lucio Fonteio Capitone — Caio Giulio Rufo.
   68 Caio Silio Italico — Marco Galerio Tracalo.
   69 Servio Sulpicio Galba imperadore per la seconda
        volta — Tito Vinio Ruffino.
   70 Flavio Vespasiano Augusto per la seconda
        volta — Tito Flavio Cesare suo figliuolo.
   71 Flavio Vespasiano Augusto per la terza volta — Marco
        Cocceio Nerva.
   72 Flavio Vespasiano Augusto per la quarta volta — Tito
        Flavio Cesare per la seconda.
   73 Flavio Domiziano Cesare per la seconda volta — Marco
        Valerio Messalino.
   74 Flavio Vespasiano Augusto per la quinta volta — Tito
        Flavio Cesare per la terza.
   75 Flavio Vespasiano Augusto per la sesta volta — Tito
        Flavio Cesare per la quarta.
   76 Flavio Vespasiano Augusto per la settima volta — Tito
        Flavio Cesare per la quinta.
   77 Flavio Vespasiano Augusto per l'ottava volta — Tito
        Flavio Cesare per la sesta.
   78 Lucio Ceionio Commodo — Decimo Novio
        Prisco.
   79 Flavio Vespasiano Augusto per la nona volta — Tito
        Flavio Cesare per la settima.
   80 Tito Flavio Augusto per l'ottava volta — Domiziano
        Cesare per la settima.
   81 Lucio Flavio Silva Nonio Basso — Asinio Pollione
        Verrucoso.
   82 Flavio Domiziano Augusto per l'ottava volta — Tito
        Flavio Sabino.
   83 Flavio Domiziano Augusto per la nona volta — Quinto
        Petilio Rufo per la seconda.
   84 Flavio Domiziano Augusto per la decima volta — Sabino.
   85 Flavio Domiziano Augusto per l'undecima
        volta — Tito Aurelio Fulvo o Fulvio.
   86 Flavio Domiziano Augusto per la dodicesima
        volta — Servio Cornelio Dolabella Metiliano
        Pompeo Marcello.
   87 Flavio Domiziano Augusto per la tredicesima
        volta — Aulo Volusio Saturnino.
   88 Flavio Domiziano Augusto per la quattordicesima
        volta — Lucio Minucio Rufo.
   89 Tito Aurelio Fulvo per la seconda volta — Aulo
        Sempronio Atratino.
   90 Flavio Domiziano Augusto per la quindicesima
        volta — Marco Cocceio Nerva per
        la seconda.
   91 Marco Ulpio Traiano — Marco Acinio Glabrione.
   92 Flavio Domiziano Augusto per la sedicesima
        volta — Quinto Volusio Saturnino.
   93 Pompeo Collega — Cornelio Prisco.
   94 Lucio Nonio Torquato Asprenate — Tito Sestio
        Magio Laterano.
   95 Flavio Domiziano Augusto per la diecisettesima
        volta — Tito Flavio Clemente.
   96 Caio Antistio Vetere — Caio Manlio Valente.
   97 Marco Cocceio Nerva Augusto per la terza
        volta — Lucio Virginio Rufo per la
        terza.
   98 Marco Cocceio Nerva Augusto per la quarta
        volta — Marco Ulpio Traiano per la seconda.
   99 Aulo Cornelio Palma — Caio Sosio Senecione.
  100 Marco Ulpio Nerva Traiano Augusto per la
        terza volta — Marco Cornelio Frontone
        per la terza.
  101 Marco Ulpio Nerva Traiano Augusto per la
        quarta volta — Sesto Articolaio.
  102 Caio Sosio Senecione per la terza volta — Lucio
        Licinio Sura per la seconda.
  103 Marco Ulpio Nerva Traiano Augusto per la
        quinta volta — Lucio Appio Massimo per
        la seconda.
  104 Lucio Licinio Sura per la seconda volta — Publio
        Orazio Marcello.
  105 Tiberio Giulio Candido per la seconda volta — Aulo
        Giulio Quadrato per la seconda.
  106 Lucio Ceionio Commodo Vero — Lucio Tuzio
        Cereale.
  107 Lucio Licinio Sura per la terza volta — Caio
        Sosio Senecione per la quarta.
  108 Appio Annio Trebonio Gallo — Marco Atilio
        Metilio Bradua.
  109 Aulo Cornelio Palma per la seconda volta — Caio
        Calvisio Tullo per la seconda.
  110 Servio Salvidieno Orfilo — Marco Peduceo
        Priscinio.
  111 Caio Calpurnio Pisone — Marco Vezio Bolano.
  112 Marco Ulpio Nerva Traiano Augusto per la
        sesta volta — Tito Sestio Africano.
  113 Lucio Publicio Celso per la seconda volta — Lucio
        Clodio Priscino.
  114 Quinto Ninnio Hasta — Publio Manilio Vopisco.
  115 Lucio Vipstanio Messala — Marco Vergiliano
        Pedone.
  116 Lucio Elio Lamia — Eliano Vetere.
  117 Quinzio Negro — Caio Vipstanio Aproniano.
  118 Elio Adriano Augusto per la seconda volta — Tiberio
        Claudio Fosco Alessandro.
  119 Elio Adriano Augusto per la terza volta — Quinto
        Giamo Rustico.
  120 Lucio Catilio Severo — Tito Aurelio Fulvo.
  121 Lucio Annio Vero per la seconda volta — Aurelio
        Augurino.
  122 Manio Acilio Aviola — Caio Cornelio Pansa.
  123 Quinto Arrio Petino — Lucio Venuleio Aproniano.
  124 Manio Acilio Glabrione — Caio Bellicio Torquato.
  125 Publio Cornelio Scipione Asiatico per la seconda
        volta — Quinto Vezio Aquilino.
  126 Marco Annio Vero per la terza volta — Eggio
        Ambibulo.
  127 Tiziano — Gallicano.
  128 Lucio Nonio Asprenate Torquato per la seconda
        volta — Marco Annio Libone.
  129 Quinto Giulio Balbo — Publio Giuvenzio
        Celso per la seconda volta.
  130 Quinto Fabio Catullino — Marco Flavio
        Aspro.
  131 Servio Ottavio Lenate Ponziano — Marco
        Antonio Rufino.
  132 Senzio Augurino — Arrio Severiano per la seconda
        volta.
  133 Marco Antonio Ibero — Nummio Sisena.
  134 Caio Giulio Serviano per la terza volta — Caio
        Vibio Varo.
  135 Ponziano — Atiliano.
  136 Lucio Ceionio Commodo Vero — Sesto Vetuleno
        Civica Pompeiano.
  137 Lucio Elio Cesare per la seconda volta — Lucio
        Celio Baldino Vibulio Pio.
  138 Camerino — Negro.
  139 Tito Elio Adriano Antonino Pio Augusto per
        la seconda volta — Caio Bruzio Presente
        per la seconda.
  140 Tito Elio Adriano Antonino Pio Augusto per
        la terza volta — Marco Elio Aurelio Vero
        Cesare.
  141 Marco Peduceo Siloga, Priscino — Tito Hoenio
        Severo.
  142 Lucio Cuspio Rufino — Lucio Stazio Quadrato.
  143 Caio Bellicio Torquato — Tiberio Claudio
        Attico Erode.
  144 Publio Lolliano Avito — Massimo.
  145 Tito Elio Adriano Antonino Pio Augusto per
        la quarta volta — Marco Elio Aurelio Vero
        Cesare per la seconda.
  146 Sesto Erucio Claro per la seconda volta — Gneo
        Claudio Severo.
  147 Largo — Messalino.
  148 Lucio Torquato per la terza volta — Marco
        Salvio Giuliano.
  149 Servio Scipione Orfito — Quinto Nonio
        Prisco.
  150 Gallicano — Vetere.
  151 Sesto Quintilio Condiano — Sesto Quintilio
        Massimo.
  152 Marco Acilio Glabrione — Marco Valerio Omulo,
        o sia Omullo.
  153 Caio Bruzio Presente per la terza volta — Aulo
        Giunio Rufino.
  154 Lucio Elio Aurelio Commodo — Tito Sestio
        Laterano.
  155 Caio Giulio Severo — Marco Giunio Rufino
        Sabiniano.
  156 Marco Ceionio Silvano — Caio Serio Augurino.
  157 Barbaro — Regolo.
  158 Tertullo — Claudio Sacerdote.
  159 Plauzio Quintilio perla seconda volta — Stazio
        Prisco.
  160 Appio Annio Atilio Bradua — Tito Clodio
        Vibio Varo.
  161 Marco Aurelio Vero Cesare per la terza volta — Lucio
        Elio Aurelio Commodo per la
        seconda.
  162 Quinto Giunio Rustico — Caio Vezio Aquilino.
  163 Leliano — Pastore.
  164 Marco Pompeo Macrino — Publio Juvenzio
        Celso.
  165 Lucio Arrio Pudente — Marco Gavio Orfito.
  166 Quinto Servilio Pudente — Lucio Fufidio
        Pollione.
  167 Lucio Elio Aurelio Vero Augusto per la terza
        volta — Quadrato.
  168 Aproniano — Lucio Vezio Paolo.
  169 Quinto Sosio Prisco Senecione — Publio Celio
        Apollinare.
  170 Marco Cornelio Cetego — Caio Erucio Claro.
  171 Lucio Settimio Severo per la seconda volta — Lucio
        Aufidio Erenniano.
  172 Massimo — Orfito.
  173 Marco Aurelio Severo per la seconda volta — Tiberio
        Claudio Pompeiano.
  174 Gallo — Flacco.
  175 Calpurnio Pisone — Marco Salvio Giuliano.
  176 Tito Vitrasio Pollione per la seconda volta
        Marco Flavio Apro per la seconda.
  177 Lucio Aurelio Commodo Cesare o pure Augusto — Quintilio.
  178 Orfito — Rufo.
  179 Lucio Aurelio Commodo Augusto per la seconda
        volta. — Publio Marzio Vero.
  180 Caio Bruzio Presente per la seconda volta — Sesto
        Quintilio Condiano.
  181 Marco Aurelio Antonino Commodo Augusto
        per la terza volta — Ludio Antistio Burro.
  182 Pomponio Mamertino — Rufo.
  183 Marco Aurelio Antonino Commodo Augusto
        per la quarta volta — Caio Aufidio Vittorino
        per la seconda.
  184 Lucio Cossinio Eggio Marullo — Gneo Papirio
        Eliano.
  185 Marco Cornelio Negrino Curiazio Materno — Marco
        Attilio Bradua.
  186 Marco Aurelio Antonino Commodo Augusto
        per la quinta volta — Manio Acilio Glabrione
        per la seconda.
  187 Crispino — Eliano.
  188 Caio Allio Fusciano per la seconda volta — Duillio
        Silano per la seconda.
  189 Silano — Silano.
  190 Marco Aurelio Antonino Commodo Augusto
        per la sesta volta — Marco Petronio Settimiano.
  191 Cassio Aproniano — Bradua.
  192 Marco Aurelio Antonino Commodo Augusto
        per la settima volta — Publio Elvio Pertinace
        per la seconda.
  193 Quinto Sosio Falcone — Caio Giulio Erneio
        Claro.
  194 Lucio Settimio Severo Augusto per la seconda
        volta — Decimo Clodio Settimio Albino
        Cesare per la seconda.
  195 Scapola Tertullo — Tineio Clemente.
  196 Caio Domizio Destro per la seconda volta — Lucio
        Valerio Messala Trasia Prisco.
  197 Appio Claudio Laterano — Rufino.
  198 Saturnino — Gallo.
  199 Publio Cornelio Anulino per la seconda volta — Marco
        Aufidio Frontone.
  200 Tiberio Claudio Severo — Caio Aufidio Vittorino.
  201 Lucio Annio Fabiano — Marco Nonio Arrio
        Muciano.
  202 Lucio Settimio Severo Augusto per la terza
        volta — Marco Aurelio Antonino Caracalla
        Augusto.
  203 Lucio Fulvio Plauziano per la seconda volta — Publio
        Settimio Geta.
  204 Lucio Fabio Settimio Cilone per la seconda
        volta — Flavio Libone.
  205 Marco Aurelio Antonino Caracalla Augusto per
        la 2.ª volta — Publio Settimio Geta Cesare.
  206 Lucio Fulvio Rustico Emiliano — Marco
        Nummio Primo Senecione Albino.
  207 Apro — Massimo.
  208 Marco Aurelio Antonino Caracalla Augusto
        per la terza volta — Publio Settimio Geta
        Cesare per la seconda.
  209 Pompeiano — Avito.
  210 Manio Acilio Faustino — Triario Rufino.
  211 Genziano — Basso.
  212 Caio Giulio Aspro per la seconda volta — Caio Giulio Aspro.
  213 Marco Aurelio Antonino Caracalla Augusto
        per la quarta volta — Decimo Celio Balbino
        per la seconda.
  214 Messalla — Sabino.
  215 Leto per la seconda volta — Cereale.
  216 Cazio Sabino per la seconda volta — Cornelio
        Anulino.
  217 Caio Bruzio Presente — Tito Messio Extricato
        per la seconda volta.
  218 Marco Opellio Severo Macrino Augusto — Oclatino
        Advento.
  219 Marco Aurelio Antonino Elagabalo per la seconda
        volta — Sacerdote per la seconda.
  220 Marco Aurelio Antonino Elagabalo per la terza
        volta — Eutichiano Comazonte.
  221 Grato Sabiniano — Claudio Seleuco.
  222 Marco Aurelio Antonino Elagabalo per la
        quarta volta — Marco Aurelio Alessandro
        Severo.
  223 Lucio Mario Massimo per la seconda volta — Lucio
        Roscio Eliano.
  224 Giuliano per la seconda volta — Crispino.
  225 Fosco per la seconda volta — Destro.
  226 Marco Aurelio Severo Alessandro Augusto
        per la seconda volta — Lucio Aufidio Marcello
        per la seconda.
  227 Albino — Massimo.
  228 Modesto — Probo.
  229 Marco Aurelio Severo Aless. Aug. per la terza
        volta — Dione Cassio per la seconda.
  230 Lucio Virio Agricola — Sesto Catio Clesmentino.
  231 Pompeiano — Peligniano.
  232 Lupo — Massimo.
  233 Massimo — Paterno.
  234 Massimo per la seconda volta — Caio Celio
  Urbano.
  235 Severo — Quinziano.
  236 Caio Giulio Massimino Augusto — Africano.
  237 Perpetuo — Corneiiano.
  238 Pio — Ponziano.
  239 Marco Antonio Gordiano Augusto — Manio
        Acilio Aviola.
  240 Sabino per la seconda volta — Venusto.
  241 Marco Antonio Gordiano Augusto per la seconda
        volta — Civica Pompeiano.
  242 Caio Vezio Attico — Caio Asinio Pretestato.
  243 Arriano — Papo.
  244 Pellegrino — Emiliano.
  245 Marco Giulio Filippo Augusto — Tiziano.
  246 Presente — Albino.
  247 Marco Giulio Filippo Augusto per la seconda
        volta — Marco Giulio Filippo Cesare.
  248 Marco Giulio Filippo seniore Augusto per la
        terza volta — Marco Giulio Filippo juniore
        Augusto per la seconda.
  249 Marco Emiliano per la seconda volta — Giunio
        Aquilino.
  250 Caio Messio Quinto Traiano Decio Augusto
        per la seconda volta — Massimo Grato.
  251 Caio Messio Quinto Traiano Decio Augusto
        per la terza volta — Quinto Erennio Etrusco
        Decio Cesare.
  252 Caio Treboniano Gallo Augusto per la seconda
        volta — Caio Vibio Volusiano Cesare.
  253 Caio Vibio Gallo Augusto per la seconda volta — Massimo.
  254 Publio Licinio Valeriano Augusto per la seconda
        volta — Publio Licinio Gallieno
        Augusto.
  255 Publio Licinio Valeriano Augusto per la terza
        volta — Publio Licinio Gallieno Augusto
        per la seconda.
  256 Massimo — Glabrione.
  257 Publio Licinio Valeriano Augusto per la quarta
        volta — Publio Licinio Gallieno Augusto
        per la terza.
  258 Memmio Tosco — Basso.
  259 Emiliano — Basso.
  260 Publio Cornelio Secolare per la seconda volta — Giunio
        Donato per la seconda.
  261 Publio Licinio Gallieno Augusto per la quarta
        volta — Lucio Petronio Tauro Volusiano.
  262 Publio Licinio Gallieno Augusto per la quinta
        volta — Faustino.
  263 Albino per la seconda volta — Massimo Destro.
  264 Publio Licinio Gallieno Augusto per la sesta
        volta — Saturnino.
  265 Publio Licinio Valeriano per la seconda volta — Lucio
        Cesonio Lucillio Macro Rufiniano.
  266 Publio Licinio Gallieno Augusto per la settima
        volta — Sabinillo.
  267 Paterno — Arcesilao.
  268 Paterno per la seconda volta — Mariniano.
  269 Marco Aurelio Claudio Augusto — Paterno.
  270 Antioco per la seconda volta — Orfito.
  271 Lucio Domizio Aureliano Augusto — Basso
        per la seconda volta.
  272 Quinto — Veldumiano o sia Veldumniano.
  273 Marco Claudio Tacito — Placidiano.
  274 Lucio Domizio Aureliano Augusto per la seconda
        volta — Caio Giulio Capitolino.
  275 Lucio Domizio Aureliano Augusto per la terza
        volta — Tito Nonio Marcellino.
  276 Marco Claudio Tacito Augusto per la seconda
        volta — Emiliano.
  277 Marco Aurelio Probo Augusto — Marco Aurelio
        Paolino.
  278 Marco Aurelio Probo Augusto per la seconda
        volta — Lupo.
  279 Marco Aurelio Probo Augusto per la terza
        volta — Nonio Marcello per la seconda.
  280 Messala — Grato.
  281 Marco Aurelio Probo Augusto per la quarta
        volta — Tiberiano.
  282 Marco Aurelio Probo Augusto per la quinta
        volta — Vittorino.
  283 Marco Aurelio Caro Augusto — Marco Aurelio
        Carino Cesare.
  284 Marco Aurelio Carino Augusto per la seconda
        volta — Marco Aurelio Numeriano
        Augusto.
  285 Marco Aurelio Carino Augusto per la terza
        volta — Aristobolo — Caio Aurelio Valerio
        Diocleziano Augusto per la seconda
        volta nell'Oriente.
  286 Marco Giunio Massimo per la seconda volta — Vezio
        Aquilino.
  287 Caio Aurelio Valerio Diocleziano Augusto
        per la terza volta — Marco Aurelio Valerio
        Massimiano.
  288 Marco Aurelio Valerio Massimiano Augusto
        per la seconda volta — Pomponio Januario.
  289 Basso per la seconda volta — Quinziano.
  290 Caio Aurelio Valerio Diocleziano Augusto per
        la quarta volta — Marco Aurelio Valerio
        Massimiano Augusto per la terza.
  291 Caio Giunio Tiberiano per la seconda volta — Dione.
  292 Annibaliano — Asclepiodoto.
  293 Caio Aurelio Valerio Diocleziano Augusto per
        la quinta volta — Marco Aurelio Valerio
        Massimiano Augusto per la quarta.
  294 Flavio Valerio Cosiamo Cesare — Caio Galerio
        Valerio Massimiano Cesare.
  295 Tosco — Anulino.
  296 Caio Aurelio Valerio Diocleziano Augusto per
        la sesta volta — Flavio Valerio Costanzo
        Cesare per la seconda.
  297 Marco Aurelio Valerio Massimiano Augusto
        per la quinta volta — Caio Galerio Valerio
        Massimiano Cesare per la seconda.
  298 Anicio Fausto — Virio Gallo.
  299 Caio Aurelio Valerio Diocleziano Augusto per
        la settima volta — Marco Aurelio Valerio
        Massimiano Augusto per la sesta.
  300 Flavio Valerio Costanzo Cesare per la terza
        volta — Caio Galerio Valerio Massimiano
        Cesare per la terza.
  301 Tiziano per la seconda volta — Nepoziano.
  302 Flavio Valerio Costanzo Cesare per la quarta
        volta — Caio Galerio Valerio Massimiano
        Cesare per la quarta.
  303 Caio Aurelio Valerio Diocleziano Augusto per
        la ottava volta — Marco Aurelio Valerio
        Massimiano Augusto per la settima.
  304 Caio Aurelio Valerio Diocleziano Augusto per
        la nona volta — Marco Aurelio Valerio
        Massimiano Augusto per l'ottava.
  305 Flavio Valerio Costanzo Cesare per la quinta
        volta — Caio Galerio Valerio Massimiano
        Cesare per la quinta.
  306 Flavio Valerio Costanzo Augusto per la sesta
        volta — Caio Galerio Valerio Massimiano
        Augusto per la sesta.
  307 Marco Aurelio Valerio Massimiano Augusto
        per la nona volta — Flavio Valerio Costantino
        Cesare.
  308 Marco Aurelio Valerio Massimiano Augusto
        per la decima volta — Caio Galerio Valerio
        Massimiano Augusto per la settima.
  309 Massenzio Augusto per la seconda volta — Romolo
        Cesare per la seconda.
  310 Massenzio imperadore solo.
  311 Caio Galerio Massimiano Augusto per la ottava
        volta.
  312 Flavio Valerio Costantino Augusto per la seconda
        volta — Publio Valerio Liciniano
        Licinio Augusto per la seconda.
  313 Flavio Valerio Costantino Augusto per la
        terza volta — Publio Valerio Liciniano Licinio
        Augusto per la terza.
  314 Caio Celonio Rufio Volusiano per la seconda
        volta — Anniano.
  315 Flavio Valerio Costantino Augusto per la
        quarta volta — Publio Valerio Liciniano
        Licinio Augusto per la quarta.
  316 Sabino — Rufino.
  317 Ovinio Gallicano — Basso.
  318 Publio Valerio Liciniano Licinio Augusto per
        la quinta volta — Flavio Giulio Crispo
        Cesare.
  319 Flavio Valerio Costantino Augusto per la
        quinta volta — Valerio Licinio Liciniano
        Cesare.
  320 Flavio Valerio Costantino Augusto per la sesta
        volta — Flavio Valerio Costantino
        juniore Cesare.
  321 Flavio Giulio Crispo Cesare per la seconda
        volta — Flavio Valerio Costantino juniore
        Cesare per la seconda.
  322 Petronio Probiano — Anicio Giuliano.
  323 Acilio Severo — Vezio Rufino.
  324 Flavio Giulio Crispo Cesare per la terza volta — Flavio
        Valerio Costantino juniore Cesare
        per la terza.
  325 Paolino — Giuliano.
  326 Flavio Valerio Costantino Augusto per la settima
        volta — Flavio Giulio Costanzo Cesare.
  327 Flavio Valerio Costantino — Massimo.
  328 Januario — Giusto.
  329 Flavio Valerio Costantino Augusto per l'ottava
        volta — Flavio Valerio Costantino
        juniore Cesare per la quarta.
  330 Gallicano — Simmaco.
  331 Annio Basso — Ablavio.
  332 Pacaziano — Ilariano.
  333 Flavio Delmazio — Zenofilo.
  334 Lucio Ranio Aconzio Optato — Anicio Paolino
        juniore.
  335 Giulio Costanzo — Ceionio Rufio Albino.
  336 Flavio Popolio Nepoziano — Facondo.
  337 Feliciano — Tiberio Fabio Tiziano.
  338 Orso — Polemio.
  339 Flavio Giulio Costanzo Augusto per la seconda
        volta — Flavio Giulio Costante Augusto.
  340 Acindino — Lucio Aradio Valerio Procolo.
  341 Antonio Marcellino — Petronio Probino.
  342 Flavio Giulio Costanzo Augusto per la terza
        volta — Flavio Giulio Costante Augusto
        per la seconda.
  343 Marco Mecio Memmio Furio Baburio Ceciliano
        Procolo — Romolo.
  344 Leonzio — Sallustio.
  345 Amanzio — Albino.
  346 Flavio Giulio Costanzo Augusto per la quarta
        volta — Flavio Giulio Costante Augusto
        per la terza.
  347 Rufino — Eusebio.
  348 Flavio Filippo — Flavio Salio o Salia.
  349 Ulpio Limenio — Acone o sia Aconia Catulino
        Filomazio o Filoniano.
  350 Sergio — Negriniano.
  351 Dopo il Consolato di Sergio — Negriniano.
  352 Flavio Costanzo Augusto per la quinta volta — Flavio
        Costanzo Gallo Cesare.
  353 Flavio Costanzo Augusto per la sesta volta — Flavio
        Costanzo Gallo Cesare per la seconda.
  354 Flavio Costanzo Augusto per la settima volta — Flavio
        Costanzo Gallo Cesare per la
        terza.
  355 Flavio Arbezione — Quinto Flavio Mesio Egnazio
        Lolliano.
  356 Flavio Costanzo Augusto per l'ottava volta — Flavio
        Claudio Giuliano Cesare.
  357 Flavio Costanzo Augusto per la nona volta — Flavio
        Claudio Giuliano Cesare per la seconda.
  358 Daziano — Nerazio Cereale.
  359 Flavio Eusebio — Flavio Ipazio.
  360 Flavio Costanzo Augusto per la decima volta — Flavio
        Claudio Giuliano Cesare per la terza.
  361 Flavio Tauro — Flavio Fiorenzo.
  362 Mamertino — Nevitta.
  363 Flavio Claudio Giuliano Augusto per la quarta
        volta — Secondo Sallustio.
  364 Flavio Claudio Gioviano Augusto — Flavio
        Varroniano, nobilissimo fanciullo.
  365 Flavio Valentiniano — Flavio Valente Augusti.
  366 Graziano, nobilissimo fanciullo — Dagalaifo.
  367 Lupicino — Giovino.
  368 Flavio Valentiniano Augusto per la seconda
        volta — Flavio Valente Augusto per la
        seconda.
  369 Flavio Valentiniano, nobilissimo fanciullo — Vettore.
  370 Flavio Valentiniano Augusto per la terza volta — Flavio
        Valente Augusto per la terza.
  371 Flavio Graziano Augusto per la seconda volta — Sesto
        Anicio Petronio Probo.
  372 Domiziano Modesto — Arienteo.
  373 Flavio Valentiniano Augusto per la quarta
        volta — Flavio Valente Augusto per la
        quarta.
  374 Flavio Graziano Augusto per la terza volta — Equizio.
  375 Dopo il consolato di Graziano Augusto per
        la terza volta e di Equizio.
  376 Flavio Valente Augusto per la quinta volta — Flavio
        Valentiniano juniore Augusto.
  377 Flavio Graziano Augusto per la quarta volta — Merobaude.
  378 Flavio Valente Augusto per la sesta volta — Flavio
        Valentiniano juniore Augusto
        per la seconda.
  379 Decimo Magno Ausonio — Quinto Clodio Ermogeniano
        Olibrio.
  380 Flavio Graziano Augusto per la quinta volta — Flavio
        Teodosio Augusto.
  381 Flavio Siagrio — Flavio Eucherio.
  382 Antonio — Afranio Siagrio.
  383 Flavio Merobaude per la seconda volta — Flavio
        Saturnino.
  384 Flavio Ricomere — Clearco.
  385 Flavio Arcadio Augusto — Bautone.
  386 Flavio Onorio, nobilissimo fanciullo — Evodio.
  387 Flavio Valentiniano Augusto per la terza volta — Eutropio.
  388 Flavio Teodosio Augusto per la seconda volta — Cinegio.
  389 Flavio Timasio — Flavio Promolo.
  390 Flavio Valentiniano Augusto per la quarta
        volta — Neoterio.
  391 Taziano — Quinto Aurelio Simmaco.
  392 Flavio Arcadio Augusto per la seconda volta — Rufino.
  393 Flavio Teodosio Augusto per la terza volta — Abbondanzio.
  394 Flavio Arcadio Augusto per la terza volta — Flavio
        Onorio Augusto per la seconda.
  395 Anicio Ermogeniano Olibrio — Anicio Probino.
  396 Flavio Arcadio Augusto per la quarta volta — Flavio
        Onorio Augusto per la terza.
  397 Flavio Cesario — Nonio Attico.
  398 Flavio Onorio Augusto per la quarta volta — Flavio
        Eutichiano.
  399 Eutropio — Flavio Mallio Teodoro.
  400 Flavio Stilicone — Aureliano.
  401 Vincenzo — Fravita.
  402 Flavio Arcadio Augusto per la quinta volta — Flavio
        Onorio Augusto per la quinta.
  403 Teodosio Augusto — Flavio Rumorido.
  404 Flavio Onorio Augusto per la sesta volta — Aristeneto.
  405 Flavio Stilicone per la seconda volta — Antemio.
  406 Flavio Arcadio Augusto per la sesta volta — Anicio
        Probo.
  407 Flavio Onorio Augusto per la settima volta — Teodosio
        Augusto per la seconda.
  408 Anicio Basso — Flavio Filippo.
  409 Flavio Onorio Augusto per l'ottava volta — Teodosio
        Augusto per la terza.
  410 Flavio Varane — Tertullo.
  411 Teodosio Augusto per la quarta volta senza
        collega.
  412 Flavio Onorio Augusto per la nona volta — Teodosio
        Augusto per la quinta.
  413 Lucio — Eracliano.
  414 Flavio Costanzo — Flavio Costante.
  415 Flavio Onorio Augusto per la decima volta — Teodosio
        Augusto per la sesta.
  416 Teodosio Augusto per la settima volta — Giunio
        Quarto Palladio.
  417 Flavio Onorio Augusto per l'undecima volta — Flavio
        Costanzo per la seconda.
  418 Flavio Onorio Augusto per la dodicesima
        volta — Teodosio Augusto per l'ottava.
  419 Monasio — Plenta.
  420 Teodosio Augusto per la nona volta — Flavio
        Costanzo per la terza.
  421 Eustazio — Agricola.
  422 Flavio Onorio Augusto per la tredicesima
        volta — Teodosio Augusto per la decima.
  423 Asclepiodato — Flavio Avito Mariniano.
  424 Castino — Vittore.
  425 Teodosio Augusto per l'undecima volta — Valentiniano
        Cesare.
  426 Teodosio Augusto per la dodicesima volta — Valentiniano
        Augusto per la seconda.
  427 Jerio — Ardaburio.
  428 Flavio Felice — Tauro.
  429 Fiorenzo — Dionisio.
  430 Teodosio Augusto per la tredicesima volta — Valentiniano
        Augusto per la terza.
  431 Basso — Flavio Antioco.
  432 Flavio Aezio — Valerio.
  433 Teodosio Augusto per la quattordicesima volta — Petronio
        Massimo.
  434 Ariovindo — Aspare.
  435 Teodosio Augusto per la quindicesima volta — Valentiniano
        Augusto per la quarta.
  436 Flavio Antemio Isidoro — Flavio Senatore.
  437 Aezio per la seconda volta — Sigisboldo.
  438 Teodosio Augusto per la sedicesima volta — Anicio
        Acilio Glabrione Fausto.
  439 Teodosio Augusto per la diecisettesima volta — Festo.
  440 Valentiniano Augusto per la quinta volta — Anatolio.
  441 Ciro solo.
  442 Dioscoro — Eudossio.
  443 Petronio Massimo per la seconda volta — Paterno
        o piuttosto Paterio.
  444 Teodosio Augusto per la diciottesima volta — Albino.
  445 Valentiniano Augusto per la sesta volta — Nomo
        o sia Nonio.
  446 Flavio Aezio per la terza volta — Quinto Aurelio
        Simmaco.
  447 Callipio o sia Alipio — Ardaburio.
  448 Flavio Zenone — Rufio Pretestato Postumiano.
  449 Flavio Asturio — Flavio Protogene.
  450 Valentiniano Augusto per la settima volta — Gennadio
        Avieno.
  451 Flavio Marciano Augusto — Flavio Adelfio.
  452 Sporacio — Flavio Erculano.
  453 Vincomalo — Opilione.
  454 Aezio — Studio.
  455 Valentiniano Augusto per l'ottava volta — Antemio.
  456 In Oriente Varane — Giovanni; in Occidente
        Eparchio Avito Augusto.
  457 Flavio Costantino — Rufo.
  458 Flavio Leone Augusto — Flavio Maiorano
        Augusto.
  459 Patrizio — Flavio Ricimere.
  460 Magno — Apollonio.
  461 Severino — Dagalaifo.
  462 Flavio Leone Augusto per la seconda volta — Libio
        Severo Augusto.
  463 Flavio Cecina Basilio — Viviano.
  464 Rusticio — Flavio Anicio Olibrio.
  465 Flavio Rasilisco — Ermenerico.
  466 Flavio Leone Augusto per la terza volta — Taziano.
  467 Puseo — Giovanni.
  468 Antemio Augusto per la seconda volta senza
        collega.
  469 Marciano — Zenone.
  470 Severo — Giordano.
  471 Flavio Leone Augusto per la quarta volta — Probiano.
  472 Festo — Marciano.
  473 Flavio Leone Augusto per la quinta volta
        senza collega.
  474 Flavio Leone juniore Augusto senza collega.
  475 Flavio Leone Augusto per la seconda volta
        senza collega.
  476 Flavio Basilisco per la seconda volta — Armato.
  477 Senza consoli, e però l'anno fu notato: Post
        Consulatum Basilici II et Armati.
  478 Ilio senza collega.
  479 Flavio Zenone Augusto per la terza volta senza
        collega.
  480 Basilio juniore senza collega.
  481 Placido senza collega.
  482 Trocondo — Severino.
  483 Fausto senza collega.
  484 Teoderico — Venanzio.
  485 Quinto Aurelio Memmio Simmaco juniore
        senza collega.
  486 Decio — Longino.
  487 Boezio senza collega.
  488 Dinamio — Sifidio.
  489 Probino — Eusebio.
  490 Flavio Fausto juniore — Longino per la seconda
        volta.
  491 Oliario juniore senza collega.
  492 Flavio Anastasio Augusto — Rufo.
  493 Eusebio per la seconda volta — Albino.
  494 Torcio Rufino Aproniano Asterio — Presidio.
  495 Flavio Viatore senza collega.
  496 Paolo senza collega.
  497 Flavio Anastasio Augusto per la seconda volta
        senza collega.
  498 Giovanni Scita — Paolino.
  499 Giovanni il Gobbo senza collega.
  500 Ipazio — Patricio.
  501 Rufio Magno Fausto Avieno — Flavio Pompeo.
  502 Flavio Avieno juniore — Probo.
  503 Desicrate — Velusiano.
  504 Cetego senza collega.
  505 Sabiniano — Teodoro.
  506 Ariobindo — Messala.
  507 Flavio Anastasio Augusto per la terza volta — Venanzio.
  508 Celere — Venanzio juniore.
  509 Importuno senza collega.
  510 Anicio Manlio Severino Boezio senza collega.
  511 Secondino — Felice.
  512 Paolo — Muschiano.
  513 Probo — Clementino.
  514 Il senatore senza collega. Il senatore è Magno
        Aurelio Cassiodorio.
  515 Antemio — Fiorenzo.
  516 Pietro, senza collega.
  517 Flavio Anastasio — Agapito.
  518 Magno senza collega.
  519 Flavio Giustino Augusto — Eutarico.
  520 Vitaliano — Rustico o Rusticio.
  521 Flavio Giustiniano — Valerio.
  522 Simmaco — Boezio.
  523 Flavio Anicio Massimo senza collega.
  524 Flavio Giustino Augusto per la seconda volta — Opilione.
  525 Flavio Teodoro Filosseno — Anicio Probo
        juniore.
  526 Olibrio senza collega.
  527 Vezio Agorio Basilio Mavorzio senza collega.
  528 Flavio Giustiniano Augusto per la seconda
        volta senza collega.
  529 Decio juniore senza collega.
  530 Flavio Lampadio — Oreste.
  531 Senza consoli.
  532 Senza consoli.
  533 Flavio Giustiniano Augusto per la terza volta
        senza collega.
  534 Flavio Giustiniano Augusto per la quarta volta — Flavio
        Teodoro Paolino juniore.
  535 Flavio Belisario senza collega.
  536 Senza consoli.
  537 Senza consoli.
  538 Flavio Giovanni senza collega.
  539 Flavio Appione senza collega.
  540 Flavio Giustino juniore senza collega
  541 Flavio Basilio iuniore senza collega.

E questo si può dire l'ultimo de' Consolati ordinarii dell'imperio
romano, se non che Giustino Augusto iuniore lo rinnovò nell'anno 566,
secondo il cardinal Baronio, non nel 567, come vuole il padre Pagi.
Vedi Annal., _ivi_ e 569.

Gl'imperadori d'Oriente continuarono poi un consolato perpetuo, notando
l'anno col _post consulatum I o II_, ec. Nel che però si osserva in
alcuni degli autori antichi una strana maniera di disegnar gli anni
dopo la morte di Giustiniano Augusto; cioè, in vece di dire _il primo
anno dopo il consolato_ preso nell'anno precedente dall'imperadore,
diceano l'_anno secondo dopo il consolato_. Annali, tom. VI, ann. 581.

Ma dopo il consolato di Giustino 566, di Tiberio Costantino Augusto
579, di Maurizio Tiberio Augusto 583, di Foca Augusto 603, di Eraclio
Augusto 611, dovendo notare il Consolato di Costantino o sia Costante
Cesare, preso nell'anno 642, e proseguire distinguendo i susseguenti
col _post consulatum_, perchè si scorge di niuna conseguenza un tal
rito, se ne dispensa lo autore.

Con tutto ciò accenna il console Crescenzio nel 997, e il console
Cencio nel 1084.



TAVOLA CRONOLOGICA

DEI PAPI


An. di Cristo

    29 Pietro Apostolo.
    65 Lino.
    67 Clemente I.
    77 Cleto.
    83 Anacleto.
    96 Evaristo.
   108 Alessandro I.
   117 Sisto I.
   127 Telesforo.
   138 Igino.
   142 Pio I.
   150 Aniceto.
   162 Sotero.
   171 Eleuterio.
   186 Vittore I.
   197 Zefirino.
   217 Callisto I.
   222 Urbano I.
   230 Ponziano.
   235 Antero.
   236 Fabiano.
   250 Cornelio.
   252 Lucio I.
   254 Stefano I.
   257 Sisto II.
   259 Dionisio.
   269 Felice I.
   275 Eutichiano.
   283 Caio.
   296 Marcellino.
   308 Marcello I.
   310 Eusebio.
   310 Melchiade.
   314 Silvestro I.
   336 Marco.
   337 Giulio I.
   352 Liberio.
   366 Damaso I.
   385 Siricio.
   398 Anastasio I.
   401 Innocenzo I.
   417 Zosimo.
   418 Bonifazio I.
   422 Celestino I.
   432 Sisto III.
   440 Leone il Grande.
   461 Ilaro.
   468 Simplicio.
   483 Felice detto III, perchè cacciato in esilio Liberio
         nel 355, venne forzato il clero romano
         ad eleggere un altro pontefice, che
         fu Felice; essendosi poi disputato fra gli
         eruditi se questi fosse vero o non vero papa.
   492 Gelasio I.
   496 Anastasio II
   498 Simmaco.
   514 Ormisda.
   523 Giovanni I.
   526 Felice IV.
   530 Bonifazio II.
   532 Giovanni II.
   535 Agapito I.
   536 Silverio.
   538 Vigilio.
   555 Pelagio I.
   560 Giovanni III.
   574 Benedetto I.
   578 Pelagio II.
   590 Gregorio I detto il Magno.
   604 Sabiniano.
   607 Bonifazio III.
   608 Bonifazio IV.
   615 Deusdedit, cioè Diodato.
   619 Bonifazio V.
   625 Onorio I.
   640 Severino.
   640 Giovanni IV.
   642 Teodoro I.
   649 Martino I.
   655 Eugenio I.
   657 Vitaliano.
   672 Adeodato.
   676 Dono I.
   678 Agatone.
   682 Leone II.
   684 Benedetto II.
   685 Giovanni V.
   686 Conone.
   687 Sergio I.
   701 Giovanni VI.
   705 Giovanni VII.
   708 Sisinnio.
   708 Costantino.
   715 Gregorio II.
   731 Gregorio III.
   741 Zacheria.
   752 Stefano II.
   757 Paolo I.
   768 Stefano III.
   772 Adriano I.
   795 Leone III.
   816 Stefano IV.
   817 Pasquale I.
   824 Eugenio II.
   827 Valentino.
   827 Gregorio IV.
   844 Sergio II.
   847 Leone IV.
   855 Benedetto III.
   858 Niccolò I.
   867 Adriano II.
   872 Giovanni VIII.
   882 Marino I.
   884 Adriano III.
   885 Stefano V.
   891 Formoso.
   896 Bonifazio VI.
   896 Stefano VI.
   897 Romano.
   898 Teodoro II.
   898 Giovanni IX.
   900 Benedetto IV.
   903 Leone V.
   903 Cristoforo.
   904 Sergio III.
   911 Anastasio III.
   913 Landone.
   914 Giovanni X.
   928 Leone VI.
   929 Stefano VII.
   932 Giovanni XI.
   936 Leone VII.
   939 Stefano VIII.
   942 Marino II.
   946 Agapito II.
   956 Giovanni XII.
   964 Benedetto V.
   965 Giovanni XIII.
   972 Benedetto VI.
   974 Dono II.
   975 Benedetto VII.
   983 Giovanni XIV.
   985 Giovanni XV.
   996 Gregorio V.
   999 Silvestro II.
  1003 Giovanni, detto XVII; perchè quantunque
         Giovanni Calabrese, che occupò la sedia
         a Gregorio V nell'anno 997, non meriti
         luogo tra i romani pontefici, pure altro
         sentimento dovettero avere i Romani di
         allora.
  1003 Giovanni XVIII.
  1009 Sergio IV.
  1019 Benedetto VIII.
  1024 Giovanni XIX.
  1033 Benedetto IX.
  1044 Gregorio VI.
  1046 Clemente II.
  1048 Damaso II.
  1049 Leone, detto IX, perchè nell'anno 963 Ottone
         I imperadore fece eleggere in un
         concilio Leone VIII, quantunque si tenga
         per illegittimo.
  1055 Vittore II.
  1057 Stefano IX.
  1059 Niccolò II.
  1061 Alessandro II.
  1073 Gregorio VII.
  1086 Vittore III.
  1088 Urbano II.
  1099 Pasquale II.
  1118 Gelasio II.
  1119 Callisto II.
  1124 Onorio II.
  1130 Innocenzo II.
  1143 Celestino II.
  1144 Lucio II.
  1145 Eugenio III.
  1153 Anastasio IV.
  1154 Adriano IV.
  1159 Alessandro III.
  1181 Lucio III.
  1185 Urbano III.
  1187 Gregorio VIII.
  1187 Clemente III.
  1191 Celestino III.
  1198 Innocenzo III, sotto di cui spirò l'ultimo
         fiato l'autorità degli Augusti in Roma;
         e da lì innanzi i prefetti di Roma, il senato
         e gli altri magistrati giurarono fedeltà
         al solo romano pontefice.
  1216 Onorio III.
  1227 Gregorio IV.
  1241 Celestino IV.
  1243 Innocenzo IV.
  1254 Alessandro IV.
  1261 Urbano IV.
  1265 Clemente IV.
  1271 Gregorio X.
  1276 Innocenzo V.
  1276 Adriano V.
  1276 Giovanni XXI, benchè dovesse dirsi XX.
  1277 Niccolò III.
  1281 Martino IV, tuttochè, secondo il retto parlare,
         si dovesse nominar solamente Martino II.
  1285 Onorio IV.
  1288 Niccolò IV.
  1294 Celestino V.
  1294 Bonifazio VIII, tuttochè non si numeri fra i
         legittimi papi Bonifazio soprannominato
         Francone uccisore di Benedetto VI e di
         Giovanni XIV.
  1303 Benedetto XI, benchè secondo l'ordine, si
         dovrebbe dire X.
  1305 Clemente V, sotto di cui passò in Francia per
         70 anni la Sede Apostolica.
  1316 Giovanni XXII.
  1334 Benedetto XII.
  1342 Clemente VI.
  1352 Innocenzo VI.
  1362 Urbano V.
  1370 Gregorio XI.
  1378 Urbano VI.
  1389 Bonifazio IX.
  1404 Innocenzo VII.
  1406 Gregorio XII.
  1409 Alessandro V.
  1410 Giovanni XXIII.
  1417 Martino V.
  1431 Eugenio IV.
  1447 Niccolò V.
  1455 Callisto III.
  1458 Pio II.
  1464 Paolo II.
  1471 Sisto IV.
  1484 Innocenzo VIII.
  1492 Alessandro VI.
  1503 Pio III.
  1503 Giulio II.
  1513 Leone X.
  1522 Adriano VI.
  1523 Clemente VII.
  1534 Paolo III.
  1550 Giulio III.
  1555 Marcello II.
  1555 Paolo IV.
  1559 Pio IV.
  1566 Pio V.
  1572 Gregorio XIII.
  1585 Sisto V.
  1590 Urbano VII.
  1590 Gregorio XIV.
  1591 Innocenzo IX.
  1592 Clemente VIII.
  1605 Leone XI.
  1605 Paolo V.
  1621 Gregorio XV.
  1623 Urbano VIII.
  1644 Innocenzo X.
  1655 Alessandro VII.
  1667 Clemente IX.
  1672 Clemente X.
  1676 Innocenzo XI.
  1689 Alessandro VIII.
  1691 Innocenzo XII.
  1700 Clemente XI.
  1721 Innocenzo XIII.
  1724 Benedetto XIII.
  1730 Clemente XII.
  1740 Benedetto XIV.



TAVOLA CRONOLOGICA

DEGLI IMPERADORI


An. di Cristo

     1 Cesare Augusto (Caio Ottavio o sia Ottaviano).
    14 Tiberio (Claudio Nerone).
    37 Caligola (Caio Cesare).
    41 Tiberio (Claudio Garmanico).
    54 Nerone (Claudio).
    68 Galba (Servio Sulpicio).
    69 Ottone (Marco Salvio).
    69 Vespasiano (Flavio).
    81 Domiziano (Flavio).
    96 Nerva (Marco Cocceio).
    98 Traiano (Marco Ulpio Nerva).
   117 Adriano (Elio).
   138 Antonino Pio (Tito Elio Adriano).
   161 Marco Aurelio (cioè Marco Elio Aurelio Antonino,
         il Filosofo).
   161 Lucio Vero (cioè Lucio Elio Aurelio Vero).
   180 Commodo (Marco Aurelio Antonino).
   193 Pertinace (Publio Elvio).
   193 Giuliano (Didio).
   193 Severo (Lucio Settimio).
   198 Caracalla (Marco Aurelio Antonino).
   208 Geta (Publio Settimio).
   217 Macrino (Marco Opellio Severo).
   218 Elagabalo (Marco Aurelio Antonino).
   222 Alessandro (Marco Aurelio Severo).
   235 Massimino (Caio Giulio Vero).
   238 Gordiano I (Marco Antonino).
   238 Gordiano II
   238 Pupieno (cioè Marco Clodio Massimo).
   238 Balbino (Decimo Celio).
   238 Gordiano III (Marco Antonino).
   244 Filippo (Marco Giulio) seniore.
   247 Filippo (Marco Giulio) iuniore.
   249 Decio (Caio Messio Quinto Traiano).
   251 Gallo (Caio Treboniano).
   251 Decio (Caio Valente Ostiliano Messio Quinto).
   252 Gallo (Caio Vibio Volusiano).
   253 Volusiano (Caio Vibio Affinio Gallo Veldumiano).
   253 Valeriano (Publio Licinio).
   253 Gallieno (Publio Licinio).
   268 Claudio II (Marco Aurelio).
   270 Quintilio (Marco Aurelio Claudio).
   270 Aureliano (Lucio Domizio).
   275 Tacito (Marco Claudio).
   276 Floriano (Marco Annio).
   276 Probo (Marco Aurelio).
   282 Caro (Marco Aurelio).
   283 Carino (Marco Aurelio).
   283 Numeriano (Marco Aurelio).
   284 Diocleziano (Caio Aurelio Valerio).
   286 Massimiano (Marco Aurelio Valerio).
   305 Costanzo (Flavio Valerio).
   305 Massimiano (Caio Galerio Valerio).
   306 Severo (Flavio Valerio).
   306 Massenzio (Marco Aurelio Valerio).
   306 Massimiano Erculio (Marco Aurelio Valerio).
   307 Costantino (Flavio Valerio).
   307 Licinio (Publio Valerio Liciniano).
   308 Massimino (Caio Galerio Valerio) Daia o Daza.
   337 Costantino juniore (Flavio Valerio).
   337 Costanzo (Flavio Giulio).
   337 Costante (Flavio Giulio).
   361 Giuliano (Flavio Claudio).
   363 Gioviano (Flavio Claudio).
   364 Valentiniano (Flavio).
   364 Valente (Flavio).
   367 Graziano (Flavio).
   375 Valentiniano II (Flavio).
   379 Teodosio (Flavio).
   383 Arcadio (Flavio).
   393 Onorio (Flavio).
   402 Teodosio II.
   421 Costanzo (Flavio).
   425 Valentiniano III.
   450 Marciano (Flavio).
   455 Avito (Eparchio).
   457 Leone (Flavio).
   457 Maioriano (Flavio).
   461 Severo (Libio).
   467 Antemio.
   472 Olibrio (Anicio).
   473 Glicerio, appellato Domestico.
   474 Zenone (Flavio).
   474 Nipote (Giulio).
   475 Romolo o sia Augustolo, in cui terminò l'imperio
         romano, e diede principio Odoacre
         al regno d'Italia. Continuò l'imperio orientale.
   491 Anastasio (Flavio).
   518 Giustino (Flavio).
   527 Giustiniano (Flavio).
   565 Giustino II.
   574 Costantino (Tiberio).
   582 Maurizio (Tiberio).
   602 Foca.
   610 Eraclio.
   641 Eraclio, appellato nuovo Costantino.
   641 Eracleona.
   641 Costantino detto Costante.
   668 Costantino Pogonato, cioè Barbato.
   685 Giustiniano II.
   695 Leonzio.
   698 Tiberio Absimero.
   705 Giustiniano II di nuovo regnante,
   711 Filippico, prima detto Bardane.
   713 Anastasio, prima detto Artemio.
   716 Teodosio.
   717 Leone Isauro.
   720 Costantino Copronimo.
   751 Leone IV.
   776 Costantino.
   780 Irene Augusta tutrice regnò dieci anni; ma
         dopo una vita privata ritornò sul trono
         nel 797; vivente però Irene nell'800 fu
         proclamato e coronato imperadore di tutto
         l'Occidente da Leone III in Roma Carlo
         Magno; onde, non avendo fatto più gran
         figura in Italia i greci imperadori, si tralasciano
         i loro anni, e si continuano quei
         d'Occidente.
   800 Carlo Magno.
   814 Lodovico Pio.
   820 Lodovico I fra gl'imperadori.
   849 Lodovico II.
   875 Carlo II detto il Calvo.
   881 Carlo III il Grosso.
   891 Guido.
   892 Lamberto.
   896 Arnolfo.
   901 Lodovico III.
   915 Berengario.
   962 Ottone il Grande.
   967 Ottone II.
   996 Ottone III.
  1014 Arrigo I fra gl'imperadori.
  1027 Corrado,
  1046 Arrigo II.
  1084 Arrigo III.
  1111 Arrigo IV.
  1133 Lottario II.
  1155 Federigo I.
  1191 Arrigo V.
  1209 Ottone IV.
  1220 Federigo II.
  1312 Arrigo VI.
  1355 Carlo IV.
  1433 Sigismondo.
  1452 Federigo III.
  1519 Carlo V.
  1558 Ferdinando.
  1564 Massimiliano II fra i re.
  1576 Rodolfo II, che così si fece chiamare, tuttochè
         l'antenato suo Rodolfo I fosse bensì re
         de' Romani, ma non mai godesse il titolo
         d'imperadore.
  1612 Mattias.
  1619 Ferdinando II.
  1637 Ferdinando III.
  1658 Leopoldo.
  1705 Giuseppe.
  1711 Carlo VI.
  1742 Carlo VII.
  1745 Francesco.


RE DE' ROMANI

  1273 Rodolfo I.
  1292 Adolfo.
  1298 Alberto Austriaco.
  1309 Arrigo VI fra gl'imperadori, VII fra i re di
         Germania.
  1346 Carlo IV fra gl'imperadori.
  1378 Venceslao.
  1400 Roberto.
  1410 Sigismondo.
  1438 Alberto II.
  1440 Federico III fra gl'imperadori.
  1493 Massimiliano I, che cominciò a intitolarsi imperadore
         eletto, nel che fu imitato dai
         successori, col lasciar anche la parola
         _eletto_.



TAVOLA CRONOLOGICA

DEI RE D'ITALIA


An. di Cristo

   476 Odoacre.
   493 Teodorico.
   526 Atalarico.
   534 Teodato o sia Teodoto.
   536 Vitige.
   540 Ildibado o sia Ildibaldo.
   541 Erarico.
   541 Totila.
   552 Teia, in cui ebbe fine il regno de' Goti o sia
         degli Ostrogoti d'Italia.
   569 Alboino, primo re de' Longobardi.
   573 Clefo o sia Clefone.
   584 Autari (Flavio). Questo prenome passò nei
         re suoi successori.
   591 Agilolfo.
   615 Adaloaldo.
   625 Arioaldo o sia Arialdo o Caroaldo.
   636 Rotari, detto anche Crotario.
   652 Rodoaldo,
   653 Ariberto I.
   661 Bertarido, o sia Pertarito, e Godeberto.
   662 Grimoaldo.
   671 Bertarido, risalito sul trono.
   678 Cuniberto.
   700 Liutberto.
   701 Ragimberto, o sia Ragumberto e
         Ariberto II.
   712 Alprando, o sia Ansprando, e
         Liutprando.
   736 Ilderbando o sia Ilprando.
   744 Rachis o sia Ratchis.
   749 Astolfo.
   757 Desiderio.
   759 Adelgiso o sia Adelchis, da cui passò il regno
         d'Italia nel
   774 in Carlo Magno re de' Franchi, il quale diede
         poi all'Italia il suo re particolare; cioè nel
   731 Pippino.
   812 Bernardo.
   820 Lottario I fra i re d'Italia,
   844 Lodovico II.
   877 Carlomanno.
   879 Carlo il Grosso o sia il Crasso.
   888 Berengario I.
   889 Guido.
   900 Lodovico III con la prima irruzione degli
         Ungheri in Italia.
   931 Rodolfo o sia Ridolfo o Radolfo.
   926 Ugo.
   931 Lottario II.
   950 Berengario II e Adalberto.
   962 Ottone.
   983 Ottone III.
  1002 Ardoino.
  1004 Arrigo I fra i re d'Italia, detto Arrigo II,
         perchè fu un altro Arrigo re di Germania
         nel 918.
  1026 Corrado I detto il _Salico_.
  1039 Arrigo III, soprannominato il Nero, dalla
         barba.
  1056 Arrigo IV.
  1093 Corrado II.
  1106 Arrigo V.
  1125 Lottario III.
  1138 Corrado III.
  1152 Federigo I, detto Barbarossa.
  1186 Arrigo VI.
  1209 Ottone IV imp. e re d'Italia secondo gli storici
         milanesi.
  1355 Carlo IV imperatore.
  1431 Sigismondo.
  1452 Federigo III imperatore, che prese la corona
         del regno longobardico in Roma da Niccolò V.
  1530 Carlo V imperatore ricevette da Clemente
         VII in Bologna la corona anche d'Italia.

Dopo la qual coronazione, niuna altra più ne ha veduto l'Italia,
giacchè gl'imperadori si sono messi in possesso di usare senza di essa
il titolo e l'autorità degli Augusti.



TAVOLA CRONOLOGICA

DEI PREFETTI DI ROMA


An. di Cristo

   32 Lucio Pisone, che morì in quest'anno, dopo
        aver esercitato quella carica con lode
        per anni 20.
   32 Lucio Elio Lamia, e nell'anno seguente diede
        anch'egli fine a' suoi giorni.
   33 Cosso, per attestato di Tacito e di Seneca,
        ep. 81.
   61 Pedanio Secondo.
   69 Ducennio Gemino.
   69 Flavio Sabino (Tito) fratello di Vespasiano,
        padre di Tito Flavio Sabino console nell'anno
        82.
  118 Bebio Macro.
  138 Catilio Severo.
  194 Domigio Destro.
  204 Flavio Libone.
  213 Lucio Fabio Cilone.
  257 Giunio Donato.
  261 _e seg._ Nummio Albino, secondo il Bocherio
        e l'Eccardo.
  267 _e seg._ Petronio Volusiano.
  269 _e seg._ Flavio Antiochiano.
  275 Postumio Siagrio, secondo il Bucherio; ma
        secondo Vopisco, Elio Ceseziano.
  278 _e seg._ Furio o Virio Lupo.
  281 Ovinio Paterno.
  282 Pomponio Vittorino o sia Vittoriano.
  283 Titurio Robusto o Roburro.
  284 _e seg._ Caio Ceionio Varo.
  287 Giunio Massimo.
  288 Pomponio Januario.
  290 Turranio Graziano.
  291 Giunio Tiberiano.
  293 _e seg._ Settimo Acindino.
  295 Aristobolo.
  296 Cassio Dione.
  297 Afriano Annibaliano.
  298 Artorio Massimo.
  299 Anicio Fausto.
  300 Appio Pompeo Faustino.
  301 Elio Dionisio.
  302 Nummio Tosco.
  303 Ginnio Tiberiano.
  304 Araclio Ruffino.
  305 Postumio Tiziano.
  306 Annio Anulino.
  307 Giusteo Tertullo.
  308 Stazio Rufino.
  309 Aurelio Ermogene.
  310 Rufio Volusiano (Caio Ceionio).
  311 Giunio Flaviano.
  312 Aradio Rufino.
  313 _e seg._ Rufio Tolusiano, e nel seg. anche console.
  315 Caio Vezio Cossinio Rufino.
  316 Ovinio Gallicano.
  317 Settimio Basso.
  318 Giulio Cassio.
  319 _e seg._ Valerio Massimo Basilio, o sia Valerio
        Massimo solamente.
  323 Caio Vezio Cossinio Rufino: ma il 13 di
        settembre gli fu sostituito Lucerio o sia
        Lucrio Valerio Verino.
  324 Lucerio o sia Lucrio Valerio Verino.
  325 Acilio Severo.
  326 _e seg._ Anicio Giuliano.
  329 Publio Optaziano entrò il 7 di settembre e il
        dì 8 ottobre Petronio Probiano.
  330 Petronio Probiano.
  331 _e seg._ Anicio Paolino.
  333 Publio Optaziano il 7 d'aprile, e 10 di maggio
        Ceionio Giuliano Camenio.
  334 Anicio Paolino, console in quest'anno. Ciò
        però è dubbioso.
  335 _e seg._ Ceionio Rufio Albino.
  337 Valerio Procolo.
  338 Mecilio Ilariano.
  339 Lucio Turcio Secondo Aproniano Asterio,
        dal 14 di luglio sino il 25 di ottobre; pel
        resto dell'anno Tiberio Fabio Traiano,
        creduto il console del 337.
  340 Tiberio Fabio Tiziano fino a maggio. Andato
        alla corte di Costante, sostenne le sue veci
        Giunio Tertullo.
  341 Aurelio Celsino.
  342 Mavorzio Lolliano il primo d'aprile; e il 14
        di luglio Acone (o sia Agonio).
        Catulino (o sia Catullino) Filomazio (o pur
        Filoniano).
  343 Aconio Catullino.
  344 Quinto Rustico.
  345 Probino.
  346 Placido.
  347 _e seg._ Ulpio Limenio, anche console nel 349;
        nel qual anno fu prefetto di Roma e del
        pretorio fino il dì 8 d'aprile. Essendo
        stato vacante il luogo fino il 18 di maggio
        tutte e due le dignità furono allora conferite
        ad Ermogene.
  350 Tiberio Fabio Tiziano.
  351 Tiberio Fabio Tiziano continuò per li due
        primi mesi: il primo di marzo Aurelio
        Celsino; il 12 di maggio Celio Probato:
        il 7 di giugno Clodio Adelfio: il 18 di
        dicembre Valerio Procolo.
  352 Valerio Procolo fino il 9 di settembre: allora
        gli succedette Settimio Mnasea; e a questo
        il 26 del detto mese Nerazio Cereale.
  353 Nerazio Cereale fino al primo di dicembre:
        indi Memmio Vitrasio Orfito.
  354 Memmio Vitrasio Orfito, come dal Catalogo
        del Bucherio, che qui termina i prefetti.
  355 Leonzio, successore di Vitrasio.
  356 Leonzio continuò; ma non apparisce se alcuno
        gli succedesse dopo il mese d'ottobre.
  357 _e seg._ Memmio Vitrasio Orfito per la seconda
        volta.
  359 Giunio Basso, succeduto a Vitrasio il 25 di
        marzo. Ma questi morto il 25 di agosto
        fu esercitata quella dignità qualche tempo
        da Artemio; e dipoi entrò Tertullo.
  360 _e seg._ Tertullo.
  361 Massimo, creato in luogo di Tertullo da Giuliano,
        dopo che divenne padron di tutto.
  363 Lucio Turcio Secondo Aproniano Asterio.
  364 Caio Ceionio Rufo Volusiano, a cui succedette
        Lucio Aurelio Aviano Simmaco
        conte dal Codice Teodosiano.
  365 Simmaco per li cinque primi mesi: dipoi
        Volusiano.
  366 Vezio Agorio Pretestato sembra che fosse. Il
        Panvinio ci dà Lampadio, e poscia Iuvenzio.
        Ed in fatti la prefettura di Juvenzio
        vien confermata da Ammiano.
  367 Juvenzio per alcuni mesi; poi Vezio Agorino
        Pretestato.
  368 _e seg._ Quinto Clodio Ermogeniano Olibrio
        della famosa famiglia Anicia.
  370 Principio ci rappresenta una legge del codice
        Teodosiano nel 29 d'aprile; ma si può dubitare.
        Ammiano dopo aver parlato d'Olibrio,
        passa ad Ampelio, come di successore
        del medesimo.
  371 Ampelio.
  372 Ampelio, si truova sul principio di marzo
        nelle leggi del Codice Teodosiano, e
        sembra che continuasse per tutto il maggio.
        Il 22 d'agosto si truova un Bapone.
        Non è certo questo nome, di cui non è
        altra memoria. Il Panvinio pretende che
        ad Ampelio succedesse Claudio in questo
        anno; ma ciò avvenne più tardi.
  373 Caio Ceionio Rufio Volusiano, come dal
        Codice Teodosiano, non Claudio, come
        vuole il Panvinio.
  374 Euprassio, e dopo lui Claudio quest'anno.
  375 Euprassio probabilmente continuò.
  376 Rufino; e poi Gracco, come dal Codice Teodosiano,
        e non Euprassio, dipoi Probiano,
        come stima di Panvinio.
  377 Gracco per qualche tempo: poi Probiano.
  378 Probiano; ma è conghiettura.
  379 Ipazio, se non fallano i testi del Codice Teodosiano.
  380 Paolino, ci dà il Codice Teodosiano. Che non
        sia il vescovo di Nola, come credè il Baronio,
        vedi _Anecd. Latin._ dell'autore,
        tom. I, dissert. X.
  381 Valeriano, dal Cod. Teodosiano.
  382 Severo, prefetto di Roma, in due luoghi del
        Codice Teodosiano. In altre leggi di questo
        stesso anno Severo (se pur è lo stesso)
        prefetto del pretorio.
  383 Avenzio forse. Fu certo un personaggio di
        somma pietà e abilità.
  384 Simmaco, celebre personaggio. Di tal dignità
        egli parla in alcune sue lettere.
  385 È ignoto. Si raccoglie da Simmaco che dimandò
        d'essere scaricato: non si sa, se
        esaudito. Io credo che gli venisse surrogato
        Severo Piniano. Vedi _Anecd. Latin._,
        tom. I, dissert. VI.
  386 Sallustio, il dì 11 di giugno; e Piniano il 6
        di luglio, secondo il Codice Teodosiano.
  387 Piniano, si può credere, essendo una legge
        nel Codice Teodosiano a lui indirizzata
        nel gennaio.
  388 Fabio Tiziano, forse.
  389 _e seg._ Albino, secondo il Codice Teodosiano.
  391 Albino, si truova nelle leggi del Codice Teodosiano
        in febbraio; e il 14 di luglio Alipio,
        chiamato in una iscrizione del Grutero,
        Faltono Probo Alipio.
  392 _e seg._ È ignoto.
  394 Il Codice Teodosiano ci fa vedere più d'un
        prefetto nel presente anno: Basilio; poi
        Andromaco: finalmente Fiorentino.
  396 Fiorentino, secondo il Codice Teodosiano.
  399 _e seg._ Flaviano, secondo il detto Codice.
  401 Andromaco.
  402 Flavio Macrobio Longiniano, ci mostra una
        iscrizione Gruteriana alla pag. 165.
  406 Flavio Pisidio Romolo, secondo un'iscrizione
        del Grutero alla pag. 287, n. 1.
  407 Epifanio, secondo il Codice Teodosiano.
  408 Ilario, dal codice Teodosiano. Zosimo ci dà
        Pompeiano.
  409 Bonosiano secondo il Codice Teodosiano.
        Dopo varii torbidi in quest'anno fu poi
        creato prefetto di Roma Attalo, in alcune
        medaglie detto Prisco Attalo. Questi dichiarato
        imperadore effimero creò Marciano.
  410 _e seg._ Bonosiano apparisce dal Codice Teodosiano.
  412 Palmato, Codice Teodosiano.
  414 Eutichiano prima, se non v'ha errore nelle
        leggi del Codice Teodosiano, poscia Albino;
        indi Epifanio. Anche Olimpiodoro
        fa menzione d'Albino.
  415 Gracco, dalle leggi del Codice Teodosiano.
  416 Probiano, si vede nel detto codice.
  419 Simmaco.
  421 Volusiano, da un editto di Costanzo Augusto
        a lui indirizzato in quest'anno, fatto contro
        de' Pelegiani.
  425 Fausto, dal Codice Teodosiano.
  426 Albino, dal detto Codice.
  434 Volusiano che morì in quest'anno, dopo
        aver ricevuto il battesimo per opera di
        Melania sua nipote e di Proclo vescovo
        di Costantinopoli.
  467 Terenzio che portò le imagini di Antemio
        imperatore a Costantinopoli, in segno che
        era stato accettato imperadore. Dalla Cronica
        Alessandrina.
  468 Apollinare Sidonio, in ricompensa del Panegirico
        dell'imperadore Antemio.
  532 Salvanzio, dalla lettera XVI del re d'Italia
        Atalarico.
  590 Il fratello o pur germano di nome di S. Gregorio
        I papa.
  600 Giovanni gloriosissimo prefetto di Roma.
        Dalla lettera VI, lib. 10 di S. Gregorio I
        papa a Teodoro curator di Ravenna, scritta
        o su 'l fine del precedente, o in principio
        del presente anno.

Mancano da qui innanzi i prefetti coll'usato ordine; solamente se ne
accenna alcuno in certi anni, come nel 965 un prefetto di Roma, ma
senza nome, da cui fu messo prigione papa Giovanni XIII; e nel 967
un Roffredo con suo incognito successore; e fino nel 1353 si nomina
prefetto di Roma Giovanni da Vico. All'anno 1015 vedrai un certo
Giovanni; e qual fosse la dignità e l'uffizio dei prefetti.



TAVOLA CRONOLOGICA

DEI DOGI DI VENEZIA


An. di Cristo

   679 Paoluccio Anafesto.
   717 Marcello Tegaliano.
   726 Orso Ipato.
   742 Deusdedit o sia Teodato Ipato.
   755 Galla.
   756 Domenico Monegario.
   764 Maurizio Galbaio.
   804 Obelerio.
   811 Angiolo Particiaco o sia Participazio.
   820 Giustiniano.
   829 Giovanni I.
   837 Pietro Tradonico.
   864 Orso I Particiaco o sia Participazio.
   877 Giovanni II.
   887 Pietro I Candiano.
   888 Pietro Tribuno.
   912 Orso II Particiaco o sia Participazio.
   932 Pietro II Candiano.
   939 Pietro Badoero o Particiaco.
   942 Pietro III Candiano.
   959 Pietro IV Candiano.
   976 Pietro I Orseolo.
   978 Vitale Candiano.
   979 Tribuno Memmo.
   991 Pietro II Orseolo.
  1009 Ottone Orseolo.
  1026 Pietro Barbolano o sia Centranico.
  1032 Domenico Fabianico o Flabanico.
  1043 Domenico Contarini.
  1071 Domenico Silvio.
  1084 Vitale Faledro o Faliero detto Dodoni.
  1096 Vitale Michele.
  1102 Ordelafo Faledro o Faliero.
  1117 Domenico Michele.
  1130 Pietro Polano.
  1149 Domenico Morosini.
  1156 Vitale II Michele.
  1172 o 1173 Sebastiano Ziani.
  1179 Aureo o sia Orio Mastropietro o Malipiero.
  1192 Arrigo o sia Enrico Dandolo.
  1205 Pietro Ziani.
  1229 Jacopo Tiepolo
  1249 Marino Morosini.
  1253 Rinieri Zeno.
  1268 Lorenzo Tiepolo.
  1275 Jacopo Contarini.
  1280 Giovanni Dandolo.
  1289 Pietro Gradenigo.
  1311 Marino Giorgi.
  1312 Giovanni Soranzo.
  1328 Francesco Dandolo.
  1339 Bartolammeo Gradenigo.
  1343 Andrea Dandolo.
  1354 Marino Faliero.
  1355 Giovanni Gradenigo.
  1356 Giovanni Dolfino.
  1361 Lorenzo Celsi.
  1365 Marco Cornaro.
  1367 Andrea Contarini.
  1382 Michele Morosini.
  1382 Antonio Veniero.
  1400 Michele Steno.
  1413 Tommaso Mocenigo.
  1423 Francesco Foscari.
  1457 Pasquale Malipiero.
  1462 Cristoforo Moro.
  1471 Niccolò Tron.
  1473 Niccolò Marcello.
  1474 Pietro Mocenigo.
  1476 Andrea Vendramino.
  1478 Giovanni Mocenigo.
  1485 Marco Barbarigo.
  1486 Agostino Barbarigo.
  1501 Lionardo Loredano.
  1521 Antonio Grimani.
  1523 Andrea Gritti.
  1538 Pietro Lando.
  1545 Francesco Donato.
  1553 Marc'Antonio Trivisano.
  1554 Francesco Veniero.
  1556 Lorenzo de' Priuli.
  1559 Girolamo Priuli.
  1567 Pietro Loredano.
  1570 Luigi Mocenigo.
  1577 Sebastiano Veniero.
  1578 Niccolò da Ponte.
  1585 Pasquale Cicogna.
  1595 Marino Grimani.
  1606 Lionardo Donato.
  1612 Marc'Antonio Memmo.
  1615 Giovanni Bembo.
  1618 Niccolò Donato.
  1618 Antonio Priuli.
  1623 Francesco Contarini.
  1625 Giovanni Cornaro.
  1629 Niccolò Contarini.
  1630 Francesco Erizzo.
  1646 Francesco Molino.
  1655 Carlo Contarini.
  1656 Francesco Cornaro.
  1656 Bertuccio Valerio.
  1658 Giovanni Pesaro.
  1659 Domenico Contarini.
  1675 Niccolò Sagredo.
  1676 Luigi Contarini.
  1684 Marc'Antonio Giustiniano.
  1688 Francesco Morosini.
  1694 Silvestro Valerio.
  1700 Luigi II Mocenigo.
  1709 Giovanni Cornaro.
  1732 Sebastiano Mocenigo, detto da alcuni Alvise.
  1732 Carlo Ruzzini.
  1735 Luigi Pisani.
  1741 Pietro Grimani.



TAVOLA CRONOLOGICA

DEI DOGI DI GENOVA


An. di Cristo.

  1339 Simone o sia Simonino Boccanegra.
  1344 Giovanni da Murta.
  1350 Giovanni di Valente.
  1363 Gabriello Adorno.
  1370 Domenico da Campofregoso.
  1378 Niccolò di Guarco.
  1383 Lionardo da Montaldo.
  1384 Antoniotto Adorno.
  1390 Jacopo da Campofregoso.
  1392 Antonio di Montaldo.
  1395 Niccolò di Zoaglio.
  1413 Giorgio Adorno.
  1415 Barnaba da Goano.
  1415 Tommaso da Campofregoso.
  1436 Isnardo Guarco.
  1443 Rafaello Adorno.
  1447 Barnaba Adorno.
  1447 Giano da Campofregoso,
  1448 Lodovico da Campofregoso,
  1450 Pietro da Campofregoso.
  1461 Prospero Adorno.
  1461 Spineta Fregoso.
  1462 Paolo Fregoso arcivescovo.
  1478 Batistino Fregoso.
  1507 Paolo Novi.
  1512 Giano Fregoso.
  1513 Ottaviano Fregoso.
  1522 Antoniotto Adorno.

Non continuata la serie, si accenna nel 1685; Francesco Maria
Imperiali, obbligato da Luigi XIV a portarsi in Francia, e si nomina il
doge Brignole nel 1746.



INDICE DELLE MATERIE

CONTENUTE NEGLI ANNALI D'ITALIA


N.B. IL NUMERO ROMANO INDICA IL VOLUME; L'ARABICO LA COLONNA.


A

Abanto, o Amando, generale della flotta navale di Licinio, è sconfitto
e disperso, I, 1161.

Abbati nel secolo settimo non godeano l'uso dei pontificali, II, 1235.

Abdila, principe de' Saraceni. Sua libidine punita, III, 749, 750.

Abgaro re di Edessa, I, 417. Venuto a Roma sotto Antonino Pio, 522.

Abimelec, califfo de' Saraceni, III, 71, 78, 86. Sua morte, 121.

Abimelec, principe de' Saraceni, III, 750. È legato e posto in una nave
da' suoi, 755.

Ablavio, prefetto del pretorio, ucciso, I, 1221.

Abondanzio, vescovo di Paterno, III, 55.

Abramo, venerato da Alessandro Severo imperadore, I, 766.

Abubacare, califfo de' Saraceni, II, 1207.

Acacio, patriarca di Costantinopoli, II, 671. Fautore dell'eresia, 685.
Scomunicato, 689. Fine de' suoi giorni, 699. Suo nome cancellato dai
dittici, 730.

Accademia di lettere istituita in Roma, VI, 36.

Accon, o sia Tolemaide, assediata dai cristiani, IV, 909, 917. Presa
infine da essi, 926. Ripigliala dai Saraceni, V, 213.

Acefali, eretici, II, 749, 938.

Achilleo (Lucio Epidio), efimero imperadore, I, 966. Usurpa l'imperio
in Egitto, 1024. Sconfitto da Diocleziano Augusto, 1089. È ucciso,
_ivi_.

Acindino (Settimio), prefetto di Roma, I, 1033.

Acindino, console. Sua avventura, I, 1226.

Acquidotti, maravigliosa impresa di Claudio Augusto, I, 187.

Adalardo, abbate di Cerbeia, riprova le nozze di Carlo Magno, III,
305, 306. Primo ministro di Pippino re d'Italia, 408, 482, 488, 492.
Relegato in un'isola, 494.

Adalardo juniore, conte del palazzo, III, 538, 548.

Adalardo, vescovo di Verona, scomunicato, III, 786.

Adalberone, arcivescovo di Treveri, IV, 84.

Adalberone, duca di Carintia e marchese di Verona, IV, 95. Suoi
placiti, 100, 121. Sconfitto da Corrado in Germania, 124. È deposto,
182.

Adalberone, vescovo di Virtzburg, IV, 430.

Adalberto I, duca di Toscana, III, 651, 689, 778. Sua prepotenza in
Roma, 796. È scomunicato, 798, 799. Suoi genitori, mogli e figli, 843.

Adalberto II, marchese e duca di Toscana, impetra un diploma da Guido
re d'Italia, III, 883. Come accolto da Arnolfo re di Germania, 899,
900. Sua congiura contra di lui, 909. Muove l'armi contra di Lamberto
Augusto, ed è fatto prigione, 926. Liberato dal re Berengario, 934.
A cui presta aiuto contro di Lodovico re di Provenza, 937, 942, 943.
Poscia promuove la rovina d'esso Lodovico, 952. Manca di vita, 998.

Adalberto, vescovo di Bergamo, III, 899, 974, 1014.

Adalberto, marchese d'Ivrea, favorisce Lodovico re di Provenza contra
del re Berengario, III, 936. Poscia cangia mantello, 951. La moglie sua
Ermengarda figlia di Adalberto II duca di Toscana, 999. Sua congiura
contra di Berengario, 1010. Manca di vita, 1025.

Adalberto, vescovo di Lucca, III, 1086.

Adalberto, figlio di Berengario, dichiarato re d'Italia col padre, III,
1112. Si oppone coll'armi alla calata di Ottone il Grande in Italia,
1151. Fugge qua e là da esso Ottone, 1158. Ricevuto in Roma da papa
Giovanni XII, 1163. Suoi vani tentativi in Lombardia, 1172. Ricorre
alla corte del greco Augusto, 1186. Mai non si quietò finchè visse,
1187.

Adalberto, vescovo di Bologna, III, 1195, 1207.

Adalberto marchese, figlio di Oberto I marchese, III, 1203; IV, 17. Uno
degli antenati della casa d'Este, _ivi_, 67.

Adalberto, marchese, creato duca di Sassonia, IV, 271.

Adalberto, duca della Lorena inferiore, ucciso, IV, 243.

Adalberto, arcivescovo di Brema, IV, 314, 353.

Adalberto, vescovo di Vormazia, IV, 390.

Adalferio (Santo), primo abbate della Cava. _V._ Alferio (Santo).

Adaloardo figlio del re Agilolfo. Sua nascita, II, 1118. Suo battesimo,
1123. Doni a lui inviati da san Gregorio, 1129. Proclamato re, 1132.
Succede nel regno al padre, 1158. Sua morte, 1178. Cagion d'essa,
_ivi_.

Adamo, abbate di Casauria, III, 1234.

Adelaide, figlia di Rodoaldo duca di Benevento, III, 267.

Adelaide, figlia di Rodolfo II re di Borgogna, promessa in isposa a
Lottario, figlio di Ugo re di Italia, III, 1058, 1072, 1074. Resta
vedova, 1113. Imprigionata da Berengario re d'Italia, 1115. Fuggita
dalla carcere, si ricovera in Canossa, 1117, 1118. Liberata e presa
in moglie da Ottone il Grande re di Germania, 1118, 1121, 1177, 1206,
1211. Sue dissensioni e pace col figlio, 1219, 1228, 1231, 1261, 1272;
IV, 37.

Adelaide (chiamata _Prassede_), moglie di Arrigo IV, IV, 438.
Maltrattata da lui, 456. Fugge e si ricovera presso la contessa
Matilda, 461, 463.

Adelaide, marchesa di Susa, moglie di Erimanno duca di Suevia, IV, 189.
Resta vedova, 198. Fonda il monistero di Santa Maria di Pinerolo, 318.
S'impadronisce d'Asti, 342. Acquista cinque città, 375. Va a Canossa,
377. Termina il corso di sua vita, 448.

Adelaide, figlia di Bonifazio marchese, maritata con Ruggieri conte di
Sicilia, IV, 446, 455. Sua alterigia, 490, 497. Si marita con Baldovino
re di Gerusalemme, e resta delusa, 541. Sua morte, 542.

Adelaide, figlia di Roberto conte di Fiandra, moglie di Ruggieri duca
di Puglia, IV, 459.

Adelao, o Audelao, duca di Benevento, III, 163.

Adelardo, vescovo di Reggio, III, 1100, 1107. Ricovera Adelaide regina
in Canossa, 1118.

Adelberto, vescovo aretino, dianzi usurpatore della chiesa di Ravenna,
IV, 101.

Adelfio (Clodio), prefetto di Roma, II, 42.

Adelgiso, figlio del re Desiderio, creato collega nel regno, III, 273,
274, 301. Fugge alla comparsa di Carlo Magno, 314, 315. È assediato in
Verona, 316. Si mette in salvo, ritirandosi a Costantinopoli, 320. Ivi
è chiamato Teodoro, 325, 373. Fine de' suoi giorni, 374.

Adelgiso, principe di Benevento, III, 672. È sconfitto dai Saraceni,
680, 681. Compra la pace da essi, 699. Accoglie Lodovico II Augusto,
712. Ricupera Bari, 732, 733. Imprigiona esso Augusto, 740. Il
rilascia, 741. Guerra intimata contra di lui, 748. Va in aiuto de'
Salernitani, 749. Dà una rotta ai Saraceni, 751. Fa pace coll'imperador
Lodovico, 756. Malmenato dai Saraceni, 775. Da essi sconfitto, 777. Fa
patti con loro, 785. Sua morte violenta, 807.

Adelgiso, vescovo di Como, III, 1263.

Ademario, principe di Salerno, III, 669. Aiuta Sergio duca di Napoli,
692. Imprigionato e deposto, 696, 709. Gli son cavati gli occhi, 712.

Ademario, principe di Capoa, poco godè del suo principato, IV, 38.

Adeodato papa. Sua elezione, III, 40. Passa a miglior vita, 45.

Adeodato, vescovo di Siena, III, 144, 151.

Adeverto, vescovo di Padova, III, 1088.

Adige, fiume. Sua sterminata escrescenza, II, 1070, 1071.

Adolfo di Nassau, creato re di Germania e dei Romani, V, 218. Crea
vicario generale della Lombardia Matteo Visconte, 231. E della Toscana
Giovanni da Caviglione, 248. Ucciso in una battaglia, 254.

Adone, o Aldone, governatore del Friuli, III, 91. Sua morte, 94.

Adozion d'onore, come praticata una volta, III, 68.

Adrevaldo, abbate noviacense, III, 597.

Adriano (Publio Elio), che fu poi imperadore. Sua nascita, I, 310.
Porta a Traiano la nuova della adozione d'esso fatta da Nerva, 380.
Varii suoi impieghi, e speranza di succedere a Traiano, 408. A cui
serve di segretario, 409. Governatore della Soria, 429. È promosso
all'imperio, 432. Sua gioventù e sue qualità, 434. Pace da lui data
al re Cosdroe, 436. Ritorna a Roma, 437. Spettacoli da lui dati, 439.
Sua liberalità e applicazione al governo, _ivi_, 440. Va alla guerra
contro i Sarmati, 441. Congiura contro di lui, 442. Iniquamente leva la
vita ad Apollodoro architetto, 444. Sua incostanza, 445. Sue lodevoli
qualità, 446. Dà principio ai suoi viaggi, 448. Sua perizia nell'arte
militare, 449. Passa nella Bretagna, 450. E in Ispagna, 452. Va in
Oriente e fa benefizii a tutte quelle città, 454. Si restituisce
a Roma, 456. Passa in Africa, poi torna a Roma, 457. Si rimette in
viaggio per visitare la Grecia e l'Asia, 458. Amatore, ma volubile,
dei letterati, 459. Va nell'Egitto, e sue pazzie per Antinoo, 462, 463.
Contra di lui si ribellano i Giudei, 464. Fine di quella guerra, 470,
471. Torna a Roma, 472. Buon governo e fabbriche da lui fatte, 474.
Adotta in suo figliuolo Lucio Ceionio Commodo, 474. Sua malattia, e
ritiro a Tivoli, 476, 477. Sue crudeltà, 481. Suo celebre motto, 484.
Fine di sua vita, _ivi_. Deificato, 486, 487.

Adriano I papa. Sua elezione, III, 309. Suo dominio in Roma, 310. Sue
dissensioni col re Desiderio, 311, 312. Non gli mantien le promesse
Carlo Magno, 326. Donazione di Costantino da lui citata, 332. Sue
querele contro Leone arcivescovo di Ravenna, 334. Suoi legati a
Tassilone duca di Baviera, 344, 345, 365. Sua lettera a Carlo Magno,
367. Altre città a lui promesse da Carlo, _ivi_. Ma non ottenute, 372.
Doglianze sue ad esso Carlo, 378. Passa a miglior vita, 398.

Adriano II papa. Sua elezione, III, 714. Suo concilio, 717. Ingiuria
a lui fatta da Anastasio cardinale, 718. Sua costanza nell'affare
di Lottario duca di Lorena, 724. Suoi legati a latere in favore di
Lodovico II Augusto, 726. Suo disegno in favore di Carlo Calvo, 743.
Muore, 744. Coronò Lodovico II per la Lorena, 747. Mise l'interdetto in
Napoli, 753.

Adriano III papa. Sua elezione, III, 840. Concilio da lui celebrato,
846. Passa a miglior vita, 847.

Adriano IV papa. Sua elezione, IV, 717. Scomunica il re di Sicilia,
723. Suo abboccamento col re Federigo I, 727. A cui dà la corona
imperiale, 728. Muove guerra al re di Sicilia, 730, 731. Rifiuta
l'accordo proposto da esso re, 735. Con cui fa pace, 736. Sue liti con
Federigo Augusto, 738. Manda a pacificarlo, 743. Nuova discordia fra
loro, 753. Dà fine al suo vivere, 755.

Adriano V papa. Sua elezione e morte, V, 115, 116.

Adriano VI papa. Sua creazione, VI, 376, 377. Suo arrivo a Roma, 389.
Sua lega coll'imperadore, ed è chiamato a miglior vita, 392, 393.

Adriano, cardinale di Cornetto avvelenato, VI, 199.

Adulazione, propria delle corti, I, 387.

Advento (Oclatino), prefetto del pretorio sotto Caracalla, I, 743.
Console, 746, 747.

Aezio, genero di Severo Augusto, I, 653.

Aezio, maggiordomo di Giovanni tiranno, spedito agli Unni, II,
454. Passa al servizio di Valentiniano III, 460. Fa ritirare i Goti
dall'assedio di Arles, 485. Con frode abbatte Bonifazio conte, 468. Si
scopre il suo inganno, 474. Generale di Valentiniano III, 476. Console,
482. Fa duello con Bonifazio, e si ritira fra i Barbari, 483,484.
Creato di nuovo generale, 486. Rotta da lui data ai Borgognoni, 491.
Altre sue imprese nelle Gallie, 496, 500. Suoi preparamenti contro
Attila, 551. È ucciso, 572.

Africa, occupata dai Vandali, II, 471. Vizii di quei popoli, 503.

Agano, conte di Lucca, III, 605.

Agapito papa. Sua elezione, II, 857. Dal re Teodato è inviato a
Costantinopoli, 861. Dove manca di vita, 863.

Agapito II papa. Sua elezione, III, 1101. Concilio da lui tenuto, 1109.
Fine di sua vita, 1134.

Agatone, vescovo di Grado, II, 1219.

Agatone papa. Sua elezione e concilio, III, 52. Concilio da lui
tenuto in Roma, 54. Concilio VI generale tenuto per cura sua in
Costantinopoli, 59. Passa da questa all'altra vita, 64.

Agatone, duca di Perugia, III, 222, 224.

Agatone, vescovo di Todi, III, 676.

Ageltruda, moglie di Guido imperadore, III, 884. Si oppone in Roma ad
Arnolfo re di Germania, 909. Si fortifica nel ducato di Spoleti, 912.
Governa Benevento, 918. Sua concordia col re Berengario, 934. Abita nel
ducato di Spoleti, 946.

Agilolfo, duca di Torino, preso per marito dalla regina Teodelinda,
II, 1081. È proclamato re, 1083. Riscatta i suoi sudditi condotti
in Germania, _ivi_, 1084. Ricupera Perugia, 1088. Porta la guerra
fin sotto Roma, 1090. Ariano di credenza, tuttavia ben affetto ai
cattolici, 1092. Fa pace coi Romani, 1105. Quando abbracciasse la fede
cattolica, 1107. Fa pace cogli Unni, 1112.

Agilolfo, re dei Longobardi, prende e distrugge Padova, II, 1114,
1115. Fa guerra ai Romani, 1115. Nascita e battesimo di Adaloardo suo
figlio, 1118, 1123. Sua corona d'oro in Monza, 1125. Acquista e dirocca
Cremona, 1126. Ricupera Mantova, 1126, 1127. Fa tregua coi Romani,
1128. Lega coi Franchi, 1137. Protegge san Colombano abbate, 1149.
Che per lui scrive al papa, 1153. Fine di sua vita, 1156. In che tempo
accadesse, 1157.

Agiprando, duca di Chiusi, III, 229.

Agnello, Vescovo di Trento, II, 1083.

Agnello, storico malaffetto verso la Sede apostolica romana, III, 26,
27, 40, 47, 58. Sua favola, 102, 103, 127.

Agnese imperadrice, moglie di Arrigo II fra gli imperadori, IV, 204.
Coronata in Roma, 231. Partorisce Arrigo IV, 248. Tutrice del medesimo
dopo la morte del padre, 278. Sdegnata per la elezione di Alessandro II
papa, 301. Le vien rapito Arrigo IV suo figlio, 306. Passa a Roma, e fa
penitenza, 308. Sua morte 380.

Agobardo, arcivescovo di Lione, III, 588. È deposto, 591.

Agobardo, dottissimo vescovo di Lione, scrive contro i duelli, II, 740.

Agone, duca del Friuli, II, 1248, 1272. Sua morte, III, 17.

Agostino (Santo), vescovo, maestro di retorica in Milano, II, 250,
255. Sant'Ambrogio gli conferisce il battesimo, 268. Creato vescovo
di Ippona, 328. Difende il cristianesimo dalle calunnie de' gentili,
401, 423. Scrive contro i Pelagiani, 441, 460. Amicissimo di Bonifazio
conte, 467. Fine di sua vita, 478. Traslazione del suo corpo a Pavia,
III, 167.

Agostino, monaco, inviato da san Gregorio a convertir l'Inghilterra
alla fede di Cristo II, 1099.

Agostino Barbarigo, doge di Venezia, VI, 96. Sua pia morte, 190.

Agostino Valerio, vescovo di Verona, creato cardinale, VI, 794.

Agricola (Gneo Giulio), figlio di Grecino senatore, I, 120. Console, e
suocero di Cornelio Tacito, 312. Governatore della Bretagna, 313. Varie
sue imprese, 331, 333. Richiamato a Roma, 334. Fine di sua vita, 335,
352.

Agricola (Calpurnio), generale di Marco Aurelio nella Bretagna, I, 530.

Agrippa (Marco Vipsanio), genero e confidente di Cesare Augusto, I, 2.
Sua morte, 10.

Agrippa, figlio di Marco Agrippa, adottato da Tiberio, I, 15. È
relegato nell'isola della Pianosa, _ivi_, 24. Ucciso, 42.

Agrippa fratello di Tiridate, già re dell'Armenia, imprigionato, I,
108. Liberato da Caligola, è creato re, 116. Arti sue per far Claudio
imperadore, 143. È da questo ricompensato, 147. Muore, 161.

Agrippa, re dell'Iturea, I, 310.

Agrippina, moglie di Tiberio, da lui di mal animo ripudiata, I,
10. Appellata anche Vipsania, e maritata con Asinio Gallo, 84 _V._
Vipsania.

Agrippina, moglie di Germanico Cesare, madre di Caligola, I, 45.
Suo animo virile, 49. Sua onestà, 59. Fa processar Pisone, 61, 62.
Relegata, 84. Sua morte, 97.

Agrippina, figlia di Germanico Cesare, madre di Nerone imperadore, I,
59. Maritata con Gneo Domaizio Enobarbo, 80. Disonestamente amata da
Caligola suo fratello, 120. Relegata da lui, 130. Ritorna a Roma, 147.
Diviene moglie di Claudio Augusto, 178. Dichiarata Augusta, 181. Fonda
la colonia Agrippina, 182. Col veleno leva di vita il marito Claudio,
193. Tenuta in freno da Burro e da Seneca, 196, 197. Sue rotture col
figlio, 199. Da lui abbassata, 200. Tentativi di lui per torla dal
mondo, 211. Nave congegnata per farla affogare, 212. Uccisa finalmente
per ordine del figlio, 214.

Agrippino (Fabio), governatore della Soria, occiso da Elagabalo, I, 755.

Aicardo, vescovo di Parma, III, 1005.

Aicardo, arcivescovo di Milano, V, 514. Sua morte, 566.

Aimerico, cancelliere, IV, 654.

Aimerigo, arcivescovo di Ravenna, V, 457.

Aimone, vescovo di Ginevra, V, 350.

Aione, duca di Benevento, II, 1231. Ucciso dagli sclavi, 1232.

Aione, vescovo di Salerno, III, 623.

Aione, vescovo di Benevento, III, 785.

Aione, principe di Benevento, III, 843. Imprigionato da Guido duca di
Spoleti, 854. Ricupera Bari, e fa altre imprese, 873, 875. È sconfitto
dai Greci, 874. Termina il corso di sua vita, 884.

Alachi, duca di Trento. Sua vittoria sui Bavaresi, e ribellione contro
il re Bertarido, III, 60. Usurpa la corona al re Cuniberto, 79, 80. Sua
malvagità, 80, 81. Battaglia da lui data ad esso Cuniberto, 84. In cui
muore, 85.

Alamanni o Alemanni, I, 725. Sotto Teoderico re vengono ad abitar
nell'Italia, 729.

Alarico, capo de' Goti, saccheggia le provincie romane, II, 325,
326. Generale di Arcadio Augusto, 330. Dichiarato re dai Goti, 350,
359. Occupa alcune città d'Italia, 361. Sconfitto in più battaglie
da Stilicone, 363, 364. Con cui tiene poi delle trame segrete, 376.
Sue minaccie contra di Onorio Augusto, 383. Assedia Roma, 389. Suo
trattato coi Romani, 391, 396. Prende e saccheggia Roma, 400. Sua morte
subitanea, 406.

Alarico, re dei Visigoti, II, 691. Prende in moglie una figlia del re
Teoderico, 716. Sconfitto e morto in una battaglia coi Franchi, 765.

Alberghettino de Manfredi, signor di Faenza, V, 465. Cede quella città
all'armi del papa, 491.

Alberico, marchese di Camerino, III, 976. Concorre a cacciare dal
Garigliano i Saraceni, 996, 997. Fu padre di Alberico che divenne
principe di Roma, 999. Dono da lui fatto al monistero di Farfa, 1006.
Fine di sua vita, 1029.

Alberico, figlio di Alberico marchese, che fa poi principe di Roma,
III, 999, 1030. Proclamato principe, 1054. Caccia da Roma il re Ugo,
1055. E la sostiene contra di lui, _ivi_. Usurpa tutto il dominio di
Roma, 1066. Difende questa città, e fa pace col re Ugo, 1067. Rimette
in buon sesto il monastero di Farfa, 1078. Guerra a lui continuata da
esso re Ugo, 1085. Poscia con lui fa pace, 1101. Cessa di vivere, 1131.

Alberico, vescovo di Como, IV, 123. Compra la badia della Novalesa, 169.

Alberico, abbate di San Zenone di Verona, IV, 239.

Alberico, abbate del monistero di San Benedetto di Polirone, IV, 499,
535.

Alberico da Romano, comincia la sua potenza in Trivigi, IV, 1156. Va
in soccorso di Parma, 1202. E di Padova, 1257. Fa lega con Eccelino suo
fratello, 1263. Dopo la cui morte è scacciato dai Trivisani, V, 16. Che
l'assediano, e gli levano la vita, 24.

Alberico, conte di Barbiano, interviene al sacco di Cesena, V, 755. Dà
una rotta ai Bretoni, 770, 780. Barbaricamente dà il sacco ad Arezzo,
786. Contestabile del regno di Napoli, 798. Va al servigio del papa,
836. Sconfitto e preso in un fatto d'armi, 851. Va al servigio del duca
di Milano, 870. Fa guerra ai Fiorentini, 873. Al signor di Mantova,
877, 878. Al signor di Faenza, 896.

Albericone, vescovo di Reggio, IV, 835.

Alberoni (Giulio), creato cardinale, VII, 278. Accusato come autore
della guerra mossa dal re Cattolico all'imperadore, 279. Crescono
le mormorazioni contra di lui, 283. Sue grandi idee contra di varii
potentati, cagione della quadruplice alleanza contro la Spagna,
289. Sue mire per ingrandire la Spagna, 296. Licenziato dalla corte
di Spagna, viene a Genova, 297. Si salva dall'ira di papa Clemente
XI, 303. Ito a Roma, risorge, 306. Legato di Ravenna, 417. Tenta di
sottomettere al dominio pontifizio la repubblica di San Marino, 458.

Alberto duca, governatore di Lucca, III, 258.

Alberto Azzo, marchese progenitore de' principi estensi, _V._ Azzo II.

Alberto, poscia arcivescovo di Magonza, uomo scellerato, IV, 529.
Sollevazioni da lui mosse contro Arrigo V, 581.

Alberto marchese e duca di legge salica, IV, 605. Investito dei beni e
Stati della contessa Matilda, _ivi_.

Alberto, marchese d'Este, IV, 722, 864.

Alberto, vescovo di Lodi, IV, 817.

Alberto, arcivescovo di Ravenna, IV, 994

Alberto da Reggio, vescovo e governatore di Brescia, IV, 1022.

Alberto dalla Scala, signor di Verona, V, 125,191, 232, 263. Sua morte,
275.

Alberto Scotto, divien signore di Piacenza, V, 208. Manda aiuti
a Parma, 238. Collegato con Matteo Visconte, 263. Opprime Matteo
Visconte, 278. Acquista Bergamo e Tortona, 280. Indarno assiste ad esso
Visconte, 287. È scacciato dai Piacentini, 293. Ripiglia il dominio di
quella città, 328. Ne è cacciato, 334, 348. Per la terza volta si fa
signor di Piacenza, 358. Spogliato di quel dominio e de' suoi beni, va
ramingo, 368. Fine del suo vivere, 394.

Alberto I, figlio di Ridolfo re de' Romani, duca di Austria, V, 212.
Succede al padre, 214. Sue liti con Adolfo re de' Romani, 253. Eletto
re, uccide l'emulo in una battaglia, 254. Rimesso in grazia di papa
Bonifazio, 278, 281. È ucciso da suo nipote, 316.

Alberto II dalla Scala, signor di Verona, Padova, ec., V, 486.
Collegato cogli Estensi, 507. Signoria di Parma a lui data, 525. Fatto
prigione dai Veneziani, 536. Rimesso in libertà, 543. Fa guerra a
Mantova, 556. Sua morte, 625.

Alberto, marchese d'Este, signor di Ferrara, V, 825. Collegato col
conte di Virtù, 837. Si ritira dalla lega col conte di Virtù, 841. Dà
fine al suo vivere, 857.

Alberto II, duca d'Austria, creato re de' Romani, V, 1127. Immatura sua
morte, 1136.

Alberto Pio, signor di Carpi, nemico della casa di Este, VI, 267, 356,
394, 409.

Albino (Clodio). Sua vittoria de' popoli barbari, I, 597, 609. Brama di
rimettere in piedi la repubblica romana, 631. Creato Cesare da Severo
Augusto, 644. È console, 649. Acclamato imperadore, 666. Sconfitto da
Severo, 667. Si uccide, 669.

Albino (Nummio), prefetto di Roma, I,911.

Albino (Ceionio Rufio), console e prefetto di Roma, I, 1204, 1207.

Albino, prefetto di Roma, II, 281, 286, 292.

Alboino, re de' Longobardi. Suo gran credito, II, 977. Vince ed
uccide Cunimondo re de' Gepidi, 986. Fama ch'egli fosse chiamato in
Italia da Narsete, 992. Sua risoluzione di conquistar l'Italia, 995.
Suo armamento, 696. Suo ingresso e sue conquiste in Italia, 998.
S'impadronisce di quasi tutta la provincia della Venezia, 1000. Assedia
Pavia, 1004. Stende il suo dominio per l'Emilia, Toscana ed Umbria,
1006. Se gli rende Pavia, 1010. Tempo della sua morte, 1012. Cagione e
maniera d'essa, 1014, 1015.

Alboino, duca di Spoleti, III, 268, 272.

Alboino dalla Scala, signor di Verona, V, 295. Fa guerra al marchese
d'Este, 303. Vicario di quella città, cessa di vivere, 351.

Alcimo Ecdicio Avito, vescovo di Vienna, II, 719.

Aldone, nobile longobardo, ribello al re Cuniberto, III, 79. Poscia a
lui favorevole, 81. Sospetti del re contra di lui, 93.

Aldrovandino, marchese d'Este, succede ad Azzo VI suo padre, IV, 1018.
Ritiene la signoria di Verona, 1021. Guerra a lui fatta dai Padovani,
_ivi_. Investito della marca d'Ancona, 1024 È rapito dalla morte, 1026.

Aldrovandino, marchese d'Este, succede al padre nella signoria di
Ferrara, V, 634. Collegato con Giovanni da Oleggio, 648, 649, 652. Sua
morte, 684.

Aldruda, contessa di Berlinoro, IV, 841.

Aledramo, primo marchese del Monferrato, III, 1150, 1185.

Alessandria d'Egitto, assediata e presa dai Saraceni, II, 1223.

Alessandria della Paglia. Sua fondazione, IV, 818. Assediata da
Federigo I imperadore, 838, 843. Frode e tentativo di lui per
sorprenderla, 844. Liberata dall'assedio, 845. Suo primo vescovo, 847.
Chiamata Cesarea per qualche tempo, 883.

Alessandrini, vittoriosi degli Astigiani, IV, 1070, 1081. Si rinnova
la guerra, 1097, 1191. Prendono e fanno morire Guglielmo marchese di
Monferrato, V, 206.

Alessandro (Tiberio), governatore dell'Egitto, I, 276.

Alessandro I papa, I, 408. Suo martirio, 427.

Alessandro, famoso impostore in Oriente, I, 533.

Alessandro (Marco Aurelio Severo), dichiarato Cesare e console, I, 763.
Perseguitato dal cugino Elagabalo Augusto, 764. Difeso da' soldati,
768. Dichiarato imperadore, 769. Suoi assessori e buon governo, 771.
Venerava Cristo ed anche Abramo, 776. Sua insigne massima, _ivi_.
Suo rescritto in favor de' cristiani, _ivi_. Usi e lodevoli azioni in
privato, 777. Quale la sua vita civile, _ivi_, 778. Sue premure per la
pubblica felicità, 784. Sue fabbriche, 787. Ribellioni sotto di lui,
790, 791. Saggia sua distribuzione degli uffizii, 794. Guerra a lui
mossa dai Persiani, 798. Va in Oriente contra di loro, _ivi_. Severo
esattore della militar disciplina, 799. Riporta vittoria dei Persiani,
803. Suo ritorno a Roma, e trionfo, 805. Sua liberalità, 806. Passa
alla guerra contro i Germani, 808. Dove è ucciso dai soldati, 812. Sue
Lodi, _ivi_.

Alessandro, usurpatore dell'imperio nell'Africa, I, 1091. Oppresso
dall'armi di Massenzio 1102.

Alessandro, imperador de' Greci, III, 977. Tempo di sua morte, 984.

Alessandro II papa. Sua elezione, IV, 300. (_V._ Anselmo da Badagio.)
Concilio da lui tenuto, 314 Privilegii da lui conceduti a Lucca, 318.
Suo concilio in Mantova, 329. E in Melfi, 338. Dedica la basilica di
Monte Casino, 347. Sua morte, 355.

Alessandro, abbate di Telesa e storico, IV, 632.

Alessandro III, papa. Sua elezione, IV, 756. Suoi nunzii rigettati da
Federigo Augusto, 761. Niega d'intervenire al concilio proposto da
lui, 764. Scomunica esso Federigo, 765. Si ritira a Genova, 770. Va
in Francia, ed è protetto da quel re, 780. Celebra un concilio nella
città di Tours, 784. Torna in Italia e a Roma, 793. Suoi trattati col
greco Augusto, 799. Si premunisce contra di Federigo, 806. Assediato
in Roma, 807. Fugge a Benevento, 809. In suo onore Alessandria nomata
una nuova città, 818. Tratta con lui Federigo di pace, 824. Suo accordo
co' Romani, dai quali è burlato, 831. Legati a lui spedili da Federigo
I per trattare di pace, 854. Va per questo a Venezia, 858. Dove si
celebra la pace fra lui e l'imperadore, 861. Favole intorno al loro
congresso, 863. Torna ad Anagni, 864. Poscia a Roma, 865. Concilio
generale lateranense da lui tenuto, 870. Chiamato da Dio a miglior
vita, 878.

Alessandro IV papa. Sua elezione, IV, 1243, 1244. Fa guerra a Manfredi
occupator della Puglia, ma con poco vantaggio, 1247, 1251. Promuove la
liberazion di Padova, 1255. Si ritira a Viterbo, 1269. Mette pace fra i
Veneziani e i Genovesi, 1273. Scomunica il re Manfredi, V, 18. Con cui
indarno tratta di pace, 20. Termina i suoi giorni, 27.

Alessandro V papa. _V._ Pietro di Candia.

Alessandro Sforza, fratello del conte Francesco, fa guerra nel
regno di Napoli, V, 1149, 1159. Sua vittoria di Francesco Piccinino,
1170. Eredita Pesaro, 1174. Suo accordo col legato pontifizio, 1179.
Sconfitto da Carlo da Montone, 1227. E da Jacopo Piccinino, 1263. Rotte
da lui date a Jacopo Piccinino, 1267, 1271. Generale del papa, VI, 32.
Fine del suo vivere, 46.

Alessandro VI papa. Sua elezione e difetti, VI, 112. Fa lega col duca
di Milano e coi Veneziani, 115. Favorisce Alfonso II re di Napoli, 118.
Non può ritenere Carlo VIII dal calare in Italia, 119. Suoi affanni per
la di lui venuta, 126. Si accorda con lui, _ivi_. Sua lega contra di
Carlo VIII, 130. Suo esercito sconfitto, 143. Ucciso il duca di Gandia
suo figlio, 144. Cesare suo figlio creato duca di Valenza, 148. Procura
un insigne matrimonio al duca Valentino, 154. Fa guerra ai signori
della Romagna, 158. Celebra il giubileo, 160. Corre pericolo della
vita, 164. Crea duca della Romagna Cesare Borgia suo figlio, 182. Fa
guerra a' Colonnesi ed a' Savelli, 189. Marita Lucrezia sua figlia con
don Alfonso d'Este, 191. Sua morte, 198. Non cagionata da veleno, 199.
Sue doti buone e cattive, 200.

Alessandro Fregoso, vescovo di Ventimiglia, VI, 356.

Alessandro VII papa. Sua elezione, VI, 1195. Chiama a Roma il
fratello e i nipoti, 1203, 1204. Rimette i gesuiti in Venezia, 1209.
Grave impegno de' suoi nipoti co' Franzesi, 1227. Suo armamento per
difendersi, 1232, 1233. Accordo fra essi, 1236. È chiamato da Dio a
miglior vita, 1245.

Alessandro VIII papa. Sua creazione, VII, 81. Sue azioni, 89. Termina
il corso di sua vita, 90.

Alessio Comneno, proclamato imperador de' Greci, IV, 405. Guerra a lui
mossa da Roberto Guiscardo, 406. Sconfitta l'armata sua, 407. Perde
Durazzo, 410. Perde due battaglie, 416, 422. Domanda soccorsi al papa
contro i Turchi, 463. Suoi negoziati in Roma, 539.

Alessio (Angelo), protetto dalla crociata, che prende a stabilirlo
sul trono di Costantinopoli, IV, 981. È condotto colà, 982. Col padre
liberato è eletto imperadore, _ivi_. Poi privato di vita, 984.

Alesto, ossia Alletto, usurpatore dell'imperio nella Bretagna, I, 1033.
Sconfitto ed ucciso dall'esercito di Costanzo Cloro, 1038.

Alfano, arcivescovo di Capos, IV, 856.

Alferio (Santo), primo abbate della Cava, IV, 151. Sua morte, 247.

Alfonso, re di Castiglia, eletto re de' Romani, IV, 1261; V, 32, 95,
100, 105. Suo abboccamento con Gregorio X papa, 110.

Alfonso, re d'Aragona, succede al padre, V, 1007. Indarno assedia
Bonifazio, 1029. È adottato dalla regina Giovanna, 1030. Le manda
soccorsi, _ivi_. Arriva a Napoli, 1036. Fa guerra alla regina, 1044.
S'impadronisce di Napoli, 1046. Dà il sacco a Marsilia, 1047. Perde
Napoli, 1054. Fa pace col duca di Milano, 1068. Estingue lo scisma,
1077. Sbarca in regno di Napoli, 1114. Sconfitto e fatto prigione da'
Genovesi, 1115. È rimesso in libertà dal duca di Milano, 1116. Comincia
la guerra nel regno di Napoli, 1120. Resta sconfitto ad Aversa, 1123.
Indarno assedia Napoli, 1131. Fa guerra al re Renato, 1136, 1149.
S'impadronisce di Napoli, 1157. E di quasi tutto il regno, 1158. Sua
lega con papa Eugenio, 1161. Fa guerra a Francesco Sforza, 1164, 1176.
Poscia ai Fiorentini, 1196, 1202. E ai Veneziani, 1212, 1213. Torna
a farla a' Fiorentini, 1226. E ai Genovesi, 1243. Sua discordia con
papa Callisto, 1247. Accanito contro i Genovesi, 1248. Dà fine al suo
vivere, 1250.

Alfonso, cardinale di Spagna, V, 1027.

Alfonso, duca di Calabria, figlio del re Ferdinando, va in aiuto
di Roberto Malatesta, VI, 33. Fa guerra ai Fiorentini, 64. Loro dà
una sconfitta, 68. Si fa proclamare signore di Siena, 72. Ricupera
Otranto, 74. Va in soccorso del duca di Ferrara, 79. Sconfitto da
Roberto Malatesta, 80. Generale della lega contro i Veneziani, 84. Sua
discordia con Lodovico il Moro, 85. Sua crudeltà e lussuria il fanno
odiare, 90. Fa guerra a Roma, _ivi_. Succede al padre nel regno di
Napoli, 118. Suoi affanni per la venuta di Carlo VIII, 124. Rinuncia la
corona al figlio, 127. Muore, 128.

Alfonso I, principe di Ferrara. Sue nozze con Anna Visconte, VI, 109.
Prende in moglie Lucrezia Borgia, 191. Succede ad Ercole I duca suo
padre, 217. Congiura de' fratelli contra di lui, 223. Gonfaloniere
della Chiesa romana, entra in guerra contro i Veneziani, 239. Sbaraglia
la loro flotta, 249. Scomunicato da papa Giulio, perde Modena, 254,
255. Assalito dall'armata spagnuola, 273. Riacquista la bastia del
Zaniolo, 274. Sue prodezze nella battaglia di Ravenna, 283. Va a Roma,
e il papa gli manca di fede, 290. Rimesso in grazia di papa Leone,
299. Che gli manca di parola, 315, 316, 331, 332, 352, 356. Tradimento
contra di lui ordito dal papa, 361. Fa sciogliere l'assedio di Parma,
367. Fulmini di papa Leone contra di lui, 371. Per la morte di lui
ricupera molte terre, 374, 375, 391. E Reggio e Rubiera, 394. Dà aiuto
al re di Francia, 409. Macchine di papa Clemente contra di lui, 418.
Si accorda coll'imperadore, 428. Suo abboccamento col duca di Borbone,
434 Ricupera Modena, 442. Sua lega col re di Francia in aiuto del papa,
449 Insidie a lui tese da papa Clemente, 463. Ben ricevuto da Carlo
V, 472. In cui son compromesse le liti sue col papa, 477. Laudo a lui
favorevole, 483. Fine del suo vivere, 508.

Alfonso III d'Este, principe di Modena. Sue nozze coll'infanta di
Savoia, VI, 923. Spedito contro i Lucchesi, 943. Succede al padre nel
ducato, 1025. Lo rinunzia a Francesco suo primogenito, 1031. E si fa
cappuccino, _ivi_.

Alfonso IV, principe ereditario di Modena. Sua nascita, VI, 1068. Suo
matrimonio, 1198. Succede al padre, 1213. Fa pace cogli Spagnuoli,
1217. Sua morte, 1229.

Algeri, tempestato dalle bombe franzesi, VII, 43, 49.

Algisio, arcivescovo di Milano, IV, 858.

Alì, genero di Maometto. Sua guerra con Muavia, II, 1266. Ucciso da'
suoi, 1269.

Alidosio (Francesco), cardinale, governatore di Bologna, VI, 264.
Ucciso dal duca d'Urbino, 266.

Alinardo, arcivescovo di Lione, IV, 244.

Alipio (Faltonio Probo), prefetto di Roma, II, 292.

Alitgario, vescovo di Cambrai, III, 563.

Alletto, _V._ Alesto.

Allone, duca di Lucca, III, 326, 356, 357.

Allonisino, duca di Lucca, III, 71.

Allovico, generale di Onorio Augusto, ucciso, II, 408.

Aloara, principessa di Capoa. Sua morte, III, 1277.

Alpi Cozie. Patrimonii in esse restituiti alla Chiesa romana, III, 125,
126.

Alrico, vescovo d'Asti. Sua lite con Arnolfo II arcivescovo di Milano,
IV, 112. Invita al regno di Italia Roberto re di Francia ed altri, 146,
147. Fonda monasteri, 164, 169. Ferito in un fatto d'armi muore, 186.

Altosasso, capitano degli Svizzeri, VI, 271.

Alviano (Bartolommeo d'), generale de' Veneziani. Sue prodezze, VI,
228, 233. Perde la battaglia di Ghiaradadda, 236. Torna generale de'
Veneziani, 299. Ricupera Brescia e Bergamo, 301. Le abbandona, 304,
305. Sconfitto dagli Spagnuoli, 309. S'impadronisce di Cremona, 323.
E di Lodi, 324. Coopera alla vittoria de' Franzesi a Marignano, 327.
Ricupera Bergamo, 329. Fine de' suoi giorni, _ivi_.

Alzeco, duca de Bulgari viene ad abitare in Italia, III, 35.

Amalafreda, sorella del re Teoderico, maritata con Trasamondo re de'
Vandali, II, 726. Tolta di vita dal re Ilderico, 835.

Amalarico, figlio di Alarico re de' Visigoti, II, 765. Restituito il
regno a lui solamente dopo la morte del re Teoderico, 772, 825, 828. È
ucciso dai suoi, 841.

Amalario, vescovo di Treveri, III, 483.

Amalasunta, figlia del re Teoderico, maritata con Eutarico Cillica, II,
791. Tutrice del figlio Atalarico re d'Italia, 824, 828. Che non può
allevare alla romana, 829. Malveduta dagli stessi Goti, 840. Promuove
l'elezione di Teodato, 854. Da cui è tradita e tolta di vita, _ivi_.
Amalberga, badessa di Santa Giulia di Brescia, III, 593.

Amalfi, città una volta assai mercantile, si suggetta a Roberto
Guiscardo, IV, 382. Si ribella al duca Ruggieri, 470. Saccheggiata da'
Pisani, 636.

Amalrico, vescovo di Como ed abbate di Bobbio, III, 697.

Amando (Gneo Salvio), usurpatore dell'imperio, I, 1014.

Amato, primo arcivescovo di Salerno, III, 1254.

Amato II, arcivescovo di Salerno, IV, 139.

Ambrosio, eletto e consecrato arcivescovo di Milano, II, 191.
Confidente di Graziano Augusto, 220. Assiste al concilio d'Aquileia,
230. Suo zelo per abolire la statua della Vittoria, 236. Spedito a
Massimo tiranno, 246. Pace da lui conchiusa, 251. Da lui confutata
la relazion di Simmaco per la statua della Vittoria, 254, 282. Sua
costanza in difendere le basiliche dagli Ariani, 258, 261. Inviato
di nuovo a Massimo tiranno, 268. Impedisce a Teodosio Augusto lo
ingresso nel tempio, 288, 289. Amato da Valentiniano II Augusto, 296.
Fa l'orazione funebre di questo principe, 301. Si ritira a Firenze,
305. Orazione funebre da lui recitata per Teodosio I Augusto, 317. Sua
morte, 331.

Ambrosio, vescovo di Lucca, III, 651.

Ambrosio, conte di Bergamo, III, 898. Impiccato per ordine del re
Arnolfo, 899.

Ambrosio, vescovo di Lodi, III, 1088.

Ambrosio, altro vescovo di Lodi, IV, 160.

Ambrosio, vescovo di Bergamo, IV, 213.

Amedeo, conte del palazzo, III, 922.

Amedeo, figlio di Adelaide marchesana di Susa, IV, 375, 377.

Amedeo, conte di Morienna e marchese, IV, 520. Danni a lui recati da
Lottario re di Germania, 642. Va col re di Francia in Terra santa, 688.
Muore in quel viaggio, 692.

Amedeo IV, conte di Savoia, figlio del conte Tommaso, costretto ad
abbandonar Savona, IV, 1081. Succede al padre, 1116. Aderisce a papa
Innocenzo IV, 1136. Poscia a Federigo II, 1199.

Amedeo, conte di Savoia, V, 308, 318, 330, 337, 345, 348, 357.

Amedeo VI, conte di Savoia. Sua guerra col marchese di Monferrato, V,
596. Bianca sua sorella moglie di Galeazzo II Visconte, 615. Appellato
il conte verde, 653. Fatto prigione da' masnadieri, 683. Collegato col
marchese di Monferrato contro i Visconti, 731. Sue azioni militari,
736, 743. Suo laudo, con cui mette pace fra i Veneziani e Genovesi,
784. Sua morte, 795.

Amedeo VII, conte di Savoia, V, 795. Immatura sua morte, 843. Amedeo di
Savoia, principe della Morea, V, 863, 872, 894.

Amedeo VIII, conte di Savoia, V, 843. Creato duca da Sigismondo Cesare,
1007. Muove guerra al duca di Milano, 1066, 1067. Fa pace coll'acquisto
di Vercelli, 1072. Si ritira in un romitaggio, 1111. Eletto antipapa,
1135. Creato cardinale, 1204.

Amedeo IX, duca di Savoia, fa guerra al marchese di Monferrato, VI, 24,
25. Bona, sua sorella, maritata in Galeazzo Maria duca di Milano, 28.
Termina il corso di sua vita, 44.

Americo, vescovo di Varadino. Sua morte, VI, 502.

Amingo, general franzese, vinto da Narsete, ed ucciso, II, 974.

Amiterno, dalle cui rovine nacque la città dell'Aquila, II, 1103.

Ammiano Marcellino, storico, assediato in Amida, II, 91.

Ammolone, vescovo di Torino, III, 925.

Amor di Soria (Emmanuele), conte e senatore di Milano. Sua onoratezza e
giustizia, VII, 702.

Ampellio, prefetto di Roma, II, 173.

Anacleto, pontefice romano, I, 331. Suo martirio, 372.

Anacleto II, antipapa. Suoi vizii, IV, 611, 612. Si unisce con Ruggieri
duca di Puglia e di Sicilia, 613. A cui dà il titolo di re, 614.
Castiga i Beneventani, 616. Fortificato in castel Sant'Angelo, 623.
Riacquista Benevento, 632, 652. Sua morte, 654.

Anastasia, sorella di Costantino il Grande, I, 1132.

Anastasia, figlia di Valente Augusto, II, 216.

Anastasia Augusta, moglie di Tiberio Trace, II, 1031.

Anastasia Augusta, madre di Giustiniano II imperadore. III, 92.

Anastasio, romano pontefice, II, 340. Sua morte, 360.

Anastasio, eletto imperadore d'Oriente, II, 706. Buoni principii del
suo governo, 709. Guerra civile e contro gl'Isauri al suo tempo, 711,
712. Fautore degli eretici, 720. Si accorda col re Teoderico, 723. A
lui muovono guerra i Persiani, 743. Muove guerra a' Persiani, 750. Da
essi egli compera la pace, 754. Fa edificare Arcadiopoli, 766. Sua
spedizione contro l'Italia, 769. Perseguita i cattolici, 783, 784.
Contro di lui si sollevano i popoli, 789. Chiamato da Dio al rendimento
de' conti, 797.

Anastasio II, papa eletto, II, 725. Suoi legati ad Anastasio Augusto,
730. Dà fine al suo vivere, 731.

Anastasio (Santo), martirizzato da' Persiani, II, 1187.

Anastasio, vescovo di Pavia. III, 54. Anastasio Bibliotecario, III, 114.

Anastasio, imperadore de' Greci, cattolico, III, 146. Suo buon governo,
148. Deposto, si fa monaco, 155. Tentando di salire sul trono, è
ucciso, 161.

Anastasio, eretico, patriarca di Costantinopoli, III, 192.

Anastasio, prete cardinale, deposto, III, 668. Suoi maneggi pel papato,
675. È scacciato, 676. È rimesso nel suo grado, 718. Scomunicato di
nuovo, 719.

Anastasio III papa. Sua elezione, III,980. Sua morte, 985.

Anastasio IV papa. Sua elezione, IV, 711. Cessa di vivere, 717.

Anatolio, patriarca di Costantinopoli, II, 542.

Ancario (Quinto), presidente dell'Oriente, I, 891.

Ancira, città capitale della Galazia, presa dai Persiani, II, 1166.

Ancona. Suo porto fabbricato da Traiano, I, 426.

Andragazio, generale di Graziano Augusto, imputato della di lui morte,
II, 244. Serve a Massimo tiranno, 275. Si precipita in mare disperato,
280.

Andrea, vescovo d'Ostia, III, 64.

Andrea, vescovo di Palestrina, III, 296.

Andrea, vescovo di Siena, III, 427.

Andrea, duca di Napoli, III, 602.

Andrea, duca di Napoli, ucciso, III, 634.

Andrea, patriarca d'Aquileia, III, 648, 677.

Andrea, storico, non fu Andrea Agnello Ravennate, III, 766.

Andrea, arcivescovo di Milano, III, 962.

Andrea, re d'Ungheria, IV, 253.

Andrea II, re d'Ungheria, IV, 1126.

Andrea, figlio di Carlo Uberto re d'Ungheria, viene a Napoli, V, 516,
567. Fatto uccidere dalla regina Giovanna sua moglie, 577, 578.

Andrea Dandolo, doge di Venezia, V, 569. Sua morte, 642.

Andrea Contareno, doge di Venezia, V, 711. Indarno chiede pace ai
Genovesi, 772. Generale d'armata contra d'essi, 773. Sua vittoria e
trionfal ritorno in Venezia, 778. Compie il corso di sua vita, 792.

Andrea Vendramino, doge di Venezia, VI, 55. Sua morte, 65.

Andrea Gritti, fa l'acquisto di Brescia e Bergamo, VI, 276. Fatto
prigione da' Franzesi, 278. Riacquista la libertà, 295.

Andrea Doria. Sua battaglia in mare contro gli Spagnuoli, VI, 429,
444. Almirante di Francia, 446. Sua vittoria sotto Napoli, 459. Passa
al servigio dell'imperadore, 460. Rende la libertà a Genova, 462.
Prende Corone e Patrasso, 488. Generalissimo dell'armata cesarea contro
Tunisi, 512, 521, 534, 537, 613, 621, 622, 638. Manca di vita, 691.

Androino, abbate di Clugnì, legato pontifizio in Italia, V, 659.
Cardinale mette pace fra i Visconti e collegati, 697.

Andromaco, prefetto di Roma, II, 317, 357.

Anfiteatro di Fidene, conquassato con la morte di molte migliaia di
persone, I, 78. _V._ Colosseo.

Angelario, abbate di Monte Casino, III, 845. Rifabbrica quel monistero,
855.

Angelo Particiaco, doge di Venezia, III, 476. Sua morte, 561.

Angelo, vescovo d'Aquino, IV, 296.

Angelo Acciaiuoli, cardinale, V, 835.

Angelo, vescovo d'Anagni, V, 1021.

Angelo Poliziano, raro ingegno. Sua morte, VI, 125.

Angilberga, moglie di Lodovico II Augusto, III, 667, 680. Dono di
Guastalla a lei fatto dal marito, 708. Va col marito al monastero di
Monte Casino, 711. Sua avarizia, 723, 739. Spedita a Carlo Calvo e a
Lodovico re di Germania, 745. Odiata dagl'Italiani, 746. Sua dimora in
Capoa, 760. Fabbrica il monistero di San Sisto in Piacenza, 762. Resta
vedova, 764. Suo soggiorno nel monistero di Santa Giulia di Brescia,
775. Suo testamento, 780. Lettere di papa Giovanni VIII a lei, 797.
Diploma di Carlo il Grosso in suo favore, 814. Mandata a Roma, 826.
Liberata, 827. Bolla pontifizia in favor d'essa, 846. Altri diplomi in
favore della medesima, 879.

Augilberto, abbate di Centula, III, 352, 388, 394, 399. Vicerè in
Italia pel re Pippino, 402.

Angilberto, arcivescovo di Milano, III, 638, 660, 677.

Anglico, cardinale legato pontifizio, V, 714.

Aniceto, liberto di Nerone, si assume di far perire Agrippina Augusta,
I, 211, 212. La uccide, 214. Relegato in Sardegna, 226.

Aniceto, pontefice romano, I, 508. Celebra il concilio in Roma, in cui
fu decisa la controversia circa il giorno di celebrar la Pasqua, 521.
Suo martirio, 529.

Aniceto, prefetto del pretorio sotto Magnenzio, II, 35.

Anicia, famiglia celebre e potente in Roma, II, 169.

Anna, moglie di Berengario imperadore, III, 1007.

Anna, regina d'Inghilterra, succede al re Guglielmo, VII, 172.
Separatamente si accorda col re di Francia, 243, 246. Sua morte, 262.

Ana Iwanowna, imperadrice della Gran Russia. Collegata con Carlo VI,
VII, 429, 435. Sue guerre contro i Turchi, _ivi_, 437, 446, 456. Sua
morte, 464.

Annibaldo da Ceccano, cardinale, V, 611, 612.

Annibaliano (Afranio), prefetto di Roma, I, 1041.

Annibaliano (Flavio Claudio), nipote di Costantino il Grande, creato
Cesare e re del Ponto, I, 1206, 1208, 1209. Ucciso da Costanzo Augusto,
1222.

Anno. Suo principio diverso in varii paesi, III, 831.

Annona. Definizione di questa parola, I, 510.

Annone, arcivescovo di Colonia, rapisce il giovane Arrigo IV re, IV,
306. Fa deporre l'antipapa Cadaloo, 308, 317. Sua prepotenza, 327.
Viene a Roma, 329, 345.

Annulino (Annio), prefetto di Roma, I, 1067.

Ansa, regina, moglie del re Desiderio, III, 570.

Anscario, vescovo d'Amburgo ed apostolo dei Settentrione, III, 554.

Anscario, duca e marchese di Spoleti e di Camerino, III, 1065. In un
fatto d'armi resta ucciso, 1081.

Anscauso, vescovo di Forlimpopoli, III, 277.

Anselberga, figlia del re Desiderio, prima badessa di Santa Giulia in
Brescia, III, 288, 570.

Anselmo, duca del Friuli, III, 240. Fonda il monistero di Fanano, 243.
E quello di Nonantola, 253. Ed alcuni spedali, 255. Aiuta Carlo Magno
alla conquista d'Italia, 322. Fine di sua vita, 443.

Anselmo, arcivescovo di Milano, deposto, e rilegato in un monistero,
III, 517. Rimesso sulla sua cattedra, 530. Fine da' suoi giorni, _ivi_.

Anselmo, conte di Verona, III, 980.

Anselmo, vescovo di Lucca, uomo di santa vita, IV, 362. Cacciato dagli
scismatici, si riduce presso la contessa Matilda, 403. Sua morte e
santità, 429.

Anselmo da Badagio, vescovo di Lucca, IV, 283. Spedito a Milano per
rimediare all'incontinenza di quel clero, 295. Creato papa, 300. _V._
Alessandro II.

Anselmo da Rho, arcivescovo di Milano, IV, 424. Corona il re d'Italia
Corrado, 457. Cessa di vivere, 458.

Anselmo (Santo), arcivescovo di Canturberì, IV, 458. Viene in Italia,
477. Disputa co' Greci, 479.

Anselmo IV, arcivescovo di Milano, IV, 476.

Anselmo da Pusterla, arcivescovo di Milano, IV, 593. Va a Roma; ne
prende il pallio, 595, 596. Dà la corona a Corrado di Suevia, 604.
Perciò è scomunicato, 607. Riceve il pallio da Anacleto antipapa, 613.
È deposto dal clero e dal popolo di Milano, 629. Confermata la sua
deposizione dal concilio di Pisa, _ivi_. Sua prigionia e morte, 638.
Anselmo, arcivescovo di Ravenna, IV, 726. Fine di sua vita, 754.

Anselmo, arcivescovo di Napoli, IV, 961.

Ansfrido, usurpatore del Friuli, atterrato, III, 90, 91.

Ansfrido, abbate di Nonantola, III, 563.

Ansperto, arcivescovo di Milano, III, 765, 774, 786, 800. Sue liti
con papa Giovanni VIII, 803. Da cui è scomunicato, 806. È dichiarato
decaduto dal vescovato, 813. Viene a morte, 830.

Ansprando, aio di Liutberto re de' Longobardi, III, 111. Con esso lui
costretto alla fuga, 112. Fugge in Baviera, 117. Sua battaglia col re
Ariberto II, 140. Appena eletto re muore, 142.

Ansprando, duca di Spoleti, III, 225. Sua morte, 238.

Antemio, creato imperadore d'Occidente da Leone Augusto, II, 622. Sua
discordia con Ricimere patrizio, 639, 640. Da cui è assediato in Roma,
642. E poscia ucciso, 643.

Antero, romano pontefice, I, 814. Termina la sua vita col martirio, 815.

Antimo, vescovo eretico di Costantinopoli, II, 859. Deposto per cura di
papa Agapito, 862, 869.

Antimo, duca di Napoli, III, 479, 487, 557.

Antinoo, morto in Egitto, e pazzie per lui fatte da Adriano imperadore,
I, 462, 463.

Antiocheni. Lor sedizione contra di Teodosio I Augusto, II, 264.
Clemenza di questo principe verso d'essi, 267.

Antiochia da terribile tremuoto rovinata, I, 423. Saccheggiata e
incendiata dai Persiani, 889. Scossa orribilmente dal tremuoto, II,
10. Devastata dai tremuoti, 825, 833. Presa dai cristiani crociati, IV,
480.

Antiochiano (Flavio), prefetto di Roma, I, 766.

Antioco, re della Comagene, I, 54, 116, 147. Deposto da Vespasiano,
297, 298.

Antioco, imperadore efimero, I, 966.

Antioco, monaco della Palestina, autore di cento trenta omilie, II,
1155.

Antonia, madre di Germanico e di Claudio Augusto, I, 87, 116.

Antonia, figlia di Claudio imperadore, maritata con Gneo Pompeo, I,
147. Poscia a Cornelio Silla Fausto, 168. Fatta morire da Nerone, 240.

Antonino Pio, che fu poi imperadore. Sua nascita, I, 336. Suo nome
proprio, Tito Aurelio Fulvio Boionio, 479. È adottato da Adriano,
_ivi_. Sua cura per salvare la vita ad esso Adriano, 483. Qual fosse
nella vita privata, 485. Perchè appellato Pio, 487. Sua moglie e suoi
figli, 488. Sue belle qualità, 490. Fabbriche da lui fatte, 499. Sua
moderazione e costumi popolari, 500, 501. Titolo di Ottimo a lui
conferito, e perchè, 508, 509. Sua cura del bene pubblico, _ivi_.
Lettera sua in favor de' cristiani, 513. Disavventure pubbliche
accadute a' suoi tempi, _ivi_. Sua morte, 523.

Antonino (Arrio), avolo di Antonino Augusto. Suo avvertimento a Nerva
nell'abbracciarlo imperadore, I, 372. Proconsole nell'Asia fatto morire
da Commodo, 617.

Antonino, vescovo di Merida, II, 521, 522.

Antonino, abbate di Sorrento, III, 579.

Antonino, vescovo di Pistoia, IV, 28.

Antonino (Santo), arcivescovo di Firenze. Sua morte, V, 1254.

Antonio (Lucio), ribellatosi contro Domiziano, sconfitto, perde la
vita, I, 349, 350.

Antonio, patriarca di Grado, III, 174.

Antonio, vescovo di Brescia, III, 765.

Antonio, dell'ordine de' minori, spedito a Verona per liberar dalla
prigionia il conte Ricciardo, IV, 1096. Sua morte e canonizzazione,
1102.

Antonio da Fissiraga, signor di Lodi, V, 278, 337. Ottiene perdono da
Arrigo VII, 345. Sua prigionia, 369.

Antonio, conte di Montefeltro, V, 746.

Antonio dalla Scala, signor di Verona, V, 747. Guerra a lui mossa
da Bernabò Visconte, 766. Uccide il fratello, 787. Muove guerra a
Francesco da Carrara, 810. Da cui riceve una gran rotta, 815. E poscia
un'altra, 820. Gli fa guerra il conte di Virtù, 821. Perde Verona, e
miseramente muore, 822.

Antonio Veniero, doge di Venezia, V, 793. Sua morte, 895.

Antonio di Montaldo, doge di Genova, V, 854, 857, 861, 870, 878.

Antonio Viale, vescovo di Savona, V, 854.

Antonio di Guarco, doge di Genova, V, 861, 870, 878.

Antonio, conte d'Urbino, V, 912. Sua morte, 926.

Antonio Visconte, muove una sedizione contro Francesco Barbavara, V,
914 Generale del duca di Milano Giovanni Maria Visconte e dei Guelfi,
958.

Antonio degli Ordelaffi, signore di Forlì, V, 977, 1104. Gli è tolta
quella città, 1118. Nuovamente s'impossessa della signoria di detta
città, 1131. Sua morte, 1203.

Antonio Maria degli Ordelaffi, signore di Forlì, VI, 205.

Antonio Giustiniano, spedito dai Veneziani a Massimiliano d'Austria
dopo la battaglia di Ghiaradadda: sua parlata, VI, 239.

Antonio Farnese, succede al fratello nel ducato di Parma e Piacenza, e
prende moglie, VII, 329. Muore senza figli, 357.

Antoniotto Adorno, doge di Genova, V, 800, 801, 804. È deposto, 842.
Ricupera il suo grado, 843. Mette pace fra i principi italiani, 849.
Di nuovo deposto, 854. Tentativi da lui fatti per ricuperare la perduta
dignità, 857. Torna al comando, 861. Cede Genova al re di Francia, 871,
879.

Apis, dio dell'Egitto, adorato sotto la figura d'un bue, I, 451.

Apollodoro Damasceno, architetto insigne, fabbrica il ponte di Traiano
sul Danubio, I, 401, 420. E la piazza Traiana, 414. Iniquamente privato
di vita da Adriano Augusto, 443.

Apollonio Tianeo, filosofo, visitato da Tito Cerare, I, 293. Sue
querele contra di Vespasiano, 300.

Apollonio, filosofo stoico. Sua alterigia, I, 502, 516, 524.

Appia, via, I, 410.

Appiano Alessandrino, storico a' tempi Antonino Pio, I, 524.

Apro (Arrio), prefetto del pretorio, ucciso da Diocleziano, I, 1007.

Aproniano, proconsole dell'Asia, processato sotto Severo, I, 702.

Aproniano. _V._ Asterio.

Aproniano (Lucio Turcio), prefetto di Roma, II, 148.

Apronio (Lucio), proconsole dell'Africa, I, 62. Son rotte le sue
milizie dai ribelli della Frisia, 80.

Apuleio (Lucio), scrittore a' tempi di Marco Aurelio, I, 591.

Aquila, città. Sua origine, II, 1103. Assediata da Braccio di Montone,
V, 1048. È liberata, 1055, 1056.

Aquileia, valorosamente si difende contra Caio Giulio Vero Massimino,
I, 833. Presa e disfatta da Attila, II, 558, 559. Suoi arcivescovi,
perchè e quando chiamati patriarchi, 1007. Diviso il patriarcato con
quello di Grado, 1037. Scisma estinto, 1133, 1134.

Aquisgrana, ampliata ed abbellita da Carlo Magno, III, 400, 401. Eletta
per un congresso di pace, VII, 683. Pace ivi stabilita, 695.

Arabi. _V._ Saraceni.

Arabino (Settimio), senatore ladro, I, 782.

Ararico, re de' Goti, vinto da Costantino, I, 1195.

Aratore, poeta cristiano, II, 904.

Arbezione, generale di Costanzo Augusto, II, 79, 109, 119, 155, 160.

Arbogaste, Franco, generale di Graziano Augusto, II, 230, 273. La fa
da padrone sopra Valentiniano II, 297, 298. Sue dissensioni con questo
principe, 299. Lo fa uccidere, 300. Fa dichiarare Augusto Eugenio, 302.
Sue imprese, 304, 305, 310. Si uccide, 314.

Arcadia, sorella di Teodosio II Augusto. Sua nascita, II, 351. Sua
morte, 520.

Arcadio (Flavio), figlio di Teodosio I Augusto, dichiarato imperadore,
II, 289, 257, 276, 315. Succede al padre nell'Oriente, 321. Prende per
moglie Eudossia, 325. Ucciso sotto i suoi occhi Rufino, 327. Dichiara
Stilicone nemico pubblico, 330. Eutropio, eunuco suo favorito, cerca
di metter discordia tra lui ed il fratello Onorio, 333. Gli cade in
disgrazia, 346. Perfidia e tradimento di Gaina, suo generale, contro
di lui, 351, 352. Sua debolezza, 358. Statua a lui alzata in Roma, 375.
Termina i suoi giorni, 381.

Archelao, figlio di Erode il Grande, va a Roma affin di succedere nel
regno al padre, ed ottiene da Augusto il titolo di etnarca, I, 22.
Deposto e relegato per la sua tirannide, _ivi_.

Archelao, re della Cappadocia, I, 54.

Arcourt (conte di), generale de' Franzesi in Piemonte. Sue guerre, VI,
1097. Caccia da Casale gli Spagnuoli, e assedia Torino, 1101, 1102. E
l'obbliga alla resa, 1104. Prende Cuneo, 1106.

Ardaburio, generale di Teodosio II Augusto, preso da Giovanni tiranno,
II, 456. Aspare, suo figlio, colla presa di Ravenna, lo libera, 458.
Sconfitte da lui date a' Persiani, 469.

Ardaburio, figlio d'Aspare e nipote del primo, II, 596. Col padre
ordisce un tradimento contro Leone Augusto, 628. Loro soverchia
potenza, 633. Uccisi nella sollevazione insorta contra di loro, 637.

Ardengo, vescovo di Brescia, III, 965.

Ardengo, vescovo di Modena, III, 1097.

Arderico, re de' Gepidi, II, 515, 552, 571.

Arderico, arcivescovo di Milano, III, 1073. Si rivolta contro il re
Ugo, 1098. Sua morte, 1109.

Arderico, vescovo di Vercelli, IV, 156, 158.

Arderico, vescovo di Lodi, IV, 514 520, 538.

Arderico della Torre, console di Milano, da cui verisimilmente
discendono i Torriani, IV, 828. _V._ Martino, Napo, ec.

Ardoino, conte del palazzo, IV, 18.

Ardoino, marchese d'Ivrea. Si fa coronare re d'Italia, IV, 57. Suo
padre qual fosse, 58. Sua bestialità gli fa perdere gli amici, 60,
61. Sconfigge un esercito di Tedeschi, 62. Principi a lui contrarii,
65. Abbandonato da essi alla venuta del re Arrigo, 71. Continua a
signoreggiare in Piemonte, 85. Suo diploma dubbiosa, 93. Fa guerra alle
città aderenti al re Arrigo, 99, 106. Privato del regno, termina il suo
vivere, 109.

Arduino, primo vescovo, d'Alessandria, IV, 847.

Aretini. Danno una rotta ai Sanesi, V, 195. È sconfitto il loro
esercito da' Fiorentini, 201.

Aretino (Clemente), prefetto del pretorio sotto Vespasiano, I, 287.

Arezzo. Lite del vescovo di questa città con quel di Siena per la
diocesi, III, 142.

Argiro, figlio di Melo, occupa Bari, IV, 208, 211. Proclamato principe
e duca d'Italia, 214. Padrone di Bari, 217. Si accorda coi Greci,
_ivi_, 221. Va a Costantinopoli, 233. Cade dalia grazia del greco
imperadore, 264. Muore in esilio, _ivi_.

Ariadeno Barbarossa, gran corsaro. Gravi danni che reca al regno di
Napoli, VII, 500, 501. Divien signore di Tunisi, 511. Passa contra di
lui Carlo V, 512. Unito co' Franzesi fa guerra all'Italia, 558, 562.
Licenziato e regalato con molti doni dal re di Francia, 565.

Arialdo, vescovo di Chiusi, IV, 81.

Arialdo, diacono, si oppone a' preti milanesi ammogliati, IV, 294, 295.
Va a Roma e fa scomunicare da papa Alessandro II Guido arcivescovo di
Milano, 325. È ucciso da' soldati dell'arcivescovo, _ivi_.

Arialdo, abbate di San Dionisio di Milano, IV, 494.

Arialdo, vescovo di Genova, IV, 537.

Ariani. Celebrano un conciliabolo in Antiochia, II, 10. Protetti da
Costanzo Augusto, II, 16. Cacciati dalle chiese di Costantinopoli da
Teodosio il Grande, 228.

Arianna, figlia di Leone Augusto, moglie di Zenone duca d'Oriente, II,
632, 638, 648. Fugge col marito in Isauria, 658. Promuove Anastasio
all'imperio, 706. Fine del suo vivere, 791.

Aribaldo, vescovo di Reggio, III, 1090.

Ariberto, figlio di Gundoaldo duca d'Asti, II, 1256. Proclamato re de'
Longobardi, 1257. Non perseguitò i cattolici, 1267. Fabbrica, fuori
della porta Mareuga di Pavia, la chiesa di San Salvatore, 1270. Termine
de' suoi giorni, 1271.

Ariberto II, re de' Longobardi, III, 115. Vince ed uccide il re
Liutberto, 116. E Rotari duca di Bergamo, _ivi_. Sua crudeltà, 117.
Restituisce le Alpi Cozie alla Chiesa romana, 126, 150. Perde il regno
e la vita, 140. Usurpazioni da lui fatte a varie chiese, 143, 144.

Ariberto, vescovo d'Arezzo, III, 427.

Arigiso, o sia Arichi, creato duca di Benevento, II, 1088.
S'impadronisce di Crotone, 1101. Sue varie azioni, 1108, 1117, 1118.
Accoglie Radoaldo e Grimoaldo, 1212. Termina il corso di sua vita,
1230, 1231.

Arigiso II, duca di Benevento, III, 272. Assume il titolo di principe,
cioè sovrano, 323, 324. Sue varie azioni, 329, 345, 349, 361. Si
sottomette a Carlo Magno, 362.

Arinteo, generale di Giuliano Apostata, II, 129.

Arinteo, generale di Valente imperadore, II, 155, 174, 181. Console,
182.

Ario, e sua eresia, I, 1169. È celebrato contr'esso il concilio niceno,
1172. Dove venne fulminato l'anatema contro di lui, _ivi_. Richiamato
dal medesimo Augusto dall'esilio, 1184.

Arioldo eletto re de' Longobardi, II, 1178. Considerato dal papa
usurpatore del regno, 1180. Ariano di credenza, 1183. Sua moderazione,
1189. Accusata a lui Gundeberga sua moglie, 1198. Sostiene Fortunato
patriarca di Grado, 1200. Restituisce la libertà alla moglie, 1205. Fa
levar di vita Tasone e Cacone duchi del Friuli, 1211. Fine di sua vita,
1213.

Ariobarzane, creato re dell'Armenia, I, 12.

Ariobindo, marito di Giuliana figlia di Olibrio Augusto, proclamato re
dal popolo di Costantinopoli, II, 645. Generale di Anastasio Augusto,
750. Console, 758.

Ariogeso, re de' Quadi, I, 582.

Ariolfo, duca di Spoleti, muove guerra ai Romani, II, 1086, 1087,
1095. Co' quali fa pace, 1108. Sua vittoria su' Romani, 1115. Quando
succedesse la sua morte, 1116.

Ariosto (Lodovico), creato poeta da Carlo V, VI, 489.

Ariovindo, console, II, 438. Generale di Teodosio II contra i Vandali,
512. Dà fine alla sua vita, 536.

Aristide, oratore celebre ai tempi di Marco Aurelio Augusto, I, 528,
578, 586.

Aristo, generale della milizia dell'Illirico, spedito contro de'
Bulgari, II, 734.

Aristobolo, re dell'Armenia minore, I, 198.

Aristobolo, re di Calcide, I, 297.

Aristobolo, console. Si ribella a Carino Augusto, I, 1009. Prefetto di
Roma, 1036.

Arles, città della Francia, assediata dai Goti e liberata da Aezio, II,
465. Chiamata picciola Roma, 766.

Arminio, Germano. Rotta da lui data alle legioni romane di Quintilo
Varo, I, 29, 30. Promuove una sedizione contra del suocero Segeste, 49.
Sua battaglia contro Maroboduo, 55. Ucciso dai suoi, 60.

Arnaldo, arcivescovo di Ravenna, _V._ Arnoldo.

Arnaldo, vescovo di Trivigi, IV, 134.

Arnaldo da Brescia. Incita a sedizione i popoli contra del clero, e
perciò scomunicato, IV, 665, 666. Sue velenose dottrine, 680. Dimora in
Roma, 717. Preso, è impiccato e bruciato, 727.

Arnaldo di Pelagrua, cardinale, toglie Ferrara ai Veneziani, V, 324.
Scomunica Guido dalla Torre, 329. Sua crudeltà in Ferrara. 334.

Arnato, patrizio de Franchi, ucciso dai Longobardi, II, 1022.

Arnegisco, generale di Teodosio II, 513, 515. Combattendo contro gli
Unni, è ucciso, 528.

Arnobio, scrittore sotto Costantino il Grande, I, 1220.

Arnoldo, duca di Baviera, III, 1060.

Arnoldo, o Arnaldo, arcivescovo di Ravenna, IV, 101. Tiene un concilio,
105. Investitura di Stati, a lui data da Arrigo I Augusto, 120. Sua
morte, 122.

Arnolfo, figlio di Carlomanno re di Baviera e di Italia, III, 813.
Proclamato re della Germania, 858. Fa guerra a Rodolfo re di Borgogna,
864. Se gli sottomette Berengario re di Italia, 869. Concede la
Provenza al re Lodovico, 882. Chiama gli Ungheri in Germania, 893.
Sollecitato da papa Formoso e da altri a calare in Italia, 895. Va
a Bergamo, 898. Dopo la presa di quella città, se gli rendono quasi
tutte le altre città della Lombardia, 899. Proclamato re d'Italia, 901.
Torna in Italia, 907. È coronato imperadore, 910. Malato se ne torna in
Germania, 912, 935. Dà fine al suo vivere, 938.

Arnolfo I, arcivescovo di Milano, III, 1199, 1212.

Arnolfo II, arcivescovo di Milano, IV, 31. Spedito a Costantinopoli
da Ottone III, 54. Contrario al re Ardoino, 65. Sua lite col vescovo
d'Asti, 112. Fine de' suoi dì, 122.

Arnolfo III, arcivescovo di Milano, IV, 458. Fine di sua vita, 476.

Arnolfo, vescovo di Capaccio, IV, 856.

Aronne, califfo de' Saraceni, III, 428.

Arria, moglie di Cecina Peto, vanamente lodata, per non aver voluto
sopravvivere al marito, I, 153.

Arria, vedova di Trasea Peto, relegata, I, 360.

Arriano (Flavio), governatore della Cappadocia, I, 471.

Arrigo, poscia imperadore, succede al padre nel ducato della Baviera,
IV, 11, 27, 57. Invitato in Italia, 59. Principi a lui favorevoli, 65.
Cala in Italia armato, 69. È coronato re di Pavia, 72. Sedizione di
quel popolo contra di lui, 73. La Toscana se gli sottomette, 75. Doma
Boleslao occupatore della Boemia, 79. Fonda il vescovato di Bamberga,
82, 93. A lui ricorre in Germania papa Benedetto VIII, 98. Cala in
Italia, 101. Coronato imperadore da esso pontefice, 102. Diploma suo in
favore della Chiesa romana dubbioso, 103. Sua sovranità in Roma, 104.
Mette al bando dell'imperio i marchesi, progenitori della casa d'Este,
107. Sua dieta in Argentina, e leggi, 117. Investitura dell'esarcato da
lui dato all'arcivescovo di Ravenna, 120. Nuovamente va a trovarlo in
Germania Benedetto VIII papa, 126. Alle preghiere di lui cala di nuovo
in Italia, 132. Va all'assedio di Troia in Puglia, 135. È riconosciuto
sovrano di Benevento, 136. Torna nella Germania, 139. Dà la investitura
di Capoa a Pandolfo conte di Tiano, 142. Sua morte e santità, 144.

Arrigo, duca di Sassonia, padre di Ottone il Grande Augusto, III, 985.
Eletto re di Germania, 1002. Sua morte, 1070.

Arrigo, duca di Baviera, fratello di Ottone il Grande, III, 1120, 1123,
1127. Sua morte, 1133.

Arrigo II, duca di Baviera, III, 1133, 1210, 1212. Posto al bando
dell'imperio, 1213, 1222. Occupa la città di Passavia, 1216. Si fa
proclamare re di Germania, 1249. Sua pace con Ottone III, 1256. Suo
placito tenuto in Verona, 1279. Fine di sua vita, IV, 11, 12.

Arrigo, arcivescovo di Treveri, III, 1168.

Arrigo, vescovo d'Augusta, III, 1238.

Arrigo re III, poscia imperadore II, creato duca di Baviera ed eletto
re di Germania, IV, 161, 162. Rimette la pace fra suo padre e Stefano
re d'Ungheria, 167, 168. Erede del regno di Borgogna, 173. Sue vittorie
contro i Boemi, 181. Cala col padre in Italia, 187. Accettato per
loro re dai Borgognoni, 202. Succede al padre: favola intorno alla
sua origine, 202, 203. Rimette in sua grazia Eriberto arcivescovo di
Milano, 207. Sue seconde nozze con Agnese di Poitiers, 218. Fa deporre
tre papi simoniaci, 229. Difeso dalla censura del Baronio, _ivi_.
Coronato imperadore, 231. Elezion de' papi non fatta senza il di lui
assenso, 235. Tenta imprigionare Bonifazio marchese, 238. Elegge papa
Damaso II, 241, 242. Leggi sue aggiunte alle longobardiche, 243, Manda
a Roma l'eletto papa Leone IX, 246. Sua guerra col re d'Ungheria, 253.
Fa eleggere re di Germania e crea duca di Baviera Arrigo suo figlio,
264. Sua calata in Italia contra di Goffredo duca di Lorena, 271. Torna
in Germania, 274. Fine di sua vita, 277.

Arrigo IV fra i re, III fra gli imperadori. Sua nascita, IV, 248.
Creato duca di Baviera e re di Germania, 264. Sposa Berta, figlia di
Ottone marchese di Susa, 275. Succede al padre, 278. I Sassoni si
ribellano contra di lui, 283. Ha il titolo di re de' Romani, 302.
Rapito da Annone arcivescovo di Colonia, 306. È creato cavaliere,
321. Sue nozze con Berta figlia d'Oddone marchese di Susa, 333. Sua
disonestà, _ivi_. È posto sotto la disciplina di Annone arcivescovo di
Colonia, 353. Fa guerra ai Sassoni, 357, 359. Li vince e maltratta,
365, 366. Empio processo da lui fatto contro di papa Gregorio VII,
370. Da cui è scomunicato e dichiarato decaduto dal regno, 371. Viene
in Italia, 374. Suo abboccamento in Canossa con papa Gregorio, 377.
Sua penitenza e pace col pontefice, _ivi_. Ma in breve la rompe, 379.
Sue battaglie con Ridolfo re suo competitore, 380, 392. Deposto dal
papa, crea un antipapa,396. Si sbriga in una battaglia dell'emulo re
Ridolfo, 399, 400. Viene in Italia, 402. Indarno assedia Roma, _ivi_.
Fa guerra alla contessa Matilda, 411. Torna all'assedio di Roma, 412.
Entra pacifico in Roma, 416. Si fa coronare dall'antipapa, 417. Sua
ritirata in Lombardia, 418. Rotta data alle sue genti dalla contessa
Matilda, 421. Sconfitto dai duchi di Suevia e di Baviera, 430. Tornato
in Italia, assedia Mantova, 443, 444. E se ne impadronisce, 446. 447.
Prende Monte Morello e Monte Alfredo, ed assedia Monte Bello, 452.
Maltratta Adelaide sua moglie, 456. Suoi affari in Italia peggiorano
per la ribellione del figlio, 456, 457. Va a Venezia, 462. Torna in
Germania, 472. Se gli ribella il figlio Arrigo, 498, 502. Da cui è
detronizzato, 504. Finisce di vivere, 505.

Arrigo V, re di Germania, IV fra gl'imperadori. Sua nascita, IV, 408,
473 È creato re e collega col padre, 484. Contro di cui si ribella,
498. E gli fa guerra, 502. Lo detronizza, 504. Pubblica la sua venuta
in Italia, 521. Calato in Italia, si scuopre crudele, 522. Si accorda
colla contessa Matilda, 524. Mali da lui recati alle città d'Italia,
_ivi_. Distrugge Arezzo, 526. Apparenza d'accordo fra lui e il papa,
527. Lite insorta fra loro, 528. Per cui esso re imprigiona il papa,
530. Fa pace con lui, ed è coronato, 532. Visita la contessa Matilda,
534. Sue nozze con Matilde d'Inghilterra, 545. Torna in Italia,
551. Va di nuovo a Roma, dove è accolto, 556. Si fa coronar di nuovo
dall'arcivescovo di Braga, 557. Si ritira in Lombardia, _ivi_. Torna
a Roma, e ne fa fuggire papa Gelasio: suoi trattati con lui, 561, 562.
Scomunicato da papa Callisto II, 573. Sollevazioni contra di lui, 581.
Sua pace con papa Callisto 573. Finisce di vivere, 592.

Arrigo VI, figlio di Federigo I Augusto, creato re di Germania, IV,
821. Promuove la pace coi Longobardi, 882. Creato cavaliere, 885.
Trattato di dargli in moglie Costanza di Sicilia, 892. Nozze sue
celebrate in Milano, 894. Fa guerra agli Stati della Chiesa, 899.
Suoi preparamenti per conquistare il regno di Sicilia, 918. Coronato
imperadore da papa Celestino III, 920. Acquista varie città ed assedia
Napoli, 923. Costretto a ritirarsi, 924. Torna a quella conquista,
937. Sua crudeltà, 939, 943. Fa eleggere re de' Romani Federigo II suo
figlio, 946. Nuove crudeltà da lui esercitate in Sicilia, 950. Termina
i suoi giorni, 952. Lascia dopo di sè fama di crudele tiranno, 954. Suo
testamento, _ivi_.

Arrigo duca di Baviera, deposto, IV, 84.

Arrigo IV Estense, guelfo, duca di Baviera, succede al padre, IV, 594.
Creato anche duca di Sassonia, sposa Geltruda figlia di Lottario re
di Germania, 595, 600. Investito de' beni allodiali della contessa
Matilda, 624, 628. Prende Ulma al duca di Svevia, 633. Col suocero
Augusto viene in Italia, 639. Guerre da lui fatte in Toscana, 647. E in
Puglia, 649. Gli fa guerra il re Corrado, 658, 663. Muore avvelenato,
664.

Arrigo il Nero, duca di Baviera, IV, 492. Viene in Italia 512. Sua
porzione di Stati in Italia, 558. Termina i suoi giorni, 594.

Arrigo Leone, figlio di Arrigo IV duca di Sassonia, succede al padre,
IV, 664. È investito di quel ducato dal re Corrado III, 672. Va col
re Corrado in Oriente, 689. Sue liti con Arrigo duca di Baviera,
709. Aggiudicata a lui essa Baviera, 713, 733. Accompagna in Italia
il re Federigo, 718. Cede varie terre ai marchesi Estensi, 722. Sue
lodi, 743, 759. Perseguitato da Federigo I, 868, 870. Messo al bando
dell'imperio, 876. Spogliato di quasi tutti i suoi Stati, _ivi_. Cessa
di vivere, 944.

Arrigo, cardinale de' Santi Nereo ed Achilleo, legato al re di Sicilia,
IV, 723, 743, 754.

Arrigo, patriarca d'Aquileia, IV, 380.

Arrigo, arcivescovo di Ravenna, IV, 254, 328, 338. Termina il suo
vivere, 349.

Arrigo, vescovo di Parma, IV, 134.

Arrigo, vescovo d'Augusta, consigliere d'Agnese imperadrice, IV, 306.

Arrigo, vescovo di Liegi, IV, 788.

Arrigo, figlio di Federigo II re di Sicilia. Sua nascita, IV, 1016.
Proclamato anch'egli re di Sicilia, 1026. Chiamato dal padre in
Germania, 1030. Creato re de' Romani e di Germania, 1042. Viene ad
Aquileia a trovare il padre, 1105. A cui poscia si ribella, 1119. È
messo in prigione, 1124. Dove termina il suo vivere, 1133.

Arrigo, langravio di Turingia, eletto re de' Romani, IV, 1193. Sua
vittoria su Corrado, 1194. Muore, 1197.

Arrigo, re d'Inghilterra. Sue discolpe per la morte inferita a san
Tommaso arcivescovo di Cantorberì, IV, 827. Prende la croce, 908. Sua
morte, 912.

Arrigo Dandolo, doge di Venezia, IV, 982. Vengono a lui deputati dei
crociati per trattar sul somministrare una flotta per trasporto di essi
in levante, 977. Colla crociata ricupera Zara, 979. Colle sue genti
interviene all'espugnazion di Costantinopoli, 981. Nella qual città
manca di vita, 992.

Arrigo, conte di Sciampagna, creato re di Gerusalemme, IV, 931.

Arrigo, conte di Malta, collegato co' Genovesi, IV, 986. Libera
Siracusa dall'assedio de' Pisani, 990. Sconfitto da' Veneziani, 1002.
È mandato da Federigo II in Egitto con una flotta per soccorrere i
cristiani, 1047. Tornato in Sicilia senza aver nulla operato, viene
spogliato della contea, 1049. È spedito a Roma da Federico II per
giustificarsi, 1079.

Arrigo da Settala, arcivescovo di Milano a Damiata, IV, 1046. Sua
morte, 1097.

Arrigo, vescovo di Bologna, IV, 1044

Arrigo, fratello dal re di Castiglia, creato senatore di Roma, V, 68.
Abbraccia il partito di Corradino, 73. Preso, 76. Liberato, 79.

Arrigo VII, re de' Romani. Sua elezione, V, 317. Sua venuta in Italia
annunziata dappertutto, 335. Cala in Italia, e fa buona accoglienza a
Matteo Visconte, 337. Entra pacifico in Milano, e ne ha il dominio,
339. Sua coronazione in Milano, 341. Sedizione ivi insorta contro i
Torriani, 343. Maltratta i Cremonesi ribelli, 345. Assedia Brescia,
346. Ito a Genova, ne prende il dominio, 348. Va a Pisa, 352. Sua
coronazione romana, 353. Fa guerra ai Fiorentini, 354. Sua inaspettata
morte, e ciarle intorno ad essa, 366.

Arrigo, duca d'Austria, mosso contro i Ghibellini, V, 425. Se ne torna
in Germania, 426. Sconfitto e preso da Lodovico il Bavaro, 433.

Arrigo, conte di Manforte. Va in aiuto dei Fiorentini, V, 698.

Arrigo VIII, re d'Inghilterra. _V._ Enrico VIII.

Arrigo, duca di Brunsvich. Sua venuta con un esercito in Italia, VI,
457.

Arrigo II, re di Francia, succede al padre, VI, 583. Viene in Piemonte,
595. Sua lega con Ottavio duca di Parma, 607. Dichiara la guerra a
Carlo V, 612. Fa lega col Turco, _ivi_. Si dichiara protettore della
libertà della Germania, 624. S'impadronisce di Metz e delle altre
città, 626. Manda gente in soccorso di papa Paolo IV, 655. Grande
sconfitta data alle sue armi a San Quintino, 664. S'impadronisce di
Cales, 668. Fa pace con Filippo II, 679. Miseramente muore in una
giostra, 680.

Arrigo III, fratello di Carlo IX re di Francia, creato re di Polonia,
VI, 761. Per la morte del fratello divenuto re di Francia, viene in
Italia, 765. Protegge i Ginevrini, 793. Infierisce contro la casa di
Guisa, 821. È proditoriamente ucciso, 826.

Arrigo IV re di Navarra, calvinista, VI, 806. Dopo la morte di Arrigo
III è proclamato re di Francia, 826. Sua vittoria ed assedio di
Parigi, 832. Assedia Roano, 841, 842. Si dispone ad abbracciare il
cattolicismo, 846. E lo professa, _ivi_. È coronato ed entra in Parigi,
850. Dichiara la guerra alla Spagna, 856. Sue prosperità, 859. Fa pace
col re di Spagna, 876. Prende per moglie Maria de' Medici, e sue nozze,
886. Pretende il marchesato di Saluzzo dal duca di Savoia, 887. Fa pace
con questo duca, 891. Gli nasce Lodovico XIII, 897. Dichiarato nobile
veneto, 904. Sue buone e ree qualità, 929. Resta miseramente ucciso,
930.

Arrigo di Lorena. _V._ Duca di Guisa.

Arrunzio (Camillo), console, I, 93.

Arsace, re dell'Armenia, II, 31.

Arsane, regina di Persia, prigioniera di Galerio Massimiano, I, 1044.

Arsenio (Santo), aio d'Arcadio figliuolo di Teodosio imperadore, II,
239.

Arsenio, vescovo di Gubbio, III, 675.

Arsenio, vescovo d'Orta, III, 707.

Artabano, re de' Parti, I, 54, 57. Sua superbia, 104. Abbattuto
risorge, 106. Conchiude la pace con Caligola, 117. Sua morte, 169.

Artabano, re de Parti. A lui fa guerra Severo Augusto, I, 675. E
Caracalla, 735. Vende la pace a Macrino, 745.

Artabasco occupa l'imperio contra di Costantino Copronimo, III, 216.
Dichiara imperadore e collega Niceforo suo figliuolo, 230. Abbattuto da
Copronimo, 231.

Artaserse I, Persiano, abbatte il regno de' Parti, I, 796. Muove guerra
ai Romani, 797. Vittoria riportata contra di lui da Alessandro Augusto,
803.

Artaserse II, re di Persia II, 229.

Artemidoro, scrittore sotto Marco Aurelio, I, 591.

Artoldo, vescovo di Rems, III, 1054.

Aruspici, frenati da Costantino il Grande, I, 1145. Poi permessi, 1151.
Vietati, 1171.

Arvando, o sia Servando, prefetto del pretorio nelle Gallie, II, 627.

Ascanio Sforza, poi cardinale, relegato dalla duchessa Bona, VI, 55.
S'accorda con Lodovico il Moro suo fratello, 82, 93. Sua magnificenza,
111. Imprigionato da papa Alessandro, 125. Fatto prigione da'
Veneziani, e ceduto al re di Francia, ove è condotto, 163. Liberato di
prigione, 202. Muore, 218.

Ascolio (Santo), vescovo di Tessalonica, II, 224.

Asiatico (Valerio), congiurato contra di Caligola, I, 139. Console,
163. Si svena, 169.

Asiatico (Valerio), genero di Vitellio imperadore, I, 262. Console, 286.

Asili delle città, è moderato il loro diritto dal senato romano, I, 64.

Asinio Gallo, marito di Vipsania ripudiata da Tiberio, che il fa
morire, I, 84.

Asinio Pollione, congiurato contra di Claudio Augusto, ed esiliato, I,
164.

Aspare, generale di Teodosio II Augusto, prende Salona ed Aquileia,
II, 456. Riacquista Ravenna, 458. Sconfitto da Genserico, 460. Console,
488, 513, 546, 595. Promuove Leone all'imperio greco, 596. Tradimento a
lui attribuito, 628. Sua prepotenza, 632. È ucciso, 637.

Asprenate (Publio Nonio) congiura contra di Caligola, I, 140.

Asterio (Lucio Turcio Secondo Aproniano), prefetto di Roma, I, 1225;
II, 148.

Asterio, conte delle Spagne, II, 442.

Asti. Guerre civili di quel popolo, V, 294. Prende per capitano Filippo
di Savoia, 308, 330, 336. Giura fedeltà al re Roberto, 360. Si dà a
Luchino Visconte, 586.

Astigiani, sconfitti dagli Alessandrini, IV, 1070. Si danno a prestare
ad usura, 1076. Pace fra essi e gli Alessandrini, 1081. Tornano
in guerra, 1097. Fa loro guerra Tommaso conte di Savoia, 1248.
Sconfiggono i Torinesi, da' quali è loro consegnato esso conte, 1259.
Loro fa guerra Carlo I re di Sicilia, V, 103. E Guglielmo marchese di
Monferrato, 205.

Astolfo, figlio di Pemmone duca del Friuli, poscia re de' Longobardi,
III, 125. Va col padre e coi fratelli alla corte di Liutprando, 208.
Sua bravura, 217. Proclamato re de' Longobardi, 242. Occupa Ravenna,
247. Rotta la tregua, minaccia Roma, 250. Forzato dal re Pippino alla
restituzione dell'esarcato, 256. Assedia Roma, 258. Assalito dal re
Pippino, 261. Finisce di vivere, 263.

Astorgio Manfredi, signore di Faenza, fatto morire dal duca Valentino,
VI, 183.

Astorgio di Duraforte, conte della Romagna V, 612.

Astorre de' Manfredi. Sue pratiche per impadronirsi di Faenza, V,
749. Entra in essa città, e si fa signore, 756. Rotte le sue genti
da' Genovesi, 775. Da' Ferraresi è forzato a dimettere Azzo marchese
estense, 895. Gli fanno guerra i Bolognesi e il conte Alberico di
Barbiano, 896. Cede Faenza al cardinale Cossa, 924. Il quale gli fa
tagliare il capo, 933.

Astorre Visconte prende e mette in carcere Ugolino Cavalcabò, V, 922.
Si unisce con Ottobuono da' Terzi per far guerra a Milano, 951. Fa
alcune scorrerie fino alle porte di detta città, 959. Si fa proclamar
duca di Milano, 981. Sua morte e sepoltura, 988.

Astorre II de' Manfredi, signore di Faenza V, 1131.

Astorre III de' Manfredi, signore di Faenza, V, 1202. Unito co'
Veneziani, VI, 23. Fine di sua vita, 30.

Astorre IV de' Manfredi succede, al padre ucciso nella signoria di
Faenza, VI, 101. Gli è tolta quella città dal duca Valentino, 165, 166.

Astrologia, _V._ Strologia.

Alace, re degli Alani, II, 436.

Atalarico, nipote di Teoderico re d'Italia: gli succede, II, 823,
824 Forzata Amalasunta sua madre ad allevarlo alla gotica, 829. Suoi
editti, 844, 845. Immatura sua morte, 853.

Atanagildo, principe, nipote di Childeberto re di Austrasia, II, 1073,
1077, 1084.

Atanarico, principe de' Goti. Sue guerre con Valente Augusto, II, 167.
Pace fra loro, 174. Va a Costantinopoli, e vi muore, 231, 232.

Atanasio, vescovo d'Alessandria, esiliato da Costantino il Grande,
II, 1205. Richiamato dall'esilio, 1214. Protetto contro gli ariani da
Costante Augusto, 17. Rimesso da Costanzo Augusto sulla sua sedia, 26.
Deposto nel conciliabolo di Milano, 69. Perseguitato dall'imperadore
Costanzo, è costretto a fuggire, 73. Richiamato, 121, 141. Fine di sua
vita, 186.

Atanasio (Santo), vescovo di Napoli, III, 730. Imprigionato dal nipote,
poi rimesso in libertà, 732. Assediato in un'isola, è liberato da
Lodovico Augusto, 753. Passa a miglior vita, 186.

Atanasio juniore, vescovo di Napoli, 111, 784. Abbatte Sergio duca
suo fratello, e viene proclamato duca di Napoli, 789. Sua alleanza
co' Saraceni, 809. Scomunicato per questo dal papa, 824. Unitosi
con Guaimario principe di Salerno e coi Capoani scaccia da Agropoli
i suddetti Saraceni, 835. Sue iniquità, 844 850, 854, 866, 873. Sua
morte, 946.

Ataulfo, cognato d'Alarico re dei Goti, II, 389, 395. Dopo la morte di
lui proclamato re, 406. Passa nelle Gallie, 416 Sua pace con Onorio
Augusto, 417 Sue imprese in esse Gallie, 421, 422. Prende per moglie
Galla Placidia, 424. Passa nelle Spagne, 427. È ucciso da' suoi, 428.
Suo epitafio apocrifo, 429.

Atenaide, fanciulla dottissima, sposata da Teodosio II Augusto, _V._
Eudocia.

Atene, città insigne, bruciata da' Goti, I, 930, 941.

Atenodoro, uno de' primi personaggi fra gl'Isauri, è decapitato, II,
728.

Atenolfo, principe di Capoa, III, 860, 874, 898. Si impadronisce di
Benevento, 945. Manda in esilio Pietro vescovo di quella città, 970.
Tenta di scacciare dal Garigliano i Saraceni, 971. Termina il corso di
sua vita, 977.

Atenolfo II, principe di Benevento e di Capoa, III, 977, 981, 988,
1072. Tempo in cui egli mancò di vita, 1084.

Atenolfo, abbate di Monte Casino, IV, 126.

Atenolfo, fratello di Pandolfo III, principe di Benevento, IV, 211.

Attala, abbate di Bobbio, II, 1159, 1167, 1180, 1183. Sua morte, 1189.

Attalo (Claudio), presidente di Cipro, fatto morire da Elagabalo, I,
755.

Attalo (Prisco), fiscale di Onorio Augusto, II, 394. Dichiarato
imperadore, 397. Deposto, 399. Passa nelle Gallie, 416, 425. Preso e
consegnato ad Onorio imperadore, 433.

Attico (Marco Vestinio), console, ucciso da Nerone, I, 235.

Attico, padre di Attico Erode, truova un tesoro, I, 496.

Attico, vescovo di Costantinopoli, II, 520.

Attila, re degli Unni, succede col fratello Bleda a Bugila, II,
489. Dà aiuto a' Romani contra dei Borgognoni, 494. E contro i Goti,
506. Saccheggia l'Illirico e la Tracia, 514. Fa pace con Teodosio II
Augusto, 516. Toglie di vita Bleda, 519. Suoi costumi ed abitazione,
525. Battaglia da lui data nella Dacia, 528. Dà il guasto alla Tracia;
e Teodosio II con dure condizioni fa seco pace, 537. Sua maniera di
vivere, 540. Gli si esibisce in moglie Giusta Grata Onoria sorella di
Valentiniano III Augusto, 549. È incitato dal re vandalo a far guerra
a' Visigoti, 551. Terribile sua battaglia con essi e co' Romani, 554.
Calato in Italia, prende e distrugge Aquileia ed altre città, 558.
Altra fiera battaglia contro i Visigoti, in cui resta abbattuto il suo
orgoglio, 568. Sua morte da bestia, 569.

Attone, figlio di Eude duca d'Aquitania, III, 203.

Attone, duca di Spoleti, II, 1248. Sua morte, III, 13.

Attone, vescovo di Basilea, III, 475.

Aubigny (il signor d'). Principia in Napoli le ostilità contro gli
Spagnuoli, VI, 194. Rotto e ferito in Calabria, 208. Cede Brescia al
vicerè Cardona, 293.

Audace, vescovo d'Asti, III, 970.

Audelao, duca di Benevento, III, 195.

Audoaldo, duca de' Franchi, fa guerra ai Longobardi, II, 1074.

Audoaldo, duca de' Longobardi. Suo epitaffio, III, 153.

Audoeno (Santo), vescovo di Roano, III, 44

Audoino, re de' Longobardi, II, 831, 879. Sua vittoria de' Gepidi, 936.

Augusta, città devastata da Attila, II, 553.

Augusto (Federigo), elettor di Sassonia, generalissimo dell'armi
cesaree, VII, 116, 121. Abiura il luteranismo, ciò che gli giova per
salire il trono di Polonia, 129, 132. Visita l'Italia, 244. Sua morte,
375.

Augusto III, elettore di Sassonia, proclamato re di Polonia, VII, 375.

Augusto Cesare, imperadore, _V._ Cesare Augusto.

Augustolo, o sia Romolo, figlio di Oreste, proclamato imperadore, II,
656. Abbattuto da Odoacre, salva la vita, 661.

Aureliano (Lucio Domizio), che fu poi imperadore, libera l'Illirico
da' Barbari, I, 882. Sue imprese militari, 888. Destinato console,
891, 894. Generale di Claudio Augusto, 941. Proclamato imperadore, 946.
Sue doti e severità prima dello imperio, 949. Sua disciplina militare,
_ivi_, 950. Vince i Giutunghi e i Vandali, 952. Sua crudeltà, 954, 955.
Abbatte Cannabaude re de' Goti, 959. Dà una rotta a Zenobia regina de'
Palmireni, 960. Assedia e prende Palmira, 962, 964. Conduce a Roma
in trionfo Zenobia prigioniera, 964. Distrugge Palmira, e ricupera
l'Egitto, 966. Sua vittoria di Tetrico, a cui perdona, 967, 968. Suo
insigne trionfo, 969. Sue lodevoli azioni, 970, 971. Viene ucciso dai
suoi, 975.

Aureliano, prefetto del pretorio d'Oriente, II, 348, 352.

Aurelio, vescovo, di Cartagine, II, 440, 441, 447. Fine di sua vita,
478.

Aureo Mastropetro, doge di Venezia, IV, 873. Termina il suo vivere, 932.

Aureolo (Manio Acilio), generale di Gallieno Augusto, I, 904.
Proclamato imperadore, _ivi_. Vince Macriano, 909. Usurpa l'imperio,
920, 932. In qual modo finisse la vita, 938.

Ausenzio, vescovo ariano, II, 258.

Ausonio (Decimo Magno), console e scrittore celebre, II, 217. Suo
panegirico, 221.

Austria. Così chiamata la parte del regno longobardico posta fra
settentrione e levante, III, 82.

Austriaci, comandati dal principe di Lobkowitz, marciano per la Romagna
contro gli Spagnuoli, VII, 517, 518. Si accampano sotto Velletri, dove
è il re delle Due Sicilie colla sua armata, 526. Con felice attentato
entrano in quella città, ma ne sono poi respinti, 528, 529. Si ritirano
da Velletri, 530. Passato il Reno, si spargono per l'Alsazia, 541, 542.
Ripassato il Reno, accorrono alla difesa della Boemia, 543. La loro
armata di Italia si ritira sul Modenese, 555. Forzano gli Spagnuoli
ad abbandonar Milano, 572. Ricuperano Guastalla, 575. E Parma, 579.
Bloccano Piacenza, 582. Battaglia fra essi e i Gallispani, 585, 586. Ed
altra al Tibone, 596. S'inviano alla volta di Genova, abbandonata da'
Gallispani, 600. Capitolazione co' Genovesi, 606. Impongono ad essi la
contribuzione di tre milioni di genovine, 608. Muovesi contra di loro
sollevazione in Genova, 622. E questa va sempre più crescendo, 624. Con
generale assalto del popolo sono cacciati fuori della città, 628, 629.
Si ritirano in Lombardia, 630. Calano coll'armata contro Genova, 657.
Loro imprese militari nell'assedio di quella città, 660, 661. Calano
in valle di Bisagno, 664. Sciolto l'assedio, si ritirano in Lombardia,
668.

Austro-Sardi, vengono al Panaro per opporsi agli Spagnuoli, VII, 497.
Assediano la cittadella di Modena, 498. E la Mirandola, 500. Loro
battaglia cogli Spagnuoli a Camposanto, 509. Conducono l'armata in
Provenza, 616. Quivi arrenato ogni loro progresso per la sollevazione
di Genova, 633. Patimenti da loro sofferti, 647. Tornano in Italia,
649.

Autari, figlio di Clefo, eletto re da' Longobardi, II, 1049. Tributi
a lui assegnati dai duchi, 1051. Motivi per li quali fu eletto, 1054.
Ricupera Brescello, fa tregua coll'esarca, 1058. Dà una rotta ai
Franchi, 1065. Acquista l'isola Comacina, 1066. Sue mire per ottenere
Teodelinda, figlia del duca di Baviera, in isposa, 1067. Sue nozze
con essa, 1069. Conquista varii paesi, _ivi_. Guerra a lui fatta da'
Franchi, 1074. Sua morte, 1080.

Avalos (Alfonso), marchese del Vasto. Suo valore VI, 414. Governatore
dell'armi cesaree in Milano, 421. Fatto prigione da' Franzesi, 459. Sue
imprese, 465, 555, 563. Termina il suo vivere, 576.

Avalos (Ferdinando), marchese di Pescara, prigione de' Franzesi nella
battaglia di Ravenna, VI, 283. Dà una rotta a' Veneziani, 309. Assedia
Milano, 369. Soccorre Pavia, 381. Prende e saccheggia Genova, 386.
Suo insigne valore nella battaglia e liberazion di Pavia, 414. Ferito
nella battaglia sotto quella città, 416. Tentato di ribellione, 419 Sua
morte, 420.

Avari o Abari, Unni, cominciano a farsi conoscere, II, 966. Dimandano
a Giustiniano Augusto luogo da abitarvi, 972. Dimorano nella Moldavia,
984. Loro lega co' Longobardi, 985. Danno una sconfitta a Sigeberto re
della Francia orientale, 988. Ceduta loro la Pannonia da' Longobardi,
998. Occupano il Sirmio, 1047. Mettono in contribuzione Maurizio
Augusto, _ivi_, 1048. Loro pace co' Longobardi, 1086, 1111. _V._ Unni.

Avenzio, prefetto di Roma, II, 239.

Avignone. Sede pontifizia trasportata da Clemente V in questa città,
V, 295. È venduta da Giovanna regina di Napoli a Clemente VI, 601.
Suntuose fabbriche quivi fatte da questo pontefice, 625. Vi entra la
peste, che fa un'orrida strage, 684. Urbano V trasporta la sua Sede a
Roma, 707. Torna poco dopo a quivi riporla, 722. Gregorio XI la porta
di nuovo in Italia, 752. Diviene la residenza degli antipapi, 769.

Avito, compagno di Aezio nelle battaglie, II, 491. Prefetto del
pretorio nelle Gallie, 506, 553. Proclamato imperadore in esse
Gallie, 584. Prende il consolato, 587. Costretto da Ricimere a deporre
l'imperio, è fatto vescovo, 591. Termina i suoi giorni, 693.

Avito (Santo), vescovo di Vienna nel Delfinato, II, 740, 795.

Avogadro (conte Luigi), nobile bresciano, invita i Veneti all'acquisto
di Brescia, VI, 276.

Azzo, abbate di Volturno, III, 249.

Azzo, bisavolo della contessa Matilda, signore di Canossa, ricovera
in quella fortezza la regina Adelaide, III, 1118. Assediato dal re
Berengario in quella, 1128. Liberato da Lodolfo figlio di Ottone il
Grande, 1136. Alzato al grado di conte, 1140. E di marchese, 1157. Fine
de suoi giorni, e sua figliuolanza, 1221.

Azzo I, marchese, progenitore de' principi estensi, IV, 97, 100.
Imprigionato, poi messo in libertà da Arrigo I Augusto, 108. Invita in
Italia Roberto re di Francia, 147.

Azzo II, marchese, progenitore degli Estensi, eredita gli Stati d'Ugo
marchese suo zio, IV, 167. Suoi placiti in Milano, 227. Marito di
Cunegonda de' Guelfi, 239. Conte della Lunigiana, 249. Padre di Guelfo
IV progenitore della casa di Brunswich, 276. Va in Francia, 339. Suo
matrimonio con Matilda sorella di Guglielmo vescovo di Pavia, 360.
Padrone della badia della Vangadizza, 363, 364. Assiste ad Arrigo IV re
in Canossa, 377. Dà per moglie ad Ugo suo figlio una figlia di Roberto
Guiscardo, 383, 384. Sua morte, 473.

Azzo, abbate di Subiaco, IV, 251.

Azzo, eletto arcivescovo di Milano, e rifiutato, IV, 351.

Azzo, vescovo d'Acqui, IV, 538.

Azzo, arcivescovo di Pisa, IV, 588.

Azzo V, marchese d'Este, prende in moglie Marchesella degli Adelardi, e
comincia a dominare in Ferrara, IV, 949.

Azzo VI, marchese d'Este, collegato co' Padovani, IV, 963. Sue nozze
con Alisia figlia di Rinaldo principe d'Antiochia, 988. Capo de'
Guelfi, sua discordia con Salinguerra, 991. Podestà di Verona, ne è
scacciato, 995. Vi torna con isconfiggere gli avversarii, e signoreggia
ivi sino alla morte, 998, 999. Caccia Salinguerra da Ferrara, e ne è
creato signore, 1000. Bene accolto dal re Ottone IV, 1004. Cacciato
fuor di Ferrara da Salinguerra, 1007. Investito della marca d'Ancona,
1008. Fa lega col papa contro Ottone IV, 1014. Ricupera Ferrara, 1015.
Conduce in Germania Federigo II, 1017. Sua morte, 1018.

Azzo VII, marchese d'Este, IV, 1018. Vien meno la sua autorità in
Ferrara, 1027. Investito della marca d'Ancona, 1035. I suoi aderenti
in Ferrara ne scacciano Salinguerra, 1052. Scacciato da Ferrara da
Salinguerra, 1056, 1057. Incautamente coll'armi tenta di rientrarvi,
1057. Tradito di nuovo da Salinguerra, 1064. Co' Padovani fa guerra
a Verona, 1096. Dà una rotta ai Trivisani, 1108. Podestà e rettore di
Vicenza, 1134. Capitan generale della marca di Verona, 1137. Abbraccia
il partito di Federigo II Augusto, 1139. Indarno tenta la liberazion
di Padova, 1150. Dà per ostaggio a Federigo il figlio Rinaldo, 1156.
Si ritira da lui, e ricupera i suoi Stati, 1158. Coi collegati assedia
e prende Ferrara, 1162, 1163. Va in soccorso di Parma, 1202. Terre a
lui tolte da Eccelino, 1215, 1216. E ricuperate, 1256, 1262. Difende
Padova, 1257. Sua vittoria di Eccelino, V, 14. Congiura contro di lui
in Ferrara scoperta, 30. Sua lega con varii principi, 32. Dà fine al
suo vivere, 46.

Azzo VIII, marchese d'Este, succede ad Obizzo suo padre, V, 224. Guerra
a lui fatta dai Padovani, 231. E da' Parmigiani e Bolognesi, 238, 244,
252. Signore di Ferrara, collegato con Matteo Visconte, 278. Sue nozze
con Beatrice figlia di Carlo II re di Napoli, 298. Guerra a lui mossa
da' Parmigiani e Bolognesi, 299. Gli si ribellano Modena e Reggio, 302.
Sua guerra coi Mantovani, 313. Fine de' suoi giorni, 318.

Azzo da Correggio, signore di Parma, V, 480. Governatore d'essa per
gli Scaligeri, 543. Se ne fa padrone, 555, 556. Vende Parma ad Obizzo
marchese d'Este, 573.

Azzo, figlio di Galeazzo Visconte. Si salva nella presa di Piacenza,
V, 428. Fa guerra ai Parmigiani, 445. In aiuto di Castruccio riporta
una grande vittoria, 447. In aiuto di Passerino dà una gran rotta ai
Bolognesi, 449. Fa guerra a Brescia, 458. Imprigionato da Lodovico
il Bavaro, 461. È liberato, 462, 471. Creato vicario di Milano, 481.
Si ribella al Bavaro, 484. Con lui si pacifica, 485. Toglie di vita
Marco suo zio, 488. Fa lega contro Giovanni re di Boemia, 500, 505.
S'impadronisce di Bergamo, 506, 507. Di Pizzighettone, 509. Di Pavia,
_ivi_. E del suo castello, 514. Di Vercelli, 519, 520. Di Cremona,
520. Di Como, 526. Di Lodi, 527. Di Crema, _ivi_. Di Piacenza, 531.
Di Brescia, 536, 537. Contra di lui procede con forte armata Lodrisio
Visconte, 544, 545. Sua insigne vittoria, 546, 547. Sua morte e sue
rare doti, 548.

Azzone, vescovo di Como, III, 1072.

Azzone, vescovo di Vercelli, III, 1070, 1107. Sua letteratura e pietà,
1141, 1144.


B

Babila, celebre martire. Traslazione del suo corpo in Antiochia, II, 61.

Bacaudi o Bagaudi, gente sollevata nelle Gallie, II, 492.

Bada ossia Baden, pace ivi conchiusa tra la Francia e l'imperador Carlo
VI, VII, 259.

Badia di Santa Maria de' Benedettini, fondata in Firenze dalla contessa
Willa, III, 1278.

Baglione (Gian Paolo), quasi signore di Perugia, VI, 192. Ne è cacciato
dal duca Valentino, 197. Vi rientra, 202. La cede a papa Giulio
II, 219. Generale de' Veneziani, 268. Rotto e fatto prigione dagli
Spagnuoli, 309. Gli è tagliato il capo in Roma, 359.

Baiano, re degli Avari, II, 985.

Bajazette, sultano de' Turchi, manda ambasciatore al papa, VI, 106. Fa
guerra in Ungheria, 108.

Balbino (Decimo Celio), creato imperadore, I, 828. Non può quietare la
sedizione de' Romani, 833. Ucciso dai pretoriani, 837.

Baldassarre Cossa, cardinale legato, spedito a Ferrara col titolo
di legato di Bologna, per la riduzione di questa città, V, 913. La
ricupera, 915. Gli è ceduta anche Faenza, 924. Fa guerra ai conti di
Barbiano, 933. Sottomette Forlì, 942. Si dichiara contro papa Gregorio
XII, 956, 960, 961, 962. Libera Roma ed altre città dalle mani del re
Ladislao, 963, 964, 665. È eletto papa, _V._ Giovanni XXIII.

Baldovino, conte di Fiandra, III, 698, 700.

Baldovino, conte di Fiandra, ottiene grazia da Arrigo II, re di
Germania IV, 82. Rimesso in grazia di Arrigo IV, 279.

Baldovino, re di Gerusalemme, IV, 487. Sposa con matrimonio nullo
Adelaide, vedova di Ruggieri conte di Sicilia, 541.

Baldovino, conte di Fiandra, creato imperadore di Costantinopoli, IV,
985. Preso ed ucciso dai Bulgari, 989.

Baldovino, arcivescovo di Treveri, V, 337.

Baldrico, duca o marchese del Friuli, III, 522, 527, 553. È deposto,
562.

Balista (Servio Anicio), generale di Valeriano, I, 905. Si crede che
assumesse il titolo d'imperadore, 910. È poscia ucciso, _ivi_.

Barasone, re di Sardegna, IV, 319.

Barasone, o Barisone, giudice d'Arborea. Gli è fatta guerra da Barisone
giudice di Turri, IV, 789. Ottiene da Federigo I il titolo e la corona
di re di Sardegna, 790. È detenuto prigione in Genova, _ivi_, 820.
Riacquista la libertà, 829.

Barbari, congiurati contro il romano imperio, II, 358. Entrano nelle
Gallie, 376. Nell'Illirico, nella Gallia e nella Spagna, 401, 402.
Favorevoli ad Onorio Augusto, 432.

Barbarighi dogi di Venezia, _V._ Agostino, Marco.

Barbarossa, _V._ Ariadeno.

Barbato (San), vescovo di Benevento, III, 14.

Barberini, nipoti di papa Urbano VIII. Loro ambizione, VI, 1108.
Muovono guerra per Castro al duca di Parma, 1109, 1114. Con trattati di
pace il burlano, 1117. Loro imprese guerriere, 1121. Fanno pace, 1124
Cadono in disgrazia di papa Innocenzo X, 1135. Si ritirano da Roma,
1143. Rimessi nello stato primiero, 1182.

Barcellona sottoposta ai Franchi, III, 407. Riacquistata da Lodovico
Pio, 431. Presa dal re Carlo III con altre città di Catalogna, VII,
193. Liberata dall'assedio degli Spagnuoli, 207. Assediata e presa dal
re Filippo V, 261.

Bardane, _V._ Filippico.

Bardelone de' Bonacossi, signore di Mantova, V, 217. Suo buon governo,
239. Gli è tolto il dominio da Botticella suo nipote, 264.

Bari, città della Puglia, presa dai Saraceni, III, 625. Assediata da
Lodovico II Augusto, 719, 720. È costretta alla resa, 729, 732.

Barisone, _V._ Barasone.

Barnaba da Goano, doge di Genova, V, 1000.

Baronio (cardinale). Non ben prese il principio dell'era cristiana, I,
6, 7. Annalista della Chiesa, sua morte, VI, 925.

Bartoli (Giuseppe). Suo poemetto per la vittoria riportata dalle truppe
del re sardo al'Assietta, VII, 672, 673.

Bartolomeo (San) Apostolo. Suo corpo in Benevento, e non in Roma, IV,
44.

Bartolomeo Pignatelli, arcivescovo di Messina, V, 57.

Bartolomeo Gradenigo, doge di Venezia, V, 551. Manca di vita, 569.

Bartolomeo dalla Scala, signor di Verona, V, 275. Sua morte, 295.

Bartolomeo II dalla Scala, signor di Verona, V, 747. Gli fa guerra
Bernabò Visconte, 766. È ucciso dal fratello, 787.

Bartolomeo dalla Scala, vescovo di Verona, ucciso, V, 540.

Bartolomeo Capra, arcivescovo di Milano, V, 982. Governatore di Genova,
1076.

Bartolomeo Coleone. Dà una rotta ai Franzesi, V, 1195. Va al servigio
de' Veneziani, 1197, 1205. Sua vittoria de' Savoiardi, 1208. Spogliato
di tutte le sue truppe da Jacopo Piccinino, 1222. Torna al servigio de'
Veneziani, 1236. Da' quali è creato lor generale, 1240. Muove guerra ai
Fiorentini, VI, 22. Sua battaglia con essi, 24. Fine di sua vita, 52.

Basilica Traiana in Roma, I, 421.

Basilica di San Paolo in Roma, fatta rifabbricare da Valentiniano II,
II, 259.

Basilica di San Giovanni evangelista, rifabbricata da Galla Placidia
Augusta, II, 487.

Basilica di Santa Maria Maggiore, fabbricata da Sisto III, II, 507.

Basilica di Santo Zenone in Verona miracolosamente preservata
dall'inondazione, II, 1070, 1071.

Basilio (Valerio Massimo), prefetto di Roma, I, 1144, 1146.

Basilio (San), vescovo di Cesarea di Cappadocia, II, 135, 178, 181.

Basilio, prefetto di Roma, II, 317.

Basilio, usurpa l'imperio in Sicilia, III, 159. È ucciso, 160.

Basilio Macedone, creato imperador de' Greci, III, 713, 722. Concilio
per sua cura tenuto, 720. Manda una flotta in soccorso di Lodovico
Augusto, 722. Lettera a lui scritta da esso Lodovico, 734. Manda
soccorsi ad Adelgiso principe di Benevento, 756. Favorisce Fozio, 801.
Muore, 854.

Basilio, catapano, ossia capitano dei Greci in Puglia, _V._ Bugiano.

Basilisco, fratello di Verina Augusta, console, II, 617. Sua infelice
spedizione in Africa contro di Genserico, 628. Rimesso in sua grazia da
Leone Augusto, 635. Sollevatosi contro Zenone Augusto, si fa proclamare
imperadore, 658. In qual anno ciò avvenisse, 663. Viene abbattuto ed
ucciso, 667, 668.

Bassacio, abbate di Monte Casino, III, 647, 654. Va a chiedere aiuto a
Lodovico II Augusto, 666.

Basseo (Rufo), prefetto del pretorio a' tempi di Marco Aurelio, I, 557.

Bassiano (Vario Avito), così chiamato Elagabalo nella sua vita privata,
è acclamato imperadore, I, 749, 750. Prende il nome di Marco Aurelio
Antonino, 750, 754. Perduto dietro al suo dio Elagabalo, 756. Varie
sue mogli, e sua infame lussuria, 759, 760. Sue pazzie, 761, 762, _V._
Elagabalo.

Basso (Cesellio), scioccamente propone a Nerone un gran tesoro, I, 238.
Si uccide, _ivi_.

Basso (Settimio), console e prefetto di Roma, I, 1141, 1143, 1144.

Bastarni, popoli, abitanti presso le bocche del Danubio, soccorsi da
Probo imperadore, I, 992, 993.

Baterico, vescovo d'Ivrea, III, 1070.

Batistino Fregoso, doge di Genova, VI, 63. Imprigionato e deposto dal
cardinal Paolo Fregoso, 85.

Batone, capo de' Dalmatini ribelli della Pannonia, I, 22, 24. Va ad
abboccarsi con Tiberio, per trattar di pace, 26. È ucciso, 27.

Batone, altro capo de' ribelli della Pannonia, I, 22, 24, 27. Ricorre
alla misericordia di Tiberio, 28. Segue questo sovrano a Roma nel suo
trionfo, 36.

Battaglia di Chiari, fra i Tedeschi e Franzesi, VII, 159.

Battaglia di Luzzara fra i Gallo-Ispani e Tedeschi, VII, 170.

Battaglia di Hogstedt favorevole agli imperiali ed Inglesi contro i
Gallo-Bavari, VII, 187.

Battaglia di Cassano, indecisa fra i Tedeschi e Franzesi, VII, 192.

Battaglia di Ramegli colla rotta de' Franzesi, VII, 205.

Battaglia di Malpacquet, indecisa, tra i Franzesi e collegati, VII, 231.

Battaglia di Petervaradino colla rotta de' Turchi, VII. 270.

Battaglia navale tra i Veneziani e i Turchi, VII, 274.

Battaglia di Belgrado, colla vittoria de' Cristiani contra i Turchi,
VII, 276.

Battaglia di Parma, favorevole ai Gallo-Sardi, VII, 391, 392.

Battaglia di Guastalla svantaggiosa agli imperiali, VII, 396, 397.

Battaglia di Crotska co' Turchi, VII, 454, 455.

Bautone, conte, Franco, generale di Graziano Augusto, II, 230. Generale
di Valentiniano II, 252. Console, 253.

Baviera, quando cominciasse ad avere il suo duca, II, 968.

Beato, doge di Venezia, III, 447. È deposto, 476.

Beatrice figlia di Federico duca di Lorena, IV, 188. Partorisce la
contessa Matilda, 234. Si marita con Gotifredo duca di Lorena, 267.
Imprigionata da Arrigo II Augusto, 270. Resta di nuovo vedova, 341.
Comanda in Toscana, 353, 357, 371. Compone una differenza fra Eriberto
vescovo di Modena ed Alberto di Bazovara, 369. Dà fine a' suoi giorni,
372.

Beatrice Estense, maritata ad Andrea II re d'Ungheria, IV, 1126.

Beatrice Estense. Sue magnifiche nozze con Galeazzo Visconte, V, 368.

Beatrice d'Aragona, moglie di Mattia Corvino re d'Ungheria, VI, 54.

Becco, antichità di questa parola, I, 277.

Beda, celebre scrittore. Col suo esempio rende familiare l'era
cristiana fra' Latini, I, 6.

Belgrado, assediato dalle armi imperiali, VII, 274. È preso dalle
medesime, 276. Assediato dai Turchi, 456. Ceduto ad essi senza saputa
dello imperadore, _ivi_.

Belisario generale di Giustiniano imperadore, II, 832, 848. Da cui è
spedito contra di Gelimere re dei Vandali in Africa, 849. Con felicità
si impadronisce di quel regno, 850. Creato console, 857. Toglie la
Sicilia ai Goti, 859, 860. Prende Reggio di Calabria, e poi Napoli,
con barbaramente saccheggiarla, 864, 865. Entra in Roma, 867. Dove
assediato si difende, 868, 874. Conquista Milano, 875. Lo perde colla
strage di que' cittadini, 878. Assedia Ravenna, 883. E la prende, 886.
Richiamato a Costantinopoli, 887. Privato della carica di generale,
897. Rimandato in Italia, 902. Tenta di soccorrere Roma assediata da
Totila, 910. Vecchio è tuttavia adoperato da Giustiniano, 969. Cade
in sua disgrazia, 975, 976. Ricupera gli onori, 978. Dà fine alla sua
vita, 982.

Bellarmino (Roberto), cardinale. Sua morte, VI, 985.

Beltrame degli Alidosi, signore d'Imola, V, 750.

Beltrando dal Poggetto, cardinale inviato per legato in Italia, V, 409.
Sua guerra coi Visconti, 412, 418, 421. Gli scomunica, 424, 425. Loro
fa guerra, 434. Assedia Milano, 435. A lui si dà Parma, 453. Bologna
e Modena, 458, 459. E Faenza, 480. Reggio, 489. Sue genti rotte dai
Modenesi, 494 Fabbrica una fortezza in Bologna 495. Sue intelligenze
con Giovanni re di Boemia, 500. S'impadronisce di quasi tutta la
Romagna, 501, 502; Burla i Bolognesi, 504. Assedia Ferrara, 510.
Cacciato da Bologna, torna in Provenza, 518.

Beltrando, patriarca d'Aquileia, ucciso, V, 616.

Bemarco Cesariense, storico, I, 1196.

Benedetto (San), patriarca, ristauratore dell'ordine monastico in
Occidente: sua morte, II, 904. Suo corpo trasportato in Francia, III,
49.

Benedetto I papa. Sua consecrazione, II, 1017. Fine di sua vita, 1031.

Benedetto II papa. Sua consecrazione, III, 67. Sua morte, 69.

Benedetto (San), arcivescovo di Milano, III, 144.

Benedetto, abbate di Farfa, III, 493.

Benedetto III, papa. Sua elezione, III, 675. Contrastata da Anastasio
cardinale scomunicato, _ivi_. È chiamato a miglior vita, 684.

Benedetto, vescovo di Cremona, III, 765.

Benedetto IV papa. Sua elezione, III, 944. Dà la corona dell'imperio a
Lodovico re di Provenza e d'Italia, 947. Termina i suoi giorni, 956.

Benedetto, vescovo di Tortona, III, 1014.

Benedetto V papa. Sua elezione e suo esilio, III, 1167. Chiamato
all'altra vita, 1170.

Benedetto VI papa. Sua elezione III, 1202. Suo miserabil fine, 1208.

Benedetto VII papa. Sua elezione, III, 1211. Sua morte, 1249, 1250.

Benedetto VIII papa. Sua elezione, IV, 96. Fugge in Germania, 98. Dà
la corona dell'imperio ad Arrigo I, 101, 102. Suo dominio amplificato,
103. Diploma d'esso Arrigo in favor della Chiesa Romana dubbioso,
_ivi_. Sua bolla e placito, 106. Altro suo placito, 110. Scaccia
i Saraceni da Luni, 115. Poi dalla Sardegna per mezzo dei Pisani e
Genovesi, 118. Va in Germania a trovare l'imperadore Arrigo, 126. Lo
chiama in Italia contro i Greci, 132. È chiamato a miglior vita, 143.

Benedetto IX papa. Sua illegittima elezione, IV, 175, 176. Sua vita
infame, 176. Viene in Lombardia ad abboccarsi con Corrado I Augusto,
195. Congiura de' Romani contra di lui, 196. Cacciato risorge, e poi
vende il papato, 221, 222. Credesi che facesse penitenza, 223. Deposto
nel concilio di Sutri, 229. Torna ad occupar la santa Sede, 241.

Benedetto X illegittimo papa, IV, 285. Rinunzia alle sue pretensioni,
288.

Benedetto, vescovo d'Adria, IV, 268.

Benedetto, vescovo di Velletri, IV, 284.

Benedetto Gaetano cardinale, V, 227, 230. Eletto papa, _V._ Bonifazio
VIII.

Benedetto XI papa. Sua elezione, V, 286, 287. Sue gloriose azioni, 289.
Sua morte e santità, 292.

Benedetto XII papa. Sua elezione, V, 523. Sue sante intenzioni, 524.
Sua schiavitù in Provenza, 541. Scaligeri a lui sottomessi, 550, 551. E
molte città, 554. Sua morte e belle doti, 560.

Benedetto di Buonconte de' Monaldeschi, signore d'Orvieto, V, 619.

Benedetto XIII antipapa lasciato in libertà dagli Avignonesi, V, 901.
Manda ambasciatori a papa Bonifazio, 919. Riconosciuto per papa dai
Genovesi, 926. Va a Genova, 934. Si ritira a Marsilia, 943. Torna
a Genova, fingendo premura della riunione, 948, 949. I Franzesi gli
levano l'ubbidienza, 953. Fugge in Ispagna, 956. È deposto, 961. Citato
dal concilio di Costanza, 993. Ostinato in voler sostenere il suo
punto, 996, 1001. Condanna emanata contro di lui, 1008. Dà fine alla
sua vita, 1043, 1051. _V._ Pietro di Luna.

Benedetto XIII papa. Sua creazione, VII, 317. Ricupera il possesso di
Comacchio, 318. Celebra l'anno del giubileo, e un concilio provinciale,
320. Sue virtù, 324, 325. Va a Benevento, 330, 343. Torna a Roma, 331,
343. Passa a miglior vita, 348.

Benedetto XIV papa. Sua elezione, VII, 462, 463. Sue lodevoli azioni,
470. Suo decreto pei riti cinesi, 508. Fa promozione di ventisette
cardinali, 521. Insigne grazia da lui fatta agli ordini monastici, 545.
Altra promozione de' cardinali nominati dalle corone, 675. Sue virtù e
belle azioni, 704.

Beneventani, una volta adoratori della vipera, III, 1269, 1270.

Benevento quando occupato dai Longobardi, II, 1009. Quando avesse
principio il suo ducato, 1020. Assediato dai Greci, III, 9. Difeso dal
duca Romualdo, 11. È liberato, 12. Suo ducato convertito da Arrigiso
in principato, 323, 324. Suo vescovo creato arcivescovo, 1192. Ceduto
ai papi, IV, 257. Assediato da Federigo II Augusto, 1163. Orribile
tremuoto da esso sofferto, VII, 76, 80, 171.

Benzone, vescovo d'Alba. Suo scomunicato panegirico di Arrigo III fra
gl'imperadori, IV, 66. Sua satira contro papa Alessandro II, 302.

Beorgor, re degli Alani, ucciso, II, 616.

Bera, conte di Barcellona. Suo duello, III, 526.

Beraldo, abbate di Farfa, IV, 566.

Berardo, abbate di Farfa, IV, 249.

Berardo, abbate di Farfa, IV, 401, 409.

Berardo de' Maggi (per isbaglio Bernardo), vescovo e signore di
Brescia, V, 288. Sua morte, 322.

Berardo, vescovo di Padova, IV, 246.

Berengario, duca, figlio di Unroco, III, 590.

Berengario, duca del Friuli, poi re d'Italia, primo di questo nome,
III, 717. Favorisce Carlomanno, 769, 781. Fu nipote di Lodovico Pio
Augusto, 782, 783, 784. Lettera a lui scritta da papa Giovanni VIII,
803. Tenta di prendere il ducato di Spoleti, 839. Si vendica di
Liutvardo vescovo di Vercelli, 852. Placa l'Augusto Carlo il Grosso,
856. Forse fu di schiatta italiana, 865. Eletto re d'Italia, 866. Si
sottopone ad Arnolfo re di Germania, 869. Gli è mossa guerra da Guido
duca di Spoleti, _ivi_. Sua felice battaglia contra questo duca, 872.
Altra battaglia, in cui egli rimane sconfitto, 876. Riccorre ad Arnolfo
re di Germania, 886, 894. Il quale in persona viene in Italia, 896.
E lo spoglia del regno, 907, 908. Congiura contro di lui, 908, 909.
Ricupera la marca di Verona ed il ducato del Friuli, 915. Fa pace con
Lamberto imperadore, 923. Dopo la morte di esso Lamberto riacquista
il regno, 933, 934. Si discredita per l'imprudenza di non accordar
quartiere agli Ungheri fuggitivi, da' quali poi viene sconfitto,
942, 947. Gli muove guerra Lodovico re di Provenza, 942. Il quale lo
caccia di Italia, 949, 950, 951. Sorprende esso Lodovico, lo accieca
e ricupera il regno, 952. Invitato da papa Giovanni X alla corona
dell'imperio, 989. Descrizione della sua coronazione, 993. Tempo
di essa, 995, 1008. Imprigiona Guido duca di Toscana, 1003. Contro
di lui chiamato in Italia Rodolfo II re di Borgogna, 1010, 1011. Da
cui è sconfitto in una battaglia, 1016. Poscia ucciso in Verona da'
congiurati, 1018.

Berengario, figlio d'Adalberto marchese d'Ivrea, poi re d'Italia,
secondo di questo nome. Suo placito in Milano, III, 1002, 1003. Succede
al padre, 1065, 1081. Scampato dalle insidie del re Ugo, fugge in
Germania, 1083. Suoi maneggi contra di esso re, 1091. Cala in Italia
con alquante milizie, 1097. Comincia a tiranneggiare, 1099. Sua
autorità nel governo del regno, 1101. Fatto aio del re Lottario, 1103.
Spedisce Liutprando storico per ambasciatore al greco Augusto, 1108.
Col veleno spedisce all'altra vita il re Lottario, 1111. Viene eletto
re d'Italia, 1112. Imprigiona Adelaide regina, 1115. All'arrivo in
Italia d'Ottone il Grande se ne fugge, 1120. Supplichevole ricorre a
lui, 1124. Riacquista il regno, 1125. Assedia Canossa, 1128. Costretto
a ritirarsi da Lodolfo figlio di Ottone il Grande, 1137. Per la morte
del quale Lodolfo risorge, 1139. Alla seconda venuta in Italia di
Ottone il Grande fugge di nuovo, 1150, 1151. Si fortifica nella rocca
di San Leone, 1157. Quivi è bloccato da esso Ottone, 1160. È condotto
prigione in Germania, dove muore, 1165, 1166, 1177.

Berengario, eretico. Sua dottrina condannata, IV, 247. E da lui
abiurata, 290, 391.

Berenice, sorella d'Agrippa re, amata da Tito Cesare, e poi
abbandonata, I, 310, 311, 321.

Bergamo, città afflitta da Attila, II, 561. Si dà a Matteo Visconte
signor di Milano, V, 273. Si rimette in libertà, 278. Ivi guerra
civile, 294. Si dà a Giovanni re di Boemia, 498. Presa da Azzo
Visconte, 506.

Berito, città nella Fenicia, diroccata la maggior parte dal tremuoto,
II, 28.

Bernabò Visconte esiliato da Lochino, V, 552. Richiamato dall'esilio,
609. Prende il possesso di Bologna, 614. Sue nozze con Regina
Scaligera, 615. Indarno tenta Verona, 637. Succede in parte degli
Stati di Giovanni suo zio, 640, 649. Sue guerre in Lombardia, 652. Se
gli ribella Genova, 655. Fa guerra ai Gonzaghi, 661, 662. Sconfitto
il suo esercito, 662, 667. Fa pace coi collegati, 667. Fa guerra a
Bologna, 670, 671, 675, 679. E ai collegati, 686, 687. Che gli danno
una gran rotta, 691. Fa pace con loro, 696. Lega contra di lui, 705.
Muove guerra ai collegati contra di lui, 712, 713. Fa pace, 718.
Acquista Reggio, 728. Sua vittoria su' collegati, 732. Gran rotta data
da' collegati al suo esercito, 736. Ambrosio suo figlio ucciso, 738.
Fa guerra agli Scaligeri, 766. Assolda gente per mandar soccorsi ai
Veneziani suoi collegati, 774, 775. Fa guerra ai Genovesi, 774. Sua
tirannia, e de' suoi figliuoli, 805. È fatto prigione dal nipote, 806.
Sua morte, 809.

Bernardino da Polenta, signor di Ravenna, V, 281. Per poco signor di
Ferrara, 320.

Bernardino II da Polenta, signor di Ravenna, V, 594. Dà fine al suo
vivere, 674.

Bernardino (San), da Siena missionario. Sua morte, V, 1172.

Bernardo, duca della Settimania, III, 589.

Bernardo (San) disapprova l'usanza introdotta di esentare i monaci
dall'ubbidire ai vescovi, III, 46.

Bernardo, figlio di Pippino re d'Italia, III, 471. È creato anch'egli
re d'Italia, 482, 485. Chiamato in Francia, 492. Sospetti di Lodovico
Pio contra di lui, _ivi_. Sua ribellione, 512. Torna in Francia, 513.
Suo accecamento e morte, 516. Suo epitafio, 517. Ebbe moglie e figli,
518, 532.

Bernardo, duca di Linguadoca, aio di Carlo il Calvo, III, 567. Sua
tirannia, 572. È degradato, 578.

Bernardo, vescovo di Ascoli, IV, 279.

Bernardo, legato apostolico a Milano, IV, 351.

Bernardo, cardinale, legato apostolico, IV, 493. Maltrattato in Parma,
499. Fine di sua vita, 627.

Bernardo (San), abbate di Chiaravalle, interviene al concilio di
Pisa, IV, 629. Atti suoi in Milano ed in altre città, 629, 634.
Viene chiamato dal papa a Pisa, 647. Tratta di pace col re Ruggeri,
653. Induce a pentimento l'antipapa Vittore, 655. Sue lettere per
ismascherare la dottrina di Arnaldo da Brescia, 666. Fa prender la
croce a Lodovico VII re di Francia ed a Corrado III re di Germania,
687. Per la cattiva riuscita della crociata gli si scatenano addosso
le lingue maldicenti, 694. Invia ad Eugenio III la sua opera _De
consideratione_, 700. Sua morte e santità, 711.

Bernardo, cardinale di San Clemente, IV, 739.

Bernardo vescovo di Porto, IV, 847.

Bernardo, duca di Moravia, IV, 1093.

Bernardo, da Caors, arcivescovo di Napoli, V, 776.

Bernuardo, vescovo di Virzburgo, IV, 12.

Beroldo, _V._ Bertoldo.

Berta, madre di Carlo Magno, III, 230. Riconcilia insieme i figli, 300.
E viene in Italia, 301. Sua cura per istabilir parentado fra essi e
Desiderio re dei Longobardi, _ivi_. Finisce di vivere, 351.

Berta, madre di Ugo conte di Provenza, e poi moglie d'Adalberto II di
Toscana, III, 926. Aliena gli animi degli Italiani da Lodovico re di
Provenza ed Augusto, 951. Carcerata da Berengario Augusto, 1004. Sua
morte, 1024.

Berta, figlia di Berengario Augusto, badessa di Santa Giulia di
Brescia, III, 997, 1001; IV, 48.

Berta, figlia di Ugo re d'Italia, maritata a Romano figlio di
Costantino imperadore de' Greci, III, 1076, 1091, 1095.

Berta, figlia di Ottone e di Adelaide marchesi di Susa, maritata col re
Arrigo IV, IV, 275, 333. Sua onestà tentata, 333, 334. Si studia Arrigo
di ripudiarla, 336. Fine di sua vita, 437.

Bertarido, re de' Longobardi in Milano, II, 1271, 1272. Sua discordia
col fratello Godeberto, 1272. Fugge, per paura di Grimoaldo, nella
Pannonia presso Cacano re degli Unni, 1276. Per le istanze di Grimoaldo
viene licenziato da Cacano, III, 17. Si mette in sua mano, 18, 19.
Corre pericolo della vita, 19. Fugge in Francia, 20. Poi disegna di
andare in Inghilterra, 36. Richiamato da una voce, ricupera il regno,
38, 39. Suo buon governo, 43. Fabbrica in Pavia un monistero, 44.
Dichiara re Cuniberto suo figlio, 52. Sua pietà, 54. Se gli ribella
Alachi duca di Trento, 60. Fine di sua vita, 76.

Bertario, abbate di Monte Casino, sua letteratura, III, 706, 807.

Bertila, regina, moglie del re Berengario, III, 963, 976. Tolta di vita
col veleno, 1007.

Bertoldo conte, progenitore della real casa di Savoia, IV, 108.

Bertolfo (San), abbate di Bobbio, II, 1189. Ottiene privilegio da papa
Onorio, 1190. Sua morte, 1224.

Bertoldo, o sia Bertoldo, duca di Carintia, IV, 342, 355, 365.
Abbandona Arrigo IV re di Germania, 374. Dal quale gli è portata la
guerra, 390. Fine di sua vita, _ivi_.

Bervardo (San), vescovo di Ildeseim, IV, 45.

Bessarione, cardinale legato di Bologna, V, 1234. Dona i suoi libri
alla repubblica veneta, VI, 30.

Bianca, duchessa di Savoia, reggente di quegli Stati, VI, 105.

Bianchi, lor pio istituto: onde son nate le confraternita laicali, V,
888, 889. Vien loro proibito da papa Bonifazio IX l'accesso in Roma,
893.

Bichi (monsignor), nunzio apostolico in Portogallo. Controversia
insorta tra questa corte e la pontifizia per essere eletto cardinale,
VII, 311, 337, 362.

Bicilis, familiare de' più confidenti di Decebalo re della Dacia, I,
406.

Bidelufo, duca di Spoleti, IV, 832.

Bilichilde, moglie di Childerico re de' Franchi uccisa insieme col
marito, III, 42.

Bilimere governator delle Gallie, accorso in aiuto di Antemio Augusto,
è ucciso, II, 642.

Biordo de' Michelotti, capo di una compagnia di masnadieri, V, 854.
Usurpa la signoria di Perugia, 855. Va al soldo de' Fiorentini, 861.
Torna in grazia del pontefice Bonifazio IX, 868. Suo accordo co'
Fiorentini, 874. Fine di sua vita, 883.

Bisanzio, sottomesso dall'armi di Severo Augusto, I, 661, 662, 686.
Orribil disavventura ivi accaduta, per cui rimangono estinte tutte
le vecchie famiglie venute alle mani colla guarnigione, 916. Ivi
Costantino fonda Costantinopoli, 1186. _V._ Costantinopoli.

Bitume, invece di calce, adoperato nella fabbrica di Babilonia, I, 425.

Bleda, fratello di Attila. Succede insieme con esso al loro padre
Rugila, re degli Unni, II, 489. _V._ Attila.

Bleda, vescovo ariano, I, 588.

Blemmii, popoli confinanti all'Egitto, I, 991.

Bleso (Quinto Giunio), proconsole dell'Africa, I, 67. Creato console,
68.

Boamondo, figlio di Roberto Guiscardo, IV, 287. Milita col padre contro
i Greci, 45. Dà più di una rotta ad essi, 416. Sue liti col fratello
per l'eredità del padre, 426. Guerra fra essi, 436, 437. Accordo fra
loro seguito, 437. Nuove rotture, 445. Poi si riconciliano, _ivi_.
Assedia Oria ribellatasegli, dove viene cacciato, 454. Si ribella
contro i figli di Ruggieri creduto morto, 459. Prende la croce e con
un'armata va in Levante, 470. Creato principe d'Antiochia, 480. Fatto
prigione dai Turchi, 489. Liberato prende moglie, 508. Fa guerra ad
Alessio imperador de' Greci, 515, 517. Fine di sua vita, 535.

Boamondo, figlio del precedente, succede al padre ne' suoi Stati, IV,
535.

Bobuleno, abbate di Bobbio, II, 1235. Bolla pontificia in suo favore
dubbiosa, _ivi_.

Boccolino fa ribellare Osimo contro il papa, VI, 96.

Boemia, invasa da Carlo Magno, III, 448. Si ribella a Ferdinando II,
VI, 971. È da lui ricuperata, 979.

Boendicia, o Bunduica, regina di una parte della Bretagna, fa guerra ai
Romani, I, 221. Sua morte, 222.

Boezio, prefetto del preterio sotto Valentiniano III, resta ucciso, II,
573.

Boezio (Severino), filosofo e patrizio, II, 692, 721. Creato console,
775.

Boezio, figlio del precedente, console, II, 807. Accusato davanti al re
Teoderico e cacciato in esilio, 815, 816. E poi privato di vita, 816. È
tenuto per santo, 818.

Boiano, _V._ Bugiano.

Boleslao o Bolislao, duca di Boemia, III, 1214.

Bolislao, _V._ Boleslao.

Bologna in dominio de' Longobardi, III, 222. Quando cominciasse _ivi_
lo studio delle leggi e la sua università, IV, 552. Le fa guerra
Alberico conte di Barbiano, V, 905, 907. Si dà a Gian Galeazzo duca di
Milano, 909. Torna in potere del papa, 915. Se gli ribella, 976. Torna
all'obbedienza della Chiesa, 983. Poscia si rimette in libertà, 1001.
Si sottomette al papa, 1015, 1027. Di nuovo si rivolta, 1075. E torna
all'ubbidienza, 1077, 1078. Ivi nuova sollevazione, 1084. Ritorna al
papa, 1087. Occupata da Niccolò Piccinino, 1131. Tentata in vano dal
duca Valentino, VI, 182, 183. Lega da' Bolognesi fatta contra costui,
194. Si accorda con esso, 195. Ricuperata essa città da papa Giulio,
220. E di nuovo perduta, 264. Assediata dall'esercito pontificio e
spagnuolo, 274. Soccorsa da Gastone di Foix, che se ne impadronisce,
275. Quivi è coronalo Carlo V, 476.

Bolognesi. Loro liti coi Modenesi, IV, 618. Si umiliano a Lottario
Augusto, 645. Danno una rotta ai Modenesi, 671, 672. Si sottomettono
a Federigo Augusto, 779, 801. Fan guerra a Faenza, 823, 826. Lor
prepotenza coi Modenesi, 983, 987. Lor guerra co' Pistoiesi, 1018.
Vanno in aiuto de' Cesenati, 1032. Acquistano il dominio d'Imola, 1055.
Lor potenza e ricchezze a cagione delle scuole, 1069. Fan guerra ai
Modenesi, 1085. Sconfitti da essi, _ivi_, 1090, 1091. Continuano la
guerra contro di essi Modenesi, 1127, 1142. Federigo II prende loro i
castelli di Piumazzo e di Crevalcuore, e li distrugge, 1158. Tolgono
ai Modenesi il borgo di San Pietro, e lo bruciano, _ivi_. Sconfitti
dai Modenesi, 1160, 1203. Ai quali occupano varie castella, 1203. Gran
rotta da loro data al re Enzo con farlo prigione, 1212. Assediano e
forzano Modena a rendersi, _ivi_. Padroni quasi di tutta la Romagna,
1265. Lor guerra civile, 1274; V, 26. Rottura fra essi e i Veneziani,
90. E con loro vantaggio, 94. Guerra civile risorge fra essi, _ivi_.
Prevale _ivi_ la fazion de' Guelfi, 109. Che son poi sconfitti dai
Ghibellini, 112, 124. Fanno pace coi lor fuorusciti, e tardano poco
a cacciarli, 131. Per tradimento prendono Faenza, 138, 139. Che loro
è tolta dai Romagnoli, 220. Entrano in lega coi Parmigiani, 237. Lor
guerra con Azzo Estense, 237, 252, 299. Gli fan ribellare Modena,
302. Tornano a parte guelfa, 303. Si collegano coll'Estense, _ivi_.
Scacciano il legato pontifizio, 304. Si preparano contro di Arrigo VII,
340. Tentano l'acquisto di Modena, 359. Fan guerra a questa città, 448.
Gran rotta loro data da Passerino de' Bonacossi signore di Mantova,
449. Riconducono Modena a sottomettersi a papa Giovanni, 459. Fortezza
nella lor città fabbricata da Beltrando del Poggetto legato pontificio,
495. Sua sconfitta sotto Ferrara, 511. Cacciato esso legato pontifizio,
riacquistano la libertà, 517, 518. Prendono per loro signore Taddeo de'
Pepoli, 538. Poi i suoi figli, 595. Venduta la loro città a Giovanni
Visconte, 614. Ne usurpa il dominio Giovanni da Oleggio, 649. Il qual
poi la cede al cardinal Albornoz, 675. Si ribellano al papa, 748,
749. Che loro fa guerra, 750, 751. Accordo fra essi, 756. Guerreggiano
coi conti di Barbiano, 816. Lor muove guerra il conte di Virtù, 830.
Discordia fra essi, 887. Rigor d'essi contra il conte di Barbiano, 888.
Fan guerra al signor di Faenza, 896. Fanno lega colle repubbliche di
Venezia e di Firenze, 1163. Danno una sconfitta a Lodovico del Verme,
_ivi_, 1164. Sedizion dei Canedoli in quella città, 1175. Tornano
all'ubbidienza del papa, 1196.

Bona, città dell'Africa. È l'antica Ippona, IV, 183. _V._ Ippona.

Bona di Savoia, moglie di Galeazzo Maria Sforza duca di Milano, VI, 28.
Reggente di quel ducato, 55. Deposta da Lodovico il Moro, 73.

Bonaventura (San), dottore della Chiesa. Sua morte, V, 106.

Boncompagno (Don Gaetano), duca di Sora e principe di Piombino, VI, 801.

Bonifazio I papa, eletto con scisma, II, 437. Disputata la di lui
elezione, 439. Prevale all'avversario, 440. Sua morte, 449.

Bonifazio II papa. Sua elezione, II, 838. Sua morte, 844.

Bonifazio conte difensor di Marsilia, II, 422. Sprezzato da Castino,
generale di Onorio Augusto, 449. Che poscia a lui ricorre. 461. Per
frode di Aezio cade in disgrazia di Placidia, 468. Dichiarato ribello,
469. Rimesso in grazia, 474. Resta sconfitto da Genserico, 477. Torna a
Ravenna, 483. Suo duello con Aezio, per cui muore, _ivi_, 484.

Bonifazio, vescovo di Cartagine, II, 812.

Bonifazio III, papa. Sua consecrazione, II, 1136. Breve sua vita, _ivi_.

Bonifazio IV papa. Sua elezione, II, 1138. Tiene un concilio, 1142.
Termina i suoi giorni, 1158.

Bonifazio V papa, quando consecrato, II, 1165. Tempo della sua morte,
1179.

Bonifazio (San), vescovo ed apostolo della Germania, III, 169. Sua
venuta a Roma, 209.

Bonifazio (San), arcivescovo di Magonza. Sua morte, III, 262.

Bonifazio I duca di Toscana, III, 488. Sua morte, 540.

Bonifazio II marchese di Toscana, III, 541. Sua impresa contra i Mori,
563, 564. Mette in salvo l'imperadrice Giuditta, 588. Per cui cade in
disgrazia di Lottario Augusto, 597.

Bonifazio VI papa. Sua elezione e morte, III, 916.

Bonifazio conte, cognato di Rodolfo re di Borgogna, va in suo soccorso,
e gli fa riportare una grande vittoria, III, 1016, 1017. Creato duca e
marchese di Spoleti e Camerino, 1102. Tempo di sua morte, 1139.

Bonifazio, soprannominato Francone, pseudopapa, III, 1208. Cacciato
fugge a Costantinopoli, 1209. Condannato in un concilio, 1212. Tornato
a Roma, fa miseramente morire papa Giovanni XIV, 1253. Sua morte, 1255.

Bonifazio, cardinale, vescovo d'Albano, IV, 281, 284.

Bonifazio, marchese, figlio di Tedaldo marchese, IV, 70, 71, 75. Sua
donazione al monistero di Polirone, 95. Signoreggia in Ferrara, 111.
Quando creato duca e marchese di Toscana, 114. Signore di Mantova,
_ivi_. Marito di Richilda, _ivi_, 116, 126. Gran cacciatore di beni
delle chiese, 130. Creato duca della Toscana, 157, 174. Va in Alemagna,
187. Rimane vedovo, _ivi_. Prende per moglie Beatrice di Lorena, 188.
Va all'assedio di Parma, 195. Sue penitenze, 232. Gli nasce la contessa
Matilda, 234. È ucciso, 255. Chiamato tiranno, 256.

Bonifazio, marchese d'Este, IV, 633, 722.

Bonifazio VIII papa. Sua elezione, 230. Imprigiona Pietro da Morrone,
già papa Celestino, V, 234. Sua coronazione e maneggi per la Sicilia,
235, 236. Processa Federigo re di Sicilia, 243. Eletto podestà di Pisa,
248. Suoi processi contra de' Colonnesi, 250. E liti con Filippo il
Bello re di Francia, 252. Processa Alberto di Austria, 254. Predica la
crociata contro i Colonnesi, 255, 257. Distrugge le loro terre, 258.
Giubileo da lui celebrato, 265. Chiama in Italia Carlo di Valois, 271.
Tenta in vano l'acquisto della Sicilia, 275. Sue fiere liti con Filippo
il Bello re di Francia, 277. Lo scomunica e depone, 282. È sorpreso
in Anagni da Guglielmo da Nogareto e da altri emissarii di esso re, e
maltrattato, 282, 283. Liberato, s'inferma e muore, 284. Sue virtù e
difetti, 286. Persecuzione dopo morte a lui fatta dal suddetto re, 309,
323.

Bonifazio, arcivescovo di Ravenna, V, 187.

Bonifazio, marchese di Monferrato. Sua vittoria sugli Astigiani, IV,
928. Spedito in Germania, 967. Generale d'un'insigne crociata, 977.
Ricupera il regno di Tessalonica, 985. Si impadronisce di Napoli di
Malvasia, 989. È coronato re di Tessalia, 993. Muore in una battaglia,
994.

Bonifazio juniore, marchese di Monferrato, fa guerra agli Astigiani,
IV, 1086. Aderente a Federigo II, 1160. Si ribella dipoi, 1175.

Bonifazio IX papa. Sua elezione, V, 829. È favorevole a Ladislao re di
Napoli, 835, 880. Mette pace fra i principi d'Italia, 849 Sua residenza
in Perugia, 852. Torna a Roma, 855. Ricusa di cedere il papato, 872,
879, 880. Celebra il giubileo, 891. Congiura de' Colonnesi contra di
lui, 892. II riceve in grazia, 900. Fa guerra al duca di Milano, 906.
Ricupera Bologna, 913, 914. Ambasceria inviatagli dall'antipapa gli
accorcia il corso di sua vita, 919. Suoi difetti, 920.

Bonifazio, marchese di Monferrato, VI, 85.

Bonifazio, marchese di Monferrato, sua infelice morte, VI, 486.

Bonivet, ammiraglio di Francia, spedito in Italia dal re Francesco I.
Sue imprese, VI, 395, 401. Si ritira verso la Francia, 403.

Bonizone, vescovo di Sutri. Sua letteratura, IV, 409. Vescovo di
Piacenza, è fatto morire fra i supplizii, 442.

Bonomo (San), abbate di Lucedio, IV, 156.

Bonosiano, prefetto di Roma, II, 393, 404.

Bonoso, usurpator dell'imperio, ucciso, I, 996.

Bonsignore, vescovo di Reggio, IV, 530, 547.

Bonzere, regina di una parte degli Unni, II, 833.

Bordeaux, città incendiata dai Goti, II, 422.

Borgogna antica. Suo regno sottoposto al romano imperio, II, 739.
Quanto si stendesse, _ivi_; IV, 173.

Borgognoni, vinti dai Goti, chiedono soccorso agli Alamanni, I, 1026.
S'impadroniscono d'un tratto delle Gallie, II, 422. Sconfitti da Aezio,
chieggono pace, 491. Da lui di nuovo abbattuti, 494. Irruzione da essi
fatta in Italia, 705, 718. Loro scorreria in Italia, 875. Uniti ai Goti
ripigliano Milano con orrida strage de' cittadini, 878.

Borso, marchese d'Este, signor di Ferrara, V, 1215. Creato duca di
Modena da Federigo III Augusto, 1225. Accoglimento da lui fatto a papa
Pio II, 1254, 1255. Tratta la pace fra i principi d'Italia, VI, 25.
Creato duca di Ferrara, muore, 37, 38.

Bosone, creato duca di Lombardia, III, 774, 781. Rapisce Ermengarda
figlia di Lodovico II Augusto, 783. E la prende in moglie con gran
solennità, 790. Accoglie papa Giovanni VIII in Provenza, 798. Negoziati
d'esso papa in favore di lui, 804, 805. Si fa proclamare re di
Borgogna, 810. Guerra a lui fatta da' Franzesi, 814. Termina il suo
vivere, 836.

Bosone, fratello di Ugo re d'Italia, creato duca di Toscana, III 1050,
1056. Deposto ed imprigionato da esso re, 1069.

Bosone vescovo di Piacenza, III, 1075, 1076, 1093, 1100.

Bosone, abbate di Sant'Antimio, IV, 81.

Bosone, conte di Arles, III, 1104.

Botticella, o Bottesella de' Bonacossi, signore di Mantova, V, 264, 303.

Braccio da Montone. Principii della sua milizia, V, 964. Fa guerra a
Perugia sua patria, 984, 1002. Mette a ferro ed a fuoco il contado di
Cesena, 1000. Suo accordo coi Bolognesi, 1002. Dà una rotta a Carlo
Malatesta, 1002, 1003. Divien signore di Perugia, 1004. S'impadronisce
di Roma, 1009. Ne è cacciato da Sforza, 1010. La fa da masnadiere,
1018. Battaglie fra lui e Sforza, 1022. Si riconcilia con papa Martino,
1026. A cui sottomette Bologna, _ivi_, 1027. Principe di Capoa, va
in soccorso della regina di Napoli, 1034. S'impadronisce di Città di
Castello, 1041. Assedia Aquila, 1048, 1053. Ivi truova gran resistenza,
_ivi_. Sconfitto e ferito cessa di vivere, 1056.

Brancaleone d'Andalò, Bolognese, senatore di Roma. Sua severità e
disgrazie, IV, 1233, 1236, 1260. È liberato dalle carceri, 1269. Sua
morte, 1270.

Brandano, predice il sacco di Roma, VI, 433.

Bredà, ivi stabilito un congresso di pace, VII, 645. Che è poi sciolto,
682.

Brescello preso da Drottulfo, II, 1057. Ricuperato dal re Autari, 1058.

Brescia, abbondante di nobili longobardi, III, 61. Eletto da quel
popolo per suo signore Berardo de' Maggi vescovo, V, 288. Poscia Maffeo
dei Maggi, 322. Si ribella ad Arrigo VII, 346. Sustien l'assedio, e
si rende, 347. Presa da Mastino Scaligero, 505, 506. Poscia da Azzo
Visconte, 536, 537. Tolta da' Veneziani al duca di Milano, 1065. Loro
si rendono ambe le cittadelle, 1067. Assediata da Niccolò Piccinino,
1134, 1137. Liberata da Francesco Sforza, 1146. Si rende ai Franzesi,
VI, 237. Si dà ai Veneziani, 276. Riacquistata dai Franzesi e
saccheggiata, 278. Sua infelicità, 279. Presa dagli Spagnuoli, 292,
293. Torna sotto i Veneziani, 301. Abbandonata agli Spagnuoli, 305.
Invano assediata da' Veneziani, 331.

Bresciani, riportano vittoria sui Bergamaschi, IV, 738. Ottengono
capitolazione da Federigo Augusto, 744. Collegati contra di lui coi
Milanesi, 765. Con dure condizioni comperano da lui la pace, 778.
Sconfitta da essi data ai Cremonesi, 927. Ottengono privilegio da
Arrigo VI Augusto, 929. In lega coi Milanesi, 966. Guerra civile fra
que' nobili e la plebe, 971, 972. Questa è sconfitta dai Cremonesi,
974. Vendetta dei nobili contro la plebe, 983. Guerra fra essi nobili,
993. I quali dalla plebe sono cacciati dalla città, 1022. Da orribil
tremuoto rovinata la loro città, 1055. Lor guerra ai Cremonesi, 1128.
Assaliti dall'armata di Federigo II Augusto, 1141, 1142. Lor città
indarno assediata da lui, 1148. Guerra civile fra loro, 1176, 1263.
Sbaragliati da Eccelino, 1271. Che occupa la loro città, _ivi_. Si
sottomettono al marchese Oberto Pelavicino, V, 16. Loro disavventure,
52, 53, 54. Si sottraggono al giogo di Oberto Pelavicino, 61. Guerra
civile fra loro, 81. Si danno a Carlo I re di Sicilia, 89. Si ribellano
ad Arrigo VII Augusto, 346. Scacciano la fazion ghibellina, 389.
Prendono per lor signore il re Roberto, 407. Poscia Giovanni re di
Boemia, 496.

Bretagna, per gran tempo esente dal giogo de' Romani, I, 156. Conquiste
_ivi_ fatte da Claudio Augusto, 157, 158. Ribellione _ivi_ fatta, 221.

Bretagna minore. Sua origine, III, 519. È sottomessa da Lodovico il
Pio, 520. Il quale doma gli umori inquieti di quei popoli, 547.

Britannico (Cesare), figlio di Claudio imperadore, I, 147. Perchè a lui
dato questo cognome, 158. Perseguitato dalla matrigna Agrippina, 183.
Protetto da Narciso liberto, 192. Avvelenato da Nerone, muore, 200.

Brunechilde, regina de' Franchi. Sua ambizione, II, 1100. Sue iniquità,
1137, 1148. Orrida sua morte, 1153.

Brunengo, vescovo d'Asti, III, 1131, 1159.

Bruno, abbate di Chiaravalle, IV, 725.

Brunone, arcivescovo di Colonia, III, 1206.

Brunone, vescovo di Tullo, creato papa, IV, 244, _V._ Leone IX.

Brunone (San), institutore della Certosa, IV, 478.

Brunone, arcivescovo di Treveri, IV, 521.

Brunone, vescovo di Segna, IV, 549.

Brutteri, popoli della Frisia, vinti da Costantino il Grande, I, 1079.

Bruzio, bastardo di Luchino Visconte, V, 552, 609.

Buccellino, o Butilino, duce degli Alamanni, con forte esercito cala
in Italia contro i Greci, II, 947. Sue imprese in Italia, 952. In una
battaglia da Narsete è sconfitto e morto, 953.

Bucicaldo, maresciallo di Francia, governatore di Genova. Sua rigorosa
giustizia, V, 904. Attaccato in mare e sconfitto dalla flotta veneziana
comandata da Carlo Zeno, 917. Dà aiuto ai Pisani contro i Fiorentini,
925. E contro i Visconti, 934, 935. Acquista Sarzana, 949. Leva la vita
a Gabriello Maria Visconte, 957. Governo di Milano a lui dato, 966. Lo
perde, e insieme quello di Genova, 967.

Bue, figura di un Dio dell'Egitto, _V._ Apis.

Buffoni e giocolieri sfoggiatamente una volta regalati, IV, 1125.

Bugiano, Boiano, o Basilio, capitano de' Greci in Puglia, fabbrica
molte città, IV, 123. Sconfigge Melo e i Normanni, 124, 125. Preso
Datto, il fa morire, 131. Aiuta Pandolfo IV principe di Capoa, 155.
Vien richiamato a Costantinopoli, 165.

Bulgari, quando si cominci ad udire il loro nome nella Mesia, II, 700.
Fanno una irruzione nella Tracia, 734. Vinti da Pitzia generale del re
Teoderico, 756. Guerra lor fatta da Giustiniano II Augusto, III, 77,
78, 128. Si convertono alla fede di Cristo, 484.

Bulgaro, giureconsulto, IV, 750.

Bulla (Felice), famoso masnadiere sotto Severo Augusto, I, 703.

Bunduica, _V._ Boendicia.

Buonamici (Castruccio). Sua storia dell'assedio di Velletri pubblicata
da lui, V, 533.

Buono, duca di Napoli, III, 557. Sua morte accennata, 600.

Buono, patriarca di Grado, III, 1148.

Buono, abbate di Ravenna, IV, 81.

Burcardo, duca di Suevia, III, 1011. Chiamato in Italia dal re Rodolfo,
suo genero, viene ucciso da' Milanesi, 1027.

Burcardo, duca di Alemagna, III, 1172.

Burcardo, arcivescovo di Lione, IV, 180.

Burdino. _V._ Maurizio arcivescovo.

Burgundio, Pisano, dottissimo in latino e greco, IV, 870.

Burro (Afranio), prefetto del pretorio, I, 184. Frena l'ambizione
di Agrippina, 196, 197. Caduto in sospetto si difende, 202. Nerone
comincia a sprezzarlo, 206. Rifiuta a Nerone di prestar mano alla
uccisione d'Agrippina, 213, 214. Applaude a Nerone citaredo, 218.
Finisce i suoi giorni, 223.

Burro (Anastasio), marito di una sorella di Commodo Augusto, e console,
I, 592. Ucciso da esso Commodo, 613, 614.

Busa, re dei Bulgari, II, 735.

Butilino, _V._ Buccellino.


C

Cabade, re di Persia, II, 754.

Cabade, o Coade, re de' Bulgari, II, 743.

Cabaone, capo de' Mori. Dà una rotta a Trasamondo re de' Vandali, II,
811.

Cacano, re degli Unni. Sua lega coi Longobardi, II, 1115. Fa guerra
a Maurizio Augusto, 1119. Aiuta il re Agilolfo, 1126. Sua terribile
incursione nel Friuli, 1143. Prende e saccheggia Cividale, 1145.
Macchina un tradimento ad Eraclio Augusto, 1164, 1165. Fa pace con lui,
1167. Eletto tutore di Eraclio Costantino figlio di Eraclio Augusto,
1170. Sconfitto dagli Sclavi, 1174. Suo vano assedio di Costantinopoli,
1184. Scaccia Bertarido, III, 17. Fa guerra a Lupo duca del Friuli, 24,
25. Costretto a ritirarsi, 26.

Cacone, figlio di Gisolfo duca del Friuli, II, 1144. Creato anch'egli
duca, 1169. Sua morte, 1211.

Cadalo, o Cadaloo, duca ossia marchese del Friuli, III, 419, 450, 511,
520. Sua morte, 522.

Cadaloo, vescovo di Parma, IV, 210. E conte di quella città, 239.
Creato antipapa, 302. Va a Roma, 305. È condannato e deposto, 308.
Tornato a Roma, resta assediato, 313, 314, 317. Ottiene la libertà,
319. Condannato di nuovo nel concilio di Mantova, 330.

Cadice, preso dagl'Inglesi, VI, 862.

Cadoldo, vescovo di Novara, III, 819.

Caio. _V._ Caligola.

Caio, figlio d'Agrippa e di Giulia figlia di Cesare Augusto, adottalo
da esso Augusto, e creato console, I, 6. Milita in Soria, 8. Va a
regolare gli affari dell'Armenia, ed è ferito a tradimento, 12. Sua
morte, 14.

Caio papa, I, 1005. Passa a miglior vita, 1037.

Calendario. Sua correzione fatta da papa Gregorio XIII, VI, 790.

Calidonii, popoli feroci della Bretagna, I, 708.

Caligola (Caio). Sua nascita, I, 37. Figlio di Germanico Cesare, 59.
Sua adulazione verso Tiberio, 98. Per la cui morte diviene imperadore,
113, 114. Onde prendesse il soprannome di Caligola, 114. Suoi lodevoli
principii, 115, 116. Sua improvvisa mutazione, 117, 118. Sua infame
lussuria, 120, 121. Sue stravaganze per la morte di Drusilla, 121.
Sue mogli, 122. Sua crudeltà, 122, 123. Sua frenesia, 126. Ponte da
lui fabbricato fra Baia e Pozzuolo, _ivi_. Sua ridicola andata nelle
Gallie, 127. Congiura di Marco Emilio Lepido contra di lui, 129. Sua
azione curiosa, 132, 133. Sdegnato ritorna a Roma, 133, 134. Vuol
essere tenuto per dio, 135. Ucciso dai congiurati, 140.

Callinico, esarca di Ravenna, II, 1103. Fa pace coi Longobardi, 1106.
Ai quali manca di parola, 1114. Malveduto da' Ravegnani, 1118. E perciò
deposto, _ivi_.

Callinico, patriarca di Costantinopoli, III, 92, 95, 96. Dopo
abbacinato, è rilegato a Roma, 121.

Callisto I, papa, I, 736. Suo martirio, 764.

Callisto, patriarca d'Aquileia, III, 169. Maltrattato da Pemmone duca,
207.

Callisto II, papa. Sua elezione, IV, 571. Concilii da lui tenuti in
Francia, 572, 573. Viene in Italia, 575. Va a Monte Casino e ad altri
luoghi, 576. Torna a Roma, 579. Va all'assedio di Sutri, _ivi_. Preso
l'antipapa Burdino, trionfalmente entra in Roma, _ivi_. Suo viaggio
in Puglia per trattar di pace, 582. Fa pace con Arrigo V, _ivi_, 583.
Concilio generale lateranense da lui tenuto, 585. Sua morte, 588.

Callisto III. Sua elezione, V, 1239. Sua spedizione contro i Turchi,
1243. Discordia tra lui e il re Alfonso, 1247, 1251. Suo disordinato
amore pe' parenti, 1251. Chiamato da Dio all'altra vita, 1252.

Calpurnia, sacerdotessa, moglie di Tito Quartino già console, per la
sua castità adorata da' Romani, I, 819.

Calvilla (Domizia), madre di Marco Aurelio Augusto, I, 504, 526.

Calvino, eresiarca. Sua andata a Ferrara, VI, 525. Fugge a Ginevra,
_ivi_.

Calvisio (Flavio), governatore dell'Egitto, si ribella a Marco Aurelio,
I, 569.

Camenio (Celonio Giuliano), prefetto di Roma, I, 1198.

Camerino, quando occupata da' Longobardi, II, 1116. Assediata indarno
dall'armi pontifizie, VI, 509. Data ad Ottavio Farnese, 539.

Camillo (Furio), proconsole dell'Africa. Sua vittoria, I, 55.

Camillo (Ovinio). Sua ribellione contro Alessandro Augusto, I, 774.

Campidoglio bruciato, I, 283. Rimesso in piedi da Vespasiano, 288.
Bruciato di nuovo, 322. Rifatto da Domiziano, 330.

Camposanto: _ivi_ battaglia tra gli Austro-Sardi e gli Spagnuoli, VII,
509.

Candelabro del tempio di Gerusalemme, I, 294, 310.

Candia. Suo regno assalito da' Turchi, VI, 1137. Assediata la città,
1171, 1178, 1250, 1253. Che cede al potere turchesco, 1255.

Candiano, o Candidiano, eletto patriarca di Grado, II, 1133.

Candidiano, figlio bastardo di Galerio Augusto, I, 1099, 1127. Adottato
da Valeria imperadrice, 1100, 1128. Ucciso da Licinio, 1128.

Candidiano, patriarca di Grado, _V._ Candiano.

Candidiano, generale di Teodosio, II, 456.

Cane dalla Scala, vicario di Verona, toglie Vicenza ai Padovani, V,
350. Contra de' quali dà principio ad un'aspra guerra, 355, 359. Sotto
Vicenza li mette in rotta, 380. Fa pace con essi, 381. Sua guerra
contro i Cremonesi, 385. Ricetta e crea suo capitan generale Uguccione
dalla Faggiuola, 389. Di nuovo sconfigge i Padovani sotto Vicenza,
395. Prende Monselice ed altre terre, _ivi_. Generale de' Ghibellini,
403. Assedia Trivigi e Padova, 404, 405. Scomunicato dal papa, 411.
È messo in fuga dai Padovani, 416. Sua industria per liberarsi dal
nemico esercito tedesco, 443. Va in aiuto de' Modenesi, 448. Rinnova la
guerra a Padova, 450. Chiama in Italia Lodovico il Bavaro, 459, 460.
Coopera alla depression di Passerino de' Bonacossi signor di Mantova,
474. Acquista la signoria di Padova, 477. Mirabil corte bandita da lui
tenuta, 478. Sua magnificenza, 479. Assedia Trivigi, 486. Ne divien
padrone, ed è colto dalla morte, _ivi_.

Can Grande figlio di Mastino dalla Scala. Sue nozze con Isabella figlia
di Lodovico il Bavaro, V, 615. Succede al padre, 625. Gli è tolta
Verona da Fregnano, suo fratello bastardo, 637. La ricupera, 638. È
ucciso da Can Signore suo fratello, 674.

Can Signore dalla Scala, uccide il fratello, ed è proclamato signor di
Verona, V, 674, 675. Sue nozze con Agnese figlia del duca di Durazzo,
696. Imprigiona Paolo Alboino suo fratello, 701. Collegato con Bernabò
Visconte, 712. Termine del suo vivere, 747.

Can Francesco dalla Scala figlio d'Antonio già signor di Verona, V, 840.

Cannabaude, re dei Goti, ucciso da Aureliano Augusto, I, 959.

Canoni penitenziali una volta in uso, IV, 465.

Canonici, loro instituzione, III, 504.

Capelliano, senatore in Africa, abbatte i due Gordiani Augusti, I, 827.

Capitolino, scrittore sotto Costantino il Grande, I, 1220.

Capitone (Fonteio), generale in Germania, I, 257. Ucciso da Galba, 261.

Capitone (Egnazio), già console, ucciso da Commodo, I, 605.

Capoa: suo principato, III, 654. Distrutta da un incendio, 681. Capoa
nuova edificata, _ivi_. Conceduta da Carlo Calvo alla Chiesa romana,
775. Eretta in arcivescovato, 1176.

Caracalla (Marc'Aurelio), che fu poi imperadore, figlio di Severo, I,
653. Dato a lui il titolo di Cesare, 664. Perchè nominato Caracalla,
_ivi_. Ornamenti imperiali a lui conceduti, 673. Dichiarato Augusto,
676. Prende per moglie Fulvia Plautilla, 689. Fa uccidere il suocero
Plauziano, 695, 696. Si dà in preda ai vizii, 700. Sua antipatia
col fratello Geta, _ivi_. Va col padre in Bretagna, 706. Ivi medita
la di lui morte, 710. Gli succede nell'imperio, 714. Tratta della
division dell'imperio col fratello Geta, 716. E poi lo uccide, 717.
Sue barbariche crudeltà, 721. Va alla guerra, 725. Assume il nome di
Alessandro Orientale, 727. Imprigiona con frode Abgaro re dell'Osroene,
e s'impadronisce di quella provincia, 732. Sue iniquità contra gli
Alessandrini, 734. E contro i Parti, 735. Ucciso da Marziale tribuno
delle sue guardie, 739. Ed empiamente deificato, 740.

Caracena, _V._ Marchese di Caracena.

Carattaco, uno de' re britanni, I, 182.

Carausio usurpa l'imperio nella Bretagna, I, 1018. Sua pace con
Massimiano Augusto, 1022. Contra di lui procede Costanzo Cloro, 1032.
Ucciso da Alletto suo ministro, 1033.

Cardinale di Fleury. Sua morte, VII, 514.

Cardinali romani, parochi o diaconi, III, 668.

Cardinali franzesi: cominciano il grande scisma della Chiesa romana, V,
761.

Carestia grande in tutto l'Oriente, I, 1198.

Carestia in Roma, II. 240, 1131; III, 127

Carestia nella Soria, III, 76.

Carino (Marco Aurelio), figlio di Caro Augusto, I, 1001. Succede al
padre nell'imperio, 1004. Sua infame vita, 1009. Sua morte, 1010.

Cariberto, figlio di Clotario re de' Franchi. Alla morte del padre
rimane signor di Parigi, II, 971, 972.

Cariberto, figlio di Clotario II re de' Franchi, II, 1220.

Cariomero, re de' Cherusci, I, 332.

Caritone, moglie di Gioviano Augusto, II, 137, 142.

Carlo Martello, maggiordomo del regno di Francia, 111, 148. Fatto
prigione da Pleltrude sua matrigna, poi liberato, 151. Usurpa la
maggior parte del governo della monarchia franzese, 163. Sue azioni,
172, 194. Si pacifica con Eude duca d'Aquitania, e con lui dà una
sconfitta a' Saraceni, 197, 198. Occupa l'Aquitania ed altri paesi,
203. Ricupera la città d'Avignone daj Saraceni, 208. Chiama in suo
aiuto contro i Saraceni il re Liutprando, e gli scaccia dalla Provenza
e dalla Linguadoca, 210, 211. A lui offerto il dominio di Roma, 218.
Sua morte e suoi figli, 226, 227.

Carlo Magno. Sua nascita, III, 230. Succede al padre, 292. Suoi
dissapori con Carlomanno suo fratello, 294. E riconciliazione fra
loro, 300. Prende per moglie una figlia del re Desiderio, 302. La
ripudia, 305. Condannato per questo da molti, _ivi_. Occupa gli Stati
de' suoi nipoti, 307. Muove guerra al re Desiderio, 314 L'assedia in
Pavia, 315, 316. Va a Roma, 316, 317. Se gli rende Pavia col re, 318.
Epoca del regno d'Italia, 320. Non mantiene le promesse fatte a papa
Adriano, 325. Fa guerra a Rodgauso duca del Friuli, 330. Comporta che
Leone arcivescovo di Ravenna faccia da padrone nell'esarcato, 335,
336. Sue imprese contro i Saraceni di Spagna, 338. Va a Roma, 343. Suo
amore alle lettere ed ai letterati, 345, 482. Vince i Sassoni, 348.
Sue leggi, 352. Ritorna a Roma, 361. Gli si sottomette Arigiso duca
di Benevento, 362. E Tassilone duca di Baviera, 366. Promette a papa
Adriano varie città, 367. Rimette in libertà Grimoaldo principe di
Benevento, 370. Era patrizio di Roma: in che consistesse questa carica,
379, 400, 403. Dà principio alla guerra contro gli Unni, 385. Scopre
una congiura tramata contra di lui da Pippino suo figlio bastardo
e da altri, 387, 388. Sua indefessa cura per la religione, 393.
Predizione fattagli da san Paolino, 395. Sua pretensione nell'eleggere
l'arcivescovo di Ravenna, 396. Sue spedizioni guerriere, 397, 400, 403,
408, 409, 418, 443, 448, 456, 462, 467, 473. Sue suntuose fabbriche in
Aquisgrana, 400, 401. Accoglie Leone III papa, 415. Viene in Italia,
420. È coronato imperadore, 422. A lui suggettata Gerusalemme col
santo sepolcro, 428. Sue leggi, 430. Ambascieria a lui mandata da
Irene Augusta, 435. Altra inviatagli da Niceforo imperadore de' Greci,
439. Suo abboccamento con papa Leone 445. Divisione di Stati fra i
suoi figliuoli, 451. Ambasciatori di Abdela re di Persia speditigli
con suntuosi regali, 458, 459. Suo saggio prevedimento contra le
incursioni de' Normanni, 463. Sua cura per il bene de' suoi popoli,
465. È biasimato per cagione delle figliuole, 472 Suo testamento,
477. Vecchio, attende ai consigli di pace, 478, 479, 481. Dichiara
imperadore Lodovico suo figlio, 484. È chiamato a miglior vita, 489.
Sue lodi, _ivi_.

Carlo primogenito di Carlo Magno, III, 388, 395, 397, 404. Stati a lui
lasciati dal padre, 452. Sua morte, 478.

Carlo Calvo, figlio di Lodovico Pio. Sua nascita, III, 539, 540, 566,
579. Relegato in un monistero, 584. Stati a lui lasciati dal padre,
598. A lui succede, 613. Si difende contro Lottario Augusto, 615. Gli
fa guerra, 619. E lo sconfigge, 620. Stati a lui toccati nella division
coi fratelli, 628. Pace confermata fra loro, 641 Percosse a lui date
da Pippino suo nipote, e dal duca della Bretagna minore, 643, 644. Gli
fa guerra Lodovico re di Germania suo fratello, 686. Perdona al conte
Baldovino, che gli avea rapita Giuditta sua figlia, 700. Occupa gli
Stati di Lottario re della Lorena, 725, 726. Li divide con suo fratello
Lodovico Augusto, 727. Sua superbia, 728. Destinato dal papa per
imperadore, 744. Viene in Italia per succedere a Lodovico imperadore,
768, 769. Sua gara con Carlo il Grosso, 770. Con Carlomanno, _ivi_. È
coronato imperadore, 772. Eletto re d'Italia, 774 Muove guerra ai figli
di Lodovico suo fratello, 776, 777. Rotta a lui data da' Tedeschi, 777.
Torna in Italia, 790. Fugge, all'avviso della venuta di Carlomanno,
791. Termina i suoi giorni, 792.

Carlo il Grosso cala in Italia per contrastare il regno a Carlo Calvo,
III, 769. Stati a lui lasciati dal padre, 779. Minaccie a lui fatte
da papa Giovanni VIII, 799. Cala in Italia, 810. Creato re d'Italia,
811. Coronato imperadore da papa Giovanni, 818, 821. Sua infelice
impresa contro i Normanni, 833, 834. Abboccamento suo con papa Marino,
837. Mette al bando dell'imperio Guido duca di Spoleti, 838. Sue poco
lodevoli azioni, 839. A lui dato il governo della Gallia, 845. Impugna
la consecrazione di papa Stefano V, 849. Suo inutile sforzo contro i
Normanni assedianti Parigi, 851, 852. Infermo e disprezzato da ognuno,
viene deposto, 858. Fine dei suoi giorni, 861.

Carlo, figlio di Lottario Augusto, III, 662. Succede al padre nel regno
della Provenza, 678. Cede una porzione di paese a Lodovico II Augusto
suo fratello, 687. Fine de' suoi giorni, 700.

Carlo il Semplice, coronato re di Francia, III, 891, 935. Cede ai
Normanni il paese ora appellato Normandia, 982.

Carlo Emmanuello re di Sardegna, IV, 109.

Carlo conte d'Angiò e di Provenza, poi re di Napoli e di Sicilia, va
in Egitto col santo re di Francia Lodovico IX, IV, 1209. Gli è esibito
il regno di Sicilia, 1235. Acquista degli Stati nel Piemonte, V, 19.
Trattato per dargli il regno suddetto di Sicilia, 34, 38, 44 Creato
senatore di Roma, 44. Suo arrivo ed entrata solenne in quella città,
49. Passa l'esercito suo felicemente per Lombardia, 52. Coronato re di
Sicilia, 54. Sua battaglia col re Manfredi, e vittoria, 56, 57. Lamenti
dei popoli per la sua avidità, 60. Preso per signore da' Fiorentini,
e creato dal papa vicario della Toscana, 65. Assedia Nocera, 73. Sua
battaglia, e vittoria su Corradino, 75, 76. A cui fa tagliare il capo,
77. Sua crudeltà contro i Siciliani, 78. Seconde nozze di lui con
Margherita di Borgogna, 79, 82. Prende Nocera, 81. Sue mire tendenti
alla signoria di tutta l'Italia, 83, 85, 86, 89. Forza Tunisi ad
essergli tributaria, 88. Sua azione infame, _ivi_. Suoi tentativi per
impadronirsi di Genova, 99. E di Asti, 103. Sue perdite in Piemonte,
108. Discordia fra lui e Ridolfo re dei Romani, 120, 121. È abbassato
da papa Niccolò III, 129. Sua violenza per l'elezione di papa Martino
IV, 140. Suo aspro governo de' popoli, 147. Gli si ribella la Sicilia,
149. Assedia Messina, 150. Sua durezza verso gli abitanti di questa,
città, 151. È forzato da Pietro d'Aragona a ritirarsi, 153. Lo sfida a
duello, 161. Suo sdegno contro Napoli, 169. Sua morte, 176.

Carlo, principe di Salerno, primogenito del re Carlo I, poi Carlo II
re di Napoli, V, 160. Fatto prigione da Ruggero di Loria, 168. Succede
al padre, 177. Sua flotta sconfitta da' Siciliani, 189. Liberato dalla
prigionia, 194. Coronato re di Sicilia, 198, 199. Assedia Giacomo re di
Sicilia assediante Gaeta, 200. Sua pace con Alfonso re d'Aragona, 215.
Fa guerra a Federigo re di Sicilia, e ne ha vittoria, 260. Suoi Stati
in Piemonte, 307. Dà fine al suo vivere, 326.

Carlo di Valois, figlio di Filippo re di Francia. Conferiti a lui
dal papa i regni d'Aragona, Valenza e Catalogna, V, 163. Chiamato in
Italia da papa Bonifazio VIII, 271. Va a Firenze per mettervi la pace,
e vi accresce la discordia, 272. Vergognosa pace da lui stabilita con
Federigo re di Sicilia, 276. Torna in Francia, e si unisce col fratello
contro del papa, 277, 301, 317.

Carlo, figlio di Giovanni re di Boemia, viene in Italia, V, 501. Dà
una rotta ai marchesi estensi, 508. Visita Lucca, 514. Signore della
Carintia, toglie Feltre e Belluno agli Scaligeri, 537, 588 Creato re
de' Romani, 582. Sconfitto dal marchese di Brandeburgo, 588. Cala in
Italia, 640. Coronato in Milano, 644. Poscia in Roma, 645. Ritorna
in Boemia, 646. Entra in lega contro i Visconti, 705. Torna in Italia
con potente armata, e nulla fa, 714. Prende il possesso di Lucca, 715.
Di Pisa e Siena 716. Va a Roma, 717. Dal popolo di Siena, è cacciato
dalla città, 718, 719. Torna con iscorno in Germania, 719. Fa eleggere
Venceslao suo figlio re de' Romani, 753. Chiude il corso di sua vita,
764.

Carlo VI, re di Francia. Sue qualità, V, 871. Signore di Genova, 879.

Carlo Martello, primogenito di Carlo II re di Napoli. Sua morte, V, 274.

Carlo, figlio di Carlo Martello, dichiarato re d'Ungheria, V, 274.
Invano pretende al regno di Napoli, 326. Viene a Napoli col figlio
Andrea, 516. Sua morte, 567.

Carlo, duca di Calabria, fa guerra alla Sicilia, V, 452. Creato signor
di Firenze, 454. Accorre alla difesa del regno paterno, 464. Sua
immatura morte, 475.

Carlo di Durazzo, soprannominato dalla Pace, generale delle armi di
Lodovico re d'Ungheria contro i Veneziani, V, 774. Destinato a far
guerra a Giovanna regina di Napoli, 775. S'impadronisce d'Arezzo,
780. Creato senatore di Roma, 781. Coronato in Roma re di Napoli, 784.
Prende Napoli e la regina Giovanna, 785. A cui leva dipoi la vita, 790.
Sua rottura col papa, 799, 800. Lo assedia in Nocera, 803. Coronato re
di Ungheria, è ucciso, 813, 814.

Carlo Zeno, generale de' Veneziani contro i Genovesi, V, 774.

Carlo de' Malatesti, signor di Rimini, V, 811. Fa guerra agli
Ordelaffi, 856. Generale de' collegati contro il duca di Milano, è
sconfitto, 875. Dà una gran rotta ad esso duca, 877. Protegge papa
Gregorio XII, 956, 977. Governator di Milano, 958. Se ne ritira, 965.
Generale de' Veneziani, 978, 984. Vinto ed imprigionato da Braccio da
Montone, 1003. Sconfitto e fatto prigione da Filippo Maria Visconte
duca di Milano, 1058. Che tosto il rimette in libertà, _ivi_. Generale
di esso duca, resta sconfitto e prigione, 1071.

Carlo VII, re di Francia. A lui si sottomettono i Genovesi, V, 1248.
Che poi si ribellano, 1264. Sua morte, 1266.

Carlo VIII, re di Francia, VI, 94, 99. Da lui Lodovico Sforza duca
di Milano riconosce in feudo Genova, 108. Invitato da esso Lodovico a
venire in Italia, 115. Nol può ritenere il papa, 119. Arriva a Pavia,
120. Mette in libertà i Pisani, 123. Suo accordo coi Fiorentini, 124.
Entra in Roma, e si accorda col papa, 126. Con facilità acquista quasi
tutto il regno di Napoli, 128, 129. Frettolosamente da di là si parte,
131. Battaglia coi collegati al Taro, 132. Termina i suoi giorni, 146.

Carlo, duca di Savoia, succede a Filiberto suo fratello, VI, 81.
Spoglia de' suoi Stati Lodovico marchese di Saluzzo, 99. Sua morte,
105.

Carlo, duca di Savoia, succede a Carlo suo padre, VI, 105. Sua immatura
morte, 142.

Carlo Cavalcabò, signor di Cremona, V, 922. Gli è tolto il dominio e la
vita da Gabrino Fondolo, 943.

Carlo, duca d'Orleans, ricupera Asti, V, 1195.

Carlo Gonzaga, fratello di Lodovico marchese di Mantova, sconfitto da
Guglielmo di Monferrato, V, 1080, 1081. Sue prepotenze in Milano, 1206.
Imprigionato da Francesco Sforza, 1218.

Carlo de' Manfredi, signor di Faenza, VI, 30.

Carlo da Montone, figlio di Braccio. Cerca, ma inutilmente,
d'insignorirsi di Perugia, VI, 56.

Carlo d'Ambosia, signor di Sciomonte, governatore di Milano, VI, 252,
255, 262.

Carlo V d'Austria, re di Castiglia, succede a Ferdinando il Cattolico
avolo suo, VI, 334. Fa pace con Francesco I re di Francia, 344. È
creato imperadore, 353. Va in Inghilterra, 357. Sua coronazione in
Aquisgrana, _ivi_. Dieta da lui tenuta in Vormazia, 361. Gli è mossa
guerra da Francesco I, 362. Sua lega con papa Leone X, 363. Con papa
Adriano VI, 392, 393. Manda lo esercito suo in Provenza, 405. Vittoria
de' suoi, e prigionia di Francesco I sotto Pavia, 415. Toglie a
Francesco Sforza il ducato di Milano, 420. Rende la libertà al re di
Francia, 421. Che poi fa lega col papa ed altri contra di lui, 422.
È incerto se acconsentisse alle sciagure di Roma, 444. Approva la
liberazione del papa, 451. Con cui fa lega, 468. Suo accordo col re di
Francia, _ivi_. Viene per mare a Genova, 470. Indi a Bologna, 472. Dove
è coronato dal papa, 476. Concede Malta ai cavalieri gerosolimitani,
483. Suo laudo in favore di Alfonso duca di Ferrara, _ivi_. Suo
apparato d'armi contro di Solimano, 487. Fa l'impresa di Tunisi, 511.
Se ne impadronisce, 513. A lui decade il ducato di Milano, 514. Passa
a Roma, 517. Porta la guerra in Provenza, 521. Infelice riuscita
di quell'impresa, _ivi_, 522. Suo abboccamento con papa Paolo III a
Nizza, 534. Marita la figlia Margherita con Ottavio Farnese, 536. Si
abbocca con Francesco I, 537. Suo solenne ingresso in Parigi, 543.
Suo abboccamento con papa Paolo in Lucca, 551. Sua infelice impresa
d'Algeri, 552. Viene a Genova, 558. Torna ad abboccarsi col papa in
Busseto, 560. Sua pace con Francesco I, 569. Guerre da lui fatte in
Germania, 577, 578. Sua vittoria, in cui resta prigione Gian Federigo
duca di Sassonia, 584. Mal animo di lui contro i Farnesi, 587. Pubblica
l'_Interim_, 593. Tiene a bada papa Paolo intorno gli affari di Parma,
597. Fa lega con Giulio III, 610. Lega de' Franzesi e protestanti
contra di lui, 624. Corre gran pericolo, 625. Indarno assedia Metz,
626, 627. Rinunzia al figlio Filippo i Paesi Bassi, 645. Poscia i regni
di Spagna, 650. Suo ritiro nel monistero di San Giusto a' confini della
Castiglia, 651. Quivi termina i suoi giorni, 672.

Carlo IX, re di Francia, VI, 691. Cerca aiuti da papa Pio V, 729.
Suo matrimonio con Isabella figlia di Massimiliano imperadore, 736,
747. Sua congiura contro gli ugonotti, 757. Fa loro guerra, 760. Suoi
maneggi per far eleggere re di Polonia Arrigo duca d'Angiò suo minor
fratello, 761. Rapito dalla morte, 764.

Carlo III, duca di Savoia, succede a Filiberto, suo fratello, VI, 215.
Tratta di concordia tra i Franzesi e gli Svizzeri, 325. Stabilisce lega
fra papa Leone X e il re Francesco I, 328. Interviene alla coronazione
di Carlo V, 476. Indarno assedia Ginevra, 485. Gli fa guerra Francesco
re di Francia, 515. Gli toglie Torino ed altri luoghi, 519. Deluso da
Carlo V, 532. Soccorre Nizza, e racquista altri luoghi, 563, 564. Sua
morte, 631.

Carlo Borromeo, nipote di papa Pio IV, creato cardinale, VI, 685,
688. Sue virtù, 689, 700, 703. Sua legazione, 714. Miracolosamente
salvalo da un'archibugiata, 741. Sua carità nella peste di Milano, 770.
Chiamato a miglior vita, 796.

Carlo della Noia, vicerè di Napoli, generale di Carlo V, VI, 399.
Abbandona Milano ai Franzesi, 407. Prende prigione il re Francesco I,
415. E il mena in Ispagna, 417. Maltrattato in una battaglia di mare,
429. Fa tregua col papa, 433, 436.

Carlo II, re di Spagna. Sua nascita, VI, 1225. Succede al padre, 1240.
Suo sdegno pel partaggio della sua monarchia, VII, 135, 147. Dichiara
suo erede Ferdinando, figlio dell'elettor di Baviera, 139. Per la morte
di questo, ne sostituisce Filippo duca d'Angiò, e manca di vita, 147,
148.

Carlo V, duca di Lorena, generalissimo dell'imperador Leopoldo,
VII, 45. Libera dall'assedio dei Turchi Vienna, 47. Sue conquiste in
Ungheria, 57, 58. Prende Buda, 60. La Transilvania ed altri paesi, 68.
Muore, 83.

Carlo Emmanuele, duca di Savoia. Sua nascita, VI, 699. Succede ad
Emmanuel Filiberto, suo padre, 784. Suo disegno sopra Ginevra, 793.
Prende in moglie donna Caterina d'Austria, 798, 804. Magnifiche feste
in occasione della nascita di suo figlio Vittorio Amedeo, 812, 813.
S'impadronisce di Saluzzo, 822. Sue pretensioni sopra il regno di
Francia, 826, 827, 833. Acquista Marsilia, 838. Fa tregua col re Arrigo
IV, 857. A cagione di Saluzzo va a Parigi, 887. Pace e cambio fra
il re di Francia e lui, 888, 991. Suo tentativo contro Ginevra, 898.
Dà in moglie ai principi di Mantova e di Modena due sue figlie, 923.
Di nuovo tenta Ginevra e Cipri, 928, 932. Sue pretensioni contro il
duca di Mantova, 938. A cui move guerra, 940. Gli restituisce quanto
aveagli tolto, 942. Sua guerra col governator di Milano, 945. Viene
ad un trattato di pace, 950. Ricomincia la guerra, 953, 957. Prende la
città d'Alba, 958. Perde Vercelli, 960. Fa pace cogli Spagnuoli, 963.
Ricupera Vercelli, 967. Fa lega col re di Francia e coi Veneziani, 990.
Suo sdegno contro i Genovesi, 995. Collegato co' Franzesi a danni de'
Genovesi, 999. Dà buon principio alla guerra, 1001. Perde l'occupato
paese, 1003. Fa pace co' Genovesi, 1008. Sveglia le sue pretensioni
sopra il Monferrato, 1016. Si collega cogli Spagnuoli, 1018. Fa
guerra al Monferrato, 1020. Sua congiura in Genova, 1021. Impedisce a'
Franzesi la calata in Italia, 1022. Fa pace col re di Francia, 1027. Il
cardinale di Richelieu tenta di sorprenderlo, 1033, 1034. Sua morte, e
rare sue qualità, 1041, 1042.

Carlo Emmanuele II, duca di Savoia. Sua nascita, VI, 1083. Succede
al fratello, 1089. Congiura contro di lui, 1168. Se gli ribellano
i Barbetti, 1199. Restituita a lui la cittadella di Torino, 1207.
Ricupera Trino, 1211. E Vercelli, 1218. Prende in moglie Francesca di
Borbone, 1234. Rimasto vedovo, sposa Maria Giovanna Batista di Savoia,
1239. Guerra fra lui e i Genovesi, 1265. Compie il corso di sua vita,
VII, 12.

Carlo Gonzaga, duca di Nevers, dichiarato erede del ducato di Mantova,
VI, 1015. Viene in Italia a prenderne il possesso, 1018. Glie ne è
negata l'investitura dall'imperadore, _ivi_, 1025. Si sottrae alla
presa e al sacco di Mantova, 1038, 1039. Suo infelice stato, 1039.
Ricupera Mantova e Casale, 1045, 1052. Prende presidio veneto nella sua
capitale, e i Franzesi in Casale, 1054. Giugne al fine de' suoi giorni,
1084.

Carlo Gonzaga, duca di Rhetel, figlio di Carlo duca di Nevers, sposa
Maria Gonzaga, VI, 1015. Dichiarato principe di Mantova, 1016. Mal
ricevuto in Vienna, 1022, 1023. Sua morte, 1054.

Carlo II, duca di Mantova, VI, 1054. Succede all'avolo suo, 1084. Sue
nozze con Isabella Chiara arciduchessa d'Inspruch, 1173. Si collega
cogli Spagnuoli, 1184. Generale dell'imperadore, 1206. Fa pace co'
Franzesi, 1210, 1211. Fine di sua vita, 1240.

Carlo, arciduca figlio di Leopoldo Augusto, poi Carlo VI imperadore;
qual parte a lui destinata nel partaggio della Spagna, VII, 135, 146.
Escluso da quella corona, 147. Prende il titolo di re di Spagna, 174.
Passa in Portogallo, 180. Si impadronisce di Barcellona, 193. Chiuso
in Barcellona assediata dagli Spagnuoli, e poi liberata, 206, 207.
Proclamato in Madrid re di Spagna, 208. Suoi affari in Ispagna in
precipizio, 215. Suo matrimonio con Elisabetta Cristina di Brunsvich,
218. Sue vittorie in Ispagna contro del re Filippo V, 234, 235. Forzato
di ritirarsi in Catalogna, 236. Richiamato in Germania per la morte
dell'imperador Giuseppe, 239. Dichiarato imperador de' Romani, passa
in Germania, 240, 241. Divenuto Carlo VI come imperadore, resta solo
in guerra colla Francia, 253. Vende il Finale di Spagna ai Genovesi,
255. Prende le armi in soccorso de' Veneziani contro i Turchi, e
sua vittoria a Petervaradino, 270. Le sue armi si impadroniscono di
Temiswar, 272. E di Belgrado, 277. Sua pace coi Turchi, 282. Manda un
esercito all'acquisto della Sicilia contro gli Spagnuoli, 285. Entra
nella quadruplice alleanza contro la Spagna, 286. Investito dal papa
dei regni di Napoli e Sicilia, 312. Sua pace privata con Filippo V
di Spagna, 321. Pubblica la prammatica sanzione, 322. Appruova la
successione dell'infante don Carlo ne' ducati di Toscana, Parma e
Piacenza, 359. Suo accordo con Anna imperadrice delle Russie, 376, 429,
435. Contra di lui muove guerra la Francia, 377. Manda un'armata in
Italia, 387. Fa pace coi Franzesi, 413. Marita la figlia Maria Teresa
con Francesco Stefano duca di Lorena, 419. Infelice sua guerra contro i
Turchi, 435, 436. Rotto il suo esercito a Crostka da essi Turchi colla
perdita di Belgrado, 455. Arriva al fine de' suoi giorni, 465. Sue rare
doti e virtù, 466.

Carlo Alberto, elettor di Baviera, muove pretensioni contro Maria
Teresa, VI, 466. E poi la guerra, 474. Conquista la Boemia, 478.
Eletto imperadore col nome di Carlo VII, 485. Perde la Baviera, 486. La
ricupera, 490. Torna a perderla, 521. Poi la ripiglia, 544. Giugne al
fine de' suoi giorni, 546.

Carlo, infante di Spagna, assicurato della successione ne' ducati di
Toscana, Parma e Piacenza, VII, 322, 359. Passa a Livorno e Firenze,
365. Indi a Parma, 366. Va a conquistare il regno di Napoli, 399.
E se ne impadronisce, 401. Siccome ancora della Sicilia, 413. Vien
coronato in Palermo, 408. Vessazioni da lui inferite allo Stato della
Chiesa, 425. Sue nozze con Maria Amalia, figlia del re di Polonia, 442.
Accetta gli Ebrei in Napoli, 469. Unisce le sue armi colle spagnuole
contro della regina d'Ungheria in Italia, 491. Forzato dagli Inglesi
ad accettare la neutralità, 503. Va ad unirsi cogli Spagnuoli, 525. In
Velletri si oppone agli Austriaci, 526. Suo pericolo nella sorpresa
di quella città, 529. Va ad inchinare il papa in Roma, 532. Suo
regolamento pel santo Uffizio, 637, 638. Gli nasce un figlio, 675. Sue
belle doti, 706.

Carlo Emmanuele, re di Sardegna. Sua nascita, VII, 156. Dichiarato
principe ereditario, 252, 266. Sue nozze con Anna Cristina di Sultzbac,
309. Resta vedovo, 313, 314. Sposa in seconde nozze Polissena Cristina
figlia del langravio d'Assia, 319. Per la rinunzia del padre è
dichiarato re, 352. Forzato, per l'animo mutato del padre, a levargli
la libertà, 360, 361, 362. Collegato colla Francia contro l'imperadore,
377. Unito co' Franzesi occupa quasi tutto lo Stato di Milano, 379,
380. A lui cedute Novara e Tortona, 413. Sue terze nozze con Elisabetta
Teresa di Lorena, 428, 434. Suoi trattati dopo la morte di Carlo VI
Augusto, 482. Resta privo della moglie, 483. Suo armamento, 492. Sua
lega provvisionale colla regina d'Ungheria, _ivi_. Conduce il suo
esercito unito coll'austriaco al Panaro contro gli Spagnuoli, 496.
Questi ultimi s'impadroniscono della Savoia, 506. Tenta egli indarno di
ricuperarla, _ivi_. Con trattato vantaggioso stabilisce la sua alleanza
colla regina d'Ungheria, 515. Prende il possesso de' paesi cedutigli
nella lega di Vormazia: sua intrepidezza contro le mire de' Gallispani,
534. Gli son prese Nizza e Villafranca da quest'ultimi, 536. Sua
battaglia coi Gallispani assedianti Cuneo, 539. Tentato di ritirarsi
dalla lega austriaca, 569. Sorprende cinque mila Franzesi in Asti, 571.
Ricupera Valenza, 579, 580. Ripiglia il comando dell'armata austriaca,
591. Assedia il castello di Savona, e si impadronisce del Finale
d'altri luoghi, 611. Si ammala di vaiuolo in Nizza, 616. Se gli arrende
il castello di Savona, 634. Risanato torna a Torino, 650, 651. Manda
gente in rinforzo degli Austriaci contro Genova, 661. Poi la richiama,
667, 668. Vittoria da lui riportata contro i Franzesi all'Assieta,
672. Acquisti a lui confermati nella pace d'Aquisgrana, 696. Suoi vari
pregi, 702, 709.

Carlomanno, figlio di Carlo Martello, III, 148, 203, 226, 230. Sue
guerre, 237. Si fa monaco in Italia, 239. Torna in Francia, 256.
Termina i suoi giorni in un monistero di Vienna del Delfinato, _ivi_.

Carlomanno, figlio del re Pippino, III, 255. Succede al padre, 292,
293. Suoi dissapori col fratello Carlo Magno, 294. Assiste a Romani
contro il papa, 299. Si riconcilia col fratello, 300. Fine di sua vita,
307.

Carlomanno, primogenito di Lodovico I re di Germania, cala in Italia
per contrastare il regno a Carlo Calvo, III, 770, 771. Stati a lui
lasciali dal padre, 779. Tornato in Italia, fa fuggire Carlo Calvo
imperadore, 791. È creato re d'Italia, 793. Sua lunga malattia, 795.
Maneggi di papa Giovanni VIII contra di lui, 800.

Carlotta Aglae, figlia del duca d'Orleans, maritata con Francesco
d'Este principe ereditario di Modena, VII, 301.

Carmagnuola (Francesco), fedele a Filippo Maria Visconte, V, 958.
Costringe Monza alla resa, 983. Fa guerra a Pandolfo Malatesta, 999.
Libera Alessandria, _ivi_. Riduce Piacenza all'ubbidienza del duca,
1012. E poi Bergamo, 1024. Dà una rotta a Pandolfo Malatesta, 1032.
Governator di Genova, cade dalla grazia del duca, 1049. Si ritira da
lui e perde tutto, 1059. Creato capitan generale dai Veneziani, 1064.
Toglie Brescia al duca di Milano, 1065. Varie sue battaglie contro
d'esso duca, 1070. Sconfitto a Soncino, 1088. Diffidenze de Veneziani
contra di lui, 1090. Preso e fatto morire in Venezia, 1096, 1097.

Carmelitani: loro origine, V, 186, 187.

Caro (Marco Aurelio), proclamato imperadore, I, 1001. Sue imprese in
Oriente, e sua morte, 1003, 1004.

Carosa, figlia di Valente Augusto, II, 216.

Carpi, popoli barbari vinti da Filippo imperadore, I, 854.

Carroccio militare: sua origine e qualità, IV, 205. Usato nelle guerre
di Lombardia, che cosa fosse, 700, 701.

Cartagena, spianata dai fondamenti dai Vandali, II, 463.

Cartagine, saccheggiata ed incendiata da Massenzio, I, 1102. Presa e
saccheggiata da Genserico re de' Vandali, II, 503. Qual fosse la sua
magnificenza, 504. Presa da Belisario, 850. Dai Saraceni, III, 99.

Carvajal (Bernardino), cardinale, lascia in libertà il duca Valentino
tenuto da lui in custodia, VI, 211.

Casale di Monferrato: sua cittadella venduta dal duca di Mantova ai
Franzesi, VII, 41. Tolto loro dai collegati, 117.

Casperio (Eliano), prefetto del pretorio. Insolenze da lui usate a
Nerva Augusto, I, 376, 377. Gli è tolta la vita da Traiano, 380.

Cassano: battaglia ivi indecisa fra i Tedeschi e i Franzesi, VII, 192.

Cassio (Avidio), generale de' Romani contra dei Parti, I, 534. Ricupera
la Mesopotamia, 537. Sue crudeltà ed imprese guerriere, _ivi_, 538.
Va alla guerra marcomannica, 549, 556. Suo eccessivo rigore, 560.
Governatore della Soria, 567. Sua ribellione, 569. Resta ucciso, 571.

Cassio (Dione), prefetto di Roma, I, 1036, 1037.

Cassio (Clemente), _V._ Clemente Cassio.

Cassiodoro (Magno Aurelio), insigne letterato, II, 720. Governator
della Calabria, _ivi_. Secretario delle lettere del re Teoderico, 721.
Senatore e console, 787. Ritiratosi dal mondo, si fa monaco, e scrive
molti libri, 963, 964.

Castellano, vescovo di Trevigi, V, 360.

Castellino da Beccheria, signor di Pavia, V, 585. Esiliato, 663, 664.

Castino, generale di Onorio Augusto, sconfitto dai Vandali, II, 448,
449. Console, 455. Esiliato, 460.

Castore, mastro di camera di Severo, accusato da Caracalla presso
Settimio Severo Augusto, I, 710. Ucciso da esso Caracalla, 714.

Castruccio degli Interminelli, imprigionato in Lucca, V, 388. Divien
signore di quella città, _ivi_. Muove guerra ai Fiorentini, 414, 422,
423. Divien padrone di Pistoia, 446. Dà un gran rotta ai Fiorentini,
447. Loro fa degli altri danni, 450, 451. Creato duca di Lucca da
Lodovico il Bavaro, 463. Il quale lo fa cavaliere, conferendogli quindi
la dignità di conte del sacro palazzo in Roma, 467. Gli è tolta Pistoia
da Filippo da Sanguineto, 469. La ricupera, 470. Muore, 471.

Catalani, abbandonati dal re Carlo III, VII, 240. Lor furore e
disperazione per la partenza della regina, 254.

Catari eretici, specie di Manichei, IV, 856, _V._ Paterini.

Caterina Sforza, donna virile, si difende dalla sollevazione de'
Forlivesi, VI, 100. Perde Forlì, 159.

Caterina de Medici, data in moglie ad Arrigo figlio di Francesco I re
di Francia, VI, 496, 497 Diviene regina, 583. Reggente del regno, 764.
Termina i suoi giorni, 825.

Catinat, maresciallo di Francia, viene in Italia al comando dell'armata
gallispana, VII, 156. In maestria di guerra superato dal principe
Eugenio, e richiamato in Francia, 158.

Catulino (Acone Filomazio), prefetto di Roma, II, 12.

Cavalcante da Sala, vescovo di Brescia, IV, 1271.

Cavallo: sue virtù, I, 417

Cavalcabò (Carlo), _V._ Carlo Cavalcabò.

Ceadvalla, re degli Anglo-Sassoni, III, 78. Riceve il battesimo da papa
Sergio, 79. Muore, _ivi_.

Ceciliano, prefetto del pretorio sotto Onorio Augusto, II, 393.

Cecina (Alieno), generale di un esercito di Vitellio, I, 267. Sua
vittoria su l'armata di Ottone, 271. Sua potenza nella corte di esso
Vitellio, 274 A lui si ribella, 278. Trucidato per una congiura contro
Vespasiano, 316.

Cecina (Aulo), legato di Germanico. Rotta a lui data dai Germani, I, 49.

Cecco degli Ordelaffi, signor di Forlì, V, 811, 858, 866. Sua prigionia
e morte, VI, 22.

Celere, generale di Anastasio Augusto. Sua bravura, II, 753, 754.

Celeste dea di gran credito in Africa, II, 447.

Celestino I, papa eletto, II, 450. Scaccia d'Italia lo eresiarca
Celestio e i Pelagiani suoi seguaci, 455. Concilii da lui tenuti in
Roma, 478 480. Fine di sua vita, 482.

Celestino, cappuccino. Sue storie di Bergamo, II, 1268

Celestino II papa. Sua elezione, IV, 674 Sua morte, 675.

Celestino III papa. Sua elezione, IV, 920. Dà la corona imperiale
al re Arrigo VI, 921. Fa rendere l'imperadrice Costanza al marito,
925. Tratta di pace fra i Genovesi e i Pisani, 948. Non consta che
scomunicasse Arrigo VI Augusto, 953. Sua morte, 955.

Celestino IV papa. Sua elezione, IV, 1170. Sua morte, _ivi_.

Celestino V papa. Sua impensata elezione, V, 228. Sua semplicità, 229.
Rinunzia il pontificato, 230. Sua morte e canonizzazione. 234.

Celsino (Aurelio), prefetto di Roma. II, 9.

Celso (Lucio Publicio), congiurato contro di Adriano, ed ucciso, I, 442.

Celso (Publio Giuvenzio), celebre giurisconsulto, scampa la vita sotto
Domiziano, I, 363.

Celso (Mario), console designato, I, 265. Salvato da Ottone Augusto,
266. Suo consiglio dato ad Ottone, da lui sprezzato, per cui è
rovinato, 270.

Celso, insigne giurisconsulto, I, 771.

Celso, (Furio), generale di Alessandro Augusto, I, 805.

Celso (Tito Cornelio), usurpator dell'imperio in Africa, I, 923.

Cenci, _V._ Francesco Cenci.

Ceneda, città dello Stato Veneto, avea i suoi duchi nel 706, III, 124.

Cenide, liberta, tenuta quasi per moglie da Vespasiano, I, 305.

Censo, ossia descrizione de' cittadini romani, I, 39, 171, 304.

Censore: sua autorità, quale anticamente in Roma, I, 870.

Censorino, imperadore di pochi dì, I, 944, 945.

Censorino, scrittore sotto i Gordiani, I, 850.

Cento Colonne, portico suntuoso in Roma, bruciato, I, 858, 859.

Cereale (Petilio), generale di Vespasiano, I, 291.

Cereale (Civica), proconsole dell'Asia, ucciso da Domiziano, I, 352.

Cereale (Nerazio), prefetto di Roma, II, 51, 54.

Cesare, regina de' Persiani abbraccia la fede di Cristo, II, 1249.

Cesare Augusto, imperadore. Come governasse la monarchia romana, I, 1,
2. Come partisse il governo col senato, 3. Suoi titoli, _ivi_. Adotta
Caio e Lucio suoi nipoti, 6. Sua costanza nella morte de' medesimi,
14. Adotta in figlio Tiberio suo figliastro, 15. Sua clemenza verso
Cinna, capo dei congiurati contro di lui, 16. Varii suoi regolamenti,
18. Istituisce i Vigili, 20. Sua legge pei nubili e pegli ammogliati,
27. Afflitto per la rotta data dai Germani a Quintilio Varo, 30. Mette
freno all'astrologia giudiziaria, 34. Pubblica una legge contro i
libelli famosi, 37. Sua morte, 40. Onori e lodi a lui date, 42.

Cesare: titolo che istradava alla successione dell'imperio, II, 632.

Cesare Borgia, creato cardinale, VI, 117. Fugge dall'armata di Carlo
VIII, 128. A lui attribuita, la morte del duca di Gandia suo fratello,
144. Va a coronare Federigo re di Napoli, 145. Depone il cappello, ed
è creato duca di Valenza, 147, 148. Suo insigne matrimonio, 154. Suoi
preparamenti per conquistar la Romagna, 159. S'impadronisce di Forlì,
_ivi_. D'Imola e di Cesena, 160. Di Pesaro e Rimini, 165, _V._ Duca
Valentino.

Cesare (Don) d'Este, succede ad Alfonso duca di Ferrara, VI, 868.
Contra di lui procede Clemente VIII, _ivi_. Cede il possesso di quel
ducato al papa, e resta duca di Modena, 871. Guerra a lui mossa dai
Lucchesi nella Garfagnana, 898, 901. Nozze d'Alfonso suo primogenito
con l'infanta Isabella di Savoia, 923. Altra sua guerra coi Lucchesi,
942. Sua morte e figliuolanza, 1024, 1025.

Cesarea di Cappadocia, presa e saccheggiata dai Persiani, I, 906, 907.

Cesarea, borgo fuori di Ravenna, II, 1000.

Cesario, fratello di San Gregorio Nazianzeno, II, 123, 135.

Cesario (San), vescovo d'Arles, II, 703, 767. Accusato falsamente al re
Teoderico, 786. Tiene on concilio, 818.

Cesario, figlio di Sergio duca di Napoli, III, 646, 650, 659. Sconfitto
e fatto prigione dai Capoani, 693.

Cesena, barbaramente desolata per ordine del cardinal di Ginevra, V,
755.

Cesenati: lor vittoria su' Ravegnani, IV, 1127.

Ceseziano (Elio), prefetto di Roma, I, 977.

Ceteo (San), vescovo d'Amiterno, gettato nel fiume Pescara, II, 1103.

Ceva in Piemonte, terribile innondazione _ivi_, VI, 931.

Cherea (Cassio), tribuno pretoriano, congiurato contro di Caligola, I,
138. Poi condannato a morte, 145.

Cherici: loro beni dopo morte applicati alle chiese, II, 489. Editto
dell'Augusto Marciano in loro favore, 585.

Chiari: battaglia _ivi_ fra Tedeschi e Gallispani, VII, 159.

Chiesa di Santa Agata in Roma oggidì sotto Monte Magnanapoli per
seppellirvi i morti ariani fabbricata da Ricimere, re de' Goti, II,
643.

Chiese: loro immunità stabilita da Onorio Augusto, II, 426. Anticamente
obbligate a pagare i debiti di chi in esse si rifugiava, legge abolita
da Leone Augusto, 621, 622.

Chieti, tolta dal re Pippino a Grimoaldo, III, 432.

Childeberto, figlio di Clodoveo I re de' Franchi, II, 783. Va a liberar
la sorella Clotilde maltrattata da Amalarico di lei consorte: sua
vittoria, 841. Sua crudeltà, 842, 843. Si unisce coi fratelli contro
i Borgognoni, 856. Fa lega con Vitige re de' Goti, 866. Entra col suo
esercito in Ispagna, e rimane sconfitto dai Visigoti, 897, 898. Dà mano
al nipote Cranno a ribellarsi contro suo padre, 965. Sua morte, 968.

Childeberto II, re de' Franchi, II, 1027. Mosso da Maurizio Augusto
contro i Longobardi, 1052, 1053, 1057. Accetta i regali a lui spediti
dal re Autari e gli promette in isposa la sorella Clotsuinda, poi gli
manca di fede, 1064, 1067. Rotta data alle sue genti dal re Autari,
1065. Muove di nuovo guerra ai Longobardi, 1073. Fa pace con essi,
1080, 1084. Sua formidabile potenza, 1091. Sua morte, 1100.

Childeberto III, re de' Franchi, succede al fratello Clodoveo III, III,
96. Sua morte, 137.

Childerico, figlio di Meroveo, succede al padre nel regno de Franchi,
II, 594. Ricupera il regno, 617. Occupa Colonia ed altre città, 619.
Fine di sua vita, 680.

Childerico II, fratello di Clotario III re di Francia. Diviene padrone
della monarchia franzese, III, 34. È assassinato (qui per isbaglio nel
testo è detto Childeberto), 42.

Childerico (per errore Chilperico) III, figlio di Chilperico II re di
Francia, III, 230. È deposto e fatto monaco, 246.

Chilperico, figlio di Clotario, re di Francia, II, 971. Stati che gli
tocca alla morte del padre, 972. Guerra con suo fratello Sigeberto,
1024.

Chilperico II, re dei Franchi, III, 151. Sua morte, 163.

China: suo uso ignoto in Europa nel 1503, VI, 200.

Ciarlatani: origine di questo vocabolo, III, 490.

Ciclo famoso, composto da Vittorio d'Aquitania, II, 615.

Cilone (Giulio), governatore della Bitinia, I, 186.

Cilone (Lucio Fabio Settimio), console, I, 693, 719. Corre pericolo
della vita sotto Caracalla, 722, 723.

Cinegio, console. Suo zelo pel cattolicismo. II, 278.

Cingani o Cingari: loro primo apparire in Europa V, 1043.

Cinna (Gneo Cornelio), capo de' congiurati contro Cesare Augusto, ne
ottiene il perdono, I, 16.

Cipri, isola devastata dai Saraceni, II, 1243. Suo regno preso dai
Turchi, VI, 744, 745.

Cipriano (San), arcivescovo di Cartagine, e martire, I, 886. Sua morte,
887.

Ciriade, imperadore effimero, I, 890.

Cirillo (San), vescovo di Alessandria, II, 481 478, 480, 501. Sua
morte, 520.

Cirino, _V._ Quirino (Publio Sulpicio).

Ciro, console orientale, alzato da Teodosio II ai primi posti, II, 511.

Ciro panopolita, console e poeta, vescovo di Cotico, II, 533.

Ciro, patriarca d'Alessandria, autore dell'eresia dei monoteliti, II,
1202, 1208, 1212, 1223. Condannato, 1245.

Ciro, monaco, patriarca di Costantinopoli, III, 121. È deposto da
Filippico imperadore, 138.

Citonato, vescovo di Porto, III, 289.

Città Nuova, presso Modena, fondata dal re Liutprando, III, 201.

Città d'Italia: quando cominciassero a far guerra l'una all'altra, IV,
76. Si cangiano in repubbliche, 513. Fan guerra insieme, 514. Alcune
distrutte dal re Arrigo V, 524. Fiere discordie e guerre fra loro,
676, 677. Loro costumi, 719. Cominciano a far lega contro di Federigo
Augusto, 788, 802. Ad essa costringono Lodi, 803, 804. Stromento della
loro lega, 813, 814. La quale sempre più crebbe, 819.

Città di Lombardia, loro lega contra di Federigo I Augusto, IV,
835. Ristabiliscono l'antico loro distretto, 837. Marciano con forte
esercito contra d'esso Federigo, 844. Loro battaglia contro di lui,
850, 851. E vittoria, 852, 853. Loro diritti sostenuti contro le
pretensioni dell'imperadore, 857. Da cui solamente ottengono una
tregua, 860. Si premuniscono contro di lui, 869. In Costanza fanno pace
con lui, 882. Rinnovano la lor lega per timore di Federigo II Augusto,
1067, 1068, 1072. Rimesse al papa le differenze che passavano fra loro
e il suddetto imperadore, 1074, 1075. Confermano la lega, 1092. Pace
fra esse conchiusa per opera di fra Giovanni da Vicenza, 1113. Ma pace
che poco dura, 1114, 1115.

Cividal di Friuli, presa e saccheggiata da Cacano re degli Unni, II,
1144, 1145.

Civile (Claudio), fa ribellar la Batavia, e parte della Germania e
delle Gallie, I, 291. Resta abbattuto, _ivi_.

Cività Vecchia: origine di questo nome. III, 671.

Clara (Didia), figlia di Giuliano Augusto, moglie di Cornelio
Repentino, I, 643.

Claro, (Caio Giulio Erucio), console, I, 630, 631. Fatto uccidere da
Settimio Severo, 671.

Claro (Setticio), prefetto del pretorio sotto Adriano, I, 446. Poi
deposto, 451.

Classe, città, borgo di Ravenna, II, 1000. Presa da Faroaldo duca di
Spoleti, 1039. Ricuperata dai Greci, 1057, 1058.

Claudia, figlia di Lodovico XII re di Francia, promessa in isposa a
Carlo duca di Lucemburgo, VI, 185.

Claudia o Claudilla (Giunia), maritata con Caligola, e poi da lui
ripudiala, I, 98, 103, 120.

Claudio (Tiberio), fratello di Germanico Cesare, I, 111. Console
col nipote Caligola, 115. Corre pericolo della vita, 138. Acclamato
imperadore dai soldati, 143. Suoi buoni principii, 145. Sue mogli
e suoi figli, 147. Porto di Roma da lui fabbricato, 148. Sedotto da
Messalina sua moglie, 149, 150. Conquiste da lui fatte nella Bretagna,
157. Suo trionfo in Roma, 159, 160. Sue lodevoli azioni, 176. Prende
Agrippina per moglie, 177. È signoreggiato da lei, 179. Adotta il
figliastro Nerone, 180, 181. Tumulto del popolo contra di lui, 184.
Vuole seccare il lago Fucino, 187. Spettacolo funesto a lui dato in
tale occasione, _ivi_. Acquidotti mirabili da lui fatti, 187, 188.
Avvelenato dalla moglie, muore, 192, 193.

Claudio (Marco Aurelio), generale di Gallieno Augusto, I, 931. Sua
congiura contra di lui, e innalzamento al trono imperiale, 934. Sue
azioni prima dell'imperio, 936. Abbatte il tiranno Aureolo, 937. Buon
principio del suo governo, 938. Sconfigge i Goti, 941. Perciò appellato
Gotico, 944. Sua morte, 945.

Claudio, prefetto di Roma, II, 182, 187.

Claudio, vescovo di Torino, condanna la venerazione delle sacre
immagini e delle reliquie, e i pellegrinaggi della gente pia, III, 550.
È confutato da Dungalo e da Giona, 559.

Cleandro, maestro di camera di Commodo, promuove la rovina di Perenne,
I, 608, 609. Diventa padrone della corte, 610. Sue iniquità, 613.
Creato prefetto del pretorio, 614. Principio e fine della sua caduta,
618, 619.

Clearco, prefetto di Costantinopoli, II, 250.

Clefo, ossia Clefone, re de' Longobardi, succede ad Alboino, II, 1017.
È ucciso, 1019, 1020.

Clemente I papa, I, 245. Suo martirio, 313.

Clemente (Marco Arricino), già prefetto del pretorio e console, fatto
morire da Domiziano, I, 360, 361.

Clemente (Tito Flavio), console cristiano, ucciso da Domiziano, I, 561,
562.

Clemente (Cassio), partigiano di Pescennio. Sua franca risposta a
Severo Augusto, I, 658, 659.

Clemente II papa. Sua elezione IV, 230. Corona il re Arrigo III, 231.
Celebra un concilio contro i simoniaci, 234. Col veleno è tolto di
vita, 240. Luogo dove egli morì, _ivi_.

Clemente III antipapa, _V._ Guiberto.

Clemente III papa. Sua elezione, IV, 905. Sua concordia co' Romani,
910. Chiamato da Dio a miglior vita, 920.

Clemente IV papa. Sua elezione, V, 48. Dà la corona di Sicilia a Carlo
conte d'Angiò, 54. Sostiene Ottone Visconte eletto arcivescovo di
Milano, 68. Scomunica Corradino, 73. Predice la di lui rovina, 74. È
chiamato a miglior vita, 79.

Clemente V papa. Sua elezione, V, 296, 297. Trasferisce in Francia la
Sede apostolica, 297. Decime da lui imposte col pretesto della guerra
chiamata santa, 301. Abolisce i Templari, 309, 310. Promuove l'elezione
di Arrigo VII re de' Romani, 317. Aspira al dominio di Ferrara, 319.
Atti orribili suoi contro i Veneziani, 324. Strana concessione da
lui fatta a Giacomo re d'Aragona, 327. Arbitro di lui Roberto re di
Napoli, 335. Concilio da lui celebrato in Vienna del Delfinato, 351,
361. Minaccie a lui fatte da Filippo il Bello re di Francia, 364. Si
attribuisce la sovranità in Italia, 372. Termina i suoi giorni, 373.
Varii suoi difetti, _ivi_, 374.

Clemente VI papa. Sua elezione, V, 561. Conferma contra di Lodovico il
Bavaro tutte le censure di papa Giovanni XXII, 567. Fa eleggere Carlo
di Boemia re de' Romani, 582. Compra Avignone dalla regina Giovanna,
601. Celebra il giubileo, 611. Mette pace fra i re d'Ungheria e di
Napoli, 619, 625. Sua morte, 625. Sue qualità, 626.

Clemente VII antipapa, _V._ Roberto cardinale.

Clemente VII papa. Sua elezione, VI, 398. _V._ Medici (Giulio).
Segretamente fa lega con Francesco I re di Francia, 409. Poi con
Carlo V imperadore, 417. Poi col re di Francia, co' Veneziani, coi
Fiorentini e con Francesco Sforza contra l'imperadore, 422. Da'
Colonnesi è costretto a ritirarsi in castello Sant'Angelo, 426, 427. Ne
fa vendetta, 427, 428. Assalito dalle sue armi il regno di Napoli, 431.
Fa tregua col vicerè di Napoli, 432. Essendo presa Roma, si salva nel
castello, 439. Accordo per la sua liberazione, 443. Resta tuttavia come
prigione, ed esposto alla peste, _ivi_, 444. Finalmente è libero, 452.
Torna a Roma ed a' maneggi di guerre, 463. Fa lega coll'imperadore,
468. Le cui armi spedisce contra de' Fiorentini, 469. Viene a Bologna,
471. Dove corona Carlo V, 476. Non accetta il laudo di questo sovrano
favorevole al duca di Ferrara, 484. Ricupera Ancona, 489. A lui
scrive Davide re d'Etiopia, 495. Suo abboccamento col re di Francia in
Marsilia, 496. Termina la sua vita, 503.

Clemente VIII antipapa, _V._ Egidio Mugnos.

Clemente VIII papa. Sua creazione, VI, 839, 840. Non ammette l'abiura
fatta da Arrigo IV re di Francia, 847. Sua inflessibilità su questo,
849. Finalmente l'ammette in grembo della Chiesa, 853. Dà soccorso
a Rodolfo II contro i Turchi, 855. Procede contra Cesare d'Este
duca di Ferrara, 868. L'obbliga coll'armi a cedergli il possesso del
ducato ferrarese, 871. Sua solenne entrata in Ferrara, 873. Terribile
inondazione di Roma sotto di lui, 874. Fa la promozione d'alcuni
cardinali, 878. Spedisce soccorsi all'imperadore contro i Turchi,
895. Vengono a lui ambasciatori persiani, 897. Promozione da lui fatta
d'altri cardinali, 904. S'imbroglia co' Farnesi, 907. Arriva al fine
de' suoi giorni, 909.

Clemente IX papa. Sua elezione, VI, 1245. Stabilisce pace fra la
Francia e la Spagna, 1248. Dà soccorso a' Veneziani, 1251. Sua morte,
ed insigni sue doti e virtù, 1256, 1257.

Clemente X papa. Sua elezione, VI, 1258, 1259. Promuove i suoi nipoti,
1259. Sue lodevoli massime, 1261. Suo editto, che accorda la nobiltà
colla mercatura, 1263. Impegni del cardinale nipote cogli ambasciatori
delle teste coronate, 1273. Giugne al fine de' suoi giorni, VII, 15.

Clemente XI papa. Sua elezione, VII, 152. Sua premura perchè le
potenze cristiane non vengano all'armi, 155. Spedisce il cardinale
Carlo Barberini legato a latere al re di Spagna a Napoli, 164. E
monsignor Tommaso di Tournon alla Cina, _ivi_. Non riconosce Carlo III
per re di Spagna, 174. Adirata contra di lui la corte di Vienna, 183.
Suo armamento contro gl'imperiali, 222. Suo accordo coll'imperadore
Giuseppe, 227. Risentimenti de' Gallispani contra di lui, _ivi_, 228.
Sua bolla _Unigenitus_ contro i Giansenisti, 258, 263. Sue bolle contro
la monarchia di Sicilia, 263, 266. Sue grandi premure in soccorso de'
Veneti contro i Turchi, 264. Insussistenti querele contra di lui per
la guerra mossa dal re Cattolico all'imperadore, 280. Spedisce alla
Cina monsignor Carlo Ambrosio Mezzabarba, 294. Ordina la prigionia del
cardinale Alberoni, ma resta deluso, 302, 303. Fine de' suoi giorni, e
suoi pregi, 304, 305.

Clemente XII papa. Sua elezione, VII, 350. Fa processare il cardinal
Coscia, 355. Sostiene la sua dignità contro la corte di Portogallo,
362, 363, 373. Pretensioni che gli muovono i Franzesi sopra il contado
d'Avignone, 373. Altre pretensioni dell'infante don Carlo, duca di
Parma, sopra il ducato di Castro e Ronciglione, _ivi_, 374. Sentenza
contra del Coscia, 374. Fabbrica la basilica Lateranense, 384. Forma la
galleria del Campidoglio, 405. Altre sue belle opere, 407. Vessazioni
recate dai monarchi al suo governo ed a' suoi Stati, 424. Compone le
liti con varii potentati, 441. Suo nobile contegno verso la repubblica
di San Marino, 459. Sua morte, e gloriose sue azioni, 461.

Cleto, romano pontefice, I, 313. Suo martirio, 331.

Clochilarco, capo de' corsari danesi, ucciso, II, 797.

Cloderico, figlio di Sigeberto re di Colonia. Uccide il padre ad
istigazione di Clodoveo re de' Franchi, che poi fa assassinare lui
stesso, II, 777, 778.

Clodio (Albino). _V._ Albino (Clodio).

Clodione, re de' Franchi, II, 483.

Clodomiro, figlio di Clodoveo re de' Franchi, II, 782, 783. (_V._
Clotario.) Sue barbarie, 817, 818. È ucciso in battaglia, 818.

Clodoveo, re de' Franchi, succede al re Childerico suo padre, II, 680.
Dà una rotta e toglie la vita a Siagrio generale romano, 691. Provincie
romane nelle Gallie venute in suo potere, _ivi_. Prende per moglie
Clotilde cristiana, 717. Pericolosa guerra da lui sostenuta contro gli
Alamanni, 727. Clotilde gli fa abbracciar la fede di Cristo, _ivi_.
Conquista l'Alemagna, 728. Rende tributarii i Borgognoni, 738, 741.
Sottomette la Bretagna Minore, 743. Dopo una rotta data ai Visigoti
occupa molte loro provincie, 765. Resta sconfitto dall'armi del re
Teoderico, 768. Dichiarato console da Anastasio Augusto, 770. Sue
iniquità per accrescere il dominio, 777. Sua morte e figliuolanza, 782.

Clodoveo II, re de' Franchi, II, 1220, 1228, 1239, 1264.

Clodoveo III, re de' Franchi, III, 96.

Clotario, figlio di Clodoveo re de Franchi, succede al padre, II, 782,
783. Muove guerra co' fratelli a Sigismondo re de Borgognoni, e lo
spogliano del regno, 812, 818. Sua fiera crudeltà contro i nipoti, 843.
Fa lega di nuovo co' fratelli contro i Borgognoni, 856. Suo trattato
con Vitige re de' Goti, 866. Entra in Ispagna col suo esercito, ed
è sconfitto da' Visigoti, 897, 898. Cade in lui tutta la monarchia,
955, 968. Rotta da lui data a' Sassoni, 964. Gli si ribella il figlio
Cranno, 965. Gli dà una rotta, e lo fa barbaramente abbruciare colla
moglie e colle figlie, 971. Sua morte, _ivi_.

Clotario II, re de Franchi, II, 1112, 1128, 1137. In lui si unisce la
monarchia franzese, 1153. Sua morte 1220.

Clotario III, re de' Franchi, II, 1264. Bertarido, ottiene da lui aiuto
per rimontare sul trono di Italia, usurpatogli da Grimoaldo, III, 32.
Suo esercito rotto dal re Grimoaldo con uno stratagemma, _ivi_. Sua
morte, 34.

Clotilde, nipote di Gundobaldo re de' Borgognoni. Suo matrimonio
con Clodoveo re de' Franchi, II, 717. Gli fa abbracciar la sede di
Cristo, 727. Inavvertentemente cagiona la morte de' suoi nipoti, 843.
S'interpone tra' figli onde non si facciano guerra, 880.

Clotilde, moglie di Amalarico re de Visigoti, costante nella cattolica
religione, II, 841. Sua morte, 842.

Clotsuinda, moglie d'Alboino re de' Longobardi, II, 977.

Cniva, re de' Goti, muove guerra ai Romani, I, 866.

Cnodomario, re degli Alamanni, II, 81. Rotta a lui data da Giuliano
Cesare, 81, 82.

Cocceiano (Salvio), nipote di Ottone imperadore, ucciso da Domiziano,
I, 355.

Cochebas, o Barcochebas, capo de' Giudei contro di Adriano, uomo
crudele, I, 469.

Codice Giustinianeo, quando pubblicato, II, 836, 856.

Cola di Rienzo divien tribuno e come signore di Roma, V, 590, 591. Sue
azioni parte lodevoli e parte ridicole, 591. Per una sollevazione è
costretto a fuggirsene, 595, 596. Torna a signoreggiare in Roma, 635. È
ucciso dal popolo, 636.

Collalto (Rambaldo conte di), generale dell'imperadore, blocca
Mantova, VI, 1029. Resa da lui e saccheggiata quella città, 1039, 1040.
Miseramente termina i suoi giorni, 1047.

Colomanno (Carlo Manno d'alcuni), re d'Ungheria, IV, 476.

Colombano (San), abbate celebratissimo, nativo di Irlanda, perseguitato
da Brunechilde e dal re Teoderico, e cacciato dalla Borgogna, ove avea
fondato il monastero di Luxevils, e molti altri, II, 1149. Fonda quello
di Bobbio, 1150. Richiamato in Francia dal re Clotario II, si esime
di andarvi, 1153. Sua lettera a papa Bonifazio, III, _ivi_. Passa a
miglior vita, 1159.

Colonna Traiana: quando compiuta, I, 416, 417.

Colonna: nobiltà ed antichità di questa famiglia, IV, 487.

Colonna (Fabrizio), generale del papa nella battaglia di Ravenna, fatto
prigione dal duca di Ferrara, VI, 283. Ne diviene difensore, 290.

Colonna (Marcantonio), generale dell'armi pontifizie, VI, 255. Difende
Ravenna, 281. E protegge il duca di Ferrara, 290. Difende Verona, 331,
336. Generale di Massimiliano Cesare, 338, 339. Sua gloria in sostenere
Verona, 339, 341. Ucciso da un colpo di colubrina, 379.

Colonna (Marcantonio), juniore, generale del papa nella vittoria a
Lepanto, VI, 750, 752, 753, 755. Vicerè pel re Cattolico in Sicilia,
797.

Colonna (Prospero) dà una sconfitta a' Veneziani, VI, 309. Generale
del duca di Milano, 310, 313. Suo tentativo contro Genova, 320. Fatto
prigione da' Franzesi, 323, 324. Generale del papa assedia Parma, 366.
E Milano, 368, 369. E lo prende, 369. Vince i Franzesi alla Bicocca,
383. S'impadronisce di Genova, 386. Difende Milano, 397. Fine di sua
vita, 400.

Colonnesi: gran parzialità di papa Niccolò IV verso di loro, V, 209.
Processati da papa Bonifazio VIII, 250, 251, 257. Processati da papa
Eugenio IV, 1085, 1086. Gli fanno guerra, 1086.

Colosseo, mole stupenda in Roma, I, 321.

Comacchio, città posseduta dalla casa d'Este, VI, 260. Se ne
impadroniscono l'armi imperiali, VII, 227. Ne è restituito il possesso
alla santa Sede, 318.

Comaschi: la loro città presa e saccheggiata da' Milanesi, IV, 568. Che
fanno poi guerra a quel popolo, 573, 577, 584. Abbandonano la città, e
poi si soggettano a Milano, 599, 600.

Cometa insigne, vedutasi in cielo, II, 516.

Commodiano, poeta cristiano, I, 1220.

Commodo (Lucio Ceionio). Suo consolato, I, 4?4. Adottato per figliuolo
da Adriano: prende il nome di Lucio Elio Commodo, _ivi_. Sua morte,
479.

Commodo (Lucio Ceionio), figlio del precedente. Sua nascita, I, 479.
Adottato per figliuolo da Antonino Pio, 480. Appellato Lucio Vero, 475,
504, 517. Era pochissimo amato dal padre adottivo, 504. È assunto al
consolato, 516. Amore che portava a' suoi maestri, e qual profitto ne
trasse, _ivi_. Creato console per la seconda volta, 522. Succede ad
Antonino Pio, 528. _V._ Marco Aurelio Vero.

Commodo (Marco Aurelio Antonino), che fu poi imperadore, I, 556. Prende
la toga virile, 570. Creduto nato d'adulterio, 576. Creato console,
579. Va col padre a guerreggiare in Germania, 583. Afflizione del padre
infermo in riguardarlo suo successore, 588, 589. Succede nell'imperio
al padre, 591, 592. Suoi vizii ed inclinazioni malvage nella puerizia,
593. Applauso con cui viene ricevuto in Roma, 594. Quali i principii
del suo governo, 596. Congiura contra di lui Lucilla sua sorella, 601,
602. Si abbandona alla lussuria ed alla ritiratezza, 606, 613. Sua
crudeltà, 614, 620. Prende il nome d'Ercole, con altre sue frenesie,
623, 624. Perduto dietro agli spettacoli delle fiere, 627. Ucciso da'
congiurati, 630.

Comneni, famiglia d'imperadori d'Oriente. _V._ i loro nomi rispettivi.

Compagne, ossia compagnie di soldati masnadieri, quando nate in Italia,
V, 545, 565, 566, 571, 572.

Conciliabolo di Tiro, in cui fu deposto santo Atanasio vescovo
d'Alessandria, I, 1205.

Conciliabolo tenuto in Antiochia dagli ariani, II, 57.

Conciliabolo di Milano, in cui fu deposto santo Atanasio, II, 69.

Conciliabolo di Marano, tenuto da Severo arcivescovo di Aquileia, e da
altri vescovi scismatici, II, 1063.

Concilio celebrato in Roma da Aniceto intorno il giorno di Pasqua, I,
521.

Concilio d'Arles, in cui vengono condannati i donatisti, I, 1131.

Concilio niceno, celebrato contro l'eresia d'Ario, I, 1172.

Concilio di Serdica, in cui è confermato il gius delle appellazioni
alla santa Sede apostolica. II, 21.

Concilio di Rimini termina in un conciliabolo, II, 92.

Concilio d'Aquileia sotto Graziano Augusto, II, 230.

Concilio I generale in Costantinopoli, II, 233.

Concilio (Altro) in detta città, II, 239, 240.

Concilio di Milano contro Gioviniano eresiarca, II, 287.

Concilio di Roma contro Nestorio, II, 478, 480.

Concilio di Efeso contro lo stesso eresiarca, II, 480.

Concilio (Falso) di Efeso, II, 535.

Concilio ecumenico calcedonese, II, 548.

Concilio arausicano II, II, 615.

Concilio palmare, in cui restò assodata l'innocenza ed il pontificato
di Simmaco, II, 747.

Concilio V generale, tenuto in Costantinopoli, II, 950. Approvato da
papa Vigilio, 957, 958. Scisma per questo insorto in Italia, 962.

Concilio VI generale tenuto in Costantinopoli, III, 59.

Concilio trullano, quando tenuto, III, 87.

Concilio tenuto in Roma da Gregorio II, III, 164.

Concilio tenuto in Roma da Gregorio III contro Leone Isauro, III, 196.

Concilio Di Pavia, III, 560.

Concilio VIII generale tenuto in Costantinopoli, III. 720.

Concilio lateranense IV sotto Innocenzo III, IV, 1025.

Concilio generale di Lione, sotto Gregorio X, V, 105.

Concilio di Pisa, in cui è creato papa Alessandro V, V, 961, 962.

Concilio di Costanza, intimato da papa Giovanni XXIII, V, 986. Suo
principio, 992. Ivi eletto papa Martino V, 1008.

Concilio di Basilea: suo principio, V, 1094, 1103, 1105. Atti di papa
Eugenio IV in contrario, 1122, 1126. Elegge un antipapa, 1135.

Concilio generale in Ferrara, V, 1126. Trasportato a Firenze, 1134.
Dove si uniscono le due Chiese latina e greca, 1135.

Concilio lateranense, sotto Leone X, VI, 343.

Concilio generale stabilito in Trento, VI, 556. Suo principio,
573. Trasferito a Bologna, 587. L'imperadore Carlo V tenta che sia
restituito a Trento, 593. A ciò aderisce papa Giulio III, 603. Sciolto,
625. Riaperto da papa Pio IV, 692, 693. Dispute e dissensioni _ivi_
quietate da' cardinali legati, 702. Suo fine, e gran bene che n'è
derivato, _ivi_, 703.

Concordia, città distrutta da Attila, II, 561.

Condiano (Sesto Quintilio), console, I, 587. Tolto di vita da Commodo,
605.

Confraternite laicali, e loro origine, _V._ Bianchi.

Conone, vescovo d'Apamea, ucciso in battaglia, II, 712.

Conone papa. Sua elezione, III, 70. Termina il suo vivere, 73.

Conone, o Conrado, ossia Corrado, duca della Francia Orientale, padre
di Ottone duca, eletto re di Germania, III, 981. Fu avo di Gregorio V
papa, IV, 26.

Consalvo Fernandez, chiamato il gran capitano, VI, 130. È sconfitto da'
Franzesi, 134. Suoi progressi contra di loro, 138. Sua venuta a Roma,
143. Sua simulazione col re di Napoli, 186. Conquista per Ferdinando il
Cattolico la metà del regno di Napoli, 188. Cede alle maggiori forze
de' Franzesi, 194. Prevale contro di essi, 207. Loro dà una rotta al
Garigliano, 208, 209. Per l'acquisto di Gaeta s'impadronisce di tutto
il regno, 213. Per sospetti contro di lui si porta Ferdinando re a
Napoli, 220, 221. Condotto in Ispagna, miseramente muore, 226.

Consiglio generale e di credenza nelle città libere d'Italia, IV, 513.

Consolato abolito da Giustiniano Augusto, II, 888.

Consoli delle città d'Italia divenute repubbliche, IV, 513.

Constanziano, generale di Giustiniano Augusto, II, 863, 868, 892.

Contardo, duca di Napoli, ucciso, III, 634.

Contareni, dogi di Venezia, _V._ i loro rispettivi nomi.

Conte del sacro palazzo, dignità eminente, III, 433. Dignità primaria
nella corte de' re d'Italia, 950.

Conte di Modena, che si pretende fatto indebitamente morire per
calunnia della regina moglie di Ottone III, IV, 20, 21.

Conte cardinale legato dell'antipapa Anacleto, IV, 613.

Conte di Virtù, _V._ Gian-Galeazzo.

Contee: erano una volta piuttosto governi che feudi, II, 1169.

Conti: si chiamavano così i governatori delle città, II, 1104.

Conty, supremo comandante delle armi franzesi nella Savoia, VII, 534.

Copronimo, _V._ Costantino Copronimo.

Corasio, monte vicino ad Antiochia, I, 423.

Corbiniano (San), vescovo di Frisinga, III, 170, 173.

Corbulone (Gneo Domizio), console, I, 124. Generale sottomette i Cauci,
170. Generale delle armi in Oriente, 199. Sue imprese in Armenia,
209. Governatore della Soria, 219. Fa guerra ai Parti, 226, 227. Suo
abboccamento con Tiridate re dell'Armenia, 229. Intimatagli la morte da
Nerone, si uccide, 244.

Cordo (Cremuzio), storico romano, accusato s'uccide, I, 73.

Corfù, devastata da' Goti, I, 932. Assediata da' Turchi, VII, 268. I
quali se ne fuggono all'avviso della vittoria riportata dai Cesarei in
Ungheria, 271.

Corippo, poeta africano, II, 982.

Cornelia, capo delle Vestali, condannata a morte da Domiziano, I, 348.

Corneliano (Attidio), governatore della Soria, I, 533.

Cornelio, romano pontefice, I, 866. Suo martirio, 873.

Corona Ferrea dei re d'Italia, II, 1125. Non usata nel secolo IX, III,
638.

Corone d'oro del re Agilolfo e di Teodelinda in Monza, II, 1125.

Corpi dei santi trasferiti da Roma in Francia e in Germania, III, 287.
Frequenti una volta le lor traslazioni, 560.

Corradino, figlio del re Corrado. Sua nascita, IV, 1239. S'intitola re
di Gerusalemme, e non di Sicilia, 1252. Per la sua finta morte Manfredi
si fa coronare re di Sicilia, 1266, 1267. Cala in Italia, V, 66, 67.
Passa colle armi in Toscana, 72. Suo esercito formidabile, 74, 75.
Sconfitto nella fuga è preso, 76. E poscia decapitato, 77.

Corrado, duca della Francia orientale, _V._ Conone.

Corrado, re di Borgogna, figlio di Ridolfo II, III, 1072. Va a trovarlo
Adelaide Augusta, sua sorella, 1219. Interviene alla dieta di Verona,
1243. Muore, 1279.

Corrado, duca di Lorena, III, 1123. Si ribella ad Ottone il Grande,
1127, 1130. Col quale fa pace, 1132.

Corrado; figlio del re Berengario II, III, 1161, 1186.

Corrado il Salico, primo fra gli Augusti, creato re di Germania, IV,
145. Eriberto, arcivescovo di Milano, il promuove alla corona d'Italia,
149. Venuto, riceve la corona da esso Eriberto, e fa guerra ai Pavesi,
152. Sua signoria in Ravenna, 153. Sottomette la Toscana, 156. È
coronato imperadore, 157. Torna in Germania, 159. Crea duca della
Baviera Arrigo suo figlio, 161. Poi lo fa eleggere re di Germania,
_ivi_. Sua guerra con santo Stefano re di Ungheria, 167. Sue ragioni
sopra il regno di Borgogna, 173. Colle armi va ad acquistarlo, 177,
179. Cala di nuovo in Italia, 187. Fa prigione Eriberto arcivescovo
di Milano, 190. Il quale fugge, 191. Assedia Milano, 192. Infierisce
contro Parma, 195. Torna a Roma, 196. A cagion della peste si ritira in
Germania, 198. Sua morte, 202.

Corrado, figlio di Arrigo IV, re, creato duca di Lorena, IV, 372, 375,
378, 405. Cerca l'eredità della contessa Adelaide avola sua, 453. Si
ribella al padre, 455. È coronato re d'Italia, 457. È ricevuto per
figlio da papa Urbano II, 464. Prende in moglie Matilda figlia di
Ruggieri conte di Sicilia, 467. Sua morte, 489.

Corrado, fratello di Federigo duca di Suevia, fa guerra a Lottario re
di Germania, IV, 592. Contro di lui è creato e coronato re d'Italia,
604. Scomunicato dal papa perde il credito, 605. Torna disingannato
in Germania, 620. Fa pace con Lottario Augusto, 632. Viene eletto re
di Germania, 657. Fa guerra ad Arrigo duca di Sassonia, 663. A lui fa
guerra Guelfo VI, 672. È invitato a Roma dai Romani, 683. Prende la
croce, e passa in Oriente, 689. Sue azioni e ritorno, 692, 694. Fine di
sua vita, 706.

Corrado, vescovo di Perugia, IV, 62.

Corrado, duca di Carintia, IV, 94.

Corrado, duca di Franconia, IV, 145, 151, 159. Rimesso in grazia da
Corrado Augusto, 162. Creato duca di Carintia e marchese di Verona,
182, 191.

Corrado, duca di Baviera, deposto da Arrigo III, IV, 265.

Corrado, figlio di Corrado già duca di Carintia, dà una rotta ad
Adalberone duca di Carintia, IV, 124. Termina il suo vivere, 205.

Corrado, marchese di Toscana, IV, 605. Suoi atti, 608.

Corrado, conte palatino del Reno, IV, 744, 771, 779.

Corrado, figlio di Federigo I Augusto, creato duca di Franconia, IV,
822.

Corrado Moscaincervello, principe di Ravenna, IV, 832. Cede Capoa al re
Tancredi, 925. Generale dell'esercito contro di lui, 932. Creato duca
di Spoleti, 944. Ne è spogliato da papa Innocenzo III, 957.

Corrado, marchese di Monferrato, IV, 832. Rotta a lui data dai
Milanesi, 833.

Corrado, figlio del marchese di Monferrato, milita in favore dei
nobili di Viterbo, IV, 866. Sconfigge e fa prigione l'arcivescovo di
Magonza, 871. A cui poscia vende la libertà, 879. Valorosamente difende
Tiro contro di Saladino, 902, 905. Difende Tripoli, 909. Riscatta il
padre, 910. Sostiene l'assedio d'Accon, 917. Sposa Isabella regina di
Gerusalemme, 927. Assassinato, 930.

Corrado, figlio di Federigo II Augusto, va in Germania col padre per
reprimere la ribellione del fratello Arrigo, IV, 1123. Eletto re de'
Romani, 1139. Raduna un forte esercito, e va contro Arrigo langravio
di Turingia, 1194. È sconfitto, _ivi_. Sorprende il langravio, e gli
dà una rotta sì terribile, che gli cagiona la morte, 1197, 1198. È
costretto a ritirarsi in Italia per la guerra fattagli da Guglielmo
d'Olanda, 1209. È dichiarato dal padre erede dei suoi Stati, 1222.
Innocenzo IV lo dichiara scomunicato come suo padre, 1223. Cala in
Italia, 1227. Va in Puglia, 1229. Concepisce astio contro il fratello
Manfredi, 1230, 1231. Costringe Napoli alla resa, 1233, 1234 Creduto
autore della morte del fratello minore Arrigo, 1237. Maltratta i popoli
della Puglia, 1238. Nel più bel fiore degli anni muore, _ivi_.

Corrado Rusca, signor di Como, V, 279.

Corrado de' Trinci, signore di Foligno, V, 757. Perde stato e vita,
1129, 1141.

Correggeschi, tolgono Parma agli Scaligeri, V, 555, 556. La vendono ad
Obizzo marchese d'Este, 573.

Corsi, loro insolenza in Roma contro i Franzesi, VI 1228, 1229, 1237.

Corsica, presa dai Goti, II, 933. Donata alla Chiesa Romana, III,
268, 318, 333, 460. Presa quasi tutta dai Turchi e Franzesi, VI, 630.
Ricuperata dai Genovesi, 638. Ai quali si ribella, VII, 353, 354.
Contro de' ribelli sono spedite le truppe imperiali, 363, 371, 375.
Entra in quel dominio Teodoro Antonio barone di Newoff, e ne decade,
427, 439, 447, 451, 513.

Corso pubblico, cioè la posta, regolato da Traiano, I, 429.

Corte, una volta villa con castello e parrocchia, IV, 35, 200.

Corvolo, duca del Friuli, III, 124.

Coscia (Niccolò), creato cardinale, e poscia arcivescovo di Benevento,
VII, 324. Sue tirannie, per cui è costretto a fuggire, 349. È
interdetto da ogni funzione, 350. Per la sua ostinazione in non
rinunziare all'arcivescovato si continuano i processi contra di lui,
355. Fugge, _ivi_. Censure fulminategli contro, 356. Va a Roma per
difendersi, 368, 369. Sentenza contro di lui, 374. È migliorata la sua
situazione mercè la protezione della corte di Vienna, 405, 461.

Cosimo de Medici il Magnifico. Sua morte, VI, 13.

Cosimo II, principe di Toscana. Suo matrimonio con donna Maria
Maddalena d'Austria, VI, 924. Succede a Ferdinando suo padre, 927.
Si dichiara in favore del duca di Mantova, 940. Manda soccorsi a
Ferdinando II Augusto, 971. È rapito dalla morte, 982. Sue virtù,
_ivi_.

Cosimo III, poscia gran duca di Toscana. Sue nozze con Margherita
Luigia di Borbon, VI, 1220, 1225. Succede al padre, 1260. Suo divorzio
colla moglie, VII, 10. Sua morte, 313.

Cosma, eletto imperadore contro Leone Isauro, III, 175.

Cosroe, re de' Parti. Sua ambascieria a Traiano, I, 415. Da cui è posto
in fuga, 425. Rimesso in trono da Adriano, 436.

Cosroe, re di Persia, muove guerra a Giustiniano Augusto, II, 879, 884,
887. Con lui fa una pace vantaggiosa, 973. Torna a far guerra, 1010. Ne
riporta delle busse, 1025. Sua morte, 1035.

Cosroe, re di Persia, fa guerra a Foca imperadore, II, 1128. Suoi
progressi in Oriente, 1138, 1148. Occupa Gerusalemme, 1154. Poi
l'Egitto, 1160. Fa scorticar vivo il suo generale Saito, 1161. Fa
morire gli ambasciatori di Eraclio imperadore, _ivi_. Guerra a lui
fatta da esso Augusto, 1172. Suo sdegno contro i cristiani, 1182. Messo
in fuga da Eraclio, 1193. È ucciso da suo figlio Siroe, 1195.

Cosso, prefetto di Roma, I, 99,

Costante (Racio), governatore della Sardegna, I, 693.

Costante (Flavio Giulio), figlio di Costantino il Grande, creato
Cesare, I, 1198. Stati a lui assegnati dal padre, 1209. Succede a lui
nell'Italia, Africa ed Illirico, 1223. Discordia fra lui e i fratelli,
_ivi_. Dall'esercito suo è ucciso il fratello Costantino, ed estensione
del suo dominio, 1228. Sue leggi contro i pagani, II, 11. Sue vittorie,
15. Protettore de' cattolici, 21, 22. Congiura di Magnenzio contro di
lui, 28, 29. Onde è ucciso, 29, 30. Suoi difetti e pregi, 30.

Costante, figlio di Costantino tiranno, II, 380. Dichiarato Augusto,
392, 408, 409. Mandato dal padre in Ispagna, 408. Ucciso in Vienna del
Delfinato, 409.

Costante, ossia Costantino, nipote di Eraclio Augusto. Sua nascita.
II, 1189. È dichiarato imperadore, 1226, 1227. Favorisce i Monoteisti,
1238, 1241. Pubblica il suo Tipo, o editto per quella eresia, 1242.
Perseguita papa Martino, 1254. Il fa imprigionare, 1255. Dichiara
Augusto e collega nell'imperio suo figlio Costantino Pogonato, 1260.
Sconfitto dai Saraceni, a stento giunge a fuggire travestito, 1262. Fa
guerra agli Sclavi, 1265, 1266. Pace dai Saraceni chiestagli, da lui
non accettata, 1267. Si ritira fuori di Costantinopoli, 1272, 1273.
Assedia Benevento, III, 10. E se ne ritira, 13. Passa a Roma, indi in
Sicilia, 16. Incredibili avanie da lui fatte a que' popoli, 22, 23.
Sostiene la ribellione di Mauro arcivescovo di Ravenna contro il papa,
27. Viene ucciso, 29.

Costantina, moglie di Maurizio Augusto, II, 1045, 1098. Colle figlie
uccise da Foca, 1120, 1134.

Costantino (Flavio Valerio), il Grande, figlio di Costanzo Cloro,
discendente da un fratello di Claudio II Augusto, I, 936, 1030, 1040,
1051. Sprezzato da Galerio, 1062, 1066. Pericolose azioni a cui lo
espone Galerio, dalle quali ne esce vittorioso, _ivi_. Sua vittoria sui
Sarmati, 1067. Fugge da Galerio, e va a trovare il padre, 1068. A lui
succede, ed è proclamato Augusto, 1073, 1074. Ma prende il solo titolo
di Cesare, a ciò obbligato da Galerio, 1074. Dà la libertà ai cristiani
di professar pubblicamente la loro religione, 1078. Sue vittorie contro
i Franchi ed altri popoli, 1079. Massimiano lo crea Augusto, egli dà
in moglie la figlia Flavia Massimiana Fausta, 1083. Lo accoglie nelle
Gallie con tutti gli onori, 1089. Il qual poscia tenta di tradirlo,
1089, 1090. Preso da lui in Marsiglia, rimproverato e spogliatolo
della porpora, lo lascia come prima nella sua corte per le preghiere
di Fausta, 1090, 1091. Donativi da lui fatti al tempio d'Apollo in
Autun, 1091. Per nuovo tradimento fa morire il suocero, 1093, 1094.
Sconfigge le nazioni germaniche, 1096. Passa nella Gran Bretagna, e
la soggioga in poco tempo, 1097. Invitato dai Romani contro l'iniquo
Massenzio, 1105. Sua lega con Licinio, cui promette in moglie la figlia
Flavia Valeria Costanza, 1106. Parte per l'Italia coll'armata, _ivi_.
Prende Susa, 1107. Entra in Torino, _ivi_. Giunge a Milano, _ivi_. La
prende, _ivi_. Passa a Brescia, _ivi_. Assedia Verona, 1108, 1109. Gli
si arrendono Aquileia e Modena, 1109. Giunge a Roma, _ivi_. Miracolosa
sua chiamata al Cristianesimo, 1109, 1110. Vittoria insigne da lui
riportata colla morte di Massenzio, 1113. Divenuto padron di Roma,
dell'Italia e dell'Africa, 1116. Dà più rotte ai Franchi, 1118. Non
prende il titolo di pontefice massimo, 1130. Sue guerre con Licinio,
a cui dà una rotta, 1133. E di poi fa pace, 1135. Sue lodevoli leggi,
1137. Suoi varii regolamenti, 1145, 1146 _e seg._, 1150 _e seg._,
1170, 1174, 1180, 1181, 1191, 1192, 1201. Sconfigge i Sarmati, 1154. E
Licinio Augusto due volte, 1160, 1163, 1164. Divien padrone di tutto
il romano imperio, 1165. Leva di vita Licinio, 1168. Sue premure per
estinguere l'eresia di Ario, 1169. Ingiuriato da' Romani, 1175, 1176.
Fa morire il figliuolo Crispo e la moglie Fausta, 1177, 1178. Fonda
Costantinopoli, 1186. Vince i Sarmati e i Goti, 1195. Quanto rispettato
e temuto dai Barbari, 1199. Divide fra i suoi figliuoli i suoi Stati,
1208. Sua infermità, 1212. Prende il battesimo, _ivi_. Sua morte, 1214.
Glorioso in vita e dopo morte, 1216. Sua donazione alla Chiesa Romana,
creduta anche ne' tempi di papa Adriano, III, 332.

Costantino juniore (Flavio Claudio), figlio di Costantino il Grande.
Sua nascita, I, 1141, 1142. Creato Cesare, 1142. Vittorie da lui
riportate contro i Goti, 1195. Stati a lui assegnati dal padre, 1208.
Succede a lui nella Gallia, Spagna e Bretagna, 1220. Discordia fra
esso e i fratelli, 1222, 1223. Entra colle armi in Italia, 1227. In una
battaglia ucciso, 1228.

Costantino, tiranno, occupa la Bretagna e le Gallie, II, 378. Varie sue
imprese, _ivi_. Crea Augusto suo figlio Costante, 392. È riconosciuto
a collega nell'imperio dall'imperadore Onorio, _ivi_, 407. Calato in
Italia, 407. Tende insidie ad esso Augusto, 408. Rinserrato in Arles,
409, 413. Preso ed ucciso, 414 415.

Costantino papa. Sua elezione, III, 127. Chiamato a Costantinopoli,
130. Dove riceve grandi onori, 132, 133. Fine de' suoi giorni, 149.

Costantino pseudopapa, III, 289. Scrive al re Pippino, _ivi_. Vien
deposto ed acciecato, 292. Riprovato nel concilio lateranese, 293, 294.

Costantino Pogonato, dichiarato Augusto, II, 1260. Ritenuto in
Costantinopoli dopo la partenza del padre, 1273. Succede al medesimo,
III, 30. Atterra il tiranno Mecezio in Sicilia, 31, 32. Come trattasse
i suoi fratelli, 34, 63. Difende Costantinopoli assediata dai Saraceni,
40. La libera, e fa pace vantaggiosa con quegli infedeli, 50, 51.
Promuove la pace della Chiesa, 52. Col concilio VI generale, 59. È
benefico verso la Chiesa Romana, 63, 68. Rapito dalla morte, 69.

Costantino Copronimo. Sua nascita, III, 160, 161. Dichiarato Augusto,
da Leone Isauro suo padre, 163. A cui succede, ed è detronizzato, 216.
Riacquista l'imperio, 231. Liberalità sua verso Zaccheria, 234. Crea
suo collega il figlio Leone, 245. Suo conciliabolo contro le sacre
immagini, 257, 258. Seguita a perseguitarle, 282. Muove con una flotta
per portar la guerra ai Bulgari, 324. Muore, _ivi_.

Costantino, figlio di Leone IV Augusto. Sua nascita, III, 308.
Dichiarato dal padre collega nello imperio, 330. Gli succede, 341, 342.
Suoi sponsali con una figlia dì Carlo Magno, 344. Protegge le sacre
immagini, 355. Suo matrimonio, 373. Depone la madre, 384. Dalla quale è
deposto ed accecato, 406, 407.

Costantino Porfirogenito, imperador de' Greci, succede al padre.
III, 977, 978. A lui inviato dal doge veneto Orso Particiaco il
figlio Pietro, 983. Sua sovranità rimessa in Benevento e Capoa, 988,
989, 1072. Ambasciatori a lui spediti dal re Ugo, 1035. Chiede una
figlia a re Ugo in moglie a suo figlio Romano, 1091. Conferma i beni
spettanti al monistero di San Vincenzo del Volturno, 1096. A lui chiede
protezione il re Lottario, 1107.

Costantino Monomaco, imperador dei Greci, IV, 210.

Costantino duca imperadore dei Greci, IV, 322. Sposa una figlia di
Roberto Guiscardo, 375. Viene balzato dal trono, 390. Sua morte, 407.

Costantino Paleologo, ultimo imperador de' Greci, muore combattendo
invittamente per la patria, V, 1251.

Costantinopoli: sua fondazione, I, 1186. Sua grandezza e popolazione,
1191. Parte delle sue mura fabbricate da Teodosio II imperadore, II,
502. Sollevazioni _ivi_ tra le fazioni veneta e prasina, 470. Terribil
sedizione sotto Anastasio, 784, 785. Altra sotto Giustiniano, 847.
Assediata dal re degli Unni, e liberata, 1184. Assediata dai Saraceni
III, 40. Liberata, 50, 51. Di nuovo assediata da' Saraceni, 157, 158.
Liberata, 158. Espugnata e saccheggiata dalla crociata dei Latini, IV,
982. Facoltà de' Veneziani d'eleggerne il patriarca latino, 985. Creato
_ivi_ imperadore Baldovino conte di Fiandra, _ivi_. Ritolta ai Latini
dai Greci, V, 31. Presa dai Turchi, 1251.

Costanza (Flavia Valeria), sorella di Costantino il Grande, maritata
con Licinio Augusto, I, 1106, 1117, 1118, 1157, 1168.

Costanza o Costantina, figlia di Costantino il Grande, II, 39. Maritata
a Gallo Cesare, 44, 61, 64.

Costanza (Flavia Massima), figlia di Costanzo Augusto, II, 108, 117,
154, 155. Maritata con Graziano Augusto, 108.

Costanza di Francia, maritata con Baomondo principe d'Antiochia, IV,
508.

Costanza, figlia del re Ruggieri di Sicilia, maritata ad Arrigo V re di
Germania, IV, 892, 893. Solenni sue nozze celebrate in Milano, 894. Sue
pretensioni al regno di Sicilia, dopo la morte di Guglielmo II, 914.
Cade in mano del re Tancredi, 925. Ed è liberata, _ivi_. Partorisce
Federigo II, 940. A lei ingiustamente imputate le traversie e la morte
del marito, 950. Sua morte, 962.

Costanza, figlia del re Manfredi, maritata a Pietro figlio del re
d'Aragona, V, 28, 29, 33. Viene in Sicilia, 160. Governa quel regno,
215. Va a Roma, 250.

Costanzo Cloro (Flavio Valerio), adottato e creato Cesare da
Diocleziano Augusto, I, 1027. Suoi costumi, 1029, 1030. Volge le armi
contro di Caralisio tiranno, 1032. Frisoni da lui soggiogati, 1033. Sue
vittorie delle nazioni germaniche, 1034. Ricupera la Bretagna, 1038.
Sconfigge gli Alamanni, 1046, 1047. Ed altre nazioni germaniche, 1050,
1051. Sua indulgenza verso i cristiani, 1058. Creato Augusto, 1063. Sua
morte, 1069. Fu marito d'Elena, 1070. Sue belle qualità, 1071.

Costanzo (Flavio Giulio), figlio di Costantino il Grande. Sua nascita,
I, 1142. Creato Cesare, 1167. Sue prime nozze, 1207. Stati a lui
assegnati dal padre, 1208. Succede a lui, 1220. Fa uccidere i suoi
parenti, 1221, 1222. Discordia fra lui e i fratelli, 1223. Guerra
a lui mossa da Sapore re della Persia, 1224; II, 15. Protegge gli
ariani, II, 16. Terme da lui fabbricate in Costantinopoli, 18. E
porto di Seleucia, 19. Sua celebre battaglia a Singara con Sapore re
di Persia, 23, 24. Come dipinto da Libanio sofista, 27. Con deporre
Vetranione acquista l'Illirico, 40. Sua insigne vittoria su Magnenzio,
49. Ricupera l'Italia e l'Africa, 52, 53. Passa nelle Gallie ed atterra
Magnenzio, 55. Divien superbo e crudele, 56. Legge sua contro i templi
e sacrifizii de' gentili, 59. Disgustato di Gallo Cesare, 60. A cui
toglie la vita, 66. Crea Cesare Giuliano, 70. Suo trionfo in Roma,
75. Fa guerra ai Sarmati, 83, 84. E a lui la fanno i Persiani, 90, 91.
Contra di lui insorge Giuliano Cesare, 95. Dà fine ai suoi giorni, 109.
Sue lodi e suoi biasimi, _ivi_, 110.

Costanzo (Giulio), console fratello di Costantino il Grande, I, 1203,
1204. Ucciso da Costanzo Augusto, 1222.

Costanzo, arcivescovo di Milano, II, 1092. Termine di sua vita, 1113.

Costanzo (Flavio) conte, generale di Onorio Augusto, II, 410. Opprime
Geronzio nelle Gallie, 411. Vince Edobico generale di Costantino
tiranno, 414. Si disgusta con Ataulfo re de' Goti, 421. Creato console,
424 Altre sue imprese nelle Gallie, 426. Galla Placidia a lui data in
moglie, 434. Dichiarato Augusto, 444. Termina il suo vivere, 445. Suo
epitaffio, 446.

Costanzo Sforza, signore di Pesaro, VI, 46. Sconfitto da Alfonso duca
di Calabria, 68. Gli è portata la guerra da Girolamo Riario signore
d'Imola, 70. Generale di Lodovico il Moro duca di Milano, 76. Dà una
sconfitta ad Obietto del Fiesco, 78. Va al servizio de' Veneziani, e
muore, 84.

Court (il signore di la), ammiraglio franzese. Si unisce con la flotta
spagnuola per battersi contro gli Inglesi, VII, 535. Sua inazione, per
cui rimangono salve ed illese le sue navi, _ivi_.

Cozio (Marco Giulio), re delle Alpi Cozie, I, 160.

Cranno, figlio di Clotario re di Francia. Si ribella al padre, II, 965.
Vinto in una battaglia, è bruciato, per ordine del padre, colla moglie
e con le figlie, 971.

Crasso Frugi. Sua congiura contro di Traiano, I, 412.

Crema, cagione di gran guerra fra Milano e Cremona, IV, 607. Assediata
dai Cremonesi e Tedeschi, 760. Si rende a Federigo Augusto, 762.

Cremaschi: si ribellano a Federigo Augusto, IV 758.

Cremona presa dai soldati di Vespasiano, I, 280. Strage e saccheggio
orrendo _ivi_ fatto da essi, 281. Presa e diroccata dal re Agilolfo,
II, 1126. Sorpresa d'essa fatta dal principe Eugenio, ma con poco
frutto, VII, 166.

Cremonesi: lor sedizione contro di Odelrico vescovo, III, 1274.
Sconfitti dai Milanesi, IV, 525. A cagion di Crema guerra tra essi
ed i Milanesi, 607, 608, 630, 637, 644. Son da loro sconfitti, 665.
Danno una rotta ai Piacentini, 699. Rendono la pariglia ai Milanesi,
prendendo loro anche il carroccio, 700. Inducono l'imperadore Federigo
a seco loro assediare Crema, 759, 760. Uniti allo stesso Federigo fan
guerra ai Milanesi, 765. Collegati con essi, 802, 823. Sdegnati con
Federigo Augusto, 892. Messi al bando dell'imperio, 898. Ottengono la
pace da esso Augusto, _ivi_. E dal figlio, 899, 900. Rotta loro data
dai Bresciani, 927. E dai Milanesi, 934. Crema loro conceduta dagli
imperadori, 945. Danno una rotta ai Piacentini, 971. E un'altra al
popolo di Brescia, 974. Sconfitti dai Milanesi, 1002. Guerra civile
fra loro, 1007, 1011, 1012, 1015. Gran rotta da loro data ai Milanesi,
1019. E ai Piacentini, 1032. E di nuovo ai Milanesi, 1037. Fanno pace
coi Milanesi e Piacentini, _ivi_. In aiuto de' Modenesi sconfiggono i
Bolognesi, 1085. Lor battaglia coi Milanesi, Piacentini e Bresciani,
in cui restano sconfitti, 1120. E coi Bresciani soli, da' quali sono
sbaragliati, 1128. Lor carroccio preso dai Parmigiani, 1206. Governati
dal marchese Oberto Pelavicino, danno una rotta ai Parmigiani, 1218,
1219. E ai Bresciani, 1270. Scacciano il Pelavicino e Buoso da Doara,
V, 69. Uniti coi Parmigiani, 143. Guerra lor fatta da' collegati
Ghibellini, 312. Ribellati al re Arrigo VII, ne riportano un fiero
castigo, 344, 345. Di nuovo si ribellano, 349. Rivoluzioni di quella
città, 389, 402, 408, 421.

Crescenzio, console romano. Sua prepotenza in Roma, III, 1259, 1260;
IV, 12. Processato da Ottone III Augusto, 19. Fa fuggire papa Gregorio
V, 22. Usurpa il dominio di Roma, 23. Gli è tagliato il capo, 30.

Crescenzio, cardinale, governatore di Benevento, IV, 621, 622.

Cresconio, vescovo di Todi, legato pontificio ad Anastasio II
imperadore, II, 730.

Cresto, prefetto del pretorio, ucciso, I, 790.

Crinito (Marco Ulpio), valente generale di Valeriano Augusto, I, 887.
Designato console, 888, 891, 894.

Crisafio, potente eunuco nella corte di Teodosio II, II, 515. Odia san
Flaviano, 529. E l'abbatte, 535. Sua caduta e morte, 546.

Crisargiro, tributo abolito: voce greca, cioè _oroargento_, II, 709.

Crisolora (Manuello), accende in Italia lo studio della lingua greca,
V, 899.

Crispina, moglie di Commodo Cesare, I, 571. Relegata, e poi fatta
morire da lui, 621.

Crispino (Rufo), prefetto del pretorio, deposto, I, 184.

Crispino (Tullio), prefetto del pretorio sotto Giuliano, I, 641.

Crispo (Giulio), perchè ucciso da Severo Augusto, I, 678.

Crispo (Flavio Valerio Giulio), figlio di Costantino il Grande, creato
Cesare, I, 1141. Sua vittoria degli Alemanni, 1148, 1150. Va a Roma,
1154. Milita contro di Licinio, 1161. Levato di vita dal padre, 1177.

Cristiani: perseguitati sotto Nerone, I, 234. Sotto Domiziano, 338,
361, 362. Sotto Traiano, 411. Uccisi dai Giudei, 469, 470. Perseguitati
sotto Adriano, 478. Sotto Antonino Pio, 494. Sotto Marco Aurelio, 555.
Impetrano la pioggia all'armata di esso Augusto, 564. Indulgenza di
Commodo verso di loro, per cui se ne dilatò moltissimo il numero, 621.
Persecuzion d'essi sotto Severo, 684. Amati da Alessandro Augusto, 776.
Perseguitati da Massimino, 817. Favore che godono sotto i due Filippi,
851. Perseguitati da Decio, 865. Sotto Gallo e Volusiano, 873. Favoriti
sul principio da Valeriano, 878, 879. Poscia da lui perseguitati,
886, 887. Vessati da Aureliano, 972. Persecuzione mossa da Diocleziano
contro di essi, 1053. Lor pace e libertà sotto Costantino il Grande,
1143, 1165, 1171. Licinio gli scaccia dalla sua corte, 1148. Poi li
perseguita, 1158. Persecuzione mossa da Sapore re di Persia contro
di essi, II, 15, 16. Da Giuliano l'Apostata, 123. Da Isdegarde re di
Persia, 381.

Cristiani (Reltrame), conte e gran cancelliere della Lombardia
Austriaca: suoi rari pregi, VII, 500.

Cristiano, eletto arcivescovo di Magonza, IV, 794. Sconfigge i Romani,
805. Mandato da Federigo Augusto per sostenere il suo partito nella
Romagna, ma inutilmente, 820. Spedito nuovamente in Italia dallo
stesso imperadore, 828, 829. Mette i Pisani al bando dell'imperio, 832,
836. Fa la guerra in Toscana, 836. Assedia Ancona, 840. Suoi malvagi
costumi, 841. Fa guerra ai Romagnoli e Bolognesi, 848. Spedito a Roma,
854. Fa guerra in Puglia, 855. Abiura lo scisma, 861. Sconfitto e preso
da Corrado di Monferrato, 871, 872. Rimesso in libertà, 879. Termina
con discredito i suoi giorni, 884.

Cristiano (Federico), _V._ Federico Cristiano.

Cristiano o Cristierno, re di Danimarca, va a Roma, VI, 50.

Cristina, regina di Svezia, va a Roma, VI, 1201; VII, 25. Sua morte, 78.

Cristina, sorella di Lodovico XIII re di Francia, e duchessa di
Savoia, prende la reggenza degli Stati, VI, 1083. Conferma la lega coi
Franzesi, 1086. Abbandona ai medesimi sè stessa e il Piemonte, 1088.
Guerra a lei fatta da' principi cognati, 1092. Occupato da essi Torino,
ella va a Susa, 1096. Fa pace con essi, 1111. Sua morte, 1234.

Cristo Gesù, adorato insieme cogli altri dei da Alessandro imperadore,
I, 775, 776.

Cristoforo, duca di Roma, III, 145.

Cristoforo, patriarca di Grado, III, 100.

Cristoforo, d'Olivolo, III, 438, 447, 455, 525.

Cristoforo papa, o piuttosto usurpator della Sede pontificia. III, 956.
È deposto, 959, 960.

Cristoforo Moro, doge di Venezia, V, 1274. Cessa di vivere, VI, 40, 41.

Cristoforo Colombo, scuopre le Indie Orientali, VI, 113.

Croati, convertiti alla fede di Cristo, II, 1202.

Croce, sopra cui morì il nostro Signore Gesù Cristo, presa dai
Persiani nel saccheggiar Gerusalemme, II, 1155. Ricuperata da Eraclio
imperadore, 1196. Riportata in Gerusalemme, 1197. Asportata in
Costantinopoli, 1207.

Crociata pubblicata da papa Urbano II nel concilio di Chiaramonte, IV,
464, 469. Italiani ad essa concorsi, 471.

Crociata dei Franchi, 977. Con Arrigo Dandolo doge di Venezia prende
Zara, 979. Va a Costantinopoli, 981. E la prende per forza, 982. Crea
imperadore ivi Baldovino conte di Fiandra, 985.

Crodegango, vescovo di Metz, III, 251, 403.

Cronologia di Teofane, difettosa nei testi, II, 1123.

Crotska: battaglia _ivi_ coi Turchi svantaggiosa agli imperiali, VII,
454, 455.

Crouzas: sua temeraria censura contra sant'Ambrogio, II, 291.

Crummo o Crunno, re dei Bulgari. Dà una rotta a Niceforo imperadore, in
cui questi rimane ucciso, III, 476. Pone in fuga Michele imperador de'
Greci, 483.

Cunegonda, moglie di Bernardo re d'Italia, III, 519. Donazione da lei
fatta al monistero di Santo Alessandro di Parma, 593.

Cunegonda (Santa), imperadrice, moglie di Arrigo I Augusto, IV,
59. Suoi fratelli fan guerra ad esso Arrigo, 83, 84. Cala in Italia
coll'Augusto consorte, 101. Coronata imperadrice, 102. Sua morte e
santità, 144.

Conegonda de' principi Guelfi, maritata con Azzo II marchese d'Este,
IV, 239. Madre di Guelfo IV progenitore della casa di Brunsvich, 276.
Sua morte, _ivi_.

Cuneo, assediato invano dai Gallispani, VII, 538. Sciolto
quell'assedio, 540.

Cuniberto, figlio di Bertarido re de' Longobardi, II, 1276; III, 39.
Dichiarato re dal padre, 54. Impetra ed ottiene da suo padre il perdono
ad Alachi ribello duca di Trento, 60. Succede al padre, 76. Ribellione
di Alachi contro di lui, 79, 80. Rientra in Pavia, 81. Battaglia e
morte da lui data al tiranno, 84, 85. Fa cavare gli occhi ad Ansfrido
usurpatore del Friuli, poi lo esilia, 90, 91. Suoi sospetti contro
Aldone e Gransone, 93. Fine di sua vita, 105. Monisteri da lui fondati,
_ivi_, 106. Suo epitaffio, 111, 112.

Cuniberto, vescovo di Torino, IV, 322.

Cunimondo, re dei Gepidi, II, 936. Vinto ed ucciso da Alboino re de'
Longobardi, 986.


D

Daci, chiamati anche Geti e Goti, fanno guerra ai Romani, I, 339.

Dagalaifo generale di Giuliano Augusto, II, 104, 143, 148.

Dagiberto, abbate di Farfa, III, 1078.

Dagoberto, figlio di Clotario II re de' Franchi, dichiarato re
dell'Austrasia, II, 1172. Succede al padre nella monarchia franzese,
1196. Suoi ambasciatori ad Arioaldo re de' Longobardi, 1204. Sua guerra
con gli Sclavi, 1209. Varie sue leggi, 1217. Muore, 1220.

Dagoberto II, re de' Franchi, II, 1264; III, 36. Viene ucciso, 53.

Dagoberto III, re de' Franchi, III, 137. Sua morte, 151.

Daimberto, primo arcivescovo di Pisa, IV, 454. Creato patriarca di
Gerusalemme, 483.

Daja o Daza. _V._ Massimino (Caio Galerio Valerio).

Dalmazia, signoreggiata da Teoderico re d'Italia, II, 752. Viene in
potere di Giustiniano, 858. Di nuovo sottomessa dalle sue armi, 863.
Molte città marittime di essa soggette all'imperadore Lodovico II
Augusto, III, 735.

Damaso, pontefice romano eletto nello scisma, II, 156, 176, 225. Giugne
al fine de' suoi giorni, 250.

Damaso II papa. Sua elezione IV, 242. Suo breve pontificato, _ivi_, 243.

Dame romane; loro glorioso zelo per la liberazione di papa Liberio, II,
77.

Damiano, vescovo di Pavia, III, 54, Uomo santo, 80.

Damiano, arcivescovo di Ravenna, III, 86. Sua morte, 127.

Damiano Cossadoca, vescovo eletto di Verona, IV, 1271.

Damiata, presa dall'armi cristiane, IV, 1039, 1209. È restituita a'
Saraceni, 1048, 1217.

Danesi (Corsari), popoli pagani del Baltico. Loro prima irruzione nella
Gallia, II, 796.

Dandoli, dogi di Venezia, _V._ i loro rispettivi nomi.

Dante Alighieri, sua morte in Ravenna, V, 424.

Dardano, prefetto del pretorio nelle Gallie, lodato dai santi Agostino
e Girolamo, II, 417.

David, re di Etiopia, manda una lettera a papa Clemente VII, VI, 495.

Dazio, arcivescovo di Milano, II, 857. Va a Roma, 871. Orrori da lui
descritti prodotti in Italia, e specialmente in Milano, dalla carestia
e dalla guerra, 876, 877. Tenta di liberar Milano dai Goti, 878.
Sostiene il papa Vigilio contro l'Augusto Giustiniano, 938.

Decebalo, re o capitano dei Daci, fa guerra ai Romani, I, 339. Tratta
con essi di pace, 341, 343. E con suo gran vantaggio la ottiene, 344,
390. Muove guerra a Traiano, 390, 391. A' cui piedi infine si umilia,
395. Gli torna a far guerra, 398, 405. Si uccide, 405.

Decennali: loro origine, I, 38.

Decenzio (Magno), fratello di Magnenzio, creato Cesare, II, 32, 44. Si
uccide da sè stesso, 55.

Decio (Caio Messio Quinto Traiano), spedito contro ai ribelli da
Filippo Augusto, e proclamato imperadore, vince ed uccide lo stesso
Filippo, I, 861. Suoi figli, 864. Persecutor de' cristiani, 865.
Miseramente muore, 869.

Dei dell'Egitto: loro culto proibito in Italia, I, 60.

Delmazio (Flavio), figlio di un fratello di Costantino il Grande,
I, 1197. Creato Cesare, 1205, 1206. Paese a lui assegnato da esso
Costantino, 1209. Ucciso da Costanzo Augusto, 1222.

Demetrio, filosofo cinico, relegato, I, 303.

Demetrio, re di Tessalia, figlio di Bonifazio marchese di Monferrato,
IV, 994. Viene a lui confermato dall'imperadore Teodoro Comneno il
regno di Salonicchi, 1033. Spogliato del regno, 1041, 1063.

Demostene, capitano di Cesarea, I, 906. Sua bravura, 907.

Demostrato, eloquente deputato degli Ateniesi a Marco Aurelio, I, 561.

Deodato, vescovo di Parma, III, 1106.

Deogratias, vescovo di Cartagine, II, 567. Sua grande carità e morte,
583, 584.

Desiderio, fratello di Magnenzio, creato Cesare, II, 32. Da lui stesso
privato di vita, 55.

Desiderio duca, non già di Toscana, aspira al regno de' Longobardi,
III, 264. Sale sul trono, 265. Fa guerra ai duchi di Spoleti e di
Benevento, 271. Sua andata a Roma, 272, 278. Coopera alla deposizione
di Costantino falso papa, 290, 291. Sue liti coi Romani, 297. Sua
ambasceria a papa Adriano, 309. Occupa varie città della Chiesa romana,
311. Rigettato da papa Adriano, 313. Guerra a lui mossa da Carlo Magno,
314. Assediato in Pavia, 315. Si rende ed è mandato in esilio, 318,
319.

Desiderio, abbate di Monte Casino, IV, 282. Creato cardinale, 288.
Manda monaci in Sardegna, 319. Suo zelo e mansuetudine, 320. Fabbrica
la basilica di Monte Casino, 322. La cui dedicazione è fatta da
papa Alessandro II, 347. Chiamato da Arrigo IV, 414, 418. Rifiuta il
pontificato, 424 È creato papa, 428. _V._ Vittore III.

Desippo, storico, capitano degli Ateniesi, I, 930, 931.

Destro (Domizio), prefetto di Roma sotto Severo, I, 653.

Deusdedit, arcivescovo di Milano, II, 1113.

Deusdedit papa. Sua consecrazione, II, 1158. Accoglie cortesemente
Eleuterio esarco di Ravenna, 1163. È rapito dalla morte, _ivi_.

Deusdedit, figlio di Orso doge di Venezia, richiamato dall'esilio in
patria, III, 210. Creato maestro de' militi, 212. Eletto doge, 230. Da
Costantino Copronimo gli è conferito il titolo d'ipato, _ivi_. Ucciso
dal popolo, 263.

Deusdedit, vescovo di Modena, III, 535.

Deusdedit, abbate di Monte Casino, III, 591.

Diadumeniano, figlio di Macrino Augusto, I, 744. Creato Cesare, e
principe della gioventù, _ivi_. Gli è tolta la vita, 753.

Diana: suo tempio in Efeso incendiato dai Goti, I, 912.

Digesti, quando pubblicati da Giustiniano imperadore, II, 852.

Diluvio d'acque terribile in Italia, II, 1070.

Diocleziano (Caio Valerio), console, I, 1003. Proclamato imperadore,
1007. Abbattuti i suoi competitori, regna solo, 1010, 1011. Sue azioni
e qualità prima che conseguisse l'imperio, 1011, 1012. Ricupera le
provincie occupate da' Persiani, 1019. Sconfigge i Sarmati, 1022,
1035. Crea Cesare Costanzo Cloro, 1027. Si fa adorare qual dio, 1034.
Sua crudeltà contro gli Alessandrini, 1039. Dà con suo vantaggio la
pace ai Persiani, 1045. Insigni fabbriche da lui fatte in Antiochia,
1048. Terme Diocleziane da lui fatte in Roma, 1050. Altre sue lodevoli
azioni, 1052. Muove persecuzione contro i cristiani, 1053. Sua crudeltà
contro gli Antiocheni e suo trionfo in Roma, 1056, 1057. Forzato da
Galerio a deporre l'imperio, 1061, 1062. Suo ritiro in Dalmazia, 1063.
Suo detto, 1081. Fine di sua vita, e sue qualità, 1119.

Diogene, filosofo cinico a' tempi di Vespasiano, I, 312.

Diogene Laerzio, storico sotto Severo Augusto, I, 713.

Dione Grisostomo, insigne oratore e filosofo, cacciato di Roma, I, 363.
Amato e onorato da Traiano, 397.

Dione Cassio, storico, interviene agli spettacoli di Commodo, I, 627.
Suo sensato giudizio intorno la caduta di Plauziano, 695. Accompagna
Caracalla ne' suoi viaggi, 728. Quando terminasse la sua storia, 789.
Creato console, 793. Si ritira alla sua patria, 794.

Dionigi Esiguo, monaco. Ha il merito di aver messa in credito l'Era
cristiana in Occidente, I, 6; II, 827, 828.

Dionisio, da Mileto, eccellente oratore sotto Adriano Augusto, I, 459.

Dionisio, romano pontefice, I, 894. Sua morte, 943.

Dionisio (San), vescovo di Alessandria, I, 863, 878, 886.

Dionisio (Elio), prefetto di Roma, I, 1050.

Dionisio, vescovo di Piacenza, IV, 322.

Dioscoro, vescovo di Alessandria, eretico, II, 520, 522. Abbatte san
Flaviano, 535. Condannato nel concilio calcedonense, 548.

Dioscoro antipapa. Sua elezione, e poco di poi muore, II, 838.

Docibile, duca di Gaeta, III, 785. Sue liti col principe di Capoa, 835.

Dodone, vescovo di Novara, III, 672.

Dodone, vescovo di Modena, IV, 517.

Dogi (due) in Venezia ad un tempo, III, 337, 338.

Dolabella (Publio), proconsole dell'Africa, I, 72.

Dolabella (Gneo Cornelio), illustre romano, ucciso da Vitellio, I, 273.

Domenico Leone, maestro de' militi eletto capo del governo in Venezia,
III, 206.

Domenico Monegario, doge di Venezia, III, 267.

Domenico, vescovo di Malamocco, III, 983, 984.

Domenico Gradenico, ossia Gradenigo, vescovo di Venezia, IV, 155.

Domenico Orseolo, doge di Venezia, IV, 174.

Domenico Fiabanico, o Flabanico, doge di Venezia, IV, 174, 218.

Domenico, patriarca di Grado, IV, 218.

Domenico, vescovo di Venezia, IV, 218.

Domenico (San), abbate di Sera, IV, 170.

Domenico Contareno, doge di Venezia, IV, 218, 220, 227, 318. Sua morte,
349.

Domenico Silvio, doge di Venezia, IV, 349. Assegno di beni da lui fatto
alla chiesa di Grado, 364. Deposto, 422, 423.

Domenico Michele, doge di Venezia, IV, 558. Muove guerra all'imperador
de' Greci, 587. Sua vittoria sugli infedeli, _ivi_. Loro toglie Tiro,
590, 591. Sua morte, 615.

Domenico Morosini, doge di Venezia, IV, 698. Ricupera alcune città,
701. Sua morte, 738.

Domenico (San), institutore dell'ordine de' predicatori. Sua morte, IV,
1052. È canonizzato, 1119.

Domenico da Campofregoso, doge di Genova, V, 726. Manda un'armata in
Cipri, 735. Deposto e imprigionato, 768.

Domenico Capranica, cardinale, V, 1238.

Domitilla (Flavia), moglie di Vespasiano, che fu poi imperadore, I,
304, 305.

Domitilla (Flavia), nipote di Domiziano, relegata muore martire, I, 362.

Domitilla (Flavia), nipote di Tito Flavio Clemente console, muore
martire, I, 362.

Domizia, zia paterna di Nerone, da lui uccisa, I, 216.

Domizia Augusta, moglie di Domiziano imperadore, I, 328. Tolta ad
Elio Lamia Emiliano, 355. Di lei non si fida Domiziano, 365. Ed essa
congiura contra di lui, 366, 367.

Domiziano Augusto. Sua nascita, I, 183. Si salva nella presa del
Campidoglio, 283. Proclamato Cesare, 285. Succede nell'imperio a Tito
suo fratello, 327. Bei principii del suo governo, 328. Magnifiche sue
fabbriche, 330. Va a guerreggiar contro i Germani, 332. Trionfo suo
in Roma, 333. Giuochi capitolini da lui istituiti, 336. Altri suoi
spettacoli, _ivi_, 337. Vuole il titolo di signore e dio, 338. Va a
guerreggiar contro i Daci, 341. Suo trionfo, e spettacoli da lui dati
in tale occasione, 345, 346. Ribellione di Lucio Antonio contra di lui,
349. Sua boria e prosunzione, 353. Crudeltà enorme, 354. Va alla guerra
contra i Sarmati, 356. Altre sue crudeltà, 357, 360. Diffida fin della
moglie, 365, 367. Ucciso dai congiurati, 368.

Domiziano, prefetto del pretorio d'Oriente, II, 63. Fatto uccidere da
Gallo Cesare, _ivi_.

Domizio Africano, console, I, 124. Con qual arte si salvasse dalla
crudeltà di Caligola, 125.

Donatisti, loro scisma, I, 1130. Loro eresia nell'Africa, II, 405, 418.

Donato, vescovo di Cartagine, eresiarca, I, 1186.

Donato (Giunio), prefetto di Roma sotto Valeriano, I, 887.

Donato, patriarca di Grado, III, 162. Fine di sua vita, 173.

Donato, vescovo di Jadra, III, 455.

Donato, vescovo d'Ostia, III, 720.

Donazione di Costantino alla Chiesa romana, creduta vera anche ai tempi
di papa Adriano, III, 332. Accreditata nel secolo XI, IV, 291.

Donnino, ambasciatore di Valentiniano II, spedito a Alassimo tiranno,
II, 269.

Douniverto, abbate della Novalesa, III, 968.

Dono papa. Sua elezione, III, 46. Fa tornare alla obbedienza, Reparato
arcivescovo di Ravenna, 47. Manca di vita, 52.

Dono II papa. Sua elezione, III, 1209. Dà fine a suo vivere, 1211.

Doria, dogi di Genova, _V._ i loro nomi rispettivi.

Drogone, vescovo di Metz, III, 587, 636, 637.

Drottegango, abbate di Gorzia, III, 251.

Drottulfo, Svevo. Sue prodezze al servizio de' greci Augusti, II, 1057.

Drusilla (Giulia), figlia di Germanico Cesare, maritata con Lucio
Cassio Longino, I, 84. Da Caligola suo fratello tenuta come moglie,
120. Muore, 121.

Druso (Nerone), figlio di Tiberio, I, 15, 38. Spedito nella Pannonia,
44. Va alla guerra di nuovo 55, 59. Conferita a lui la tribunizia
potestà, 66. Sua morte immatura, 68.

Druso, figlio di Germanico, I, 59. Fatto morire di fame da Tiberio, 97.

Druso, figlio di Claudio, che fu poi imperadore Sua morte, I, 63.

Du-Bois creato cardinale, sua morte, VII, 306, 307.

Duca di Nemours, vicerè in Napoli di Lodovico XII re di Francia, VI,
193. Sua morte, 208.

Duca di Termine, difende Verona contro i tentativi dei Veneti, VI, 257.

Duca di Borbone (Carlo), governator di Milano per Francesco I, VI,
329. Difende Milano contro i cesarei, 336, 337. Torna in Francia con
dimettere il comando, 338. Fugge in Germania, 394. Viene in Italia,
400. Persuade l'andata in Provenza dell'esercito cesareo, 404. Occupa
Milano, 424. Si muove verso Roma, 432, 433. Sue azioni nel viaggio,
434. Nell'assalto dato a Roma è ucciso, 438, 439.

Duca Valentino (_V._ Cesare Borgia). Acquista Faenza, e suo tradimento,
VI, 181. Dichiarato duca della Romagna, 182. Fa guerra a Bologna,
_ivi_. Suo tentativo contro Firenze, 183. Interviene alla presa di
Capoa, 186, 187. Assedia Piombino, 189. Per tradimento acquista il
ducato di Urbino e Camerino, 191, 192. Riacquista la grazia di Lodovico
XII re di Francia, 194. Tradisce ed uccide molti signori d'Italia, 195.
S'impadronisce di Perugia, 197. Avvelenato in una cena, 198, 199. Sua
infermità e caduta alla morte del padre, 201. Rifugiato in castello
Sant'Angelo, 203, 204. Liberato e rimesso in prigione, 206. È mandato
in Ispagna, dove viene ucciso, 212.

Duca d'Alba (Ferdinando di Toledo), vicerè di Napoli, muove guerra
al papa, VI, 653. Indarno chiede la pace, 655. Fa ritirare il duca di
Guisa, 660. Infine ottiene la pace, 665. Va a Roma, e rende pubblica
ubbidienza al papa, 666. Mandato al governo de' Paesi Bassi, 724. Sua
crudeltà, 733. Chiede ed ottiene di tornare in Ispagna, 760. Ultimo
tratto di barbarie a lui attribuito, 792. Sua morte, _ivi_.

Duca di Feria, governator di Milano, sostiene il partito de' cattolici
nella Valtellina, VI, 974. Suoi progressi in quella guerra, 983.
Assiste ai Genovesi contro il duca di Savoia, 999. Difende Genova
contro i Gallo-Savoiardi, 1003. Passa in Germania in aiuto di
Ferdinando II imperatore, 1061, 1062.

Duca di Guisa, generale de' Franzesi, spedito in soccorso di papa
Paolo IV, VI, 655. Sue imprese, 659, 660. Richiamato in Francia, 666.
S'impadronisce di Cales, 668. Assassinato ed ucciso dagli ugonotti,
704.

Duca di Guisa (Arrigo di Lorena), forma il disegno di conquistare il
regno di Napoli, VI, 1160. Fu dichiarato doge di quella repubblica,
_ivi_. S'impadronisce di Aversa, 1162. Si compera l'odio di tutti,
1164, 1165. Fugge ed è fatto prigione, 1166. Nuovo suo tentativo contro
Napoli, 1189.

Duca d'Ossuna, vicerè di Napoli, fa guerra ai Veneziani, VI, 961.
Congiura a lui attribuita contro Venezia, 968. Suo bizzarro ingegno, e
sospetti della corte di Madrid contra di lui, 976. Torna in Ispagna, e
muore prigione, 978.

Ducati: erano una volta piuttosto governi che feudi, II, 1169.

Ducato del Friuli: suo principio, II, 999, 1020.

Ducato di Benevento e Spoleti, quando istituiti, 1020, 1069.

Duchi: dividono e governano dopo il re Clefo il regno dei Longobardi,
II, 1020.

Duello: autenticato da Gundobado re de' Borgognoni, II, 740. Riprovato
dal re Teoderico, 757. Suo abuso moderato dal re Grimoaldo, III, 30.
Detestato dal re Liutprando, 171. Una volta familiare e permesso, IV,
254, 255.

Duello famoso a Trani fra tredici soldati italiani ed altrettanti
franzesi, in cui i primi rimangono vincitori, VI, 207.

Dulcino, eretico manicheo, bruciato vivo colla moglie, V, 316.

Dungalo, monaco, difensore delle sacre immagini, III, 559, 568.


E

Ebbone, vescovo d'Arles, III, 194.

Ebbone, arcivescovo di Rems, III, 553. Alla testa di molti vescovi
franzesi per detronizzare l'Augusto Lodovico, 585. Confessa i suoi
falli e si dimette, 592.

Eberardo duca del Friuli, III, 652. Va ambasciatore pel re di Germania
all'Augusto Lodovico, 685. Suoi figliuoli, 711. Suo testamento e sua
morte, 717. Fu marito di Gisla figlia di Lodovico Pio, _ivi_, 781, 782.

Eberardo, vescovo di Bamberga, IV, 138.

Ebroardo, conte del sacro palazzo, III, 432.

Eccelino, avolo di Eccelino il crudele, IV, 846.

Eccelino da Onara, padre del crudele, si fa monaco, IV, 1084. Si scopre
eretico paterino, _ivi_.

Eccelino da Romano, prende un po' d'autorità, in Verona, IV,
1068. Creato _ivi_ podestà, dà principio alla sua potenza, 1080.
S'impadronisce di Vicenza, _ivi_. Fa guerra a' Padovani, 1084.
Corre in soccorso dei Veronesi, 1095. Caro a Federigo II Augusto,
1105. Introduce le di lui armi in Verona, 1107. Lo sollecita a
calare in Italia, 1129. Caccia di Verona il conte di San Bonifazio
e i suoi parziali, 1134. Si oppone all'armata dei Padovani,
Trivisani e Vicentini contro di lui collegatisi, 1135. Chiama in
suo aiuto l'imperadore Federigo, _ivi_. Entra in Padova, 1140.
Comincia a dominare in essa città, _ivi_. Sposa una figlia bastarda
dell'imperadore, 1146. Difende Padova contra il marchese d Este, 1150.
A cui fa guerra, 1151. Prende Montagnana, 1173, 1174. Dà principio
alle sue crudeltà, 1180. Va, in aiuto di Federigo II, all'assedio di
Parma, 1202. Varie città e castella da lui conquistate pell'imperadore
Federigo, 1207. Scomunicato da papa Innocenzo IV, _ivi_, 1237. Occupa
Belluno, Monselice, Este ed altre terre, 1214, 1215. Sue crudeltà
e pericolo di vita da lui corso, 1237. Fa guerra a Mantova, 1255.
Gli è tolta Padova dai crocesignati, 1257. Sua esecranda crudeltà
contra i Padovani, _ivi_. Indarno tenta di ricuperare Padova, 1258.
Infierisce contro i Veronesi, 1262. Dà una rotta ai Bresciani, 1271. Si
impadronisce della lor città, _ivi_. Lusingandosi di conquistar Milano,
s'invia a quella volta e si trova deluso, V, 11. Sconfitto e ferito dà
fine alla empia sua vita, 14.

Ecdicio, figlio dell'imperadore Avito, generale dei Romani nelle
Gallie, alla difesa della città d'Auvergne, II, 653. Richiamato in
Italia, 655.

Echerigo, conte del palazzo, III, 433.

Eclana, città della Puglia, di cui fu vescovo Giuliano pelagiano, IV,
123.

Edelberto (Santo), re d'Inghilterra, II, 1142.

Edoardo, principe d'Inghilterra. Va per adempiere il suo voto in terra
santa, ed è sorpreso da un'orribile burrasca, V, 88.

Edobico, generale di Costantino tiranno, II, 413.

Efrem, patriarca di Antiochia, II, 825.

Egidio, generale dell'armata romana, II, 594, 614. Sua vittoria
contro i Goti, 614, 615. Eletto re de' Franchi, è quindi costretto a
ritirarsi, 613, 617. Sua morte, 619.

Egidio, arcivescovo di Ravenna, IV, 994.

Egidio Albornoz, cardinale spedito in Italia, preso per protettore da'
Romani, V, 635. Umilia i Malatesti, 646. Conquista varie città, 647.
Richiamato in Avignone, 659. Prende Cesena, _ivi_. Torna in Italia,
670. Tenta inutilmente d'occupare Firenze, 673. S'impadronisce di
Forlì, _ivi_, 674. A lui ceduta Bologna da Giovanni da Oleggio, 675.
Sua lega contro i Visconti, 686. Cessa di vivere, 709.

Egidio Mugnos, canonico di Barcellona, eletto antipapa dopo la morte di
Pietro di Luna, V, 1044, 1051. Rinunzia il papato, e per grazia viene
eletto vescovo di Maiorica, 1077.

Egira: era dei Maomettani, II, 1172.

Egitto; facilmente soggetto alla peste, III, 42.

Elagabalo Augusto (_V._ Bassiano). Suo mal animo verso il cugino
Alessandro, I, 764. Suoi tentativi per levarlo dal mondo, 765. Resta
egli ucciso colla madre, 768.

Elefante mandato a papa Leone, VI, 315.

Elena, madre di Costantino il Grande, moglie di Costanzo Cloro, I,
1070. Va a Roma, 1154. Suo dolore per la morte di Crispo Cesare, 1178.
Sua andata a Gerusalemme, e morte, 1182.

Elena (Flavia Giulia), sorella di Costanzo Augusto maritata a Giuliano
Cesare, II, 71. Rapita dalla morte, 100.

Eleuterio, romano pontefice, I, 555. Sua gloriosa morte, 604.

Eleuterio, esarco di Ravenna, II, 1160. Ricupera Napoli, 1163.
Ribellatosi, resta ucciso, 1166.

Elia Petina, moglie di Claudio, che fu poi imperadore, I, 147.

Elia, vescovo di Gerusalemme, cacciato in esilio da Anastasio Augusto,
I, 787.

Elia, patriarca d'Aquileia. Suo concilio, II, 1037. Lettera a lui
scritta da papa Pelagio, 1059. Cessa di vivere, 1060, 1061.

Elia, vescovo di Troia, IV, 856.

Eliano (Lucio), o Lolliano, usurpator dell'imperio nelle Gallie, I, 926.

Eliano (Lucio), usurpator dell'imperio nelle Gallie sotto Diocleziano,
I, 1014.

Elipando, arcivescovo di Toledo, III, 393. Sua eresia, _ivi_.

Elisabetta, succede nel regno d'Inghilterra a Maria sua sorella, VI,
673. Rigettata da papa Paolo IV, 675. Scomunicata da papa Pio V, 745.
Toglie di vita Maria regina di Scozia, 815. Cadice presa dalle sue
armi, 862. Sua morte, 902.

Elisacaro, abbate di Centulae, 574.

Ellac, figlio di Attila, resta ucciso in una battaglia, II, 571.

Elmigiso, fratello di latte d'Alboino, re de' Longobardi. D'accordo
con Rosmonda fa uccidere il fratello, II, 1114, 1115. Sposata Rosmonda,
fuggono insieme a Ravenna: loro fine, 1016.

Elvidio il giovane, fatto morire da Domiziano, I, 358.

Emiliano (Elio Lamia), privato della moglie e della vita da Domiziano,
I, 355.

Emiliano, proconsole dell'Asia. È sconfitto da Severo, I, 656.

Emiliano (Marco Giulio), proclamato imperadore, abbatte Gallo e
Volusiano, I, 876. Ucciso dai suoi soldati, 877.

Emiliano, diverso dall'altro, usurpa l'imperio, I, 97

Emma, figlia di Lottario II re d'Italia, moglie di Lottario re di
Francia, III, 1113, 1178. Accusata dal figliuolo Lodovico di pratica
scandalosa con Adalberone vescovo di Laon, 1258.

Emmanuel Filiberto, duca di Savoia, succede al padre, VI, 631. General
supremo delle armi cesaree, 632. Governatore de' Paesi Bassi, 646.
Dà una grande sconfitta ai Franzesi a San Quintino, 664. Prende in
moglie una sorella del re di Francia, e ricupera la Savoia, 679. Grave
pericolo da lui corso, 690. Ricupera Torino ed altri luoghi, 698.
Manda aiuto a Cesare contro il Turco, 722. Accoglie Arrigo III, re di
Francia, 765. Ricupera Pinerolo, _ivi_. Cessa di vivere, 783.

Emmingo, re di Danimarca, III, 478. Sua morte, 481.

Empirico (Sesto), scrittore a' tempi di Marco Aurelio, I, 591.

Enea Silvio, vescovo di Crema, che fu poi papa Pio II, V, 1224. Sua
eloquenza e destrezza nei maneggi, 1242. Creato cardinale, 1244. Creato
papa, 1252. _V._ Pio II.

Ennodio, vescovo di Pavia, II, 698. Suo panegirico in onore del re
Teoderico, 760. Spedito per legato in Levante da papa Ormisda, 791,
796. Fine de' suoi giorni, 807.

Enobarbo (Gneo Domizio), padre di Nerone imperadore, prende in moglie
Agrippina figlia di Germanico, I, 80. Creato console, 93.

Enotico: editto di Zenone Augusto, II, 682.

Enrico o Arrigo duca del Friuli, III, 401, 404, 419.

Enrico o Arrigo, figlio di Riccardo d'Inghilterra re de' Romani,
assassinato in chiesa da Guido di Monforte, V, 91.

Enrico o Arrigo VIII, re d'Inghilterra, entra in lega contro Francesco
I re di Francia, VI, 344. Suo abboccamento con Carlo V, 357. Fa lega
colla Francia, 420. È scomunicato da Clemente VIII, a cagione del
suo divorzio con Caterina d'Austria, 500. Sua lega con Carlo V, 558.
Prende Bologna di Picardia, 570. Fa pace col re di Francia, 576. Muore
lasciando il suo nome in obbrobrio alla posterità, 582.

Enriquez (Enrico), nunzio apostolico a Madrid, assicura la libertà alla
repubblica di San Marino, VII, 459.

Enzo, figlio di Federigo II, prende in moglie Adelaide di Sardegna,
IV, 1147. È creato re di Sardegna, _ivi_. Scomunicato da papa Gregorio
IX. 1159. Sua vittoria sulla flotta genovese, 1167. Varie sue imprese,
1175, 1180, 1181, 1190. Assedia Parma, 1200. Sconfitto e preso dai
Bolognesi, 1212. Sua morte, V, 97.

Epafrodito, potente liberto di Nerone, I, 236. Aiuta questo tiranno a
darsi la morte, 255. Condannato a morte da Domiziano, 363.

Epagato, autore della morte di Ulpiano giureconsulto, ucciso, I, 790.

Epidemia bovina in Italia, VII, 244

Epidemia bovina in Lombardia, VII, 568, 569, 648, 675.

Epifanio (Santo), vescovo di Pavia. Sua ambasceria ad Antemio
Augusto, II, 640. Altra a Teoderico re de' Goti, 702. Che lo lascia
custode della madre e delle sorelle, 704. Spedito a Gundobaldo re de'
Borgognoni, 719. Sua morte, 725.

Epifanio, prefetto di Roma, II, 377.

Epifanio patriarca di Costantinopoli, II, 805. Creato vicario della
Sede apostolica, 807. Lettera a lui scritta da Giustiniano imperadore,
852. Muore, 859.

Epitetto, insigne filosofo, cacciato da Roma, I, 363. Suoi utili
insegnamenti, 370. Amato da Adriano Augusto, 458, 484.

Equizio, generale di Valentiniano I Augusto, II, 148. Da lui mandato in
Levante contro il ribelle Procopio, 151. Assedia vanamente Filippopoli,
161. Creato console, 187. Sua morte, 212.

Era cristiana volgare: anno in cui principiò, I, 6.

Eraclammone, ricco cittadino di Tiana, tradisce la sua patria, I, 960.

Eracleona, imperadore eletto e deposto, II, 1226, 1227.

Eracleone (Flavio), generale d'Alessandro imperadore, ucciso dai
soldati, I, 791.

Eracliano, prefetto del pretorio sotto Gallieno, I, 931. Sua congiura
contra di lui, 933. Suo progetto di crear Claudio imperadore, 937.

Eracliano, conte governatore dell'Africa, II, 385. Fedele ad Onorio
Augusto, 399. Creato console: suoi vizii, 419. Ribellatosi, è sconfitto
ed ucciso, 421.

Eraclio Edesseno, generale di Leone Augusto, spedito contro Genserico,
II, 635.

Eraclio, governatore dell'Africa, si solleva contro Foca, II, 1140.
Spedisce il figlio Eraclio contra di lui, _ivi_. Sua armata navale
sotto Costantinopoli, 1141.

Eraclio, figlio dell'antecedente, dopo aver ucciso Foca, è proclamato
imperadore, II, 1141, 1142. Sue seconde nozze, 1155. Più provincie
a lui occupate dai Persiani, 1160. Suoi ambasciatori fatti morire
da Cosroe re di Persia, 1161. Vuol fuggire in Africa, 1162. Esce di
Costantinopoli per recarsi ad Eraclea, onde abboccarsi con Cacano re
degli Unni, 1165. Da cui gli è macchinato un tradimento, _ivi_. Fa
pace con lui, 1166, 1167. Suo preparamento contra i Persiani, 1168.
Felicemente comincia la campagna, 1171. Dà il guasto alla Persia, 1172.
Mette in rotta più corpi di Persiani, 1174, 1175. Felice continuazione
di essa guerra, 1181. Accoglie Ziebelo capo dei Turchi, 1185, 1186.
Ricupera molte provincie, 1188. Dà una rotta all'esercito persiano,
1190. Dà alle fiamme i palazzi di Cosroe, 1193. Glorioso fine di quella
guerra colla morte di Cosroe, 1195. Ricupera la vera croce del Signore,
1196. E la riporta a Gerusalemme, 1197. Sua liberalità verso la chiesa
di Grado, 1201. Abbraccia l'eresia dei monoteliti, 1202. Guerra a lui
mossa da' Saraceni, 1206. Che gli occupano Damasco e l'Egitto, 1212. È
accusato dal Baronio, 1214, 1215. Dà fine al suo vivere, 1225.

Eraclio (Flavio Costantino), figlio di Eraclio imperadore. Sua nascita,
I, 1148. È dichiarato Augusto, 1152. Nascita di Costante suo figlio,
1199. Succede al padre, e poco dopo muore, 1226.

Eraclio, fratello d'Absimaro, impiccato, III, 121.

Erarico, creato re dai Goti, ed ucciso, II, 891, 892.

Eras, filosofo cinico. Gli è tagliato il capo, I, 313.

Ercolano (Santo), vescovo di Perugia, ucciso, II, 920.

Ercole Estense, abbraccia il partito dell'Angioino, V, 1260. Va contro
i Fiorentini, VI, 24. Dove rimane ferito in un piede, per cui rimane
zoppo, _ivi_. Succede a Borso nel ducato di Ferrara, 39. Suo matrimonio
con Leonora figlia del re Ferdinando, 45. Tentativo di Niccolò Estense,
suo nipote, per torgli Ferrara, 52. Generale de' Fiorentini, 64. Guerra
a lui mossa dai Veneziani, 77, 79. Lega di tutti i potentati italiani
per far desistere i Veneziani dalla guerra, 82. Sua pace svantaggiosa
con essi, 86. Matrimonio de' suoi figliuoli 107, 109. Suo laudo per le
controversie di Pisa, 152. Sua morte e figliolanza, 217.

Ercole Bentivoglio, generale dell'armi fiorentine, VI, 216.

Ercole II d'Este, principe di Ferrara, sue nozze con Renea, figlia di
Lodovico XII re di Francia, VI, 464. Succede ad Alfonso suo padre nel
ducato, 508. Accoglie papa Paolo III in Ferrara, 559, 560. Arrigo II di
Francia tenta indurlo nella lega col papa Paolo IV, 648. Finalmente,
vinto dalle istanze, vi aderisce, 655. Si accorda col re Cattolico,
670. Fine de' suoi giorni, 684.

Ercole Rinaldo d'Este, principe ereditario di Modena, prende in moglie
Maria Teresa Cibò duchessa di Massa e Carrara, VII, 403.

Erennio (Quinto Etrusco Messio Decio), figlio di Decio Augusto, creato
Cesare, I, 864. Milita contro i Goti, 868. Ucciso in una battaglia,
_ivi_.

Eribaldo, conte del sacro palazzo, III, 758.

Eriberto, arcivescovo di Ravenna, IV, 122. Sua lite di precedenza con
quel di Milano, 158. Sua morte, 167.

Eriberto (Santo), arcivescovo di Colonia, IV, 73. Tempo della sua
morte, 127.

Eriberto, arcivescovo di Milano, IV, 134. Promuove Corrado il Salico
al regno d'Italia, 149. Gli dà la corona di esso regno, 152. Sua lite
di precedenza coll'arcivescovo di Ravenna, 158. Fa guerra a Lodi,
160. Scuopre e castiga gli eretici manichei, 163, 164. Colle armi va
ad assistere Corrado Augusto in Borgogna, 179, 180. Sua superbia,
per cui insorsero guerre civili, 184, 186. Imprigionato da Corrado
Augusto, 190. Si salva colla fuga, 191. Assediato in Milano, 192.
Invita in Italia Odone conte di Sciampagna, 193, 194 Scomunicato da
papa Benedetto IX, 197. Inventa il carroccio, 205. Riacquista la grazia
di Arrigo III, 207. Per le discordie si ritira fuor di Milano, 212.
Interviene al placito tenuto in Pavia da Adalgerio cancelliere e messo
del re Arrigo, 215. In disgrazia del suddetto re Arrigo, 219. Fine del
suo vivere, 224. Suo epitaffio, _ivi_.

Eriberto, vescovo di Modena, IV, 369.

Eriberto, vescovo di Reggio, IV, 452.

Erimanno, duca di Alemagna, IV, 59. Creato marchese di Susa, 189. Sua
morte, 198.

Erioldo, re di Danimarca, III, 481. Cacciato dal regno, ricorre a
Lodovico Pio, 495. Il quale per lui porta la guerra a' Danesi, 499,
511. Abbraccia la fede di Cristo, 553, 554. Apostata, e persecutor de'
cristiani, 622.

Erizzo (Francesco), doge di Venezia, VI, 1048.

Erlembaldo Cotta, nobile milanese, si oppone alla incontinenza del
clero, IV, 325, 330, 331. Fa eleggere ad arcivescovo di Milano Attone,
od Azzo, 351. Ucciso da' suoi avversarli, 366.

Ermanno, duca di Suevia, III, 1083.

Ermanno di Lucemburgo, creato re di Germania, IV, 403. Fa fuggire il re
Arrigo, 433. Fine dei suoi giorni, 437.

Ermanno, arcivescovo di Colonia, IV, 191, 252.

Ermanno, vescovo di Bamberga, IV, 345.

Ermelinda, moglie di Cuniberto re de' Longobardi, III, 77, 107.

Ermenberga, figliuola di Vitterico re de' Visigoti in Ispagna, sposa
Teoderico re della Borgogna, II, 1136, 1137. Da lui ripudiata e
rimandata in Ispagna, 1137.

Ermenegildo, figlio di Leovigildo re de' Visigoti in Ispagna, muore
martire, II, 1056.

Ermenfredo, re della Turingia. Sue nozze con Amalaberga, nipote di
Teoderico re d'Italia, II, 737. Perde regno e vita, 842.

Ermengarda, moglie di Lodovico Pio Augusto, III, 403. Coronata
imperadrice in Roma da papa Stefano IV, 503. Nemica di Bernardo re
d'Italia, 514, 516. Sua morte, 520.

Ermengarda, figlia di Lodovico II Augusto, III, 768. Monistero di San
Sisto a lei lasciato da Angilberga sua madre, 780. È rapita da Bosone
duca, 783. Sue solenni nozze con lui, 790. Viene in Italia col marito,
799. Sua ambizione, per cui è proclamata regina, 809. Assediata in
Vienna del Delfinato, 814. Posta in libertà, 827. Resta vedova, 856. Va
in Germania, 879. Fa riconoscere e incoronare re di Provenza Lodovico
suo figliuolo, 882. Si fa monaca in San Sisto di Piacenza, 955, 956.

Ermengarda, moglie di Lottario Augusto, III, 611. Sua morte, 662.

Ermengarda, figlia di Adalberto II duca di Toscana, e moglie
d'Adalberto marchese d'Ivrea, III, 999, 1023. Sua disonestà ed imbrogli
per abbattere Rodolfo re d'Italia, 1025, 1026.

Ermerico, re degli Svevi in Ispagna, II, 413. Suoi progressi nella
Gallizia, 475, 480. Fa pace, 486. Dichiara re suo figlio Rechila, 500.
Sua morte, 512.

Ermigario, Svevo, disfatto da Genserico re de' Vandali, II, 472. Muore,
_ivi_.

Ermingardo, conte di Ampuria, dà una rotta ai Mori di Spagna, III, 486.

Ermingerio, vescovo di Ceneda, IV, 134

Ermogene da Tarso, storico, fatto morire da Domiziano, I, 360.

Ermogene (Aurelio), prefetto di Roma, I, 1093.

Ermogene, generale di Costanzo Augusto, ucciso dalla plebe cattolica di
Costantinopoli, II, 13.

Ermogene, console e prefetto di Roma, II, 25, 26.

Ermolao Barbaro, insigne letterato. Sua morte, VI, 125.

Ermoldo Nigello, autore di un poema, III, 491. Abbate di Aniana, 547.
Va con Lodovico Pio a domare i popoli della Bretagna minore, _ivi_.
Assiste al battesimo di Erioldo re di Danimarca, 554.

Ernesto duca d'Alemagna, IV, 151, 159.

Eroe, re degli Alemanni, ausiliario de' Romani, I, 1074.

Erode il Grande, re della Giudea. Sua morte, I, 22.

Erode, re di Calcide, I, 311.

Erode (Attico), console, I, 496. Maestro de' figli adottivi d'Antonino
Pio, 496, 516. Sue opere perdute, 524. Suo ingiusto sdegno contra di
Marco Aurelio, 561.

Erode, o Erodiano, figlio di Odenato, creato Augusto, I, 929, 958.

Erodiano, storico sotto i Gordiani, I, 850.

Eruli, popoli della Germania, II, 660, 763, 928, 948.

Esarcato di Ravenna donato alla Chiesa romana dal re Pippino, III,
260. Che cosa contenesse tal donazione, 268. Una volta sotto il dominio
degli Augusti, IV, 120, 153, 181.

Esca, figliuola d'Attila, presa in moglie dallo stesso genitore, II,
539.

Esilarato, duca di Napoli, III, 160.

Esquilo, arcivescovo di Lunden in Isvezia, IV, 739.

Etelvolfo, re de' Sassoni occidentali in Inghilterra, III, 669. Viene a
Roma, 682.

Etruscilla (Erennia), Augusta, moglie di Decio imperadore, I, 864.

Eucherio, zio di Teodosio I Augusto, II, 320, 324.

Eucherio, figlio di Stilicone, II, 382, 386. Ucciso, 389.

Eude, duca d'Aquitania, III, 163. Sue vittorie de' Saraceni di Spagna,
165, 172. Sue guerre con Carlo Martello, 194, 195. Fa pace con lui,
197. Col suo aiuto sconfigge i Saraceni, 198. Sua morte, 203.

Eudo, vescovo di Camerino, III, 1095.

Eudocia, ossia Atenaide, sposata da Teodosio II Augusto, II, 443,
444. Gli partorisce Eudossia, 450. Dichiarata Augusta, 455. Suo poema
in onore dell'Augusto consorte, 469. Suo viaggio in Gerusalemme,
499. Compone i Centoni di Omero, 501. Sua discordia col marito, 520.
Abbatte Pulcheria Augusta sua cognata, 529, 530. Accidente per cui
fa divorzio col marito, e si ritira a Gerusalemme, 531, 532. Abiura
l'eutichianismo, 586. Sua morte, e suo encomio, 606.

Eudocia, figlia di Valentiniano III Augusto, moglie di Palladio Cesare,
e poscia di Unnerico figlio del re de' Vandali, II, 578, 599, 611. Sen
fugge, e, ritiratasi a Gerusalemme, quivi termina i suoi giorni, 646.

Eudocia, moglie di Eraclio imperadore, II, 1142. Sua morte, 1148.

Eudocia, figlia d'Eraclio imperadore, dichiarata Augusta, II, 1148.
Maritata con Ziebelo capo dei Turchi, 1186.

Eudossia, moglie di Arcadio Augusto, II, 324. Vilipesa dall'eunuco
Eutropio, 345, 346. Suoi vizii, 351. Fa esiliare san Giovanni
Grisostomo, 367. Sua morte, 370.

Eudossia (Licinia), figlia di Teodosio II Augusto, II, 450, 481.
Maritata con Valentiniano III Augusto, 496, 497. Poscia con Petronio
Massimo, contra cui chiama il re vandalo a Roma, 577, 578. Da esso re
condotta prigioniera in Africa colle figlie, 580. Rimessa in libertà,
598, 599, 612.

Eudossio, vescovo di Costantinopoli, capo degli ariani, II, 168.

Eufemia (Elia Marcia), moglie di Giustino Augusto, II, 799. Sua morte,
812.

Eufemia, figlia di Marciano imperadore, e moglie di Antemio Augusto,
II, 623.

Eufemio, vescovo cattolico di Costantinopoli, II, 699. Dietro una
promessa da lui avuta di seguitare il concilio calcedonese, corona
l'imperador Anastasio, 706. Mal animo di esso imperadore verso di lui,
720. Deposto ed esiliato dallo stesso Augusto, 723, 724.

Eufrasio, patriarca d'Antiochia, II, 825.

Eugenio, usurpa l'imperio nelle Gallie, II, 302. Gli si sottomette
anche l'Italia, 305. Occupa le Alpi Giulie, 308. Sua prima battaglia
con Teodosio Augusto, 310, 311. Sconfitto ed ucciso nella seconda, 314.

Eugenio, eletto vescovo di Cartagine dopo ventiquattro anni di sede
vacante, II, 678.

Eugenio I papa eletto, II, 1260. Rigetta la Sinodica di Pietro
patriarca di Costantinopoli, 1262, 1263. Suo passaggio all'altra vita,
1264.

Eugenio II papa. Sua elezione, III, 541. Concilio da lui celebrato,
552. Fine de' suoi giorni, 558.

Eugenio III papa. Sua elezione, IV, 680. Sforza i Romani
all'ubbidienza, 681. Si ritira in Toscana, 682. Va in Francia, 683.
Concilio da lui tenuto a Rems, 691. Torna in Italia, _ivi_. Sua
concordia coi Romani, 698, 705. È chiamato da Dio a miglior vita, 710.

Eugenio IV papa. Sua elezione, V, 1085. Processa i Colonnesi, che gli
fan guerra, _ivi_. Dà la corona imperiale a Sigismondo, 1102. Gli è
tolta la marca d'Ancona da Francesco Sforza, 1103. Fugge a Firenze,
1107. Va a Bologna, 1118. Scioglie il concilio di Basilea, e ne intima
uno in Ferrara, 1122. Principio di questo concilio, 1126. Lo trasporta
a Firenze, 1134. Creato contro di lui un antipapa, 1135. Toglie dal
mondo il patriarca Vitellesco, 1143. Sua bolla contro Francesco Sforza,
1159. Torna a Roma, 1161, 1162. Sua lega col re Alfonso, 1161. Ricupera
la Marca, 1170. Giunge al fine di sua vita, 1184.

Eugenio Francesco, principe di Savoia, generalissimo di Leopoldo
imperadore, VII, 130. Sua insigne vittoria contro i Turchi, 131. Cala
in Italia con un'armata contro i Gallispani, 156, 157. Sua vittoria
contra d'essi a Chiari, 159. Sorpresa da lui fatta alla città di
Cremona, 166. Sua battaglia co' Gallispani a Luzzara, 170. Sua vittoria
contro i Gallo-Bavari ad Hogstedt, 187. Sua battaglia co' Franzesi a
Cassano indecisa, 192. Sua calata in Italia, 196. Passa felicemente
l'Adige, 197. Suoi progressi alla volta di Torino, 198. Giugne ad
unirsi col duca di Savoia, 199. Sua gran vittoria colla liberazione
di Torino, 200, 201. Ricupera quasi tutto lo Stato di Milano, di cui
è fatto governatore, 203, 204. Sua irruzione nella Provenza. 211.
Sua vittoria dei Franzesi presso Odenard, 224. Espugna la città di
Lilla, _ivi_. Sua battaglia poco felice a Malpacquet, 231, 232. Troppo
infievolito per la ritirata degl'Inglesi, 248. Sua vittoria contro i
Turchi a Petervaradino, 270. Prende la città di Temiswar, 272. Altra
sua vittoria contro i Turchi colla presa di Belgrado, 276, 277. Comanda
un'armata contra i Franzesi in Germania, 405. Giugne al fine de' suoi
giorni, 419.

Eugipio abbate, scrittore, II, 1042.

Eulalio, eletto papa, in concorrenza di Bonifazio I, II, 437, 438.
Scisma insorto nella Chiesa per tale elezione, 439. Contro l'accordo
coll'imperatore va a Roma, 440. Cacciato da Roma e confinato a Capoa,
_ivi_. Per misericordia creato vescovo di Nepi, _ivi_. Sua morte,
_ivi_.

Eumene, insigne oratore, I, 1220.

Eunapio, storico, I, 1196; II, 135, 136.

Euprassio, prefetto di Roma, I, 187, 194.

Eurico, o Evarico o Eutorico, re de' Visigoti, dopo aver ucciso il
fratello, muove guerra ai Romani, I, 625. Assedia la città d'Auvergne,
652, 653. Perseguita i cattolici, 654. Occupa Arles e Marsilia, 670.

Eusebia, moglie di Costanzo Augusto, II, 57. Protettrice di Flavio
Giuliano, 66, 70. Sua andata a Roma, 74. Fine di sua vita, 108.

Eusebio, romano pontefice, I, 1097.

Eusebio, vescovo di Nicomedia, gran protettore dell'eretico Ario, I,
1169, 1170. Esiliato per questo, 1173. Torna in grazia di Costantino,
1185. È visitato da Gallo Cesare, II, 44.

Eusebio, vescovo di Cesarea. Panegirico di Costantino da lui recitato,
I, 1206. Sua morte, II, 178. Fama incerta di sua credenza, _ivi_.

Eusebio (Santo), arcivescovo di Milano, II, 548. Tiene un concilio
provinciale contro l'eresia da Eutichete, _ivi_.

Eustazio, filosofo, discepolo di Jamblico, II, 85.

Eustrasio, vescovo d'Albano, III, 289.

Eutarico Cillica prende in moglie Amalasunta figlia del re Teoderico,
II, 790, 791. Creato console, 801. Magnifici spettacoli per questa sua
dignità, _ivi_. Premuore ad esso re Teoderico, 823.

Eutiche, ossia Eutichete: sua eresia, II, 517. Condannato da san
Flaviano, 533. E nel concilio calcedonese, 548.

Eutichiani, condannati da papa Simplicio, II, 671.

Eutichiano Comazonte, uomo vile, promuove Elagabalo all'imperio, I,
750. Creato prefetto del pretorio, e poi console, 759.

Eutichiano, romano pontefice, I, 973. Muore, 1005.

Eutichiano (Flavio), prefetto del pretorio d'Oriente, e console, II,
335.

Eutichio, patriarca di Costantinopoli, II, 976. Esiliato, 980.
Richiamato, 988, 989. Sua morte, 1044.

Eutichio, patrizio eunuco, creato di nuovo esarca di Ravenna, tenta
di far uccidere Gregorio II, per cui Liutprando gli muove guerra,
III, 183. Fa lega con questo principe, 189. Col suo mezzo è rimesso in
grazia del pontefice, 191. Sollevazione suscitatasi contro di lui e dei
Greci in Ravenna, 201. Ricorre a papa Zacheria per aiuto, 231. Fugge da
Ravenna, 248.

Eutorico, re de' Visigoti, _V._ Eurico.

Eutropia, sorella di Costantino, I, 1207.

Eutropio, storico, vivente sotto Giuliano Augusto, II, 136.

Eutropio, eunuco, divien potente nella corte di Arcadio Augusto, II,
324. Abbatte Rufino, 326. Obbliga Stilicone a ritirarsi in Italia,
330. Legge da lui procurata per togliere la immunità delle chiese,
335, 336. Promuove il Grisostomo allo arcivescovato di Costantinopoli,
341. Odiato da Gaina generale, 344. Strapazzo da lui fatto ad Eudossia
Augusta, 346. È abbattuto, _ivi_. E poscia relegato a Cipri, 347.

Evarico, re de' Visigoti, _V._ Eurico.

Evaristo, romano pontefice, I, 372. Suo glorioso martirio, 408.

Everardo, vescovo di Piacenza, III, 933.

Everardo, vescovo di Como, IV, 75.

Everardo, vescovo di Bamberga, IV, 824.

Evino, duca di Trento, II, 1020. Strage da lui fatta de' Franchi che
sotto la condotta di Crannichi aveano devastato il Trentino, 1028,
1029. Generale del re Autari contro dell'Istria, 1066. Ambasciatore
nelle Gallie pel re Agilolfo, 1084.

Evodo, balio di Caracalla, fatto morire dal medesimo, I, 714.


F

Fabano re de' Rugi, _V._ Fava.

Fabiano (Valerio), senatore, falsario, I, 220.

Fabiano, romano pontefice, I, 815. Suo martirio, 865, 866.

Fabio Sabino, detto il Catone de' suoi tempi, I, 771.

Facino Cane, usurpa la signoria d'Alessandria, V, 922. Muove guerra
ad Ottobuono dei Terzi, 942. S'impadronisce di Piacenza, _ivi_, 943.
Sue battaglie con Ottobuono, 950. Fa guerra al duca di Milano, 957,
958. Viene a battaglia con Pandolfo Malatesta, 965. Fa perder Genova a
Bucicaldo, 966. Sua pace coi Milanesi, 973. Saccheggia Pavia, _ivi_. Ne
divien padrone, 978. Termina i suoi giorni, 981.

Fadilla (Arria), madre di Antonino Pio, I, 485.

Fadilla, sorella di Commodo Augusto, I, 592.

Fado (Cuspio), governatore della Giudea, I, 161.

Faentini, lor vittoria dei Ravennati, IV, 1138. Lor città presa da
Federigo II Augusto, 1165. Lor guerra civile, V, 241.

Faenza, saccheggiata da Giovanni Aucud, V, 749, 750. Occupata da
Astorre de' Manfredi, 756.

Falcone (Quinto Sosio), console, I, 635. Nemico di Pertinace, _ivi_.
Tratta co' pretoriani per ottenere il trono cesareo, 638. Gli è salvata
la vita da Pertinace, 639.

Famagosta in Cipri: inumanità de' Turchi nella presa di essa, VI, 748,
749.

Faramondo, creduto primo re de' Franchi, II, 438.

Farasmane, re dell'Iberia, I, 460. Va a Roma a trovare Antonino Pio,
522.

Fardolfo, abbate di San Dionisio, III, 388.

Farfa: origine di quel monistero, III, 66.

Farnese (Pier-Luigi), figlio di papa Paolo III, VI, 506, 508.
Dichiarato duca di Castro, 527. È data in moglie Margherita figlia di
Carlo V ad Ottavio suo figlio, 536. Generale dell'esercito pontifizio,
548, 568. Sdegno di Carlo V imperadore contra di lui, 573, 587.
Dichiarato duca di Parma e Piacenza, 574. Creduto complice della
congiura di Gian-Luigi de' Fieschi, 580, 582. Suoi enormi vizii, 588.
Suo rigoroso reggimento, _ivi_, 589. Congiura contra di lui, per la
quale resta ucciso, 589, 590. Suoi figli, 591.

Farnese (Ottavio), figlio di Pier-Luigi, prende per moglie Margherita
d'Austria, VI, 536. Dichiarato duca di Camerino, 539. Generale delle
armi pontificie in Germania, 577. Acclamato duca di Parma 591. Sue
avventure dopo la morte del padre, _ivi_, 594, 598. Creato gonfaloniere
della Chiesa, 603. Ricupera Parma, _ivi_. Fa lega con Arrigo II re di
Francia, 607. Ricupera Piacenza, 652. Muove guerra ad Ercole II duca di
Ferrara, 667, 669. Ricupera la cittadella di Piacenza, 806. Fine di sua
vita, 811.

Farnese (Alessandro), cardinale; sue belle doti, VI, 509, 510, 591.
Legato in Francia, 543, 577.

Farnese (Orazio), figlio di Pier-Luigi, VI, 567. Duca di Castro e
destinato genero di Arrigo II, re di Francia, 591. Gli è confermata la
prefettura di Roma da Giulio III, 603. Congiunge in lega il suddetto re
di Francia con suo fratello Ottavio, 607. Trovasi alla difesa di Metz,
626, 627. Poi di Edino, 632. Sua morte, _ivi_.

Farnese (Alessandro), figlio di Ottavio duca di Parma: suo matrimonio
con donna Maria di Portogallo, VI, 717. Mandato in Fiandra, 775,
776. Sua vittoria sui Fiamminghi, 776. Dichiarato governatore de'
Paesi Bassi, 777, 785. Altre sue imprese, 782, 789, 792, 795. Assedia
Anversa, 798. E la prende, 807. Succede al padre nel ducato, 811.
S'impadronisce di Deventer, 815. Allestisce un poderoso esercito, 819.
Libera Parigi dall'assedio, 833. E Roano, 839, 842. Sua morte, 843.

Faroaldo I, duca di Spoleti, s'impadronisce di Classe, II, 1039.

Faroaldo II, duca di Spoleti, III, 67, 117, 121. Occupa Classe, e la
restituisce, 155. Deposto da Trasmondo suo figlio, 171.

Fastrada, moglie di Carlo Magno, III, 351. Sua crudeltà, 359.

Fausta (Flavia Massimiana), figlia di Massimiano Augusto, maritata con
Costantino il Grande, I, 1083, 1091. Rivela al marito il tradimento del
padre, 1093. Per le sue trame è tolto di vita Crispo Cesare, 1177. Sua
morte, 1178.

Faustina (Anna Galeria), moglie d'Antonino Pio, dichiarata Augusta, I,
488. Termina i suoi giorni, 492. Deificata, benchè non priva di vizii,
493.

Faustina (Annia), juniore, figlia di Antonino Pio, I, 488. Maritata a
Marco Aurelio, che fu poi imperadore, _ivi_. Partorisce Lucilla, 504.
E Commodo, che fu imperadore, 527. Appellata madre degli eserciti, 563.
Sua morte ed infamia, 575.

Faustina (Annia), moglie di Elagabalo, I, 760.

Faustina (Massima), moglie di Costanzo Augusto, II, 108, 154.

Faustino (Appio Pompeo), prefetto di Roma, I, 1049.

Fausto (Cornelio Silla), fratello di Messalina, prende in moglie
Antonia, figlia di Claudio Augusto, I, 168. Esiliato e poi tolto di
vita, 207.

Fausto (Anicio), prefetto di Roma, I, 1047.

Fausto, prefetto di Roma, II, 457.

Fausto, monaco, discepolo di san Benedetto, mandato nelle Gallie con
san Mauro, ritorna a Roma, II, 1138.

Fava o Fabano, re dei Rugi, è sconfitto da Odoacre, II, 692. Condotto
prigioniero in Italia con la moglie Gisa, 694.

Favorino, oratore insigne sotto Adriano Augusto, I, 458, 484.

Fazioni veneta e prasina in Costantinopoli, II, 847, 973.

Federico, uccide suo fratello Torismondo re dei Visigoti, II, 571.
Muore in battaglia, 614.

Federigo, re dei Rugi, implora il patrocinio di Teoderico Amalo re dei
Goti contra del re Odoacre, II, 694, 697. Poscia si volge contra di
Teoderico, 714, 715. Nata discordia fra lui e i suoi alleati, resta
disfatto ed ucciso da essi, 715.

Federigo, cardinal legato della santa Sede, IV, 45. Arcivescovo di
Ravenna, 48, 61.

Federigo, fratello di Gotifredo duca di Lorena, poi papa Stefano X,
IV, 259. Inviato a Costantinopoli, 266. Si fa monaco, 273. Creato
cardinale, 281. Eletto papa, _ivi_. _V._ Stefano X.

Federigo, arcivescovo di Colonia, IV, 521.

Federigo, duca di Suevia, prende in moglie Giuditta di Baviera, IV,
594, 595. Fa guerra al re Lottario, 595. Ottiene perdono e pace da lui,
634. Dà fine al suo vivere, 689.

Federigo, duca di Suevia, figlio di Corrado, IV, 744, 771. Sua morte,
811.

Federigo I, poscia imperadore, succede al padre nel ducato di Suevia,
e va in Terra santa, IV, 689. È eletto re di Germania, 707. Sua
coronazione e suoi ambasciatori a papa Eugenio, 709. Suo amore alla
giustizia, 712. Irritato contro i Milanesi, _ivi_. Decide la lite
della Baviera in favore di Arrigo duca di Sassonia, 713. Cala in
Italia, 718. Sua dieta in Roncaglia, 720. Comincia le ostilità contra
di Milano, 721. Marcia verso Vercelli e Torino, 724. Prende e brucia
Asti e Tortona, _ivi_. Non fu coronato in Milano, 726. Suo abboccamento
con papa Adriano, 727. Da cui riceve la corona imperiale, e fa guerra
ai Romani, 728, 729. Mette a sacco Spoleti, e torna in Germania, 729.
Sue liti con Manuello imperador de' Greci, 731. E con papa Adriano,
738. Si porta a Besanzone per farsi conoscere padrone del regno
della Borgogna, 789. Si prepara per calar nuovamente con un'armata
in Italia, 742. Fa la pace con papa Adriano, 743. Calato in Italia,
costringe i Bresciani a capitolare, 744. Mette al bando dell'imperio i
Milanesi, 745. Assedia e prende Trezzo, 746. Va ad assediare Milano,
747. Condizioni colle quali accorda la pace ai Milanesi, 748, 749.
Tiene una gran dieta in Roncaglia, 750. Insorgono principii di nuova
discordia fra lui e il papa, 753. Ha mano segretamente nella elezione
dell'antipapa, 756. Nuova rottura fra lui e i Milanesi, 758. Imprende
l'assedio di Crema, 760. La costringe alta resa, 762. Rende tutti gli
onori all'antipapa, 765. Viene scomunicato da papa Alessandro, _ivi_.
Assedia Milano, 771. Crudeli patti coi quali si rende quel popolo,
774. Comanda la distruzione di quella città, 776. Sottomette varie
altre città, 778. Suoi raggiri contro papa Alessandro, 781. Torna in
Germania, _ivi_. Poscia in Italia, 785. Le città della marca di Verona
fanno lega contra di lui, 788. Corona Barasone in re di Sardegna, 790.
Torna in Germania, 793. Quindi in Lombardia, 798. S'invia coll'esercito
a Roma, 801. Assedia indarno Ancona, _ivi_. Mette l'assedio a Roma,
807. Suo esercito disfatto da un'epidemia, 812. Torna a far guerra a
Milano, _ivi_. Fugge in Borgogna, 816. Ingrandisce i suoi figliuoli,
821. Tratta di pace con papa Alessandro, 824. Ambasciatori e regali a
lui inviati dal soldano di Babilonia, 834. Torna in Italia ed assedia
Alessandria, 837. Sua ostinazione e crudeltà in quell'assedio, 843.
Frode usata contra i difensori, 844. Fa tregua colle città lombarde,
845. Resta sconfitto dal loro esercito, 853. Tratta di pace con papa
Alessandro, 854. Sue pretensioni contro le città lombarde, 859. In
Venezia conchiude la pace col pontefice, 861. Occupa Bertinoro non
senza doglianza del papa, 867. Prende la corona del regno di Borgogna,
868. Sua ira contra Arrigo il Leone duca di Baviera e Sassonia, 874,
875. Per cui lo spoglia di quasi tutti i suoi Stati, 876. Pace di
Costanza conchiusa fra lui e le città lombarde, 882. Calato in Italia,
visita molte città, 885. Suo abboccamento in Verona con papa Lucio
III, 888. Concede molte grazie ai Milanesi, 890. Maneggia le nozze di
Costanza di Sicilia con Arrigo suo figlio, 892, 893. Prende la croce
per andare in Levante, 908. Principio della sua spedizione, 911. Si
impadronisce d'Iconio, 916. Miseramente muore, _ivi_.

Federigo, figlio di Federigo I Augusto, creato duca di Suevia, IV, 822,
908. Va col padre in Levante, 911. Ivi lascia la vita, 917.

Federigo II, poscia, imperadore. Sua nascita, IV, 940. Eletto re
de' Romani, 946. Gli è in tal dignità anteposto Filippo suo zio,
960. Investito della Sicilia da papa Innocenzo III, 961, 962. Sue
nozze con Costanza d'Aragona, 1007. Guerra a lui mossa da Ottone IV
Augusto, 1013. Passa in Germania, 1016, 1017. Dove è coronato re, 1017,
1026. Fa proclamare re di Sicilia il figlio Arrigo, 1027. È coronato
imperadore da papa Onorio, III, 1043. Manda aiuti ai cristiani in
Levante, 1047. Sua ingratitudine e prepotenza, 1049. Suo abboccamento
con papa Onorio, 1053. Suoi sponsali con Jolanta figlia di Giovanni re
di Gerusalemme, 1059. Suoi preparamenti per passare in terra santa,
1061. Trasporta i Saraceni di Sicilia a Nocera, 1063. Sue nozze con
Jolanta, 1067. Prende il titolo di re di Gerusalemme, 1069. Rottura fra
lui e papa Onorio, 1071. Tuttavia rimette in esso papa le differenze
sue colle città lombarde, 1074. Alle quali rende la sua grazia, 1076.
Scomunicato da papa Gregorio IX, 1078, 1079. Cerca di far vendetta
contro il papa, 1081. Passa colla sua flotta ad Accon, 1082. Mossa a
lui guerra nel regno di Napoli dal papa, 1084, 1086. Strapazzi da lui
patiti in Levante, 1087. Sua capitolazione col soldano d'Egitto, 1088.
Tornato in Italia, ricupera i suoi Stati, 1090. Fa pace col papa, e
seco si abbocca, 1092, 1093, 1094. Pubblica rigorosi editti contro
gli eretici paterini, 1099. Sua dieta in Ravenna, 1104. Suo tirannico
governo, 1105, 1129, 1130, 1182. Suo ordine severo contro i Genovesi
ritrattato, 1109. Sua buona corrispondenza col sultano e col Vecchio
della Montagna, _ivi_. Riduce all'ubbidienza le città ribellatesegli,
1110, 1111. Si esibisce pronto ai servigi del papa 1117. Contra di lui
si ribella il re Arrigo suo figlio, 1119. Ito in Germania, lo mette in
prigione, 1124. Sue nozze con Isabella d'Inghilterra, _ivi_. Ira sua
contro i Lombardi, 1125, 1131. Calato in Italia, comincia le ostilità
contra di essi, 1133, 1141. Sua vittoria sull'esercito milanese, 1143.
Fa l'assedio di Brescia, ma senza frutto, 1148. È scomunicato da papa
Gregorio, 1154, 1159. Suoi progressi nella Toscana e negli Stati della
Chiesa, 1161. S'impadronisce di Faenza, Cesena e Benevento, 1165.
Sua flotta vince la genovese, 1167. Fa guerra ad essi Genovesi, 1174.
Fermata pace colla corte pontificia, nuovi puntigli insorti il fanno
retrocedere, 1183, 1184. Scomunicato e deposto nel concilio generale di
Lione, 1189. Sua guerra coi Milanesi, 1190. Sua vittoria de' Perugini,
1196. Si mostra voglioso di pace, 1199. Se gli ribella Parma, 1200.
La assedia, e vi fabbrica appresso la città di Vittoria, 1202. Da'
Parmigiani e collegati questa è presa, ed egli fugge a Cremona, 1205,
1206. Dà fine a' suoi giorni, 1220. Sue buone qualità superate da'
vizii, 1221, 1222.

Federigo, fratello di Giacomo re di Aragona, lasciato al governo della
Sicilia, V, 215. Va a Velletri chiamato da papa Bonifazio VIII, 236.
Proclamato re di Sicilia, 242. Processato da papa Bonifazio, 243.
Sconfitto dal re Giacomo suo fratello, 260. Difende il suo regno, e fa
pace con Carlo re di Napoli, 276. Accorre in aiuto di papa Bonifazio,
287. Collegato con Arrigo VII, 354. Assalito in Sicilia dal re Roberto,
virilmente si difende, 378, 379. Beffato da papa Giovanni XXII, 391,
392. Collegato con Matteo Visconte e co' Genovesi fuorusciti, 414. Di
nuovo fa guerra al re Roberto, 423. Collegato con Lodovico il Bavaro,
472. Sua morte, 538.

Federigo, duca d'Austria. Sue guerre con Federigo II Augusto, IV,
1132, 1138. Dal quale è spogliato di quasi tutti i suoi Stati, 1138. Li
ricupera, 1139.

Federigo, duca d'Austria, va col re Corradino all'acquisto del regno di
Sicilia, V, 71. Sconfitto e preso, 75, 76. E decapitato, 77.

Federigo, figlio di Guglielmo marchese di Monferrato, vescovo d'Alba,
IV, 873.

Federigo, fratello di Alfonso re di Castiglia, sconvolge la Sicilia, V,
67. Fugge a Tunisi, 78.

Federigo juniore re di Sicilia, V, 652. Perde Messina, 658. Infelicità
del suo regno, 678. Ricupera Palermo e Messina, 704. Suo accordo colla
regina Giovanna, 734.

Federigo, duca d'Austria, eletto re de' Romani, V, 377 Sua discordia
con Lodovico il Bavaro, 398. Eletto signor di Trivigi e di Padova, 405.
Muove contro i Visconti, 425, 426. Sconfitto e preso dal Bavaro, 433.
Rimesso in libertà, 451. Sua morte, 485.

Federigo, duca di Brunsvich, eletto re de' Romani, V, 898.

Federigo, conte di Montefeltro, V, 281. Capitano della Chiesa romana,
333. Capo dei Ghibellini, 409. Divien signore d'Urbino, 417. È ucciso
da quel popolo, 432.

Federigo de' Maggi, vescovo di Brescia, V, 322, 361, 461.

Federigo III, Austriaco, eletto re de' Romani, V, 1142. Cala in Italia,
1223. Coronato in Roma da papa Niccolò V re della Lombardia, 1225.
Prende in moglie Leonora di Portogallo, _ivi_. Va con essa a Napoli,
_ivi_. Va a Ferrara, ed _ivi_ crea duca di Modena Borso Estense,
_ivi_. Torna a Roma, VI, 27. Fa eleggere re de' Romani Massimiliano suo
figlio, 93. Termina il corso del suo vivere, 114.

Federigo d'Aragona, zio di Ferdinando II re di Napoli, VI, 129. Creato
re di Napoli, 139. Sua apprensione pei progressi delle armi franzesi in
Italia, 157. Burlato da Consalvo Fernandez, perde il regno, 186, 187.
Si ritira in Francia, 189. Termina i suoi giorni, 214.

Federigo, duca d'Austria, protegge papa Giovanni XXIII, V, 992. Dà
ricetto a lui fuggito da Costanza, ma poi è costretto a consegnarlo al
concilio, 995.

Federigo, marchese di Mantova, spedito contro gli Svizzeri, VI, 64.
Succede a Lodovico suo padre, 65. Collegato col duca di Ferrara contro
i Veneziani, 78. Dà fine a' suoi giorni, 85.

Federigo, conte d'Urbino, V, 1167, 1172, 1174, 1176. Va in aiuto de'
Fiorentini, 1188. Fa guerra a Sigismondo Malatesta, 1246. Continua la
guerra con lui, 1258. Sconfitto da Jacopo Piccinino, 1263. Prende Fano
ed altri luoghi al Malatesta, 1277. Generale de' Fiorentini, VI, 23,
33, 44 Creato duca da Sisto IV, 49 Dà in moglie sua figlia Giovanna a
Giovanni della Rovere, 51. Fa guerra a' Fiorentini, 64. Generale della
lega contro i Veneziani, 78. Sua morte, 80, 81.

Federigo Gonzaga, marchese di Mantova, VI, 356, 379, 395, 449, 474.
Creato duca, 478. Prende in moglie Margherita figlia di Guglielmo
marchese di Monferrato, 487, 499. Ottiene il Monferrato, 523. Sua
morte, 548.

Federigo Augusto, _V._ Augusto III.

Federigo III re di Prussia, succede al padre, VII, 464. Muove guerra
a Maria Teresa regina d'Ungheria nella Slesia, 468, 472, 473. Gli è
ceduta essa Slesia, e però fa pace con la regina, 488. Volge di nuovo
l'armi sue contra di lei, 542. Sua vittoria sugli Austriaci. 550 E sui
Sassoni, 551. Fa pace con essi, _ivi_.

Federigo Cristiano, principe ereditario dell'elettor Sassone re di
Polonia. Sua venuta in Italia, e rare sue doti, VII, 442.

Felice (Claudio), governatore della Giudea, I, 189. Ritiene due anni
prigione san Paolo, _ivi_.

Felice I, papa, I, 943. Sua morte, 973.

Felice eletto papa da che Liberio fa mandato in esilio, II, 69.
Scacciato, 86.

Felice, generale di Valentiniano III, II, 465. È innalzato alla dignità
di patrizio, 476. Ucciso con Padusia sua moglie, 479.

Felice III papa. Sua elezione, II, 685. Concilio da lui tenuto contra
Acacio vescovo di Costantinopoli, 689. Passa a miglior vita, 708.

Felice IV papa. Sua elezione, II, 826. Sua morte, 838.

Felice, oratore romano, II, 828.

Felice, vescovo di Trivigi, II, 1000.

Felice, arcivescovo di Ravenna, III, 127. Perde gli occhi, ed è
esiliato, 130, 131, 132. Riacquista la libertà, 138.

Felice V antipapa, eletto dal concilio di Basilea, _V._ Amedeo.

Felice, grammatico a' tempi del re Cuniberto, III, 91.

Felice Cornicola, maestro dei militi in Venezia. Rimette la concordia
in quel popolo, III, 210.

Felice, vescovo d'Urgel. Sua eresia, III, 388, 393. Si ritratta, 412.

Felicita, principessa d'Este, maritata con Luigi di Borbon duca di
Penthievre, VII, 545.

Feltrino da Gonzaga, ito in aiuto di Fregnano dalla Scala, è fatto
prigione, V, 637, 638. Generale d'armata contro i Visconti, 643, 661.
Occupa Reggio, 668. Sconfigge l'esercito di Visconti, 691, 724. Vende
Reggio a Bernabò Visconte, 728.

Ferdinando, figlio d'Alfonso re di Aragona e delle Due Sicilie, duca
di Calabria, V, 1161. Sue nozze con Isabella di Chiaramonte, 1172.
Fa guerra ai Fiorentini, 1226, 1227. Succede al padre nel regno di
Napoli, 1250. Suo accordo con papa Pio II, 1253. Guerra insorta fra lui
e molti baroni del regno, 1255, 1259. Guerra tra lui e Giovanni duca
d'Angiò, 1259. Sconfitto da lui, 1262. Sua vittoria, 1271. Per la morte
di Gian-Antonio Orsino principe di Taranto si assoda sul trono, 1278,
1279. Manca alla fede pubblica con Marino Marzano principe di Rossano,
VI, 13. E con Jacopo Piccinino, 16, 17. E con altri, 20, 21. Sua lega
coi Fiorentini, 23. Ottiene da Sisto IV l'esenzione da' censi, 43.
Va al giubileo di Roma, 50. Sue seconde nozze con Giovanna d'Aragona,
56. Muove guerra ai Fiorentini, 61. Fa pace con essi, 69. I Turchi gli
occupano Otranto, 71, 72. Lo ricupera, 75. Collegato con Ercole duca
di Ferrara contro i Veneziani, 77. Fa pace con papa Sisto, 81. E coi
Veneziani, 86. Gli muovono guerra i baroni con papa Innocenzo VIII,
91, 92. Fa pace con quest'ultimo, 94. Sua mala fede e crudeltà, 95.
Scomunicato da papa Innocenzo, 104. Con cui fa pace, 111. Placa papa
Alessandro VI, 116. Cessa di vivere, 118.

Ferdinando II, principe di Capoa, primogenito di Alfonso duca di
Calabria, va a Roma, VI, 111. Vien colle armi in Romagna, 119. Creato
re di Napoli per la cessione del padre, 127, 128. Abbandonato da tutti,
128. Si ritira ad Ischia, 129. Ricupera Napoli, 135. Suoi progressi
contro i Franzesi, 137. Prende in moglie Giovanna sua zia, 139. È
rapito dalla morte, _ivi_.

Ferdinando il Cattolico, re di Aragona Sicilia, maneggia pace fra il
papa e il re di Napoli, VI, 93. Acquista Granata e il suo regno, 110.
Conchiude la pace fra il papa e il re di Napoli, 111. Sua gelosia
pei progressi di Carlo VIII, 129, 130. Sua lega con Lodovico XII per
l'acquisto del regno di Napoli, 185. Ne conquista la metà, 188. E poi
tutto pel valore di Consalvo, 198, 213. Va in persona a Napoli, 222.
Suo abboccamento in Savona con Lodovico XII re di Francia, 225, 226.
Entra in lega con varii potentati a Cambrai contro i Veneziani, 229. Da
cui si ritira, 269. Si unisce col papa contro i Franzesi, 270. A' quali
fa guerra in Italia e nei Pirenei, 280. Rotta la sua gente a Ravenna,
283. Occupa la Navarra, 294. Sua lega con papa Leone, 318, 322. Fine di
sua vita, 334.

Ferdinando I d'Austria, creato re dei Romani, VI, 483. Fa leghe
contro i Turchi, 533. Rinunziato a lui l'imperio da Carlo V, 650. Fa
dichiarare re de' Romani il figlio Massimiliano, 701. Passa a miglior
vita, 708.

Ferdinando II arciduca, dichiarato re di Boemia VI, 965. La quale gli
si ribella, 970. Eletto imperadore, 971. Ricupera la Boemia, 979. Suo
matrimonio, 987. Sue vittorie, 1012. Niega le investiture al duca di
Mantova, 1018. Manda lo esercito contro Mantova, 1028. Movimento del re
di Svevia, e d'altri contro di lui, 1044. Rende Mantova al duca Carlo
Gonzaga, 1045. Per la guerra mossagli da Gustavo re di Svezia, corre
gran pericolo, 1049, 1058. Per la morte di esso respira, 1060. Riporta
vittoria degli Svezzesi, 1067. Dà fine al suo vivere, 1030.

Ferdinando III re d'Ungheria, VI, 1005. Dichiarato anche re di Boemia,
1013. Obbliga Ratisbona alla resa, 1066, 1067. Eletto re de' Romani,
1080. Succede nell'imperial dignità al padre 1081. Fine di sua vita,
1206.

Ferdinando I granduca di Toscana. Suo tentativo contro Famagosta, VI,
920. Le sue armi prendono Bona in Africa, 925. Fine de' suoi giorni,
927.

Ferdinando II granduca di Toscana, succede al padre, VI, 983. Amore
di lui verso i suoi popoli, 1047. Fa lega coi Veneziani e col duca di
Modena, 1115. Sua guerra coi papalini, 1122. E poi pace, 1124 Fine di
sua vita, 1260.

Ferdinando I Gonzaga, duca di Mantova, VI, 936. Sue differenze col duca
di Savoia, 938. Da cui gli è mossa guerra, 940. Ricupera il suo, 942.
Sue nozze, 966. Finisce il corso di sua vita, 1009, 1010.

Ferdinando Carlo, duca di Mantova, succede al padre, VI, 1241. Sue
nozze, 1261. Dissolutezza nella sua corte, VII, 31, 32. S'impadronisce
di Guastalla, 32. Vende Casale a' Franzesi, 40. Va a Roma, 62. Va a
Vienna, 67. Con numeroso accompagnamento di bravi si reca all'assedio
di Buda, tenuta dai Turchi, _ivi_. Ribellasi contro di lui Castiglione
delle Stiviere, 103. Gli è tolta Guastalla, _ivi_. Ammette nella sua
città presidio Gallispano, 155. Dichiarato ribello del romano imperio,
160. Passa alle seconde nozze, 186. Perde tutti i suoi Stati occupati
dagli Austriaci, 210. Infelicemente muore in Padova, 219.

Ferdinando VI, re di Spagna, succede al re Filippo V suo padre, VII,
593, 595. Richiama dalla Italia le sue truppe, 599, 600. Prende la
protezione de' Genovesi, 654.

Feria (Duca di). _V._ Duca di Feria.

Ferdolfo, duca del Friuli, III, 94. Sua morte, 124.

Fermo, principe Moro, si ribella in Africa a Valentiniano Augusto, II,
184.

Ferrara, città: suo principio, II, 1271. Forse prima fra le città
ad eleggere per suo signore Azzo VI, marchese d'Este, IV, 1000. Che
n'è cacciato da Salinguerra, 1007. Da cui è sottomessa a Federigo II
Augusto, 1140. Assediata dai collegati Guelfi è tolta a Salinguerra,
1162, 1163. Prende per suo signore Obizzo marchese d'Este, V, 46.
Sotto Fresco Estense, 319. Sotto i Veneziani 319. 320. Presa dalle
armi pontificie, e data in vicariato al re Roberto, 525. Saccheggiata
dai fuorusciti, 333. Torna sotto i marchesi Estensi, 396. Assediata
dalle armi pontificie, 510. È liberata colla sconfitta de' nemici, 511.
Suo ducato: pretensioni su di esso di papa Clemente VIII, VI, 868,
869. Sforza il duca Cesare a rilasciargliene il possesso, 869. Se ne
impadronisce colla forza, 871. Ove poi vi fa la sua solenne entrata,
872, 873.

Festo patrizio, tratta l'aggiustamento fra Anastasio Augusto e il re
Teoderico, II, 730. Sostiene Lorenzo antipapa contra Simmaco, 732, 744,
747.

Fiandra, ricuperata dagli Austriaci, VII, 205.

Fidenzio, vescovo della città di Giulio-Carnico, capitale una volta
della Carnia, III, 206.

Fieschi (Gian-Luigi), conte di Lavagna. Sua sedizione per impadronirsi
di Genova, VI, 579, 580. Sua infelice morte, 581.

Fiesole, distrutta da' Fiorentini, IV, 89.

Filelfo (Francesco), letterato insigne, V, 1258, 1266. Sua morte, VI,
77.

Filiberto, duca di Savoia, VI, 44. Termina i suoi giorni, 81.

Filiberto II, duca di Savoia succede a Filippo duca suo padre, VI, 146.
Sua lega col re Lodovico XII, 155. Sua morte, 215.

Filagrio, segretario di Giuliano, II, 102.

Filippico, poscia imperadore, cacciato in esilio, III, 113. Proclamato
imperadore, 136. Fautore degli eretici, fa abolire il concilio VI
generale, 137, 138. Perciò non riconosciuto dai Romani, 139. È deposto
ed acciecato, 145, 146.

Filippino Gonzaga, signor di Reggio. Tradimento da lui usato al
marchese d'Este, V, 574. A cui anche fa guerra, 579. Dà una rotta alla
milizia di Luchino Visconte, 604.

Filippo (Marco Giulio), che fu poi imperadore, creato prefetto del
pretorio, I, 848. Toglie di vita Gordiano III Augusto, 848, 849.
Proclamato imperadore, 849. Creduto da alcuni cristiano, 851. Vince
i Sarmati, 854. Celebra l'anno millesimo di Roma, 857. Spettacoli da
lui dati in tale occasione, 858. Perde la vita in una battaglia contra
Decio, 862.

Filippo (Caio Giulio) juniore, creato Cesare dal padre, I, 851. Poscia
imperadore, 855. Lasciato dal padre al governo di Roma, 861. Ucciso,
862.

Filippo, prefetto del pretorio sotto Costanzo Augusto, II, 46.

Filippo, re di Francia, per li suoi eccessi corretto da papa Gregorio
VII, IV, 363. Scomunicato e poscia assolto da papa Urbano II, 468.

Filippo, arcivescovo di Colonia, corona in re di Germania e d'Italia
Arrigo figlio di Federigo I, IV, 821.

Filippo Augusto, re di Francia, prende la croce, IV, 908. Fa pace con
Arrigo re d'Inghilterra, _ivi_. Si riaccende tra loro la guerra, 912.
Si pacificano, _ivi_. Con sua flotta giunge a Messina, 917. Coll'aiuto
suo è presa Accon, 926. Se ne torna in Francia, 927. Fa eleggere re da'
Romani Filippo duca di Suevia, 960.

Filippo arcivescovo di Colonia, IV, 846. Cala in Italia coll'esercito,
850. Fa guerra ad Arrigo duca di Baviera e Sassonia, 868. Sua morte,
924.

Filippo, fratello di Arrigo VI imperadore, sposa Irene figlia di Isacco
Angelo imperadore de' Greci, IV, 942. È creato duca della Toscana,
_ivi_, 955. Poi duca di Suevia, 942. Viene eletto re de' Romani,
960. Dà una rotta ad Ottone IV suo competitore, 993. Favorito da papa
Innocenzo III, 996. Assassinato da Ottone di Witelspach, 997.

Filippo, arcivescovo di Milano, IV, 993.

Filippo, vescovo di Ferrara, legato del papa Innocenzo IV in Germania,
IV, 1193.

Filippo, re di Francia, figlio di San Lodovico, V, 87, 91, 162. Va alla
conquista di Catalogna, 179. Miseramente termina il suo vivere, 180.

Filippo il bello, re di Francia. Sue liti con papa Bonifazio VIII, V,
252, 276. Contra cui pubblica orrende calunnie, 282. Ne è scomunicato,
_ivi_. Nefando insulto fatto ad esso papa di suo ordine, 283. È a lui
favorevole papa Benedetto XI, 289. Promuove al papato Bertrando del
Gotto arcivescovo di Bordeaux, 296, 297 (_V._ Clemente V). Perseguita
il defunto papa Bonifazio, 309, 323, 351. Promotore dei processi contro
i Templarii, 309, 361, 374. Sua morte, 375, 376.

Filippo dalla Torre, signore di Milano e Como, V, 40. Se gli
sottomettono altre città, 47. Manca di vita, 54.

Filippo, arcivescovo di Ravenna, ammassa un esercito di crocesignati,
IV, 1255. Toglie Padova ad Eccelino, _ivi_, 1256. Pacifica i Bresciani,
1263. Fatto prigione da Eccelino, 1271. Ricupera la libertà, V, 16.
S'interpone tra i Bresciani e i Torriani per comporli, 84.

Filippo de' Boschetti, vescovo di Modena, V, 197.

Filippo o Filippone, conte di Langusco, divien signore di Pavia, V,
268, 269, 278, 300, 307, 314, 337, 339. Si ribella al re Arrigo, VII,
348, 349, 357. Occupa Vercelli, 348. Giura fedeltà a Roberto re di
Napoli, 360. Processato da re Arrigo, 363, 364. Sua prigionia e morte,
369.

Filippo di Savoia, principe della Morea, V, 294. Perde quel principato,
308. Governatore d'Asti, 330. Favorisce Arrigo VII re dei Romani, 337.
Creato vicario di varie città, 348, 357.

Filippo de' Tedici, signor di Pistoia, V, 442. La vende a Castruccio,
446.

Filippo di Valois, fa guerra ai Visconti, V, 410, 412, 413. Con poco
onore se ne torna in Francia, 413. Creato re di Francia, 475.

Filippo d'Alanzone, cardinale e patriarca d'Aquileia: sue guerre, 809,
810.

Filippo degli Scolari, Fiorentino, generale di Sigismondo re dei
Romani, riporta una vittoria contra i Turchi, V, 1025.

Filippo Maria Visconte, lasciato conte di Pavia e d'altre città dal
padre, V, 912, 914. Carcerato in Pavia, 924. Si tien nel castello,
958, 973. Ridotto in camicia da Facino Cane, 978. Succede al fratello
ucciso nel ducato di Milano, 981, 982. Ricupera Piacenza, 994. Poi
la perde, 999. Acquista Lodi e Como, 1005. Poscia Piacenza, 1012. Sua
crudeltà e ingratitudine verso la moglie 1016. Fa guerra a' Genovesi,
_ivi_. Fa con essi la pace, 1023, 1024. Divien padrone di Bergamo,
1024. Poscia di Cremona, 1031. Di Parma, 1032. Di Brescia, 1037. Di
Genova, 1039. Ivi fa un grande armamento, 1047. E lo spedisce in aiuto
della regina Giovanna, 1049. Dà una rotta ai Fiorentini, 1057, 1058. Da
lui si ritira il Carmagnola, 1059. Gli è tolta Brescia dai Veneziani,
1064, 1065. Co' quali fa pace, 1067, 1068. Rotta la pace, torna a far
guerra ai Veneziani, 1069. Varie battaglie fra loro, 1070. Fa pace
con essi, e perde Bergamo, 1074. Manda soccorsi a Lucca, 1082. Sua
vittoria dei Veneziani a Soncino, 1088. E poscia al Po, 1089. Con loro
fa pace, 1100, 1101. Dà la libertà al re Alfonso, e gli si ribellano
i Genovesi, 1116. Si rinnova la guerra fra lui e i Veneziani, 1124,
1125. Sue cabale e finzioni, 1127, 1128. Sconfitte da Francesco Sforza
a lui date, 1145, 1146. Torna a far guerra ai Veneziani, 1150, 1151.
E poi pace 1152, 1153. Suo mal animo contro Francesco Sforza, 1156. Fa
lega co' Veneziani, 1168. Muove guerra ai Bolognesi, 1174. Fa assediar
Cremona, 1179. Sconfitto l'esercito suo da' Veneziani, 1182. Sue grandi
angustie, 1186. Termina i suoi giorni, 1189.

Filippo, principe di Savoia, tenta invano Genova, VI, 134. Creato duca
di Savoia, succede a Carlo Giovanni Amedeo suo nipote, 142. Sua morte,
146.

Filippo degli Arcelli, occupa Piacenza, V, 999. Ne è cacciato da
Francesco Carmagnola, 1012. Generale de' Veneziani, fa guerra nel
Friuli, 1025.

Filippo di Ravensten, regio governatore in Genova per Lodovico XII, non
potendo acquietare la sedizione, si ritira, VI, 222.

Filippo (San) Neri, prete, ottiene da papa Gregorio XIII la
confermazione dell'istituto dell'oratorio, VI, 769.

Filippo II, figlio di Carlo V, dichiarato duca di Milano, VI, 548.
Successore ne' regni di Spagna, 558. Viene a Genova e a Milano, 594.
Poscia va in Fiandra, 596. Torna in Ispagna, 612. Dichiarato dal padre
re di Napoli, 638. Va in Inghilterra, e sposa la regina Maria, _ivi_.
Rinunziati a lui dal padre i Paesi Bassi e la Borgogna, 645. Poscia
i regni di Spagna, 650. Sua guerra con papa Paolo IV, 653. Vittoria
delle sue armi a San Quintino contro i Franzesi, 664. È rapita dalla
morte la regina Maria sua moglie, 673. Fa pace con la Francia, 679.
Prende in moglie Elisabetta figlia di Arrigo II re di Francia, _ivi_.
Si sollevano contro di lui i Paesi Bassi, 724. Fa morire Carlo suo
figlio, 731. Vittoria delle sue armi contro i Turchi, 751. Aspira al
regno di Portogallo, 781. E l'acquista, 785. Celebra le nozze di sua
figlia Caterina con Carlo Emmanuele duca di Savoia, 804, 805. Collegato
coi cattolici di Francia, 806, 807. Fa un grande armamento ai danni di
Elisabetta regina d'Inghilterra, 915. Sua infelice spedizione contro
di lei, 820. Entra nella lega santa, 826. Arrigo IV gli dichiara la
guerra, 856. Acquista Marsilia, 860. Gli è preso Cadice dagli Inglesi,
862. Fa pace col re di Francia, 875. Fine del suo vivere, 877.

Filippo III, re di Spagna. Sua nascita, VI, 779. Filippo II, suo
padre, gli fa prestar giuramento dai Portoghesi, 794. Sue nozze
coll'arciduchessa Margherita d'Austria, 873, 874. Succede a suo
padre, 873. Fa pace cogli Inglesi, 906. La tratta cogli Olandesi, 922.
Tregua con essi, 926. Scaccia da Granata e da Valenza i Mori, 927. Si
oppongono le armi sue al duca di Savoia, 941, 943, 948. Con cui fa la
pace, 963. Abbatte il duca di Ossuna, 977. Fine del suo vivere, 982.

Filippo IV, primogenito di Filippo III re di Spagna. Sue nozze con
madama Elisabetta figlia di Arrigo IV re di Francia, VI, 933. Succede
al padre, 982. Manda soccorsi ai Genovesi, 1000, 1001. Si accorda co'
Franzesi per la Valtellina. 1006. Manda in Italia il marchese Ambrosio
Spinola contra il duca di Mantova, 1028. Se gli ribellano la Catalogna
ed il Portogallo, 1105. Depone il conte di Olivares, 1123. Suo
abboccamento con Luigi XIV re di Francia, 1219. Sua morte, 1240.

Filippo, duca d'Angiò, succede a Carlo II nella monarchia di Spagna,
VII, 147. Va a Napoli, accollo con somma gioia da quel popolo, 163,
164. Da Napoli va a Milano, 168. Interviene alla battaglia di Luzzara,
169. Ritorna in Ispagna, 171. Sue guerre in Portogallo, 187. Assedia
Barcellona, ed è forzato a ritirarsene, 206, 207. Suoi progressi
contra i collegati, 225. Rotte a lui date dal re Carlo III, 234,
235. Riacquista Madrid, e mette in rotta gl'Inglesi e Tedeschi, 235,
236. Accorda l'Assiento agl'Inglesi, 250. Ricupera Barcellona, 261.
Sue seconde nozze con Elisabetta Farnese, 262. Ricupera la Sardegna,
278. Sua rottura colla corte pontificia, 281. Passano le armi sue
all'acquisto della Sicilia, 285. Guerra a lui mossa dalla quadruplice
alleanza, 289. Licenzia dal suo servizio il cardinale Alberoni, 297.
Fa pace colle potenze nemiche, 298. Rinunzia il regno a don Luigi suo
primogenito, 316. Lo ripiglia, 319. Fa pace con Carlo VI imperadore,
321. Indarno assedia Gibilterra, 332. Ricupera Orano, 398. Collegato
coi Franzesi manda un'armata in Italia contra dell'imperadore, 377,
378. Cede a Don Carlo suo figlio l'una e l'altra Sicilia, 402. Manda
le sue armi in Italia contro la regina d'Ungheria, Maria Teresa, 479.
Termina il corso di sua vita, 592.

Filippo (Luigi), duca d'Orleans, spedito dal re di Francia in Italia
al comando delle sue armi, VII, 197. Marcia in Piemonte colla sua
armata, 199. Indarno propone di far giornata campale contro i Tedeschi,
200. Rotta la sua armata dal principe Eugenio sotto Torino, _ivi_.
Generalissimo dell'armi Gallispane, e suoi progressi in Ispagna contra
il re Carlo III, 225. Dichiarato reggente del regno di Francia per la
minorità del re Luigi XV, 267. Termina il suo vivere, 315.

Filippo, infante di Spagna. Suo matrimonio con Luigia Elisabetta
primogenita del re di Francia Luigi XV, VII, 452. Viene in Provenza,
505. Unito coi Franzesi contra Carlo Emmanuele re di Sardegna, 534.
I cittadini di Nizza gli presentano le chiavi della lor città, 536.
Penetra con un'armata in Lombardia, 559. Acquista Tortona, Piacenza e
Parma, 560, 561. Entra in Milano, 567. Forzato ad abbandonarlo, 573.
Si ritira in Provenza, 600. Assiste alla liberazione del castello di
Ventimiglia, 681. Nella pace d'Aquisgrana a lui ceduti i ducati di
Parma, Piacenza e Guastalla, 689, 695, 708.

Fillide, nutrice di Domiziano, I, 369.

Filopatore, re della Cilicia, I, 54.

Filosofi, cacciati da Roma, e perchè, da Vespasiano, I, 301. Da
Domiziano, 362.

Filostorgio; sua storia, II, 462.

Filostrati, il maggiore d'essi fiorì sotto Severo Augusto, I, 713.

Finale di Spagna, venduto dall'imperadore ai Genovesi, VII, 255.

Fiorentini, distruggono Fiesole, IV, 89, 90. Lor guerra e vittoria
contro i Sanesi, 1099, 1108. Assediano Siena, 1111. Pace fra loro per
interposizione di papa Gregorio IX, 1128. Cagione per cui nuovamente
muovono guerra ai Senesi, V, 21. Dai quali con uno strattagemma sono
terribilmente sconfitti, 22. Dalla loro città se ne fuggono i Guelfi,
23. Segue pace fra loro, 63. Prendono per signore Carlo I re di
Sicilia, 65, 82. Fan guerra ad Arezzo, 195. E sconfiggono gli Aretini,
201. Uniti coi Lucchesi fan guerra ai Pisani, 221. Nobili: lor gara
colla plebe, 239. Fazioni gravi fra loro insorte, 270. Fan guerra a
Pistoia, 280. Sconvolta la lor città dalle fazioni, 289, 291. Assediano
Pistoia, 300. E la costringono con inganno alla resa, 304. Lor guerra
civile, 323. Danno una rotta agli Aretini, 332. Si preparano contro
Arrigo VII, 340, 349. Guerra lor fatta da esso Arrigo, 354. Prendono
per lor signore il re Roberto, 365. Rotta loro data da Uguccione
dalla Faggiuola sotto Montecatino, 333. Pace fra essi e i Pisani, 393.
Lor muove guerra Castruccio, 414. Nuova guerra con lui, 446. Da cui
hanno una gran rotta ad Altopascio, 447. Poscia loro inferisce altri
danni, 450. Prendono per loro signore Carlo duca di Calabria, 454.
S'impadroniscono di Pistoia, 469. Loro è ritolta da Castruccio, 470.
Assediano Lucca, 499. Usurpano la signoria di Pistoia, 503. Danni d'un
diluvio nella lor città, 514. Mandano lor genti a Bologna per salvare
il legato del papa Beltrando dal Poggetto, 518. Lo scortano fino a
Firenze, _ivi_. Collegati coi Veneziani contra gli Scaligeri, 533.
Acquistano Arezzo, 537. Lor inutile tentativo per impedire la pace
tra i Veneziani e gli Scaligeri, 542. Comprano Lucca dagli Scaligeri,
556. Sconfitti sotto Lucca dai Pisani, 558. Dai quali vien loro tolta
quella città, 563. Prendono per signore Gualtieri duca d'Atene, 564.
Congiurano contra di lui, e lo scacciano, 570. Lor guerra civile,
571. Guerra lor mossa da Giovanni Visconte, 622. S'impadroniscono
di Volterra, 685. Lor guerra co' Pisani, 689, 695. Gli sconfiggono
e fan pace, 699. Sconfitti da Giovanni Aucud, 720. Ripigliano San
Miniato, 723, 724. Muovono a ribellione le città della Chiesa, 746.
Fiere censure del papa contra di essi, 751. Ambasciatori loro mandati
dal papa per accordo, 754. Congiura de' Ciompi, 768. Comprano Arezzo,
799. Si oppongono al conte di Virtù, 838, 848. Si oppongono al duca di
Milano Gian-Galeazzo, 875, 902, 905. Tentano l'acquisto di Pisa, 925.
La comperano, e restano beffati, 935. Ne divengono padroni, 945. Guerra
lor mossa dal re Ladislao, 963. Acquistano Cortona coll'oro, 976.
Sconfitte loro date dal duca di Milano, 1005. Collegati coi Veneziani
contro di esso duca, 1062. Loro milizie spedite a Brescia, 1066.
Sottomettono Volterra ribellata, 1078, 1079. Forzati a ritirarsene,
1082. Tornati a quell'assedio, restano sconfitti, 1083. Loro fa guerra
il Piccinino, 1090. Danno una rotta ai Collegati, 1095. Sconfitti da
Niccolò Piccinino, 1109. Guerra mossa loro dal re Alfonso, 1196, 1202.
Fanno pace, 1214. Torna il re a far loro guerra, 1226. Contra d'essi
va il Coleone, VI, 23. Fan guerra a Volterra, 44. Congiura dei Pazzi
contra i Medici, 59. Scomunicati da papa Sisto, 61. Guerra lor mossa
da esso pontefice e dal re Ferdinando, 62. Loro esercito sconfitto, 68.
Pace d'essi con Ferdinando, 69. E col papa, 72, 73. Ricuperano Sarzana,
98. Loro imbrogli con Carlo VIII re di Francia, 121, 122. Perdono
Pisa, Sarzana, ed altri luoghi ceduti a Carlo VIII, 122. Si accordano
con esso lui, 124. Vani loro sforzi per ricuperar Pisa, 136. Che è
soccorsa da' Veneziani, 140, 148. Indarno tornano ad assediarla, 153.
Imbrogli del duca Valentino contra d'essi, 183. Fanno guerra a Pisa,
210, 214, 231. Se ne impadroniscono, 249. Riacquistano Monte Pulciano,
271, 272. Forzati a rimettere in città i Medici, 292. Acquistano San
Leo e Montefeltro, 356. Ripigliano la libertà, e cacciano i Medici,
442. Contra d'essi marcia l'esercito cesareo, 467. Ostinati a volersi
difendere, 469, 4?5, 479. S'arrendono, 480, 486.

Fiorentino, prefetto di Roma, II, 313, 328.

Fiorenzo (Flavio), prefetto del pretorio delle Gallie, II, 97. E
console, 101. Fugge in Oriente, 105, 106. Si nasconde, 119.

Firenze: anno in cui comincia ad acquistarsi nome, IV, 76. Vi entrano
le fazioni de' Guelfi e Ghibellini, 1028. Guelfi discacciativi, 1192.
Torna essa a parte guelfa, 1228, 1244. Fa guerra a Pisa, 1258.

Firmico (Giulio), scrittore, I, 1220; II, 13, 15.

Firmo o Firmio (Marco), imperadore effimero, I, 966, 967.

Flacco (Caio Valerio), poeta sotto Domiziano, I, 370.

Flacilla o Placilla (Elia), moglie di Teodosio Augusto, II, 219. Sua
morte, 257.

Flacilla, figlia di Arcadio Augusto, II, 346.

Flacilla, sorella di Teodosio II Augusto, II, 481.

Flagellanti: lor pia commozione per l'Italia, e frutto che se ne
ricavò, V, 25.

Flagelli orribili in Oriente e in Occidente, II, 968, 969.

Flaviano (Giunio), prefetto di Roma, I, 1098.

Flaviano (San), vescovo di Antiochia: prende l'assunto di passare a
Costantinopoli per placare lo imperadore Teodosio giustamente sdegnato
contro gli abitanti di essa città, II, 266. Ottiene il suo intento,
267. Ritorna in Antiochia, 268.

Flaviano, prefetto del pretorio sotto Eugenio tiranno, II, 305, 307. Si
uccide, 310.

Flaviano, prefetto di Roma, II, 342, 349.

Flaviano (San), patriarca di Costantinopoli, odiato da Crisafio eunuco,
II, 529. È abbattuto da lui, 535. Suo esilio e morte, _ivi_.

Flaviano, patriarca cattolico di Costantinopoli, cacciato in esilio,
II, 785.

Flavio Destro: sua storia apocrifa. II, 430.

Flegonte, liberto di Adriano Augusto, suoi libri, I, 459

Floriano (Marco Annio), fratello di Tacito Augusto, I 979. Prefetto,
del pretorio, 980. Proclamato imperadore, 981. Sua morte, 983.

Foca, giurisconsulto, incaricato di compilar il codice di Giustiniano,
II, 836.

Foca, proclamato imperadore, barbaramente toglie la vita a Maurizio
Augusto e a' suoi figli, II, 1119, 1120. Riconosciuto in Roma, 1127.
Guerra a lui fatta dai Persiani, 1128. Sua crudeltà, 1134. Favorevole
alla Chiesa romana, 1136. A cui dona il Panteon, 1138. Come mal
sostenesse la guerra contro i Persiani, 1139. Si ribellano contra di
lui l'Africa e l'Egitto, 1140. E il popolo di Costantinopoli, 1141. È
messo in pezzi, _ivi_.

Folco, arcivescovo di Rems, III, 853, 866, 885. Corona Carlo il
Semplice, 891. Promuove gli interessi di Lamberto Augusto, 906.

Folco, figlio di Alberto Azzo II marchese di Este progenitore della
casa d'Este, IV, 339, 394, 440. Succede al padre, 474. Guerra a lui
fatta da Guelfo duca suo fratello, _ivi_. Varii suoi atti, 548, 549.
Muore, 633.

Folco II, marchese d'Este, IV, 633, 722.

Formoso, vescovo di Porto, inviato da papa Niccolò ai Bulgari, III,
708. È mandato da Adriano II, in Lorena, 724, 725. Perseguitato da
papa Giovanni VIII, 796. Da lui imprigionato, 798. Nemico di esso
papa, 832. Rimesso sulla sua sede, ed assolto da papa Marino, 836.
Viene eletto papa, 886. Avverso a Guido Augusto, 889. Pure dà la corona
dell'imperio a Lamberto di lui figlio, _ivi_. Chiama in Italia Arnolfo
re di Germania, 895, 907. Lo corona imperadore, 910. È chiamato da Dio
all'altra vita, 915. Suo cadavere dissotterrato e gittato nel Tevere,
917.

Foro di Flaminio, città ora distrutta, I, 876.

Fortunato, vescovo di Todi, II, 791.

Fortunato, patriarca di Grado, II, 1200.

Fortunato, patriarca di Grado, III, 441. Data a lui in Francia
un'abbadia, 442. Va in Istria ad una dieta tenuta dai deputati di Carlo
Magno, 450. Va a Torcello, 455. Suoi maneggi segreti coi Franzesi,
460. Impetra ed ottiene all'Istria dall'imperadore Lodovico Pio di
poter eleggere i proprii governatori, 524, 525. Accusato d'infedeltà da
Tiberio suo prete, 530. Sua morte, 548.

Foscarini (Antonio), nobile veneto, innocente condannato a morte, VI,
988.

Fosco (Cornelio) prefetto del pretorio, sconfitto ed ucciso dai Daci,
I, 341, 342.

Fozio, intruso nel patriarcato di Costantinopoli, III, 683, 692, 713.
Ne è cacciato, 717, 718. Rimesso in quella cattedra, 801. Cacciato in
esilio da Leone Augusto, 855.

Fraate, re dei Parti, suo abboccamento con Caio fratello di Augusto
imperadore, I, 9. È ucciso da suo figlio, 18.

Francescano Rusca signor di Como, V, 526.

Francesco d'Assisi (San), istitutore dei Minori, disapprova
l'indipendenza de' suoi frati dai vescovi, III, 46. Va a predicare al
sultano di Egitto, IV, 1040. Mirabili sue prediche in Bologna, 1056.
Chiamato a miglior vita, 1075. Sua canonizzazione, 1083.

Francesco Dandolo, doge di Venezia, V, 479. Manca di vita, 551.

Francesco, marchese d'Este, V, 318. Ucciso dai Catalani, 356.

Francesco Orsino, cardinale, V, 284.

Francesco di Parma, arcivescovo di Milano: sua morte, V, 322.

Francesco, o Cecco, degli Ordelaffi, divien signore di Forlì, V, 386.

Francesco degli Ordelaffi, signore di Forlì, vi è assediato dalle
armi pontifizie, V, 502. Cede Forlì al papa, _ivi_. Fatto prigione dai
Ferraresi, 511. Ribella Forlì alla Chiesa, e se ne impadronisce, 512.
Va al servigio di Lodovico re d'Ungheria, 594. Occupa Meldola, 616.
Va all'assedio d'Imola, 622. Nimicizia tra lui e Malatesta signore
di Rimini, 646, 647. Gli fa guerra il cardinale Egidio Albornoz, 656.
Perde Cesena, 659, 660. Rende Forlì, 673, 674. Sua morte, 749.

Francesco Pico dalla Mirandola, signore di Modena, V, 401. Rende quella
signoria a Passerino de' Bonacossi signore di Mantova, 407. Sua mirabil
morte, 420.

Francesco Scotto, signor di Piacenza, V, 528. Cede quella città ad Azzo
Visconte, 531.

Francesco Gonzaga, toglie di vita il fratello Ugolino, e s'impadronisce
della signoria di Mantova, V, 690. Fa lega contro i Visconti, 705. Che
gli muovono guerra, 711, 713. E poi fan pace, 718. Sua morte, 791.

Francesco da Carrara, proclamato signor di Padova, V, 616, 617.
Accoglie con grande onore Carlo IV re di Boemia e dei Romani, 640.
Generale dell'armata collegata contro i Visconti, 643, 650. Mette in
prigione Jacopino suo zio per dominar solo, 650. Odio de' Veneziani
contro di lui, 665. Lodovico re d'Ungheria gli dona Feltre e Cividal di
Belluno, 678. Sua lega contra i Visconti, 686, 687. Pace con essi, 696.
Sue liti coi Veneziani, 702. E guerra, 733, 734, 739. Collegato coi
Genovesi, con Lodovico re d'Ungheria e col patriarca d'Aquileia contro
i Veneziani, 767. Indarno assedia Trivigi, 774. Continua la guerra ad
essa città, 782, 795, 796. Lo acquista in fine con altri luoghi, 801.
Guerra a lui mossa da Antonio Scaligero, 810. A cui dà una gran rotta,
815, 816. E poscia un'altra, 819, 820. Sua lega col conte di Virtù,
820, 821. Da cui resta burlato, 823. Inveisce contro di lui, ciò che
serve di pretesto a quest'ultimo per muovergli guerra, 826. Rinuncia
la signoria di Padova a Francesco Novello suo figlio, e si ritira a
Trivigi, 829. Lo perde, e si rimette nelle mani del conte di Virtù,
828. Per la fuga del figlio è imprigionato, 833, 834, 849. Sua morte,
858.

Francesco Novello da Carrara, figlio di Francesco: sue nozze con Taddea
d'Este, V, 756. Va allo assedio di Trivigi, 774. Gli è rinunziato
dal padre il dominio di Padova, 827. Di cui è spogliato dal Visconte,
828. E ritenuto in Milano, 832. Fugge dalle sue mani, e si ricovera a
Firenze, 833. Ricupera Padova, 839. Stacca Alberto di Este dalla lega
del conte di Virtù, 841. Guerra a lui fatta da esso conte, 848. Pace
con esso, 849. Va all'improvviso in Ferrara, e la fa da padrone, 883.
Generale di Roberto re de' Romani, 902. Collegato coi Bolognesi, 908.
Fa guerra al duca di Milano, 913, 916. S'impadronisce di Verona, 926,
927. Guerra a lui mossa da' Veneziani, 929. Perde Verona, 937. Poscia
Padova, 938, 939. E finalmente insieme a' proprii figli, la vita, 939.

Francesco da Vico, tiranno di Viterbo, V, 754.

Francesco Carmagnuola, _V._ Carmagnuola (Francesco).

Francesco, signor di Sassuolo. Si solleva contro il marchese Niccolò II
marchese d'Este, V, 862, 869, 870.

Francesco Tebaldeschi, cardinale, VI, 760. Sua morte, 762.

Francesco II da Gonzaga, signore di Mantova, VI, 792. Collegato col
Visconte, 826, 837. Si stacca dalla sua lega, 845. Ne maneggia una
contra di lui, 850. Gli muove guerra il duca di Milano, 873. Che dà una
rotta all'armata di lui e dei collegati, 876, 877. Cerca secretamente
di ottener pace col duca suddetto, 878. La conchiude finalmente, 881.
Milita per esso contro Bologna, 908. Occupa Ostiglia e Peschiera, 927.
Muove guerra ai Carraresi, 937. Muore, 951.

Francesco Sforza, sua nascita, VI, 900. Imprigionato a Benevento,
998. Principiò del suo innalzamento, 1007. E della sua milizia, 1011.
Prende moglie, 1017. Combatte contro Braccio di Montone, 1052. Va al
servizio del duca di Milano, 1063, 1064. E alla difesa della cittadella
di Brescia, 1065. Sconfitto dai villani del Genovesato, 1072, 1073.
Soccorre i Lucchesi, 1082. Dà una rotta ai Veneziani, 1088. Occupa
la Marca d'Ancona, 1105. Continua le conquiste negli Stati della
Chiesa, _ivi_. Creato gonfaloniere della Chiesa, _ivi_. Generale de'
Fiorentini, 1109, 1110. Sue guerre in Toscana, 1120, 1124. Chiamato al
suo servigio dal duca di Milano, 1127. Fa guerra nel regno di Napoli,
1128. Saccheggia Sassoferrato, 1132. Va in soccorso de' Veneziani,
1139. Ricupera Verona colla sconfitta del Piccinino, 1141. Libera
Brescia e fa altri acquisti, 1145, 1146. Manda i suoi contro il re
Alfonso, 1149. Col matrimonio di Bianca Visconte acquista Cremona,
1153. Gli fa guerra il Piccinino, 1156. Bolla di papa Eugenio contro di
lui, 1159. Spogliato delle città della Marca dalle armi del re Alfonso
e del Piccinino, 1165, 1166. Dà una rotta ad esso Piccinino, 1167.
Poscia un'altra a Francesco suo figlio, 1170. Ricupera molte terre e
si accorda col papa, 1170, 1171. Che poi torna a fargli guerra, 1176.
Perde la Marca, 1177. Si accorda col duca di Milano, 1183. Creato dai
Milanesi lor capitan generale, 1192. Acquista Pavia e assedia Piacenza,
1191, 1193. Sconfigge la flotta veneta, 1199. E l'armata terrestre,
_ivi_. Fa lega co' Veneziani, 1201. Acquista Piacenza, 1203. Novara
ed Alessandria, 1204. E Tortona e Parma, 1206, 1207. Vigevano, 1210.
Tratta d'accordo con Carlo da Gonzaga, per cui gli sono cesse Lodi
e Crema, 1210, 1211. Cede Crema a' Veneziani, 1211. Contra di lui
si rivolgono i Veneziani, _ivi_. Va coll'armata sotto Milano, 1212.
Ad istanza dei Veneziani fa tregua, _ivi_. Stringe nuovamente Milano
d'assedio, _ivi_. Tratta di pace con Lodovico duca di Savoia, _ivi_.
Mette in fuga Jacopo Piccinino e Sigismondo Malatesta, generale de'
Veneziani, _ivi_. Acquista Trezzo per denari, _ivi_. Gli si rende
Milano, 1216. Acclamato duca, _ivi_. A lui si sottomettono Como, Monza
e Bellinzona, 1217. Sua magnifica entrata in Milano, _ivi_. Rimette
in libertà Guglielmo fratello di Giovanni marchese di Monferrato, e
capitolazione da lui avuta per questo, 1218. Ritiene prigione Carlo
da Gonzaga, _ivi_. Lo lascia in libertà e a quali patti, _ivi_,
1219. Manda il suo primogenito Galeazzo Maria a Ferrara ad ossequiare
l'Augusto Federigo III, 1224. Guerra a lui mossa dai Veneziani, 1226,
1229. Sua pace con essi, 1236. Ammoglia i suoi figliuoli, 1243. Manda
aiuti ai Genovesi, 1265. Acquista Genova, VI, 11, 12. Tien mano a
tradire Jacopo Piccinino, 15. Fine del suo vivere, e sua figliolanza,
19.

Francesco III da Carrara, spedito dal padre con alquanti cavalieri a
difendere Bologna dalle armi del duca di Milano, V, 908. Colà resta
prigione di Facino Cane, 909. Scappa di prigione, 910. Va ad assediare
Vicenza, 927, 928. Fa una sortita da Padova sui Veneziani, a' quali dà
una forte rotta, 937. Viene tolto di vita da' Veneziani, 939.

Francesco degli Ordelaffi signor di Forlì: sua morte, V, 933.

Francesco, figlio di Niccolò Piccinino, perde Bologna, V, 1164.
Sconfitto e fatto prigione da Francesco Sforza, 1170. Assedia Cremona,
1179. Sconfitto da' Veneziani, 1188. Milita sotto Francesco Sforza,
1199, 1205, 1206. Va ad assediare Monza per lui 1207. A lui si ribella,
1208. Sua morte, 1212.

Francesco Foscari, doge di Venezia, V, 1951. Suoi affanni e sua morte,
1246, 1247.

Francesco Gonzaga, cardinale, VI, 27.

Francesco Salviati, arcivescovo di Pisa, congiurato contro dei Medici,
VI, 60.

Francesco de' Pazzi, unito a Francesco Salviati contro de' Medici, VI,
59.

Francesco Alidosio, detto il cardinal di Pavia, governator di Bologna,
VI, 264. Si porta a Ravenna per giustificarsi con papa Giulio, 206.
Viene ucciso, _ivi_.

Francesco I re di Francia, succede a Lodovico XII, VI, 318. Suo grande
preparamento contro lo Stato di Milano, 320. Entrano le sue armi in
Genova, 322. In Novara e Pavia, 325. Gran battaglia, e vittoria sua
a Marignano contro gli Svizzeri, 326, 327. Se gli rende Milano col
resto delle città, 328. Fa lega con Leone X, _ivi_. Mette l'assedio a
Brescia, 331. Va a Bologna a conferire col papa Leone, 331. Aboliscono
la prammatica sanzione, _ivi_. A forza d'oro trae gli Svizzeri ad una
pace perpetua, 344. Rinnova la lega colla repubblica Veneta, 349. Gli
nasce Francesco II e ne chiama padrino il papa, 351. Indarno aspira
all'imperio, 353. Sue doti e suoi difetti, 354. Muove guerra, a Carlo
V, 362. Manda il Bonivet in Italia, 395. Gli si rende Milano, 407. Va
all'assedio di Pavia, 408. Sua lega con papa Clemente, 409. Aspira
al regno di Napoli, 410. Sua battaglia sotto Pavia, in cui rimane
prigione, 45. È condotto in Ispagna, 417. Sua malattia, 419. Liberato
di prigione, 421. Fa lega col papa contro Cesare, 422. Fa lega con
varii principi in difesa del papa, 445. Rimanda in Italia un'armata
e s'impadronisce di Genova, 446. Suo accordo con Carlo V, 468. Suo
abboccamento con papa Clemente, 496. Fa guerra a Carlo duca di Savoia
515. E a lui la fa Carlo V in Provenza, 521. Viene in Piemonte, 532.
Sua lega con Solimano sultano dei Turchi, 533, 546, 547, 550. Suo
abboccamento con papa Paolo III, 534. Poscia con Carlo V, 537. Riceve
con grande magnificenza lo stesso imperadore in Parigi, 543. Contro cui
prepara le armi, 550. Gli muove guerra in più parti, 523, 554. Unito
coi Turchi fa guerra ai Cristiani, 556, 562. Sua pace con Carlo V, 569.
Chiude il corso di sua vita, 583.

Francesco Maria della Rovere, signore di Sinigaglia e prefetto di
Roma. Gli è tolta quella città dal duca Valentino, VI, 195. Adottato
da Guidobaldo duca di Urbino, 213. Duca d'Urbino e generale del papa,
muove guerra ai Veneziani, 234. E al duca di Ferrara, 254. Uccide il
cardinale Alidosio, 266. Ricupera le città della Romagna e Bologna,
289. Spogliato d'Urbino da papa Leone, 333. Suo sforzo per ricuperare
i suoi Stati, 345. Ma invano, 347. Ricupera il ducato d'Urbino, 375.
Generale dei Veneziani 395, 423, 458, 471, 474. Va coll'armata de'
Veneziani, che comandava, a rinforzare l'armata cesarea, 401. Generale
del papa, 441. Acquista Camerino pel figlio, 508. Cessa di vivere, 538.

Francesco Maria Sforza, dichiarato duca di Milano, VI, 370. Gli
si sottomettono quasi tutti i luoghi, ad eccezione di Cremona,
Alessandria, ed castello di Milano, _ivi_. Acquista Alessandria,
378. Entra in Milano, 381. Ricupera varie città, 384 E il castello
di Milano, 390. Fa lega coll'imperadore, 392. Abbandona Milano ai
Franzesi, 407. Non vuol ritenere il re Francesco I prigioniero degli
Spagnuoli nel castello di Milano, 416. Rimesso in Milano si trova
privo d'autorità, 419. Gli è tolto il governo, 420. Ricupera Cremona,
e Pizzighettone, 427. Riacquista, con gravi condizioni, il ducato, 472,
473. Sue nozze, 502. Termina i suoi dì senza prole, 514.

Francesco Donato, doge di Venezia, VI, 575. Sua morte, 632.

Francesco III, duca di Mantova, e di Monferrato, succede al padre, VI,
548. Sue nozze, 602. Fine de' suoi giorni, 606.

Francesco Veniero, doge di Venezia, VI, 639, 656, 657.

Francesco II, re di Francia, VI, 681. Sua morte immatura, 691.

Francesco Gonzaga, marchese di Mantova, _V._ Gian-Francesco II, Gonzaga.

Francesco, duca d'Angiò, preso per difensore dai popoli della Fiandra,
VI, 782. Proclamato duca del Brabante, conte di Fiandra, ec., 792. Suo
tentativo per farsi signor assoluto, da cui ne sorte con vergogna, 794.
Tornato in Francia, miseramente muore, 797.

Francesco Maria, principe d'Urbino. Sue nozze VI, 746. Va contro i
Turchi, e combatte nella celebre battaglia di Lepanto, 750. Succede
a Guidubaldo suo padre, 762. Gli è tolto dalla morte l'unico figlio
Federigo, 993, 1010. Imbrogli suoi colla corte di Roma, _ivi_. Sue
belle qualità d'animo, 1011. Rinunzia al papa il suo ducato, _ivi_.
Muore lasciando buon nome, e con lui resta estinta la famiglia della
Rovere, 1055.

Francesco Cenci, Romano. Sua brutalità, e morte, VI, 881, 882.

Francesco Gonzaga, principe di Mantova. Sue nozze coll'infanta di
Savoia, VI, 923. Succede al padre, 935. Muore, 936.

Francesco Giacinto, duca di Savoia, succede a suo padre VI, 1083. Sua
morte, 1089.

Francesco I, duca di Modena, succede al padre, che si fa cappuccino,
VI, 1031. Unito cogli Spagnuoli fa guerra a Parma, 1074. S'impadronisce
di Rossena e Colorno, e di altre terre, mettendo tutto a sacco, 1075.
Sua pace col duca di Parma, _ivi_. Acquista Correggio, 1079. Va in
Ispagna, 1091. Padrino dell'infanta Maria Teresa, poi moglie a Lodovico
XIV, re di Francia, _ivi_. Fa lega coi Veneziani e col gran duca in
favore di Parma, 1115. Guerra fra lui e i Papalini, 1121. E poi pace,
1124. Entra in lega coi Franzesi, 1161. Sue seconde nozze, 1169.
Assedia Cremona, _ivi_. Ma invano, 1171. Fa pace cogli Spagnuoli, 1172.
Sua magnificenza, 1186. Passa alle terze nozze, 1193. Guerra a lui
mossa dagli Spagnuoli per mezzo del marchese di Caracena, governatore
del Milanese per essi, 1196. Che è costretto a ritirarsi, 1197.
Mortalmente ferito nell'assedio di Pavia, 1199. Riacquistata la sanità,
va a Parigi, _ivi_. Torna in Italia, generalissimo delle armi franzesi,
e prende Valenza, 1201. Assedia Alessandria, 1207. Obbliga il duca
di Mantova alla pace, 1211. Dopo l'acquisto di Mortara manca di vita,
1212.

Francesco II, duca di Modena, succede ad Alfonso IV suo padre, VI,
1229. Va a Roma, VII, 62. Prende in moglie Margherita Farnese, 104.
Fine di sua vita, 112.

Francesco III, duca di Modena. Sua nascita, VII, 138. Suo solenne
battesimo, 143. Prende in moglie Carlotta Aglae figlia del duca
d'Orleans, 301. Succede al padre nel ducato, 438. Trovandosi fra due
fuochi di guerra, risolve di aderire al partito dell'imperadore e
della Spagna, 493. Si ritira a Venezia, 497. Cede ai nemici tutte le
sue piazze, 500. Dichiarato generalissimo della armata spagnuola in
Italia, passa a Rimino a prendervi possesso della carica, 512, 513.
Si ritira con essa armata verso il regno di Napoli, 525. Suo pericolo
nella sorpresa di Velletri, 529. In Roma va ad inchinare il papa,
532. Marita Felicita sua figlia col duca di Penthievre, 545. Conduce
l'armata napoloispana in Garfagnana, e ricupera quella provincia, 556.
Gli è preso tutto il bagaglio dagli Usseri, 580. Si ritira coll'Infante
don Filippo in Provenza, 600. Assiste alla liberazione del castello di
Ventimiglia, 681. Nella pace d'Aquisgrana sono a lui restituiti tutti
i suoi Stati, 690, 696. Rimesso in possesso dei comitati di Arad e Jeno
in Ungheria, e riconosciuto giusto erede degli allodiali de' già duchi
di Guastalla, 700, 701. Suoi pregi e lodi, 707, 708.

Francesco Farnese, duca di Parma, succede a Ranuccio II suo padre,
VII, 113. Salva le sue città dall'introduzion di guarnigioni tedesche,
165. Procura la depressione del cardinal Alberoni, 296. Termina i suoi
giorni, 329.

Francesco Morosino, capitan generale della flotta Veneta. Sua vittoria
contra i Turchi, VI, 1250. Per la perdita di Candia, il popolo di
Venezia lo chiama traditore, 1256. È accusato e poi assoluto in pien
senato, 1261. Prende Corone ed altre città, 58, 59, 61, 62. Acclamato
doge, 72. Viene a Venezia, 77. Eletto capitan generale, muore, 107.

Francesco Pico, duca della Mirandola, prende il partito de' Franzesi,
VII, 182. Dichiarato ribello e decaduto da' suoi Stati dall'imperadore,
234.

Francesco Maria, cardinale de' Medici. Suo matrimonio, VII, 229. Sua
morte, 238.

Francesco Stefano, duca di Lorena, cede i suoi Stati alla Francia, e
riceve in iscambio la Toscana, VII, 413. Sue nozze con Maria Teresa
primogenita dell'imperadore, Carlo VI, 419. Entra in possesso della
Toscana, 433, 435. Generalissimo dell'imperatore in Ungheria, 435.
Colla consorte cala in Italia e Toscana, 448, Dichiarato correggente
dalla regina d'Ungheria sua moglie, 466. Eletto imperadore, 546. Suoi
gloriosi pregi, 706.

Franchi, popoli della Germania, quando si cominci ad udire il lor nome,
I, 885. Devastano le Gallie, e la Spagna Taragonese, 911. Lor guerra
con Costante Augusto, II, 9, 15. Contra di loro milita Giuliano Cesare,
86, 87, 100. Lor primo re Faramondo, e loro origine, 438. Cacciati
dalle Gallie da Aezio, 473. Fanno pace co' Romani, 483, Altri uniti
coi Romani ed altri con Atila, 553. Quando cominciassero a conquistar
le Gallie, 594. S'impadroniscono di Colonia, 619. Danno una rotta ai
Borgognoni, 741. Sconfiggono i Visigoti, 755. Sono rispinti all'assedio
di Arles, 767. Calano in Italia, 881, 920, 921. Tornano in Italia cogli
Alamanni, 947. Sono sconfitti e distrutti da una terribile peste, 951,
953. Quali armi usassero, 952. Abbandonano per forza tutti i luoghi,
che occupavano in Italia, 961. Pulizia de' loro costumi, _ivi_. Loro
crudeltà, 1073. Fanno guerra ai Longobardi, 1074.

Franchino Rusca, occupa Como, V, 914.

Francoforte, gran concilio _ivi_ tenuto contro di Felice, vescovo
d'Urgel, III, 393.

Francone. _V._ Bonifazio pseudo-papa.

Francone, abbate di Santa Sofia, IV, 610.

Franzesi: lor duello a Trani cogli Italiani, e loro perdita (_V._
Duello). Cacciati d'Italia, VI, 287. Rotti sotto Novara, 303. Uniti
col re di Sardegna occupano quasi tutto lo Stato di Milano, 379, 386.
Reggio e Modena, 394. Sospension di armi fra essi e l'imperadore,
412. Pace fra loro, 413. Si uniscono coll'elettor di Baviera contro
la regina d'Ungheria, 475. Assediati in Praga, l'abbandonano, 489.
Ricuperano la Baviera, 490. S'uniscono cogli Spagnuoli contro il re
Sardo, 516. Battaglia navale della loro flotta unita colla Spagnuola,
contro gli Inglesi verso Tolone, 535. Dichiarano la guerra alla regina
di Ungheria e all'Inghilterra, 541. Prendono Friburgo, 544.

Fravita, Goto, generale della flotta imperiale, abbatte Gaina, II, 356.
Console, 357.

Fredegario, storico non bene informato delle cose longobardiche, II,
1156. Poco esatto nelle circostanze dei tempi e dei fatti, 1204. Mette
insieme fatti accaduti sotto anni diversi, 1205, 1215, 1229. Anno a cui
arriva la sua Storia, 1232.

Fregnano dalla Scala toglie a Can Grande, suo fratello, Verona, V, 637.
Muore, 638.

Fresco Estense, signor di Ferrara, V, 319.

Frigerido, duca, generale di Graziano Augusto, II, 205. Gli vien tolto
il comando delle armi nell'Illirico, 209.

Fritigerno, capo de' Goti, II, 204. Rotta da lui data a Valente
Augusto, 211.

Friuli (ducato del), quando instituito, II, 999, 1020.

Frontino (Sesto Giulio), scrittore e console, I, 385, 431.

Frantino (Giulio): sue conquiste nella Bretagna, I, 310.

Frontone (Cornelio), oratore sotto Antonino Pio, I, 516, 524.

Frontone, arcivescovo scismatico di Milano, II, 1003. Sua morte, 1043.
Dove fosse sepolto, _ivi_.

Frumentarii (uffizio degli), aboliti da Diocleziano, I, 1052.

Fucino, lago. L'imperadore Claudio tenta di seccarlo, I, 187.

Fulberto, vescovo di Sciartres, IV, 81.

Fulgenzio (San), vescovo africano, e scrittore della chiesa, è mandato
in esilio, IV, 81.

Fulvia, nobile romana, ingannata dai Giudei, I, 60.

Fuoco, solito a portarsi innanzi agli Augusti, I, 602.

Fuoco sacro: comincia ad affliggere la Lorena, e poi si sparge per la
Francia e per l'Italia, IV, 442.

Furnilla (Marcia), seconda moglie di Tito Augusto, I, 319.


G

Gabinio, re dei Quadi, assassinato dai Romani, II, 189.

Gabriello Adorno, doge di Genova, V, 694. Accoglie ed accompagna il
papa Urbano V, che da Avignone trasferiva la sede pontificia in Roma,
707. Deposto, 726.

Gabriello, bastardo di Gian-Galeazzo Visconte, signore di Pisa, V, 911.
Guerra a lui mossa dai Fiorentini, 925. A quali vende Pisa, 935. Perde
Sarzana, 949. Va a Genova, 957. Dove, iniquamente preso ed accusato da
Bucicaldo, gli è mozzo il capo, _ivi_.

Gabriello Condolmieri, cardinale, V, 1027. Poscia papa, _V._ Eugenio
I_V._

Gabrino Fondolo, tiranno di Cremona: a tradimento s'impadronisce di
Cremona, V, 943. Fa lega con varii altri signori contro Ottobuono de'
Terzi, 960. Accoglie il papa e il re de' Romani, 988. Guerra a lui
fatta dal duca di Milano, 1024. Si reca a Bologna qual generale di
quelle genti, 1026. Perde Cremona, 1031. E poi la vita, 1063.

Gaddo de' Gherardeschi, conte di Donoratico, creato signore di Pisa, V,
388. Termina i suoi giorni, 415.

Gaeta, assediata e presa dalle armi imperiali, VII, 214.

Gaideriso, principe di Benevento, III, 808. Viene deposto,
824. Consegnato a' Franzesi, _ivi_. Va a Costantinopoli, dove
dall'imperadore Basilio è benignamente accolto, 825. Viene in Italia
governatore della città d'Oria, _ivi_.

Gaidolfo, o Gandolfo, duca di Bergamo, si ribella al re Agilolfo, II,
1084. Rimesso in sua grazia, 1085. È ucciso, 1112.

Gaina, Goto, generale de' Romani, II, 309, 326. Sue trame contro
di Eutropio primo ministro di Arcadio Augusto, 344. Sue astuzie,
_ivi_, 347, 348. E prepotenza, 351, 352. Medita l'occupazione di
Costantinopoli, 354. Sconfitto dal popolo di essa città, 355. Sconfitto
in una battaglia navale, fugge ed è ucciso, 356.

Gaiserio, _V._ Genserico.

Galasso, conte di Monfeltro, V, 246.

Galba (Servio, e non Sergio Sulpicio), creato console, poscia
imperadore, I, 96. Generale delle armi nella Germania, sua virtù, 145,
146. In Ispagna proclamato imperadore, 249, 250. Suo viaggio a Roma,
257. Quivi si scredita per alcune sue azioni, 259, 260. Sua debolezza,
263. È ucciso dai soldati, 265.

Galba (Caio), già console, si uccide, I, 107.

Galdino, arcivescovo di Milano, IV, 800. Si reca a Venezia in abito di
pellegrino, poi alla sua città, 813. Sua morte, 856.

Galeazzo Visconte, figlio di Matteo. Sue magnifiche nozze con Beatrice
Estense, V, 268. S'impadronisce di Bergamo, 273. Ramingo si rifugia
a Ferrara, 279. Podestà di Trivigi, 306. Fedele ad Arrigo VII re de'
Romani, 344. Vicario imperiale in Cremona, 356. Fa guerra ai Pavesi,
357. Vicario, poi signore di Piacenza, 368. La difende contro lo
sforzo de' vicini, 381. Si pacifica coi fuorusciti piacentini, 394.
Fa tornare in Francia Filippo di Valois. 413. Assedia Cremona, 422.
E se ne impadronisce, 424. Si fa proclamare signor di Milano, 428.
Perde Piacenza, _ivi_. Cacciato da Milano ne ripiglia il dominio,
430. Assediato in Milano dalle armi pontificie, 434. Suo trattato
per acconciarsi col papa, 440. Discordia fra lui e i parenti,
445. Imprigionato da Lodovico il Bavaro, 461. Liberato, termina
meschinamente i suoi giorni, 472.

Galeazzo II Visconte, esiliato da Lucchino, V, 552. Richiamato
dall'esilio, 609. Mandato in aiuto de' Pepoli, 614. Sue nozze con
Bianca di Savoia, 615. Succede in parte negli Stati di Giovanni suo
zio, 639, 649. Fa guerra a Pavia, 653, 666. Vengono a lui restituite
dal marchese di Monferrato Novara ed Alba, 668. Diviene padrone
di Pavia, 673. Ottiene una figlia del re di Francia per moglie di
Gian-Galeazzo, conte di Virtù, suo figlio, 667. Fonda la università di
Pavia, 682. Gli fa guerra il marchese di Monferrato, 683, 688. Assolda
il conte Lando colla sua compagnia, 689. Fa pace col suddetto marchese
di Monferrato, 697. Suo ritiro e sue fabbriche in Pavia, 701. Intima
guerra a Genova, 706. Dà per moglie a Lionetto d'Inghilterra una sua
figlia, 711, 712. Fa guerra sul Mantovano, 713. Fa pace col papa e
coll'imperadore, 718. Sua nuova guerra col marchese di Monferrato,
720, 725, 728. Va a Piacenza colle sue genti per impedire il passo
all'infedele conte Lucio e alla sua compagnia, 729. Indarno assedia
Asti, 731. Armata contro di lui spedita dal papa Gregorio XI, 735.
Proditoriamente gli è tolta Vercelli da Giovanni del Fiesco, vescovo di
quella città, 738. Ricupera gran parte delle castella a lui ribellatesi
sul Piacentino, 739. Perde anche la cittadella di Vercelli contro le
armi pontificie, 743. Gli si ribellano i Vigevanaschi, i Piacentini e i
Pavesi, 743. Emancipa il figlio Gian-Galeazzo, assegnandogli il governo
di Novara, Vercelli, Alessandria e Casale di Santo Evasio, _ivi_. Fa
pace col papa, che gli rilascia Vercelli, 751. Ultimo giorno di sua
vita, 765.

Galeazzo Maria Sforza, figlio di Francesco. Sua nascita, V, 1169.
Spedito dal padre a Firenze ad inchinare papa Pio II, 254. Succede al
padre nel ducato di Milano, VI, 20. Sua lega coi Fiorentini, 23. Sue
nozze con Bona di Savoia, 28. Sua ingratitudine verso la madre. 29.
Dà aiuto a Roberto Malatesta, 33. Va a Firenze con pazzo sfoggio di
magnificenza, 41. Fa lega coi Veneziani. È ucciso dai congiurati, 54.

Galeazzo Malatesta, signore di Pesaro V, 1167, 1174.

Galeno, medico famoso ai tempi di Marco Aurelio, che lo lascia in Roma,
I, 556, 591.

Galeotto Malatesta, s'impadronisce di Ascoli, V, 605. Fatto prigione
dalle genti della Chiesa, 647. Generale de' Fiorentini, 695. Dà una
rotta ai Pisani e Inglesi, 699. Sua morte, 811.

Galeotto Pico signor della Mirandola, VI, 23.

Galeotto de' Manfredi, signori di Faenza, VI, 59. È Ucciso per ordine
della moglie, 101.

Galerio (Caio Valerio Massimiano), adottato e creato Cesare da
Massimiano Augusto, I, 1027. Gli Vengono assegnate le provincie di
Tracia, Illirico, Macedonia, Pannonia e Grecia, 1028. Sua estrazione,
e suoi costumi, 1030, 1031. Dà il nome di Valeria ad una provincia
della Pannonia, 1036. Sconfitto dai Persiani, 1042. Reca la nuova di
ciò a Diocleziano, da cui è ricevuto sgarbatamente, con isprezzo ed
alterigia, _ivi_. Raunato un nuovo esercito dà a' Persiani stessi una
gran rotta, 1043. Gli viene chiesta la pace da Narse, re di quelle
genti, 1044. Diviene insolente per questo, 1045. Sua persecuzione
contro i Cristiani, 1054. Sforza Diocleziano a deporre la porpora,
1061. Vien dichiarato Augusto, 1063. Ripartizione dell'impero fatta
tra lui e Costanzo Cloro, 1064. Provincie a lui toccate, _ivi_. Odia
Costantino, 1066. Lo spedisce contro i Sarmati, 1067. Costantino fugge
da lui, 1068. Suoi vizii ed iniquità, 1075. Marita con Massenzio una
sua figlia, 1077. Sedizione in Roma contro di lui per gli aggravi che
intendevale imporre, _ivi_. Manda contro Massenzio Severo Augusto,
1082. Cala in Italia con poderoso esercito, 1083. Suo infelice
tentativo contro Roma, 1083, 1084. Sua rapacità, 1095, 1096. È preso da
una fetente infermità, 1096. Termina l'odiata sua vita, 1099.

Galileo Galilei, ritratta la opinione di Copernico del moto della
terra, VI, 1065. Sua morte, 1118.

Galla, figlia di Valentiniano I, moglie di Teodosio I Augusto, II, 263,
270, 302. Sua morte, 309.

Galla Placidia, figlia di Teodosio I Augusto. _V._ Placidia (Galla.)

Galla, uomo scelleratissimo, III, 263. Dopo che il suo popolo uccise
Deusdedit doge di Venezia, si porta a Malamocco, e ne usurpa il dogado,
_ivi_. Gli sono cavati gli occhi, e deposto, 267.

Gallicano (Ovinio), prefetto di Roma, I, 1138.

Gallieno (Publio Licinio), dichiarato Cesare ed Augusto da Valeriano
suo padre, I, 878, 880. Sua vittoria contro i Germani, 884. Sue
imprese al Reno, 885. Non cura la prigionia del padre, 898. Resta solo
imperadore, 899. Sue buone qualità, 901. Guerreggia contra Postumo,
915. Suo ridicolo trionfo, 916. Dà il titolo di Augusto ad Odenato
Palmireno, 922. Rifà le mura di Verona, 924. Suo screditato governo,
924, 925. Va ad Atene, e sua crudeltà, 931, 932. Fine di sua vita, 934.

Gallieno juniore, figlio di Gallieno Augusto, I, 900.

Gallione (Giulio), senatore Romano, I, 94.

Gallispani, passato il Varo, prendono Nizza e Villafranca, VII, 536.
Passano nella valle di Demont, ed assediano Cuneo, 538. Sciolgono
l'assedio, 540. Acquistano Tortona, Piacenza e Parma, 560, 561.
E Pavia, 562. Sloggiano da Bassignana l'armata del re Sardo, 563.
S'impadroniscono di Valenza e Casale, 565, 566. Entrano in Milano,
567. Forzati ad abbandonarlo, 573. Lor battaglia sotto Piacenza cogli
Austriaci, 585. Entrano in Lodi, 589. Si ritirano di qua dal Po, 595,
596. Battaglia fra essi e gli Austriaci al Vidone, 596. S'inviano verso
Genova, 599. E poi verso Nizza, _ivi_.

Gallo (Cestio), governatore della Soria, I, 244.

Gallo (Annio), generale di Vespasiano, I, 269.

Gallo (Caio Freboniano), generale dei due Decii, I, 867. A lui imputata
la loro morte, 869. Proclamato imperadore, 871. Sua vergognosa pace
coi Goti, 873. Il suo molle governo lo fa disprezzar dalla gente, e
incoraggisce i Barbari ad assalire e malmenare le provincie romane,
874, 875. Va contro Emiliano usurpatore, 875. È ucciso col figlio
Volusiano, 876.

Gallo (Flavio Costanzo), figlio di Costanzo. Come preservato dalla
morte, I, 1222. Creato Cesare da Costanzo Augusto, II, 43. Sue azioni
nel governo dell'Oriente, 53. Disgustato di lui Costanzo pe' suoi
cattivi portamenti, 60. Richiamato in Italia, 63. Sua morte, 66.

Gamenolfo, vescovo di Modena, III, 931.

Gandolfo, duca di Bergamo, _V._ Gaidolfo.

Gandolfo vescovo di Reggio, IV, 421.

Gano: conghiettura intorno all'origine di questo vocabolo usato dai
romanzisti franzesi e italiani, III, 687.

Garamanno, duca, messo di Carlo Magno, III, 353.

Garibaldo, primo duca di Baviera, II, 968. Non vuol riconoscere la
sovranità de' re franchi, 1028. Padre della regina Teodelinda, 1067.
Abbattuto dai Franchi, 1068, 1097.

Garibaldo II, duca di Baviera, II, 1140.

Garibaldo, duca di Torino, II, 1273.

Garibaldo, figlio del re Grimoaldo, III, 39.

Garibaldo, vescovo di Bergamo, III, 765.

Gariberto, arcivescovo di Milano, III, 1010.

Garsenda, contessa, moglie di Azzo II marchese di Este, eredita il
principato del Maine, IV, 339. Sua morte, 360.

Gastone, ossia Castone, comunemente Cassone dalla Torre, arcivescovo
di Milano, V, 322. Imprigionato da Guido dalla Torre suo parente, 329.
Pace fra lui e i Visconti, 338.

Gastone di Fois, duca di Nemours: suo valore, VI, 264. Creato
governator di Milano, 270. Libera Bologna dall'assedio, 275. Riacquista
e saccheggia Brescia, 278. Assedia Ravenna, 280. Sua battaglia contro
gli Spagnuoli, e vittoria, 284. È ucciso, _ivi_.

Gaudenti, frati, ordine militare, V, 32.

Gaudenzio, figlio di Aezio, II, 572. Condotto in ischiavitù dal re
vandalo Genserico, dopo la presa di Roma, 580.

Gaudenzio, vescovo di Velletri, III, 715.

Gebeardo, arcivescovo di Ravenna, IV, 167. Dallo imperadore Corrado II
è investito del contado di Faenza, 181. Ne cede la metà ad Ugo conte di
Bologna, _ivi_. Sua morte, 223.

Gebeardo, vescovo di Auhstet poscia papa Vittore II, IV, 259. Eletto
papa, 269. _V._ Vittore II.

Gebeardo, vescovo di Ratisbona, IV, 275.

Gebeardo, vescovo di Costanza, IV, 462. Legato di papa Pasquale II alla
dieta di Magonza, conferma la scomunica contro l'imperadore Arrigo, V,
504.

Gelasio papa. Sua elezione, II, 709. Suo decreto intorno ai libri
sacri, 720. Termina i suoi giorni, 724.

Gelasio II papa. Sua elezione, 560, 561. All'arrivo di Arrigo V
Augusto a Roma fugge, 561. In Capoa scomunica l'imperadore e l'antipapa
Burdino, 564. Ritorna secretamente a Roma, 564. Assalito dai Frangipani
mentre canta messa nella chiesa di santa Prassede, è difeso dagli altri
nobili e da Crescenzio suo nipote, _ivi_. Trova maniera di fuggire,
565. Perviene a Pisa, _ivi_. Passa a Genova, _ivi_. Va in Francia,
_ivi_. Instituisce l'arcivescovato di Pisa, 566. Termina i suoi giorni,
569.

Gelimere, in Africa, fa imprigionare il re Ilderico, II, 838. Sprezza
le ambasciate a lui spedite da Giustiniano Augusto, 846. Contra di
lui spedito Bonifazio da esso Augusto, 849. Sconfitto fugge, 851. Si
arrende ed è ben trattato da Giustiniano, 853.

Gelio (Aulo), scrittore a' tempi di Marco Aurelio, I, 591.

Geminiano (San), vescovo di Modena, II, 561. Traslazione del suo corpo,
IV, 507.

Geminiano II, vescovo di Modena, III, 254.

Generido, generale d'Onorio, II, 396.

Geniale (Flavio), prefetto del pretorio sotto Giuliano, I, 641.

Gennadio, vescovo di Costantinopoli, II, 604.

Gennadio (Avieno), console sotto Odoacre, II, 703.

Gennadio, continuatore del Trattato di san Giromo degli scrittori
ecclesiastici, II, 703.

Genova, saccheggiata e rovinata dai Franchi, II, 883. Presa e
saccheggiata dai Longobardi, 1229. Saccheggiata dai Mori, III,
1064. Epoca in cui comincia a far figura ed acquistarsi nome, IV,
76. Si ribella a Lodovico XII re di Francia, VII, 222, 224. Che la
ricupera, 224. Papa Giulio II tenta di farla nuovamente ribellare al
re Cristianissimo, 257. Assediata, ma indarno, dallo stesso papa, 258.
Si solleva contro i Franzesi, 289. Torna sotto il loro dominio, 302.
Loro è tolta dai Cesarei, e saccheggiata, 386. Torna sotto Francesco
re di Francia, 447. Andrea Doria la rimette in libertà, 462. Ricupera
Savona, _ivi_. Congiura di Gian-Luigi Fieschi per impadronirsene, 579.
Sollevazione de' popolari contro i nobili, 766.

Genovesi: cacciano i Mori dalla Sardegna, IV, 116, 131. Lor vittoria
de' Tunisini, 434. Mandano soccorsi in Terra Santa, 483. Cominciano la
guerra contro i Pisani, 574. La continuano, 578, 584. La loro quistione
a cagione dei vescovati della Corsica, portata a Roma, 587. Decisa
dal papa Callisto II a favore d'essi, 588. Continuano la guerra contro
i Pisani, 590, 596, 610. Eretta la lor chiesa in arcivescovato, 620.
Fan guerra ai Saraceni in Minorica e ad Almeria, 684. Conquistano sui
Saraceni stessi Almeria, 690. Loro pace col re di Sicilia, 738. Loro
accordo con Federigo Augusto, 751, 780. Fanno guerra ai Pisani, 783,
795, 799, 813, 819, 824. Loro leghe contro i Pisani, 828, 836. Pace
rimessa fra loro da Federigo I, 849. Di nuovo tornano alla guerra,
906. Prestano aiuto ad Arrigo VI imperadore, 924, 936. Vengono alle
mani coi Pisani, 938. Burlati dal suddetto Augusto, 941. Tornano a
guerreggiar contro i Pisani. 944, 948. A' quali tolgono Siracusa,
986. In guerra coi Veneziani, 1001. Pace fra loro, 1036. Beffati da
Federigo II Augusto, 1050. Lor baruffa coi Pisani in Accon, 1058.
Ricuperano Savona ed altri luoghi, 1081. Giurano fedeltà a Federigo
II, e poi fan lega contra di lui, 1152, 1153. Lor flotta vinta da
quella di Federigo colla presa di molti prelati, 1167. Valorosamente si
difendono da Federigo, 1175. Indarno assediano Savona, 1181. In fine
la ricuperano, 1224. Fan guerra coi Pisani, 1258, 1259. Sconfitti da
essi e dai Veneziani, 1273, 1274. Uniti coi Greci contro i Latini, e
però scomunicati da papa Urbano IV, V, 31. Lor guerra coi Veneziani,
63, 71. Guerra civile fra essi, 89. Tentativi di Carlo I re di Sicilia
per assoggettarseli, 99. Valorosamente si difendono contro la sua
prepotenza, 102, 108. Sorge guerra fra loro e i Pisani, 159, 165.
A' quali danno delle terribili sconfitte, 128, 182, 192. Principio
della lor guerra co' Veneziani, 226. De' quali sconfiggono la flotta,
232. Lor guerra civile, 241, 246. Memorabile rotta da loro data ai
Veneziani a Curzola, 256. Pace fra essi, 263, 264. Lor guerre civili,
306, 331, 334. Dominio della lor città data ad Arrigo VII re de'
Romani, 148. Risorge la guerra fra i cittadini, 381, 386, 387, 392.
Prendono per loro signori il re Roberto e papa Giovanni XXII, 400. I
Lombardi e i fuorusciti assediano quella città, _ivi_. Si continua
l'assedio, 403, 414. Scioglimento d'esso, 436. Guerra loro fatta
da' Catalani, 503. Tolgono il dominio della lor città al re Roberto,
528. Creano a primo lor doge Simone o Simonino Boccanegra, 549. Nuove
loro discordie, 576, 581. S'impadroniscono di Scio, 587. S'accende la
guerra fra essi e i Veneziani, 617. Prendono e bruciano Negroponte,
624. Continuano la guerra coi Persiani, _ivi_, 625. Formidabil
battaglia navale fra loro, 627. Assediano Costantinopoli, 628. Grave
sconfitta loro data dai Veneziani e Catalani, 631. Prendono per loro
signore Giovanni Visconte, 632. Riportano una riguardevol vittoria
sui Veneziani, 641. Pace vantaggiosa da lor conchiusa co' Veneziani,
651. Prendono Tripoli, _ivi_. Nuova guerra coi Veneziani a cagion
di Cipri, 735. S'impadroniscono di quell'isola, 741. Onde nata una
fierissima guerra fra essi e i Veneziani, 767. Danno una rotta alla
flotta di essi Veneziani, 771. Loro alterigia nella buona fortuna, 772.
S'impadroniscono di Chioggia picciola, _ivi_. Danno un furioso assalto
alla città di Chioggia, _ivi_. Se ne impadroniscono, _ivi_. La danno
a sacco, _ivi_. Prendono Loreo, Malamocco ed altri luoghi, _ivi_. Son
ristretti in Chioggia, 774. La rendono cd presidio prigioniero, 778.
Pace fra essi e i Veneziani, 784. Perdono Savona, 843. Lor civili
discordie, _ivi_, 857, 861. La lor città è data a Carlo VI re di
Francia, 871. Sorgono fra loro nuove turbolenze, 878. Entra la peste
nella lor città, 879. Seguitano le turbolenze fra loro, 883, 896. Lor
battaglia navale co' Veneziani, da' quali sono rotti, 917. Riconoscono
per papa Pietro di Luna, 926. Il quale si porta nella loro città, 934.
Acquistano Sarzana, 949. Si sollevano contro di Bucicaldo, lo uccidono,
e si levano dalla soggezione de' Franzesi, 866, 867. Danno una rotta
a' Provenzali, 971, 972. Cacciano il marchese di Monferrato, 989. Lor
guerre civili, 993, 1000, 1001. Sottomessi a Filippo duca di Milano,
1038. Lor grande armamento per mare, 1049. Loro fatti in aiuto della
regina Giovanna, 1053. Guerra loro mossa dai Catalani, 1060. Danno
una rotta ai Fiorentini, 1083, 1084. Sconfiggono e fan prigione il re
Alfonso, 1115. Si ribellano al duca di Milano, 1116. Loro fa guerra il
re Alfonso, 1242, 1245, 1246. Si danno a Carlo VII re di Francia, 1248.
Lor guerra contra i fuorusciti, condotti da Pietro da Campofregoso,
1256. Si ribellano ai Franzesi, 1264. E li mettono in rotta, 1265,
1266. Si sottomettono a Francesco Sforza, VII, 12. Si ribellano al
duca di Milano, 63. Guerra civile tra essi, 73. Perduta Sarzana, si
sottomettono al duca di Milano, 98. A lui fedeli, scacciano i Franzesi,
134. Si sottomettono a Lodovico XII re di Francia, 157. Contra di
essi collegato il duca di Savoia coi Francesi, 995, 999. Congiura di
lui scoperta, 1000. Aiutati dal governator di Milano, _ivi_, 1002.
Ricuperano il perduto, 1003. Fanno pace col duca di Savoia, 1008.
Nuova guerra col duca di Savoia, 1265. La loro città maltrattata dalle
bombe franzesi, VII, 53. Con dure condizioni rimessi in grazia del
re franzese, 56. Comperano il Finale di Spagna dall'imperadore, 255.
Loro si ribella la Corsica, 354. Colà spediscono le truppe cesaree,
363. Pace e nuova rottura coi Corsi, 371, 404. Ottengono truppe di
Francia contra i ribelli, 440, 452. A cagione del trattato di Worms
aderiscono ai re di Spagna e Francia, 557. Acquistano Serravalle,
559. Loro costernazione in trovarsi abbandonati dai Gallispani, 602.
Trattano coi generali Austriaci, 605. Accordano di dare due porte della
città agli Austriaci, 606. Capitolazione con essi, _ivi_. Contribuzione
di tre milioni di genovine loro imposta dal generale austriaco 608.
Avanie lor fatte dai Tedeschi, 620. Principio di sollevazione nella
lor città contra i Tedeschi, 621. Questa va maggiormente crescendo,
625. Tutti danno alle armi, e ne scacciano gli Austriaci, 627, 628. I
quali si ritirano in Lombardia, 629. Indarno tentano di dar soccorso al
castello di Savona, 633. Animati dalla protezione che d'esse prendono
le corti di Francia e Spagna, 653. Dalle quali ricevono rinforzi di
gente, danaro e munizioni, 655. Contro la lor città procede lo esercito
austriaco, 657. Inutil chiamata di sottomettersi fatta lor dal generale
nemico, 657, 658. Loro imprese militari in difesa della città, 662,
663. Ritiransi infine gli Austriaci da quello assedio, 668. Gravissimi
danni da loro patiti, 670. Nella pace d'Aquisgrana restituiti loro
tutti gli Stati che da prima possedevano, 690, 696. Lor gloria fra
tante sciagure, 709, 710.

Genserico, ossia Galserio, o Giserico, re de' Vandali in Ispagna, II,
466. Fa lega con Bonifazio conte contro l'imperadore Valentiniano III,
469. Sue qualità, 472. Occupa la Mauritania, _ivi_. Dopo una sconfitta
data a Bonifazio conte, assedia Ippona, 477. E se ne impadronisce,
480. Fa pace coll'imperadore 491. Perseguita i Cattolici, 496. Con
tradimento occupa Cartagine, 503. Seguita sfogare il suo odio contro i
vescovi e il clero cattolico, 508. Infesta la Sicilia, _ivi_. Sua nuova
pace con l'Augusto Valentiniano, 516. Sue crudeltà, 550, 551. Muove
Attila contro i Visigoti, 551. Chiamato da Eudossia Augusta a Roma, la
prende e saccheggia, 578, 579. Seguita a perseguitare i Cattolici, 588.
Infesta la Sicilia ed altre contrade romane, _ivi_. Va a saccheggiare
l'Illirico e il Peloponneso, 595. Manda le sue genti a radere quel
poco che restava nella tante volte spogliata Campania, 598. Occupa
tutta l'Africa, 601. Rende vani gli Sforzi di Majoriano Augusto, 602.
Dopo la morte di Majoriano porta colle sue flotte l'eccidio in varii
luoghi d'Italia, 610. Seguita ad infestare i lidi dell'imperio, 624.
Fa sventare la grandiosa spedizione fatta contra di lui da Leone ed
Antemio Augusti, 628, 629, 630. Termina i suoi giorni, 668.

Gentile da Mogliano, signor di Fermo, V, 633. Cede quella città al
cardinal legato Egidio Albornoz, 636. La ripiglia, 646.

Gepidi, sconfitti da Teoderico re degli Ostrogoti, II, 699. Presi
al servigio, ed inviati di presidio nelle Gallie, 781. Lor nazione
quasi annientata dai vittoriosi Longobardi, 934. Gli Unni vengono ad
accostarsi ad essi, 972. Lega fatta da Alboino re dei Longobardi per
abbatterli, 985. 986. La lor nazione resta disfatta, 987.

Geraldo I o Gerardo duca di Spoleti, III, 505, 506, 531.

Gerarchia ecclesiastica: suo ordine stabilito dagli Apostoli, e
regolato dai concilii generali, III, 28.

Gerberto, abbate di Bobbio, III, 1203. Creato arcivescovo di Rems,
1275; IV, 9. Deposto, ricorre ad Ottone III, 11. Creato arcivescovo di
Ravenna, 30. Poscia papa, _V._ Silvestro II.

Germani: lor guerre coi Romani, I, 17, 21. Strage da lor fatta delle
legioni di Quintilio Varo, 29, 30.

Germaniano, prefetto del pretorio delle Gallie, II, 148.

Germanico, figlio di Claudio Druso, adottato da Tiberio suo zio
paterno, I, 15. Sue imprese nella guerra contro i Dalmatini, 23, 24.
E in Germania, 33. Dalla Gallia corre in Germania per calmare una
sedizione dei soldati romani alla morte di Augusto, 45. Lo vogliono
eleggere imperadore: sua costanza nel rifiutare, 45, 46. Vittorie da
lui riportate, 51. Generale in Oriente, 54, 55, 56. Suo viaggio in
Egitto, 57. Fine di sua vita, 58. Portate a Roma le di lui ceneri, 61.

Germano, vescovo di Capoa, II, 780.

Germano, nipote di Giustiniano Augusto, sposa Malasunta Gota, II, 889.
Spedito generale delle armi verso l'Italia, 926, 928. Rapito dalla
morte, 929.

Germano, patriarca di Costantinopoli, III, 150. Deposto da Leone
Isauro, 185.

Geronzio, comandante delle milizie romane nella piccola Tartaria fa
tagliare a pezzi molti barbari che tentavano una sedizione, II, 263.
Per questo a furia di regali soltanto scappa la vita, _ivi_.

Geronzio, generale di Costantino tiranno, II, 380. Proclama imperadore
Massimo in Ispagna, 409. Sue imprese nella Gallia, _ivi_. Si uccide,
411.

Gerusalemme, assediata da Tito Cesare, I, 289. Immensi guai, e sua
presa, 290, 291. Chiamata Elia Capitolina da Adriano Augusto, 440,
464. Presa e distrutta da Cosroe re di Persia, II, 1154. Ricuperata dai
Cristiani, IV, 482. Presa da Saladino, 902.

Gesuiti, cacciati di Francia, VI, 851.

Geta (Osidio), sconfigge i Mauritani, I, 148.

Geta (Lucio), prefetto del pretorio, I, 173. Deposto, 184.

Geta (Publio Settimio), che fu poi imperadore, figlio di Severo, I,
653. Domande che fa al padre ed al fratello, riguardate come predizione
di ciò che poi gli accadde, 682. Si dà in preda ai vizii, 700. Gara
di lui col fratello Caracalla, _ivi_. Creato console ed imperadore,
705. Va col padre in Bretagna, 706. Insidie a lui tese dal fratello,
712. Diffidenza insorta fra loro, 715. Trattano insieme di dividere
l'imperio, 716. Viene ucciso da Caracalla, 717.

Geta (Publio Settimio), fratello di Severo Augusto, I, 690, 693. Sua
morte, 694.

Getulico (Gneo Lentolo), generale di Tiberio, si salva dai suoi
processi, I, 102. Fatto morire da Caligola, 129.

Ghello da Calisidio, ribella Cesena alla Chiesa, V, 512

Gherardino Spinola, signor di Lucca, V, 492. Assediato da' Fiorentini,
499. Perde il dominio di quella città, _ivi_.

Gherardo, cardinale, governatore di Benevento, IV, 604. Spedito in
Germania, 638, 654.

Gherardo, vescovo di Firenze, eletto papa col nome di Niccolò II, IV,
286. (_V._ Nicolò II.)

Gherardo, o Geraldo, vescovo d'Ostia, IV, 359. Imprigionato, 379.

Gherardo, arcivescovo di Ravenna, IV, 829, 881. Va in Levante, 909.

Gherardo degli Scannabecchi, vescovo di Bologna, IV, 934.

Gherardo, cardinale di Sant'Adriano, IV, 983.

Gherardo Bianco da Parma, cardinale, V, 150, 169, 189.

Gherardo da Camino, signor di Trivigi, V, 232.

Gherardo d'Appiano, signor di Pisa, V, 881, 882. Vende quella città al
duca di Milano, 886.

Gherardo, vescovo d'Aleria, V, 467.

Ghiberto da Correggio, _V._ Giberto.

Ghibellini, _V._ Guelfi e Ghibellini.

Giacinto, cardinale di Santa Maria della scuola greca, IV, 743.

Giacomo, figlio di Pietro re d Aragona e Sicilia, V, 177. Creato re
d'essa Sicilia, 181. Sua coronazione, 183. Sua gran vittoria sulla
flotta napoletana, 189. Assedia Gaeta, ed è assediato, 199, 200.
Esibizioni delle sue forze al papa Niccolò IV per rientrare in grazia
della Chiesa cattolica, 211. Succede al fratello nel regno di Aragona,
215. Suo accordo con Carlo di Valois, 235. Sua venuta a Roma, 248.
A lui si unisce Ruggieri di Loria, 249. Fa guerra a Federigo suo
fratello, 260.

Giacomo d'Aragona, preso per marito da Giovanna regina di Napoli, V,
690. Viene in Italia, e scontento se ne parte, 696. Rimane prigione
nella guerra in Ispagna, 704. Riscattato dalla regina sua moglie,
_ivi_. Torna povero in Italia, _ivi_.

Giacomo I, figlio dell'infelice Maria Stuarda re di Inghilterra, VI,
815, 902. Sua pace col re di Spagna, 906. Sua morte, 998.

Giacomo II, re d'Inghilterra, succede al re Carlo II suo fratello, VII,
56. È detronizzato dal principe d'Oranges, 76. Sua morte, 288.

Giacomo III, re cattolico d'Inghilterra. Sua nascita, VII, 75.
Suo matrimonio, 288. Dal papa Benedetto XIII gli è accresciuto il
patrimonio, 326. Sua discordia colla moglie, _ivi_. Si riunisce, 336.
Resta vedovo, 407.

Gian-Antonio Orsino, principe di Taranto. A lui fa guerra la regina
Giovanna, V, 1111. Resta prigione de' Genovesi, 1115. Varia sua
figura nella guerra del regno di Napoli, 1123, 1147. Sua discordia
col re Ferdinando, 1255. Si dichiara del partito angioino, 1261. Sua
doppiezza, 1263. Fa pace col re Ferdinando, 1272. Fine de' suoi dì,
1278.

Gian-Francesco Gonzaga, signore di Mantova, V, 951. Collegato co'
Veneziani contro il duca di Milano, 1065, 1071. Generale de' Veneziani,
1097. Creato marchese, da Sigismondo imperadore, 1102. Diffidenze di
lui in Venezia, 1124. Va al servizio del duca di Milano, 1133. Nella
pace fra i Veneziani e il duca di Milano è costretto a cedere molti
luoghi da lui acquistati, 1153. Termina la sua vita, 1172.

Gian-Francesco II Gonzaga, marchese di Mantova, succede ai padre suo
Federigo, VI, 85. Sue nozze con Isabella Estense, 107. Generale della
lega contro Carlo VIII, 132. Battaglia fra lui e il re franzese al
Taro, _ivi_. Mandato in soccorso al re di Napoli, 137. E de' Pisani,
149. Generale di Luigi re di Francia, 209. Si ritira, _ivi_. Capitan
generale dell'esercito pontifizio, 219, 220. Entrato nella lega di
Cambrai, assale i Veneziani, 234. Da' quali è fatto prigione, 245.
È liberato per interposizione di papa Giulio II, 256. Dà fine al suo
vivere, 357.

Gian-Francesco Pico, conte della Mirandola, celebre letterato, sua
apologia di fra Girolamo Savonarola, VI, 152. Spedito da Giulio II allo
Sciomonte generale franzese a trattar seco lui di pace, 259. Entra
in possesso della Mirandola, 262. La perde di nuovo, 267. Odiato dal
popolo si ritira in Toscana, _ivi_.

Gian-Galeazzo Visconte sposa Isabella figlia del re di Francia, V,
677. Perchè chiamato conte di Virtù, 678. Morte di sua moglie, 734. E
di un figlio, 738. Emancipato dal padre, 743. Suo accordo col marchese
di Monferrato, 757. Succede a Galeazzo II suo padre, 765. Occupa Asti,
765. Sue nozze con una figlia di Bernabò suo zio, 781. Sua ipocrisia,
806. Imprigiona Bernabò, e s'impadronisce delle sue città, 807. Muove
guerra ad Antonio dalla Scala, 821. Lo spoglia di Verona e di Vicenza,
822. Marita Valentina sua figlia a Lodovico duca di Turena, 823.
Collegato co' Veneziani, 826. S'impadronisce di Padova, 828. Sua finta
lega co' principi italiani, 831. Muove guerra a Bologna, 837. Gli è
tolta Padova, 839. Guerra a lui fatta da' collegati, 844, 845. Sua
vittoria sul conte d'Armagnacco, 846. Fa guerra ai Fiorentini, 848.
Fa tregua co' collegati, 849. Nuova lega di potentati contro di lui,
850. Creato duca di Milano, 865. Muove guerra al signore di Mantova,
873. Sua vittoria de' collegati, 875. Grande sconfitta a lui data
da' collegati, 877. Più di prima continua la guerra, _ivi_, 878. Fa
tregua, 880. Acquista Pisa, 886. Siena, _ivi_. Poi Perugia ed Assisi,
894. Guerra a lui mossa da Roberto re de' Romani, 902. Il fa tornare
in Germania con poco onore, 903, 904. Dà una rotta ai Bolognesi, e
s'impadronisce della loro città, 909. Sua morte, 910, 911. Sua potenza
e suo funerale, 911.

Gian-Galeazzo de' Manfredi, signore di Faenza, V, 971. Sua morte, 1004,
1014.

Gian-Galeazzo Maria Sforza duca di Milano, succede al padre, VI, 55,
67, 71. È sforzato dallo zio Lodovico il Moro di assumere il governo,
quantunque di anni dodici, 73. Dominio a lui usurpato dallo stesso
Lodovico il Moro, 86. Se gli sottomettono i Genovesi, 98, 102. Sue
nozze con Isabella d'Aragona, 104. Misero fine dei suoi giorni, 120.

Gian-Giorgio, marchese di Monferrato, VI, 487. Suo matrimonio, 498. Sua
morte, e fine della sua famiglia, 409.

Gian-Jacopo, marchese di Monferrato, V, 1016. Muove guerra a Filippo
Maria duca di Milano, 1067. Fa lega coi Veneziani e Fiorentini per far
guerra allo stesso duca di Milano, 1091. Da cui è spogliato de' suoi
Stati, 1091, 1092. Li ricupera, ma con difficoltà, 1098. Fine dei suoi
giorni, 1177.

Gian-Maria Visconte, duca di Milano, succede al padre Gian-Galeazzo,
V, 911. Gli fanno guerra il papa e Fiorentini uniti, 913. Fa pace con
essi, 915. Sua crudeltà verso la madre, 923. Prende per suoi difensori
nella guerra contro Facino Cane i Malatesti, 958. Suo tumultuante
governo, 965. Ucciso da' congiurati, 980, 981.

Giannozzo Manetti, insigne letterato: sua morte, V, 1259.

Giano (tempio di) chiuso da Vespasiano imperadore, I, 294.

Giano, re di Cipri, a lui fanno guerra i Genovesi, V, 916.

Giano da Campofregoso, doge di Genova, V, 1195. Sua morte, 1206.

Giapponesi venuti a Roma, VI, 799. Assistono alla incoronazione di papa
Sisto V, da cui ricevono ogni possibile onore, 804. Partono da Roma
regalati ed onorati pel loro paese, _ivi_.

Giberto da Correggio, proclamato signore di Parma, V, 288. Tradisce
Alberto Scotto, 294. Alcuni nobili parmigiani, ad istigazione del
marchese Azzo, d'Este tentano di deporlo dalla signoria, 298, 299. Per
questo, collegatosi coi Bolognesi, Veronesi e Mantovani, fa guerra al
marchese d'Este suddetto, 299. Gli fa ribellar Modena e Reggio, 302.
Congiura contro di lui scoperta, 311, 312. È cacciato da Parma, 321. Vi
rientra, _ivi_. Va colle truppe di Parma sotto Brescia in aiuto del re
Arrigo VII, al quale dona la corona di Federigo II Augusto, 346. Creato
vicario di Parma, 347. Ribella quella città al re Arrigo VII, 349.
Da cui è processato, 363. Difende Cremona, 385, 386. Si fa proclamare
signor di Cremona, 390. È cacciato da Parma, _ivi_. Ottiene ottocento
cavalieri dal re Roberto di Napoli, co' quali va contro Parma, _ivi_.
Fa la pace, ed è rimesso in città, 394. Capitano di mille cavalieri
va alla volta di Brescia e combatte per essa i fuorusciti, 407, 408.
Con questa gente occupa e dà al sacco Cremona, 408. Se ne fa padrone,
_ivi_. Muore, 422.

Gilberga, vedova del re Carlomanno, si rifugia presso il re Desiderio
co' figli, III, 307.

Gilberto conte. Sua congiura contro Berengario III, 1010. Preso e
bastonato, è condotto a questo principe, che gli rimette la colpa,
1012. Va in Borgogna, e fa calare in Italia Rodolfo II, _ivi_.
Intercede dal suddetto Rodolfo al vescovo e a' cittadini di Bergamo di
poter fortificare la loro città, 1014, 1015.

Gildone conte, governatore dell'Africa, II, 308. Suoi enormi vizii,
332. Sua ribellione, 333. Sconfitto ed ucciso dall'armi di Onorio
Augusto, 338.

Gioachino abbate del monistero Florense, in concetto di profeta, IV,
919.

Gioiosa (Francesco cardinale di), conchiude l'accordo di papa Paolo V
co' Veneziani, VI, 917, 918.

Giona, monaco e scrittore, quando fiorisse, II, 1167.

Giona, vescovo d'Orleans, difensore delle sacre immagini, III, 559.

Giordano, storico, corrottamente chiamato Giornande, II, 364. Storico
de' Goti, 937.

Giordano, vescovo di Segna, III, 296.

Giordano I, principe di Capoa, IV, 310, 311. E duca di Gaeta, 316.
Difende Aquino, 324. Succede al padre, 386. Prende l'investitura del
suo principato da Arrigo IV imperadore, 415. Sua morte, 446.

Giordano II, principe di Capoa, succede in quel ducato al nipote
Riccardo III, IV, 577. Fine del suo vivere, 601.

Giordano da Clivi, arcivescovo di Milano. Sua elezione, IV, 537. Vince
la lite con Grossolano, 550. Sua prepotenza, 567, 568. Accoglie papa
Callisto II, 575.

Giordano Orsino, cardinale, V, 1067.

Giorgio, patriarca di Costantinopoli, III, 62.

Giorgio, vescovo di Porto, III, 131.

Giorgio, capo del popolo di Ravenna, sollevato contro Giustiniano II,
III, 134.

Giorgio, vescovo di Palestrina, III, 289.

Giorgio, arcivescovo di Ravenna, III, 611. Suo viaggio in Francia, 621.
Fatto prigione, perde il suo tesoro, _ivi_.

Giorgio, patrizio, generale de' Greci nel ducato di Benevento: suo
privilegio, III, 892. Indarno assedia Capoa, _ivi_. E poi tenta
Salerno, 897. Vien cacciato da' Beneventani, 918.

Giorgio, abbate di Subiaco, III, 1179.

Giorgio Adorno, doge di Genova, V, 989. Contro di lui si sollevano i
popolari ghibellini, 993. È deposto, 1000.

Giorgio degli Ordelaffi, signore di Forlimpopoli, V, 970, 989. Entra in
Forlì con due mila pedoni, e ne prende possesso, 977. Gli è macchinata
la vita ed il comando dal fratello Antonio, _ivi_. Sua morte, 1042.

Giorgio Benzone, signor di Crema, V, 1066.

Giorgio d'Ambosia, arcivescovo di Roano, creato cardinale, VI, 148.
Va con somma fretta a Roma alla morte di papa Alessandro VI per somma
voglia della tiara, 202. Restano deluse le sue ambiziose speranze,
_ivi_. Va a Cambrai per trattar della lega contro i Veneziani, 229.

Giorgio Castriota, detto Scanderbech, viene nel regno di Napoli, V,
1268.

Giorgio Lodovico, duca ed elettore di Brunsvich, dichiarato re
d'Inghilterra, VII, 262. Sua lega coll'imperadore, e rotta data dalle
sue armi alle navi spagnuole, 284. Sua morte, 332.

Giorgio II, succede al padre nel regno d'Inghilterra, VII, 332. Fa pace
e lega colla Spagna, 341. Sua battaglia co' Franzesi a Dettingen, 522.
Promuove la spedizione degli Austro-Sardi in Provenza, 614.

Giornande, storico, _V._ Giordano.

Giovan-Gaetano degli Orsini, solo cardinale italiano negli otto primi
creati da papa Giovanni XXII, V, 387. Mandati dallo stesso papa a suo
legato in Toscana, 455. Non è ricevuto in Roma, 464. S'impadronisce
di San Pietro e della città Leonina: da dove n'è poi cacciato, 464.
Ricupera pel papa la Marca d'Ancona ed il Patrimonio, 492.

Giovanna, nipote del re Roberto, promessa in moglie ad Andrea figlio
del re d'Ungheria, V, 516. Succede all'avolo nel regno di Napoli, 569.
A lei imputata la morte di Andrea suo marito, 577. Sposa Luigi principe
di Taranto, 589. Fugge in Provenza, all'arrivo del re d'Ungheria, 598.
Vende Avignone al papa, 601. Ricupera Napoli, 602. Suo accordo col re
d'Ungheria, 619, 625. Sua coronazione, 628. A lei si dà Messina, 658.
Si rimarita con Giacomo d'Aragona, 690. Dissensioni con lui, 696. Perde
Palermo e Messina, 704. Dà una rotta ad Ambrosio Visconte, 710. Suo
accordo con Federigo re di Sicilia, 734. Prende per marito Ottone duca
di Brunsvich, 748. Sue solenni sponsalizie con lui, 753. Coopera allo
scisma contro Urbano VI, 762, 769. Cerca, e non ottiene pace dal papa,
770. Fiere censure di papa Urbano VI contra di lei, 776. Adotta per suo
figlio Lodovico d'Angiò, 778. Viene presa e imprigionata da Carlo di
Durazzo, 785, 787. Lodovico duca d'Angiò arma per venire a liberarla,
787. Suo odio contra di lui, e magnanimità, 790. È tolta di vita,
_ivi_.

Giovanna II, regina di Napoli, succede a Ladislao suo fratello, V,
991. Torbidi nella sua corte, 997. Prende per marito Jacopo di Borbone
conte della Marca, 998. Da lui maltrattata, 1005. Lo salva da' baroni
napolitani, 1006. Cerca di ridurlo al dovere, _ivi_. Si pacifica con
lui, _ivi_. Manda il gran contestabile Sforza contra Braccio di Mantone
occupator di Roma, 1010. Poi cerca di deprimerlo, 1018. Sen fugge in
Francia Jacopo suo marito, 1021. Sua coronazione, e feste in Napoli
in tale circostanza, _ivi_. Cerca d'allontanare Sforza dal regno suo,
1022. Guerra a lei mossa da Sforza e da Lodovico III d'Angiò, 1027.
Adotta per figlio il re Alfonso, 1030. Chiama in suo aiuto Braccio,
1034. Sue gelosie contro il re Alfonso, 1040. Il quale in fine le fa la
guerra, 1044, 1045. Adotta in figlio Lodovico d'Angiò, 1046. Accoglie
con tenerezza e distinzione Francesco Sforza, dopo la morte del padre,
1053. Ripiglia Napoli, 1054. Sua vittoria di Braccio, 1056. Ricupera
il principato di Capoa ed altri luoghi, _ivi_. E la Calabria, 1076.
Rivoluzioni nella sua corte, 1099. Muove guerra al principe di Taranto,
1111. Sua morte, 1144.

Giovanni Calliopa, esarca di Ravenna, mandato dall'imperadore Costante,
II, 1254. Va con un esercito contro Roma per far prigione il papa
Martino IV, _ivi_. Intima al papa la sua deposizione come intruso, per
ordine dell'imperadore, 1255.

Giovanni Grisostomo predica agli Antiocheni, II, 265, 266. Creato
vescovo di Costantinopoli, 341. Difende Eutropio, e l'immunità degli
asili, 347. Cerca a tutto potere di salvare Aureliano, Saturnino e
Giovanni ministri d'Arcadio perseguitati da Gaina, 353. Rende vani
gli sforzi degli ariani in Costantinopoli, protetti da Gaina, 354. Va
a trovarlo mentre desolava le campagne intorno Costantinopoli, ed è
da lui bene accolto, 355. Eudosia lo fa deporre e mandar in esilio,
367. Dove termina la sua vita, 370. Traslazione del suo corpo a
Costantinopoli, 499, 500.

Giovanni (San), anacoreta, predice a Teodosio Augusto la vittoria
contro Massimo tiranno, II, 275. E contro il tiranno Eugenio, 309.

Giovanni, segretario d'Arcadio, creduto padre di Teodosio II, II, 352.

Giovanni, primicerio de' notai, usurpa l'imperio in Ravenna, II, 453.
Sprezzato da Teodosio II Augusto, _ivi_. Tenta indarno l'Africa, 456.
Resta prigione, 459. È ucciso, _ivi_.

Giovanni, prefetto del pretorio in Italia sotto Onorio, II, 453.

Giovanni, vescovo d'Antiochia, rinuncia all'eresia di Nestorio per
opera di Sisto III, II, 485.

Giovanni Cassiano, scrittore, II, 485.

Giovanni Vandalo, ribello di Valentiniano III, forse lo stesso che
Giovanni tiranno, II, 515.

Giovanni Scita, generale di Zenone Augusto, II, 688, 710, 728. Creato
console, 731.

Giovanni, arcivescovo di Ravenna, corretto da papa Simplicio, II, 683.

Giovanni Cappadoce, patriarca di Costantinopoli sotto Giustino seniore
Augusto. Tiene un concilio, in cui fu scomunicato e deposto Severo,
vescovo intruso d'Antiochia, II, 800, 802. Sua lettera al papa Ormisda
per l'union delle due Chiese Greca e Latina, 802. Passa a miglior vita,
805.

Giovanni I papa eletto, II, 811. Inviato dal re Teoderico a
Costantinopoli, 817. Grande onore a lui fatto da Giustino Augusto, 819.
Ottenuto quanto voleva dall'imperadore Giustino, torna in Italia, con
ricchi doni per le chiese di Roma, 820. Si presenta a Teoderico, _ivi_.
Che inferocito lo fece imprigionare, _ivi_. Termina in prigione i suoi
giorni, 821.

Giovanni II papa. Sua elezione, II, 844. Fine dei suoi dì, 857.

Giovanni, giurisconsulto, incaricato di compilare il codice di
Giustiniano, II, 836.

Giovanni III papa. Sua elezione, II, 970. Fa tornare l'irato Narsete a
Roma, 992. Sua morte, 1012.

Giovanni il Digiunatore, patriarca di Costantinopoli: sua superbia, II,
1098.

Giovanni, arcivescovo di Ravenna, II, 1063. Sua morte, 1098.

Giovanni prefetto di Roma, II, 1111.

Giovanni Batista (san), precursore di G. C., eletto protettore de'
Longobardi, II, 1124.

Giovanni, arcivescovo di Ravenna, II, 1132.

Giovanni, eletto patriarca d'Aquileia, II, 1134.

Giovanni (San), il Limosiniere, patriarca d'Alessandria, II, 1155.
Muore, 1160.

Giovanni IV papa, II, 1224. Scrive contro i Monoteliti, 1226. Sua
morte, 1232.

Giovanni Lemigio, esarco di Ravenna. Sua pace, ossia tregua col re
Agilolfo, II, 1143. Ottiene dal re stesso tregua per altri tre anni,
1148. Ucciso in una sedizione, 1159, 1160.

Giovanni Consino ribella Napoli ad Eraclio Augusto, II, 1162. È tolto
di vita, 1163.

Giovanni o Teodoro Calliopa esarco di Ravenna, II, 1254. Mette le mani
addosso a san Martino papa, 1255.

Giovanni il Buono, arcivescovo di Milano, II, 1267.

Giovanni (San), vescovo di Bergamo, è perseguitato da' Longobardi, II,
1267. Onorato dal re Cuniberto, III, 92.

Giovanni, vescovo di Reggio in Calabria, III, 55.

Giovanni V papa. Sua elezione, III, 69. Termina i suoi giorni, 70.

Giovanni Platyn, esarco di Ravenna, III, 74. Sua avarizia, 75.

Giovanni, vescovo di Porto, III, 55, 89.

Giovanni, abbate di San Giovanni di Ravenna; favola che di lui si
racconta, III, 103.

Giovanni VI papa. Sua elezione, III, 112. Difende l'esarco Teofilatto
contro le truppe imperiali in Roma, 113. Placa il duca Gisolfo, 114.
Muore, 119.

Giovanni VII papa. Sua elezione, III, 119. Non osa purgare i Canoni
Frullani, 122. Ricupera l'Alpi Cozie, 126. Fine de' suoi giorni, _ivi_.

Giovanni Rizocopo, esarco d'Italia, III, 131. Sua crudeltà, 134. Sua
morte, 135.

Giovanni, patriarca di Costantinopoli, fautore dei Monoteliti, III,
138. Scrive una lettera al nuovo papa Gregorio II, 150. Deposto, _ivi_.

Giovanni, duca di Napoli, III, 157.

Giovanni Damasceno (San), scrive in favore delle sacre immagini, III,
179.

Giovanni, patriarca di Gerusalemme, scrittore della Vita di San
Giovanni Damasceno, III, 179.

Giovanni, arcivescovo di Ravenna, III, 197. Saccheggio di Ravenna
fatto dalle armi di Leone Isauro per le sacre immagini al tempo del suo
pontificato, 200.

Giovanni Fabriciaco, maestro di militi in Venezia. Deposto ed accecato,
III, 226.

Giovanni, patriarca Gradense, III, 309. Nega di consecrare Cristoforo
in vescovo d'Olivolo, e lo scomunica, 438. Per questo è ucciso dal doge
di Venezia Giovanni, _ivi_.

Giovanni, associato al padre Maurizio nel dogado di Venezia, III, 337.
Resta solo doge alla morte del padre, 366. Uccide Giovanni patriarca di
Grado, 438. Eletto in Trevigi da' molti nobili a doge Obelerio, scappa
col figlio da Venezia, 446. Muore in esilio, _ivi_.

Giovanni, vescovo d'Olivolo, III, 447. È imprigionato dal patriarca
di Grado, 456. Si fa creare patriarca di Grado, benchè il legittimo
vivesse, 461.

Giovanni, vescovo d'Arles, III, 502.

Giovanni, vescovo di Selva Candida, mandato dal papa Leone II a
Bernardo re d'Italia, III, 498. Va alle corti dell'Augusto Lodovico il
Pio, 539.

Giovanni, abbate di San Servolo in Venezia, III, 525.

Giovanni Particiaco, o Participazio, doge di Venezia, 571. Assedia il
deposto doge Obelerio nell'isola Vigilia, 574. Iscacciato, si rifugia
in Francia, 593. Torna al governo, 594. È deposto e muore, 600.

Giovanni Tradonico, doge di Venezia col padre, III, 600. Va incontro
all'imperadore Lodovico II, che si porta a Venezia coll'augusta
sua moglie, 680. Gli è tenuto al sacro fonte un figlio dallo stesso
imperadore, _ivi_. Sua morte, 704.

Giovanni, vescovo eletto di Napoli, III, 602.

Giovanni Diacono, scrittore della Vita di san Gregorio Magno, III, 672.

Giovanni, vescovo di Ficocle, oggidì Cervia, III, 698.

Giovanni VIII papa. Sua elezione, III, 744. Tratta la pace fra
Lodovico Augusto ed Adelgiso principe di Benevento, 756. Richiede un
organo dalla Germania, 758, 759. Ricusa di ergere la Chiesa di Capoa
in arcivescovato, 759. Suo abboccamento con Lodovico re di Germania,
760. Dà la corona dell'imperio a Carlo Calvo, 770. Implora il suo
soccorso contro i Saraceni, 778. Concilio da lui celebrato in Roma,
786. Altro, tenuto in Ravenna, 788. Va a Vercelli ad incontrare Carlo
Calvo Augusto, 790. In fretta se ne torna a Roma, 791. Va in Francia,
797, 798. Dichiarato vicario del re Carlomanno in Italia, 803. Sue
liti con Ansperto arcivescovo di Milano, _ivi_. Ammette Fozio alla sua
comunione, 806. Va a Napoli per indurre Atanasio, vescovo e duca di
Napoli a desistere dall'indegna lega co' Saraceni, 824. Lo scomunica,
_ivi_. Giunge al fine di sua vita, 832. Ripreso dal cardinale Baronio,
836.

Giovanni, vescovo d'Arezzo, III, 774.

Giovanni, vescovo di Tuscania, III, 774.

Giovanni, figlio di Orso, doge di Venezia col padre, III, 788. Gli
muore il padre, 825. Rinnovati a lui i privilegii da Carlo il Grosso,
837. Cede il governo, e poi lo riprende, 859. Sua morte, 874.

Giovanni, arcivescovo di Ravenna, scomunicato nel concilio romano, III,
694. Si sottomette agli ordini del papa, 695. Suoi reati, _ivi_. Litiga
con papa Giovanni VIII, 764. Divien suo amico, 797. Muore, 801.

Giovanni, vescovo di Pavia, lasciato da papa Adriano alla difesa di
Roma, III, 848. Aderisce alla consecrazione di papa Stefano, V, come
ministro dell'imperadore Carlo il Grosso, 850.

Giovanni IX papa. Sua elezione, III, 827. Concilio da lui celebrato,
III, 928. Canoni d'esso concilio, e di un altro tenuto in Ravenna, 929,
930. Fine di sua vita, 944.

Giovanni X papa. Sua elezione, III, 986. Difeso dalla penna satirica di
Liutprando, 988. Invita il re Berengario alla corona dell'imperio, 989.
Come eseguita essa coronazione, 993. Scaccia dal Garigliano i Saraceni,
996. Si libera da Alberico marchese, 1029. Sua andata a Mantova ed
abboccamento col re Ugo, 1034. Suo miserabile fine, 1037, 1040.

Giovanni XI papa, nato da Alberico marchese, e non già da papa Sergio,
III, 980. Eletto papa, e indebitamente ingiuriato dal cardinal Baronio,
1048. Imprigionato da Alberico suo fratello, 1054. Sua morte, 1065.

Giovanni, duca di Gaeta; dal greco imperadore gli è conferito il titolo
di patrizio, III, 981. Fa lega col papa Giovanni X per isnidiare i
Saraceni dal Garigliano, 996.

Giovanni, vescovo di Cremona, cancelliere dell'Augusto Berengario, III,
1021.

Giovanni XII papa, dianzi Ottaviano. Sua elezione, III, 1135. Fa guerra
ai principi di Benevento, 1143. Manda ambasciatori al re Ottone per
atterrare Berengario ed Alberto re d'Italia, 1145. Giuramento a lui
prestato da esso Ottone, 1153. A lui dà la corona dell'imperio, 1154.
Suoi depravati costumi, 1161. È deposto dal conciliabolo romano, 1163.
Suoi tentativi per tornare in Roma, 1165. Miserabile suo fine, 1167.

Giovanni XIII papa. Sua elezione, III, 1171. Imprigionato da' Romani,
_ivi_, 1175. È liberato, 1176. Concilii da lui tenuti in Roma, 1179,
1192, 1202. Suo soprannome, 1201. Passa a miglior vita, 1202.

Giovanni Tzimisce, imperadore de' Greci, III, 1192, 1197. Pace
conchiusa tra lui e l'imperadore Ottone II, 1199. Sua morte, 1215.

Giovanni, vescovo d'Imola, III, 1195.

Giovanni XIV papa. Sua elezione, III, 1249, 1250. Sua infelice morte,
1253.

Giovanni XV papa. Sua elezione, III, 1255. Perseguitato da' Romani,
1259. Invita Ottone III in Italia, 1260; IV, 13. Sua morte, 14.

Giovanni, vescovo di Salerno, III, 1236.

Giovanni, vescovo di Modena, III, 1263.

Giovanni, archimandrita greco, diviene abbate di Nonantola, II,
1135, 1240. Creato vescovo di Piacenza, 1264. Ottiene il titolo
d'arcivescovo, 1265. Suo placito in Ravenna, 1269, 1275. Ambasciatore
di Ottone III all'imperadore de' Greci, IV, 12. Sue cabale e suo
ritratto, 22, 23. Usurpa il papato, 23. Preso, è obbrobriosamente
trattato, 28, 29. Fu indebitamente chiamato Giovanni XVI, 64.

Giovanni, duca d'Amalfi principe di Salerno, III, 1234. Cacciato dai
Salernitani col padre dal governo, 1249.

Giovanni, duca di Napoli, III, 1241, 1242.

Giovanni II, principe di Salerno, III, 1249, 1254. Sua morte, IV, 10.

Giovanni, vescovo di Belluno, III, 1278.

Giovanni Orseolo, doge di Venezia, IV, 39. Sua morte, 75.

Giovanni Petrella, duca d'Amalfi, IV, 43. Sua morte, 77.

Giovanni XVII papa. Sua elezione e morte, IV, 64.

Giovanni XVIII papa. Sua elezione, IV, 65. Sua bolla, con cui conferma
in vescovato la chiesa di Bamberga, 82. Termina i suoi giorni, 86.
Epitafio a lui non bene attribuito, _ivi_.

Giovanni, juniore, duca d'Amalfi, IV, 77. È costretto dai Guaimario IV
principe di Salerno e di Capoa di fuggire col figlio Sergio, 206. Torna
ad Amalfi, 206, 207. Ricupera l'autorità, 265. Sua morte, 340.

Giovanni, patriarca d'Aquileia, IV, 93.

Giovanni, duca e marchese, forse di Spoleti e Camerino, IV, 97, 103.

Giovanni duca di Gaeta, IV, 124.

Giovanni, vescovo di Verona, IV, 134

Giovanni, principe di Capoa, IV, 142.

Giovanni XIX papa. Sua elezione, IV, 143. Dà la corona dell'imperio a
Corrado il Salico, 157. Fine di sua vita, 175.

Giovanni, duca di Napoli, IV, 234.

Giovanni, vescovo della Sabina, IV, 251.

Giovanni, vescovo di Velletri, falso papa col nome di Benedetto X, IV,
285.

Giovanni Gualberto (san), fondatore di Vallombrosa, IV, 312, 327.

Giovanni, abbate de' SS. Ilario e Benedetto, IV, 318.

Giovanni II, arcivescovo di Napoli, IV, 322.

Giovanni o Pietro Igneo, poi cardinale, passa illeso pel fuoco, IV,
328. Legato in Germania, 391.

Giovanni, abbate di Canossa, IV, 452.

Giovanni, abbate del monistero ambrosiano in Milano, I_V._ 522.

Giovanni da Crema, cardinale. Con Giordano, arcivescovo di Milano,
scomunica il re Arrigo V, IV, 550. Va con le armi pontificie ad
assediare l'antipapa Burdino in Sutri, 579. Scomunica lo arcivescovo di
Milano, 607.

Giovanni Comneno, figlio di Alessio imperadore de' Greci, succede al
padre, IV, 559. Gli fanno guerra i Veneziani, 494. Lega da lui fatta
col re Corrado contro di Ruggieri, 686.

Giovanni, cardinale, governatore di Benevento, IV, 666.

Giovanni, cardinale d'Anagni. Scomunica Ottaviano antipapa e
l'imperadore Federigo I, IV, 765. Ristabilisce la pace tra i re Filippo
di Francia ed Arrigo d'Inghilterra, 912.

Giovanni, duca di Traversare, IV, 747.

Giovanni, cardinale de' SS. Giovanni e Paolo, vicario in Roma per papa
Alessandro III, IV, 792.

Giovanni, abbate di Struma, antipapa, assume il nome di Callisto III,
IV, 821. Si umilia a papa Alessandro III, 866.

Giovanni di Brema, re di Gerusalemme: sue imprese sturbate dal legato
pontifizio, IV, 1047. Va a Roma ed in Francia per soccorsi, 1058,
1059. Prende in moglie Berengaria di Castiglia, 1062. Suo sdegno contro
Federigo II Augusto, 1069. Stati a lui dati in governo dal papa, 1077.
Assale il regno di Napoli, 1084. Suoi progressi in questa guerra, 1086.
Creato imperadore di Costantinopoli, 1101.

Giovanni dalla Colonna, cardinale. Va ad assalire il regno di Napoli,
IV, 1084. In Perugia calma il furor delle parti, 1100. Va contra di
Arrigo, ossia Euso re di Sardegna, 1159. Si ribella al papa, 1166.

Giovanni, cardinale, vescovo savinese, IV, 1093.

Giovanni da Vicenza, insigne missionario dell'ordine de' predicatori,
mette pace fra le città della marca di Verona, IV, 1112, 1113.
Svaniscono in breve la sua autorità ed il suo concetto, 1114. Va con
molti banditi alla difesa di Padova contra Eccelino, 1257.

Giovanni XXI papa. Sua elezione, V, 116. Fine di sua vita, 120.

Giovanni Dandolo, doge di Venezia, V, 140. Sua morte, 205.

Giovanni da Procida: suoi maneggi per dare la Sicilia a Pietro re
d'Aragona, V, 147, 148, 153. Va ad esibire al papa Niccolò IV tutte le
forze del re Giacomo di Sicilia, 211. Va con don Federigo fratello del
re Giacomo a visitare il papa Bonifacio VIII, 236.

Giovanni, marchese di Monferrato, V, 206. A lui tolti molti Stati,
220. Suo matrimonio, 247. Fa guerra a Matteo Visconte, 263. Acquista
Vercelli, 273. Cerca deprimere i Visconti, 278, 287. Viene scacciato
dagli Astigiani dalla loro città, ove la facea da padrone, 294. Dà fine
al suo vivere, 299.

Giovanni XXII papa. Sua elezione, V, 387. Schiavo de' voleri del re
Roberto, 399. È ricercato di aiuto dal re Roberto stesso per vendicarsi
dei Longobardi che l'aveano assediato in Genova, 410. Scomunica i
principi ghibellini, 411, 425. Fa gran guerra ai Visconti, 433, 434.
Sua rottura con Lodovico il Bavaro, 437. Lo scomunica, e fa predicar la
crociata contra di lui, 444. Come eretico lancia contro di lui tutte
le censure, 466. Enormi azioni d'esso Bavaro in Roma contra di lui,
468. Torna Roma alla sua divozione, 472. Si riconciliano con lui gli
Estensi, 483. Lo stesso fanno i Visconti, 484. Ha in suo potere lo
antipapa, 489. Sua morte, 521.

Giovanni Visconte, imprigionato da Lodovico il Bavaro, V, 461.
Liberato, 471. Creato cardinale dall'antipapa, 481. Toglie di vita
Marco Visconte, 488. Creato vescovo di Novara, 493. Occupa la signoria
di quella città, 509. Ottiene l'amministrazione dell'arcivescovato di
Milano, 514. Creato arcivescovo di quella città, 566. Col fratello
Luchino fa grandi preparamenti per andar ad assediar Pavia, 567. Va
a Cassano ad incontrar il marchese Obizzo Estense, 585. Succede nel
dominio a Luchino suo fratello, 609. Compra Bologna dai Pepoli, 614.
Pacifica papa Clemente VI, 621. Fa infelicemente guerra a' Fiorentini,
623. E poi pace, 630. Genova lo prende per signore, 632. Sua morte,
639.

Giovanni Soranzo, doge di Venezia, V, 361. Sua morte, 479.

Giovanni di Lucemburgo, figlio dell'imperadore Arrigo VII, re
di Boemia, preso per loro signore da' Bresciani, V, 496. E da'
Bergamaschi, 498. Da' Pavesi e da altre città, _ivi_. Libera Lucca
dall'assedio dei Fiorentini, 499. Va ad Avignone, 501. Suo ritorno in
Italia, 514. Poi va in Germania, 515, 516.

Giovanni II, marchese di Monferrato, succede al padre Teodoro, V, 542.
Toglie Asti al re Roberto, 550. In aiuto di Luchino Visconte prende
Tortona ed Alba, 596. Sua guerra co' principi di Savoia, 597. Fugge da
Milano, per iscampare dalla gelosia del Visconte, 603. Vicario generale
dell'imperadore Carlo IV, 653. Intima guerra ai Visconti, _ivi_.
Loro toglie prima Asti, poi Alba, _ivi_. Gli fa ribellare Cherasco,
Chieri, e tutte le città del Piemonte, _ivi_. Prende al suo servigio
la compagnia del conte Lando, 655. Toglie Novara agli stessi Visconti
_ivi_. Costretto a rendere Novara ed Alba, 668. Porta soccorsi a Pavia
assediata da' Visconti, 672. Assolda la compagnia Bianca inglese,
682. Sua nuova guerra con Galeazzo Visconte, 683. Toglie al Visconte
varie città e castella, 689. Sminuite le sue forze per mancanza di
soldo, perde molti luoghi che avea acquistati nei contadi di Pavia e
Tortona, 694. Fa pace col Visconte, 697. Poi guerra di nuovo, 720. Gli
è occupata Valenza ed altri luoghi sul Po, 725. Per tal guerra trovasi
ridotto a mal partito, perciò assolda la compagnia del conte Lucio,
729. Termina i suoi giorni, 730.

Giovanni Visconte da Oleggio, generale di Luchino, V, 557. Fatto
prigione dai Fiorentini, 558. Messo in libertà, 564. Governatore di
Bologna, 621. Infelice guerra da lui fatta contro i Fiorentini, 623.
Suo barbarico governo de' Bolognesi, 643. Usurpa il dominio di Bologna,
648. Fa lega col cardinale Egidio Albornoz, legato del papa Innocenzo
VI per abbattere i Visconti, 661. Bernabò Visconte gli fa guerra,
670. Cede Bologna al cardinale Albornoz, dal quale riceve in cambio il
dominio della città di Fermo, 675. Sua morte, 706, 707.

Giovanni de' Pepoli, signor di Bologna, V, 595. Tratta d'aggiustamento
tra il conte della Romagna e Giovanni Manfredi, 612. Imprigionato a
tradimento dal conte della Romagna, _ivi_. Vende Bologna a Giovanni
Visconte, 614.

Giovanni da Murta, doge di Genova, V, 576, 581. Termina i suoi giorni,
617.

Giovanni de' Manfredi, signor di Faenza, V, 612. Assediato dal conte
della Romagna nel castello di Solaruolo, _ivi_.

Giovanni di Valente, doge di Genova, V, 617.

Giovanni de' Gabrielli, signore di Gubbio, V, 619.

Giovanni da Vico, prefetto di Roma e signore di Viterbo, V, 633. Si
sottomette al cardinale Alnoz, 636.

Giovanni Gradenigo, doge di Venezia, V, 651. Sua morte, 658.

Giovanni e Rinieri de' Manfredi, signori di Faenza, V, 656.

Giovanni Delfino, doge di Venezia, V, 658. Sua morte, 684.

Giovanni Aucud (Kauchouod), capo d'una compagnia di masnadieri
inglesi, V, 698. Entra in Perugia, commettendo i soliti disordini,
701. Danni da lui recati a varii paesi, 709. Dà una rotta all'esercito
dei Fiorentini, 720. Va al servigio del papa, 733. Sue vittorie
delle milizie de' Visconti, 736, 737. Dà il sacco a Faenza, 749. Sua
infedeltà, 766. Generale de' Fiorentini, 780. Va al servigio di Carlo
re di Napoli 791. Passa a quello di Francesco da Carrara 815. Dà una
rotta al signor di Verona, 820. Fa guerra a quel di Milano, 845. Sua
morte, 860.

Giovanni dell'Agnello, doge di Pisa, V, 699. È deposto, 716.

Giovanni d'Auspurgo, conte, capitano d'una compagnia di masnadieri
tedeschi, V, 700.

Giovanni Bentivoglio, diviene signore di Bologna, V, 905. Guerra a
lui fatta dal conte Alberico di Barbiano, 908. È sconfitto dal duca di
Milano, ed ucciso dal popolo, 909.

Giovanni Paleologo, imperadore de' Greci, viene a Roma, V, 717. Viene
al concilio di Ferrara, 1126. Va a Firenze, 1135.

Giovanni, cardinale della Grangia, vescovo d'Amiens, plenipotenziario
del papa Urbano VI al congresso di Sarzana, V, 758.

Giovanni III, marchese di Monferrato, V, 766. Sua morte, 785.

Giovanni, conte di Armagnacco, chiamato in Italia contra il Visconte,
V, 844. Sconfitto, finisce i suoi giorni, 846, 847.

Giovanni dall'Aceto, tiranno di Fermo, V, 869.

Giovanni da Vignate usurpa il dominio di Lodi, V, 922. Accoglie il papa
Giovanni XXIII e Sigismondo re de' Romani, e dona all'ultimo Piacenza,
987. Dal duca di Milano gli è tolta la vita e la città, 1005.

Giovanni XXIII papa. Sua elezione, V, 970. Favorisce l'innalzamento di
Sigismondo in re de' Romani, 973. Entra in Roma, 974. Se gli ribella
Bologna, 976, 977. Poi Forlì, 977. Sua vendetta contro Sforza da
Catignola, per aver esso abbandonato il suo servigio, 979. Compera la
pace da Ladislao, _ivi_. Riacquista Bologna, 983. Per la mala fede di
Ladislao è costretto a lasciar Roma, 985. È ammesso in Firenze, in cui
cerca di unirsi con Sigismondo, proponendogli un concilio per la pace
della Chiesa, 986. S'abbocca con questo principe, 987. Stabiliscono il
concilio di Costanza, dopo cui si separano, 989. Sua gioia per la morte
di Ladislao, 992. Va quasi per forza a Costanza, dove fa l'apertura del
concilio generale, _ivi_. Suo batticuore per tema di perdere il papato,
994. Alle istanze dei padri si obbliga alla cessione del pontificato:
si pente, e fugge travestito a Sciaffusa, 995. Per forza è condotto
a Costanza, e quivi deposto, _ivi_. Si umilia a Martino V, 1020. Sua
morte, _ivi_.

Giovanni da Varano, signore di Camerino, V, 1071. Ucciso da' fratelli,
1110.

Giovanni de' Vitelleschi da Corneto, vescovo di Recanati, poi patriarca
d'Alessandria, V, 1107. Sua crudeltà, 1110, 1117. Fa guerra a' baroni
romani, 1121. Toglie Palestrina a Lorenzo Colonna, e la fa diroccare e
spianare al suolo, 1122. Creato cardinale, dà una rotta al re Alfonso,
1123. Preso Foligno a tradimento fa prigione Corrado Trinci signore di
quella città, cui fa mozzare il capo, 1141. È tolto dal mondo, 1143.

Giovanni IV, marchese di Monferrato, succede al fratello Guglielmo, V,
1210. Si collega coi Veneziani contro il duca di Milano, 1221. Pace fra
essi coll'interposizione del re Renato, 1232. Termina i suoi giorni,
VI, 14.

Giovanni d'Angiò, figlio del re Renato duca di Calabria, V, 1234. Va in
Provenza, 1241, 1242. Governatore di Genova, 1249. Sue intelligenze co'
baroni di Napoli, 1255. Sbarca in quel regno, 1257. Viene in suo aiuto
Jacopo Piccinino, 1260. Sua vittoria contro il re Ferdinando, 1262.
S'impossessa di varie città e castella, 1271. Sua rotta, _ivi_. Sua
decadenza, 1276, 1280. Torna disperato in Provenza, VI, 9. Sua morte,
34.

Giovanni II Bentivoglio, quasi signor di Bologna. Presta aiuto
a Galeotto Manfredi per ordine della duchessa di Milano, VI, 59.
Si unisce co' Fiorentini, contra del papa e del re Ferdinando di
Napoli, 65. Assiste il duca di Ferrara, 78. Soccorre i Riarii nella
sollevazione di Forlì, 101. Si porta a Faenza per proteggere la figlia
Francesca ed il nipote Astorre _ivi_. Ad istigazione e malizia de'
Fiorentini quivi è imprigionato, 102. Cacciato da papa Giulio II da
Bologna, 219. Vi rientrano Annibale ed Ermes Bentivoglio, 265.

Giovanni della Rovere, signore di Sinigaglia, sposa Giovanna figlia di
Federigo duca d'Urbino, VI, 51.

Giovanni d'Aragona, creato cardinale, VI, 56. Sua morte, 90.

Giovanni Mocenigo, doge di Venezia, VI, 65. Fine de' suoi dì, 93.

Giovanni de Medici, _V._ Medici (Giovanni).

Giovanni Borgia, cardinale, VI, 118.

Giovanni Pico, signore della Mirandola, chiamato, Fenice degl'ingegni:
sua morte, VI, 125.

Giovanni Sforza, signore di Pesaro, succede a Costanzo suo padre, VI,
84. Suo matrimonio con Lucrezia Borgia, 116. Gli sono tolte Forlì e
Pesaro dal duca Valentino, 160, 165.

Giovanni da Varano, figlio di Giulio signore di Camerino, VI, 194.

Giovanni Maria di Monte, ossia del Monte, _V._ Giulio III.

Giovanni d Austria, figlio di Carlo V, VI, 672, 673, 746. Vince i
Turchi a Lepanto, 750, 751. Prende Tunisi, 760. Governatore de' Paesi
Bassi, 772, 774, 776. Manca di vita, 777.

Giovanni Bembo, doge di Venezia, VI, 952. Sua morte, 969.

Giovanni d'Austria, figlio bastardo di Filippo IV re di Spagna. Giunge
a Napoli, VI, 1158. Vicerè _pro interim_, 1163. Poi vicerè di Sicilia,
1168. Prende Piombino e Portolongone, 1177, 1178.

Giovanni Sobieschi, re di Polonia, VI, 1267. Collegato con Leopoldo
Augusto, VII, 46. Concorre alla liberazion di Vienna assediata da'
Turchi, 47. Ricupera Coccino, 54

Giovanni Gastone de Medici, gran duca di Toscana, VII, 313, 322. Dà
fine al suo vivere, 432.

Giovanniccio, segretario di Teodoro esarco di Ravenna, e poi di
Costantino Pogonato e di Giustiniano II imperadore de' Greci, III, 58.
Ritorna a Ravenna, 86. Condotto prigione a Costantinopoli, 130. Per
ordine di Giustiniano Augusto messo a morte, 135.

Gioviano (Flavio Claudio), proclamato imperadore dopo la morte di
Giuliano Augusto, II, 136. Guerra tra lui e i Persiani, 138. Pace
svantaggiosa da lui fatta con essi, _ivi_. Sua morte, 142.

Gioviano, governatore de' militi in Venezia, _V._ Giuliano.

Gioviniano, eresiarca: concilio celebrato da santo Ambrosio contro di
esso in Milano, II, 287.

Giovino, generale di Valentiniano, II, 148. Rotta da lui data agli
Alemanni, 159. Console, 162. Nelle Gallie prende il titolo d'Augusto,
415. Discordia fra lui e il re Ataulfo, 417. Vien privato di vita,
_ivi_.

Giovio, primo ministro d'Onorio Augusto, II, 395, 396. Abbandona Onorio
per seguitar il partito d'Attalo, 408.

Giriberto, vescovo di Tortona, III, 1242.

Girolamo (San), dottore della chiesa, passa a miglior vita, II, 444.

Girolamo Riario, nipote di papa Sisto IV, VI, 43. Divien padrone
d'Imola, 47. Mischiato nella congiura de' Pazzi, 59. Fatto signore di
Forlì, 70, 71. Creato capitano della lega fatta dal papa coi Veneziani,
71. Suoi maneggi co' Veneziani per far guerra al duca di Ferrara, 77.
Va contro il duca di Calabria, e lo vince, 80. I Veneziani lo fanno
aderire a far la pace col duca di Ferrara, 81. Ucciso dal popolo di
Forlì, 100.

Girolamo Savonarola, Ferrarese, frate dell'ordine di san Domenico.
Regge il popolo di Firenze anche nei politici affari co' suoi consigli,
VI, 149. Accusato da' maligni suoi nemici a Roma, Alessandro VI papa
gli proibisce di predicare, 150. Disprezza la proibizione, e ritorna a
predicare contro la corruttela d'allora, e specialmente del pontefice
e della sua corte, _ivi_. È scomunicato per questo, _ivi_. Un frate
di Puglia predica contro varie sue proposizioni, _ivi_. Predizioni da
lui fatte tutte col tempo avverate, _ivi_. Giudizio del fuoco proposto
per decidere la verità di sua dottrina, 150, 151. Per una sollevazione
di scapestrati contro di lui, i magistrati, temendo anche le tante
minaccie del papa, lo carcerano, 151. Tormentato per fargli confessare
quel che non era vero, _ivi_. Fatto ignominiosamente morire, _ivi_.
Giudizio del Muratori intorno a lui, 151, 152.

Gisela, imperadrice, moglie di Corrado II Augusto, IV, 157, 173.

Giselico e Gisalico, bastardo di Alarico re de' Visigoti, acclamato
re da que' popoli, II, 665. Abbattuto dal re Federico, 772. Cacciato
di Spagna fugge in Africa, 775. Dove è protetto da Trasamondo re de'
Vandali, 775. Torna in Ispagna; suoi inutili sforzi, dopo i quali perde
la vita, 780.

Giserico, re de' Vandali, _V._ Genserico.

Gisla, sorella di Lodovico II Augusto, costituita badessa di Santa
Giulia di Brescia, III, 662.

Gisla, figlia di Lodovico Pio, moglie di Everardo, duca del Friuli,
III, 782.

Gisleberto, vescovo di Bergamo, III, 1234.

Gisolfo, da Paolo Diacono creduto primo duca del Friuli, II, 999.
Figlio di Grasolfo, forse succedette al padre in quel ducato, 1078,
1079, 1133. Ucciso in una battaglia, 1144.

Gisolfo, figlio di Romoaldo duca di Benevento, III, 28, 49. Succede
in quel ducato a Grimoaldo II suo fratello, 61. Fa guerra allo stato
romano, 114. Sua morte, _ivi_.

Gisolfo II, duca di Benevento, III, 227. Sua morte, 243.

Gisolfo, duca di Spoleti, III, 279. Sua morte, 284.

Gisolfo, principe di Salerno, III, 1060. Va in soccorso de'
Beneventani, 1143. Sua riputazione, _ivi_. Accoglie in Salerno i Greci,
1193. Va contro i Beneventani, 1208. Fatto prigione da Landolfo suo
cugino, 1210. Sua morte, 1220.

Gisolfo II, principe di Salerno, IV, 253. Succede al padre, 257. Marita
sua sorella Sigelgaita con Roberto Guiscardo, 287. Sue liti con esso
Roberto, 381, 382. Che lo spoglia degli Stati, 382.

Gisone, vescovo di Modena, III, 524.

Giubileo celebrato da papa Bonifazio VIII nel 1300, V, 265.

Giubileo insigne del 1350, V, 611.

Giubileo del 1400, V, 891.

Giubileo del 1600, VI, 884.

Giudei, cacciati di Roma, I, 60, 180. Perseguitati in Egitto, 123. E da
Caligola, 135. Si ribellano sotto Nerone, 244. Vespasiano fa loro la
guerra, 248. Ridotti da lui in angustie, 260. Assedio di Gerusalemme
fatto da Tito, 290. Loro immensi guai, e rovina della loro città,
_ivi_, 291. Perseguitati da Domiziano, 358. Si rivoltano in Oriente
contra de' gentili, 426, 428. Si ribellano sotto Adriano Augusto, 440,
464, 468. Che loro fa guerra, 469. Strage immensa di essi, e fine di
tal guerra, 470, 471. Loro sollevazione in Palestina, per cui vengono
messi a migliaia a fil di spada, II, 53, 54. Miracolosamente impediti
dal rifabbricare il tempio di Gerusalemme, 127. Onorio dà loro la
permissione di poter tenere schiavi cristiani, 430. Loro insolenza
repressa da Teodosio Augusto, 431. Scacciati da Alessandria, _ivi_.
Con un editto di Onorio sono privati di tutti gli uffizii di corte,
II, 369. Cercano imputare di tradimento san Cesario vescovo d'Arles,
767. Loro contesa co' cristiani in Ravenna, 808. Si ribellano uniti a'
Samaritani, 837, 839.

Giuditta, moglie di Lodovico Pio Augusto, III, 521. Partorisce Carlo
Calvo, 539. È costretta a farsi monaca, 573. Pruova la sua innocenza,
575. Sua ambizione, 582. Esiliata in Italia, e confinata nella città di
Tortona, 584. Rimessa in libertà, 588. Sua morte, 629.

Giuditta, figlia di Carlo Calvo, sposa Etelvolfo re de Sassoni, III,
682. Rimane vedova, _ivi_. È rapita da Baldoino, 698, 700.

Giudizio del fuoco, IV, 327, 328, 496.

Giulia, figlia di Cesare Augusto, moglie di Marco Agrippa, I, 6. Poi di
Tiberio, 10. Suoi vizii, per i quali è relegata, _ivi_. Fatta morire,
46.

Giulia Livilla, sorella di Germanico Cesare, e moglie di Druso figlio
di Tiberio, sedotta da Seiano, I, 68. Invano chiesta da lui in isposa,
74. Fatta morire, 93.

Giulia Livida, figlia di Germanico Cesate, I, 59. Maritata con Marco
Vinicio, 84. Sua congiura contra del fratello Caligola, per cui è
relegata nell'isola di Ponza, 130. Richiamata da Tiberio Claudio a
Roma, 147. Dove è fatta morire da Valeria Messalina Augusta, 156.

Giulia, figlia di Giulia figliuola d'Augusto; sua disonestà, I, 31. Sua
morte, 80.

Giulia, figlia di Druso figlio di Tiberio, maritata a Nerone
primogenito di Germanico Cesare, I, 62. Fatta uccidere da Valeria
Messalina Augusta, 156.

Giulia, moglie di Settimio Severo. Le è conferito dal marito il titolo
di Augusta, I, 653. Maltrattata da Plauziano prefetto del pretorio,
692. Fama della sua impudicizia mal fondata, 699. Sua cura, rimasta
vedova, per tenere uniti i figli Caracalla e Geta, 714, 716. Le è
ucciso in grembo il figlio Geta, 717. Suoi biasimi e sue lodi, 741. Sua
morte, 743.

Giulia Mammea, madre di Alessiano, che fu poi Alessandro Augusto,
I, 748, 749. Come allevasse il figliuolo, 765. Veglia alla sua buona
condotta e preservazione, 772. Onorata col titolo d'Augusta, _ivi_.
Creduta da alcuni cristiana, 774, 776. Sua possanza nel governo, 777.
Suo eccessivo amore pel figliuolo, 802. Con esso lui uccisa, 811, 812.
Deificata, 813.

Giulia Soemia, madre di Vario Avito Bassiano, cioè di Elagabalo: il
promuove all'imperio, I, 749, 752, 753. Onorata col titolo d'Augusta,
757. Uccisa, 768.

Giulia Mesa, avola materna d'Elagabalo, il promuove all'imperio, I,
749, 752, 753. Dichiarata Augusta, 757. Avola di Alessandro Augusto, ha
cura di salvarlo dalle insidie di Elagabalo, 765, 766. Veglia alla sua
buona condotta e preservazione, 772.

Giuliana, figlia di Olibrio Augusto, moglie di Ariobindo juniore, II,
645.

Giuliano (Marco Salvio), insigne giurisconsulto: suo Editto perpetuo,
I, 466. Creato console, 506.

Giuliano (Marco Didio), che fu imperadore: suo consolato, I, 565. Corre
pericolo della vita sotto Commodo, 606. Compera da' soldati l'imperio,
640, 641. Viene ucciso, 647.

Giuliano, prefetto del pretorio sotto Commodo, I, 619, 620.

Giuliano (Quinto Frebonio), usurpatore dell'imperio in Africa, I, 1024.
Si uccide, 1031, 1032.

Giuliano (Anicio), prefetto di Roma, I, 1175, 1181, 1183.

Giuliano (Flavio Claudio), figlio di Giulio Costanzo, I, 1204.
Fortunatamente preservato dalla morte, 1222; II, 66, 113. Creato Cesare
da Costanzo Augusto, 70. Prende in moglie Elena sorella dello stesso
Costanzo, 71. Suo viaggio nelle Gallie, _ivi_. Sua prima campagna
contro gli Alemanni, 73, 74. Varie sue imprese in quella guerra,
78. Sua vittoria, 80. Sue altre celebri imprese, 86, 87, 88, 89. È
proclamato da' soldati imperadore Augusto, 95. Occupa l'Illirico, e
l'Italia se gli rende, 104, 105. Sue azioni di gioventù e qualità,
113. Sua apostasia, 114. Succede a Costanzo Augusto, 117. Sua infame
corte, 120. Concede al senato di Costantinopoli gli stessi privilegii
di quello di Roma, 121. Vi fabbrica un porto, _ivi_. Vi fa condurre da
Alessandria un obelisco, _ivi_. Richiama dall'esilio santo Atanasio
e tutti gli altri vescovi esiliati da Costanzo, _ivi_. Passa ad
Antiochia, 122. Perseguita i cristiani, 123. Deriso dagli Antiocheni,
contra de' quali compone una satirica invettiva intitolata _Misopogon_,
126. Sue imprese contro i Persiani, 127, 128, 129. È ucciso in un
combattimento, 131. Dedito agl'indovini ed alle superstizioni, 133.
Suoi libri, 135.

Giuliano, vescovo di Eclana, difensore di Pelagio, II, 441; IV, 123.
Cacciato dall'Italia dal papa Celestino, II, 455. Tenta con furberia,
ma inutilmente, di rimettersi in grazia di Sisto III, 506.

Giuliano o Gioviano, ipato, governatore de' militi in Venezia ai tempi
di Costantino Copronimo imperadore d'Oriente, III, 215.

Giuliano Cesarino, cardinale legato di papa Eugenio IV, al concilio di
Basilea, V, 1094, 1102.

Giuliano della Rovere, creato cardinale dallo zio Sisto IV papa,
VI, 43. Va colle armi pontificie a Todi, che pacificò, 49. Obbliga
il popolo di Spoleti ad arrendersi alla sua obbedienza, _ivi_. Va
a Città di Castello e vi sloggia il tiranno Niccolò Vitelli, _ivi_.
Assedia Osimo, 96. Fugge per timore di papa Alessandro VI, 113. Suscita
zizzanie contro il papa stesso, 119, 126, 145. Eletto papa, 204. (_V._
Giulio II.)

Giulio Cesare, primo fra' Romani imperadori, I, 1.

Giulio I papa, I, 1207. Fine di sua vita, II, 51.

Giulio, cardinale di San Marcello, IV, 736.

Giulio, vescovo di Palestrina, vicario in Roma del papa Alessandro III,
IV, 770. Sua morte, 792.

Giulio da Varano, signore di Camerino, VI, 97. Spogliato de' suoi Stati
ed ucciso dal duca Valentino, 192.

Giulio II, creato papa, sue qualità, VI, 204. Ricupera alcune città
della Romagna, 211. Poi Perugia e Bologna, 219. Entra nella lega
di Cambrai contro i Veneziani, 229. Da essi ricupera le città della
Romagna, 238. Quindi con esso loro si pacifica, 251. E ne imprende la
difesa, 254. Assedia in persona la Mirandola, 260. La prende, e ne dà
l'investitura a Gian-Francesco Pico, 262. Indarno tratta di pace, 263.
Perde Bologna, 265. Fa lega col re Cattolico e con altri, 269. Piacenza
e Parma vengono in suo potere, 289. Manca di fede ad Alfonso duca di
Ferrara, 290. Fa nuove leghe, 293. Fine de' suoi giorni, e sue qualità,
296.

Giulio III papa. Sua elezione, VI, 602. Suo discredito pel cardinalato
dato ad Innocenzo del Monte, 605. Suo sdegno contro i Farnesi, 608.
Suo nepotismo, _ivi_. Fa lega con Carlo V, 610. Fa tregua co' Franzesi,
617. È chiamato all'altra vita, 639. Quali fossero le sue applicazioni,
_ivi_.

Giunio (Marco), governatore della Cappadocia sotto Traiano imperadore,
I, 417.

Giunio Donato, prefetto di Roma sotto Valeriano imperadore, I, 887.

Giuochi secolari: quando celebrati in Roma, I, 166.

Giuochi capitolini, istituiti da Domiziano Augusto, I, 336.

Giuochi quinquatri, cioè in onor di Minerva, I, 337.

Giuochi apollinari: quando si celebravano, I, 829. Vietati nei giorni
festivi, II, 626.

Giuseppe Ebreo, storico, fatto prigione da Vespasiano, I, 248.

Giuseppe, vescovo di Brescia, è ingiustamente cacciato da quella chiesa
da Berengario, III, 1099.

Giuseppe, arciduca d'Austria, figlio di Leopoldo imperadore, eletto
re d'Ungheria, VII, 68. E re de' Romani, 89. Sue nozze, con Amalia
Guglielmina di Brunsvich, 140. Succede a Leopoldo Augusto suo padre,
189. Spedisce una armata all'acquisto del regno di Napoli, 212, 213.
Manda le sue armi ad impadronirsi di Comacchio, 222. Si accorda col
papa, restando in possesso di questa città, 227. Immatura sua morte,
239.

Giusta, sorella di Valentiniano II, II, 301.

Giusta Grata Onoria, sorella di Valentiniano III Augusto, II, 451.
Riceve il titolo d'Augusta, 487. Suo gravissimo fallo, 490. Ricorre ad
Attila, 549. Suo misero fine, 566.

Giustina, moglie di Valentiniano I, II, 164, 194, 198. Prende le redini
del governo, 247. Ariana di credenza, 258. A lei resiste sant'Ambrosio
in difesa delle basiliche, _ivi_, 260. Sua morte, 277.

Giustina, badessa di Capoa, II, 1001.

Giustiniano, nipote di Giustino Augusto, II, 799. Fama ch'egli facesse
assassinar Vitaliano console, 804, 805. Creato console, ricrea il
popolo con magnifici spettacoli, 806. Preso per collega dall'Augusto
zio, 830. A cui succede, _ivi_. Suoi buoni principii, 831, 832.
Sborsa grandi somme d'oro per far risorgere Antiochia abbattuta da
un orribile terremuoto, e le dà il nome di Teopoli, 834. Ordina ed
unisce in un Codice tutte le leggi meritevoli d'approvazione pubblicate
da' precedenti Augusti e da lui stesso, 836. Muove una grandissima
persecuzione contro i gentili d'Oriente, 838. Irato contra Gelimere
usurpatore del trono in Africa, 846. Fiera sedizione mossa contra di
lui in Costantinopoli dalle fazioni veneta e prasina, 847. Spedisce
Belisario coll'armata in Africa, 849. Che ne fa l'acquisto, 850.
Istituzioni e Digesti da lui pubblicati, 852. Sua spedizione contro
i Goti regnanti in Italia, 858. Conquista la Dalmazia, _ivi_. E
la Sicilia, _ivi_. Per il valore e la buona condotta di Belisario
s'impadronisce di Roma, di Ravenna e di tutta l'Italia, 867. Guerra
a lui mossa da Cosroe re di Persia, 879. Chiama papa Vigilio a
Costantinopoli, 912. Dalle Indie fa venire i vermi da seta, 931. Sua
biasimevole prepotenza negli affari di religione, 938, 942. Manda in
esilio papa Vigilio con altri vescovi, 950. Ne lo richiama, 957. Usurpa
i diritti della Chiesa, 958. Vecchio trascura il governo, 967. Pace
vergognosa da lui fatta coi Persiani, 973. Congiura contra di lui,
per la quale deprime Belisario, 975, 976. Lo rimette, in sua grazia,
978. Suo editto contrario alla dottrina della Chiesa, 980. Depone e
caccia in esilio Eutichio patriarca di Costantinopoli, _ivi_. Muove
persecuzione contro tutti i vescovi a lui contrarii, e specialmente
contro Atanasio patriarca di Antiochia, _ivi_. Tempo della sua morte,
981. Sua avarizia e rapacità, 982.

Giustiniano, pronipote di Giustiniano I Augusto, II, 928. Viene con una
flotta in Italia, 929. Giunge in Dalmazia, 930. Spedito da Giustiniano
Augusto con un'armata in soccorso di Audoino re de' Longobardi, 935.
Generale dell'armi contro i Persiani, ne riporta molti vantaggi, 1025.

Giustiniano II imperadore, figlio di Costantino Pogonato, dichiarato
Augusto e collega nello imperio, III, 63. Gli succede, 69. Sua pace
con Abimelec califa de' Saraceni, 71. Da lui rotta ben tosto, 72.
Sue sconsigliate risoluzioni contro i Barbari, 75. Infelicemente fa
guerra ai Bulgari, 78. Rompe la pace co' Saraceni, 85, 88. Persecuzione
da lui fatta a papa Sergio, 89. Sua tirannia, 92. Vien deposto, e,
tagliatogli il naso, è confinato in Chersona di Crimea, 96. Suoi sforzi
per ricuperare l'imperio, 118. È rimesso in trono, e sua crudeltà, 120.
Sconsigliatamente fa guerra ai Bulgari, 128. Chiama a Costantinopoli
papa Costantino, 130. Orrido scempio da lui fatto de' Ravennati,
131. Fa grande onore al papa, 133. Sua crudeltà contro il popolo di
Chersona, 136. Gli è tolto regno e vita, 137.

Giustiniano Particiaco, ossia Participazio, è mandato dal padre a
Costantinopoli, ove ottiene dallo imperadore Leone Armeno il grado
e titolo di ipato, ossia console imperiale, III, 524. Associato dal
padre nel ducato, _ivi_. Concede un privilegio a Giovanni abbate del
monistero di San Servolo, 525. Succede al padre, 561. Manca di vita,
571.

Giustino, martire: sue Apologie in favor de' cristiani, I, 495, 506,
524.

Giustino, storico, è incerto in qual tempo vivesse, I, 524.

Giustino, o Giustiniano, generale di Costantino tiranno della Gran
Bretagna, sconfitto ed ucciso nelle Gallie da Saro generale di Onorio
Augusto, II, 379.

Giustino Trace, dopo Anastasio eletto imperadore d'Oriente, II,
798. Sue qualità, e principio del suo governo, 799. Suo zelo per la
religione cattolica, 800. Acqueta i torbidi da essa insorti, 802, 803.
Fa trucidare Vitaliano console, 804, 805. Pubblica una legge contro
i pagani ed eretici, 812. Se ne offende il re Teoderico, 814. E però
gli spedisce papa Giovanni, 817. Che viene accolto con magnificenza
e divozione, 819. Sua carità verso gli Antiocheni danneggiati dal
tremuoto, 825, 826. Prende per collega Giustiniano suo nipote, 830.
Muore, _ivi_.

Giustino juniore, nipote di Giustiniano, dichiarato imperadore, II,
982. Procede console, 983. Uccide Giustino figlio di Germano, 989.
Richiama alla corte Narsete, 991. Manda ambasciatori ai Turchi, 1005.
Sua guerra co' Persiani, 1010. Dichiara Cesare Tiberio Trace, 1018.
Giugne al fine di sua vita, 1030.

Giustino, nipote di Giustiniano Augusto, II, 928. È da lui mandato in
soccorso di Audoino re dei Longobardi, 935. Tolto di vita da Giustino
II, 989.

Giutunghi, popoli della Germania, II, 476.

Giuvenale (Flavio), prefetto del pretorio sotto Severo, I, 647, 683.

Giuvenale (Decimo Giunio), poeta sotto Domiziano, I, 370.

Giuvenco, poeta cristiano sotto Costantino, I, 1220.

Glabrione (Marco Acilio), console, I, 347. Fatto morire da Domiziano,
363.

Glabrione (Aulo), senatore riguardevole, caro a Pertinace, I, 634.

Gladiatori vietati da Costantino il Grande, I, 1174. E aboliti da
Onorio Augusto, II, 368.

Glicerio si fa proclamare imperador d'Occidente, II, 647. Abbattuto da
Giulio Nipote Augusto, 652.

Goffredo Barbato, _V._ Gotifredo.

Godeberto, o Gundeberto, re de' Longobardi in Pavia, II, 1271, 1272.
Nella discordia col fratello Bertarido chiama in aiuto Grimoaldo duca
di Benevento, 1273. Il quale gli toglie la vita e la corona, 1275.

Godefrido, re de' Normanni, III, 349.

Godemaro, re de' Borgognoni, ricupera il regno perduto da Sigismondo
suo fratello, II, 817. Di nuovo lo perde, 818, 856.

Godescalco, genero del re Agilolfo, fatto prigione da' Greci, II, 1114.
Rimesso in libertà, 1128.

Godescalco, duca di Benevento, III, 209. Aiuta Trasmondo duca di
Spoleti a ricuperare quel suo ducato, 214. Deposto dal re Liutprando,
220, 227.

Godigisclo, re de' Vandali, lascia la vita in un combattimento contro i
Franchi, II, 377.

Goffredo di Buglione, _V._ Gotifredo.

Goffredo abbate vindocinense, IV, 460.

Gonzaga (Don Ferrante), generale dell'imperadore Carlo V, VI, 480, 488.
Va in soccorso dell'esercito cristiano in Africa con varie navi cariche
di vettovaglie, 512. Vicerè di Sicilia, 514. Tradimento da lui fatto ai
soldati spagnuoli, 538. Ricupera Lucemburgo, 566. Governator di Milano,
576. Manda un rinforzo al vicerè di Napoli don Pietro di Toledo per
sedar Napoli rivoltala, 586. Sua congiura contro Pier Luigi Farnese,
589. Occupa Piacenza, 590. Acquista Guastalla, 661. Suo fine, 663.

Gonzaga, marchesi di Mantova, _V._ i loro rispettivi nomi.

Gorda, re degli Unni, abbraccia la fede cristiana, II, 833.

Gordiana (Ulpia), madre di Gordiano I Augusto, I, 824.

Gordiano (Marco Antonio), seniore, che fu poi Augusto, consigliere
d'Alessandro imperadore, I, 771. Creato console, 794. Acclamato
imperadore in Africa, 824. Sue belle qualità, _ivi_. Si uccide, 827,
828.

Gordiano (Marco Antonio, o Antonino), figlio dell'antecedente creato
Augusto col padre, I, 824, 825. Muore in battaglia, 827.

Gordiano (Marco Antonio), il terzo, nipote del primo, creato Cesare, I,
830, 833, 835. Poi imperadore, 837. Va alla guerra contro i Persiani,
843. Sue imprese in quelle parti, 844. È tolto di vita da Filippo, 848.

Gotescalco, monaco: suoi errori, III, 652.

Goti: loro orribili scorrerie nelle provincie romane, I, 912, 930, 939.
Sconfitti da Claudio Augusto, 941. Lor guerre con Valente Augusto, II,
166, 167. Pace con lui, 174. Fanno irruzione nella Tracia, 186. Ammessi
da Valente nelle terre dell'imperio, 202, 203. Alle cui milizie danno
una rotta, 206. Poi restano essi sconfitti, _ivi_. Danno una nuova
rotta alle armi di Valente, nella quale egli stesso perisce, 212.
Desolano le provincie romane, 214. In esse assegnata la loro abitazione
da Teodosio Augusto, 237. Si rivoltano contro le provincie romane, 325,
326. Lor pace coll'imperadore Arcadio, 330. Il loro re Alarico preso
per generale delle sue truppe, _ivi_. Chiamati Visigoti sotto Alarico,
350. Sconfitti dal popolo di Costantinopoli, 355. Occupano alcune
città d'Italia, 362. Sconfitti da Stilicone, 363, 364, 365. Assediano
Roma, 389. La prendono e saccheggiano, 400. Passano nelle Gallie, 416.
S'impadroniscono dell'Aquitania, 422. E di gran tratto della Spagna,
427. Favorevoli ad Onorio Augusto, 431, 432. Si stabiliscono nella
Linguadoca, 437. Forzati da Aezio a sciogliere l'assedio d'Arles, 465.
E di Narbona, 494. Sconfitta da loro data a Littorio conte, 505. Gran
battaglia fra essi ed Attila, 554.

Goti, Ostrogoti, cacciano gli Unni dalla Pannonia, II, 467. Ausiliarii
de' Romani contro d'Attila, 552. Sotto Teoderico figlio di Triario
fissano la loro sede nella Tracia, 649. E nella Pannonia, 657. Entrano
in possesso dell'Italia, 701. Perdono la Sicilia, 859. Sbaragliano
i Greci in una battaglia navale, 934. Rovesciati e posti in fuga
dall'esercito di Narsete, 941. Altra battaglia, e loro accordo di
deporre l'armi con questo generale, 945. Fine del loro regno in Italia:
ingiustamente derisi da alcuni, 936. Non affatto cacciati d'Italia,
975.

Gotifredo, re di Danimarca, III, 446. Fa guerra a Carlo Magno, 462.
Cerca di far pace con lui, 467. Continua la stessa guerra, 473. Viene
ucciso da un suo soldato, 474.

Gotifredo, vescovo di Modena, III, 953, 958, 1032.

Gotifredo, duca di Lorena, III, 1168.

Gotifredo, arcivescovo di Milano, III, 1187, 1212. Sua morte, 1273.

Gotifredo, vescovo di Brescia, III, 1221.

Gotifredo, vescovo di Luni, IV, 34.

Gotifredo, abbate del monistero di Sant'Ambrosio di Milano, IV, 123.

Gotifredo, o Goffredo Barbato, duca della Lorena mosellanica, si
ribella al re Arrigo III, IV, 222. Rimesso in sua grazia, 226, 228.
Torna a ribellarsi, 227, 243. S'umilia all'imperadore, 245. Viene
in Italia, 259. Prende per moglie Beatrice duchessa di Toscana, 267.
Contra di lui sdegnato Arrigo III imperadore, 269. Si ritira in Lorena,
274 Rimesso in grazia del re Arrigo IV, 279. Suoi diplomi 287. Padrone
della Toscana, 296. Scaccia Cadaloo antipapa da Roma, 305. Guerreggia
contro il principe di Capoa, 311, 312, 323. Fine di sua vita, 340.

Gotifredo, ossia Gozelone, il Gobbo, duca di Lorena, marito della
contessa Matilda, IV, 341. Suo dominio in Toscana, 359. Va in aiuto di
Arrigo IV contro i Sassoni, 365. È ucciso, 371.

Gotifredo, arcivescovo di Milano, rigettato dal papa e dal popolo, IV,
338, 339. Assediato in Castiglione, 346. Poi scomunicato, 352.

Gotifredo, o Goffredo di Buglione, figlio del conte Eustachio, creato
marchese d'Anversa, IV, 372. Conduce in Levante l'armata de' crociati,
469. È proclamato re della ricuperata Gerusalemme, 482. Passa a miglior
vita, 487.

Gotifredo, patriarca d'Aquileia, dà la corona d'Italia ad Arrigo VI re
di Germania, IV, 897.

Gozelone, o Gotolone, duca di Lorena, sconfigge Odone conte di
Sciampagna, IV, 194. Fine dei suoi giorni, 222.

Gozelone il Gobbo, _V._ Gotifredo.

Gracco, prefetto di Roma, II, 199, 204

Grado, isola presa dal patriarca d'Aquileia per sua sede, II, 1037.
Concilio _ivi_ tenuto, è un'impostura, _ivi_, 1038. Ha principio un
nuovo patriarcato, 1134.

Grammatica sola, insegnata una volta, che comprendesse, III, 569.

Grano piovuto dal cielo, I, 986.

Grasolfo, forse duca del Friuli prima di Gisolfo suo figlio, II, 1078,
1079, 1147, 1211. Sua morte, 1248.

Grata, sorella di Valentiniano II Augusto, II, 301.

Grausone, congiurato contro re Cuniberto, III, 79 (_V._ Aldone.)

Graziano (Turranio), prefetto di Roma, sotto gli imperadori Massimiano
e Diocleziano, I, 1023.

Graziano, padre di Valentiniano imperadore, II, 143.

Graziano (Flavio), figlio di Valentiniano imperadore, II, 163.
Dichiarato Augusto, 164. Prende per moglie Flavia Massima Costanza
figlia di Costanzo imperadore, 189. Sue belle doti, 199, 209, 245,
246. Sua vittoria degli Alemanni, 208. Succede a Valente suo zio, 216.
Dichiara Augusto Teodosio, 218. Suo zelo per la religione cattolica,
235, 236. Ucciso da uno de' suoi uffiziali, 244.

Graziano, tiranno nella Bretagna, resta ucciso, II, 378.

Graziano, monaco, autore del Decreto, IV, 704.

Greca Chiesa: principio della sua divisione dalla latina, III, 122.

Greci: se tentassero di spogliare la basilica di San Michele posta nel
Monte Gargano, II, 1246, 1247. Soliti a cangiare i nomi agli stranieri,
III, 118. E a magnificare le cose loro, 136. S'impadroniscono di Bari,
778. Loro tolta la Sicilia da' Saraceni, 802. Riportano due vittorie
contra d'essi Saraceni 817, 844. Occupano il ducato di Benevento, 887,
888. Che poi loro è tolto, 919. Rotta loro data da' Saraceni, 1174.
Occupano Bari, 1254. Possessori della Lombardia minore, IV, 84, 90,
123, 201, 208.

Grecia, privata della libertà da Vespasiano, I, 300.

Grecino (Giulio), senatore, fatto morire da Caligola, I, 120.

Gregorio (san) Nisseno, celebre scrittore sotto Giuliano Apostata, II,
135.

Gregorio Nazianzeno; ritratto che fa di Giuliano Apostata, II,
116. Orazioni sue contra di lui, 133. Amministra la chiesa di
Costantinopoli, 228. Vescovo di quella città, 233.

Gregorio il Grande papa, prima pretore o prefetto di Roma, II, 1003,
1004. Si fa monaco, 1025. Sua lettera, in cui dipigne i costumi
de' suoi dì, 1033. Va a risiedere a Costantinopoli col titolo di
apocrisario pontificio, 1036. Suo ritorno in Italia, 1046, 1047, 1058.
È eletto papa, 1071. Sua vigilanza contro i Longobardi, 1087. Suoi
affanni per la desolazione de' contorni di Roma, 1090, 1091. Lettere
di lui a Teodelinda regina de' Longobardi, 1092. Alla quale invia in
dono i suoi Dialoghi, 1093. Sua bella apologia a Maurizio Augusto,
1093, 1094. Reprime la superbia di Giovanni il Digiunatore patriarca di
Costantinopoli, 1098. Procura la conversione degli Inglesi alla fede
di Cristo, 1099. Si duole di Romano esarco, perchè nemico della pace,
1101. Sue lettere e doni alla regina Teodelinda, 1129. È chiamato a
miglior vita, 1130.

Gregorio (San) vescovo turonense, storico insigne, passa a miglior
vita, II, 1097.

Gregorio, patrizio de' Romani, non esarco di Ravenna, II, 1211.

Gregorio prefetto del pretorio, in Africa, II, 1238. Si ribella
all'imperadore Costante, 1240. Viene co' Saraceni ad una giornata
campale, _ivi_. Nella quale rimane sconfitto e morto, _ivi_.

Gregorio, esarco di Ravenna, III, 27.

Gregorio II papa. Sua elezione, III, 149. Ricupera il patrimonio delle
Alpi Cozie, 150, 151. E il castello di Cuma, 157. Si oppone a Leone
Isauro in difesa delle immagini, 176, 177. Perciò perseguitato da lui,
177, 178. Sue lettere a lui, 184. Placa il re Liutprando, 190. Sua
morte, 193.

Gregorio III papa eletto, III, 193. Suo concilio contra gl'iconoclasti,
196, 197. Sua munificenza, 203. Protegge Trasmondo duca di Spoleti
ribello al re Liutprando, 213. Offerisce a Carlo Martello il dominio di
Roma, 219. È chiamato a miglior vita, 223.

Gregorio, nipote del re Liutprando, duca di Benevento, III, 163, 195.
Sua morte, 209.

Gregorio IV papa. Sua elezione, III, 558. Placito tenuto in Roma contra
di lui dai ministri dello imperadore Lodovico Pio, 569. Fabbrica Ostia
nuova, 580. Ito in Francia, è mal ricevuto, 583. Sua malattia, 597.
Manda legati di pace in Francia, 620, 621. Fine di sua vita, 636.

Gregorio, figlio di Sergio duca di Napoli, maestro de' militi, III,
693. Succede al padre, 730. Dichiara suo collega nel ducato il proprio
figlio Sergio, 731. Muore, _ivi_.

Gregorio, abbate di Santa Sofia di Benevento, III, 1234.

Gregorio V papa. Sua elezione, IV, 14. Fatta liberamente da' Romani,
_ivi_. Forzato a fuggire di Roma, 22. Sua bolla dubbiosa, 25. È rimesso
sul trono, 28. Fine de' suoi giorni, 35.

Gregorio, abbate del monistero de' Santi Cosma e Damiano in Roma, IV,
39.

Gregorio VI papa eletto, ma simoniacamente, IV, 222. Trova la sedia
romana in infelice stato, 223. Deposto nel concilio romano, 229. Viene
condotto in Germania, termina _ivi_ suoi giorni, 230. Riprovato da'
contemporanei scrittori, 231.

Gregorio vescovo di Vercelli, scomunicato, IV, 250. Creato cancelliere
d'Italia, 308, 345. Assiste alla consacrazione di Gregorio VII papa,
356, 357. Termina i suoi giorni, 380.

Gregorio VII papa, autore d'una sposizione di sette Salmi penitenziali,
II, 1072. Sua elezione, IV, 355. (_V._ Ildebrando.) Legati da lui
spediti per mettere in dovere il re Arrigo, IV, 359. Tiene in Roma
un gran concilio, 360. In un altro condanna le investiture delle
Chiese, 364 Sacrilego insulto a lui fatto in Roma, 367, 368. Arrigo
IV cerca di deporlo, 370. Contra di cui fulmina le censure, 371. Come
lo accogliesse in Canossa, 377. Gli dà la pace, 378. Che poco dura,
379. Scomunica Roberto Guiscardo, 385. Fa pace con lui, 387. Tiene
un concilio in Roma, nel quale fulmina le scomuniche contro Niceforo
Botoniata usurpatore del trono imperiale d'Oriente, 390. Si dichiara
pel re Ridolfo, e depone re Arrigo, 395. Si riconcilia con Roberto
Guiscardo, 397. Assediato in Roma dal re Arrigo, 402, 408, 412. Sua
costanza nella persecuzione, 413. Si ritira in castello Sant'Angelo,
418. Ricorre a Roberto Guiscardo, _ivi_. Da cui è liberato, 419. Sua
morte, 423.

Gregorio, cardinale di Sant'Angelo, IV, 533, 588. Eletto papa, 611,
_V._ Innocenzo II.

Gregorio, arcivescovo di Benevento, IV, 662.

Gregorio VIII papa. Sua elezione, IV, 904. Breve suo pontificato, e sua
morte, 905.

Gregorio IX papa. Sua elezione, IV, 1077, 1078. Dichiara incorso nelle
censure Federigo II Augusto, 1078, 1079, 1081. Da' Romani congiurati
forzato a ritirarsi da Roma, 1082. Fa guerra a Federigo nel regno di
Napoli, 1086. E in Levante, 1087. Torna a Roma, e fa pace con Federigo,
1092, 1093. Suo abboccamento con lui ad Anagni, 1094. Richiamato da'
Romani, 1110. Di nuovo per loro cagione esce di Roma, 1117. Motivi
del suo favore verso i Lombardi, 1132. Sua discordia, e concordia
co' Romani, 1144, 1145. Sua lega co' Veneziani e Genovesi contro
l'imperadore Federigo, 1153. Contra del quale fulmina la scomunica,
1154. Muove i Romani alla difesa propria e di Roma, 1161, 1162. Suo
dolore per molti vescovi e cardinali presi in mare da Federigo, 1167,
1168. Sua inflessibilità e morte, 1169.

Gregorio da Montelungo, legato pontifizio in Milano, IV, 1159. Assedia
co' collegati Ferrara, e la toglie a Salinguerra, 1162, 1163. Mena
soccorsi a Parma, 1201. Promotore della gran vittoria de' Parmigiani
contro Federigo II. 1205. Creato patriarca d'Aquileia, 1232.

Gregorio X papa. Sua elezione, V, 92. Suo arrivo a Roma, e zelo per gli
affari di Terra santa, 95, 96. Fa eleggere re de' Romani Ridolfo conte
dì Habspurch, 100. Indarno procura la pace in Firenze, 101. Scomunica i
nemici di Carlo I re di Sicilia, 104. Concilio generale da lui tenuto
in Lione, 105. Abboccamento da lui poscia tenuto con Alfonso re di
Castiglia e con Ridolfo re de' Romani, 110. Dà fine alla sua vita in
Arezzo, 115.

Gregorio XI papa. Sua elezione, V, 723. Fa guerra ai Visconti, 735,
739. I Fiorentini muovono a ribellione la maggior parte delle città
pontifizie, 746. Aduna un esercito per venire in Italia, 750. Sua
venuta ivi, 752. Cerca la pace, 758. Passa a miglior vita, 759.

Gregorio XII papa. Sua elezione, V, 941, 942. Sue finzioni e difetti,
946. Fugge l'abboccamento coll'antipapa Benedetto, 947, 948. Va a
Lucca, 952. È abbandonato da' vecchi cardinali, 955. E gli scomunica,
956. È deposto nel concilio di Pisa, 961. Fugge a Rimini, 980. Citato
dal concilio di Costanza, 993. Rinunzia al papato, 996. Dà fine al suo
vivere, 1008.

Gregorio XIII papa. Sua creazione, VI, 754, 755. Fonda in Roma il
collegio germanico, 761. Celebra l'anno del giubileo, 767. Fonda il
collegio greco, 772. E l'inglese, 779. Altre sue opere, 782. A lui
ricorrono i Moscoviti, 786. Fa la correzione del calendario, 790. Fonda
il collegio de' Maroniti, 796. Riceve l'ambascieria dei Giapponesi,
799. Sua morte, e sue lodi, 800.

Gregorio XIV papa. Sua creazione, VI, 830. Aiuta i cattolici di
Francia, 835. Passa a miglior vita, 837.

Gregorio XV papa. Sua elezione, VI, 981. Acquista la biblioteca di
Federigo elettor Palatino, 989. È chiamato all'altra vita, 991.

Greti re degli Eruli si fa cristiano, II, 833.

Griffone, figlio di Carlo Martello, confinato in una prigione dopo la
morte del padre, III, 226.

Grimani, cardinale, macchina una sollevazione in favor dell'imperadore
Leopoldo in Napoli, VII, 161.

Grimbaldo, vescovo di Cività di Penna, III, 754.

Grimerio, vescovo di Piacenza, costretto ad abbandonare la città, IV,
987.

Grimoaldo, figlio di Gisolfo duca del Friuli, come si sottraesse alla
schiavitù degli Unni, II, 1145, 1146. Fugge a Benevento, 1211, 1212.
Ivi è proclamato duca, 1241. Caccia da monte Gargano i Greci, 1246,
1247. Chiamato in aiuto da Godeberto re de' Longobardi, 1273. Gli
toglie la vita ed il regno, ed è proclamato re da questo popolo, 1275,
1276. Vola in soccorso del figlio Romoaldo assediato in Benevento, III,
11. Fa cacciare dalla Pannonia Beriarido, 17. Lo accoglie, venuto a sè,
ed approva la di lui fuga, 18, 19. Sua vittoria de' Franzesi, 22. Muove
gli Unni contro Lupo duca del Friuli, 24. Suo stratagemma per farli
ritirar dall'Italia, 25, 26. Sua crudeltà contra di Forlimpopoli, 28.
Sue leggi, 30. Fine di sua vita, 37. Fu principe cattolico, 38.

Grimoaldo, figlio di Arigiso principe di Benevento, dato per ostaggio
a Carlo Magno, III, 362. Rimesso in libertà, torna al governo di
Benevento, 370. Fedele a Carlo Magno, sconfigge i Greci, 374. Si
ribella, 390. Guerra a lui fatta dal re Pippino, 432, 437. Fa prigione
Guinigiso duca di Spoleti, 437. Lo mette in libertà, 440, 441. Fine di
sua vita, 457.

Grimoaldo II, duca di Benevento, III, 28, 49. Fine di sua vita, 61.

Grimoaldo Storesaiz, principe di Benevento, III, 457. Stabilisce pace
con Carlo Magno, 480. E con Lodovico Pio, 491. Fa guerra a Napoli, 500,
501. E ucciso, 515.

Grimone abbate di Corbeia, III, 218, 219.

Gritti (Andrea), _V._ Andrea Gritti.

Grossolano, vescovo di Savona, vicario di Anselmo IV arcivescovo di
Milano, IV, 487, 488. Sua ipocrisia, 494. È creato arcivescovo di
Milano, 495. Per provarlo simoniaco Liprando fa il giudizio del fuoco,
496. Difende la sua causa in Roma, 500, 501. Va in Terra santa 520.
Il clero della metropolitana di Milano lo depone, 537. Ritornato in
Italia, va a Milano per ricuperare la sedia arcivescovile, ma ne è
cacciato da Giordano da Clivi suo successore, 542, 543. Sua morte, 550.

Guaiferio, principe di Salerno, III, 696, 707. È in disgrazia di
Lodovico II Augusto, 709. Fa cavare gli occhi ad Adeniario già principe
di Salerno, 712. Fortifica Salerno, 749. Assediato dai Saraceni,
implora l'aiuto di Lodovico Augusto, 750. Landolfo vescovo di Capoa
tenta di farlo prigione, 763. Si stacca dall'amicizia dei Saraceni,
785. Gli è mossa guerra da Sergio II duca di Napoli, 789. Porta la
guerra a Pandonolfo conte di Capoa, 808. Sua morte, 820, 821.

Guaimario, principe di Salerno, III, 750, 821. Fa guerra ai Saraceni,
835. Va a Costantinopoli, 860. Si fa vassallo de' greci imperadori,
898. Concorre a cacciar di Benevento i Greci, 917, 918. Gli sono
cavati gli occhi da Adelferio di Avellino, 921. Ricusa una figlia sua
a Landolfo principe di Capoa, 945. È deposto dal figlio Guaimario II,
949.

Guaimario II, principe di Salerno, imprigiona Guaimario I suo padre,
III, 949. Fa guerra a' Greci, 1041. Muore, 1060.

Guaimario III, principe di Salerno, IV, 10, 125. Riconosce per sovrano
Arrigo II re di Germania, 138. Fondatore del monistero della Cava, 150,
151. Termina il suo vivere, 169.

Guaimario IV, principe di Salerno, IV, 169. Principato di Capoa a
lui conceduto da Corrado I Augusto, 197. S'impadronisce del ducato
d'Amalfi, 206. E di Sorrento, 209. Assedia Bari, 221. Dimette Capoa,
237. Ucciso da' suoi parenti, 256, 257.

Gualamire, re degli Ostrogoti, II, 552.

Gualberto, vescovo di Modena, III, 707.

Gualberto, arcivescovo di Milano, III, 1129, 1131. Va in Germania ad
implorar soccorso contro il re Berengario, 1145. Dà la corona d'Italia
ad Ottone il Grande, 1152.

Gualdone, vescovo di Como, _V._ Waldone.

Gualfredo, duca e marchese del Friuli, III, 875, 908. Sua morte, 915.

Gualla, cardinale di San Martino, IV, 1066.

Gualla, vescovo di Brescia, IV, 1085.

Gualperto, patriarca d'Aquileia, III, 786.

Gualtieri, arcivescovo di Ravenna, IV, 565. Ha lite di precedenza con
quel di Milano, 585. Favorevole a papa Innocenzo II, 613.

Gualtieri, arcivescovo di Palermo, IV, 914.

Gualtieri, vescovo di Troia, gran cancelliere di Sicilia, IV,
969. Scomunicato da Innocenzo III papa, 973. Per cui è obbligato a
fuggirsene dalla corte, _ivi_. Torna in Sicilia, 980.

Gualtieri, conte di Brenna, acquista la contea di Lecce, IV, 970. Dà
una rotta al conte Diopoldo, 974. Prende Terracina, 986. Assassinato
da' Tedeschi, muore, 988, 989.

Gualtieri, vescovo di Catania, IV, 1049.

Gualtieri, conte di Brenna e duca d'Atene, va in soccorso de'
Fiorentini, V, 455. Creato da essi loro signore, 564. Poi cacciato per
le sue enormità, 570, 571.

Guanilone arcivescovo di Sena. Traditore del re Carlo Calvo, III,
687. Accusato di questo in un concilio, con furberia si giustifica, e
rientra in grazia del re Carlo, _ivi_. Creduto da alcuni il Gano de'
Romanzi, _ivi_. (_V._ Gano.)

Guarino, abbate di San Michele di Cusano in Guascogna; venuto a
Venezia, persuade al doge Pietro Orseolo di dimettere il dogado ed
abbracciare la vita monastica, III, 1220.

Guarino, vescovo di Modena, IV, 130.

Guarnì, popoli della Germania, che abitavano il paese ove è ora il
ducato di Meclemburgo, III, 763.

Guarnieri, forse primo marchese della marca di Ancona, IV, 261.

Guarnieri, giudice e dottore di Bologna, IV, 552. Il primo ad aprire
scuola di giurisprudenza romana in Bologna, 552. Fa credere unitamente
a varii altri giureconsulti, che la elezione dell'antipapa Burdino
fatta dal re Arrigo V, era giusta, 563.

Guarnieri, marchese d'Ancona, IV, 487, 509. Sua empietà, 510.

Guarnieri, duca di Spoleti, IV, 558.

Guarnieri, marchese di Camerino, IV, 761.

Guarnieri, Alemanno, duca, capo d'un esercito di masnadieri: danni da
lui inferiti a varie città, V, 565, 566. Si disfà la sua armata, 572.
La rifà, e va nel regno di Napoli, 602. Milita in Romagna, 613. Torna
nel regno di Napoli, e sua infedeltà ed ingordigia, 617. Va al servigio
degli Scaligeri, 621.

Guastalla, presa da' Gallispani, e data al duca di Mantova, VII, 170.
Battaglia presso ad essa fra i cesarei e Gallo-Sardi, 396.

Gudio: alcune sue iscrizioni sospette, I, 506, 516, 518, 532, 580, 596,
597, 600, 649, 707, 779, 783, 801, 840, 850, 855, 948; II, 187.

Guecelo da Camino. Succede a suo fratello Ricciardo nella signoria di
Trivigi, V, 356. Ne perde il dominio, 360. S'impadronisce di Feltre,
391.

Guelfi e Ghibellini, sette; loro origine, IV, 657, 707. Quanto dilatata
questa peste, 958; V, 41.

Guelfo duca, padre di Giuditta moglie di Lodovico Pio. Da lui fu
propagata l'insigne famiglia de' principi Guelfi in Germania, III, 521.

Guelfo conte della Suevia, nemico di Corrado I Augusto, IV, 151.

Guelfo III conte, creato duca di Carintia e marchese di Verona,
IV, 239. Varii suoi atti, e sua morte, 276. Sua eredità passa negli
Estensi, _ivi_.

Guelfo IV, figlio di Azio II marchese d'Este, IV, 276. Eredita gli
Stati della casa de' principi Guelfi, _ivi_, 348. Creato duca di
Baviera, 339, 349, 365. Abbandona re Arrigo IV, 373, 374. Il quale
gli fa la guerra, 390. Prende Augusta, 421. Ma gli è ritolta da esso
Arrigo, _ivi_. Dà una rotta all'armate di esso re, 430. Matrimonio di
Guelfo V suo figlio colla contessa Matilda, 439, 448. Abbraccia il
partito di Arrigo IV, 466. Fa guerra a' suoi fratelli estensi, 474,
475. Va a Gerusalemme, 491. Termina i suoi giorni, _ivi_.

Guelfo V, figlio di Guelfo IV duca della Baviera, prende in moglie la
contessa Matilda, IV, 439, 448. Guerra a lui fatta dal re Arrigo IV,
443. Gli è tolta Mantova con altri luoghi 446, 447. Suo divorzio da
Matilda, 465. Succede al padre nel ducato della Baviera, 492. Favorisce
Arrigo V contro il padre, 502. Va ambasciatore in Francia, 511.

Guelfo VI, figlio di Arrigo il Nero duca di Baviera, IV, 594. Fa
guerra a Leopoldo nuovo duca di essa Baviera, 668. Va in Terra santa
col re Corrado, 689. Ricomincia la guerra, 694. Si pacifica col re
Corrado, 703, 707. Creato marchese di Toscana e duca di Spoleti, 714.
Ambasciatori di Toscana e Spoleti a lui venuti, 722. Sue lodi, 759,
761. Esercizio del suo dominio in Toscana e Spoleti, 763. Fa guerra in
Germania, 794. Rinunzia i suoi Stati a Federigo Augusto, 822.

Guelfo VII, lasciato dal padre al governo della Toscana, IV, 763.
Guerra da lui fatta in Germania, 794. Sua morte, 811.

Guglia, od obelisco, fatta condurre in Roma da Costanzo Augusto, II,
76. Fatta di poi innalzare nella piazza del Vaticano da Sisto V, 77;
VI, 810.

Guglielmo, duca di Tolosa, III, 392, 397, 405.

Guglielmo, arcivescovo di Magonza, III, 1150, 1169, 1183.

Guglielmo, conte di Provenza, III, 1204.

Guglielmo IV, duca d'Aquitania, invitato alla corona da' principi
d'Italia, IV, 147.

Guglielmo, abbate di Digione, celebre nella storia monastica, IV, 171.

Guglielmo Bracciodiferro. Normanno. Sua venuta in Italia, IV, 200. 201.
Conte d'Ascoli, 215. Fine di sua vita, 233.

Guglielmo il Conquistatore, re d'Inghilterra, IV, 342. Sua morte, 440.

Guglielmo, vescovo di Pavia, IV, 360.

Guglielmo il Rosso, figlio di Guglielmo il Conquistatore re
d'Inghilterra, succede al padre, IV, 440.

Guglielmo, duca di Puglia, succede a Ruggieri suo padre, IV, 535.
Interviene ad un concilio tenuto da papa Pasquale II, 543. Va a
rendere omaggio a papa Gelasio II, 562. Arma contro Arrigo V, 564. Va
a Benevento ad ossequiare papa Callisto II, 576. Va a Costantinopoli,
581, 582. Da Ruggieri II gli sono tolti alcuni Stati, 582. A cui altri
ne cede, 584. Fine di sua vita, 596.

Guglielmo, terzogenito del re Ruggieri, dichiarato duca di Capoa e
di Napoli, IV, 676. Dei suoi fratelli resta in vita egli solo, 698.
Dichiarato re e collega dal padre, 702. A cui defunto succede, 716.
Fa guerra al papa, 723. Congiura de' baroni contra di lui, 730, 731.
Voce falsa di sua morte, 733. Ricupera gli Stati perduti nella Puglia,
735, 736. Fa pace con papa Adriano, 736. Perduto ne' piaceri, lascia
le redini del governo al suo ministro Maione, 741. Dalla sua flotta
è sconfitta quella de' Greci, 752. Riconosce per papa Alessandro III,
762. Gli è tolta Mahadia in Africa, 767, 768. Per l'uccisione di Maione
si sveglia, 769. Cospirazione contra di lui, 772. Ricupera gli Stati
perduti, 773. Fine de' suoi giorni, 796.

Guglielmo, marchese di Monferrato, IV, 689. Guerreggia in favore de'
Pavesi, 741. Muove guerra a' Genovesi, 799. Aiuta Federigo I a fuggire
815. Nobiltà e celebrità della sua famiglia, 872. Fatto prigione da
Saladino, 901. Riscattato dal figlio Corrado, 909, 910. Milita in aiuto
d'Arrigo VI Augusto, 937. A lui confermato il regno di Tessalonica,
1033. Ambasciatore di Federigo II, 1040. Suoi preparamenti per
ricuperar Tessalonica, 1063. Impegna tutte le sue terre a Federigo
Augusto, e fine de' suoi giorni, 1064.

Guglielmo, cardinale diacono, IV, 754.

Guglielmo II, re di Sicilia, succede al padre, IV, 796. Soccorre papa
Alessandro III, 806, 809. Beffato da Manuello Comneno nel trattato
di matrimonio con una sua figliuola, 833. Rifiuta una figlia di
Federigo I Augusto, 834, 835. Sua spedizione contro i Saraceni, 849.
Prende in moglie Giovanna figlia di Arrigo II re d'Inghilterra, 856.
Fa vantaggiosamente pace col re di Marocco, 877, 878. E con Federigo
Augusto, 893. Sua guerra co' Greci, _ivi_. Fine del suo vivere, 913.

Guglielmo, Pavese, cardinal di San Pietro in Vincola, IV, 847.

Guglielmo Longaspada, figlio del marchese di Monferrato, sposa Sibiglia
sorella di Baldovino re di Gerusalemme, IV, 872. Sua battaglia col
Pelavicino, e vittoria, V, 51. Sue nozze con una figlia d'Alfonso re di
Castiglia, 95. Chiamato in aiuto da quei d'Asti, si oppone a Carlo I re
di Sicilia, 104, 107. Fa lega coi Genovesi, Pavesi ed Astigiani contro
lo stesso, 104. Sua potenza: è preso da' Milanesi per loro capitano,
contro i Torriani, 128. Sue cabale, 133. Suo viaggio in Ispagna colla
moglie: è fatto prigione da Tommaso conte di Savoia, e si libera,
141, 142. Sua vittoria de' Torriani, 142. Fa da signore in Milano,
157. È abbattuto da Ottone Visconte arcivescovo di quella città, 165.
Marita sua figlia Jolanta Violante ad Andronico Paleologo imperadore
greco, 171. Lega contra di lui, 196. Sua potenza, 205. Preso dagli
Alessandrini, è cacciato in una gabbia di ferro, 206. Muore, 219.

Guglielmo III, figlio di Tancredi re di Sicilia, a lui succede, IV,
933. Messo in prigione da Arrigo VI Augusto, 939, 941. Poi condotto in
Germania, 943. Si fa monaco, 962.

Guglielmo degli Adelardi, soprannominato della Marchesella, Ferrarese,
libera Ancona dall'assedio degli imperiali e de' Veneziani, IV, 841.
Passa l'eredità sua ne' marchesi estensi, pel matrimonio di Azzo con
Marchesella sua figlia, 949.

Guglielmo da Rozolo, arcivescovo di Milano, IV, 1097.

Guglielmo, eletto vescovo di Valenza, poi di Liegi, dà una sconfitta a'
Piacentini, IV, 1149, 1150.

Guglielmo, già vescovo di Modena, spedito dal papa Innocenzo IV
all'imperadore Federigo II, IV, 1179. Creato cardinale, _ivi_.

Guglielmo, cardinale, nipote d'Innocenzo, IV, IV, 1185. Comanda
l'esercito pontificio in una battaglia data alle truppe del re Corrado,
1258.

Guglielmo, conte d'Olanda, eletto re de' Romani e di Germania, IV,
1198. Prevale al re Corrado, 1208, 1209. Fa da padrone nella Romagna,
1214. Perde il credito, 1227. Dà fine al suo vivere, 1252.

Guglielmo, cardinale, vescovo sabinicense, corona ad Aquisgrana
Guglielmo conte d'Olanda in re di Germania, IV, 1198.

Guglielmo, vescovo di Ferrara, legato apostolico, V, 114.

Guglielmo degli Ubertini, vescovo d'Arezzo, fa ribellare a' Sanesi il
Poggio a Santa Cecilia, V, 187. Creato signore d'Arezzo, 192. Ucciso in
una battaglia contro i Fiorentini, 201.

Guglielmo Durante, vescovo mimatense, eletto da papa Bonifazio VIII
marchese della marca d'Ancona e conte della Romagna, V, 241, 242, 244.
Richiamato dal governo di essa Romagna, 248.

Guglielmo da Nogareto, d'ordine di Filippo il Bello re di Francia, fa
prigione papa Bonifazio VIII, V, 282, 283.

Guglielmo marchese Cavalcabò, signore di Cremona, V, 337. Fugge
all'arrivo del re Arrigo VII, 345. È ucciso, 356.

Guglielmo, cardinale legato di Bologna, V, 745. Scacciato da'
Bolognesi, 748, 749.

Guglielmo, fratello di Giovanni marchese di Monferrato, V, 1177. Passa
al servigio del duca di Milano, 1180. Poi a quello de' Veneziani,
_ivi_. Dà una rotta a Carlo Gonzaga, 1181. Suoi patti con Francesco
Sforza, 1201. Entra in possesso d'Alessandria, 1204. Imprigionato
dallo Sforza, 1209, 1210. Rimesso in libertà, 1218. Va al soldo de'
Veneziani, 1222. Con suo fratello Giovanni porta la guerra agli Stati
di esso Sforza, 1226. Gli è data una grande sconfitta da Sagramoro
da Parma, 1227. Fa pace col duca di Milano, 1232. Succede al marchese
Giovanni suo fratello, VI, 14. Sua lega con Galeazzo Maria Sforza duca
di Milano, 24. Termina i suoi giorni, 85.

Guglielmo Gonzaga succede al fratello Francesco nel ducato di Mantova e
Monferrato, VI, 606. Interviene a Ferrara ad un magnifico torneo datovi
dal duca Alfonso II, 695. Assiste alle nozze del duca Alfonso con
Barbara d'Austria, 713, 714. Sposa Leonora d'Austria, 714. Contribuisce
buona somma di danaro per la guerra in Ungheria contro i Turchi, 722.
Viene a Venezia ad ossequiare Arrigo III re di Francia, 764, 765. Dà in
moglie all'unico suo figlio Vincenzo Margherita Farnese, 786. Fine de'
suoi giorni, 813.

Guglielmo, principe d'Oranges, autore della ribellione de' Paesi Bassi,
VI, 756, 757, 771, 774. Sua morte violenta, 797.

Guglielmo, re d'Inghilterra: sua lega coll'imperadore Leopoldo contro
la Francia e Spagna, VII, 162. Sua morte, 172.

Guibaldo, abbate di Monte Casino, IV, 651.

Guiberto, vescovo di Modena, IV, 199.

Guiberto, cancelliere d'Italia, deposto, IV, 308. Creato arcivescovo
di Ravenna, 350. Aspira al papato, 367. Scomunicato in due concilii
romani, 374, 385. Raduna a Pavia un conciliabolo, e vi scomunica papa
Gregorio VII, 374. Creato antipapa assume il nome di Clemente III,
396. Va all'assedio di Roma, 402, 408. Si fa consecrare nella basilica
lateranense. 416, 417. È cacciato da Roma, 438. E di nuovo in essa
ammesso, 448. È riconosciuta la di lui autorità in Reggio di Lombardia,
455. Tiene forte castello Sant'Angelo, 461. Fine de' suoi giorni, 486.
D'ordine di papa Pasquale II, le sue ossa sono disotterrate e gittate
nel fiume, 506.

Guicciardini (Francesco): fine della sua Storia di Italia, VI, 509.

Guidantonio da Montefeltro, conte d'Urbino, succede al padre, V, 926.
Toglie Assisi a Braccio da Montone, 1123. Ma la perde subito dopo,
_ivi_. Aiuta papa Martino V a ricuperare gli Stati della Chiesa, 1080.
Generale de' Fiorentini, 1082. Sconfitto da Niccolò Piccinino, 1083,
1084. Sua morte, 1162.

Guidantonio, o Guidazzo, de' Manfredi, figlio di Gian Galeazzo signore
di Faenza, gli succede, V, 1004. Fa lega co' Fiorentini, 1060. Soccorre
Brescia, 1066. Fa guerra ad Imola, 1108. È sconfitto da Niccolò da
Tolentino, 1109. Sua morte, 1202.

Guidino, conte de' Goti, vinto da Narsete, II, 961, 974. Preso ed
inviato a Costantinopoli, _ivi_.

Guido, conte longobardo, muore, III, 267.

Guido I, duca di Spoleti, libera Benevento dall'assedio, III, 630,
631. Preso da un Saraceno e liberato, 632. Mediatore fra Lodovico re e
Siconolfo principe di Salerno, 640. Sua morte, 711, 712.

Guido II, duca di Spoleti, III, 778, 785, 816. Succede al fratello
Lamberto, 817. Infesta gli Stati della Chiesa romana, 829. È messo da
Carlo il Grosso al bando dell'imperio, 838. Riacquista la grazia di
esso Carlo, 845, 846. Adottato in figlio da papa Stefano V, occupa
Capoa e Benevento, 853, 854. Alla morte di Carlo il Grosso va in
Francia, aspirando a quel regno, 866. Tornato in Italia, assume il
titolo di re, e muove guerra al re Berengario, 868, 869. Sua battaglia
infelice contra di lui, 871, 872. Altra in cui sconfigge l'avversario,
876, 877. È solennemente eletto re d'Italia, 878. Sua genealogia,
883, 884. È creato e coronato imperadore de' Romani, 884. Suo diploma
dubbioso, 888. Finisce di vivere, 902, 903.

Guido Novello, duca e marchese di Spoleti, poco conosciuto, libera
Benevento dalle mani de' Greci, III, 917, 918, 919.

Guido, vescovo, di Piacenza, III, 960, 962, 1006, 1007, 1014, 1022,
1059. Sua morte, 1076.

Guido, duca di Toscana, III, 999. Fatto prigione da Berengario Augusto,
1003. Promuove la venuta in Italia d'Ugo conte di Provenza, 1025.
Prende per moglie Marozia Romana, 1029, 1034. Imprigiona papa Giovanni
X, 1037. Sua morte, 1041.

Guido, vescovo di Modena, si rivolta contra di Ugo re d'Italia, III,
1098, 1107, 1114. Arcicancelliere del re Berengario II, 1131. E di
Ottone il Grande, 1159, 1160. Cade in disgrazia di lui, 1172, 1173.

Guido, marchese, figlio del re Berengario II, III, 1134, 1147, 1158,
1160. Ucciso in un conflitto, 1172.

Guido, vescovo di Pavia, IV, 47.

Guido abbate della Pomposa, IV, 149, 166, 223. Sua santità e morte,
231, 232.

Guido, abbate di Farfa, IV, 94, 96, 100.

Guido, marchese, forse uno degli antenati della casa d'Este, IV, 193.

Guido, monaco aretino, ristoratore del canto fermo, IV, 232.

Guido da Velate, arcivescovo di Milano, IV, 225. Fautore
dell'incontinenza de' preti, 294. Scomunicato dal papa Alessandro II,
325. Rinunzia la mitra, 338.

Guido, duca di Sorrento, IV, 257.

Guido, vescovo di Luni, IV, 271.

Guido, vescovo di Volterra, IV, 298.

Guido, arcivescovo di Vienna, IV, 570. È creato papa, _ivi_. _V._
Callisto II.

Guido, vescovo di Como, IV, 567. Manca di vita, 593.

Guido, cardinale, di nascita Pisano, IV, 629. Legato pontificio presso
re Corrado, III, 684.

Guido da Castello, cardinale, IV, 654.

Guido Guerra, conte ricco di Toscana, IV, 729.

Guido da Biandrate, cardinale, IV, 754.

Guido da Crema, cardinale di San Callisto, IV, 754, 756. Creato
antipapa, prende il nome di Pasquale III, 788. _V._ Pasquale III.

Guido, arcivescovo di Ravenna: sua morte, IV, 829.

Guido Lusignano, re di Gerusalemme, fatto prigione da Saladino, IV,
901. È liberato, 990. Assedia Tolemaide, ed è anch'esso assediato, 912,
917. Compera da Riccardo re d'Inghilterra l'isola di Cipri, 926.

Guido, cardinale vescovo di Palestrina, IV, 976.

Guido, conte di Monforte, vicario in Toscana di Carlo re di Sicilia,
assassina Arrigo figlio di Riccardo d'Inghilterra, V, 91.

Guido, conte di Montefeltro, capitano di Forlì: sua vittoria de'
Bolognesi, V, 113. Prende Bagnacavallo, 119. Fa di nuovo fronte a'
Bolognesi, 124. Continua a proteggere i Ghibellini di Forlì e Bologna,
144. Dà una gran rotta al conte della Romagna, 156. Mandato a' confini
da papa Martino IV, 164. Preso per loro signore da' Pisani, 208.
Scomunicato dal papa, se non dimetteva quella signoria, _ivi_. Varie
sue vicende nella guerra sostenuta da lui in favore di quella città,
_ivi_, 209. S'impadronisce d'Urbino, 221. Licenziato da' Pisani,
225. Rimesso in grazia del papa Bonifazio VIII, gli sono restituiti
tutti i suoi beni, 242. Si fa frate, _ivi_. Suo consiglio dato a papa
Bonifazio, 258.

Guido Novello da Polenta diviene signore di Ravenna, V, 114. Suoi
figli Astasio e Ramberto si oppongono a Stefano della Colonna nuovo
conte della Romagna, e lo fanno prigione con varii de' suoi, 210. Va ad
occupare Forlì, _ivi_. Diede ricovero a Dante Alighieri, 424.

Guido dalla Torre signore di Milano e Piacenza, V, 314, 322. Si burla
di Matteo Visconte depresso, 327, 328. Perde Piacenza, 328. Sua pena
per la venuta in Italia di Arrigo VII re de' Romani, 337. Perde il
dominio di Milano, 339. Dai Tedeschi è costretto a fuggire, 344. Sua
morte, 356.

Guido, conte di Fiandra: sua morte, V, 348.

Guido de' Tarlati, vescovo d'Arezzo, V, 436. Chiama in Italia Lodovico
il Bavaro, 459. Lo abbandona, e muore, 463, 464.

Guido de' Pii, vicario di Modena, V, 491, 494. Cede questa città a'
marchesi estensi, 530.

Guido de' Fogliani, signore di Reggio, V, 525.

Guido Gonzaga, figlio del signore di Mantova, acquista Reggio, V, 525.
Collegato contro gli Scaligeri, 534, 555. E contro gli Estensi. 584.

Guido da Polenta juniore, signore di Ravenna, V, 674, 789, 795.
Imprigionato da' figli, 832. Sua morte, _ivi_.

Guido di Monforte, cardinale, governatore di Lucca, V, 719. Le rende la
libertà, _ivi_.

Guidotto da Correggio, vescovo di Mantova, IV, 1126. Sua morte, 1129.

Guidubaldo I, duca d'Urbino, generale del papa, VI, 143. E de'
Veneziani, 148. Spogliato dei suoi Stati dal duca Valentino, 191, 195.
Li ricupera, 202, 213.

Guidubaldo della Rovere, signore di Camerino: sue nozze, VI, 508.
Succede al padre nel ducato di Urbino, 538, 539. Sue seconde nozze con
Vittoria Farnese, 591. Generale de' Veneziani, _ivi_. E del papa, 648.
Fine de' suoi giorni, 762.

Guifredo, abbate di San Dionisio di Milano, IV, 742.

Guiliberto, vescovo di Colonia, III, 777.

Guilla. _V._ Willa.

Guinigiso, duca di Spoleti, III, 377. Accorre in soccorso di papa
Leone III, 413, 414. E lo conduce a Spoleti, 414. Sua lite coi monaci
di Farfa, 433. Fatto prigione da Grimoaldo duca di Benevento, 437. È
rimesso in libertà, 440, 441, 454, 496, 499, 506, 531. Sua morte, 531,
534.

Guinizone, abbate del monistero di San Salvatore di Monte Amiato, IV,
81.

Guisa, _V._ Duca di Guisa.

Gundabondo, o Gundamondo, re de' Vandali, II, 689, 716. Sua morte, 726.

Gundebaldo, re de' Borgognoni, _V._ Gundobado.

Gundeberga, figlia di Agilolfo re d'Italia. Sua nascita, II, 1151.
Moglie di Arioldo re de' Longobardi, 1178. Sua pericolosa avventura,
1198. Vedova, elegge per suo marito Rotari duca di Brescia, 1213. Il
quale poi la fa imprigionare, 1217. Riacquista la libertà, 1228. Errore
di Paolo Diacono intorno ad essa, 1251.

Gundeberto, re de' Longobardi, _V._ Godeberto.

Gunderico, re de' Vandali, lì, 377. Occupa la Galizia, 413, 436. Prende
Siviglia, 463. Sua morte, 466.

Gundibalo, Gundiburo o Gundibaldo, figlio di Gundeuco re de'
Borgognoni, creato patrizio, II, 645.

Gundibrando, duca di Firenze, III, 357.

Gundoaldo, duca d'Asti, ucciso, II, 1150.

Gundobado, Gundebaldo o Gundobaldo, re dei Borgognoni: sua irruzione
in Italia, e sua barbarie, II, 705, 716, 717, 719. Tradito dal fratello
Godigisclo, 738. Lo prende ed uccide, _ivi_. Divien padrone di tutta la
Borgogna, 739. Leggi da lui pubblicate, _ivi_. Collegato con Clodoveo
re de' Franchi, 764. Prende Narbona, 772. Sua morte, 795.

Guntario, o Gundicario, re de' Borgognoni, II, 422. Sconfitto in una
battaglia da Aezio, è costretto a chiedere la pace, 491. In un'altra
battaglia contro Aezio perde la vita, 494.

Guntario, arcivescovo di Colonia, III, 698. È deposto, 701.

Guntranno, re de' Franchi. Stati di cui rimane in possesso, morto il
padre Clotario, II, 972. Manda Eunio Mummolo suo generale incontro ai
Longobardi che rimangono sconfitti, 1023, 1026. Sua bontà, 1074, 1079.
Sua morte, 1091.

Gustavo Adolfo, re di Svezia, mosso dal cardinale Richelieu a portare
l'armi contro Ferdinando II imperadore, VI, 1044. Sue vittorie,
1049. Suoi terribili progressi in Germania, 1058. Resta ucciso nella
battaglia di Lutzen, 1060.


H

Handegis, vescovo di Pola, non conosciuto dall'Ughelli al tomo quinto
dell'Italia sacra, III, 736.

Herenniano Augusto, figlio di Odenato Palmireno, I, 929, 958, 964.

Hogstedt: fiera battaglia quivi data dagli Anglocesarei contro i
Gallo-Bavari, colla rotta degli ultimi, VII, 187.

Hostiliano (Caio Valente Messio Quinto Decio), figlio di Decio Augusto,
creato Cesare, I, 864. Dichiarato Augusto, 872. Sua morte, 874.


I

Ibba, Ida, ossia Ebbane o Elbane, generale del re Teoderico, soccorre
Arles contro i Franchi, II, 767. Gli è ordinato da Teoderico di
restituire i poderi alla chiesa di Narbona, 773. Caccia di Spagna
Gesalico, re intruso de' Visigoti, 775, 780.

Ibrioni, popoli in aiuto de' Romani contro Attila nelle battaglie date
nelle Gallie, II, 553.

Iconoclasti, _V._ Immagini.

Idacio, vescovo di Limica o delle Acque Flavie, e storico, II, 485,
605. Fatto prigione dagli Svevi, poi ricupera la libertà, 607.

Igino, romano pontefice, I, 479. Sua morte, 494.

Ignazio (Santo), vescovo di Antiochia e martire I, 416. Traslazione
delle sue reliquie, II, 500.

Ignazio (Santo), patriarca di Costantinopoli, deposto, III, 683, 698.
Rimesso nella sua cattedra, 713, 717. Presidente del concilio generale
tenuto a Costantinopoli, 720. Sua morte, 801.

Ignoranza delle buone lettere ai tempi de' Longobardi, III, 55, 102.

Ilariano (Mecilio), prefetto di Roma sotto Costantino juniore, I, 1220.

Ilario (Santo), vescovo di Poitiers, mandato in esilio da Costanzo
imperadore, II, 73. Sua celebrità come scrittore, 135. Sua morte, 168.

Ilario, vescovo d'Arles, II, 522.

Ilario, prefetto di Roma, sotto l'imperadore Onorio, II, 381.

Ilario papa. Sua elezione, II, 609. Manca di vita, 631.

Ilaro (Santo), fondatore del monistero della Galeata alle radici
dell'Apennino nella Romagna, II, 793.

Ildelberto, conte di Marsi, _V._ Ildeperto.

Ildeberto, abbate di Siena, IV, 81.

Ildebrando, o Ilprando, nipote del re Liutprando, fatto prigione da'
Veneziani, III, 188. Nella malattia dello zio eletto e proclamato re,
204. Gli succede, 234, 236. Da lì a non molto è deposto, 236.

Ildebrando, duca di Spoleti, III, 318, 327. Suo viaggio in Francia,
340. Cessa di vivere, 377.

Ildebrando, vescovo di Modena, III, 1174, 1262.

Ildebrando, abbate di Nonantola, IV, 618.

Ildebrando, monaco, accompagna in Germania il deposto papa Gregorio
VI, IV, 230. E di colà conduce san Leone IX papa, 245. Promuove al
papato Gebeardo vescovo di Aichstet (Vittore II), 269. Spedito dallo
stesso papa in Francia, 271. Mandato poi in Germania, 285. Torna in
Italia, 286. Creato arcidiacono della Chiesa romana, 290. Fa eleggere
papa Anselmo da Badagio Alessandro II, 300. Mobile principale della
corte pontificia, 321. Sostiene i diritti della santa Sede, 329, 331. È
eletto papa, 355. _V._ Gregorio VII.

Ildegarda, o Ildegarde moglie di Carlo Magno, III, 307, 316. Sua morte,
350.

Ildeperto, duca di Spoleti, III, 328.

Ildeperto, o Ildeberto conte, forse di Marsi, forse ancora duca di
Camerino, III, 690, 742.

Ilderico, figlio di Unnerico re dei Vandali, II, 580, 646. Succeduto a
Trasamondo, favorisce i Cattolici, 811. Morte da lui data ad Amalafreda
sorella del re Teoderico, 835. Imprigionato dai suoi, 838. L'imperadore
Giustiniano manda ambasciatori a Gelimere usurpatore del regno per
liberarlo, 846. Gli è abbreviata la vita, 850.

Ilderico, duca di Spoleti, III, 213. Sua morte, 214.

Ilderico, abbate di Casauria, III, 1139.

Ildibado, o Ildibaldo, eletto re dai Goti, II, 888, 890. È ucciso, 891.

Ildobrandino, o Ildobrando da Romena, vescovo d'Arezzo, dichiarato
conte della Romagna da papa Niccolò IV, V, 216. Dai principali signori
della Romagna è cacciato da Forlì, 220. Il re Carlo II di Napoli
ottiene da papa Celestino V, che sia cacciato dalla Romagna, 233.

Ilduino, abbate di san Dionisio in Parigi, congiurato contro
l'imperadore Lodovico Pio, III, 574. Viene condannato a un lieve
castigo, 575. Si sottomette all'imperadore Lottario, 615.

Ilduino, arcivescovo di Milano, III, 1047. Passa all'altra vita, 1073.

Illo, console orientale, II, 671. Generale di Zenone Augusto, 675.
È dichiarato prefetto di tutto lo Oriente, _ivi_. Fa cacciare da
Costantinopoli Verina Augusta vedova dell'imperadore Leone, 681. Gli
è salvata la vita da un suo servo, 682. Passa in Asia, _ivi_. Sua
ribellione contra di Zenone, _ivi_, 686, 687. È sconfitto dall'armata
cesarea, 688. Preso ed ucciso, 696.

Ilprando, nipote del re Liutprando, _V._ Ildebrando.

Imbricone, vescovo di Augusta; sua morte, IV, 380.

Imelda, badessa di San Sisto di Piacenza, IV, 493.

Immagini sacre; loro uso vietato dall'imperadore Leone Isauro, III,
175. Concilio romano, tenuto ila papa Gregorio III, in lor difesa, 196.
Conciliabolo de' Greci contra di esse, 257, 258. Favorite da Costantino
e Irene Augusti, 355. Fiero tumulto suscitato in Costantinopoli dagli
iconoclasti, 358. Stabilite nel concilio piceno, 360, 361, 393. Leone
l'Armeno risveglia la persecuzione contro coloro che ne proteggono il
culto, 499, 522. Culto di esse rimesso da Michele imperador de' Greci,
624, 625.

Imperio romano: sua declinazione, II, 357. Per cagione in parte dei
generali barbari, 591.

Inemaro, arcivescovo di Rems, III, 728.

Indizioni; loro origine, I, 1116. Lor vario uso. III, 831.

Indulgenza plenaria, rarissima una volta, conceduta per la crociata,
IV, 465.

Ingelberto, marchese di Toscana, IV, 638, 645.

Ingenio, principale cittadino di Narbona, in casa del quale il re goto
Ataulfo sposò la principessa Galla Placidia sorella dell'imperadore
Onorio, II, 425.

Ingenuino (Santo), vescovo di Sabione, II, 1076. Trasporla la sede a
Brixen, 1219, 1220.

Ingenito (Decimo Lelio), generale di Valeriano Augusto, proclamato
imperadore, I, 892, 904.

Inglesi, s'impadroniscono di Cadice, VII, 172. Le danno un fiero sacco,
173. Prendono i galeoni spagnuoli venuti d'America carichi d'oro e di
merci. Fanno lega coll'imperadore Carlo VI contro la Spagna, 275, 286.
Rotta da loro data alla flotta spagnuola, 287. Lor battaglia navale co'
Gallispani verso Tolone, 535.

Ingoaldo, abbate di Farfa, III, 506, 531, 561.

Ingone, vescovo di Ferrara, IV, 90.

Ingone, vescovo di Modena, IV, 154, 181. Sua morte, 199, 202.

Innocenzo I papa. Sua elezione, II, 360. Si affatica in favore di san
Giovanni Grisostomo 369. Falsamente incolpato da Cosimo, 391. Inviato
dal senato e popolo romano all'imperadore Onorio in Ravenna, 395.
Condanna le opinioni dei Pelagiani, 434. Finisce di vivere, 435.

Innocenzo II papa. Sua elezione, IV, 611. Per cagion della scisma
d'Anacleto va in Francia, 612. Tiene un concilio in Chiaramonte, 615.
Ed un altro in Rems, in cui scomunica l'antipapa Anacleto, 616. Torna
in Italia, 619. Celebra in Piacenza un terzo concilio, _ivi_. Si
abbocca a Calcinaja con re Lottario III, 623. Al quale dà la corona
dell'imperio, 624. Va a Pisa, 625. Suo concilio in essa città, 627.
Va in Puglia, 649. Sue discordie con Lottario Augusto, 650. Torna a
Roma, 651. Per la morte dell'antipapa ricupera tutta questa città,
654, 655. Concilio generale lateranense tenuto da lui, 658. È preso dal
re Ruggeri, 660. Con cui poscia fa pace, 661. Assedia Tivoli con poca
fortuna, 669, 670. Pure sottomette quel popolo. 671, 673. Chiamato da
Dio a miglior vita. 674.

Innocenzo III papa. Sua elezione, IV, 956. Ricupera molti Stati della
Chiesa romana, 957. Promuove l'elezione di Ottone IV in re de' Romani,
960. Dichiarato balio di Federigo II re di Sicilia, 962. Spedisce un
esercito in questo paese, 968. Che sconfigge Marquardo, _ivi_. Appruova
l'elezione di Ottone IV, 976. Sue liti coi Romani, 982, 983. Rivolge
il suo favore a Filippo re de' Romani, 996. Tiene a San Germano un
parlamento co' baroni del regno per aiuto del re Federigo, 1001. Dà la
corona romana ad Ottone IV, 1004, 1005. Con cui entra in discordia,
1006. Lo scomunica, 1010. Muove contra di lui i principi della
Germania, 1013. Concilio generale lateranense da lui celebrato, 1025.
Passa a miglior vita, 1029.

Innocenzo IV papa. Sua elezione, IV, 1177. Tratta di pace con Federigo
II Augusto, 1183. Si ritira a Genova, 1185. E di là a Lione, 1186.
Tiene il concilio generale in quella città, 1187. Nel quale scomunica
e depone Federigo, 1189. Dopo la cui morte torna a Genova, 1224. Va a
Milano, 1225. Si ferma in Perugia, 1226. Esibisce il regno di Sicilia a
varii principi, 1234, 1235. Richiamato alla sua sede dai Romani, 1235.
Suoi maneggi per impadronirsi del regno di Sicilia, 1239. Suo ingresso
in quelle parti, 1240, 1241. Manca di vita, 1243.

Innocenzo V papa. Sua elezione e morte, V, 115.

Innocenzo VI papa. Sua elezione, ed atti lodevoli, V, 627. Manda in
Italia il cardinale Egidio Albornoz, 633. Si scarica degli inglesi
masnadieri, 682. Passa a miglior vita, 685.

Innocenzo VII papa. Sua elezione, V, 920, 921. Per la crudeltà d'un suo
nipote si ritira da Roma, 931, 932. Vi ritorna, a muore, 940, 941.

Innocenzo VIII papa. Sua elezione, VI, 88. Entra in guerra con
Ferdinando re di Napoli, 90. Fa pace con lui, 94. Ha prigione Zizim
fratello di Baiazette imperador de' Turchi, 103. Baiazette gli manda un
ambasciatore, 106. Fa pace col re di Napoli, 110, 111. Termina il corso
di sua vita, 111.

Innocenzo IX papa. Sua creazione, VI, 887. È rapito poco dopo dalla
morte, 838.

Innocenzo X papa. Sua elezione, VI, 1128. Processa i Barberini, 1133,
1134. Soccorre i Veneziani contro il Turco, 1137. Fa smantellare
Castro, e lo incamera, 1175. Celebra l'anno santo, 1176. Abolisce i
conventini, 1181. Condanna le proposizioni di Cornelio Giansenio, 1187.
Sua morte, 1194.

Innocenzo XI papa. Sua elezione, VII, 16. Aborrisce il nepotismo,
_ivi_, 17. Suo zelo per la riforma dei costumi ed abusi, 21. E per
la giustizia, 22, 23. Sua discordia con Luigi XIV re di Francia per
cagion della regalia, 33. Manda soccorsi a' Veneziani ed all'imperadore
Leopoldo contro il Turco, 55, 62. Riceve una ambasceria speditagli
da Jacopo II re della Gran Bretagna, 62. Altre sue liti col re di
Francia per cagion delle franchigie, 64. Condanna Michele Molinos, 66,
67. Fierezza del re di Francia contra di lui, 70. Ordina l'erezione
di convenevole sepolcro nella basilica Vaticana a Cristina regina di
Svezia, 79. Passa a miglior vita, 80. Sue virtù, _ivi_.

Innocenzo XII papa. Sua elezione, VII, 91. Riforma il nepotismo, 99.
Altre sue insigni azioni pel pubblico bene, 104. Toglie la venalità dei
cherici di camera, 106. Promuove la riforma degli ordini regolari, 114.
Novità contra di lui fatte in Roma da' Tedeschi, 125, 128. Altre sue
gloriose azioni, 132. Condanna alcune proposizioni di monsignor Feuelon
arcivescovo di Cambrai, 141. Appruova la succession della Francia alla
Spagna, 146, 147. Passa a miglior vita, 149. Sue virtù, _ivi_, 150.

Innocenzo XIII creato papa, VII, 306. Sua costanza in non voler
concedere la sacra porpora a monsignor Bichi, 311. Chiamato a miglior
vita, 316.

Innondazione terribile in Italia sotto il re Autari, II, 1070.

Inquisizione rigettata da' Napoletani, VI, 585.

Inquisizione spagnuola non voluta da' Milanesi, VI, 705.

Inquisizione in Napoli regolata da quel re, VII, 637, 638.

Interim di Carlo V, riprovato dai cattolici e dai protestanti, VI, 593.

Investiture de' vescovi ed abbati, come regolate fra Callisto II papa
ed Arrigo V Augusto, IV, 583.

Ipato, cioè console imperiale, dignità conferita dai greci Augusti,
III, 215.

Ipazio, prefetto di Roma sotto gl'imperadori Graziano, Valentiniano II
e Teodosio, II, 218.

Ipazio, nipote di Anastasio Augusto, creato console, II, 735. È
richiamato dalla guerra contro i Persiani, 753. Spedito contro
Vitaliano Scita, resta prigioniero, 789. Ne è riscattato da Secondino
suo padre, 792. Sua sollevazione contro Giustiniano imperadore, per cui
perde la vita, 847, 848.

Ippolito d'Este, cardinale, VI, 217, 224. Va alla guerra contro i
Veneziani, 247. Dà una rotta alla lor flotta, 249.

Ippona (oggidì Bona). È assediata da Genserico re de' Vandali, II,
477, 479. Abbandonata dai suoi cittadini, vi entrano questi Barbari,
480. Presa da Belisario, 852. Presa ed incendiata dalla squadra di
Ferdinando I gran duca di Toscana, VI, 925.

Irene, figlia d'un principe dei Tartari Turchi, abbraccia la religione
cristiana. III, 198. Sposa Costantino Copronimo, _ivi_. Sue buone
qualità, 199.

Irene, moglie di Leone IV Augusto, III, 294. Partorisce Costantino,
308. Protegge le sacre immagini, 341, 355, 358. Rimasta vedova,
amministra l'imperio pel figlio Costantino, 342, 344. Fa pace co'
Saraceni, 348. Fa la guerra agli Schiavoni nella Morea, _ivi_. Fa
guerra a Benevento, 373. Deposta dal figlio Costantino, 384. Essa
lo fa poi acciecare e deporre, e torna sul trono, 406, 407. Manda
ambasciatori a Carlo Magno, 409, 435. È deposta, e mandata in un
monistero di Lesbo, oggidì Metelino, dove termina i suoi giorni, 436.

Irnerio, _V._ Guarnieri giudice.

Isacco (Santo), romito, fatto imprigionare da Valente Augusto, II, 210.

Isacco, esarco di Ravenna, II, 1166. Fautore del re Adaloaldo, 1179,
1180. Uccide a tradimento Tasone e Cacone duchi del Friuli, 1210, 1211.
Spoglia il tesoro della basilica lateranense, 1222. Chiamato ai conti
da Dio, 1237. Suo epitaffio, _ivi_.

Isacco Angelo, imperadore de' Greci, IV, 894. Vuol impedire il
passaggio alla crociata, 912. Dà sua figlia Irene in isposa a Ruggieri
duca di Puglia, 922. Alessio suo fratello lo accieca e lo priva del
trono, 978. Sua morte, 984.

Iscamo, califa de' Saraceni, III, 230.

Isdegarde, re di Persia, II, 346. Tutore di Teodosio II Augusto, 381.
Perseguita i cristiani, 382. Manca di vita, 469.

Isidoro (Santo), monaco e abbate di Pelusio, II, 485.

Isidoro (Santo), celebre arcivescovo di Siviglia e scrittore; quando
fiorisse, II, 1182.

Isole in Roma, che cosa fossero, I, 513.

Istituzioni del diritto Civile, quando pubblicate da Giustiniano
imperadore, II, 852.

Italia sotto Diocleziano e Massimiano, al pari delle provincie
oltramontane, comincia a pagar tributo agli imperadori romani, I, 1029.
Tutta data alla musica e ad altri divertimenti, VII, 84.

Italiani: lor duello co' Franzesi, e vittoria, _V._ Duello.

Itolfo, vescovo di Mantova, diploma in suo favore dell'imperatore
Arrigo II, IV, 134. Corrado II conferma i suoi privilegii, 196.

Ittone, abbate di Casauria, a' suoi tempi i Saraceni diedero un
fierissimo sacco a quel monistero, e distrussero tutte le castella e
poderi di quel luogo, III, 1000.

Ivizone, abbate leonense, sul Bresciano, IV, 81.

Ivo d'Allegre, capitano franzese, alla difesa di Bologna contro l'armi
del papa Giulio II, VI, 275. Sua morte, 283.


J

Jaboleno, giurisconsulto celebre sotto Antonino Pio, I, 509.

Jacopino da Carrara, proclamato signore di Padova, V, 616. Imprigionato
da Francesco suo nipote, 650.

Jacopo (San), vescovo di Nisibi nella Mesopotamia, II, 38.

Jacopo, abbate di San Vincenzo del Volturno, va ad implorar aiuto da
Lodovico II Augusto contro i Saraceni, III, 666.

Jacopo, vescovo di Torino, ambasciatore del re Federigo II a papa
Onorio III, mette Bologna al bando dell'imperio, IV, 1040, 1041.

Jacopo Tiepolo, doge di Venezia, IV, 1092. Interviene all'assedio e
alla conquista di Ferrara, 1162. Rinunzia la dignità, e muore, 1216.

Jacopo cardinale vescovo di Palestrina, IV, 1103. Preso da Federigo II
imperadore, 1167.

Jacopo da Pecorara, cardinale, IV, 1132.

Jacopo Contareno doge di Venezia, V, 114. Rinunzia la carica, 140.

Jacopo dalla Colonna, cardinale, V, 209, 218, 250, 289, 296.

Jacopo da Varagine, arcivescovo di Genova, V, 229. Mette pace fra i
cittadini, 240.

Jacopo Pagano, vescovo di Rieti, V, 275.

Jacopo Orsino, cardinale, V, 284.

Jacopo Gaetano, cardinale, V, 285.

Jacopo, marchese Cavalcabò, signor di Cremona, V, 386. Abbattuto
da Giberto da Correggio, 389, 390. Ripiglia il dominio, 397. Ne è
cacciato, 402, 408. È sconfitto da Galeazzo Visconte, 421. Sua morte,
_ivi_.

Jacopo da Carrara, signor di Padova, V, 402, 403, 405. Termina il suo
vivere, 443.

Jacopo Alberti, vescovo di Venezia, V, 467.

Jacopo di Savoia, signor del Piemonte, V, 545. Sua guerra con Giovanni
marchese di Monferrato, 596, 597.

Jacopo II da Carrara uccide Marsilietto Pappafava, V, 578. E si fa
proclamare signore di Padova, 579. Pel suo buon governo amato dal
popolo, 616. Ucciso da Guglielmo suo parente, _ivi_.

Jacopo de' Pepoli, signor di Bologna, V, 595. Vende Bologna a Giovanni
Visconte, 614. Imprigionato, 622.

Jacopo Bussolari, agostiniano, raggira il governo di Pavia, V, 654,
664. Commuove il popolo a varii eccessi, 666. Suoi ultimi sforzi e
prigionia, 672, 673.

Jacopo da Campofregoso, doge di Genova, V, 843. Poca sua durala in quel
grado. _ivi_.

Jacopo del Fiesco, arcivescovo di Genova, V, 861.

Jacopo d'Appiano usurpa il dominio di Pisa, V, 853. Ricorre per
aiuti a Gian-Galeazzo Visconte duca di Milano, 861, 870. Fa guerra ai
Fiorentini, 874. Si rivolta contro d'esso duca, 881. Muore, 882.

Jacopo III da Carrara, V, 908, 909. Prigione di Francesco Gonzaga, 910.
Scappa e si riduce a Padova, _ivi_. Preso e condotto nelle carceri di
Venezia, 937. Dove è fatto morire, 939.

Jacopo degli Isolani, creato cardinale da papa Giovanni XXIII, V, 992.
Governatore di Roma, 1008. E di Genova, 1058, 1059.

Jacopo, conte della Marca, sposa Giovanna II regina di Napoli, V, 998.
Usurpa il titolo di re, _ivi_. Maltratta la regina, 1005. Da cui gli è
tolto il titolo di re, 1006. Sua fuga e morte, 1021.

Jacopo Piccinino milita sotto Francesco Sforza, V, 1191. Va all'assedio
di Lodi, 1198. Sua infedeltà verso di lui, 1208, 1209. Generale de'
Milanesi, 1212. Spoglia Bartolomeo Coleone di tutte le sue truppe,
1222. Generale de' Veneziani, 1230. Fa guerra ai Sanesi, 1241. E a
Sigismondo Malatesta, 1246, 1258. Va al servigio di Giovanni d'Angiò
duca di Calabria, 1260. Dà una rotta ad Alessandro Sforza, 1263. Va
in aiuto di Rogerotto conte di Celano, 1275. Va al servigio del re
Ferdinando, 1276; VI, 15. Suo credito nell'armi, 16. Proditoriamente
fatto imprigionare da re Ferdinando, 17. Per ordine del quale è
strozzato, _ivi_.

Jacopo Ammanati, cardinale, celebre per la sua letteratura, V, 1269;
VI, 10. Sua lettera piena di saviezza, 27.

Jacopo, cardinale di Tiano, V, 1277.

Jacopo d'Appiano, signore di Piombino: guerra a lui fatta dal duca
Valentino, VI, 189. Il quale lo spoglia di quella terra, 190. La
riacquista, 202.

Jamblico, filosofo platonico. Fiorì sotto Costantino il Grande, I, 1220.

Januario (Pomponio), console e prefetto di Roma sotto gl'imperadori
Diocleziano e Massimiano, I, 1019, 1021.

Jasdegirde, nipote di Cosroe, re di Persia, II, 1195. Disfatto in
una battaglia dagli Arabi Saraceni, 1217. Non gli resta che parte del
regno, 1225. Sua morte, 1249. Ultimo re di quel regno, 1217, 1249.

Jerocle, ministro infame di Elagabalo, I, 766. Ucciso, 768.

Jesse, vescovo d'Amiens, III, 575.

Jolanta, figlia di Giovanni di Brenna re di Gerusalemme, promessa
sposa a Federigo II Augusto, IV, 1059. Sue nozze, 1067. Gli partorisce
Corrado, e muore, 1082.

Jolanta, o Violante, figlia di Guglielmo Lungaspada marchese di
Monferrato, sposa Andronico Paleologo imperadore d'Oriente, V, 171.

Jomaro, vescovo tuscolano, IV, 757.

Juvenzio, prefetto di Roma sotto gl'imperadori Valentiniano, Valente e
Graziano, II, 156, 163.


K

Koningsegg (Giuseppe conte di), generale cesareo, sorprende i Franzesi
a Quistello, VII, 395. Ritira le sue genti verso la Germania, 410.


L

Labeone (Pomponio), pretore della Mesia sotto l'imperadore Tiberio, si
uccide, I, 101.

Lacone (Cornelio), uomo dappoco e vizioso, creato da Galba prefetto
del pretorio, I, 257, 258. Sua poltroneria, 264. Viene ucciso dai
congiurati di Ottone, che fu poi imperadore, 265.

Ladislao, re d'Ungheria, IV, 454.

Ladislao, re di Napoli, succede a Carlo suo padre, V, 814. Gli è
occupato Napoli dalle armi di Lodovico II duca d'Angiò, 817, 818.
Prende in moglie Costanza, figlia del conte Manfredi di Chiaramonte,
830. Coronato re di Napoli, 835. Comincia il mestier dell'armi, 850. Va
a Roma per aiuto, 860. Indarno assedia Napoli, 864. Poi lo ricupera,
891. Fa guerra ad Onorato Gaetano conte di Fondi, 893. Sua crudeltà
contro i suoi baroni, 901. Sue nozze con Maria di Cipri, 906. Indarno
aspira al regno d'Ungheria, 918. Fa imbrogli in Roma, 921, 931. Tenta
d'impadronirsene, 932. Prende castello Sant'Angelo, _ivi_, 940. Da papa
Innocenzo VII è dichiarato decaduto dal regno, 941. Gli restituisce
castello Sant'Angelo, _ivi_. È creato da esso papa gonfalonier della
Chiesa, _ivi_. Assedia e prende Taranto, 943, 944. Prende per moglie
Maria vedova di Raimondo Orsino, 944. S'impadronisce di Roma, 953,
954. E di Cortona, 963. Perde Roma, 965. Rotta a lui data da Lodovico
d'Angiò, 975. Vende Cortona ai Fiorentini, 976. Fa pace con papa
Giovanni XXIII, 979. Di nuovo s'impadronisce di Roma, 985. Vien rapito
dalla morte, 991.

Lago di Babilonia, il cui alito fa morire gli animali e gli uccelli che
vi s'appressano, I, 425.

Laidolfo, principe di Capoa, III, 1277. Cacciato in esilio, IV, 38.

Lambertini (Prospero), cardinale, eletto papa, VII, 462, _V._ Benedetto
XI_V._

Lamberto, duca di Spoleti, dà addosso ai Saraceni, ma ne riceve una
solenne disfatta, III, 705. Generale dell'imperadore Lodovico II, 711.
Violenze da lui commesse in Roma, 715. Fugge dallo sdegno di Lodovico
Augusto, 742, 742. Cessa di vivere, 755.

Lamberto juniore, duca di Spoleti, III, 778, 785, 787. Sua prepotenza
in Roma, 796, 797. È scomunicato, da papa Giovanni VIII, 798, 799. Sua
morte, 816.

Lamberto figlio di Guido Augusto, III, 888. È coronato imperadore da
papa Formoso, 889. Ricupera parte degli Stati, 904, 905. Infierisce
contro di Milano, 914. Fa pace col re Berengario, 923. Dà una rotta ad
Adalberto duca di Toscana, e il fa prigione, 926. Si abbocca in Ravenna
con papa Giovanni IX, 929. Ucciso alla caccia, 932, 933.

Lamberto, figlio di Adalberto II duca di Toscana, III, 999, 1025. Sua
congiura per esaltare Ugo conte di Provenza, suo fratello uterino, alla
corona d'Italia, 1025, 1028. Creato duca di Toscana, 1041. Il re Ugo
gli fa cavare gli occhi, e gli toglie il ducato, 1050, 1051.

Lamberto, arcivescovo di Milano, congiura contro Berengario Augusto,
III, 1010, 1013. Si ribella al re Rodolfo, 1026. Promuove l'esaltazione
di Ugo in re d'Italia, 1031. Fine di sua vita, 1047.

Lamberto, abbate di San Lorenzo di Cremona, IV, 88.

Lamberto, vescovo di Ostia, consacra papa Callisto II, IV, 571. Spedito
legato apostolico in Germania, 583. È creato papa, 589, _V._ Onorio II.

Lamia (Lucio Elio), prefetto di Roma sotto Tiberio Augusto, I, 96.

Lampadio, prefetto del pretorio sotto Costanzo Augusto, II, 64. 67.

Lampadio, creato prefetto del pretorio da Attalo effimero imperadore in
Roma ai tempi di Onorio, II, 397.

Lampridio, scrittore sotto Costantino il Grande, I, 1220.

Landau, tolto ai Franzesi da Giuseppe re de' Romani, VII, 172.

Landenolfo, principe di Capoa, III, 844.

Lendenolfo, principe di Benevento e di Capoa, III, 1239, 1241, 1276.
Ucciso da' congiurati, 1277.

Landenolfo, vescovo di Capoa nuova, III, 807.

Lando (Corrado), conte tedesco, capo d'una gran compagnia di
masnadieri, ma infedele, V, 643, 651. Sconfitto dalla milizie de'
Visconti, 656. Va in aiuto di Francesco degli Ordelaffi, signor di
Forlì, 660. Messo in fuga e ferito dai Fiorentini, 669, 670. Sua morte,
693.

Landolfo, padre di Landolfo conte e vescovo di Capoa, III, 581, 617,
623. Termina i suoi giorni, 628.

Landolfo, vescovo di Capoa, III, 628. Mandato dai Capoani a
complimentare l'imperadore Lodovico II, 666. Edifica co' suoi
fratelli Capoa nuova, 681. Sue iniquità, 689. Congiura contro Ademario
principe di Salerno, 696. Signoreggia in Capoa, 707. Visita da lui
fatta a Lodovico II Augusto, 711. Sue frodi cagionano l'assedio di
Capoa, _ivi_. Muove l'imperadore al soccorso di Salerno assediato da'
Saraceni, 750. Indarno tenta di ergere in arcivescovato la sua chiesa,
709. Sue cabale, 763. Sua morte, 807.

Landolfo juniore, vescovo di Capoa vecchia, III, 807.

Landolfo, figlio di Atenolfo principe di Benevento e di Capoa, III,
945. Sposa Gemma figlia di Atanasio II vescovo e duca di Napoli, _ivi_.
Dichiarato collega dal padre, 949, 950. Che l'invia a Costantinopoli
ad implorare da Leone il Saggio imperadore soccorsi contro i Saraceni,
973. Succede al padre, 977, 981. Creato patrizio dall'imperadore
d'Oriente, 988. Fa lega col papa Giovanni X per cacciare dal Garigliano
i Saraceni, 996. Sue battaglie co' Greci, 1009, 1041, 1062. Fine di sua
vita, 1092.

Landolfo II, principe di Benevento e di Capoa, III, 1093. Guerra a lui
mossa da Giovanni XII papa, 1143. Termina il corso di sua vita, 1153.

Landolfo III, principe di Benevento e di Capoa, III, 1153. Accoglie
l'imperadore Ottone I, 1164. Riconosce l'alto dominio dell'imperadore,
1181. Sua morte, 1189.

Landolfo IV, principe di Benevento e Capoa, III, 1197. Succede al
padre, 1231. Cacciato da Benevento, 1234. Muore in battaglia, 1239.

Landolfo, arcivescovo di Milano. Sedizione del popolo contra di lui,
III, 1273, 1274. Sua morte, IV, 32.

Landolfo IV da Sant'Agata, principe di Capoa, IV, 38. Sua morte 83.

Landolfo, vescovo di Cremona, IV, 83, 88. Dà due corti in livello al
marchese Bonifacio, padre della contessa Matilda, 140. Il popolo di
Cremona si rivolta contra di lui, e lo caccia dalla città, 185. Sua
morte, _ivi_.

Landolfo, principe di Benevento, IV, 135.

Landolfo V, principe di Benevento e di Capoa, IV, 248. Da papa Leone IX
gli è tolto il principato, 263. A lui tolti gli Stati, di nuovo, 311.

Landolfo VI, principe di Benevento, IV, 359. Manca di vita, 384.

Landolfo, vescovo di Ferrara, IV, 450, 500, 519.

Landolfo, vescovo d'Asti, IV, 537.

Landolfo, arcivescovo di Benevento, IV, 543. Suo concilio, 573.

Landone, conte di Capoa, III, 628, 670. Fabbrica Capoa nuova, 681. Se
gli ribella il popolo, 688. Sua grave infermità, 692. Sua morte, 696.

Landone, figlio di Landone conte di Capoa, mette in rotta i Napoletani,
III, 692, 693. Succede al padre, 696. È cacciato da Landolfo suo zio;
_ivi_. Sua morte, _ivi_.

Landone papa. Sua elezione, III, 985.

Landone Sitino, antipapa, IV, 867. È preso e mandato in esilio, 876,
877.

Lanfranco (San), abbate di Becco, e poi arcivescovo di Cantorberì, IV,
247, 342. Fine di sua vita, 442.

Laterano (Plauzio), console disegnato, congiura contro Nerone, I, 236.

Latino Orsino, cardinale e vescovo d'Ostia: suoi maneggi per mettere
pace fra le città d'Italia, V, 129, 131. Rinserrato a pane ed acqua in
una camera da Carlo re di Sicilia per la elezione di un papa franzese,
140.

Latino Malabranca, cardinale, vescovo d'Ostia, V, 228.

Latino Orsino, cardinale, corona re di Napoli Ferdinando duca di
Calabria, V, 1255.

Lattanzio Firmiano, maestro di Crispo Cesare, I, 1141.

Laudari, duca del Friuli, II, 53.

Lautrec (Odetto di Fois), governator di Milano, VI, 338. Assedia
Verona, 339, 341. Abbandona Milano, 369. Assedia Pavia, 381. Battuto in
più incontri da Prospero Colonna, _ivi_, 382, 383. Passa in Francia,
384. È rimandato in Italia con un'armata, 446. Prende Pavia, che
resta saccheggiata, 448. Fa conquiste nel regno di Nespoli, 454. Sua
vittoria, 459. Termina i suoi dì, 460.

Lavardino (Arrigo Carlo marchese di), ambasciatore di Francia: sua
insolenza contro i divieti di papa Innocenzo XI, VII, 65, 66.

Lazii, popoli: si sottomettono a Giustino imperadore, II, 832. Abitanti
sul fine del mar Nero, 1185.

Leandro (San), arcivescovo di Siviglia, II, 1056, 1064.

Lebbra, morbo una volta familiare in Italia, II, 1158.

Lega di varii potentati in Cambrai contro i Veneziani, VI, 229.

Lega delle città d'Italia contro Federigo I Augusto, _V._ Città
d'Italia.

Lega delle città lombarde contro il medesimo Augusto e contro Federigo
II _V._ Città lombarde.

Leganes (marchese di), governatore di Milano pel re di Spagna, VI,
1075. Sua battaglia co' Franzesi a Tornavento, 1077. Rovina gli Stati
del duca di Parma, 1078. Fa pace con lui, 1079. Caccia i Franzesi dalla
Valtellina, 1081. Prende a Cristina reggente dì Savoia la fortezza
di Breme, e la fa tutta smantellare, 1085. Assedia Vercelli, 1087.
La prende, _ivi_. Assedia Casale di Monferrato, 1100. Sconfitto da'
Francesi, 1101. Richiamato a Madrid, 1107.

Legge Papia Poppea, pubblicata da Augusto Cesare, I, 27.

Legge dello stesso contro i libelli famosi, I, 37.

Legge di Costantino, che leva le pene intimate nella legge Papia contro
i nubili, I, 1147.

Leggi di Giustiniano, II, 836, 852, 856.

Leggi longobardiche, quando pubblicate, II, 1233. _V._ Liutprando.

Leggi varie, usate in Italia, III, 352.

Leodino, o Leodoino, vescovo di Modena, III, 800. Fortifica la sua
città, 891.

Leonardo da Montaldo, legista, eletto doge di Genova, V, 796. Sua
morte, 800.

Leonardo Aretino, celebre letterato: sua morte, V, 1172.

Leonardo dalla Rovere, creato prefetto di Roma dallo zio Sisto IV papa,
VI, 143.

Leonardo Loredano, doge di Venezia, VI, 190. Sua morte, 374.

Leone, chiamato Acinace, tenuto a tavola e in letto da Caracalla, I,
738.

Leone, diacono della santa romana Chiesa, scopre la frode di Giuliano
pelagiano e fa che sia rigettato da papa Sisto III, II, 506. Creato
papa, 508. Scuopre e caccia i manichei, 518, 520. Scrive contro i
priscillianisti, 528. Abolisce il falso concilio d'Efeso, 535. Suo
fervore contro di Eutichete, 541. Va ambasciatore ad Attila, 563. Placa
Genserico, 579. Sua morte, 609.

Leone, vescovo di Triassone nella provincia tarraconese, ucciso in
chiesa, II, 536.

Leone (Flavio), eletto imperadore d'Oriente, II, 596. Sua pietà, 604.
Antemio da lui creato imperador d'Occidente, 622. Suo editto per la
osservanza delle feste, 626. Procede rigorosamente contro gli ariani,
_ivi_. Grandiosa, ma sfortunata, sua spedizione contro di Genserico,
627, 628. Suo editto contro i pagani, 631. Per politica ingrandisce i
figli di Aspare, 632. Altro suo editto contro i simoniaci, 634. Opprime
Aspare stesso coi suoi figli, _ivi_. Crea Cesare Leone suo nipote, 648.
Sua morte 650.

Leone juniore, nipote Augusto, creato Cesare, II, 648. Succede
all'avolo nell'imperio d'Oriente, 650. Accetta per collega nell'imperio
il marito di sua madre, Zenone, 651. Sua presta morte, _ivi_.

Leone II papa. Sua elezione, III, 64. Fine di sua vita, 66.

Leone Isauro, eletto imperadore d'Oriente, III, 157. Sue lettere e sua
professione di fede al papa Gregorio II, _ivi_. Difende Costantinopoli
assediata dai Saraceni, 158. Manda a sedar il popolo di Sicilia
ammutinato, 160. Abbatte Artemio detto Anastasio, che vuol risalire
sul trono, 161. Fa coronare Costantino Copronimo suo figlio, 163. Suo
editto contro le sacre immagini, 176. Ribellione contro di lui, _ivi_.
Sdegnato contro papa Gregorio II, 177. Dà a suo figlio in moglie una
figlia del principe dei Tartari Turchi, che, abbracciata la religione
cristiana, prese il nome d'Irene, 198, 199. Sua rabbia verso chiunque
non aderiva all'editto contro le sacre immagini, 199. Fine de' suoi
giorni, 215.

Leone IV, figlio di Costantino Copronimo, dichiarato Augusto, III, 245.
Sua morte, 341.

Leone, arcivescovo di Ravenna, III, 303. Mandato prigione a Rimini per
ordine del re Desiderio, 304. È di nuovo accolto in Ravenna, 308. Per
ordine del papa Adriano I imprigiona Paolo afiarta, uccisore di Sergio
secondicerio della Chiesa romana, 310. Suo dominio nell'esarcato, 334.

Leone III papa. Sua elezione, III, 399. Suo triclinio, 410. Strapazzo
ed offese a lui fatte da alcuni Romani, 412. Non furono a lui cavati
gli occhi, 414. Va in Francia, 415. Suo ritorno a Roma, 417. Giustifica
sè stesso, 421. Dà la corona dell'imperio a Carlo Magno, 422. Sua
bolla, 441. Ritorna in Francia, 445. Suoi atti, 487. Torbidi in Roma
contra di lui, 498. Passa a miglior vita, 501.

Leone Armeno, al comando dell'esercito di Michele imperadore de' Greci
contro i Bulgari, III, 483. Proclamalo imperadore, 484. Assediato in
Costantinopoli da' Bulgari, fa una sortita, e li mette in fuga, _ivi_.
Spedisce ambasciatori all'imperadore Carlo Magno per la pace, 491. La
ottiene da Lodovico Pio, che manda ei pure a questo i suoi ambasciatori
a Costantinopoli, _ivi_. Perseguita le sacre immagini, 499, 522. È
ucciso, 525.

Leone, vescovo di Como, III, 546.

Leone, vescovo di Selva Candida, III, 553.

Leone, duca di Napoli, III, 600.

Leone IV papa. Sua elezione. III, 648. Sua consecrazione differita,
650. Fabbrica la città Leonina, 656. Altre sue fabbriche, 658. Compie
essa città Leonina, 664. Fortifica altri luoghi, 665. Suo concilio,
668. Fabbrica Leopoli, 671. Muore, 674.

Leone, vescovo di Teano, III, 807.

Leone il Saggio, III, 855. Occupa il ducato di Benevento, 888. Poi lo
perde, 918. Atenolfo, principe di Benevento, gli chiede aiuto, contro i
Saraceni, 973. Compie la carriera del suo vivere, 977.

Leone V papa. Sua elezione e depressione, III, 956.

Leone, abbate di Monte Casino, III, 960.

Leone, vescovo siciliano, governatore della Calabria, III, 1034.

Leone VI papa. Sua elezione, III, 1038. Passa a miglior vita, 1040.

Leone, vescovo di Pavia, III, 1043.

Leone, abbate di Subiaco, III, 1067, 1091.

Leone VII papa. Sua elezione, III, 1066, 1067. Termina il corso del suo
vivere, 1079.

Leone, vescovo di Volterra, III, 1086.

Leone abbate del Volturno, III, 1110.

Leone VIII papa, III, 1162. Sua elezione, 1163. Fugge da Roma, e si
ricovera presso l'imperadore Ottone i, 1166. Dichiarato usurpatore
della sedia di san Pietro, _ivi_. Rimesso dall'imperadore nella sua
dignità, 1167. Fine de' suoi dì, 1170.

Leone, vescovo di Ferrara, III, 1195.

Leone, abbate di San Bonifazio, IV, 9.

Leone, abbate nonantolano, arcivescovo di Ravenna, IV, 37. Caduto in
mala sanità, rinunzia la sua Chiesa, 48.

Leone, vescovo di Vercelli, IV, 42, 66, 107, 134, 136. Sua morte, 162.

Leone IX papa, giovinetto appellato Brunone, milita in Italia sotto il
re Corrado, IV, 153. Vescovo di Tullo, eletto papa, 244, 245. Varii
suoi viaggi e concilii, 245, 251, 252. Tenta di rimettere la pace
fra l'imperadore Arrigo III ed Andrea re d'Ungheria, 253. Acquista
Benevento, 257. Conduce soldatesche in Italia, 259. È sconfitta la di
lui armata dai Normanni, ed egli stesso resta prigione, 262. Rimesso in
libertà, _ivi_. Sua malattia e morte, 266.

Leone da Perego, arcivescovo di Milano, IV, 1171, È cacciato fuori
della città, 1232, 1264. Sua morte, V, 39.

Leone da Fontana, vescovo di Piacenza, V, 328.

Leone X papa. Sua elezione, VI, 298. Sue belle doti, _ivi_, 299. Bel
principio del suo pontificato, 299. Regali a lui inviati da Emmanuello
re di Portogallo, 315. Compra Modena dall'imperadore Massimiliano,
316. Fa lega cogli Svizzeri, 319. Nobile accasamento da lui procurato
a Giuliano suo fratello, _ivi_. Fa lega per la difesa di Milano, 322.
Poscia con Francesco I re di Francia, 328. Con cui ha un abboccamento
in Bologna, 331. Spoglia del ducato d'Urbino Francesco Maria della
Rovere, e lo dà a Lorenzo suo nipote, 333, 334. Corre pericolo di esser
preso dai Turchi, 342. Fa lega con varii potentati, 344. Guerra mossa
ad Urbino da Francesco Maria della Rovere, 345. Terminata in pro del
papa, 347, 348. Congiura del cardinale Alfonso Petrucci contra di lui,
348. Suoi movimenti per resistere ai Turchi, 349. Unisce il ducato
d'Urbino alla Chiesa per la morte del nipote, 355. Condanna l'eresia
di Martino Lutero, 358. Ricupera Fermo e la Marca tutta, 360. Tenta
di fare assassinare Alfonso duca di Ferrara, _ivi_, 361. Semina la
discordia fra i principi, 363. Sua lega con Carlo V imperadore, _ivi_.
Fa assediar Parma, 366. La ricupera insieme con Piacenza, 370. Suoi
fulmini contro Alfonso duca di Ferrara, 371. Ordina grandi feste in
Roma per la presa di Milano e per la ricuperazione di Parma e Piacenza,
372. Passa a miglior vita, _ivi_.

Leone XI papa. Sua creazione, VI, 910. Sua morte, _ivi_.

Leonzio, ariano, ves. di Tripoli, sua alterigia, II, 58.

Leonzio, prefetto di Roma sotto l'imperadore Costanzo, II, 69, 72.

Leonzio, legista, creato conte del primo ordine da Teodosio II Augusto,
II, 263.

Leonzio, creato imperadore contro Zenone Augusto, II, 682, 687. È
depresso, 688. Finalmente preso ed ucciso, 696.

Leonzio, giureconsulto, incaricato da Giustiniano di compilar il
Codice, II, 836.

Leonzio, vescovo di Lemissa, II, 1160.

Leonzio, prefetto di Costantinopoli, spedito dall'imperadore Eraclio
ambasciatore a Cosroe re di Persia, II, 1161.

Leonzio, proclamato imperadore de' Greci, III, 96. Ricupera l'Africa
dalle armi dei Saraceni, 99. È deposto ed esiliato, 101. Poscia ucciso,
121.

Leopardo, abbate di Nonantola, III, 937.

Leopoldo, marchese, creato duca di Baviera, IV, 658. Gli fa guerra
Guelfo VI, 668.

Leopoldo, duca d'Austria, fa prigione Riccardo re d'Inghilterra, IV,
931. È forzato a cederlo ad Arrigo VI Augusto, 933. Entra a parte del
riscatto, 935. Sua morte, 1092, 1093.

Leopoldo duca d'Austria. A lui donato Trivigi dai Veneziani, V, 783.
Viene in Italia a soccorrerlo, 796. Vende quella città a Francesco da
Carrara, 801.

Leopoldo I, succede al padre, ed è eletto imperadore, VI, 1206, 1210.
Guerra a lui mossa dai Turchi, 1234. Sua insigne vittoria su di essi,
1238. Suo matrimonio coll'infanta Margherita di Spagna, 1243. Fa lega
cogli Olandesi, 1267. Sua pace con Luigi XIV re di Francia, VII, 30.
Se gli ribellano gli Ungheri, 42. Assediata Vienna dai Turchi, 45. È
liberata, 47. Sue guerre in Ungheria, 83. Insoffribili contribuzioni
imposte da' suoi ministri a' principi di Italia, 97. Acquista Gran
Varadino, 101. Mal soddisfatto della corte di Roma, 125, 128. Fa pace
colla Francia, 129. E co' Turchi, 134, 138. Spedisce le sue armi per
ricuperar lo Stato di Milano, 156. Sollevazione infelice in Napoli, in
suo favore, 161. Fa lega colla Gran Bretagna e coll'Olanda, 162. Fine
di sua vita, 188.

Lepida, madre di Messalina Augusta, I, 176.

Lepida (Domizia), fatta morire da Agrippina Augusta, I, 191, 192.

Lepido (Marco Emilio), pel suo valore premiato cogli ornamenti
trionfali, I, 24. Sua congiura contro Caligola, 129.

Leta, moglie di Graziano Augusto, II, 245.

Leti, appellati i popoli barbari abitanti nelle Gallie, II, 340.

Leto (Quinto Emilio), prefetto del pretorio sotto Commodo, I, 620, 621.
Cospira con altri alla morte d'esso Augusto, 629, 630. Promuove Publio
Elvio Pertinace all'imperio, 631, 632, 634. Ucciso da Didio Giuliano,
646.

Leto, generale di Settimio Severo contra Clodio Albino, I, 668. Poscia
ucciso, 678.

Lettere: loro deplorabile stato in Italia a' tempi di Carlo Magno, III,
345. Il quale cerca di ravvivarle, 347, 348. Risorte in Italia, V, 898.

Leutari, duce degli Alemanni, con forte esercito cala in Italia contro
i Greci, II, 947. Varie sue azioni, 951. Disfatto l'esercito suo,
_ivi_.

Leva (Antonio da), difende Pavia assediata da Francesco I re di
Francia, VI, 408, 411. Governator di Milano, 445. Avanie _ivi_ da
lui fatte al popolo, 456. Ricupera Pavia, 457. Sua vittoria contra i
Franzesi, 466, 467. Diviene signore di Pavia, 471. Assume il comando
dell'esercito cesareo contra i Turchi, 487. Alla morte di Francesco
Sforza duca di Milano, prende il governo di quel ducato, 514, 520.
Manca di vita sotto Marsilia, 522.

Libanio sofista: suo Panegirico in onore di Giuliano Augusto, II, 124.
Altro, funebre per la sua morte, 133, 135. Deputato dagli Antiocheni a
Teodosio Augusto, 266. Suo detto intorno al Grisostomo, 341.

Libanio, mago e incantatore, ucciso, II, 446.

Liberi Muratori: setta nata in Inghilterra, e sparsa per la Francia e
Germania, VII, 429. Vietata da papa Clemente XII, 430.

Liberio, romano pontefice, II, 51. Esiliato dall'imperadore Costanzo,
69. Intercedono per lui le dame romane, 77. Ritorna a Roma, ma con
pregiudizio del suo onore, 85. Sua morte, 156.

Liberio, dal re Teoderico creato prefetto del pretorio, poscia
patrizio, II, 737.

Libertà: una volta era una spezie di nobiltà, III, 164.

Liberti, ingrati ai padroni, gastigati, I, 204.

Libone (Flavio), console e prefetto di Roma sotto gl'imperadori
Settimio Severo e Caracalla, I, 693.

Luciniano (Lucio Pisone Frugi), adottato da Galba, I, 263. Ucciso, 265.

Liciniano (Valerio), pretore di Roma, uno de' più eloquenti uomini del
suo tempo, esiliato da Domiziano, I, 348.

Liciniano (Marco Aufidio Perpenna), imperadore efimero nelle Gallie
sotto l'imperadore Hostiliano Decio, 872.

Licinio (Cajo Flavio Galerio Liciniano), creato Augusto da Galerio,
I, 1086. Dopo la cui morte divien padrone dell'Illirico, 1099.
Dall'imperadore Massimino gli è tolta la Bitinia, _ivi_, 1100. Suo
abboccamento ed accordo collo stesso imperadore, 1100. Fa lega con
Costantino, 1106. Prende in moglie la sorella di lui Flavia Valeria
Costanza, _ivi_. Suo proclama in favore de' cristiani, 1122. Gli
è mossa guerra da Massimino, 1123. Suo abboccamento con Costantino
imperadore a Milano, _ivi_. Ricorre al Dio de' cristiani, 1124. Dà una
sconfitta ad esso Massimino, 1125, 1126. Passa il mare coll'esercito
vittorioso, e ricupera la Tracia e la Bitinia, 1126. S'impadronisce di
tutto l'Oriente, 1128. Sua crudeltà, _ivi_. Muove guerra a Costantino,
che gli dà una rotta, 1133. Crea Cesare Valente, uffiziale assai
valoroso, 1134. Manda ambasciatori a Costantino per aver la pace, che
gli è negata, _ivi_. Nuova battaglia fra loro, _ivi_. Manda nuovamente
ambasciatori allo stesso imperadore, _ivi_. Ottiene la pace colla
deposizione dell'Augusto Valente, 1135. Al quale fa levare la porpora
e la vita, _ivi_. Si mostra seguace, o almen fautore della religione
cristiana, 1144. A lui muovono guerra i Goti nella Tracia e Mesia
inferiore, 1156. Protetto dall'armi di Costantino, _ivi_. Sua ingiusta
querela per ciò, _ivi_. Da ciò irritato Costantino gli muove aperta
guerra, 1157. Enormità de' suoi vizii, _ivi_. Suo iniquo governo,
_ivi_. Perseguita i cristiani, 1158. Grande armamento da lui fatto
per terra e per mare contro Costantino, 1159. Si va a postare con
tutte le sue forze ad Adrinopoli, 1160. Deride la pietà di Costantino,
_ivi_. Sconfitto due volte da Costantino Augusto, _ivi_, 1161, 1164.
Invia Costanza supplichevole al fratello, per cui ottiene salva la
vita, 1164. Rimette in sue mani la porpora, _ivi_. Vien relegato in
Tessalonica, _ivi_. Dove è ucciso, 1168.

Licinio (Valerio Liciniano), juniore, figlio di Licinio Augusto, creato
Cesare, I, 1142. Spogliato della porpora, 1164. E poscia ucciso, 1180.

Lictestein (Wincislao principe di), viene al comando dell'armata
austriaca in Italia, VII, 565. Con Carlo Emmanuele re di Sardegna si
ritira da Casale di Monferrato di là del Po, 566. Si trattiene sul
Novarese, stendendosi fino ad Oleggio, 568. Ad Oleggio ed Arona pianta
il campo, 570. Mette fine al saccheggio di Parma con esemplar rigore di
castighi, togliendo la vita a' disubbidienti, 576. Si accampa al Taro,
577. Dirige la battaglia coi Gallispani sotto Piacenza, 587.

Lidio, capo degli Isauri: sua crudeltà, I, 989. È ucciso, 990.

Liemano, arcivescovo di Brenna, IV, 438.

Liguria: sua estensione, in gran parte occupata da Alboino re dei
Longobardi, II, 1033.

Limenio (Ulpio), prefetto di Roma e prefetto del pretorio nell'Italia
sotto gl'imperadori Costanzo e Costante, II, 20.

Limenio, già prefetto del pretorio nelle Gallie, ucciso in una
sollevazione di truppe in Pavia sotto Onorio Augusto, II, 385.

Lingua romanza franzese: qual fosse una volta, III, 623.

Linguadoca; _ivi_ si stabiliscono i Visigoti, II, 437.

Lino (San), papa, succede a san Pietro, I, 240. Suo martirio, 245.

Lionello, figlio di Niccolò d'Este marchese di Ferrara. A lui Eugenio
IV papa dona Lugo, V, 1118. Succede al padre, 1154. Sposa Maria figlia
di Alfonso re d'Aragona e delle Due Sicilie, 1172. Conchiude la pace
fra il re Alfonso ed i Fiorentini, 1214. Sua morte, _ivi_.

Leonetto, figlio del re d'Inghilterra, sposa Violante Visconte, V, 712.
Immatura sua morte, _ivi_.

Liprando, prete di Milano, maltrattato dagli scismatici, IV, 479. Per
provare Grossolano simoniaco fa il giudizio del fuoco, 406. Va a Roma,
501. Sua morte, 543.

Lisbona, presa dagli Svevi, II, 603.

Litifredo, vescovo di Novara, IV, 609.

Litigerio, vescovo di Como, IV, 216.

Litolfo, _V._ Lodolfo.

Littorio, conte, generale di Valentiniano III Augusto, libera Narbona
dall'assedio de' Goti, III, 493. Sconfitto poscia da essi, e fatto
prigione, 504, 505.

Liutaldo, duca di Corintia: suo placito, IV, 427.

Liutardo, vescovo di Pavia, III, 694.

Liutberto, re de' Longobardi, succede a Cuniberto suo padre, III, 111.
A lui usurpato il regno da Ragimberto e da Ariberto II, 112, 113. Preso
ed ucciso, 116.

Liutifredo, duca di Trento, III, 644.

Liutifredo, abbate di Bobbio, III, 1083.

Liutifredo, vescovo di Pavia, III, 1100.

Liutifredo, vescovo di Tortona, IV, 26.

Liutprando, figlio di Ansprando, lasciato in vita da re Ariberto II,
III, 117. Succede al padre nel regno de' Longobardi, 142. Pubblica
molte leggi, 146. Trama contra di lui ordita in Pavia, 147. Suo
mirabile ardire, 148. Pauluccio doge di Venezia ottiene la sua amistà
con varie esenzioni ai Veneti nel regno suo, 150. Non approva la
restituzione delle Alpi Cozie alla Chiesa romana fatta da re Ariberto,
_ivi_. Ma convinto dall'intrepido pontefice Gregorio II cedette e
confermò alla santa sede quel possesso, _ivi_, 151. Suo diploma, 152.
Fa restituir Classe all'esarca Scolastico, 155. Altre sue leggi, 156,
162, 165. Occupa Ravenna ed altre città, 181. Gli è ritolta Ravenna
dai Veneziani e data ai Greci, 188. Sua pace co' Greci, 189. Irritato
contro i duchi di Spoleti e Benevento, e placato da papa Gregorio
II, 190. Fonda Città-Nuova, 201. Adotta Pipino per suo figlio, 204.
Accoglie e ritiene seco per qualche tempo san Bonifacio, vescovo ed
apostolo della Germania, 209. Va in soccorso dei Franchi, 211. Se gli
ribella Trasmondo duca di Spoleti, 213. Abbassa i duchi di Spoleti
e di Benevento, 220. Non saccheggiò la basilica Vaticana, 221. Suo
abboccamento col papa Zacheria a Terni, 228. Sua sommessione e pace con
lui, _ivi_, 229. Fa guerra all'esarcato e alla Pentapoli, 231. Di nuovo
papa Zacheria s'abbocca con lui a Pavia per distorlo dal far questa
guerra, 232, 233. Fine di sua vita, 234.

Liutprando, duca di Benevento; cacciato dal re Desiderio e deposto,
III, 272.

Liutprando, o Liuzo, scrittore maledico, spacciò le pasquinate per
istoria, III, 979, 988. Paggio nella corte del re Ugo, 1030. Errori
della sua storia, 1038, 1055. Preso per segretario da Berengario
marchese d'Ivrea, 1101. È inviato ambasciatore al greco Augusto
Costantino. 1108. Creato vescovo di Cremona, 1156, 1170. Torna a
Costantinopoli ambasciatore dei due Augusti Ottoni all'imperadore
Niceforo Foca, 1185. Mal ricevuto e maltrattato a quella corte,
_ivi_. Suoi affanni per la guerra insorta tra i due imperii, 1187. Mal
soddisfatto se ne torna in Italia, 1189. Suo placito in Ferrara, 1195.

Liutuardo o Liutvardo, vescovo di Vercelli; e arcicancelliere
dell'imperadore Carlo Grosso, III, 820. Ingiustamente calunniato,
834. Interviene al concilio tenuto in Roma da papa Adriano III, 846.
Mandato dall'imperadore a Roma a papa Stefano V, 851. Insulto a lui
fatto da Berengario, duca del Friuli, 852. Da Berengario è rifatto dei
danni recatigli, 856. È calunniato ed abbattuto dagli emuli, 857. Sua
miserabil morte, 941.

Liutuardo (per errore alla prima citazione Liutprando), vescovo di
Como, ed arcicancelliere dell'imperadore Lodovico III. III, 947, 963.

Livia Augusta, moglie di Tiberio Claudio Nerone, poscia di Augusto,
promuove gli interessi di Tiberio suo figlio, I, 9, 10. Sospetti che
essa avesse procurata la morte dei nipoti d'Augusto, 14. E dello stesso
Augusto, 40. Sua ambizione, 48, 64, 76. Fine di sua vita, 82.

Livio (Tito), storico insigne; sua morte, I, 56.

Locuste; lor flagello in Italia, VI, 65.

Lodigiani: loro querele contro i Milanesi portate al re Federigo I, IV,
711, 712. Giurano fedeltà ad esso re, 721. Edificano Lodi nuovo, 746.

Lodolfo, o Litolfo, figlio di Ottone il Grande, spedito in Italia dal
padre, III, 1119. Comincia delle novità contro di lui, 1123. Si ribella
al padre, _ivi_, 1130. Torna all'obbedienza, 1132. Da lui nuovamente
inviato in Italia, di parte di essa si impadronisce, 1136. È rapito
dalla morte, 1138.

Lodovico Pio: sua nascita, III, 339. Creato re d'Aquitania, 344.
Viene in Italia, 389. Fa guerra a Benevento, 390. Predizione del suo
imperio, 395. Prende moglie, 403. Riacquista Barcellona, 431. Stati a
lui lasciati dal padre, 451. È creato imperadore, 484, 485. Succede
al padre, 490. Sue prime azioni, 492. Messi da lui spediti per la
giustizia, 495, 504, 505. È coronato da papa Stefano IV, 503. Incerto
se legittimo il suo diploma in favor della Chiesa Romana, 509. Dichiara
imperadore e suo collega nell'imperio il proprio figlio Lottario, 511,
512. Sottomette la Bretagna Minore, 519. Dichiara re d'Italia il figlio
Lottario, 527. Assegna Stati ai suoi figli, 528. Atti suoi signorili
in Roma, 540, 569. Ribellione de' figli contra di lui, 571, 572.
Abbattuto, risorge, 573, 574 Di nuovo insorgono i figli contro di lui,
582. Angustiato da Lottario. 585. Gli perdona, 590. Sua morte, 613.

Lodovico re di Baviera, poi Lodovico I re di Germania, figlio di
Lodovico Pio, III, 512, 529. Si ribella contro il padre, 571, 572.
Riconciliato con lui, 574, 575. Insorge di nuovo contro di lui, 582.
Poscia il protegge, 587. Divisione di Stati fatta in suo pregiudizio,
604. Per cui fa guerra al padre, 606. Il quale però gli perdona,
_ivi_. Ripiglia l'armi, 612. Occupa gli Stati di Germania assegnati dal
padre a Lottario suo fratello, 614. Da cui è incalzato e si ritira in
Baviera, 619. Sua lega con Carlo Calvo, _ivi_. Dà una rotta a Lottario
Augusto, 620. Conquista molte provincie, 622. Stati a lui toccati nella
nuova division co' fratelli, per cui diviene re di Germania, 628. Pace
confermata fra loro, 641, 651. Occupa gran paese a Carlo Calvo suo
fratello, 686. Acquista l'Alsazia, 692. Pretende parte della Lorena,
726. La divide con Carlo Calvo, 727. Suo abboccamento con Lodovico
Augusto, 760. Fine di sua vita, 776.

Lodovico, figlio di Lottario, poi Lodovico II imperadore, è inviato a
Roma, III, 636, 637. Proclamato _ivi_ re d'Italia, 638. Suo esercito
sconfitto dai Saraceni, 646. Dà loro la pariglia, 653. Divide il ducato
di Benevento fra i competitori Siconolfo e Radelgiso, 654. Da suo
padre è dichiarato Augusto e collega nell'imperio, 657. Epoca della
sua coronazione romana, 659, 660. Sue nozze, 661, 662. Assedia Bari,
665. Corre a Roma per sospetto che gli si ribelli il popolo romano,
673. Succede al padre, 678. Ceduto a lui un tratto di paese da Carlo
re di Provenza suo fratello, 687. Suo placito nel ducato di Spoleti,
689. Guerre da lui fatte, 691. Acquista buona parte della Provenza,
700. Incitato contro papa Niccolò, 701, 702. Insulti da lui fatti ai
Romani, 702. Dona Guastalla alla moglie, 707, 708. Chiamato in aiuto
dai Beneventani, 709. Suo rigoroso editto per la spedizion militare,
_ivi_. Assedia Capoa, 711. Fonda il monistero di Casauria, 712, 743,
754. Rotta a lui data dai Saraceni, 716. Fa giustizia in Roma, 718.
Conquista varie città, 719, 720. Da suo zio Carlo Calvo gli è tolta
la Lorena, 725, 726. Sue imprese sotto Bari e in Calabria, 728, 729.
Prende Bari, e ne caccia i Saraceni, 732. Sua lettera a Basilio
imperadore de' Greci, 734. È imprigionato da Adelgiso principe di
Benevento, 740. Rimesso in libertà, 741. Gli è restituita da Carlo
Calvo parte della Lorena, 745, 746. È coronato in Roma da papa Adriano
II, 747. Manda una armata in soccorso di Salerno, 750. Gran corte da
lui tenuta in Capoa, 754. Libera Salerno, _ivi_. Fa pace con Adelgiso
principe di Benevento, 756. Suo abboccamento con Lodovico re di
Germania, 760. Fine di sua vita, 764. Sua sepoltura in Milano, 766. Suo
epitaffio, 767.

Lodovico II, figlio di Lodovico I re di Germania, III, 671. Dà una
rotta all'esercito di Carlo Calvo Augusto, 777. Amoreggia la Baviera,
803. Acquista parte della Lorena, 809. E poi la Baviera, 813, 814.
Termina i suoi giorni, 826.

Lodovico, re di Germania, figlio di Arnolfo, III, 939. Muore senza
prole, 981.

Lodovico Balbo, re di Francia, III, 797. Viene a morte, 809.

Lodovico, re di Provenza, poi Lodovico III imperadore, dopo la morte
di Bosone suo padre si sostenta nel regno, III, 856, 863. Solennemente
coronato re, 882. Viene in Italia contro di re Berengario, ma scornato
se ne torna in Provenza, 936. Cala di nuovo in Italia, 942. È coronato
imperadore in Roma da papa Benedetto IV, 946. Caccia Berengario
d'Italia, 950, 951. Da cui poscia è preso ed acciecato, 952, 961, 963,
964. Ritiene il titolo d'imperadore, ma senza giurisdizione nè su Roma
nè sul regno d'Italia, 968, 989.

Lodovico V, figlio di Lottario re di Francia, soprannominato il
Dappoco, succede al padre, III, 1258. Sua morte, 1259.

Lodovico, vescovo di Belluno, IV, 134.

Lodovico VII, re di Francia, presa la croce, va in Terra santa, IV,
687. Sue azioni in quelle parti, 692. Torna in Francia, 694. Fatto
prigione dai Greci, è liberato dai Siciliani, 695, 696. Passa in
Italia, 696. Protegge papa Alessandro III, 780.

Lodovico, langravio di Turingia, morto nel viaggio verso Terra santa,
IV, 1078.

Lodovico IX, poi santo, re di Francia, tratta di pace fra papa
Innocenzo IV e Federigo II Augusto, IV, 1195. Colla sua flotta si muove
per Terra santa, 1209. S'impadronisce di Damiata, _ivi_. Oppresso dai
Saraceni, resta lor prigioniere, 1216, 1217. Da papa Urbano IV gli è
proposto l'acquisto della Sicilia per Carlo suo fratello, V, 33, 34 38.
Sua impresa di Tunisi, dove termina i suoi giorni, 87.

Lodovico il Bavaro, creato re de' Romani, V, 376. Sua discordia con
Federigo duca d'Austria, 382, 398. Sua gran vittoria, in cui lo fa
prigione, 433. Sua rottura con papa Giovanni XXII, 437. Il quale lo
scomunica e gli grida contro la crociata, 444. Chiamato in Italia dai
Ghibellini, 459. Coronato in Milano, imprigiona i Visconti, 461. Passa
in Toscana, 463. Acquista Pisa, _ivi_. Va a Roma, 464. Ivi è coronato
da Jacopo Alberti vescovo di Venezia e da Gherardo vescovo d'Aleria,
467. Sue altre turpi azioni contro Giovanni XXII, _ivi_, 468. Parte
da Roma, 472. Torna a Pisa e a Lucca, 473. Viene a Milano, che gli
si era ribellata, e la stringe d'assedio, 484, 485. Va a Pavia, e dà
l'investitura del vicariato di Milano ad Azzo Visconte, 485. Torna con
poco onore in Germania, _ivi_. Tenta, ma inutilmente di mettersi in
grazia di papa Benedetto XII, 541. Gli sono confermate da papa Clemente
VI le scomuniche fulminategli da Giovanni XXII, 567. Sua morte, 588.

Lodovico di Savoia, va in soccorso di Azzo Visconte suo genero, V, 545.

Lodovico re d'Ungheria, succede a Carlo Uberto suo padre, V, 557.
Infelicemente fa guerra ai Veneziani, 583. Suo preparamento per
vendicar la morte di suo fratello Andrea, 588, 589. Cala in Italia,
593. Se gli rende Napoli col regno, 599. Leva di vita il duca di
Durazzo, _ivi_. Torna in Ungheria, 600. E di nuovo nel regno di Napoli,
618. Suo accordo colla regina Giovanna, e suo ritorno in Ungheria,
619. Gran guerra da lui fatta ai Veneziani, 657, 658, 663. Fa una pace
vantaggiosa con loro, 665. Collegato coi Genovesi e con Francesco da
Carrara e il patriarca d'Aquileia contro i Veneziani, 767. Manda gente
in Italia per questo, 773, 774. Concorre alla rovina di Giovanna regina
di Napoli, 776. Compie il corso di sua vita, 792.

Lodovico Gonzaga, trucida il fratello Ugolino, e si fa signore di
Mantova, V, 690. Fa pace con Bernabò Visconte, 696. Entra in lega
contro di lui, 705. Il quale all'improvviso porta la guerra nei suoi
Stati, 713. Fine de suoi giorni, 791.

Lodovico, duca d'Angiò, adottato dalla regina Giovanna, V, 778. Signore
della Provenza, 787. Sua armata per venire in Italia ad impedire la
caduta della regina Giovanna, 787, 788. Entra nel regno di Napoli, e
se gli dà l'Aquila, 791. Sua decadenza, 794, 795. Fine del suo vivere,
798.

Lodovico II, duca d'Angiò, V, 798. Chiamato a Napoli da quelli del
suo partito alla morte del re Carlo, 814. Prende il titolo di re di
Napoli, e comincia la guerra, 817. S'impadronisce di Napoli, 818.
Coronato in Avignone re delle Due Sicilie dall'antipapa Clemente,
834. Giugne, a Napoli, 835. Procede lentamente la guerra contro il re
Ladislao, 842. Assediato in Napoli, se ne libera, 864 Perde tutto, 891.
Torna in Italia per ricuperar Napoli, 963. Col cardinale Cossa va a
Roma, 964. Suoi inutili sforzi contra il re Ladislao, 971. Va col papa
Giovanni XXIII a Roma, 974. Dà una rotta al re nemico, 975. È costretto
ricondurre la sua armata a Roma, da dove spiega le vele verso Provenza,
976.

Lodovico, conte di Savoia, _V._ 872.

Lodovico de' Migliorati, nipote d'Innocenzo VI: sua crudeltà, V,
931, 932. Creato marchese della Marca d'Ancona, 941. Spogliato di
questa dignità da Gregorio XII, s'impadronisce d'Ascoli e Fermo, 947.
Creato conte di Monopello dal re Ladislao di Napoli, 949. Ma poi ne
è spogliato, _ivi_. Pandolfo Malatesta gli muove guerra e gli toglie
molte castella, 1000. Con Braccio da Montone va contro i Bolognesi
pel papa, 1027. Generale delle truppe di Carlo Malatesta in aiuto
di Pandolfo signor di Rimini contro il duca di Milano Filippo Maria
Visconti, 1032. Vi resta prigioniero del suddetto duca, che lo rimanda
libero con molti regali, _ivi_.

Lodovico, patriarca d'Aquileja, cardinale, V, 1025. Perde il Friuli,
1033. Legato del papa Eugenio IV contro Francesco Sforza in Romagna,
1177.

Lodovico degli Alidosi, signore d'Imola, V, 1026. Per tradimento
dal duca di Milano Filippo Maria Visconti è condotto a Milano, 1057.
Dopo parecchi mesi di prigionia rilasciato si fa frate dell'ordine
francescano, _ivi_.

Lodovico III, duca d'Angiò, aspira al regno di Napoli, V, 1027. Il
papa Martino V manda Francesco Sforza nel regno di Napoli a combattere
in favore di lui, 1027, 1028. Suo arrivo in quel regno, 1030. Suoi
aderenti, 1034. Va a Roma, 1036. È abbandonato da papa Martino, 1040.
Adottato dalla regina Giovanna, 1046. Entra in Napoli, 1054. Sottomette
la Calabria, 1076. Sua morte, 1111.

Lodovico Gonzaga, marchese di Mantova, succede al padre, V, 1172.
Collegato co' Veneziani, 1197. Sua lega con Francesco Sforza, 1218.
Dà una rotta a Carlo suo fratello, e ai Veneziani, 1230. Generale de'
Veneziani stessi, 1275. Muore, VI, 65.

Lodovico, duca di Savoia, fa guerra allo Stato di Milano, V, 1202.
Dalle truppe spedite contro dà Francesco Sforza gli sono fatti molti
prigionieri, 1205. Sua lega co' Milanesi contro lo stesso Sforza, 1208.
Sua pace con lui conchiusa, 1212. Torna a fargli guerra, collegatosi
co' Veneziani, con Alfonso re d'Aragona ed altri, 1221, 1229. Si oppone
al passaggio delle truppe di Renato duca d'Angiò e di Lorena, 1232. Sua
morte, VI, 18.

Lodovico da Campofregoso, doge di Genova, V, 1219. È deposto, 1274.

Lodovico Scarampo, cardinale di San Lorenzo in Damaso, va a combattere
contro i Turchi, V, 1244, 1247.

Lodovico Sforza, soprannominato il Moro. Sua congiura contro la
duchessa Bona, VI, 58. Relegato da essa duchessa a Pisa, 58. Le
toglie la reggenza, 67, 73. Collegato col duca di Ferrara contro i
Veneziani, 78. Avvedutosi dei maneggi del fratello Ascanio Maria, manda
secretamente a trattar seco lui di pace, 82. Lo richiama a Milano, e
lo rimette in possesso de' primi onori, _ivi_. Congiura contro di lui
scoperta, 85. Fa pace coi Veneziani, 86. Manda aiuti al re Ferdinando
di Napoli, 91. Sua crudeltà, 93. S'impadronisce delle fortezze del
ducato, 105. Sue nozze con Beatrice Estense, 107. Invita Carlo VIII di
Francia a venire in Italia, 115. Suoi maneggi con Massimiliano Cesare,
116. Ostinato in far calare i Franzesi in Italia, 119. Dichiarato duca
di Milano, 121. Fa lega contro i Franzesi, 130. Perde Novara, 131.
La ricupera, 133. Chiama in Italia Massimiliano Cesare, 141. Aiuta i
Fiorentini, 149. Lega di Lodovico XII re di Francia, e dei Veneziani
contro di lui, 155. Occupato dai Franzesi il suo Stato, fugge in
Germania, 156. Torna a Milano, 161. È fatto prigione dai Franzesi, 162.
Condotto in Francia, quivi termina i suoi dì, 163.

Lodovico, marchese di Saluzzo, spogliato de' suoi Stati dal duca di
Savoia, VI, 99.

Lodovico, duca d'Orleans, poi Lodovico XII, re di Francia, minaccia
Lodovico il Moro, VI, 130. Gli toglie Novara, 131. Ivi assediato e
liberato, 133. Creato re di Francia, 147. Suo nuovo matrimonio, 148.
Fa lega co' Veneziani, 155. S'impadronisce dello Stato di Milano, 156.
Sua solenne entrata in quella città, ed acquisto di Genova, 157. Aiuta
il papa alla conquista della Romagna, 159. Da' suoi è fatto prigione
Lodovico il Moro, e condotto in Francia, 162. Sua benignità verso il
popolo di Milano, 164. Medita la conquista del regno di Napoli, 185.
Accordatosi con Ferdinando il Cattolico, manda le sue armi colà, _ivi_.
Se ne impadronisce, 187. Per cagion d'esso regno gran guerra fra lui e
Ferdinando, 193, 206. Rotta funesta data alle sue genti al Garigliano,
210. Perde Gaeta, e tutto il regno, 213. S'inferma gravemente, e poi
risana, 217. Ricupera Genova ribellata, e sua moderazione, 224, 225.
Suo abboccamento con Ferdinando il Cattolico, 226. Si collega con varii
potentati contro i Veneziani in Cambrai, 229. Venuto in Italia, muove
loro in persona la guerra, 234. Sua vittoria in Ghiaradadda, e acquisto
di molte terre e città, 236. Disegni di papa Giulio II contro di lui,
251, 254. Perde lo Stato di Milano, 288. E Genova, 289. Gli fan guerra
i re d'Aragona e d'Inghilterra, 294. Sua lega coi Veneziani, 295.
Ricupera Milano e Genova, 301, 302. Perde in una battaglia tutto, 303.
Sua morte e sue belle doti, 317, 318.

Lodovico da Todi, tradito dal duca Valentino, e messo a morte, VI, 196.

Lodovico d'Ambosia, vescovo di Albi, a cui Giulio II promette il
cappello cardinalizio, VI, 220.

Lodovico Pico, conte della Mirandola, mandato dal papa Giulio II
a rinforzare l'esercito cesareo, VI, 247. Perì nella battaglia tra
Alfonso duca di Ferrara e i Veneziani in faccia la Polesella, 248.

Lodovico XIII, re di Francia. Sua nascita, VI, 897. Succede ad Arrigo
IV suo padre, 931. Si accorda cogli Spagnuoli per la Valtellina, 1007.
Assedio da lui posto alla Rocella, 1012. Di cui s'impadronisce, 1023,
1024. Prende le armi in aiuto del duca di Mantova, 1026. Fa pace col
duca di Savoia, 1028. Invia in Italia il Richelieu colle armi in aiuto
nuovamente del duca di Mantova, 1033. Occupa la Savoia, 1036. Gli nasce
Lodovico XIV, 1090. Esalta il cardinale Mazzarino, 1114. Dà fine al suo
vivere, 1119.

Lodovico XIV, re di Francia. Sua nascita, VI, 1090. Succede al padre,
1119. Sue nozze, e pace con la Spagna, 1217, 1219. Suntuosità del suo
matrimonio, 1219. Manda soccorsi ai Veneziani, 1222. Garbugli da lui
suscitati in Roma, 1228. Minaccia guerra al papa, 1231. Accordo fra
loro, 1236. Suo genio di conquista, 1246. Si impadronisce della Franca
Contea, 1248. Sua pace cogli Spagnuoli, _ivi_. Manda nuovi soccorsi
alla repubblica Veneta, 1252. Fa rapide conquiste contro gli Olandesi,
1264. Fa desistere dalle armi Savoia e Genova, 1265. Lega contra di
lui, 1267. S'impadronisce di nuovo della Franca Contea, 1269. Fa pace
co' collegati avversarii in Nimega, VII, 29. Sua discordia con papa
Innocenzo XI per cagion della regalia, 33. Acquista con Argentina
l'Alsazia e compra Casale del Monferrato, 38, 39. Fa pubblicar quattro
proposizioni dal clero di Francia contro il papa, 43. Fa maltrattare
Algeri colle bombe, _ivi_, 49. Prende Lucemburgo, 51. Affligge colle
bombe Genova, 53. E Tripoli, 56. Vieta l'esercizio della setta ugonotta
ne' suoi regni, 57. Sue liti con papa Innocenzo XI per cagion delle
franchigie, 64. Infierisce contra di lui, 70. Muove le armi contra
la Germania, 74. E contro il duca di Savoia, 86. Fa pace con lui,
121, 122. E coi collegati, 129. Suoi maneggi per la monarchia di
Spagna, 136, 145, 148. Trae al suo partito varii principi contro la
casa d'Austria, 154, 172. Dichiara la guerra al duca di Savoia, 177.
Sconfitto il suo esercito ad Hogstedt, 187. Abbandona tutta l'Italia,
210. Suoi trattati di pace coi collegati riescono vani, 229. Guadagna
in suo favore Anna regina d'Inghilterra, 243. Suo regno ridotto
in gravi miserie per la lunga guerra, 246, 247. Rapiti a lui varii
principi suoi discendenti, 247. Pace stabilita in Utrecht tra lui ed
altre potenze, 250. Passa all'altra vita, onorato col titolo di Grande,
267.

Lodovico XV, succede a Lodovico XIV nel regno di Francia, VII, 267. Fa
guerra alla Spagna, 291. Suoi sponsali coll'infanta di Spagna, 308. Che
poi è rimandata in Ispagna per la sua troppo tenera età, 323. Sue nozze
con Maria figlia di Stanislao re di Polonia, 324. Muove guerra a Carlo
VI Augusto, 378. Fa pace con lui ed acquista la Lorena, 419. Muove
guerra alla regina d'Ungheria, come ausiliaria dell'elettor di Baviera,
474. Va all'armata in Fiandra, 541. S'impadronisce di Friburgo, 544.
Tornato in Fiandra, dà battaglia agli Inglesi, 552. Prende la protezion
de' Genovesi, e loro manda gente e denaro, 654. Altra campagna da lui
fatta in Fiandra, 676. Sua vittoria contro gli Inglesi, _ivi_. Assedio
di Berg-op-Zoom fatto dalle sue truppe, e presa d'esso, 677.

Lodrisio Visconte cerca presso Lodovico il Bavaro la maniera di far
deporre Galeazzo dalla signoria di Milano e ritornare a repubblica
la città suddetta, V, 461. È cacciato da Milano da Azzo Visconte,
544. Raduna una forte armata contro Azzo Visconte, _ivi_. Battaglia
sulle prime a lui favorevole, 546. Resta sconfitto e prigione, _ivi_.
Ricupera la libertà, 609.

Logioni, popoli della Germania, vinti da Probo imperadore, I, 987.

Lolliano, usurpator dell'imperio nelle Gallie, _V._ Eliano (Lucio).

Lolliano, prefetto di Roma sotto Valeriano, I, 881.

Lolliano (Mavorzio), prefetto di Roma sotto gli imperadori Costanzo e
Costante, II, 12. Console, 68.

Lollio (Marco), aio di Caio Cesare, muor di veleno, I, 9.

Londra, città celebre, I, 222.

Longiniano (Flavio Macrobio), prefetto di Roma sotto Onorio, II, 361.

Longiniano, prefetto del pretorio sotto Onorio, II, 375.

Longino, generale di Traiano, proditoriamente preso da Decebalo re de'
Daci, I, 400. Prende il veleno, 401.

Longino, insigne filosofo, I, 958. Ucciso da Aureliano Augusto, 964.

Longino fratello di Zenone Augusto, creato Cesare e console, II, 690,
691, 702. Indarno ambisce lo imperio, 706. Sua morte, 710.

Longino, generale delle armi cesaree, II, 728.

Longino esarco d'Italia all'arrivo de' Longobardi, II, 1000. Presso di
lui si ritira Rosmonda dopo la morte del re Alboino, suo marito, 1015,
1016. È richiamato a Costantinopoli, 1048.

Longobardi, domati da Tiberio, I, 17. Quando si cominciasse a udire
il lor nome, II, 221. Morti i lor duci, creano il primo re di lor
nazione, 285, 286. S'impadroniscono della Pannonia, 831. Collegati
con Giustiniano Augusto, 879. Loro liti coi Gepidi, 922, 923. Ai quali
danno una grande sconfitta, 935. Rinforzo da essi dato a Narsete, 939.
Dominanti nella Pannonia, e in altri siti, 973, 995. Appellati Goti,
977. Gran rotta da lor data ai Gepidi, 986. Onde prendessero il lor
nome, 998. Entrano in Italia, _ivi_. _V._ Alboino e i re seguenti. Loro
crudeltà ne' primi anni del regno, 1018. Paesi da lor conquistati in
Italia, 1021. Fanno irruzione nelle Gallie, _ivi_, 1024. Sono due volte
sconfitti da Mummolo generale de' Franchi, 1026. Poscia si accordano
coi re franchi, 1027. Onde procedesse la lor crudeltà contra gli
Italiani, 1032. Fra essi molti gentili, 1038. Eleggono re Autari, 1049.
Buona lor disciplina nei paesi sudditi, 1031. Guerra lor fatta dai
Greci e Franchi, 1065, 1074. Stabiliscono pace coi Franchi, 1080, 1086.

Longobardia Minore; qual fosse IV, 84. Si ribella ai Greci, 91.

Lorenzo (San), diacono, riceve la palma del martirio, I, 887.

Lorenzo I arcivescovo di Milano, II, 705. Si porta a Ravenna per
ottenere dal re Teoderico soccorso contro i Borgognoni, 718.

Lorenzo II, arciv. di Milano, II, 1003, 1043. Lettera a lui diretta da
Childeberto re de' Franchi, 1054.

Lorenzo, eletto antipapa contra Simmaco, II, 731. Creato vescovo di
Nocera, 737. Concilio quarto romano che termina la lite fra lui e
Simmaco, 744. Richiamato a Roma, rinnova lo scisma, _ivi_. Condannato
da un concilio tenuto da papa Simmaco, 745. Sua morte, 747.

Lorenzo, arcivescovo di Cantuaria, II, 1142.

Lorenzo Tiepolo, doge di Venezia, V, 81. Sua morte, 114.

Lorenzo Celso, doge di Venezia, V, 684. Sua morte, 703.

Lorenzo de Medici, succede a Pietro suo padre, VI, 34. Sua
magnificenza, 41. Congiura de' Pazzi contra di lui, 59. Va a Napoli ed
acconcia col re Ferdinando i suoi interessi, 68. Maneggia la pace fra
esso re e il papa Innocenzo VIII, 93. Fa restituire al papa stesso la
città d'Osimo dall'usurpatore Boccolino, 96. Ricupera Sarzana, 98. Sua
morte, e suoi figli, 110.

Lorenzo Valla, celebre letterato romano: sua morte, VI, 18.

Lottario, figlio di Lodovico Pio, dichiarato imperadore, III, 511,
512. Epoca in cui si cominciò in Roma a contare gli anni del suo
imperio, 523. Creato re d'Italia, 527. Altra sua epoca, 533. È
coronato imperadore in Roma, 536. Va colà e vi fa buona giustizia, 543.
Ordinazioni _ivi_ da lui fatte, _ivi_. Stabilisce scuole di lettere
pel regno d'Italia, 568. Si ribella contro il padre, 571. Malcontento
se ne ritorna in Italia, 576. Di nuovo prende la armi contro il padre,
582. A lui si umilia, 590. Ambasciatori a lui mandati dal padre per
ricordargli l'ubbidienza filiale e la concordia fra loro, 594. Cade
pericolosamente ammalato, 595. Manca alle promesse fatte al padre,
_ivi_. Infesta la Chiesa Romana, _ivi_. Fa fortificar le chiuse delle
Alpi, 599. Rimesso in grazia del padre, 603. Provincie a lui toccate
nella divisione fatta dal padre dell'imperio, 604. Riceve da lui la
corona, la spada, lo scettro, 613. Suoi raggiri dopo la di lui morte,
614. Fa tregua co' fratelli, _ivi_. A fronte de' giuramenti passa la
Mosa e si impossessa di Parigi, 615. Per questo e per l'armata che
gli si andava crescendo s'insuperbisce, _ivi_. Nuova tregua da lui
fatta con Carlo suo fratello, _ivi_. Va contro il fratello Lodovico
in Vormazia, 619. Lega conchiusa fra i due fratelli Lodovico e Carlo
per combatterlo, _ivi_. Battaglia fra loro, in cui resta sconfitta la
sua armata, 620. Ambasciatori mandati a lui dal papa Gregorio IV per
far cessare questa guerra fraterna, _ivi_. Li trattiene dall'andare a
trattare co' fratelli d'accordo, 621. Torna in Vormazia, 622. Incalzato
dai fratelli, dopo avere spogliato il palazzo d'Aquisgrana, si ritira
a Lione, 624. Suo abboccamento con essi in un'isola del fiume Sona,
in cui si giurano reciproca pace e fratellanza, _ivi_. Dichiarato
decaduto dai fratelli stessi, _ivi_. Divisione del regno fatta co'
fratelli, 628. Dichiara re d'Italia il suo primogenito Lodovico,
635, 637. Sdegnato contro i Romani per la consecrazione, senza il suo
beneplacito, di papa Sergio II, 636. Dieta da lui tenuta co' fratelli a
Teodone, 641. Ricupera la Provenza, che se gli era ribellata, 643. Suo
abboccamento a Coblentz col fratello Lodovico re di Germania, 650, 651.
Contra i Saraceni di Puglia manda un esercito, 653. Fa pace con Carlo
Calvo, 657. È infestato da' Normanni, 661. Sua incontinenza, 668. Sua
mortale infermità, 677. Suo testamento e sua morte, 678.

Lottario, figlio di Lottario Augusto, III, 662. Succede al padre nel
regno di Lorena, 678. Scaccia Teotberga sua moglie, 682. Aiuta Carlo
Calvo suo zio, 686. Persecuzioni di lui contra Teotberga, 692. Cede
l'Alsazia a Lodovico re di Germania, _ivi_. Ripudia la moglie, 698.
Parte della Provenza a lui toccata, 700. Manda soccorsi a Lodovico
Augusto suo fratello, 716. Viene in Italia a trovare il papa, 724.
Muore in Piacenza, 725.

Lottario, figlio di Ugo re d'Italia, dichiarato re e collega del
padre, III, 1044. Tempo di tal dichiarazione, 1046. Suoi sponsali con
Adelaide figlia di Rodolfo II re di Borgogna, 1058, 1074. Salva da un
gran pericolo Berengario marchese d'Ivrea, 1081. Impetra dai principi
italiani di continuare nel regno, 1099. Ma è re più di nome che di
fatti, 1101. Col veleno è levato di vita, 1111.

Lottario, re di Francia. Sposa Emma, figlia di Lottario già re
d'Italia, III, 1178. Nasce discordia fra lui e l'imperadore Ottone II
a cagione del ducato della Lorena, 1216. Vengono ad un accomodamento,
1227. Si dichiara in favore di Teofania madre di Ottone III, 1250. A
cui cede anche il regno della Lorena, 1256. Sua morte, 1258.

Lottario, duca di Sassonia, rimesso in grazia di Arrigo V Augusto,
IV, 545. È eletto re di Germania, 592. Dà la Sassonia, poi la figlia
in moglie ad Arrigo duca di Baviera, 595. Presta ubbidienza a papa
Innocenzo II, 615. Viene in Italia, 619. Riceve la corona dell'imperio
in Roma, 624. Ritorna in Germania, 625. Fa pace con Corrado di Svevia,
632. E con Federigo duca, 633. Pulsato per la sua venuta in Italia,
638. Torna in Italia con possente esercito, 639. Sue guerre ed azioni
in Lombardia, 641. Espugna varie città ed entra nella Puglia, 647.
Sottomette Capoa, Benevento, Salerno ed altre terre, 649. Crea duca di
Puglia Rainolfo, 650. Tornando in Germania, muore, 651.

Lottario, figlio di Trasmondo conte di Segna, cardinale de' Santi
Sergio e Bacco, IV, 956. Eletto papa, _ivi_. _V._ Innocenzo III.

Lottieri Rusca, cede Como al duca di Milano, V, 1005.

Lotto Gambacorta, arcivescovo di Pisa, V, 854.

Lotto di Genova, proibito da papa Benedetto XIII, VII, 336. Si dilata
per tutta l'Italia, 440.

Luca del Fiesco, cardinale, V, 283.

Luca de' Pitti, potente cittadino di Firenze, tenta di abbatter Pietro
de Medici, VI, 21.

Lucano (Marco Anneo), poeta. Sua congiura contro Nerone, I, 235. Tolto
di vita, 237.

Lucca, assediata da Narsete, II, 948. A cui si rende, 949. Antichità
della zecca in quella città, IV, 878. Fa guerra a Pisa, 1244, 1258.
Le fan guerra i Ghibellini, V, 31, 35. Co' quali si accorda, 35.
Vittoria de' suoi su' Pisani, 82. Quest'ultimi se ne impadroniscono,
378. Liberata, elegge per suo signore Castruccio degli Interminelli,
388. Sue mutazioni sotto Lodovico il Bavaro, 471. Presa da' Tedeschi,
487. Venduta da Costoro a Gherardino Spinola, 492. Ceduta a Mastino
dalla Scala, 529. Il quale la vende a' Fiorentini, 556. Assediata da'
Pisani, 557. Che la costringono alla resa, 563. Tenta di cacciarli,
ma inutilmente, 646. Ne prende il possesso Carlo IV imperadore, 715.
Riacquista la libertà, 719, 726. Sua repubblica saggia e fortunata
nelle ultime guerre d'Italia, VII, 707.

Lucchesi: loro discordie civili, V, 273. Fan guerra a Pistoia, 280.
Assediano quella città, 300. Se ne impadroniscono, 304. La perdono,
332.

Luchino Visconte: sua nascita, V, 190. Mandato da suo padre con
quattrocento cavalli in difesa di Alessandria contro i Provenzali,
406. Gli sconfigge, _ivi_. Imprigionato da Lodovico il Bavaro, 461.
È liberato, 471. Toglie di vita Marco suo fratello, 488. Ciò che
dall'Azario viene negato, _ivi_. Messo in fuga dall'esercito degli
Scaligeri, 535. Comanda l'armata del nipote Azzo contro di Lodrisio,
545. Dà una terribile battaglia a Parabiago, in cui resta prigione,
546. Poi liberato da' suoi, _ivi_. Succede al nipote Azzo nel dominio
di Milano, 549. Suo severo governo, 552. Congiura contro di lui, 553.
Vicario del papa, 555. Aiuta i Pisani, 557. Sue belle ed utili leggi,
559. Suo preparamento per assediare Pavia, 567. Unito coi Gonzaga
contro Obizzo, marchese d'Este, 572. Fa guerra a' Pisani, 575, 579.
L'Estense gli cede Parma, 585. Acquista Asti, Tortona ed altri luoghi,
586, 596. Manda un gagliardo rinforzo di truppe al re Carlo IV contro
Lodovico il Bavaro, 588. Magnifico viaggio di sua moglie a Venezia,
589. Fa guerra a Genova, 603. E ai Gonzaga, 604. Chiude i suoi giorni,
607.

Luciano Samosatense, scrittore ai tempi di Marco Aurelio, I, 591.

Lucifero, vescovo di Cagliari, II, 111.

Lucilla, figlia di Marco Aurelio, maritata a Lucio Vero, I, 504,
528. Sue nozze con lui, 534. Rimaritata con Claudio Pompeiano, 554.
Sua congiura contro del fratello Commodo, 602. Scoperta, è relegata
nell'isola di Capri, poi fatta uccidere, _ivi_.

Lucio Vero Augusto, _V._ Commodo (Lucio Ceionio).

Lucio, figlio di Agrippa, adottato da Cesare Augusto, suo avolo
materno, I, 6. Sua morte, 9.

Lucio I papa, 1, 873. Suo martirio, 878.

Lucio, creato console dall'imperadore Onorio, II, 419.

Lucio II papa. Sua elezione, IV, 675. Fine del suo vivere, 679.

Lucio III papa. Sua elezione, IV, 878. Sua discordia col popolo romano,
884. Viene a Modena, e consacra la cattedrale, 887. Suo abboccamento in
Verona con Federigo Augusto, 888. Termina _ivi_ il suo vivere, 892.

Lucio Lando, conte di Svevia, capo di una compagnia di masnadieri, dà
il sacco a Reggio, V, 727. Va al servigio del marchese di Monferrato,
729. Sua infedeltà, 766. Va al servigio di Antonio dalla Scala, 816.
Staccato da lui da Francesco da Carrara, 819.

Lucrezia Borgia, figlia di papa Alessandro VI. Sposa Giovanni Sforza
signore di Pesaro, VI, 116. Sue discordie col marito, 144. Moglie
di don Alfonso d'Aragona, 158. In assenza del padre, abita le stanze
pontificie, ed ha autorità di aprir le lettere, 189. Maritata con don
Alfonso d'Este, 191.

Lucullo (Sallustio), governatore della Bretagna, I, 335. Fatto morire
da Domiziano, 355.

Luigi, conte di Savoia, accompagna Carlo d'Angiò all'acquisto della
Sicilia, V, 48, 49.

Luigi da Gonzaga, dopo la uccisione di Passerino, de' Bonacossi
proclamato signore di Mantova, V, 474, 478. Fa lega contro Giovanni re
di Boemia, 500, 505. Divien padrone di Reggio, 525. Tien corte bandita,
554.

Luigi, o Lodovico, re di Sicilia, succede a don Pietro d'Aragona suo
padre, V, 565. Ricupera Milazzo, 583. Sua pace colla regina Giovanna,
589. Gran parte dell'isola gli è tolta da Luigi re di Napoli, 642. Fine
de' suoi giorni, 652.

Luigi, principe di Taranto, sposa la regina Giovanna, V, 589, 593.
Fugge a Siena, 598, 599. Indi io Provenza, 601. Dichiarato re, torna a
Napoli, 602. Guerreggia poco felicemente contro gli Ungheri, 605, 606,
618. Suo accordo col re di Ungheria, 619, 625. Sua coronazione, 628.
Si impadronisce di Palermo, e d'altre città della Sicilia, 642. Compra
la pace dal conte Lando, 651, 652. Prende Messina, 658. Indarno assedia
Catania, 663. Sua morte, e suoi costumi, 690.

Luigi Bozzuto, arcivescovo di Napoli, V, 777.

Luigi de' Casali uccide Francesco suo zio signore di Cortona, e ne
usurpa il dominio, V, 949.

Luigi, marchese di Saluzzo, V, 1101.

Luigi Mocenigo, doge di Venezia, VI, 743.

Lullo, arcivescovo di Magonza, III, 293.

Luni, città presa dai Longobardi, II, 1229. Poi dai Saraceni, IV, 115.
Diversa da Lucca, _ivi_, 116.

Luperziano, vescovo di Arezzo, III, 143, 151.

Lupicino, generale di Valente Augusto, e console, II, 162, 163.

Lupo (Furio), prefetto di Roma sotto l'imperadore Probo, I, 988.

Lupo (San), vescovo di Troyes, miracolosamente libera detta città dal
furore d'Attila, II, 554.

Lupo, duca del Friuli, uomo iniquo, III, 17, 24. Valorosamente muore,
combattendo cogli Unni, 25.

Lupo, duca di Spoleti, III, 238.

Lusitania, saccheggiata dagli Svevi, II, 603, 604.

Lustro, cioè descrizione de' cittadini romani, _V._ Censo.

Lutero (Martino), eresiarca. Suoi principii, VI, 343, 352. È condannato
da Leone X, 358. Chiamato dinanzi a Carlo V, sostiene i suoi errori,
362. Terribile bando pubblicato contro di lui, _ivi_. Sua improvvisa
morte, 577.

Luzzara: battaglia _ivi_ fra i Gallispani e i Tedeschi, VII, 169, 170.


M

Macario, patriarca d'Antiochia, favorisce i monoteliti, III, 59, 61.

Macedoniani, eretici, II, 141.

Macedonio, vescovo di Costantinopoli sotto Anastasio Augusto, II, 724.
Suo cattolicismo, 760. Esiliato, per cagion d'esso, da Anastasio, 783.

Macello, o sia Macellaio, soprannome di Leone Augusto, II, 639.

Macriano (Marco Fulvio), favorito di Valeriano Augusto, I, 885, 886. Lo
tradisce, 896. Sotto lo imperadore Gallieno si rivolta, 905. Proclamato
imperadore, _ivi_, 906. Ucciso da' suoi, 909.

Macriano (Quinto Fulvio), figlio di Macriano seniore, creato Augusto
dal padre, I, 906. È ucciso da' suoi soldati, 909.

Macriano, re degli Alemanni, II, 177, 180. Sua pace con Valentiniano
Augusto, 190. Porta la guerra a' Franchi, _ivi_. Ma colto in
un'imboscata, è ucciso da Mellobaude re di quella nazione, 191.

Macrino (Marco Opellio), prefetto del pretorio sotto Caracalla, I, 738.
A cui fa togliere la vita, 739. Proclamato imperadore, 743. Compera la
pace da' Parti, 745. Suoi costumi, 747. S'alza contra di lui Elagabalo,
750. Fugge per timore, 752. Nel viaggio è ucciso, 753.

Macrino (Vario), generale di Alessandro Augusto, I, 805.

Macro (Bebio), prefetto del pretorio sotto Valeriano, I, 891.

Macrobio, proconsole dell'Africa sotto Teodosio Augusto, II, 405.

Macrone, prefetto del pretorio sotto l'imperadore Tiberio, opprime
Seiano, I, 90. Sua prepotenza, 101. Per opera di lui Caligola ottiene
l'imperio, 112. Da sè stesso si uccide, 119.

Maestri delle lettere stabiliti da Lottario Augusto nel regno d'Italia,
III, 568.

Maffeo ossia Matteo de' Maggi, signore di Brescia, V, 322.

Maginfredo, duca di Milano, _V._ Magnifredo.

Maginfredo (Olderico), marchese di Susa, _V._ Manfredi.

Magna, sorella d'Anastasio imperadore, II, 735. Sposa Secondino
console, 779.

Magnenzio (Magno), sua congiura in Autun contro Costante Augusto, II,
28, 29. Acclamato Augusto, 29. Suoi costumi ed azioni, 32. Sua crudeltà
contro i Romani, 36. Con possente armata va nella Pannonia contro
l'augusto Costanzo, 45. Da lui sconfitto in una fiera battaglia, 49.
Costanzo viene in Italia con un'armata e lo obbliga a ritirarsi nelle
Gallie, 52. Manda a lui ambasciatori per aver pace, _ivi_. Che non
ottiene, _ivi_. Estorsioni da lui fatte colà, 54. Battaglia fra le due
armate, nella quale sconfitto, scappa a Lione, 55. Toglie a sè stesso
la vita, _ivi_.

Magnifredo, ossia Maginfredo, duca di Milano ai tempi di Berengario
re d'Italia, III, 908. Gli è reciso il capo per ordine di Lamberto
imperadore, 914.

Magno, uomo consolare: sua congiura contro Massimino imperadore, e sua
morte, I, 818.

Magno, uomo santo, vescovo d'Oderzo, impadronitosi Rotari re d'Italia
di quella città, col suo popolo si ritira in una delle isole della
Venezia, e quivi fonda Eraclea, e vi fissa la sua sede, II, 1230.

Magonza, presa e saccheggiata da Randone uno dei principi Alemanni, II,
166. Metropoli una volta della Germania prima, presa e distrutta da'
Vandali sotto il re Gunderico, 377.

Mainardo, vescovo di Selva Candida, IV, 282, 330.

Mainardo, vescovo di Torino, _V._ Mamardo.

Maiolo (San), abbate di Clugnì, rifiuta la tiara, III, 1211. Riconcilia
santa Adelaide con Ottone suo figlio, 1228. Viene in Lombardia, in cui
cogli esempli fa dilatare il monachismo, 1261.

Maione, abbate di San Vincenzo del Volturno, III, 860, 874, 892, 946.

Maione, ammiraglio e favorito di Guglielmo re di Sicilia, IV, 731, 734.
La fa da re, perseguitando qualunque barone siciliano a lui contrario,
741. Congiura scoppiata contra di lui, per cui rimane trucidato, 768,
769.

Maiorano, generale dell'imperadore Teodosio Augusto, II, 222.

Maioriano (Giulio), eletto imperadore d'Occidente, II, 597. Sue savie
leggi, 599. Suoi sforzi per far guerra a Genserico re de' Vandali, 601.
A questo fine ricorre a Leone imperadore d'Oriente per aiuto di Navi,
_ivi_. Riescono inutili tutte le sue premure, 605. Gli è tolta la vita
da Ricimere, 608.

Maiorica e Minorica, isole saccheggiate da' Vandali, II, 463.

Malatesta da Verucchio, capitano de' Bolognesi, V, 113. Cacciato
da Rimini, 197. Diviene signore di quella città, 210. Vi scaccia i
Ghibellini suoi nemici, 242.

Malatesta de' Malatesti, signor di Rimini, generale dell'armi
pontifizie, V, 495. Fatto prigione sotto Ferrara, 511. Con gli altri
della sua casa, e con rinforzi venutigli da Arezzo, dalla Marca e da
Ferrara fa guerra al legato pontificio. Beltrando cardinale, 512.
Le genti di Ubertino da Carrara, signore di Padova, gli danno una
rotta, 554. Generale de' Fiorentini infelicemente tenta il soccorso
di Lucca, 562. Perde e ricupera Fano, 566. S'impadronisce di Ancona,
605. Generale della lega contro Bernabò Visconte, duca di Milano, sue
imprese, 687. Termina i suo giorni, 700.

Malatesta de' Malatesti, soprannominato l'Unghero, figlio del
precedente, prende Jesi, V, 610. Succede a suo padre, 700. Sua lega
contro Bernabò Visconti, 705. Accompagna a Roma il papa Urbano V, 708.
Vicario imperiale in Siena, 716. Cacciato da quel popolo, 718. Fine de'
suoi dì, 734.

Malatesta de' Malatesti, signor di Cesena, marita sua figlia Antonia
a Giovanni Maria Visconte duca di Milano, V, 958. Fa guerra a Lodovico
de' Migliorati signore di Fermo, e gli prende varii luoghi, 1000. Sua
morte, 1004.

Malatesta de' Malatesti, signore di Pesaro, generale de' Fiorentini, V,
963. Fa guerra ad Ancona, 994. Sua morte, 1078.

Malatesta de' Malatesti, altro signor di Pesaro, V, 1080, 1093. Gli è
tolta quella signoria dalle genti del papa, 1099. Sua morte, 1133.

Malatesta Novello, signor di Cesena, V, 1078. Con Niccolò Piccinino
guerreggia contro Rimini, 1167. Va in soccorso di Sigismondo signor di
Rimini, 1176. Cade in disgrazia di papa Pio II, VI, 15.

Malatesti, signori di Rimino: grave discordia fra loro, V, 315. Si
pacificano, 512. _V._ i loro rispettivi nomi.

Malatestino de' Malatesti: suoi tentativi di guerra, V, 315.
S'impadronisce di Cesena, 382. Fatto prigione dai Modenesi, 449.

Malco, vescovo longobardo. Sua morte ingiustamente attribuita a san
Gregorio Magno, II, 1094.

Malloni, mandati a Roma da Costantino Pogonato imperadore, che cosa
fossero. III, 68.

Malpacquet: fiera battaglia _ivi_ fra i Franzesi e collegati, VII, 231.

Malta conceduta dall'imperadore Carlo V ai cavalieri gerosolimitani,
VI, 482, 483. Assediata dai Turchi sotto Solimano, 711. Dissensioni fra
i cavalieri, contro il gran maestro Giovanni della Cassiera, 787.

Maltesi: loro presa d'un galeone turco, cagione di immensi guai alla
repubblica di Venezia, VI, 1130, 1136.

Malvezzo (Lucio), generale de' Veneziani, VI, 252. Sua morte, 268.

Mamardo, ossia Mainardo, vesc. di Torino, IV, 537.

Mamertino (Petronio), prefetto del pretorio sotto Antonino Pio, I, 492.
Marito d'una sorella dell'imperadore Commodo, 592. Ucciso dal cognato
Augusto, 620.

Mamertino, oratore sotto Massimiano Augusto, I, 1020, 1021.

Mamertino, tesoriere ed oratore sotto Giuliano Augusto, II, 104.
Console, 113.

Mamertino, prefetto del pretorio dell'Illirico, dell'Italia ed Africa
sotto gl'imperadori Valentiniano e Valente, II, 148.

Mammea (Giulia), _V._ Giulia Mammea.

Manasse, arcivescovo d'Arles, creato marchese di Trento dal re Ugo,
III, 1063. Si rivolta contro il re Ugo stesso, 1098. Sua gara per la
chiesa di Milano con Adelmanno, 1110. In un col competitore è forzato
a rinunciare a quella dignità da' Milanesi, 1129. Sostenuto per quella
cattedra da Willa, ossia Guilla, moglie di Berengario, seguita ad
intitolarsi arcivescovo di Milano, 1145, 1146.

Manete, sua eresia quando avesse principio, I, 988.

Manfredi, o Maginfredo (Olderico), marchese di Susa, assediato in Asti
da Arnolfo arcivescovo di Milano, IV, 112. Invita in Italia Roberto re
di Francia, 146. Fonda monisteri, 164. Sua morte, 189.

Manfredi, vescovo di Mantova, suo infelice fine, IV, 545.

Manfredi, vescovo di Palestrina; sua morte, IV, 784.

Manfredi, marchese del Carretto, accoglie e scorta Innocenzo IV, IV,
1185.

Manfredi, figlio illegittimo di Federigo II, cui lascia il principato
di Taranto, IV, 1223. Difende il regno, 1224. Decade dalla grazia
del re Corrado, 1231. Della cui morte è imputato, 1239. Sue liti con
Borello Anglone, barone molto favorito alla corte di papa Alessandro
IV, 1241. Fugge dalla corte pontifizia, 1242. Assistito dai Saraceni di
Nocera, _ivi_. Conquista quasi tutta la Puglia, 1246, 1249. Si danno
a lui la Sicilia e Terra di Lavoro, 1253, 1261. Finta la morte di
Corradino, si fa coronare re di Sicilia, 1266. Sue belle doti, 1267.
È scomunicato da papa Alessandro, V, 18. Sua fidanza nei Saraceni,
20. Aiuto da lui recato a' Sanesi, per cui danno una gran rotta ai
Fiorentini, 21. Marita la figlia Costanza a Pietro figlio del re
d'Aragona, 29. Suoi preparativi contro Carlo d'Angiò, 45, 49, 50. Fa
battaglia con lui, nella quale pugna da prode, e resta morto sul campo,
56, 57.

Manfredi, ossia Manfredino da Beccheria, bandito da Pavia, V, 202.
Creato signore di quella città, 206, 207. Scacciato da Filippo conte di
Langusco, 269.

Manfredi, marchese di Saluzzo, fa lega con Giovanni marchese di
Monferrato contro d'Asti, che prende e mette a sacco. V, 247. Aspira al
dominio del Monferrato, 300. Ne occupa gran parte, 307.

Manfredi de' Pii, fatto vicario di Modena da Lodovico il Bavaro, V,
491. Sconfigge le genti del papa Giovanni XXII venute per impadronirsi
di Rubbiera, 494. Sua vittoria su' marchesi estensi, 508. Stringe lega
col papa, 515. Cede in fine Modena ai marchesi d'Este, 530.

Maniaco (Giorgio), generale de' Greci sotto l'imperadore Michele,
conquista varie città in Sicilia, IV, 200. Disgusta i Longobardi e i
Normanni, 206. Sua vittoria contro i Saraceni, 208. È condotto in ferri
a Costantinopoli, 209. È rispedito in Italia, 214. Si fa proclamare
imperadore, 216. È vinto ed ucciso, 218.

Manichei eretici. Leggi di Valentiniano II contro d'essi, II, 459.
Scoperti in Roma, 518, 520. Cacciati dalle città, ed esclusi dalle
successioni, 521, 522. Quando introdotti e scoperti in Italia, IV, 163.

Mansone, duca d'Amalfi, III, 985. Parteggia per Landolfo principe di
Benevento, 1210. Degradato da suo fratello Ofenio, morto il quale,
torna a regnare, 1226. Spossessa Pandolfo II del principato di Salerno,
1234.

Mansone, fratello di Giovanni duca d'Amalfi, occupa quel ducato, IV,
206.

Mansueto (San), arcivescovo di Milano: concilio da lui tenuto, III. 53.

Mantova, con altre città acquistata da Maurizio Augusto, II, 1077.
Ricuperata dal re Agilolfo, 1127. Sangue di Cristo _ivi_ scoperto.
III, 444. Suo primo vescovo, 445. Suo ducato lasciato da Vincenzo duca
a Carlo Gonzaga duca di Nevers, VI, 1015. Il quale è preteso da più
principi, 1016. Bloccata dall'esercito austriaco, 1029, 1036. Che porta
la desolazione nel suo territorio, 1037. La prende, e vi dà un orribile
sacco, 1039. Restituita al duca Carlo, 1054. Ammessovi dal duca
presidio gallispano, VII, 155. Presa dagli Austriaci coll'esclusione di
quel duca, 210.

Mantovani. Fanno guerra a Verona, IV, 1107. Danni loro inferiti da
Federigo II, 1133. A cui si sottomettono, 1141. Se gli ribellano, 1162,
1163. Sconfitti da' Veronesi, 1164. E dal re Enzo, 1205. Prendono per
loro signore Pinamonte dei Bonacossi, V, 86.

Manuello Comneno, imperadore de' Greci. Gli fa guerra Ruggieri re di
Sicilia, IV, 685. Tradisce i crocesegnati, 690. Al ritorno di Terra
santa accoglie il re Corrado, 694. Fa guerra al re Ruggieri, per
vendicarsi dell'usurpazione dell'isola di Corfù a lui fatta, 695. Sue
liti con Federigo I Augusto, 733. Rotta a lui data dai Siciliani, 753.
Suoi negoziati con papa Alessandro III, 820. Aiuta i Milanesi contro
Federigo Augusto, 823. Fa guerra a' Veneziani, 829, 830. Sua morte,
876.

Manuello Spinola, vescovo d'Albenga, ucciso, V, 419.

Maometto semina la sua falsa dottrina, ed è scacciato dalla Mecca, II,
1172. Sua morte, 1205. Sua sepoltura in Medina, III, 86.

Maometto II, imperadore de' Turchi, prende e saccheggia Costantinopoli,
V, 1231. Obbligato a levare l'assedio di Rodi da quei cavalieri, VI,
71. Sua morte, 74.

Maometto III imperadore de' Turchi. Sua sfrenata libidine e sua morte,
VI, 901.

Marca e marchesi: loro origine, III, 562.

Marca trivisana, quando formata, III, 562.

Marca d'Ancona, chiamata anche di Guarnieri, IV, 558. Quali città
abbracciasse, 737, 957, 1008.

Marcantonio Colonna, _V._ Colonna (Marcantonio).

Marcantonio Trevisano, doge di Venezia, IV, 632. Sua improvvisa morte,
639.

Marcantonio Memo, doge di Venezia, VI, 935. Sua morte, 952.

Marcario, duca del Friuli, III, 330, 341.

Marcelliano, _V._ Marcellino.

Marcellino (Bebio), senatore, condannato a morte dal senato sotto
Severo Augusto, I, 702.

Marcellino, pontefice romano, I, 1037. Suo martirio, 1060. Falsamente
accusato da' donatisti di idolatria, _ivi_.

Marcellino, prefetto del pretorio delle Gallie sotto gl'imperadori
Valentiniano e Valente, II, 188.

Marcellino, tribuno nell'Africa a' tempi dell'imperadore Onorio, fatto
morire da Marino, II, 423. Sant'Agostino avea dedicato a lui la sua
opera della Città di Dio, scritta per le premure di lui, _ivi_.

Marcellino, o Marcelliano, sotto Leone Augusto occupa la Dalmazia
ed altri paesi, II, 611. Sua vittoria de' Vandali, 618. Generale
dell'armata occidentale contro i Vandali, 628. Da' soldati romani con
frode ucciso, 630.

Marcellino, vescovo d'Arezzo, preso e fatto impiccare da Federigo II,
IV, 1210.

Marcello (Eprio), scoperta la sua congiura contro l'imperadore Tito, si
uccide, I, 316.

Marcello (Publio Orazio), console ed amico di Traiano, I, 398.

Marcello (Ulpio), giurisconsulto celebre, I, 509. Generale di Commodo
nella Bretagna, 600. Si facea recare il pane secco e duro da Roma per
mangiar meno, 601.

Marcello, romano pontefice, I, 1088. Suo martirio, 1097.

Marcello (San) Archimandrita, abbate, II, 633.

Marcello, doge di Venezia, III, 158. Sua morte, 176.

Marcello II papa. Sua creazione e morte, VI, 640.

Marchese di Caracena, governatore di Milano, VI, 1169. Fa pace col duca
di Modena, 1172. Prende Trino e Crescentino, 1183. Prende la città ed
il castello di Casale, e in fine la cittadella, 1184. Muove guerra al
duca di Modena, 1196. Che il fa vergognosamente ritirare da Reggio,
1197. È richiamato dal suo governo, e mandato in Fiandra, _ivi_.

Marchesi d'Este, verisimilmente discendenti dagli Adalberti duchi di
Toscana, III, 1051, 1146.

Marchesi, una volta senza apparire di quali marche, III, 1147.

Marciano Augusta, sorella di Traiano, I, 383, 433.

Marciano, prefetto di Roma sotto Onorio imperadore, II, 397.

Marciano, marito di Pulcheria Augusta, sorella di Teodosio II, eletto
imperadore d'Oriente, II, 544, 545. Sue qualità, 546. Riconosciuto
Augusto in Roma, 557. Fine di sua vita, 595. Sue belle doti, _ivi_.

Marciano, figlio d'Antemio Augusto, creato console, II, 632. Destinata
a lui in moglie Leonzia figlia di Leone Augusto, 639, 641. Sua
sedizione contra di Zenone Augusto, 674.

Marciano, vescovo di Mantova, IV, 226.

Marco Agrippa, _V._ Agrippa (Marco Vipsanio).

Marco Elio Aurelio Antonino Vero, figliuolo di Annio Vero, che fu poi
imperadore, adottato dall'imperadore Antonino Pio, I, 480. La cui
figlia Anna Faustina prende in moglie, 489. Creato Cesare, _ivi_.
Tribunizia potestà a lui conferita, 504. Succede nell'imperio ad
Antonino Pio, 524. Perchè appellato Filosofo, 525. Dichiara imperadore
Lucio Elio Commodo (in seguito conosciuto per Lucio Vero), 527. E lo
spedisce in Oriente, 531. Gli dà in moglie Lucilla sua figlia, 534.
Vittorie de' suoi generali contra de' Parti, 535, 537, 538, 539. Suo
trionfo per la guerra gloriosamente compita contra i Parti, 540. Sua
applicazione al governo, 542. E al pubblico bene, 543. Va alla guerra
contro i Marcomanni, 548. Ingiustamente imputata a lui la morte di
Lucio Vero, 552. Torna a guerreggiar co' Marcomanni, 556. Sue vittorie,
558. Soffre l'insolenza d'Erode Attico, 561. Miracolosa sua vittoria
de' Quadi, 563. Accorda la pace ai Jazigi, 566. Varie nazioni a lui
si sottomettono, _ivi_. Gli si ribella Avidio Cassio, 567, 569. Sua
clemenza in questa occasione, 570. Passato in Oriente per dar sesto
agli affari della Soria e dello Egitto, a Faustinopoli, città da lui
fabbricata, gli è rapita dalla morte la moglie Faustina, 575. Suoi
viaggi, 577. Ritorna in Italia, ed entra trionfalmente in Roma, 578,
579. Suo congiario dato al popolo romano in tale occasione, 580. Ordina
che i gladiatori nelle loro battaglie adoperassero spade senza punta
e senza taglio, 581. Torna alla guerra in Germania, 583. Dove muore,
589. Altre sue virtù, _ivi_. Deificato, e riguardato qual sacrilego chi
non teneva la sua immagine in casa, _ivi_. Suoi libri, 591. Suoi figli,
_ivi_.

Marco, romano pontefice, I, 1207.

Marco, tiranno nella Bretagna, ucciso, II, 378.

Marco, figlio di Basilisco, usurpatore dell'imperio io Oriente, da lui
creato Cesare, II, 658.

Marco Visconte figlio di Matteo: celebre assedio di Genova da lui
fatto, V, 400. Fa dichiarare Cane dalla Scala capitano generale de'
Ghibellini, 403. Dà una rotta a Raimondo da Cardona, 425. Una altra
a' fuorusciti milanesi, 434. Sua discordia col fratello Galeazzo, 445.
Tenuto in ostaggio da Lodovico il Bavaro per avere il mantenimento de'
patti fatti co' suoi, 481. Fatto generale dai Tedeschi che s'erano
ribellati al Bavaro, prende Agosta, 487. Chiamato in soccorso dai
Pisani, _ivi_. Va a Bologna e tratta col cardinal Bertrando per avere
Milano, 488. Portatosi a Milano, è amorevolmente accolto dal nipote,
Azzo, _ivi_. Viene ucciso da' suoi, _ivi_.

Marco Cornaro, doge di Venezia, V, 703. Sua morte, 711.

Marco Barbarigo, eletto doge di Venezia, VI, 93. Sua morte, 96.

Marcomanni, a' tempi dell'imperadore Diocleziano, sconfiggono
l'esercito romano, I, 544. Nuova guerra da essi fatta a' Romani sotto
Marco Aurelio, 547, 550. Vinti dallo stesso imperadore, 557.

Marcomiro, Franco, padre del re Faramondo, II, 438.

Mardaiti, _V._ Maroniti.

Mare, stranamente gonfiato, inonda Alessandria in Egitto, II, 125, 152.

Margherita, regina di Sicilia, tutrice del re Guglielmo II suo figlio,
IV, 796, 806.

Margherita di Borgogna passa alle nozze di Carlo d'Angiò, re di Napoli,
V, 79. Solennizzate le sue nozze con gran magnificenza a Napoli, 82.

Margherita d'Austria, maritata con Alessandro de Medici duca di
Firenze, VI, 516. Poi con Ottavio Farnese, 536, 539. Governatrice de'
Paesi Bassi, 717. Sua saviezza, e suo ritorno a Parma, 728, 729, 785.
Sua morte, 811.

Maria, figlia di Stilicone, maritata con Onorio Augusto, II, 340. Sua
morte, 382.

Maria, moglie di Giovanni Orseolo doge di Venezia: sua estrema
delicatezza, IV, 78, 79.

Maria, regina di Sicilia, imprigionata, V, 781. Ricupera il suo regno,
852.

Maria, sorella del re di Cipri, sposa Ladislao re di Napoli, V, 906.

Maria, vedova di Raimondo Orsino, sposa Ladislao re di Napoli, V, 944.

Maria, figlia di Alfonso re di Aragona e delle Due Sicilie, sposa
Lionello marchese di Ferrara, V, 1172.

Maria, regina cattolica d'Inghilterra, succede a suo fratello Odoardo,
VI, 632. Sposa Filippo po II, figlio di Carlo V imperadore, 658. Sua
morte, 673.

Maria Stuarda, regina di Scozia, sposa Francesco Delfino di Francia,
VI, 674. Arrigo II re di Francia sostiene i suoi diritti al trono
d'Inghilterra contro Elisabetta di lei sorella, 675. Con la quale fa
pace, 679. Da essa poi fatta ingiustamente morire, 815.

Maria Teresa, primogenita di Carlo VI Augusto, per la Prammatica
Sanzione destinata erede degli Stati della casa d'Austria, VII, 322.
Maritata con Francesco Stefano duca di Lorena, 419. Viene con esso
e col principe Carlo, fratello di lui, in Toscana, 448. Va a Reggio,
dov'è accolta dai marchesi estensi, ed assiste ad un'opera in musica,
450. Poi a Milano, _ivi_. Succede al padre nella monarchia austriaca,
466. Pretensioni di Carlo Alberto elettor di Baviera contra di lei,
_ivi_. Il quale le occupa alcuni luoghi della Slesia austriaca; e
manifesto da esso pubblicato, 472, 473. Le muove guerra il re di
Prussia Federigo III, 468. Dà alla luce Giuseppe Benedetto, 474. Muove
gli Ungheri alla sua difesa, 476, 477. S'impadronisce della Baviera,
486. Colla cessione della Slesia fa pace col re di Prussia, 488.
Ricupera la Boemia, 490. E di nuovo perde la Baviera, 521. Dichiarata
imperadrice, 549. Fa pace col re di Prussia, 551, 570. Manda in Italia
un gran rinforzo di gente, 570. Indarno propone la conquista delle Due
Sicilie, 613. Assaissimo irritata per la rivoluzione di Genova, 651.
Sua moderazione ed altri pregi, 702, 709.

Maria Amalia, figlia di Federico Augusto re di Polonia, maritata a
Carlo re delle Due Sicilie, VII, 442.

Maria Teresa Cibò, duchessa di Massa, sposata con Ercole Rinaldo
d'Este, principe ereditario di Modena, VII, 483, 637.

Mariade, uno de' magistrati d'Antiochia tradisce a Sapore re di Persia
la sua patria, I, 889. Dallo stesso Sapore fatto bruciar vivo, _ivi_.

Marina, sorella di Teodosio II Augusto. Sua nascita, li, 367. Sua
morte, 536.

Mariniano, arcivescovo di Ravenna, II, 1097. Sua morte, 1132.

Marino (Publio Carvilio), centurione, proclamato imperadore nella Mesia
e Pannonia a' tempi degli imperadori Filippo, I, 860.

Marino, conte, uffiziale d'Onorio Augusto, mette in rotta le truppe del
tiranno Eracliano, II, 420. Spedito dall'imperadore con ampia facoltà
in Africa, 423. Sue iniquità colà usate, _ivi_. Toglie barbaramente la
vita a Marcellino tribuno e notaio, uomo di rara virtù e santi costumi,
_ivi_. Richiamato e spogliato di tutte le cariche, _ivi_.

Marino, primo vescovo di Ferrara, II, 1270.

Marino, duca d'Amalfi, soccorre di vettovaglia i Salernitani assediati
da' Saraceni, III, 750.

Marino papa. Sua elezione, III, 833. Assolve Formoso vescovo di Porto,
836. Suo abboccamento con Carlo Grosso Augusto, 837. È rapito dalla
morte, 840.

Marino (per isbaglio Martino), conte di Comacchio, III, 825.

Marino II papa, erroneamente da alcuni detto Martino. Sua elezione,
III, 1090. Chiamato a miglior vita, 1101.

Marino, duca di Napoli, III, 1096, 1193.

Marino, vescovo di Sutri, III, 1170.

Marino, vescovo olivolense, III, 1200.

Marino, arcivescovo di Capoa, IV, 667.

Marino Morosino, doge di Venezia, IV, 1216.

Marino Giorgi, doge di Venezia, V, 351. Sua morte, 361.

Marino Faliero, doge di Venezia, V, 642. Sua congiura e morte, 650.

Mario, effimero imperadore nelle Gallie a' tempi dell'imperadore
Gallieno, I, 927.

Mario, vescovo aventicense, storico, II, 1043.

Marlboroug (Curchil conte di), generale degl'Inglesi ne' Paesi Bassi,
VII, 172. Sua vittoria contro i Gallo-Bavari ad Hogstedt, 187. Sua
vittoria contro i Franzesi a Rameglì, 205. Altra vittoria contro i
medesimi presso Odenard, 224.

Maroboduo, generale de' Germani, emulo di Arminio, prende il titolo di
re, I, 55.

Maroniti, o Mardaiti, popoli del monte Libano, formidabili contro i
Saraceni sotto l'imperadore Giustiniano II, III, 71. Dodici mila de'
più valenti tra essi colle loro famiglie sono trasportati nell'Armenia,
72.

Marozia (Maria) moglie di Alberico marchese, da cui generò papa
Giovanni XI, III, 980. Ed Alberico, che fu poi principe di Roma, 986,
998. Si rimarita con Guido di Toscana, 1029. Sue prepotenze in Roma,
1034. Fa uccidere Pietro fratello di papa Giovanni X, 1037. Imprigiona
il papa stesso, _ivi_. Ebbe figli da esso Guido, 1051. Si rimarita con
Ugo re d'Italia, 1053. Imprigionata dal figlio Alberico, 1054.

Marquardo, abbate di Prumia, III, 589.

Marquardo, marchese d'Ancona e duca di Ravenna, IV, 944. Spogliato
della marca da papa Innocenzo III, 957. È cacciato dalla Marca, e si
riduce in Puglia, 963. Raunato un esercito di Tedeschi e scapestrati
suoi aderenti, vuole assumere la tutela di Federigo figlio di Arrigo
VI, _ivi_. Assedia Monte Casino, dal quale è costretto a desistere,
964. Da un esercito mandatogli incontro dal papa Innocenzo III è
obbligato a mostrarsi pentito, per cui è assolto dalle censure, _ivi_.
Passa a Salerno, ove trova l'aiuto mandatogli dai Pisani, _ivi_. Sopra
la flotta dei Pisani passa in Sicilia, _ivi_. Prende varie città di
quella isola, 968. Si porta all'assedio di Palermo, _ivi_. Cerca far
pace all'apparire dell'esercito pontificio colà, ma non l'ottiene,
_ivi_. Fiera battaglia, in cui resta sconfitto, 969. Si rimette, e
con Gualtieri vescovo di Troia divide il governo di quel regno, _ivi_.
Colla caduta di Gualtieri, diviene onnipossente, 973. Sua morte, _ivi_.

Marsilia: colà portata la peste, vi fa strage, VII, 300, 301. E si
dilata, 308.

Marsilietto Pappafava, signore di Padova, ucciso, V, 578.

Marsilio da Carrara, creato signore di Padova, la cede a Cane dalla
Scala, V, 477. Sue ricchezze, 478. Fedele agli Scaligeri, alla morte di
Cane, 486. Poscia infedele, 532, 535. Dà l'ingresso in Padova all'armi
venete, ed è fatto signore nuovamente di quella città, 536. Termina i
suoi giorni, 539.

Marsilio de' Rossi, scaccia da Parma Passerino dalla Torre, governatore
pontifizio, e si fa signore di essa, V, 480. Gli è dato il dominio
della città di Cremona, 497. Vicario di Lucca, 515. Cede Parma agli
Scaligeri, 525. A' quali poi si ribella, 533. Si porta a Venezia, 536.
Ove muore, _ivi_.

Marsilio Ficino, celebre filosofo, VI, 36. Sua morte, 154.

Marso Isauro, valoroso generale di Leone Augusto, spedito contro
Gerserico, II, 635.

Martina, seconda moglie di Eraclio Augusto, II, 1155. Esiliata, 1227.

Martiniano (Marco), creato Cesare da Licinio Augusto, I, 1162. Ucciso
da Costantino, 1164.

Martinitz (Giorgio Adamo conte di), ambasciatore dell'imperador
Leopoldo: sue insolenze in Roma, VII, 125, 128. È richiamato a Vienna,
142.

Martino (San), vescovo di Tours. Sua predizione a Massimo tiranno, II,
276.

Martino, sofista, creato conte da Teodosio II Augusto, II, 463.

Martino I papa eletto. Suo concilio contro i monoteliti, II, 1244.
Condanna il Tipo di Costante, e varii vescovi, 1245. Perseguitato da
Olimpio esarco, 1246, 1252. Pace con lui, per cui gli viene suscitata
contra una fiera persecuzione, 1253. Imprigionalo dall'esarco Giovanni
Calliopa, 1255. Patimenti da lui sofferti nel lungo viaggio fatto per
mare, 1256. Giugne a Costantinopoli, 1257. Calunnie contra di lui,
_ivi_. Strapazzi indegni a lui fatti, 1259. È condotto nel Chersoneso,
e patimenti _ivi_ sofferti, 1261. Sua morte, per cui è onorato martire,
_ivi_.

Martino, arcivescovo di Ravenna, III, 478, 496. Accoglie papa Stefano
IV, 503.

Martino, abbate della Vangadizza, III, 1149.

Martino, abbate di San Genesio di Brescello, IV, 111.

Martino, vescovo d'Aquino, IV, 296, 297.

Martino Gossia, giurisconsulto: sua adulazione, IV, 750.

Martino dalla Torre, capo del popolo di Milano, IV, 1232. Obbliga
l'arcivescovo e i nobili ad uscir di città, 1264. Difende Milano da'
tentativi di Eccelino, V, 10, 13. Divien padrone di Lodi, 17. Manca di
vita, 40.

Martino IV papa. Sua elezione, V, 141. Scomunica Michele Paleologo
imperadore de' Greci, _ivi_. Favorisce i Guelfi, e scomunica i
Forlivesi, 144. Crea conte della Romagna Giovanni d'Eppa, Franzese,
_ivi_. Dichiara Pietro d'Aragona decaduto da' suoi regni, 163. Dà fine
al suo vivere, 177.

Martino d'Aragona, re di Sicilia, V, 782. Ricupera la Sicilia, 862.
Ricupera Catania a lui ribellatasi, 863. Continua ad abbassare la
fazione contraria aderente al partito di papa Bonifazio IX, 869. Sua
morte, 961.

Martino, re d'Aragona, dà una terribile sconfitta ai popoli della
Sardegna, V, 961.

Martino V papa. Sua elezione, V, 1007. Mette fine al concilio di
Costanza, 1014. Viene in Italia, 1015. Va a mettere la sua residenza
in Firenze, 1019. A lui si umilia il già papa Giovanni XXIII, 1020.
Fa lega colla regina Giovanna, _ivi_. Manda Braccio da Montone contro
Bologna, 1026. Nemico alla regina Giovanna, 1027. Va a Roma, 1033.
Dà aiuto a Lodovico d'Angiò, 1036. Mette pace fra i pretendenti del
regno di Napoli, 1040. Protegge Lodovico d'Angiò, 1047. Sua premura
di liberar l'Aquila assediata da Braccio, 1052. Sua vittoria contro
esso, 1056. Ricupera Perugia ed altre città, _ivi_. Mette pace fra
i Veneziani e il duca di Milano, 1067, 1068, 1072. Fa guerra a'
Bolognesi, 1075, 1077. Ricupera quella città, 1077. Altri luoghi da lui
ricuperati, 1080. Termina il suo vivere, 1084.

Martino Lutero. _V._ Lutero (Martino).

Martiri, chiamati una volta anche confessori, I, 604.

Marzia, concubina di Quadrato, poi di Commodo Augusto, I, 618. Onorata
quale imperadrice, 621. Cospira con altri alla morte di esso Commodo,
629.

Marziale (Marco Valerio), poeta, grande adulatore di Domiziano, I, 330,
570.

Marziano, generale di Gallieno Augusto, I, 912, 931. Sua congiura
contro esso imperadore, 933.

Marziano, suocero d'Alessandro Augusto, da lui creato Cesare, poi per
invidia fatto uccidere, I, 774.

Mas-Aniello, capo della sollevazione di Napoli, VI, 1150. Dichiarato
capitan generale del popolo, 1153. Fa una visita al vicerè, 1155. È
ucciso, 1156.

Masceldel, o Mascezel, scappa dalla ribellione fatta dal fratello
Gildone in Africa contro l'Augusto Onorio, e si rifugia in Italia
alla corte imperiale, II, 337. Gildone gli fa uccidere due figli in
vendetta, _ivi_. Va con una flotta contro il fratello, _ivi_. Si fa
accompagnare in quella spedizione da molti romiti dell'isola Capraia,
_ivi_. Secondo Paolino, confortato da un'apparizione di santo Ambrosio,
338. Sbaraglia le truppe del fratello, che fugge, _ivi_, 339. Torna a
Milano, ove è accolto con molte carezze, 339. Fatto miseramente morire
de Stilicone, _ivi_.

Massar, capo de' Saraceni, va in aiuto di Radelgiso principe di
Benevento, III, 652.

Massenzio (Marco Aurelio Valerio), figlio di Massimiano Augusto, I,
1077. Proclamato Augusto in Roma, _ivi_. Rende vani i tentativi del
nemico Galerio, 1084. Ricupera l'Africa, 1102. Sue enormi iniquità
in Roma, 1104. Preparamenti da lui fatti contro Costantino, 1105. Sua
armata da lui postata al Tevere, 1111. Nel qual fiume resta sommerso,
1113.

Massenzio, patriarca d'Aquileia, III, 561.

Massimiano (Marco Aurelio Valerio), creato Cesare da Diocleziano
Augusto, I, 1013. Poi imperadore, 1015. Sue imprese contro i Germani,
1019. Sconfitto da Carausio, 1022. Crea Cesare Galerio, 1027. Sconfigge
Giuliano tiranno, 1031, 1032. Vince i Marcomanni, 1049. Sua infame
libidine, 1052. Depone l'imperio, 1064. Da che il figlio Massenzio fu
proclamato Augusto, ripiglia la porpora, 1078. Inganna ed uccide Severo
Augusto, 1082. Ricorre a Costantino, 1083. Indarno tenta di deporre
Massenzio suo figlio, 1085. Ricorre a Galerio, _ivi_. Poi di nuovo a
Costantino, 1089. Contra cui ordisce un tradimento, 1090. Altro suo
tradimento, e sua morte, 1093, 1094.

Massimiano, mandato dal senato romano all'imperadore Onorio, perchè
approvi la pace fatta dai Romani con Alarico re de' Goti, II, 394.
Caduto in mano di essi Goti, è riscattato da Mariniano suo padre,
_ivi_.

Massimiano, vescovo di Costantinopoli, II, 480.

Massimiliano, Austriaco, figlio di Federigo III eletto re de' Romani,
VI, 93. Succede nell'imperio a suo padre, 114. Prende per moglie Bianca
Maria Sforza, sorella di Gian-Galeazzo, 116. Chiamatovi da Lodovico il
Moro, viene in Italia, 141. Con grande magnificenza accolto a Milano,
_ivi_. Si porta a Genova, poi a Pisa, _ivi_. S'accinge all'assedio di
Livorno tenuto da' Fiorentini, _ivi_, 142. Tenta varie imprese, ma
senza venirne a capo, _ivi_. Torna in Germania, _ivi_. Muove guerra
a' Veneziani, 227. Costretto ad una vergognosa pace, 228. In Cambrai
si collega con varii potentati contra di essi Veneti, 229. Se gli
rendono Verona, Vicenza e Padova, 239. Perde vilmente quest'ultima
città, 243, 245. Le mette l'assedio, 246. Se ne ritira, 247, 248. Vende
Verona al re di Francia, 252. Si stacca da' Franzesi, 280. Unito co'
Veneziani caccia essi Franzesi d'Italia, 286, 287. Manda gente contro
i Veneziani, 305. Sua lega con papa Leone X in difesa di Milano, 322.
Difende Brescia, e cala armato in Italia, 335. Suoi inutili sforzi
contro i Franzesi, 336. Sue leghe, 342. Fine de' suoi giorni, 353.

Massimiliano Sforza, dichiarato duca di Milano, entra in quella città,
VI, 293. Se gli ribellano i Milanesi ed altri, 300. Ristretto in
Novara, 302. Riporta vittoria de' Franzesi, 303. Ricupera le città
perdute, 304. E i castelli di Milano e Cremona, 312. Ritirato nel
castello di Milano, 323, 328. Cede tutto al re di Francia, ove va a
dimorare, 329.

Massimiliano II, re de' Romani e d'Ungheria, manda i suoi due figli
Ridolfo ed Ernesto a Madrid, VI, 704. Creato imperadore, 708. Dà fine
al suo vivere, 772.

Massimiliano Emmanuele, elettor di Baviera, interviene alla liberazione
di Vienna, VII, 47. Fa guerra a' Turchi, 55, 60. S'impadronisce di
Belgrado, 73. Viene a guerreggiare in Piemonte, 95. Governatore di
Fiandra, 150. Fa dichiarare erede del trono di Spagna da re Carlo
II il suo figlio Ferdinando, _ivi_. Che gli muore, 154. Abbraccia il
partito de' Gallispani, _ivi_. Occupa varie città in Germania, 174.
Poco tempo dopo il Tirolo, 175. Poscia lo perde, 176. Dopo la sconfitta
di Hogstedt perde la Baviera, 187. Rotta a lui data dagl'inglesi a
Ramegli, 205. Assedia Brusselles, ed è costretto a ritirarsi, 224.
Ricupera gli aviti suoi Stati, ma desolati, 260.

Massimino (Caio Giulio Vero), che fu poi imperadore, conosciuto la
prima volta da Severo Augusto, I, 686. Milita nell'armata d'Alessandro
Augusto, 811. Trama ed eseguisce la sua morte, 812. Sua fortuna da
privato, 815. Proclamato imperadore, 817. Sue imprese contro i Germani,
819. E contro i Sarmati e i Daci, 821. Sua crudeltà ed avidità,
_ivi_, 822. Gordiano creato imperadore contra di lui, 824. Roma se gli
ribella, 826. Vola in Italia, 827. Mormorazioni dei soldati contra di
lui, 831. Assedia Aquileia, _ivi_. Ove è ucciso da' soldati, 834.

Massimino (Caio Galerio Valerio), dichiarato Cesare da Diocleziano,
I, 1064. Suoi vizii, 1065. Prende il titolo d'Augusto, 1088. Occupa
la Bitinia dopo la morte di Galerio, 1100. Indegno trattamento da lui
fatto a Valeria vedova d'esso Galerio, 1101. Sua infame libidine, 1103.
Fa lega con Massenzio, 1106. Muove guerra a Licinio Augusto, 1123. In
una battaglia resta sconfitto, 1125. Dopo di che, gettata vilmente la
porpora, se la dà a gambe travestito da servo, 1126. Si avvelena, 1127.

Massimino, uffiziale di Valentiniano I: sue crudeltà, II, 179, 187. Sua
morte, 200.

Massimo (Lucio Appio) sconfigge ed uccide Lucio Antonio, I, 349, 350.
Suo valore nella guerra co' Daci, 394, 395. Creato console, 395. Ucciso
da' Parti, 427.

Massimo (Laberio): sua congiura contro Traiano, I, 412.

Massimo (Mario), scrittore della vita di Adriano Augusto, I, 477.

Massimo (Gavio), prefetto del pretorio sotto Antonino Pio, I, 492, 497.

Massimo (Claudio), maestro di Marco Aurelio, Augusto, I, 497.

Massimo Tirio, Filosofo vissuto a' tempi d'Antonino Pio, I, 524.

Massimo (Quintilio), generale in Germania sotto l'imperadore Marco
Aurelio, I, 582. Ucciso da Commodo, 605.

Massimo (Caio Giulio Vero), ossia Massimino juniore, creato Cesare, I,
816. Ucciso col padre, 834.

Massimo (Valerio), prefetto di Roma sotto Valeriano, I, 881.

Massimo (Giunio), prefetto di Roma sotto gli imperadori Diocleziano e
Massimiano, I, 1016.

Massimo (Artorio), prefetto di Roma sotto gli imperadori Diocleziano e
Massimiano, I, 1046.

Massimo (Valerio Basilio), prefetto di Roma sotto Costantino, I, 1144,
1146, 1148, 1153.

Massimo, prefetto di Roma sotto l'imperadore Giuliano, II, 106.

Massimo Efesio, mago, maestro di Giuliano Apostata, II, 115. Chiamato
da lui alla corte, 119. Dopo la morte dell'Apostata, dilegiato
dal popolo d'Antiochia, 140. Condannato alla prigione dall'Augusto
Valentiniano finchè avesse pagato una grossa pena pecuniaria, 148. È
condannato a morte, 192.

Massimo (Magno Clemente), tiranno: sua origine, II, 241. Suoi costumi
e sua ribellione, 242. Ucciso da' suoi uffiziali Graziano Augusto, 244.
Pace da lui fatta con Valentiniano II Augusto, 249, 251. Fa da zelante
della fede cattolica, 261. A lui da Valentiniano spedito santo Ambrosio
per iscoprire i suoi disegni, 268. D'improvviso col suo esercito sbocca
in Italia, 269. Occupa varie città, ed anche Roma e l'Africa, 271. Sue
estorsioni e tirannie, 275. Rotta data da Teodosio Augusto alle di lui
armate, 277, 278. Preso in Aquileia, e tolto di vita, 279.

Massimo, creato imperadore da Geronzio in Ispagna, II, 409. Degradato,
412. Risorge, 441. Preso ed ucciso, 448.

Massimo, sofista, creato conte da Teodosio II Augusto, II, 463.

Massimo (Petronio), uno de' senatori romani più ricchi e potenti sotto
Valentiniano III, creato console II, 484. A lui attribuita la morte
di Aezio, 5?3, 575. Si vendica d'un affronto fattogli da Valentiniano
Augusto con farlo uccidere, 575. Si fa proclamare Augusto, 577. Gli è
tolta la vita dall'infuriato popolo, 579.

Massimo (San), vescovo di Torino, II, 548.

Massimo, vescovo di Salona, II, 1111.

Massimo (San), abbate: sua disputa con Pirro, II, 1237. Condotto
prigione a Costantinopoli, 1260. Gli vien tagliata la lingua per ordine
di Costante Augusto, 1266. Passa a miglior vita, 1273.

Massimo, patriarca gradense, II, 1245.

Massimo, vescovo di Pisa, III, 152.

Mastaro, duca d'Amalfi, III, 1039.

Mastaro II, duca d'Amalfi, III, 1189.

Mastino dalla Scala, signore di Verona, V, 16, 36. Scaccia da quella
città Lodovico conte di San Bonifazio, 40. Maggiormente assoda _ivi_ la
sua signoria, 85. Ucciso da' congiurati, 125.

Mastino dalla Scala, marito di Taddea da Carrara, V, 477. Succede
a Cane nella signoria di Verona, 486. Assedia indarno Brescia, 496.
Fa lega contro Giovanni re di Boemia, 500. Si impossessa di Brescia,
506. Sconfitta da lui data all'armata pontifizia, 511. Fa guerra a
varie città, 519. Divien padrone di Parma, 525. E di Lucca, 529. Sua
alterigia, 531. Guerra a lui mossa da' Veneziani e Fiorentini, 532.
Mette in fuga l'armata de' collegati, 535. Perde Padova e Brescia,
536, 637. Uccide il vescovo di Verona, 540. Sua pace co' Veneziani,
542. Sottopone al papa i suoi Stati, 550. Gli è tolta Parma, 555. Vende
Lucca a' Fiorentini, 556. Marcia in danno de' Mantovani, 604. Dà fine
al suo vivere, 625.

Matasunta, figlia d'Amalasunta, costretta a prendere per marito il
re Vitige, II, 866. Congiura contra di lui, 875. Maritata con Germano
nipote di Giustiniano Augusto, 889.

Materno, capo de' sediziosi sotto Commodo nelle Gallie e nelle Spagne:
sue imprese, I, 612. È giustiziato, 613.

Matidia, nipote di Traiano; porta a Roma le ceneri dell'Augusto zio, I,
433. Ebbe il titolo di Augusta, 446, 447.

Matilda, figliuola d'Ottone I, Augusto, badessa quindiliuburgense; sua
morte, IV, 36. A lei avea lasciato Ottone il governo del regno alla sua
venuta in Italia, _ivi_.

Matilda, contessa, figlia di Bonifazio e Beatrice marchesi di Toscana.
Sua nascita, IV, 234. Perde in tenera età il padre, 256. Erede di
tutti gli Stati del padre, 270. Data in moglie a Gotifredo il Gobbo
duca di Lorena, 341. Atti del suo dominio in Toscana, 353, 357, 358.
Resta vedova, 372. Accoglie papa Gregorio in Canossa, 377. Suo esercito
sconfitto, 400. Lucca le si ribella, 403. Suoi Stati in Lorena, 408.
Guerra a lei fatta dal re Arrigo IV, 411. Assedia Nonantola, 416.
Le è di nuovo mossa guerra dal re Arrigo, 421. Il cui esercito resta
sconfitto, _ivi_. Suo matrimonio con Guelfo V d'Este, 439. Mantova,
sua città, assediata dall'armi del re Arrigo, 444. È presa con altre
terre, 446, 447. Rifiuta la pace, 452. Suo divorzio con Guelfo V, 465.
Libera Nogara dall'assedio, 468. Sua gloria per aver liberato l'Italia
dall'armi d'esso Arrigo IV Augusto, 472, 473. Sue dissensioni col re
Corrado, 489. Ricupera Ferrara, 492. Dona i suoi Stati alla Chiesa
romana, 498. Si accorda col re Arrigo V, 524. Che va a visitarla, 534.
Ricupera Mantova, 546. Fine de' suoi giorni, 547.

Matteo Rosso degli Orsini, cardinale, nel conclave radunato dopo la
morte di Niccolò III si oppone perchè non sia eletto un papa franzese,
V, 140. Alla morte di Niccolò IV si fa capo del partito affezionato
a re Carlo di Napoli, 218. Esce incontro a papa Bonifazio VIII, che
torna a Roma dopo le soperchierie sofferte in Anagni da un emissario di
Filippo il Bello re di Francia, 284. Protegge papa Benedetto XI, contro
gli altri cardinali, 290. Capo del partito italiano nell'elezione di
papa Clemente V, 295.

Matteo Visconte: principio di sua grandezza, V, 172. Sue doti e sua
figliolanza, 190. Come signore di Vercelli, 207. Cresce in potenza,
219. Creato signor di Novara, 224. E vicario della Lombardia, 231. Sua
guerra coi Torriani, 237. Perde il dominio di Bergamo, 247. Gli sono
tolte altre città, 263. Magnifiche nozze di Galeazzo suo figlio con
Beatrice sorella di Azzo VIII marchese d'Este, 268. S'impadronisce di
Bergamo, 273. Perde gli Stati, e va ramingo, 278. Tenta di ritornare in
Milano, ma indarno, 287. Sue saggie risposte intorno al suo Stato, 328.
Ben ricevuto da Arrigo VII re de' Romani, 338. A cui si mostra fedele,
343. Fa guerra a Pavia, 357. E a Vercelli, _ivi_. Abbatte Alberto
Scotto già signor di Piacenza, ed altri vicini, 368. Fabbrica sul Po
il castello detto da lui Ghibellino, 384. Divien padrone di Pavia e
d'altre città, 385. Abbatte Giberto da Correggio signor di Parma, 389.
S'intitola signor di Milano, 399. Ricupera, poscia restituisce alla
chiesa di Monza il suo tesoro, 409. Scomunicato da papa Giovanni XXII,
411. Acquista Vercelli, 418. Guerra a lui mossa dallo stesso papa e dal
re Roberto, 420. Il cardinale Bertrando dal Poggetto con gran solennità
fulmina tutte le maledizioni di Dio e pubblica e conferma tutte le
scomuniche e gl'interdetti contra di lui, 424, 425. Battaglia tra lui e
Raimondo da Cardona, generale del papa e del re Roberto, in cui questo
ultimo resta pienamente sconfitto, 425. Declinazione di sua fortuna,
morte e figliuolanza, 427.

Matteo de' Maggi, _V._ Maffeo.

Matteo d'Acquasparta, cardin., mandato da papa Bonifazio VIII
governatore della Romagna, V, 269.

Matteo II Visconte, nipote di Luchino, V, 552. Succede in parte agli
Stati di Giovanni suo zio, 639. Sua morte e suoi difetti, 649.

Matteus, ammiraglio inglese, si batte contro la flotta gallispana, VII,
555. Rimane indecisa la vittoria, _ivi_. È richiamato a Londra, ed è
sottoposto a rigoroso processo, 556.

Mattia Corvino, re d'Ungheria. Suo matrimonio, con Beatrice, figlia di
Ferdinando re di Napoli, VI, 50. Sua morte, 107.

Mattias arciduca, coronato re d'Ungheria, VI, 922. E di Boemia,
934. Suo matrimonio con l'arciduchessa Anna figlia del già arciduca
Ferdinando, _ivi_. Eletto imperadore, 935. Fa incoronar l'arciduca
Ferdinando re di Boemia, 965. La quale se gli ribella, 970. Passa
all'altra vita, 971.

Mauricione, duca di Perugia, _V._ Maurizio.

Mauringo, o Moringo, conte di Brescia, III, 538. Creato duca di
Spoleti, 548.

Maurizio, autore delle sedizioni in Africa sotto lo imperadore
Massimino, I, 823.

Maurizio, figlio di Mundone, o Mondo, Unno, generale bravissimo di
Giustiniano imperadore, II, 862.

Maurizio, generale dell'armi di Tiberio Augusto, II, 1035. Dichiarato
Cesare ed imperadore, succede ad esso Tiberio, 1044, 1045. Maltrattato
dagli Unni Avari, 1047. Muove i Franchi contro i Longobardi, 1052,
1057, 1073. Ricupera alcune città in Italia, 1077. Infelice suo
governo, 1096. Cade infermo con pericolo della vita, 1102. Sua
lagrimevole fine, 1120. Suoi difetti e sue virtù, _ivi_.

Maurizio ossia Mauricione, o Mauritione, duca di Perugia, si ribella al
re Agilolfo, II, 1086. Dal quale è ucciso, 1090, 1111.

Maurizio, vescovo d'Altino, II, 1230.

Maurizio, nobile d'Eraclea, doge di Venezia, III, 286. Gli è nominato a
collega il figlio Giovanni, 337. Sua morte, 366.

Maurizio, figlio di Giovanni doge di Venezia, III, 438. Ribellatisi
i nobili, eleggono in Trivigi Obelerio in doge, per cui fugge, e si
ritira in Francia, ove muore, 446.

Maurizio, arcivescovo di Braga, soprannominato Burdino, corona Arrigo
V Augusto, ed è scomunicato da papa Pasquale II, IV, 557. È creato
antipapa dall'imperadore Arrigo, 563. Preso da papa Callisto II, muore
in prigione, 580.

Maurilio, conte di Nassau, figlio di Guglielmo principe d'Oranges,
succede a suo padre, VI, 797. Generale delle Provincie Unite, sue
imprese, 839, 841, 843, 848, 852, 866, 867, 889, 894, 900, 903, 905,
916, 920.

Maurizio, cardinale di Savoia. Guerra da lui fatta contro la duchessa
Cristina reggente, VI, 1085, 1092, 1095, 1097, 1105. Fa pace con essa,
1111. Sposa la nipote Maria Luigia, _ivi_. Resta ucciso in battaglia,
1133.

Mauro, arcivescovo di Ravenna, II, 1245. Si ribella al papa Vitaliano,
III, 26. Sua morte, 40, 65.

Mavorzio, generale sotto l'imperadore Valentiniano III, spedito in
Africa contro Bonifazio conte, governatore di quella regione, II, 469.

Mazzarino (Giulio), cardinale: principio di sua fortuna, VI, 1029.
Stabilisce tregua fra il duca di Savoia e i Franzesi, 1043. E la pace
sotto Casale, 1046. Trattato da lui maneggiato fra il duca di Savoia
e i Franzesi, 1049, 1050. Nunzio straordinario del papa Urbano VIII a
Parigi, 1073. False dicerie contro di lui, 1090. È promosso alla sacra
porpora, 1110. Sua esaltazione nella corte di Francia, 1114. Protegge
i Barberini contro il papa, 1135. Sua infelice spedizione contro
Orbitello, 1139. Con altra si impadronisce di Piombino e dell'Elba,
1141. Per l'odio contra di lui guerra civile in Francia, 1172. Trionfa
de' suoi emuli, 1188. Sua magnifica funzione in Parigi, 1214. Allontana
dalla corte la nipote Maria Mancini, 1216. Fine di sua vita, e sue
mirabili qualità, 1224.

Meati, popoli feroci della Bretagna, I, 708.

Mebaraspe, re dell'Adiabene, soggiogato da' Romani, I, 424.

Mecca: luogo della nascita, non della sepoltura di Maometto, III, 85,
86.

Mecenate, favorito d'Augusto, 1, 2.

Mecezio, o Mizizio, usurpa l'imperio in Sicilia, II, 30. Trucidato da'
Greci, 32.

Meciano (Lucio Volusio), valente giuriscousulto, I, 526.

Medici, stabiliti in Roma per servigio de' poveri da Valentiniano I
imperadore, II, 170.

Medici (Giovanni de), creato cardinale, VI, 104. È costretto fuggir da
Firenze per una ribellione di popolo contro il fratello Pietro, 123.
Legato del papa nell'armata spagnuola, 273. Nella battaglia di Ravenna
resta prigione de' Franzesi, 283. È aiutato a fuggire, 288. Rimesso co'
suoi in Firenze, 292. È creato papa, 298. _V._ Leone X.

Medici (Caterina de), _V._ Caterina de Medici.

Medici (Giulio de), cugino di papa Leone, creato cardinale, VI, 317.
Per opera sua ricacciato da Urbino Francesco Maria della Rovere, 347.
Comanda in Firenze, 355. Va per legato all'armata contro i Franzesi,
368. È eletto papa, 398. _V._ Clemente VII.

Medici (Giuliano de), fratello di papa Leone X, suo illustre
matrimonio, VI, 319. Sua immatura morte, 332, 333.

Medici (Lorenzo de), generale de' Fiorentini, VI, 322. Creato duca
d'Urbino, 334, 345. Sue suntuose nozze in Francia, 351. Vien rapito
dalla morte, 355.

Medici (Gian-Giacomo), marchese di Marignano, occupa Chiavenna, VI,
413. S'impadronisce di Monguzzo, 445. Passa al servigio dell'imperadore
Carlo V, 544, 578. Generale delle armi cesaree contro Siena, 634.
Riporta una vittoria su' Franzesi, 636. Sua crudeltà, e presa, di
Siena, 642, 643. Sua morte, 645.

Medici (Alessandro de), figlio bastardo di Giuliano Juniore, VI, 418.
Dichiarato dall'imperadore Carlo V capo detta repubblica fiorentina,
480, 485. Va a Firenze, 485. Dichiarato duca, 490, 503. Congiura contra
di lui sventata, 510, 511. Sposa Margherita d'Austria, 616. È ucciso,
529.

Medici (Ippolito de), cardinale, VI, 464. Miserabile sua morte, 505,
511.

Medici (Cosimo de), dichiarato capo della repubblica fiorentina, VI,
530, 531. Dichiarato duca di Firenze, 541. Sue nozze con donna Leonora
di Toledo, _ivi_. Ricupera le cittadelle di Firenze e di Livorno. 559.
Fa guerra a Siena, 633. Sua vittoria contro i Franzesi, 636. Acquista
Siena, 657, 680. A lui rapiti dalla morte due figli, 699. Cede il
governo a Francesco suo figlio, 708, 709. Dichiarato gran duca da Pio
V, 739. Termina la sua vita, 761.

Medici (Francesco de), figlio del duca Cosimo. A lui rinunziato dal
padre il governo, VI, 708, 709. Sue nozze con Giovanna d'Austria,
713. Succede al padre, 762. Riconosciuto per gran duca dall'imperadore
Massimiliano II, 768. Sposa Bianca Cappello, 780. Sua morte, 813.

Medici (Ferdinando de), cardinale, succede a Francesco suo fratello nel
gran ducato, VI, 814. Sue nozze con Cristiana di Lorena, 827. Marita la
nipote Maria col re di Francia Arrigo IV, 886.

Medici (Maria de). Sue nozze con Arrigo IV re di Francia, VI, 886,
887. Melania (Santa). È chiamata a Costantinopoli da Volusiano suo zio
paterno, che converte alla fede di Cristo, II, 489. Onori che riceve da
Eudocia imperadrice, 499.

Melchiade, romano pontefice, I, 1097. Sua morte, 1129,

Melchiore, vescovo di Tortona, V, 171.

Mella (Anneo), fratello di Seneca, fatto morire da Nerone, I, 240.

Mellobaude, re de' Franchi, II, 191. Va al servizio de' Romani, 207,
244.

Melo, potente cittadino di Bari, fa ribellar la Puglia da' Greci, IV,
91. Fugge dalla loro ira, 92. Gli sconfigge coll'aiuto dei Normanni,
119. Riceve da essi una rotta, 124, 125. Ricorre ad Arrigo I Augusto,
125. Tempo di sua morte, 129.

Memmia figlia di Supplizio console, moglie d'Alessandro Augusto, I,
774, 781.

Menna, patriarca cattolico di Costantinopoli, II, 862. Sua morte, 944.

Meonio, cugino d'Odenato imperadore in Oriente, I, 929.

Mercy (conte di), maresciallo, generale dell'armi cesaree in Sicilia,
VII, 292, 299. E in Italia, 387. Lascia la vita nella battaglia sotto
Parma, 392.

Merobaude (Flavio), generale di Valentiniano I Augusto, II, 195, 197.
Creato console, 199, 238. Comanda le truppe di Graziano imperadore
contro il tiranno Massimo, 243. Sua morte, 247.

Meroboduo, re de' Marcomanni, _V._ Maroboduo.

Meroveo, il più giovane figlio di Clodione re dei Franchi, II, 483.
Coll'aiuto di Aezio succede al padre, 551, 555. Sua morte, 594.

Mesia, poi appellata Bulgaria, II, 756.

Messalina (Valeria), moglie di Tiberio Claudio imperadore, I, 147.
Seduttrice del marito, 149. Vende le grazie e le cariche, 155.
Sua infame lussuria, _ivi_. Sue iniquità, 169. Con incredibile
sfacciataggine sposa Caio Silio, 172. Perciò uccisa, 176.

Messalina (Statilia), moglie di Nerone, I, 240.

Messi regii spediti a far giustizia. III, 495, 504.

Messina: sua ribellione, VI, 1263, 1270. Come terminasse, VII, 26.
Presa dall'armi imperiali, 293.

Messinesi, si ribellano a Carlo d'Angiò re di Napoli, V, 150.
Determinano di morire colla spada alla mano: loro memorabile difesa,
151, 152. (_V._ Siciliani.)

Metiano (Volusio), giurisconsulto celebre, I, 509.

Metrodoro, filosofo persiano, I, 1210.

Metz, città devastata da Attila, 11, 553.

Michele Arcangelo (San), protettore de' Longobardi, II, 1247.

Michele Curopalata, imperadore de' Greci, III, 477. Carlo Magno
spedisce ambasciatori per confermar la pace con lui, 400. Deposto,
prende per forza l'abito monastico, 404.

Michele Balbo, creato imperadore de' Greci, III, 526. Angelo Particiaco
doge di Venezia a lui manda ad ambasciatore il nipote Angelo, 532. Suoi
ambasciatori presentati a Lodovico Pio in Roano, 548. Dà a Giustiniano
Particiaco, doge di Venezia, il titolo di consolo imperiale, 561. Sua
morte, 566.

Michele, imperadore de' Greci, succede a Teofilo suo padre, III, 624.
Amareggiato contro Lodovico II Augusto, 667. Scaccia santo Ignazio
patriarca dalla sede di Costantinopoli, e pone in sua vece Fozio, 683.
È ucciso, 714.

Michele, re de' Bulgari, abbraccia la religione cristiana, III, 708.

Michele, duca della Schiavonia, III, 983.

Michele Paflagone, imperadore de' Greci, IV, 198. Abulafar Saraceno
a lui ricorre per aiuto contro il fratello, 200. Manda un catapano al
governo della Puglia e Calabria, 210.

Michele Calafata, imperadore de' Greci, IV, 210.

Michele Duca, imperadore de' Greci, IV, 375, 390.

Michele Paleologo, imperadore de' Greci, toglie Costantinopoli ai
Latini, V, 31. Collegato coi Genovesi, 38. Suoi ambasciatori al
concilio di Lione per la riunione delle due Chiese greca e latina, 105.
Scomunicato da papa Martino IV, 141.

Michele Morosino, doge di Venezia, V, 792.

Michele Steno, doge di Venezia, V, 895. Riceve i due Carraresi, che
dimandano a lui e alla repubblica misericordia e grazia, 939. Sua
morte, 988.

Michele, re di Polonia. Sua vergognosa pace coi Turchi, VI, 1266.

Michele Angelo de' Conti, cardinale, eletto papa, VII, 306. _V._
Innocenzo XIII.

Milanesi: loro sedizione contro Landolfo arcivescovo, III, 1273, 1274.
Sconfiggono i Pavesi, IV, 518, 618. A cagione di Crema entrano in
guerra co' Cremonesi, 630. Con loro danno combattono co' Cremonesi,
637. Accolgono Lottario Augusto, 941. Rotta loro data da' Pavesi, 643.
Sconfiggono l'armata cremonese, 665. Rotti anch'essi da' Cremonesi,
perdono il carroccio, 700. Querele de' Lodigiani contra di loro, 712.
Sprezzano una lettera del re Federigo I, _ivi_. Loro battaglia co'
Pavesi, 718. Alterigia d'essi, 719. Contra di loro Federigo comincia le
ostilità, 721. Rifabbricano Tortona, 732. Sconfitti da' Pavesi, _ivi_.
Altra loro battaglia co' Pavesi, 738. Messi al bando dell'imperio
da Federigo Augusto, 745. Che assedia la loro città, 747. Condizioni
colle quali ottengono pace, 748, 749. Nuova rottura fra essi e Federigo
Augusto, 757. Prendono Trezzo, 758. Torna esso Federigo a far loro
guerra, 765, 766. Varii fatti d'armi fra loro, 766. È assediato Milano,
771. Si rende quel popolo a Federigo, 775. Evacuata, e poi data a
sacco la città, _ivi_. Viene poi smantellata, 776. Infelicità di quel
popolo, 785, 795. Fanno lega contro Federigo, 802. Rientrano in Milano,
803. Di nuovo fa loro guerra Federigo, 812. Rifabbricano Milano, 823.
Continuano a rifare e maggiormente ampliare la loro città, 827. Danno
una rotta al marchese di Monferrato, 833. Co' collegati sconfiggono
Federigo imperadore, 853. Ottengono da lui un vantaggioso diploma,
890. Sconfitta da loro data a' Cremonesi, 934. Sbaragliati da' Pavesi,
971. A' quali tolgono Vigevano, 975. Danno una rotta a' Cremonesi,
1002. Da' quali poi restano fieramente sconfitti, 1019. E di nuovo da'
Pavesi, 1020. Poi da' Cremonesi, 1037. Insorge guerra civile fra loro,
1051, 1057. Pace ed unione d'essi, 1068. Alieni d'animo verso Federigo
II Augusto, 1069. Loro lega colle città lombarde, 1072. Fanno guerra
al Monferrato e ad Asti, 1097. Inducono Arrigo re, figlio di Federigo
II, a ribellarsi al padre, 1119. Loro battaglia co' Cremonesi, 1121.
Fanno fronte all'armata di Federigo, 1134. Da cui sono messi in rotta
colla perdita del carroccio, 1143, 1144. Lo pregano di pace, e non
la ottengono, 1146. Fanno guerra a Pavia ed a Bergamo, 1149. Vanno
a fronte di Federigo, 1159. Guerra civile fra loro, 1171. Mettono a
ferro e fuoco il distretto di Como, 1174. Si difendono dall'Augusto
Federigo, 1190. Costringono Lodi a rendersi, 1225. Guerra civile fra
i nobili e il popolo, 1245, 1258. Sono cacciati di città i primi,
1264. Vanno sotto Lodi, da dove scacciano i nobili fuorusciti e se ne
impossessano, V, 17. Prendono per loro signore Oberto Pelavicino, 18.
Poi Filippo dalla Torre, 40. Indi Napo dalla Torre, 54. Si sottomettono
a Carlo I re di Sicilia, 86. Danno la loro signoria ad Ottone Visconte
arcivescovo, 123. Dopo la morte di Filippo duca si mettono in libertà,
1199. Creano loro generale Francesco Sforza, 1191. Trattano di
concordia co' Veneziani, 1198. Loro discordie, 1205. Fanno accordo co'
Veneziani, 1211. Si rendono a Francesco Sforza, 1216.

Milano, città ripresa da' Goti con orrido sacco e macello de'
cittadini, II, 878. Con altre città occupate da Alboino re de'
Longobardi, 1002. Suoi arcivescovi stabiliscono in essa la loro sedia,
1229. Maltrattata da Lamberto imperadore, III, 913. Città aderente ad
Arrigo I Augusto, e perciò nemica di Pavia, IV, 99. Suo arcivescovo
precede a quel di Ravenna, 158, 236. Guerre civili _ivi_ insorte
fra i signori e i loro valvassori, 184, 186. Assediata da Corrado I
Augusto, 192. Guerra civile _ivi_ insorta fra i nobili e la plebe, 211,
213, 216. Rimessa la pace fra loro, 220. Guerra di quel popolo co'
Pavesi, e vittoria, 293, 294. Scisma _ivi_ per l'incontinenza degli
ecclesiastici, 294. Simonia del suo arcivescovo, 295. Ravveduti per
opera di san Pier Damiano, _ivi_. A poco a poco acquista la libertà,
331. Fieri incendii in essa, 346, 366. Il suo popolo dà una rotta a'
Cremonesi, 525. S'impadronisce di Lodi, e lo distrugge, 536. Prende
e saccheggia Como, 568. Poi fa guerra a quel popolo, 573. Finalmente
prende Como, 599. Fa guerra a Crema ed a Pavia, 608. Cessa in essa
la signoria di Matteo Visconte, V, 279. Ne torna signore Guido dalla
Torre, 312, 322. Ne prende il dominio Arrigo VII re de' Romani, 339.
Di colà fuggono i Torriani, 344. Suo vicariato conceduto a Matteo
Visconte, 348. Rivoluzioni in essa, 430. Che è assediata dall'esercito
pontifizio, 438. Difesa e liberata, 439. Elettovi vicario Azzo
Visconte, 485. Si sottomette a Lodovico XII re di Francia, VI, 156.
Si ribella, 161. Torna alla di lui obbedienza, 162. Assediata da'
cesarei e pontifizii, 369. E presa, _ivi_. Afflitta dalla peste, 407,
770. Entrano in quella città l'armi di Francesco I, _ivi_. Incredibili
miserie di quel popolo, 423, 430, 445, 456. Varie sue vicende alla
morte del duca Francesco Sforza, 514. Decade a Carlo V, 515. Ricuperata
da' cesarei con altre città, VII, 203. Suo stato occupato da'
Gallo-Sardi, 379, 386. Restituita all'imperadore Carlo VI, 42. Occupata
dagli Spagnuoli, 567. E da essi abbandonata, 573.

Milizia: quando in auge per l'Italia, V, 899.

Milone, conte di Verona, vendica la morte di Berengario imperadore,
III, 1019. Dà quella città ad Arnolfo duca di Baviera, 1060. Si rivolta
contro il re Ugo, 1098.

Milone, vescovo di Padova, IV, 427.

Milone da Cardano, arcivescovo di Milano, IV, 906.

Milone, vescovo di Beauvais; viene in Italia con truppe in aiuto di
papa Gregorio IX contro l'imperadore Federigo II, IV, 1094. Dallo
stesso papa gli è dato il governo di Spoleti e della marca d'Ancona,
_ivi_. Al ritornarsene poscia in Francia è spogliato d'ogni avere da'
Longobardi, _ivi_.

Milonia (Cesonia), moglie di Caligola, I, 122, 136.

Mimi: loro uffizio ne' funerali, I, 317.

Minchione, onde nata questa parola, IV, 285.

Minervina, prima moglie di Costantino il Grande, e madre di Crispo, I,
1083.

Minolfo, duca dell'isola di San Giulio (nel lago di Omegna nella
diocesi di Novara), ucciso dal re Agilolfo, II, 1084.

Minori: loro ordine quando istituito, IV, 1029. Frullo delle loro
prediche, 1115.

Minorica, occupata dagl'Inglesi, VII, 309.

Minuciano o Viniciano (Marco Annio), congiurato contro Caligola, II,
138, 151. Leva a sè stesso la vita, 152.

Mirandola, assediata da papa Giulio II, VI, 260. E presa, 262. Vien
ricuperata dal Trivulzio, 267. Bloccata da' papalini, 611. Occupata da'
Tedeschi, VII, 160. Presa da' Franzesi, 192. Venduta a Rinaldo duca di
Modena dall'imperadore, 234. Assediata e presa dagli Spagnuoli, 410,
411. Assediata e presa dagli Austro-Sardi, 499.

Misecone, duca di Polonia, va in aiuto dell'Augusto Ottone III, III,
1258.

Miseno, vescovo, rimesso in grazia della Chiesa, II, 724.

Misiteo, suocero di Gordiano III Augusto, I, 841. Mette sul buon
cammino il genero, ed è creato prefetto del pretorio, _ivi_. Sua
militar disciplina, 843. Muore in Oriente, 846.

Mitridate, re dell'Armenia, I, 105. Mandato in esilio da Caio Caligola,
132. Messo in libertà da Tiberio, che gli restituisce il regno, 147.

Mitridate, re del Ponto, fatto morire da Galba, I, 259.

Mittola, o Micola, conte di Capoa, III, 13.

Mizizio, _V._ Mecezio.

Mnasea (Settimio), prefetto di Roma sotto l'imperadore Costanzo, II, 51.

Mnesteo, segretario d'Aureliano: sua furberia per far assassinare il
suo padrone, I, 975.

Mnestore, istrione, drudo di Messalina Augusta, I, 155, 156. Statue da
lei innalzate in suo onore, 159. Desiderato dal popolo in teatro, 165.
Fatto morire, 175.

Moatz, luogo in Ungheria, ove le armi cesaree, sotto la condotta di
Carlo di Lorena, e Massimiliano elettor di Baviera, diedero una potente
rotta ai Turchi, VII, 68.

Modare, generale di Teodosio Augusto, II, 222, 223.

Modena, ricuperata con altre città dall'armi di Maurizio Augusto, II,
1077. È distrutta interamente dal fuoco, IV, 693. Sforzo de' Bolognesi
contra essa, V, 299. Si ribella al marchese di Este, 302. Sue guerre
civili, 311. Passerino signore di Mantova, ne acquista il dominio,
359. Sua signoria data a Francesco della Mirandola, 401. Torna sotto
il dominio di Passerino, 407. Suo accordo col cardinale Beltrando,
490. Riceve il presidio del Bavaro con suo gran danno, _ivi_. Si rende
all'armi del papa, VI, 255. Depositata in mano dell'imperadore, 256,
262. Che la vende a papa Leone X, 316. Ricuperata da Alfonso duca di
Ferrara, 442, 484. Occupata da' Gallispani unitamente a Reggio, VII,
169. Ricuperate queste due città dal duca Rinaldo, 204, 205, 209. Di
nuovo occupate da' Franzesi, 394. E restituite, 422. La cittadella
prima assediata dagli Austro-Sardi, 497. Che si rende, 499.

Modenesi: loro liti co' Bolognesi, IV, 618. Da' quali sono sconfitti,
671, 672. Fanno lega co' Parmigiani, 704. Messi in rotta da' Reggiani,
976. Pace fra essi, 980. Guerra loro mossa da' Bolognesi, 983, 987,
1081, 1127. Li mettono in isconfitta, 1086, 1090, 1160, 1203. Da'
quali sono loro tolte varie castella, 1207. Gran rotta ad essi ed
al re Enzo data da' Bolognesi, 1211. Che forzano la loro città alla
resa, 1212. Maltrattati dalla loro prepotenza, 1265. Cacciati dalla
loro città i Ghibellini, V, 47. Co' quali fanno guerra, 64. Guerra
loro co' Bolognesi, 94, 98. E civile fra essi, 108, 118, 172, 185,
190. Prendono per loro signore Obizzo marchese d'Este, 197. Raimondo
d'Aspello, marchese d'Ancona, assassinato da alcuni di loro, 371. Loro
vittoria nella battaglia co' Bolognesi, 449. Loro fanno guerra l'armi
pontifizie, 453. Si ribellano a Passerino, 459. Sconfiggono le genti
pontifizie, 494. Si danno al re di Boemia, 500. Difendono la loro città
contro gli Estensi e collegati, 508. Rotta da loro data agli Estensi
stessi, _ivi_. Niccolò d'Este loro toglie varie terre, 526. A' quali
poi si rendono, 530.

Modestino, insigne giurisconsulto, I, 771.

Modesto, patriarca di Gerusalemme, II, 1206.

Molinos (Michele), suoi libri e sua setta condannati, VII, 66, 67.

Monache: loro antichissimi monisteri e badesse, II, 1002. Vietato loro
il tornare al secolo e maritarsi, III, 166. Proibito alle vedove farsi
monache prima che sia passato l'anno della morte del marito, 171.

Monachismo, ristabilito in Italia, III, 67. Sua corruzione nel secolo
decimo, 1078. Risorge per gli esempli di Maiolo abbate di Clugnì, 1261.

Monaci: introducono in Europa la fabbrica della seta, II, 931.

Monarchia di Sicilia, che sia, IV, 478.

Monasio, prefetto del pretorio d'Oriente sotto l'imperadore Teodosio
II, II, 437. Caccia da tutte le città dell'imperio gli eretici
pelagiani e celestini, _ivi_. Creato console, 439.

Mondo, _V._ Mundone.

Monferrato per mancanza della casa Paleologa, occupato dal fisco
cesareo, VI, 499. Ne è dato il possesso a Federigo duca di Mantova,
523. Mondati, fortezza in Ungheria: i cesarei la prendono ai Turchi,
VII, 68.

Monisteri, in Gran copia fabbricati nel secolo ottavo in Italia, III,
249.

Monisteri più rinomati d'Italia, III, 760.

Monistero di Monte Casino, preso da' Longobardi, II, 1046. Rimesso
in piedi da Petronace, III, 160. Svaligiato da Siconolfo principe di
Salerno, 641. Preservato dalle unghie de' Saraceni, 647. Finalmente
saccheggiato da essi, 844, 845. Rifabbricato, 960. Maltrattato da
Pandolfo IV principe di Capoa, IV, 168.

Monistero di Farfa; sua origine, III, 66. Come mal condotto nel secolo
decimo, 1078.

Monistero di San Vincenzo del Volturno nel ducato di Benevento: suo
principio, III, 67. Desolato da' Saraceni, 706.

Monistero di Subbiaco nella Campagna di Roma, _V._ Subbiaco.

Monistero insigne di Santa Giulia in Brescia, III, 287.

Monistero di Casauria fondato da Lodovico II Augusto, III, 713, 743.

Monistero di San Sisto in Piacenza, fabbricato da Angilberga
imperadrice, III, 762. Beni ad esso da lei lasciati, 780.

Monistero di San Savino di Piacenza, III, 954.

Monistero di San Benedetto di Polirone, IV, 95. Scuola di grande
esemplarità, 114.

Monistero della Cava: quando cominciato, IV, 150.

Monoteliti: loro eresia, II, 1201, 1207, 1215.

Montanisti, eretici, II, 839.

Montano (Giulio), ucciso da Nerone, I, 203.

Montepulciano, in potere de' Perugini, V, 670.

Monza, nobile terra, e insigne pel tempio _ivi_ fabbricato dalla regina
Teodelinda, II, 1223. Ed anche pel palazzo regale, 1125, 1126.

Morbo gallico: quando introdotto in Italia, VI, 136.

Morea: suo regno tolto da' Turchi a' Veneziani, VII, 265, 283.

Mori, cacciati di Spagna, VI, 927.

Moringo, conte di Brescia, _V._ Mauringo.

Moroello, marchese Malaspina, IV, 836.

Morosino (Francesco), detto _Peloponnesiaco_, capitano generale de'
Veneziani, riporta una strepitosa vittoria sulla flotta turchesca. VI,
1200. Sue conquiste, 1218. _V._ Francesco Morosino.

Moscoviti ricorrono a papa Gregorio XIII, perchè loro faccia accordar
la pace dal re Batori di Polonia, VI, 786.

Muavia, Saraceno, governatore della Siria, e generale di Osmano: sue
imprese contro i cristiani II, 1239, 1243, 1246. Prende Rodi, 1260.
Sua vittoria sulla flotta cristiana, speditagli contro dall'imperadore
Costante, 1262. Sua discordia con Alì, genero di Maometto, 1263, 1264,
1166. Chiede pace a Costante Augusto, ma non la ottiene, 1266, 1267.
Abbattuto Alì, diviene padrone di tutta la monarchia de' Saraceni,
1269. Assedia Costantinopoli, III, 42, 43. Fa pace coi Greci, 51.

Muciano (Marco Licinio), governatore della Soria sotto l'imperadore
Galba, I, 267. Promuove Vespasiano all'imperio, 276, 277. Console, 286.
Sua ambizione, _ivi_. Fa toglier di vita Elvidio Prisco filosofo, poi
cacciare da Roma tutti gli altri filosofi, 302, 303. Come tollerato da
Vespasiano, 309.

Mugetto, re saraceno, occupa la Sardegna, IV, 78. Con una grossa armata
viene a prendere Pisa, la saccheggia, e ne brucia parte, _ivi_. Prende
Luni, onde è scacciato, 115. Gli è tolta la Sardegna da' Pisani e
Genovesi, 116, 118, 131.

Mummolo (Eunio), patrizio e generale de' Franchi, dà più rotte a'
Longobardi, II, 1023, 1026.

Mundone, o Mondo, Unno, fa guerra a' Greci, II, 755. Aiutato dalle
soldatesche del re Teoderico, gli sbaraglia, 756. Generale di
Giustiniano Augusto, costringe i Goti e Bulgari alla fuga, 839, 840.
Prende Salona, 858. È ucciso in una zuffa, 862.

Murmanno, principe della Bretagna minore, III, 519.

Musoniano, prefetto del pretorio d'Oriente sotto l'imperadore Costanzo,
II, 84.

Mustafà II, sultano dei Turchi, muove egli stesso le armi contro quelle
dell'imperadore Leopoldo comandate dal principe Eugenio di Savoia, VII,
130. Rotto il suo esercito, si ritira a Belgrado, e fugge, 131, 133.
Pace fra essi stabilita a Carlowitz, 138.

Musulmani, _V._ Saraceni.

Muzio, storico, inventore d'imposture, II, 1268.


N

Napo, ossia Napoleone, dalla Torre, si fa proclamar signore di
Milano, V, 54. Soccorre Brescia, 61. Rigetta Ottone Visconte eletto
arcivescovo, 68. È insultato dai Vestarini, 84. Se gli ribellano i
Comaschi, 93. Suoi negoziati con papa Gregorio X, 101. Riconosce per
re de' Romani e d'Italia Ridolfo, 107. Sua guerra coi Pavesi, 112.
Sconfitto e fatto prigione da Ottone Visconte, 122. Sua morte, 172.

Napoleone degli Orsini, cardinale, V, 227. Governatore del ducato di
Spoleti, va, per ordine di papa Bonifazio VIII, ad assediar Gubbio,
269. Tratta con Filippo il Bello re di Francia contro il papa, 282.
Alla morte di Bonifazio XI, capo della fazione parteggiante per
l'elezione d'un papa franzese, 295. Spedito in Italia da papa Clemente
V per pacificare le città, 304. Fa una gran raunata di gente contro i
Fiorentini, 314, 315. Aderisce all'elezione di Cassone dalla Torre in
arcivescovo di Milano, 322.

Napoletani, sudditi de' Greci, III, 362, 368. Guerra loro fatta da
Sicone duca di Benevento, 557. E da Sicardo, 600. Si danno a Lodovico
re di Ungheria, V, 599. Ripigliano la regina Giovanna, 602. Sconfitti
dagli Ungheri, 607. La loro capitale è presa da Lodovico duca d'Angiò,
817. Si danno al re Ladislao, 890. A Carlo VIII, VI, 128. Richiamano il
re Ferdinando II, 135.

Napoli, presa da Belisario, e barbaramente saccheggiata, II, 864, 865.
Assediata dal re Totila, 895. E presa, 898. Assediata dai Longobardi,
1042. Presa da Pandulfo IV principe di Capoa, IV, 161. Guerra ad
essa fatta dal re Ruggieri, 636, 639. A lui si sottomette, 661. Si
ribella al re Corrado, 1223. Che ne forma l'assedio, 1230. E forza
i cittadini alla resa, con infierir poscia contro essa, 1234. Riceve
Carlo I conte d'Angiò, V, 59. È presa da Lodovico duca d'Angiò, 817.
Suo regno conquistato parte da' Franzesi, parte dagli Spagnuoli, VI,
186, 187. Resta tutto agli ultimi, 208. Invaso di nuovo da' Franzesi,
453. Sollevazione del popolo per cagion dell'Inquisizione, 585. Altra
a causa dell'annona, 805. Altra per cagione d'una gabella loro imposta,
1149, 1150. La quale quetata si rinvigorisce, 1157, 1165. Strage _ivi_
fatta dalla peste, 1205. Fiero tremuoto in quel regno, VII, 113. Mal
ordita sollevazione _ivi_ mossa in favor dell'imperadore Leopoldo, 161.
Suo regno conquistato dalle armi imperiali, 213. Inondazione grave in
quella città, 335. Fieri tremuoti in quel regno, 363, 364, 372. Suo
regno conquistato dall'infante don Carlo, 400.

Narbona, capitale della Linguadoca, presa dai Saraceni, III, 165.

Narciso, iniquo e prepotente liberto di Claudio Augusto, I, 150, 157.
Sua destrezza per abbattere l'infame Messalina Augusta, 173, 174, 186,
187. Protegge Britannico, 192. Ucciso per ordine d'Agrippina, 196.

Narni, città presa dai Longobardi, III, 182.

Narsete, re di Persia, dà una rotta a Galerio Massimiano, I, 1042. Da
cui poscia resta disfatto e ferito, 1043.

Narsete, eunuco, capitan delle guardie di Giustiniano Augusto, II, 847,
848. Spedito in Italia, non va d'accordo con Belisario, 876. Richiamato
a Costantinopoli, 880. Rispedito in Italia, 932, 939. Colla sua armata
giugne a Ravenna, 940. Rotta da lui data a Totila re de' Goti, il quale
nella zuffa resta morto, 941. Riacquista Roma, 943. Dà battaglia ai
Goti, nella quale resta ucciso il loro re Teia, 945. Assedia e prende
Lucca, 948, 949. Sconfigge Buccelino duce degli Alemanni, 953. Sue
virtù, 965, 966. Ricupera Verona e Brescia, 975. Abbatte Sindualdo re
degli Eruli, 983. È richiamato a Costantinopoli, 991. Termina i suoi
giorni, 992.

Nasamoni, popoli vinti dai Romani, I, 339.

Naulobat, capitano degli Eruli disfatto, I, 930.

Navi, ornate d'oro e d'avorio, I, 230.

Navarro, ammiraglio spagnuolo, si unisce a Tolone con la flotta
franzese per battersi contro gli Inglesi, VII, 535. Sue maraviglie di
valore, ancorchè abbandonato dalla flotta franzese, _ivi_.

Nazario, insigne oratore ai tempi degli imperadori Costantino juniore,
Costanzo e Costante, I, 1220.

Nebridio, prefetto del pretorio delle Gallie, sotto l'imperadore
Costanzo, II, 98. Corre pericolo di perdere la vita, 104.

Negrino (Domizio), congiurato contro Adriano, è tolto di vita, per
ordine di lui a Faenza, I, 442, 443.

Negro (Caio Pescennio), soprannominato Giusto, I, 597. Spedito contro i
sediziosi da Commodo, 612. Si fa proclamare imperadore nell'Asia, 644,
653. Sua vanità e preparamenti per la guerra, 654, 655. Sconfitto e
preso, perde il capo, 658.

Negroponte, assediata da Maometto II, imperadore de' Turchi, VI, 35.
Niccolò Canale, general dei Veneziani tacciato di poco provvedimento
nel difenderla, _ivi_. Presa per assalto, data al sacco, e i soldati ed
abitanti posti a fil di spada, _ivi_.

Neocesarea, città del Ponto, intieramente rovinata dal tremuoto,
eccetto la cattedrale, e la casa del vescovo (era san Gregorio
Taumaturgo), II, 17.

Neoterio, generale di Valentiniano, spedito in Oriente, II, 151.

Nepotismo, riformato da papa Innocenzo XII, VII, 99.

Nepoziano (Flavio Popilio), console, nipote di Costantino il Grande,
I, 1207. Sue pretensioni all'imperio, per cui, presa la porpora, con
una frotta di scapestrati, ladri e gladiatori va alla volta di Roma,
II, 35. Sconfigge le genti contra di lui spedite da Magnenzio, _ivi_.
Per forza entra in quella città, _ivi_. Per tradimento sconfitta la sua
armata, ed egli ucciso, _ivi_.

Nepoziano, padre dell'imperadore Giulio Nipote, II, 652.

Nerone, primogenito di Germanico Cesare, I, 59. Sue nozze con Giulia
figlia di Druso, figlio di Tiberio, 62. Tradito da Seiano, 77, 78.
Relegato nell'isola di Ponza, 84. Ucciso, 89.

Nerone (Lucio Domizio Enobarbo), che fu poi imperadore, amato dal
popolo perchè figlio d'Agrippina, I, 176. Sua giovinezza e sponsali con
Ottavia figlia di Claudio Augusto, 179. Adottato da esso Augusto, 181.
È intitolato principe della Gioventù, 183. Nozze di lui con Ottavia,
189. Creato imperadore, 194. Buoni principii del suo governo, 197. La
rompe colla madre, 199. Morte da lui data a Britannico, 200. Abbassa
la madre, 201. Si dà ad una vita scapestrata, 203. Spettacoli da lui
dati in Roma, 205. S'innamora di Poppea Sabina, 208. Da cui è acceso
contro Agrippina sua madre, 210. Trama per farla perire in mare, 212.
Finalmente la fa uccidere, 214. Perseguitato da orridi fantasmi,
215. Perduto nel divertimento delle carrette o della musica, 217.
Ripudia, e poi fa uccidere Ottavia sua moglie, 225. Creduto autore del
formidabile incendio di Roma, 231. Sua premura nel far rifabbricare la
rovinata città, 232. Suo mirabil palazzo, _ivi_, 233. Sua persecuzione
contro i cristiani, la prima, _ivi_, 234. Congiura scoperta contro
di lui, 235. Con un calcio nella pancia uccide la moglie Poppea, 239.
Fa crocifiggere san Pietro Apostolo, e nello stesso giorno decollare
san Paolo, _ivi_. Si rimarita con Statilia Messalina, 240. Varii
personaggi da lui fatti uccidere, _ivi_, 241. Sua magnificenza nel
dare al re Tiridate la corona dell'Armenia, 242, 243. Va in Grecia
per farsi conoscere eccellente musico, 245. Corre in carretta ne'
giuochi olimpici d'Elide, e cade, per cui è obbligato a letto per varii
giorni, 246. Nei giuochi istimici fa strangolare sul teatro un tragico
impolitico, 247. Tenta di tagliare lo stretto di Corinto, _ivi_. Suo
ritorno in Roma, ove entra trionfalmente, 248. Spedisce generale nella
Giudea Flavio Vespasiano, _ivi_. Ribellione contra di lui nelle Gallie,
249. Altra nelle Spagne, 251. Suo sbalordimento per ciò, _ivi_. Poi
torna alle sue ragazzerie, _ivi_. Suoi pensieri d'inumanità e barbarie,
253. Condannato e disperato si uccide, 255.

Nerva (Marco Cocceio), insigne giurisconsulto, uomo giusto, uno
del consiglio di Tiberio, non potendo più tollerare le iniquità di
quell'imperadore, si uccide, I, 99, 100.

Nerva (Marco Cocceio), console, I, 292, 345. Gli è esibito l'imperio,
367. Sue belle doti e virtù, 370. Dichiarato imperadore, 371. Sue
lodevoli azioni, e governo, 373, 374. Congiura contro di lui, 376.
Insultato dai pretoriani, _ivi_. Elegge Traiano suo collega, 378. Fine
dei suoi giorni, 379.

Nestore (Giuliano), prefetto del pretorio sotto Macrino, ucciso da
Elagabalo, I, 755.

Nestorio, vescovo eretico di Costantinopoli, II, 473. Condannato da
papa Celestino, 478. E dal concilio efesino, 480. Confinato in un
monastero d'Antiochia, _ivi_. Suoi libri abbruciati, 490. Rilegato in
Oasi d'Egitto per ordine dell'imperadore Teodosio II, 403. Sua mala
morte, _ivi_.

Neustria: così chiamata la parte occidentale della Lombardia, III, 82.

Nevigaste, generale di Costantino, tiranno della Gran Bretagna, tratta
di pace con Saro generale dell'imperadore Onorio nelle Gallie, II, 379.
Per ordine di Saro gli è tolta la vita, _ivi_.

Nevitta, generale di Giuliano Augusto, poi console, II, 104, 112, 119.

Niccolò I papa. Sua elezione, III, 684. Suo libro dogmatico perduto,
688. Manda legati a Costantinopoli in favore di sant'Ignazio, 692.
Scomunica Giovanni arcivescovo di Ravenna, 694. Abolisce le inique
di lui consuetudini, 695. Suo zelo contro Lottario re di Lorena
pel ripudio della moglie, 698. Da re Carlo Calvo ottiene il perdono
a Baldoino conte di Fiandra, 700. Procede contro i vescovi da lui
spediti a Metz pel ripudio fatto da re Lottario, e venduti alla corte,
e riprova il concilio colà celebrato, _ivi_. Insulti a lui fatti da
Lodovico II Augusto, 702. A lui spediscono un'ambascieria i Bulgari,
708. È richiamato a miglior vita, 714.

Niccolò II papa. Sua intronizzazione e concilio, IV, 288. Celebra un
altro concilio in Melfi, 290. Stabilisce un accomodamento coi Normanni,
291. Umilia i baroni romani, 293. Suoi viaggi, 297. Dà fine a' suoi
giorni, 299. Sconcerti accaduti dopo la sua morte, _ivi_.

Niccolò, arcivescovo di Salerno, IV, 946.

Niccolò, vescovo di Reggio, per ordine di papa Gregorio IX mette
concordia tra i Bolognesi e i Modenesi guerreggianti tra loro, IV,
1091.

Niccolò III papa. Sua elezione, V, 121. Ottiene da Bidolfo re de'
Romani il dominio e possesso della Romagna, 126. Abbassa Carlo re di
Sicilia, 127. Fine di sua vita, e suoi alti disegni, 136.

Niccolò IV papa. Sua elezione, V, 193. Stabilisce tregua tra i due
emuli re di Sicilia, Carlo e Giacomo, 200. Sua gran parzialità pei
Colonnesi, 209. Sua premura e diligenza nel far pubblicare la crociata
per tutti i regni cristiani, e somministrar denaro per soccorrere i
cristiani in Soria, 211. Passa all'altra vita, 217.

Niccolò, patriarca di Gerusalemme, V, 213.

Niccolò da Prato, cardinale, spedito da papa Benedetto XI per
pacificare i Fiorentini in guerra fra loro V, 290. Nel conclave dopo
la morte di detto papa capo della fazione franzese, 295. Suggerisce al
papa Clemente V di rispondere al re Filippo di Francia, che non poteasi
che in un concilio trattare le faccende in quistione tra essi, 309.
Consiglia lo stesso pontefice a far che tosto s'unissero gli elettori
dell'imperio per eleggere Arrigo conte di Lucemburgo a successore
dell'imperadore Alberto d'Austria, 517.

Niccolò I, marchese d'Este, V, 483, 503. Fatto prigione in battaglia,
510. Guerreggia contro Modena, 526. Che gli è ceduta, 530. Manca
di vita, 573. Niccolò, patriarca d'Aquileia, fratello naturale
dell'imperadore Carlo IV, fatto signore di Siena, poi vergognosamente
deposto e cacciato, V, 645.

Niccolò II, marchese d'Este, signor di Ferrara, V, 685. Sua lega contro
i Visconti, 687. Pace fra essi, 696. Di nuovo fa lega contro di essi,
705. Va al servigio del papa Urbano V, venuto in Italia, 708. Sua
flotta sbaragliata da quella de' Visconti, 713. Fa pace con essi, 718.
Infelice suo tentativo per prendere Reggio, 727. Ripiglia Sassuolo,
737. Compra e perde Faenza, 756. Fine di sua vita, 825.

Niccolò di Guarco, doge di Genova, V, 768. È deposto, 796.

Niccolò III, marchese d'Este, signor di Ferrara, succede al padre, V,
857. Guerra fattagli da Azzo, pur marchese d'Este, 862, 866. Capitan
generale del papa Bonifazio IX contro i duchi di Milano, 913, 916.
Invano tenta l'acquisto di Reggio, 923. Va in aiuto del Carrarese, 927.
Ricupera Rovigo, 930. Lo rende, e fa pace co' Veneziani, 936. Gli muove
guerra Ottobuono de' Terzi tiranno di Parma e di Reggio, 959. A cui fa
levare la vita, 968. Divien padrone di Parma e di Reggio, 968. Fatto
prigione, e rilasciato, 990. Cede Parma al duca di Milano, 1032. Tratta
la pace fra i Veneziani e il duca di Milano, 1072, 1074, 1101, 1112.
Ricupera Rovigo, 1133. Tratta ancora di pace tra i Veneziani e il duca
di Milano, 1150. Sua morte, 1154.

Niccolò Piccinino: principii della sua milizia, V, 1010. Va all'assedio
d'Aquila, 1055. Fatto prigione in Val di Lamone, 1060. Va al servigio
del duca di Milano, 1062. E al soccorso della cittadella di Brescia,
1065. Generale dei Genovesi, 1083. Dà una rotta a' Fiorentini, _ivi_,
1084. E a' Veneziani, 1088. Fa guerra in Toscana, 1090. In Valtellina,
1097. Fa guerra al conte Francesco Sforza, 1106. Dà una rotta a
Veneziani e Fiorentini, 1109, 1125. Occupa Bologna, 1131. Fa nuovamente
guerra ai Veneziani, 1133. Assedia Brescia, 1134, 1137. Suoi pregressi
contro i Veneziani, 1138. Prende Verona, ed è sconfitto da Francesco
Sforza, 1140. Guerreggia in Toscana, 1143. Torna a far guerra ai
Veneziani, 1151. Fa pace col conte Francesco Sforza, 1159. Prende e
saccheggia Assisi, _ivi_. Se gli ribellano i Bolognesi, 1163. Fa guerra
a Francesco Sforza, 1164. Da cui resta sconfitto, 1167. Rotta da esso
Sforza data a Francesco di lui figlio, 1170. Fine del suo vivere, 1171.

Niccolò Albergati, cardinale, da papa Martino V spedito a Venezia
per trattar di pace fra quella repubblica ed il duca di Milano, V,
1067. Malcontento del duca di Milano, se ne torna al suo vescovato di
Bologna, 1069. Rimandato a trattar di pace, 1073. E la conchiude, 1074.
Presidente del concilio generale tenuto in Ferrara, 1026.

Niccolò, cardinale di Capoa, V, 1119.

Niccolò V papa. Sua elezione, V, 1185. Estingue lo scisma dell'antipapa
Felice V, 1203. Fugge dalla peste, che faceva strage in Roma, 1213.
Solennizza il giubileo, _ivi_. Sue insigni opere e fabbriche 1220. Suo
zelo contro i Turchi, 1231. Congiura contro di lui, 1234. Fine del suo
vivere, 1239.

Niccolò Forteguerra, cardinale, VI, 14.

Niccolò Tron, doge di Venezia, VI, 41. Sua morte, 46.

Niccolò Marcello, doge di Venezia, VI, 46. Manca di vita, 49, 50.

Niccolò Orsino, conte di Pitigliano, generale dei Fiorentini, ricupera
Sarzana, VI, 98. Generale de' Veneziani, 198, 227. Obbliga i Franzesi
ad abbandonar varii luoghi da essi presi e ritirarsi oltre l'Adda,
234, 235. Intervenne alla battaglia di Ghiaradadda, da cui fuggendo
vergognosamente si mise in salvo, 236. Ricupera Padova, 242. Difende
essa città assediata dagli imperiali, 247. Termina i suoi giorni, 250.

Niccolò da Ponte, doge di Venezia, VI, 778.

Niccolò Sfondrati, vescovo di Cremona, eletto papa, VI, 830. _V._
Gregorio XIV.

Niccolò Donato, doge di Venezia, VI, 959.

Niccolò Contarino, doge di Venezia, VI, 1032. Sua morte, 1048.

Niccolò Coscia. _V._ Coscia (Niccolò).

Nicea, città totalmente atterrata dal tremuoto, II, 171, 172.

Niceforo, figlio di Artabaso, dichiarato imperadore dal padre, III, 230.

Niceforo, patrizio e logoteta generale in Costantinopoli, si rivolta e
si fa proclamare imperadore, III, 436. Suoi ambasciatori all'imperadore
Carlo Magno, 439. Compera la pace da' Saraceni con promessa d'un annuo
tributo, 450. S'attira addosso l'odio di tutto il popolo, 468, 469.
Esce contro Crumno re da Bulgari, da cui è disfatto coll'esercito, e
morto, 476.

Niceforo, patriarca di Costantinopoli, III, 477.

Niceforo Foca, generale di Romano imperador di Grecia, conquista
l'isola di Creta, III, 1152, 1153. Divenuto imperadore, rinfaccia a
Liutprando, ambasciatore d'Ottone, la crudeltà del suo signore, 1179.
Sua alterigia e suoi vizii, 1185, 1186. La moglie ed il popolo tutto
congiurano contra di lui, e l'uccidono, 1192, 1197.

Niceforo Botoniata, scomunica contro di lui fulminata da un concilio
tenuto in Roma da papa Gregorio VII, perchè avea usurpato il trono
imperiale, IV, 390.

Niceta, vescovo d'Aquileia, II, 559.

Niceta, vescovo di Selva Candida, III, 131.

Niceta, patrizio greco, viene in soccorso de' Veneziani, III, 460.

Nicezio, vescovo di Treveri: sua lettera. II, 977.

Nicomedia, città della Bitinia, in un istante ruinata dal tremuoto, II,
86.

Nigidio, generale de' Romani nelle Gallie, II, 610. Lo stesso che
Egidio, 614. _V._ Egidio.

Nigriniano, forse figlio di Alessandro tiranno dell'Africa, I, 1092.

Nilo (San), abbate, fondatore del monistero di Grottaferrata.
Sua predizione ad Aloara principessa di Capoa, III, 1276. Detesta
l'obbrobrioso trattamento fatto da' Romani all'antipapa Giovanni, IV,
29.

Nipote (Giulio), da Leone imperadore spedito con un'armata in Italia
contra di Glicerio sedicente imperadore, II, 652. Sposa una nipote
dello stesso Leone, _ivi_. D'ordine dell'imperadore proclamato a
Ravenna Cesare da Domiziano uffiziale imperiale, _ivi_. Va a Roma,
_ivi_. Obbliga colà Glicerio a deporre la porpora, _ivi_. Proclamato
poscia imperadore d'Occidente, _ivi_. Spedisce santo Epifanio Vescovo
di Pavia ad Enrico re de' Visigoti a Tolosa, da cui ottiene la pace,
653. Crea patrizio, indi generale d'armata nelle Gallie Oreste, 655.
Il quale gli si ribella, _ivi_. Si ritira in Ravenna, _ivi_. Da dove,
non potendo resistere, fugge a Salona in Dalmazia, e quivi ritiene il
dominio, 656. Ricorre a Zenone imperadore d'Oriente, acciò lo aiuti a
ricuperare l'imperio, 665. È ucciso per insidie degli uffiziali della
sua corte. Viatore ed Odiva, 676.

Nizone, vescovo di Frisinga, IV, 254.

Nizza presa da' Franzesi, VII, 190, 191, 211. Congresso _ivi_ tenuto
fra i ministri delle potenze, 699.

Noaglies (Adriano Maurizio duca di), generale dei Franzesi in Italia,
VII, 409. Dichiara la sospension d'armi fra essi e l'imperadore Carlo
VI, 412.

Nocera, città della Puglia presa e diroccata da Costante Augusto, III,
11.

Nola, distrutta dai Vandali, II, 581.

Nolfo, conte, toglie al conte Speranza il dominio di Urbino, V, 530.
Generale de' Pisani, 562.

Nomenoio, duca della minor Bretagna, si ribella a Carlo Calvo, III,
629, 644.

Nonantola, monistero insigne del Modenese, III, 253, 443, 838. Ivi
seppellito Adriano III papa, 847. Distrutto dagli Ungheri, 938. Sue
ricchezze, 1077, 1098, 1173, 1235.

Nonnechia, moglie di Geronzio, ribelle all'imperadore Onorio nella
Spagna e nelle Gallie, II, 411. Lodata da Sozomeno, _ivi_.

Norbano, prefetto del pretorio, congiura contro Domiziano, I, 367.

Norberto, vescovo di Reggio, spedito ambasciatore al greco imperadore
Leone dall'Augusto Lodovico Pio, III, 491.

Norberto, abbate di S. Pietro in Coelo aureo di Pavia, III, 1196.

Nori Sitifensi, popoli dell'Africa soggetti al romano imperio, mandano
ambasciatori a Valentiniano Augusto, II, 522.

Noris (Enrico), Veronese, cardinale: sua morte, VII, 188.

Normanni, o Danesi, cominciano ad infestar le Gallie, II, 796.
Corsari, quai popoli fossero, III, 463. Loro incursioni nella Frisia,
599. Saccheggiano e bruciano Roano, 622. E Parigi, 643. Occupano
varie provincie delle Gallie, 650. Altre provincie e città da loro
desolate, 663, 668, 684. Passano nel Mediterraneo, 688. Danno il
sacco a Pisa, 690, 691. Loro inumanità nella bassa Germania, 827, 833.
Poco prosperamente fa lor guerra Carlo il Grosso Augusto, _ivi_, 834.
Assediano Parigi, 851. Lor venuta in Puglia, IV, 117. Danno una rotta
ai Greci, 119. Poi sconfitti da essi, 125. Fondano la città di Aversa,
165. Privilegiati da Corrado Augusto, 198. Fan guerra ai Greci, 208,
210. Loro vittorie, e divisione di Stati, 214, 215. Danno aiuto ai
Greci, 217. Sempre più divengono potenti nella Puglia, 233. Odiati per
le loro avanie, 258. Loro armata contro il papa Leone IX e collegati
per cacciarli dalla Puglia, 261. Che sbaraglia quella dei collegati, e
fa il papa stesso prigione, 262. Lor battaglia con Argiro duca d'Italia
per l'imperador greco, 264. Loro progressi in Puglia e Calabria, 268.
Difensori della santa Sede, 293.

Notekerio, ossia Noterio vescovo di Verona, III, 1008, 1047,

Notingo, vescovo di Brescia, III, 652. Dall'imperadore Lodovico II
spedito ambasciatore a Lodovico re di Germania, 685.

Novalesa, monistero a piè del monte Cenisio: sua fondazione, III, 211.

Novaio, cattolico, vescovo di Sitifa, esiliato da Genserico re de'
Vandali, II, 496.

Numaziano (Claudio Rutilio): suo Itinerario, II, 447.

Numeriano, grammatico: curiosa sua malizia in favore di Severo Augusto,
I, 666, 667.

Numeriano (Marco Aurelio, ossia Marco Numerio), figlio di Caro Augusto,
I, 1001. Succede al padre nell'imperio mentre si trova nell'Oriente
contro i Persiani, 1004, 1005. Riconosciuto in Roma e in tutte le
provincie, 1005. Parte per l'Italia, e mentre si trova in Eraclea della
Tracia, dal suocero Ario Apro, prefetto del pretorio, è ucciso, 1006.

Numerio Attico, senatore, finge deificato Augusto, I, 43.

Numidi, popoli dell'Africa, soggetti al romano imperio, mandano
ambasciatori a Valentiniano Augusto, II, 522.


O

Obelerio tribuno, eletto doge di Venezia in Treviso dai nobili,
viventi i due indegni Giovanni e Maurizio, III, 446. Con suo fratello
Beato, doge egli pure, e con altri legati si porta con doni a visitare
l'imperadore Carlo Magno, 455. Deposto e condotto a Costantinopoli,
476. Ritorna in patria e si fa forte nell'isola appellata Vigilia
sostenuto da quei di Malamocco suoi compatriotti, 574. Preso, gli è
tagliata la testa, _ivi_.

Obelisco, _V._ Guglia.

Oberto I, marchese, va in Germania a sollecitare Ottone il Grande
contro il re Berengario, III, 1146. Progenitore de' marchesi Estensi,
1147. Creato conte del sacro palazzo da Ottone il Grande, 1157. Due
placiti da lui tenuti in Pavia e in Lucca, 1169. Altro nel ducato di
Benevento, 1181. Suoi ultimi giorni, e suoi figliuoli, 1203.

Oberto II, marchese, progenitore de' principi Estensi, III, 1203,
1204, 1266. Suo placito tenuto nella chiesa di Lavagna, IV, 10. Suo
aggiustamento con Gottifredo, vescovo di Luni, 34. Messo al bando
dell'imperio da Arrigo I Augusto, 107.

Oberto, arcivescovo di Milano, dichiara scomunicati l'antipapa
Ottaviano e l'imperadore Federigo I, IV, 765. Va alla testa di
cento cavalieri contro dello stesso imperadore, 767. Scomunicato nel
conciliabolo tenuto dall'antipapa Vittore a Lodi, 771. Si porta a
Genova a trovar papa Alessandro III _ivi_ dimorante, 775. È creato
cardinale. 792. Cessa di vivere, 800.

Oberto dall'Orto, autore delle Consuetudini feudali, IV, 828.

Oberto od Uberto Pelavicino, marchese, cacciato da Piacenza, IV, 1132.
Insieme coi Pisani e coi Lucchesi occupa la Garfagnana, 1161. Vicario
dell'imperadore Federigo II, in Lunigiana, insieme con Manfredi Lamia,
governatore imperiale d'Alessandria, entra ostilmente nel Genovesato,
1164, 1165. Fa guerra ai Genovesi, 1168. Distrugge Pontremoli, 1171.
Imprende l'assedio di Levanto, 1175. Che è poi costretto d'abbandonare,
_ivi_. Podestà di Cremona, dà una gran rotta ai Parmigiani, 1218.
Toglie loro le castella di Rivalgario e di Raglio, 1226, 1227. Eletto
per loro signore dai Piacentini, 1245. Comincia signoreggiare anche
in Pavia, 1259. Da' Guelfi cacciato da Piacenza, 1264. Unito con
Eccelino, mette in rotta i Bresciani, 1270. Si collega coi Guelfi
contro Eccelino, V, 12. Divien signore di Brescia, 16. Capo dei
Ghibellini nella Lombardia dopo la morte di Eccelino, 17. Sua lega
con Azzo marchese d'Este, con Lodovico da San Bonifazio, e coi comuni
di Mantova, Ferrara e Padova, _ivi_. Chiamato da Martino della Torre,
signor di Milano, in soccorso contro i nobili, 18. Signore di quella
città, _ivi_. Fa guerra a Piacenza, 27. Di cui ripiglia la signoria,
30. Non si arrischia a battaglia coll'armata di Carlo d'Angiò, 52. Se
gli ribellano i Bresciani, 61. Perde la signoria di Cremona, 69. Gli è
tolto Borgo San Donnino dai Parmigiani, 80. Cessa di vivere, 82.

Oberto da Colobiano, vescovo di Vercelli, V, 358.

Obizzo, marchese d'Este, figlio di Folco, IV, 633, 722. Interviene
alla pace di papa Alessandro III coll'imperadore Federigo I conchiusa
in Venezia, 864. Podestà di Padova, 881. Investito da Federigo I delle
marche di Milano e di Genova, 881. E delle Appellazioni della marca di
Verona, 900.

Obizzo Malaspina, marchese, svaligia Pietro abbate di Clugnì, IV, 678.
Interviene all'assedio di Tortona fatto dall'Augusto Federigo I, 725.
È in favor de' Pavesi, 741. Dà scampo per le sue terre a Federigo I
Augusto, 812. Si unisce colla lega lombarda contro questo principe,
818. Guerra da lui fatta ai Genovesi, 836. Sua concordia con essi, 842.
Compreso nella pace di Costanza, 883.

Obizzo II, figlio di Rinaldo Estense, IV, 1228. Succede all'avolo suo,
cioè ad Azzo VII marchese d'Este, ed è eletto signor di Ferrara, V, 46.
Collegato con Carlo conte d'Angiò, va in suo aiuto, 52. In aiuto dei
Padovani contro i Veronesi, per cui ricupera la terra di Cologna, 130.
Preso per lor signore dai Modenesi, 197. E dai Reggiani, 207. Termina
di vivere, 224.

Obizzo da San Vitale, arcivescovo di Ravenna, V, 238.

Obizzo, marchese d'Este figlio di Aldrovandino, ricupera Ferrara, V,
396. Scomunicato dal papa, 417. Va in aiuto di Cane della Scala, 443.
Ritoglie all'arcivescovo di Ravenna la grossa terra d'Argenta, 444.
Va a Verona alle magnifiche feste date da Cane della Scala, 478. Si
riconcilia col papa, 483, 503. Fa lega contro Giovanni re di Boemia,
500. Va in aiuto di Mastino della Scala, 505, 506. Divien padrone di
Modena, 530. Mediatore fra Mastino e i Fiorentini, 556. Colla morte del
fratello suo Niccolò resta solo signor di Ferrara, 573. Compra Parma
dai Correggieschi, _ivi_. Tradimento a lui fatto da Filippino Gonzaga,
574. Il quale poi gli muove guerra aperta, 579. Cede Parma a Luchino
Visconte, 585. Sua morte e figliuolanza, 630.

Obizzo da Polenta, coi fratelli imprigiona il padre, V, 832.

Ocberto, od Olberto, vescovo di Verona, alcuni beni a lui decretati in
confronto di Teodaldo, marchese di Toscana, avo della contessa Matilda,
III, 1280.

Oddo Antonio, conte di Montefeltro e d'Urbino, succede al padre, V,
1162. Sua morte, 1171.

Odelberto, arcivescovo di Milano: libro _de Baptismo_ da lui composto,
III, 483.

Odelrico, marchese conte del sacro palazzo, III, 1005. Trama una
ribellione contro l'imperadore Berengario, 1010. Ciò scoperto
dall'imperadore, lo fa imprigionare da Lamberto, arcivescovo di Milano,
_ivi_. Il quale poi lo mette in libertà, _ivi_. Mentre trattava coi
compagni congiurati di chiamar Rodolfo II re della Borgogna in Italia,
dalle truppe, mandate loro contro dall'imperadore, è ucciso, dopo
aversi battuto da prode, 1011.

Odelrico, od Olderico, vescovo di Cremona: beni a lui confermati
dall'imperadore Ottone III, III, 1236. Sedizione del popolo contro di
lui, 1274. Diplomi di Ottone III in suo favore, IV, 18, 41. Sua morte,
83.

Odelrico, vescovo di Trento, IV, 81.

Odelrico, duca e marchese di Carintia; sua morte, IV, 342.

Odelrico, od Olderico, vescovo di Padova, dal papa Gregorio VII mandato
in Germania come suo legato al congresso che dovea tenere l'imperadore
Arrigo IV, IV, 391. Suoi privilegii confermati dallo stesso imperadore,
393.

Odenato, principe di Palmira: sue imprese contro Sapore re di Persia,
I, 921. Creato Augusto, 922. Sua morte, 928, 929.

Oderisio, cardinale, IV, 296.

Oderzo, città presa da' Longobardi, II, 1229.

Odetto di Fois, capitano francese, VI, 275.

Odilone, abbate di Clugnì, III, 1219, 1228.

Odoacre, Scita, conquistator dell'Italia; suoi principii, II, 659. Come
abbattesse Oreste ed Augustolo, e s'impadronisse di tutta l'Italia,
660, 661. Prende il titolo di patrizio, e non di re, 662. Passa con
grande esercito in Dalmazia, ove vince ed uccide il conte Odiva,
uccisore dell'imperador Nipote, 679. S'impossessa di tutta quella
provincia, _ivi_. Suo buon governo, 683. Mette mano nell'elezione dei
papi, 684. Sconfigge Fava (da altri chiamato Feleteo o Febano), re dei
Rugi, 693. Contro di lui prende l'armi Teoderico re degli Ostrogoti,
697. Da cui resta sconfitto, 701. Guerra a lui fatta da Alarico re
de' Visigoti, dal quale pure è sbaragliato, e fugge, 704. Assediato in
Ravenna, _ivi_. Sconfitto di nuovo, 707. Si arrende, ed è ucciso, 712,
713.

Odoardo, re d'Inghilterra: suo passaggio per l'Italia, V, 100.
Stabilisce la pace fra gli Aragonesi e Carlo II re di Sicilia, 187,
194.

Odoardo, figlio d'Arrigo VIII re d'Inghilterra, succede al padre, VI,
582. Cede Bologna di Picardia ad Arrigo II re di Francia, 603. Sua
morte, 632.

Odoardo Farnese, duca di Parma, succede al padre, V, 988. Fortifica
Sabbioneta per vietar ai Tedeschi di porvi il piede, 1030. Collegato
co' Franzesi contro lo Stato di Milano, 1070. Deluso dagli stessi
Franzesi, 1074. Rovinati i suoi Stati, e però fa pace cogli Spagnuoli,
1078. Suoi imbrogli con papa Urbano VIII, 1108. Scomunica contro di lui
fulminata dallo stesso papa, 1115. Fa un'irruzione negli Stati della
Chiesa, 1116. Burlato dagli alleati suoi, se ne torna a casa, 1118. Suo
tentativo andato a vuoto, 1120. S'accampa nel Ferrarese, 1123. E poi fa
pace, 1125. Compie il corso di sua vita, 1144.

Odoardo Farnese, principe ereditario di Parma. Sue magnifiche nozze con
Dorotea Sofia principessa di Neoburgo, VII, 89. Sua morte, 113.

Odone, ossia Eude, conte di Parigi assediato dai Normanni, III, 851.
È creato re di Francia, 863. Si sottomette ad Arnolfo re di Germania,
864. Riconosciuto re da tutti i popoli della Gallia, ossia Francia
Orientale, a riserva della Aquitania, 891. Sue guerre, _ivi_. Sua
morte, 935.

Odone, abbate di Clugnì; si adopera per intavolar pace fra Ugo re
d'Italia ed Alberico principe romano, III, 1067, 1077. Suoi viaggi a
Roma, 1088. Ritratto che fa di Willa moglie di Berengario re d'Italia,
1116.

Odone II, conte di Sciampagna, s'impadronisce del regno di Borgogna,
IV, 173. Contro di lui procede Corrado II Augusto, 177, 179. Gli è
proferto il regno d'Italia, 194. Muore in una battaglia contro Gozelone
duca di Lorena, _ivi_.

Odoteo, re o principe d'una tribù di Goti sul Danubio, sconfitto ed
ucciso da Promoto generale dell'imperadore Teodosio II, 262.

Olderico, vescovo di Cremona, _V._ Odelrico.

Olderico, vescovo, di Padova, _V._ Odelrico.

Olibrio (Quinto Clodio Ermogeniano), prefetto di Roma sotto
gl'imperadori Valentiniano e Valente, II, 169. Console, 217.

Olibrio (Flavio Anicio), senatore romano, marito di Placidia figlia
di Valentiniano III Augusto, II, 586. Creato console, 616. Poscia
imperador d'Occidente, termina in breve i suoi giorni, 644.

Olibrio juniore, console orientale sotto l'imperadore Zenone, II, 705.

Olimpia Maidalchina, cognata di papa Innocenzo X: sua ambizione e
potere in Roma, VI, 1194.

Olimpio, uffizial palatino sotto l'imperadore Onorio, provoca la morte
di Stilicone, II, 584. Maggiordomo di Onorio Augusto, 387. Pei suoi
imbrogli l'imperadore non volle dar ostaggi ad Alarico re dei Goti, nè
acconsentire alla capitolazione, 394. È deposto, poscia ucciso, 395.

Olimpio, esarco d'Italia, II, 1241. Perseguita papa Martino, 1245,
1252. Va con una flotta in Sicilia per iscacciarne i Saraceni, 1253.
Sconfitto da essi, _ivi_. Vi muore, _ivi_.

Olimpiodoro, scrittore pagano: fine della sua Storia, II, 461.

Oliverotto da Fermo, ucciso Giovanni suo zio, è fatto signore di quella
città, VI, 194. Strangolato dal duca Valentino, 196.

Olivieri Caraffa, cardinale, capitano delle galee armate da papa Sisto
IV contro i Turchi, VI, 42.

Olanda, fa lega coll'imperadore contro Francia e Spagna, VII, 162.

Olonna, corte, un tempo luogo dilizioso dei re d'Italia, III, 551, 761.

Olrico, od Orderico, arcivescovo di Milano, IV, 577. Fa lite di
precedenza coll'arcivescovo di Ravenna, 585. Sua morte, 593.

Omaro, califfo de' Saraceni, II, 1207. Sue conquiste, 1212, 1216. Sua
morte, 1239.

Omaro od Umaro, califfo de' Saraceni, III, 158.

Omulo, ossia Omullo (Marco Valerio): sua insolenza, I, 503, 504. Creato
console, 512.

Onesto, arcivescovo di Ravenna, III, 1012.

Onesto, altro arcivescovo di Ravenna, III, 1199. Suo concilio, 1206.

Ongari o Ungheri, _V._ Ungri.

Onolfo, fedel servo di re Bertarido, III, 19. Sua bella azione per
salvar la vita del padrone, _ivi_.

Onorato, arcivescovo di Milano, presa quella città da Alboino, re de'
Longobardi, fugge a Genova, II, 1002, 1003.

Onorato (Santo), vescovo di Arles, II, 465.

Onorio (Flavio), figlio di Teodosio Augusto, II, 251. Dichiarato
Augusto, 307. Stati da lui assegnati dal padre, 316. A cui succede
nell'Occidente, 321, 322. Sua discordia col fratello Arcadio, 330.
Prende in moglie Maria figlia di Stilicone, 340. Sue leggi contro i
pagani, 343, 450. Sua debolezza, 358, 405. Si ritira ad Asti, 362.
Quindi ritorna a Ravenna, 366. Va a Roma per celebrare i decennali
del suo imperio, 367. Sua legge, colla quale proibisce i giuochi
dei gladiatori, 368. Cerca di difendere san Giovanni Grisostomo
perseguitato da Eudossia imperadrice, 369. Torna a Ravenna, _ivi_. Suoi
editti rigorosi contra i donatisti, 371. Raduna truppe per opporsi
a Radagaiso re degli Unni, _ivi_. Contro di lui si ribella l'armata
romana in Bretagna, che avea successivamente nominato tre imperadori,
Marco, Graziano e Costantino, 378. Passa di nuovo a Roma, 379. Sposa
Termanzia figlia di Stilicone, 382. Al quale fa poi levare la vita,
385. Riconosce Costantino per collega nell'imperio, e gli manda la
porpora, 392. Sua grande pietà, e suo amore per la religione cattolica,
405. Perchè sprezzato dai Barbari, _ivi_. Per quattro anni esenta le
provincie d'Italia da varie imposte, 423. Sua legge per l'immunità
delle chiese, 426. Fa pace con Ataulfo, cognato d'Alarico, 432. Forza
sua sorella Placidia a sposar Costanzo di lui generale, 434. Che poi
dichiara Augusto, 444. Odio suo contro questa principessa, 450. Termina
i suoi giorni, 451.

Onorio, fratello di Teodosio I Augusto, II, 320.

Onorio I papa. Sua consecrazione, II, 1179. Fa eleggere Primigenio
patriarca di Grado, 1200. Suoi ripieghi per l'eresia dei Monoteliti,
1208. Sua morte, 1218. Sua difesa e lodi, III, 62.

Onorio antipapa, IV, 302. _V._ Cadaloo.

Onorio II papa. Sua elezione e torbidi in essa accaduti, IV, 589. Non
vuol mandare il pallio all'arcivescovo di Milano Anselmo da Pusterla,
595. Si oppone ai progressi di Ruggieri conte di Sicilia, 598. Dà
l'investitura di Capoa a Roberto II, 601. Scomunica e fa guerra a
Ruggieri, _ivi_. A cui poscia dà l'investitura del ducato di Puglia e
di Calabria, 603. Depone i patriarchi d'Aquileia e di Grado, 606. Passa
a miglior vita, 611.

Onorio III papa. Sua elezione, IV, 1030. Corona imperador de' Greci
Pietro conte d'Auxerre, 1033. Dà l'investitura della Marca d'Ancona
ad Azzo VII marchese d'Este, 1035. Si ritira da Roma e va a Viterbo,
1036, 1037. Dà la corona dell'imperio a Federigo II, 1043. Nasce
odio fra loro, 1047, 1049. Accoglie in Roma Giovanni di Brenna, re
di Gerusalemme, 1058. Suo abboccamento con Federigo II, 1059. Per
le vessazioni usategli da Parenzio, senatore di Roma, e dal senato,
è costretto a partirsi da quella città e passare a Tivoli, 1066.
Dissapori nuovi insorgono fra loro, _ivi_, 1071. Fatto arbitro delle
liti insorte fra l'Augusto Federigo e le città Lombarde, 1074. Manca di
vita, 1077.

Onorio IV papa. Sua elezione, V, 178. Conferma l'ordine de'
Carmelitani, 186. Fine del suo vivere, 188.

Onulfo, fratello del re Odoacre, da lui spedito con un potente esercito
contro Federigo, figlio di Fava, re dei Rugi, II, 694.

Optato, abbate di Monte Casino, IV, 249.

Optaziano (Publio), prefetto di Roma sotto l'imperadore Costantino il
Grande, I, 1185, 1198.

Optaziano (Publilio Porfirio); suo Panegirico in lode di Costantino il
Grande, I, 1180, 1185, 1198, 1220.

Oranges (Filiberto principe di), generale dell'armata cesarea, VI,
441, 460. Sua severità in Napoli, 461. Manda a ricuperar Aquila, 465.
Spedito contro i Fiorentini, 469. Ucciso in un fatto d'armi, 479.

Orano, preso dalle armi Spagnuole, VII, 367.

Orbiana (Sallustia Barbia) Augusta, creduta moglie di Alessandro
imperadore, I, 775.

Orca, mostro marino, apparso nel Tevere durante la fabbrica del porto
fatto fare ad Ostia dall'imperadore Claudio, I, 146.

Ordelafo Faledro, doge di Venezia, IV, 495. Ricupera Zara, 549. Va
contro gli Ungheri in Dalmazia, 558. Muore in una battaglia, _ivi_.

Orderico, _V._ Olrico. Oreste, patrizio, abbatte Nipote Augusto, e fa
proclamare imperadore Romolo, ossia Augustolo suo figlio, II, 655, 656.
Da Odoacre è tolto di vita, 661.

Orestilla (Livia), moglie dell'imperatore Caligola, I, 122.

Orfito (Memmio Vitrasio), prefetto di Roma sotto l'imperadore Costanzo,
II, 54, 69, 75, 83.

Organi da fiato, lor fabbrica introdotta in Occidente, III, 354.

Origene, celebre scrittore sotto i Filippi Augusti, I, 865. Sua morte,
878.

Orio Mastropietro, _V._ Aureo.

Orlando, famoso ne' romanzi, morto in Roncisvalle, III, 338.

Orlando de' Rossi, signor di Parma, V, 489. Imprigionato dal cardinal
Bertrando, _ivi_. Riscattato dai fratelli, 494. Dà aiuto a Manfredi
dei Pii, 508. Entra in lega col re di Boemia, 515, 525. Cede Parma agli
Scaligeri, 525. A' quali si ribella, 533. Generale de' Veneziani, 540.

Ormanno de' Tedici, abbate di Pacciana, signor di Pistoia, V, 442.

Ormisda, figlio del re di Persia, fugge a Costantino: suo bel detto, I,
1165; II, 76. Milita con Giuliano imperatore contro il fratello Sapore,
129.

Ormisda, figlio del precedente, creato proconsole nell'Ellesponto
dall'usurpatore Procopio, II, 156. È inviato in Egitto da Teodosio
imperatore con un'armata, 227.

Ormisda, papa. Sua elezione, II, 788. Legati da lui spediti in Oriente
all'imperatore Anastasio per un concilio che dovea tenersi in Eraclea,
791. Burlato da Anastasio Augusto, 792. Suo zelo per la fede cattolica,
796. Sua morte, 810.

Ormisda, re di Persia, fa guerra al greco imperio, II, 1035.

Ormisda, re di Persia, _V._ Jasdegirde.

Orode, re de' Parti, ucciso, I, 18.

Oro coronario: contribuzione all'entrare del nuovo principe, I, 786.

Orozio (Paolo), storico, testimonio oculare delle vittorie di Vallia,
re de' Goti, contro i Vandali di Spagna, II, 436. Dà fine alla sua
Storia, da lui dedicata a Sant'Agostino, _ivi_.

Orsini: lor casa quasi disfatta dal duca Valentino, VI, 196.

Orso, tribuno a Costantinopoli sotto l'imperadore Teodosio II, fa
atterrare in Cartagine il tempio della dea celeste, II, 447.

Orso doge di Venezia, III, 176. Sua morte, 206.

Orso, vescovo di Napoli, III, 581.

Orso Particiaco, o sia Participazio, doge di Venezia, III, 704, 705.
Sua lite con Pietro patriarca di Grado, da papa Giovanni VIII decisa in
suo favore, 763, 788. Sua morte, 825.

Orso, fratello di Giovanni doge di Venezia, collega nel ducato, III,
859.

Orso principe di Benevento, III, 884. Gli sono occupati gli Stati dai
Greci, 887.

Orso Particiaco, ossia Participazio II soprannominato Paureta, doge
di Venezia, III, 983. Diploma da lui ottenuto da Rodolfo re d'Italia,
1024. Rinuncia al dogado e si fa monaco, 1056.

Orso patriarca di Grado, fratello del doge di Venezia Ottone Orseolo,
con lui esiliato, IV, 143, 155. Creato vice-doge, governa con molta
lode, 171. Rinunzia il governo, 174. Chiede giustizia al papa contro
Poppone, patriarca d'Aquileia, 220.

Orvieto, occupato dai Longobardi, II, 1135.

Ospizio (Santo), romito di Nizza in Provenza, II, 1022.

Ostasio da Polenta, signore di Cervia, toglie di vita barbaramente il
fratello Rinaldo arcivescovo eletto, e signore di Ravenna, di cui poi
s'impossessa, V, 432. Fatto prigione sotto Ferrara dai marchesi d'Este
e collegati, 511. Ribella Ravenna alla Chiesa, 512. Sua lega con varii
signori per opporsi alla grande compagnia condotta dal duca Guarnieri,
566. Dà aiuto al marchese Obizzo d'Este per riacquistare Parma, 574.
Sua morte, 594.

Ostasio da Polenta, signor di Ravenna, caccia i Veneziani dalla sua
città, V, 1132. Chiamato a Venezia sotto aspetto d'amico, gli è tolto
e dominio e libertà, 1153, 1154. Mandato in Candia col figlio, ove poi
morì, 1154.

Ostenda: suo memorabil assedio fatto dall'arciduca Alberto governator
delle Fiandre, VI, 894, 903. Si rende ai Cattolici, 905.

Ostilio, filosofo, relegato da Vespasiano Augusto, I, 303.

Ostro, conte goto, capo di una sedizione in Costantinopoli, II, 639.

Ostrogoti. _V._ Goti.

Otberto, _V._ Ocberto.

Otgario, arcivescovo di Magonza, III, 593.

Otgerio, vescovo di Spira, fatto flagellare da papa Giovanni XII, III,
1166. Mandato a Roma dall'imperadore Ottone I, 1170.

Otranto, preso dai Turchi, VI, 82. Ricuperato da Alfonso duca di
Calabria, 75.

Otta, badessa di Santa Giulia di Brescia, IV, 255.

Ottavia, figlia di Claudio imperadore, promessa a Lucio Silano, che
poi sposò Nerone, divenuto in seguito imperadore, I, 147, 178. Suo
maritaggio con quest'ultimo, 189. Sua virtù nella morte del fratello
Britannico, 201. Sua saviezza e pazienza, 224. È ripudiata dall'empio
marito che l'odiava, _ivi_. Accusata da Poppea Sabina, 225. Relegata
nella Campania, _ivi_. Pel mormoramento del popolo, che l'amava, è
richiamata, _ivi_. Per l'allegrezza mostrata dal popolo stesso al suo
ritorno in Roma nuovamente calunniata dalla perfida Poppea, _ivi_.
Accuse contro lei portate dall'iniquo Aniceto, per le quali vien
relegata nell'isola Pandataria, e poco dopo fatta uccidere, _ivi_.

Ottaviano, figlio di Alberico, creato principe di Roma, III, 1131.
Poscia papa, 1135. _V._ Giovanni XII. Fu il primo che abbia introdotto
l'uso di cambiare il nome de' novelli papi, con servirsi poi di due
nomi, Ottaviano nelle cose temporali, Giovanni nelle spirituali, _ivi_.

Ottaviano, cardinale di Santa Cecilia, spedito da papa Adriano IV
all'imperadore Federigo I, IV, 750. Diviene antipapa, 756. _V._ Vittore
III.

Ottaviano, vescovo d'Ostia, IV, 982.

Ottaviano degli Ubaldini, cardinale, IV, 1198. Spedito in soccorso
a Parma, 1202. Ricupera varie città della Romagna, 1208. Presede
all'esercito pontificio contro Manfredi, 1247. Fa una capitolazione con
lui, 1251. Leva l'interdetto a Bologna, V, 30.

Ottaviano di Belforte, s'impossessa della signoria di Volterra, e ne
scaccia il vescovo suo nipote, V, 553.

Ottaviano Riario, proclamato signore di Forlì, VI, 101.

Ottobuono del Fiesco, cardinale; va ad Asti per ottenere la libertà
dei suoi nipoti, figli di Tommaso conte di Savoia, colà tenuti in
ostaggio, V, 19. Al suo ritorno in Genova tumulto per timore ch'ei
volesse far deporre il doge Guglielmo Boccanegra, _ivi_. Coi nobili
banditi genovesi, da lui chiamati a Roma, soggetta Genova a Carlo re di
Sicilia, 99.

Ottobuono de' Terzi, occupa Piacenza, Parma e Reggio, V, 922, 923.
Gli muove guerra Facino Cane, 942. Loro battaglia, 950. Sua crudeltà
e sua rapacità, _ivi_, 951. Fa guerra al marchese di Ferrara, 959. Sua
crudeltà, e lega contro di lui, 960. È ucciso da Sforza, 968.

Ottone (Marco Salvio), poi imperadore: sua nascita, I, 93, 97.
Confidente di Nerone, 199. Lo adula e corrompe, 206. Toltagli Poppea
Sabina sua moglie da Nerone, 209. Presidente della Lusitania, _ivi_.
Aiuta Galba a divenire imperadore, 251. Viene a Roma con lui, 258.
Ove si fa egli proclamare imperadore, 264. Provincie dell'impero che
lo riconoscono, 267. Muove il senato a scrivere a Vitellio, nuovo
imperadore, lettere amorevoli, 268. Irritato per vedersi deriso, manda
degli assassini per trucidarlo, _ivi_. Parte da Roma con un'armata per
andar contro allo stesso Vitellio, 269. La quale è disfatta da quella
dell'emulo, 271. Abbandonato dal fratello Tiziano e dai soldati, _ivi_.
Perlochè si dà da sè stesso la morte, 272.

Ottone (Lucio Salvio): console padre di Ottone imperadore, I, 97.
Governatore dell'Illirico, 153.

Ottone, conte di Bergamo, mandato da Lodovico II imperadore in soccorso
dei popoli della Calabria contro i Saraceni, III, 729, 730.

Ottone, duca di Sassonia, avolo di Ottone il Grande, III, 899. Ricusa
il regno della Germania, 981.

Ottone I il Grande, eletto re di Germania, III, 1070. Accoglie
Berengario, marchese d'Ivrea fuggitivo, 1083. Aspira alle nozze di
Adelaide vedova di Lottario re d'Italia, 1118. S'impadronisce di
Pavia, e sposa la suddetta regina, 1120. Suo ritorno in Germania per
la ribellione del figlio Lodolfo, 1123. Rimette Berengario in possesso
del regno d'Italia, 1125. Si pacifica col figlio e col genero Corrado,
1132. Insigne sua vittoria sugli Ungheri, 1133. A lui inviano preghiere
il papa Giovanni XII ed altri principi d'Italia contro de' due re
Berengario ed Adalberto, 1145. Fa eleggere e corona re di Germania
Ottone II suo figlio, 1150. Calato di nuovo io Italia, entra in Pavia,
_ivi_. È coronato re d'Italia in Milano, 1151, 1152. Poscia imperadore
in Roma, 1154. Benefico verso i suoi aderenti, 1156, 1157. Prende
l'isola di San Giulio con la regina Willa, moglie del re Berengario,
1158. Assedia Berengario in San Leo, 1160. Querele a lui portate
contro Giovanni XII papa, 1161. Messi a lui spediti dallo stesso papa,
1162. Va con parte dall'armata a Roma, ove giunto il papa se ne fugge,
1163. Si fa prestar giuramento da tutti gli ordini di non eleggere nè
consecrare da lì innanzi alcun papa senza il consentimento di lui e del
figlio, _ivi_. Fa deporre lo stesso papa, _ivi_. Congiura preparata
contro di lui in Roma, 1165. Fa prigione Berengario, _ivi_, 1166.
Stringe Roma d'assedio, e talmente l'affanna che i Romani ricorrono
alla sua misericordia, 1167. Entra in quella città e rimette papa Leone
VIII, _ivi_. Suo diploma in favore del monistero di Monte Casino, 1168.
Torna in Germania, 1169. Poscia a Roma, 1177. Dove fa troppo rigorosa
giustizia, 1178. Manda Liutprando ambasciatore al greco Augusto
Niceforo Foca, 1184. A cui di poi fa guerra, 1186, 1190. Insulto a lui
fatto dai Greci, 1191. Dei quali riporta vittoria, 1193. Suo palazzo
fatto erigere in Ravenna, 1194, 1198. Con una poderosa armata si
porta al danno de' Napoletani, 1197. Fa pace co' Greci, 1199. Torna in
Germania col figlio e colla nuora Teofania, 1201. Rende l'anima al suo
creatore, 1205.

Ottone II, figlio di Ottone il Grande; sua nascita, III, 1133. Eletto
re di Germania, 1150. E d'Italia, 1160. Viene a Ravenna ed a Roma,
1183. Dove è coronato imperadore, 1184. Prende in moglie Teofania,
greca, 1199, 1201. Succede al padre, 1206. Muove guerra alla Boemia,
1214. Sue militari imprese, 1216. Sua dissensione colla madre, 1219.
Fa pace con Lottario re di Francia, 1227. Pretensioni sugli Stati
posseduti dai greci Augusti, messe a lui in capo dalla moglie, _ivi_.
Gli nasce un figlio che fu poi Ottone III, 1228. Sue azioni in Italia,
1232. Sconfitto dai Saraceni, 1238. Come liberato dalle mani dei Greci,
1239, 1240. Dieta da lui tenuta in Verona, 1243. In cui sono promulgate
le sue leggi, _ivi_. Suo diploma in favore del doge di Venezia, 1245.
Suoi cattivi disegni contro i Veneziani, 1246. Dà fine a' suoi giorni,
1248.

Ottone Guglielmo, figlio di Adalberto re d'Italia, divien duca di
Borgogna, III, 1177.

Ottone III imperadore: sua nascita, III, 1228. Proclamato re di
Germania e d'Italia, 1243. Coronato re in Aquisgrana, 1248. Contro
di lui si solleva Arrigo già duca di Baviera, 1249. Suoi prosperi
successi in Germania, 1256. Anni suoi non contati in Italia, 1265,
1275. Suo diploma in favore di Pietro Orseolo II doge di Venezia, 1276.
Suoi ambasciatori al greco Augusto, IV, 12. Cala in Italia, 13. Va a
Roma, dov'è coronato imperadore da papa Gregorio V, 17. Come ancora
re d'Italia, 19. Racconto dubbioso della infedeltà di sua moglie, che
dicesi fatta morire da lui, 20, 21. Sua guerra contro gli Slavi, 24.
Torna in Italia, 25. Viene a Venezia, 27. Con papa Gregorio V e con un
fioritissimo esercito d'Italiani e Tedeschi si porta a Roma, 28. Depone
Giovanni Calabrese usurpator del papato, _ivi_. Fa morire Crescenzio
console, 30. Sua costituzione che vieta l'alienazione de' beni delle
chiese, 31. Placito da lui tenuto in Roma, 34. Promuove Gerberto,
già stato suo precettore, al papato, 36. Suo ritorno in Germania, 40.
Poscia di nuovo in Italia, 41. Sua penitenza, 44, 47, 52, 55. Assedia
Benevento e Tivoli, 45. Perdona ai Tiburtini, 46. Sollevazione de'
Romani contro di lui, 49, 53. Immatura sua morte, e sue belle doti, 55.

Ottone, figlio di Litolfo, creato duca di Baviera, III, 1222. Va in
aiuto dello zio Ottone II imperadore in Calabria contro i Saraceni,
1237. Sua morte, 1241.

Ottone, duca di Carintia e marchese della marca di Verona, figlio di
Corrado, duca della Francia orientale, padre di Gregorio V papa, IV,
26, 57. Ricusa la corona del regno d'Italia, 61. Sconfitto da Ardoino,
marchese d'Ivrea, 62. Parteggia per re Arrigo contro Ardoino, 65.

Ottone Orseolo, doge di Venezia, IV, 87. Esiliato e poi richiamato,
143. Di nuovo è scacciato, 155. Chiamato di nuovo al ducato, 170, 171.
Sua morte, 174.

Ottone, conte del palazzo sotto Arrigo I Augusto, IV, 105.

Ottone, marchese di Susa, IV, 275.

Ottone, duca di Baviera, si ribella ad Arrigo IV, re di Germania, per
cui è deposto, IV, 348, 349.

Ottone, vescovo d'Ostia, legato del papa Gregorio VII, imprigionato da
Arrigo IV re, IV, 413. Dallo stesso papa designato a suo successore,
423. Liberato dalla prigionia, 427. Eletto papa, 433. _V._ Urbano II.

Ottone, arcivescovo eletto di Ravenna, IV, 500.

Ottone, vescovo di Palestrina, IV, 570.

Ottone, vescovo di Frisinga: ritratto che fa della Italia al suo tempo,
IV, 719.

Ottone, conte palatino di Baviera, IV, 740. Riduce Ferrara al dominio
di Federigo I imperadore, 750. Dallo stesso imperadore mandato a
Milano, 757.

Ottone, figlio di Federigo I Augusto, creato re di Borgogna, IV, 822.

Ottone IV, figlio del duca Arrigo Leone, eletto re de' Romani, IV,
960. Sua elezione approvata da papa Innocenzo III, 976. A lui dà una
rotta Filippo di Suevia suo competitore, 993. Perciò verso di lui si
sminuisce il favore del papa, 996. Dopo la morte di Filippo da tutti è
accettato per re, 998. Sue nozze con Beatrice, figlia d'esso Filippo,
_ivi_, 1003. Cala in Italia e riceve la corona di questo regno, 1004.
Da papa Innocenzo riceve la imperial corona, 1005. Sue dissensioni con
esso pontefice, 1006. Dà l'investitura della marca d'Ancona ad Azzo VI
marchese d'Este, 1008. Muove guerra a Federigo II re di Sicilia, 1009.
Scomunicato da papa Innocenzo, 1010. Sue conquiste nel regno di Napoli,
1011. Molti vescovi della Germania, a suggestione del papa, pubblicano
la scomunica contro di lui, e lo dichiarano decaduto, trattando
di eleggere in suo luogo Federigo II, 1013. Per questo è forzato a
tornarsene in Germania, 1016. Resta in una fiera battaglia sconfitto
dai Franzesi, 1023. Sua malattia e morte, 1035, 1036.

Ottone, cardinale di San Niccolò, IV, 1103. Preso da Federigo, II, 1167.

Ottone, cardinale, vescovo di Porto, IV, 1183.

Ottone Visconte, eletto arcivescovo di Milano, V, 39. Sostenuto da
papa Clemente IV contro i Torriani, 69, 79. Ricorre a papa Gregorio
X per ottenere il suo aiuto contro la prepotenza degli stessi, 96.
Sono deluse le sue speranze, 102. Per cui si ritira a Biella, 111. Fa
guerra ai Torriani, 116. Loro dà una gran rotta e li fa prigioni, 122.
Proclamato anche signore di Milano, 123. Gli fan guerra i Torriani,
128. Abbatte il marchese di Monferrato, 165. Fa pace coi Torriani, 185.
Esalta la propria casa, 189. Termina il corso di sua vita, 237.

Ottone, duca di Brunswich, va al servigio del marchese di Monferrato,
V, 693. Difende Asti, 731. Suo dominio in Monferrato, ed elezione di
lui in marito fatta dalla regina Giovanna di Napoli, 748. Va a Napoli
e solennemente la sposa, 753. Promesse a lui fatte da Gian-Galeazzo
duca di Milano, 758. Mandato dalla moglie ad Urbano VI papa con ricchi
donativi, 762. Tutore del marchese di Monferrato, Giovanni Terzo, 766.
Sconfitto e fatto prigione da Carlo dalla Pace, 785. Sua liberazione,
797. Prende Napoli, 818. Passa al servigio del re Ladislao, 823, 824.
Sconfitto e preso, 851. Sua morte, 884, 885.

Ovidio, poeta, esiliato nella Scizia, e perchè, I, 31. Sua morte, 55.


P

Pacato (Latino Drepiano): suo panegirico in onore di Teodosio I
Augusto, II, 271, 284.

Pace di Costanza fra l'imperador Federigo I e le città lombarde, IV,
882.

Pace di Munster, dannosa al cattolicismo, VI, 1171.

Pace dei Pirenei, tra la Francia e la Spagna, VI, 1217.

Pace Di Nimega, VII, 25, 30.

Pace di Riswich fra i collegati e i Franzesi, VII, 129.

Pace di Utrecht, tra la Francia ed altre potenze, VII, 250.

Pace di Rastat tra l'imperadore Carlo VI e Luigi XIV re di Francia,
VII, 258, 259.

Pace tra l'imperadore stesso e i Turchi, VII, 283.

Pace fra i Turchi e i Veneziani, VII, 283.

Pace e lega di Siviglia fra la Spagna, Francia, Inghilterra, ec., VII,
341.

Pace di Aquisgrana stabilita fra le potenze guerreggianti, Francia,
Inghilterra ed Olanda, VII, 689.

Pacifico, arcidiacono di Verona, vince nel giudizio della Croce, III,
376. Sua morte, 648. Suo epitaffio, _ivi_.

Pacifico, abbate di Brescello, IV, 714.

Pacoro, re della Media, dai Tartari obbligato a fuggire, I, 298.

Padova, città distrutta da Attila, II, 561. Presa e smantellata dal
re Agilolfo, 1114, 1116. Si sottomette a Federigo II Augusto, IV,
1140. Tentata in vano da Azzo VII marchese d'Este, 1150. Liberata dai
croce-signati dalle mani di Eccelino, 1256. Che fa morire migliaia
di Padovani, 1257. Cresce in potenza, V, 16. Fa guerra ad Azzo VIII
marchese d'Este, 231. Fa suo signore Jacopo da Carrara, 403. Il quale,
per l'assedio postole da Cane dalla Scala, la esibisce a Federigo duca
d'Austria; 405. Soccorso dei Tedeschi quanto a lei dannoso, 442, 443.
Elegge signore Marsilio da Carrara, che indi la cede a Cane, 477.
Proclama di nuovo signore il primo di essi, 536. Tolta a' Carraresi
dal signor di Milano, 827. Ricuperata da Francesco II da Carrara, 839.
Presa da' Veneziani, 939. Si renda a Massimiliano imperadore, VI, 239.
Ricuperata dai Veneziani, 243. Infelicità di essa e de' nobili, 244.
Assediata dall'imperadore Massimiliano, 246. Che se ne ritira, 247.

Padovani, sconfitti dai Veneziani, IV, 535, 674. Sconfitti da'
Veronesi, 955. Lor vittoria sui Vicentini, _ivi_. Lor discordia
coi Veneziani, 1024. Cacciati da Vicenza, 1080. Loro differenze con
Eccelino e co' Trevisani, composte, 1085. Fan guerra a Verona, 1096.
A Trivigi, 1123. Loro angustie per la venuta di Federigo II, 1135. Lor
guerra co' Veneziani, V, 295. Vicenza loro tolta da Cane dalla Scala,
350. Contro di cui cominciano un'aspra guerra, 355, 359. Da lui sono
messi in rotta sotto Vicenza, 380. Fanno pace, 381. Di nuovo sconfitti
a Vicenza, 395. Perdono Monselice ed altre terre, _ivi_.

Padre della patria: titolo dato per la prima volta a Cesare Augusto, I,
4.

Paesi Bassi, a cagione dell'Inquisizione, si sollevano contro Filippo
II re di Spagna, VI, 724, 756. Fanno un ammutinamento per cacciar tutti
gli Spagnuoli, 771. Ciò ottenuto dall'incauto governatore Giovanni
d'Austria, cercano di liberarsi anche di lui, 774.

Pagano dalla Torre, vescovo di Padova viene a Milano per cercar
d'accordar tra loro i suoi parenti, V, 329. Divenuto patriarca
d'Aquileia, fa guerra a Galeazzo Visconte dura di Milano, 421.
Scomunica i Visconti e predica contro di loro la crociata, 426. Conduce
molte schiere combattenti a' danni di essi, 434.

Palazzo imperiale in Roma: sua grandezza troppo innalzata da Erodiano,
I, 716.

Palazzo ducale di Spoleti, III, 493.

Palermitani, lor sollevazione, VI, 1146. Fine di essa, 1149, 1167.

Palermo afflitto da un fiero tremuoto, VII, 327.

Palladio (Gunio Quarto), console sotto l'Augusto Onorio, II, 431.

Palladio, prefetto del pretorio d'Italia, sotto l'imperadore Onorio,
II, 437.

Palladio apostolo e primo vescovo di Scozia, II, 482.

Palladio, figlio di Petronio Massimo Augusto, dichiarato Cesare, II,
578. Ucciso, 579.

Palladio, vescovo eretico d'Antiochia a' tempi dell'imperadore Zenone,
II, 695.

Pallante, liberto di Claudio Augusto. Sua possanza, I, 177, 181. Onori
a lui conferiti dal senato, 186. Sua ostentazione e vanagloria, _ivi_.
Protettor di Nerone, 192. Che poi l'abbassa, 200. E lo fa avvelenare,
226.

Palma (Aulo Cornelio), uomo consolare, governatore della Soria sotto
l'imperadore Traiano, I, 402. Creduto complice di Domizio Negrino,
accusato di trama contro la vita dell'imperadore Adriano, per ordine
del quale è fatto uccidere, 442.

Palmato (Giunio), generale di Alessandro Augusto, nell'Armenia, I, 805.

Palmato, prefetto di Roma sotto l'imperadore Onorio, II, 416.

Pamprepio, senatore sotto l'imperadore Zenone, accusato di magia, II,
682.

Pandolfo, ossia Paldolfo Capodiferro, figlio di Landolfo II, principe
di Benevento e di Capoa, III, 1093. È dichiarato dal padre collega
nel principato, _ivi_. A lui fa guerra Giovanni X papa, 1143. Succede
al padre, 1153. Riceve in Capoa con grande onore e magnificenza
l'imperadore Ottone II, 1164. Dal quale è creato duca di Spoleti e
marchese di Camerino, 1182. Sua potenza accresciuta colla morte di
suo fratello Landolfo III, 1189. Fa erigere la chiesa di Benevento in
arcivescovato, 1192. Dà una rotta ai Greci, 1193. Dai quali è preso
e inviato a Costantinopoli prigione, _ivi_. Liberato torna in Italia,
1197. Unito ai Beneventani e Spoletini va a devastare il territorio di
Napoli e di Salerno, 1208. Ma uscitogli incontro Gisolfo I, principe di
Salerno, se ne torna a casa, _ivi_. Va in aiuto di essi Gisolfo, tenuto
prigione in Salerno dal cugino di lui Landolfo, e lo mette in libertà,
1210, 1211. Suo figlio Pandolfo è adottato in figliuolo da Gisolfo,
1211. Assume il titolo di principe di Salerno unitamente al figliuolo,
1221. Muore, 1231.

Pandolfo, figlio di Pandolfo Capodiferro, principe di Benevento e
Capoa, è adottato in figliuolo da Gisolfo I principe di Salerno, III,
1211. Gli succede in quel principato, 1221, 1231. Ne è spogliato da
Mansone duca d'Amalfi, 1234.

Pandolfo II, figlio di Landolfo III, si fa principe di Benevento, III,
1234. Riceve in Benevento Ottone III Augusto, IV, 38.

Pandolfo II, succede nel principato di Capoa a Landolfo IV suo
padre, IV, 83. Prende per suo collega Pandolfo II suo zio principe di
Benevento, 87. Fa lega co' Greci, 128, 131.

Pandolfo IV, principe di Capoa, IV, 125. Fatto prigione da Arrigo I
Augusto, 135. È condotto in Germania, _ivi_. Torna in Italia, 151.
Riacquista il principato, 155. S'impadronisce di Napoli, 161. Che gli
è ritolto da Sergio duca, 164, 165. Sue violenze contro il monistero di
Monte Casino, 168. Spogliato de' suoi Stati da Corrado Augusto, 197. Li
ricupera, 237. Sua morte, 248.

Pandolfo, conte di Tiano, creato principe di Capoa, IV, 137. Gli
convien cedere a Pandolfo IV, 155. Fugge a Roma, dove muore, 161.

Pandolfo V, figlio di Pandolfo IV principe di Capoa, dichiarato dal
padre collega nel principato, IV, 156, 161, 197. Gli succede, 248. Gli
è tolto Benevento, 263. Assediato in Capoa, 310. Muore, _ivi_.

Pandolfo III, principe di Benevento, IV, 211.

Pandolfo, cardinale de' Santi dodici Apostoli, IV, 948.

Pandolfo Malatesta, signor di Sinigaglia, V, 305, 306.

Pandolfo Malatesta, generale dei Fiorentini, V, 695. Succede al padre
nel dominio di Rimini, 700. Cessa di vivere, 735.

Pandolfo Malatesta juniore, signor di Rimini, V, 811. Sua guerra cogli
Ordelaffi, 856. Acquista Brescia, 922. Bergamo, 958. Sua battaglia con
Facino Cane, 965. Dal quale è assediato in Bergamo, 981. Fa guerra
a Gabrino Fondolo, 988. Perde Bergamo, 1024. Guerra a lui mossa da
Filippo Maria Visconte duca di Milano, 1031. Cede Brescia ad esso duca,
1037. Rotta a lui data da Angelo della Pergola, 1058. Sua morte, 1073.

Pandolfo Malatesta, figlio di Roberto, succede a suo padre, VI, 80. Gli
è tolto Rimini dal duca Valentino, 165.

Pandolfo Petrucci, come signor di Siena, VI, 192, 194. Si salva dalle
mani del duca Valentino, 196.

Pandonolfo, principe di Capoa, III, 807. Muove guerra a Gaeta, 835.

Pannonia, si ribella ai Romani, e Tiberio la sottomette, I, 26.

Panteon, oggidì la Rotonda di Roma, tempio nobilissimo, nella cui
fabbrica non entrava legno, I, 411. Ridotto oggidì dai cristiani in
onore del vero Dio, II, 1138.

Paola (Giulia Cornelia), moglie di Elagabalo, I, 759.

Paolina, nobile romana, ingannata dai sacerdoti egiziani, I, 60.

Paolina (Lollia), moglie di Caligola, I, 122. Aspira alle nozze di
Claudio Augusto, 177. Esiliata, 179.

Paolina, moglie di Seneca, I, 237.

Paolina, sorella di Adriano Augusto, I, 470.

Paolino (Svetonio), sconfigge i Mauritani, I, 148. E i Britanni
ribelli, 222. Generale di Ottone imperadore, 269. Mette in rotta
l'armata di Vitellio, _ivi_. Sua vile azione per mettersi in grazia di
Vitellio Augusto, 273.

Paolino (Anicio), prefetto di Roma sotto l'imperadore Costantino, I,
1191, 1194. Creato console, 1201.

Paolino, prefetto di Roma sotto l'imperadore Graziano, II, 223.

Paolino I (San), vescovo di Nola, fatto prigione dai Goti, II, 403. Sua
morte, 480.

Paolino, maggiordomo e favorito di Teodosio II Augusto, perchè ucciso
da lui, II, 531.

Paolino II (San), vescovo di Nola; sua mirabile carità per liberare uno
schiavo dai Vandali, II, 581.

Paolino, arcivescovo d'Aquileia, si dichiara contro il concilio
V generale, per cui ne nasce lo scisma della sua Chiesa, II, 962.
All'avvicinarsi d'Alboino re de' Longobardi all'Italia, si ritira
nell'isola di Grado con tutto il tesoro della sua chiesa, 999. Sua
morte, 1006.

Paolino, console sotto il re Teoderico, II, 731.

Paolino (San), maestro di grammatica conosciuto da Carlo Magno
imperadore, III, 345. Diploma dello stesso Augusto, con cui gli dona
alcuni beni nel Friuli, 346. Dallo stesso imperadore innalzato a
patriarca d'Aquileia, 347. Interviene al concilio di Francoforte, 394.
Sua predizione, 395. Concilio da lui celebrato in Cividale del Friuli,
405. Suoi tre libri contro l'eresia di Felice vescovo d'Urgel, 410. Sua
lettera a Carlo Magno, 438. Sua morte, _ivi_.

Paolo Apostolo martirizzato sotto Nerone, I, 239.

Paolo, insigne giurisconsulto sotto Severo Augusto, I, 698, 771.

Paolo, vescovo cattolico di Costantinopoli, esiliato da Costanzo
Augusto, II, 13.

Paolo, zio dell'imperadore Augustolo, preso da Odoacre e fatto morire,
II, 661.

Paolo, console orientale sotto l'imperadore Anastasio, II, 724.

Paolo Diacono, storico di nazion longobarda, II, 997. Sua genealogia,
1147. Quando fiorisse, III, 349. Sua morte, 408.

Paolo, patriarca di Costantinopoli, II, 1227. Eretico monotelita, 1238.
Lettere a lui scritte dai vescovi dell'Africa, perchè volesse reprimere
i seminatori di quella abbominevol dottrina, 1239. Rimproverato da
papa Teodoro sull'incertezza di sua fede, si leva la maschera in favore
dell'eresia, 1240. Scomunicato dallo stesso papa, 1243. Termina i suoi
giorni, 1259.

Paolo, vescovo di Altino; presa la città da Rotari, re de' Longobardi,
si ritira col suo popolo a Torcello, 1230.

Paolo, archivista, spedito dall'imperador Leone Isauro in Sicilia col
titolo di patrizio e duca a sedar quel popolo sollevato, III, 160.
Inviato esarco in Italia, 178. È scomunicato, 179.

Paolo I papa. Sua elezione, III, 269. Sue lettere al re Pipino, 271,
275. Dà fine al suo vivere, 289.

Paolo, patriarca cattolico di Costantinopoli, III, 342.

Paolo, vescovo di Popolonia, con Obelerio, doge di Venezia, e varii
altri legati della Dalmazia con molti regali si recano all'imperadore
Carlo Magno, III, 455.

Paolo, vescovo di Popolonia, III, 708.

Paolo, vescovo di Piacenza, III, 800.

Paolo, vescovo di Reggio, III, 800.

Paolo Guinigi, proclamato signor di Lucca, V, 894. Gli fan guerra i
Fiorentini, 1079. È assediato in Lucca, 1081. Ricorre per soccorso
a Filippo Maria duca di Milano, e a Siena, _ivi_. Aiutato da Antonio
Petrucci, _ivi_. È liberato dal conte Francesco Sforza, in lui favore
spedito dal duca di Milano, 1082. I Lucchesi lo fanno prigione, _ivi_.
Poscia co' figli condotto prigione a Milano, ove muore, _ivi_.

Paolo II papa. Sua elezione, VI, 11. Leva gli Stati a Francesco e
Deifobo Orsini, 14. Mette pace fra i principi d'Italia, 26. Sua lega
coi Veneziani, 32. Rotta data alle sue genti, 33. Crea duca di Ferrara
Borso Estense, 38. Sua morte, 39.

Paolo Fregoso, cardinale, arcivescovo di Genova, V, 1265. Fattosi
proclamar doge, dopo un mese è detronizzato, 1274. Imprigionato
Battistino Fregoso, si fa egli nuovamente proclamar doge, VI, 85.
Sottomette Genova a Milano, 98. Gli è mossa guerra da' fuorusciti
genovesi, 102.

Paolo III papa. Sua creazione, VI, 506. Fa indarno assediare Camerino,
509. Ricupera Perugia, 510. Accoglie Carlo V in Roma, 517. Convoca il
concilio generale, 518. Sue premure per la pace, 520, 525. Crea de'
cardinali insigni, 526. Sua lega contro i Turchi, 533. Suo abboccamento
con Carlo V e con Francesco re di Francia nella città di Nizza in
Provenza, 534. Margherita d'Austria da lui procurata in moglie ad
Ottavio suo nipote, 536. Se gli ribella Perugia, 545. La ricupera,
_ivi_. Fa guerra ai Colonnesi, 546, 548. Suo abboccamento con Carlo V
in Lucca, 551. Stabilisce il concilio generale da tenersi in Trento,
556. Visita Ferrara, e di nuovo si abbocca con Carlo V in Busseto, 559,
560. Dà Piacenza e Parma al figlio, 573. Fa lega con Carlo V contro i
Protestanti, 577. Nuova funesta a lui recata a Perugia, che suo figlio
è assassinato, 591. Si sconcerta la sua buona armonia con Carlo V, 592.
Unisce di nuovo Parma alla Chiesa, 597, 598. Fine di sua vita, 599. Sue
qualità, _ivi_, 600.

Paolo IV papa. Sua creazione, VI, 641. Suo nepotismo, 646. Sua lega
con Arrigo II, re di Francia, 648. Gli muovono guerra gli Spagnuoli,
653. Rifiuta la pace, 655. È sconfitta la sua gente, 660. Fa pace
col re Filippo, 665. Niega di riconoscere per imperadore Ferdinando
I, VI, 650, 672. Rigetta Elisabetta regina d'Inghilterra, 675.
Caccia da sè i nipoti, 677. Mal animo de' Romani contro di lui a
cagion dell'Inquisizione, 678. Giugne al fine dei suoi giorni, 682.
Sollevazione del popolo romano dopo la sua morte, _ivi_.

Paolo V papa. Sua creazione, VI, 910. Suo impegno contro la repubblica
veneta, 911. Suo monitorio ed interdetto contro d'essi Veneti, 913.
Concordia del papa con loro conchiusa dal cardinale di Gioiosa,
917, 918. Riceve un ambasciatore del re del Congo, 921. Sua nobil
costituzione, 934. Sua briga colla corte di Francia, 948. Protegge
l'Augusto Ferdinando II, 972. Sua morte e sue lodevoli azioni, 980.

Paolo Sarpi, chiamato anche Pietro Soave, servita, pugnalato in
Venezia, per ordine della corte di Roma, VI, 921. Sua morte, 985.

Paoluccio, primo doge di Venezia, III, 100. Suoi patti con Liutprando,
re de' Longobardi, 150. Sua morte, 158.

Papessa Giovanna, sciocchissima favola de' secoli ignoranti, III, 675.

Papi: loro elezione, come regolata a' tempi di Arrigo II Augusto, IV,
235.

Papiano, proclamato imperadore sotto gli Augusti Filippi, ed ucciso, I,
860.

Papiniano, celebre giurisconsulto sotto Severo Augusto, prefetto del
pretorio, I, 698, 710. Deposto da Caracalla, 714. Poscia da lui tolto
di vita, 722.

Papirio (Dionisio), presidente dell'annona sotto l'imperadore Commodo,
I, 617. Ucciso da Commodo stesso, 619.

Papo, matematico, che fiorì sotto Teodosio il Grande, II, 321.

Papurio, castello della Cappadocia, ove dall'imperadore Zenone venne
relegato il ribelle Marciano figliuolo dell'imperadore Antemio, II,
675. Ivi pure relegata Verina Augusta, vedova di Leone imperadore, 681.

Para, figlio di Arsace re dell'Armenia ricorre alla protezione
dell'imperadore Valente, II, 171. Il quale gli manda Arinteo con
un'armata in soccorso, 181. Accusato presso lo stesso imperadore da
Terenzio duca difensor dell'Armenia, 193. Fatto uccidere a tradimento
dallo stesso Valente, _ivi_.

Parigi, città: quando si cominciasse ad udire questo nome, II, 82.
Stabilita città capitale del regno de' Franchi dal re Clodoveo, 770.

Parma, Piacenza e Reggio, ricuperate da Maurizio Augusto, II, 1077. Le
due prime restituite a Francesco I re di Francia. VI, 328.

Parma: famoso assedio fattole dall'imperadore Federigo II, IV, 1202.
Sua liberazione, 1203. Elegge per suo signore Giberto da Correggio, V,
289. Fa guerra al marchese d'Este Azzo VIII, 299. Il Correggio perde
il dominio di essa, 321. Me è cacciato dal popolo levatosi a rumore,
390. Si dà al papa Giovanni XXII, 429, 453. Azzo Visconte le fa guerra,
445. Se ne impadroniscono Marsilio de' Rossi ed Azzo da Correggio, 480.
Giovanni re di Boemia ne è proclamato signore, 498. È ceduta a Mastino
dalla Scala, 525. La riprendono nuovamente i Correggeschi, 556. Venduta
da essi ad Obizzo, marchese d'Este, 573. E da lui ceduta a Luchino
Visconte, 585. Assediata dalle armi pontificie, VI, 366. Ma indarno,
367. Scandalo grave quivi accaduto, 492. Data a Pier-Luigi Farnese,
574. Acclama Ottavio di lui figlio per duca, 591. Battaglia nelle
sue vicinanze fra i Cesarei e Gallo-Sardi, VII, 391. Occupata dagli
Spagnuoli, 561. Ricuperata dagli Austriaci, 579.

Parmigiani, collegati coi Modenesi, IV, 704. Loro vittoria ottenuta
sui Reggiani, 710. E sui Piacentini, 711. Loro guerra con questi
ultimi per cagione di Borgo San Donnino, 965. Vanno in aiuto de'
Modenesi, e mettono in rotta i Bolognesi, 1085, 1090. Guerra civile
fra loro, 1175, 1176. Aderenti a Federigo II imperadore, 1192. A lui
si ribellano, 1200. Sconfitti dal re Enzo verso Montecchio, 1201.
Terribile rotta loro data dai Cremonesi, 1219. Prendono e smantellano
Borgo San Donnino, V, 80. Uniti coi Cremonesi vanno in aiuto di Lodi
contro i Milanesi, 143. Loro sforzi per mettere la pace fra i Modenesi,
173, 185, 186. Che al fine giungono a stabilire, 190. Guerra civile
fra essi, 237, 238. Congiura d'essi contro Giberto da Correggio lor
signore, 299, 311, 312. Guerra civile fra essi, 321. Fanno oste contro
Borgo San Donnino, 330.

Partamasire, fratello di Cosdroe re di Persia, re dell'Armenia, I, 415.
Sua sommessione all'imperadore Traiano, 417. Si presenta a lui e depone
a' suoi piedi il diadema, 418. Da lui deposto, _ivi_. Sua guerra contro
lo stesso Augusto, _ivi_. Ucciso, _ivi_.

Partamaspare, dato per re ai Parti da Traiano, I, 428. Deposto da
Adriano, 436.

Partenio, maestro di camera di Domiziano, congiurato contro di lui, I,
367. Ucciso da' soldati, 377.

Pasquale I papa. Sua elezione, III, 507. Diploma dell'imperadore
Lodovico Pio in favore suo, se legittimo, 509. Sua bolla a Petronace
arcivescovo di Ravenna, col quale conferma i privilegii di quella
chiesa, 523. Dà la corona imperiale a Lottario Augusto, 536. Si
giustifica presso Lodovico Pio, 539. Sua morte, 541.

Pasquale II papa. Sua elezione, IV, 482. Concilio da lui tenuto in
Roma, 492. Creduto da alcuni fautore della ribellione di Arrigo V
contro Arrigo IV suo padre, 498. Fa atterrar le case della nobil
famiglia de' Corsi in Roma, per cui Stefano, capo di essa a lui si
ribella, 500. Suoi concilii, _ivi_, 501. Fa disotterrare il cadavere
dell'antipapa Guiberto, e gettare nel fiume, 506. Passa in Francia,
508. Insigne concilio da lui tenuto in Guastalla, _ivi_. Torna dalla
Francia in Italia, 511. Poscia a Roma, 515. Suo concilio in Benevento,
516. Altro concilio da lui tenuto nella basilica lateranense, 521.
Strana esibizione da lui fatta al re Arrigo V, 527. Lite insorta fra
lui e questo principe, 529. Per cui è imprigionato, _ivi_. Fa pace con
lui, e gli dà la corona, 532. Ritratta il privilegio a lui accordato,
536, 537. Si porta a Benevento per rimediare a' disordini di essa,
540. Dove celebra un concilio, 540. Scoperti gli autori e dati in
mano alla giustizia, torna a Roma, _ivi_. Suoi affanni per Benevento
stessa assediata da' Normanni, 543. Tiene un concilio in Ceperano,
in cui dà l'investitura della Puglia, Calabria e Sicilia al duca
Guglielmo, _ivi_, 544. Suo concilio in Troia, 546. E Lateranense, 549.
Suoi affanni, 553. Pel ritorno di Arrigo V Augusto in Roma si ritira a
Benevento, 556. Scomunica e depone l'arcivescovo Burdino, 557. Riceve
gli ambasciatori di Alessio Comneno, imperadore d'Oriente, 559. Fine di
sua vita, _ivi_.

Pasquale III antipapa, IV, 788. Induce l'imperadore Federigo I
all'assedio di Roma, 807. Muore impenitente, 821.

Pasquale Malipiero doge di Venezia, V, 1247.

Passerino de' Bonacossi (Rinaldo), signor di Mantova, V, 349. Acquista
la signoria di Modena, 359. Fa guerra a Cremona, 385, 390. Gli è tolta
Modena, 401. E restituita, 407. Scomunicato da papa Giovanni XXII, 411.
Sua crudeltà contro Francesco dalla Mirandola, 420. Dà una gran rotta
ai Bolognesi, 449. Gli si ribella Modena, 458. È ucciso dai Gonzaghi,
474.

Passieno (Vibio), proconsole dell'Africa sotto lo imperadore Gallieno,
I, 923.

Paterini o Catari appellati gli eretici manichei, IV, 856. Come diffusi
per l'Italia, 1098, 1099, 1115.

Paterno (Tarrutino, ossia Tarutennio), prefetto del pretorio sotto
Commodo, I, 585. Creato senatore, poi da lui fatto uccidere, 604.

Paterno (Ovinio), prefetto di Roma sotto l'imperadore Probo, I, 997.

Patriarca, titolo con cui si disegnavano in Occidente gli arcivescovi
e metropolitani, II, 845, 1007. Assunto dagli arcivescovi scismatici
d'Aquileia per essere indipendenti dai romani pontefici, 1006.

Patricio, o Patriciolo, figlio di Aspare, creato Cesare da Leone
Augusto, II, 632. È ucciso col padre, 637.

Patriziato di Roma, esibito da Gregorio III papa a Carlo Martello, III,
218. Che dignità fosse, 368, 379.

Patrizio, console sotto l'imperadore Anastasio, II, 735.

Patroclo, vescovo d'Arles, ucciso, II, 465.

Pavesi, distruggono il palazzo regale, IV, 145, 150. Guerra lor fatta
da Corrado re d'Italia, 152. Rimessi in grazia sua, 160. Lor guerra
coi Milanesi, e da loro vinti, 294. Fan guerra a Tortona e a Milano,
514. Sconfitti dai Milanesi, 518, 618. Salvati dalla clemenza di
Lottario Augusto, 642. Loro battaglie coi Milanesi, 718, 732. Uniti
coll'imperadore Federigo I danno un'altra battaglia agli stessi
Milanesi, 766. Distruggono Tortona, 786. Lor guerre coi Milanesi, 817,
972, 975, 1020, 1031. Dagli stessi è tolto lor Vigevano, V, 69. Pace
co' loro avversarii, 123. Si fa loro signore Guglielmo marchese di
Monferrato, 202. Poi Manfredi di Beccheria, 206. Prendono Ricciardino
conte di Langusco per loro signore, 369.

Pavia, saccheggiata dagli Eruli sotto la condotta d'Odoacre, II, 661.
Assediata da Alboino re dei Longobardi, 1004. Dopo lungo assedio a
lui si rende, 1010. Onde abbia preso il suo nome, 1075. Suo vescovato
esente dalla metropoli di Milano, III, 145. Assediata dal re Pippino,
257, 261. E da Carlo Magno, 316. A cui si rende, 318. Presa e
incendiata dagli Ungheri, 1020. Bruciata dai Tedeschi sotto Arrigo I
imperadore, IV, 73. Aderente ad Ardoino re, e perciò nemica di Milano,
99. Maltrattata da Corrado I Augusto, 152. Signoreggiata da Filippo
conte di Langusco, V, 268. Congiura con altri per la caduta di Matteo
Visconte, duca di Milano, 278. Guerra mossale da Matteo Visconte, 357.
Giura fedeltà al re Roberto, 360. Presa da Azzo Visconte, 509. Carlo,
figliuolo del re di Boemia, tenta inutilmente di portarle soccorso,
514. Castellano da Beccheria suo signore, 585. Assediata da Galeazzo
e Bernabò Visconti, 653, 666. Si rende a Galeazzo II, 673. Il quale
vi fonda una celebre università, 682. Assediata da Francesco I re di
Francia, VI, 408. Che è rotto e fatto prigione, 415. Presa da' Franzesi
e messa a sacco, 448. Ricuperata da Antonio da Leva, 457. Ripresa dai
Franzesi, 458. Poi dagli Spagnuoli, 471. Goduta da Antonio da Leva,
473.

Pausania, scrittore a' tempi di Marco Aurelio, I, 592.

Pazzi: loro congiura contro i Medici, VI, 59.

Pediano (Quinto Asconio), storico a' tempi dell'imperadore Vespasiano,
I, 310.

Pelagia, moglie di Bonifacio conte, II, 484.

Pelagiani, condannati da Innocenzo I papa, II, 434. E da Zosimo, 437.
Costituzione dell'imperadore Onorio contro d'essi, 441.

Pelagio, patrizio e poeta, fatto morir da Zenone Augusto, II, 690.

Pelagio, diacono romano, inviato al re Totila, II, 909. Il placa
entrato in Roma, 911, 912. Dallo stesso Totila spedito all'imperadore
Giustiniano per trattar di pace, 912. Eletto papa, 959. Tenta di
reprimere lo scisma di Paolino arcivescovo di Aquileia, 962. Passa
all'altra vita, 970.

Pelagio II papa. Sua consecrazione, II, 1031. Sua lettera ad Elia
arcivescovo d'Aquileia, 1059. Fine de' suoi giorni, 1071.

Pelagio, re dei cristiani in Ispagna: sue vittorie contro i Saraceni,
III, 144.

Pelagio, vescovo di Albano, da papa Onorio III spedito all'imperadore
Federigo II per istabilire seco lui una convenzione, IV, 1066.

Pellegrino, vescovo di Miseno, II, 796.

Pellegrino, patriarca d'Aquileia, IV, 762. Interviene al conciliabolo
tenuto a Lodi dall'antipapa Vittore, 771.

Pemmone, duca del Friuli, III, 124. Sua vittoria sugli Schiavoni, 160.
È deposto, 207.

Perenne, prefetto del pretorio sotto Commodo, I, 598. La sua avidità
cagionò la rovina al suo padrone, 599. Mal arnese di esso Augusto, 601,
602, 605. Divien padrone della corte, 606. Principio e fine della sua
rovina, 607, 609.

Perfetti (Bernardino), sanese, poeta, coronato in Roma, VII, 321.

Persia, occupata dai Saraceni, II, 1225.

Persiani, Maomettani di setta diversa da quella dei Turchi, II, 1225,
1269, 1290. _V._ Sapore.

Persico, storico. _V._ Prisco.

Pertinace (Elvio), che fu poi imperadore, va alla guerra contro i
Marcomanni, I, 556. Creato console, 565. Generale di Commodo nella
Bretagna, 611. Presidente dell'annona, 619. Proclamato imperadore, 632.
Suo lodevol governo, 636. Ucciso dai soldati, 639, 640. Suo funerale
652.

Pertinace (Elvio), figlio di Pertinace Augusto, creduto console, I,
721. Suo detto acuto, 727. Fatto uccidere dall'imperador Caracalla,
_ivi_.

Perugia, ritolta ai Longobardi da Romano esarco, II, 1086. Ripigliata
da essi Longobardi, 1090. Non capitale della Toscana dei Longobardi,
III, 224. Occupata da Ridolfo Buglione, VI, 507. Ricuperata da papa
Paolo III, 510.

Perugini: lor guerra civile, IV, 1100. Sconfitti da Federigo II,
1196. Fan guerra a Foligno, V, 159. Lor guerre coi vicini, 335.
Assediano Spoleti, 409. Loro si ribella Assisi, 417. Loro crudeltà in
ripigliarla, 432. Costringono alla resa Spoleti, 441. Guerra fra essi e
i Sanesi, 669. Pace fra loro, 670. Fa loro guerra Braccio da Montone,
1002. Il ricevono per loro signore, 1004. Tornano all'ubbidienza del
papa 1056. Guerra civile fra loro, VI, 109.

Peste orribile ai tempi di Tito, I, 312, 322.

Peste orribile ai tempi di Marco Aurelio, I, 544, 553.

Peste orribile ai tempi di Commodo, I, 616.

Peste orribile ai tempi di Gallo e Volusiano, I, 874.

Peste orribile ai tempi di Giustiniano a Costantinopoli, II, 966.

Peste orribile ai tempi di Giustino II, che quasi disertò l'Italia, II,
984.

Peste orribile ai tempi del re Bertarido, in Roma e Pavia, III, 59.

Peste nel 1340, V, 551.

Peste nel 1348, V, 597.

Peste nel 1361, V, 684.

Peste nel 1374 in quasi tutta la Lombardia, V, 743.

Peste nel 1383, specialmente dal Friuli a Venezia, V, 794.

Peste nel 1397 in Genova e in altre città, V, 879.

Peste nel 1449, in Roma, V, 1213.

Peste nel 1450, in Milano e Piacenza specialmente, V, 1219.

Peste nel 1463, specialmente in Ferrara, V, 1280.

Peste nel 1478 a Venezia, VI, 65.

Peste nel 1481 a Roma, VI, 77.

Peste nel 1576, particolarmente in Venezia, VI, 769, 770.

Peste nel 1630, specialmente in Venezia, e nel dominio in terra ferma
di quella repubblica, VI, 1047.

Peste nel 1631, in quasi tutta l'Italia, VI, 1047.

Peste nel 1713 nell'Austria e Baviera, minacciante l'Italia, che ne
fu preservata dalle precauzioni prese particolarmente dalla repubblica
veneta, VII, 256.

Peste nel 1720 in Marsilia, VII, 300.

Peste nel 1743 in Messina, VII, 518.

Petervaradino, battaglia quivi data dalle truppe dell'imperadore Carlo
VI, sotto il comando del principe Eugenio di Savoia, ai Turchi, colla
disfatta di questi, VII, 270.

Peto (Cecina), uomo consolare, reo di sollevazione, sotto l'imperadore
Claudio, ucciso, I, 153.

Peto (Lucio Cesennio), da Nerone inviato generale in Armenia contro
i Parti, I, 226. Dov'è disfatto, 228. Tuttavia ottiene il perdono
dall'imperadore, _ivi_. Creato governatore della Soria dall'imperadore
Vespasiano, 297.

Petrarca (Francesco), poeta insigne, con molte dimostrazioni di
stima e finezza ricevuto e trattato da Roberto re di Napoli, V, 559.
Sua coronazione in Roma, _ivi_. Sua riputazione, 610. Alle nozze di
Lionello, figlio del re d'Inghilterra con Violante figlia di Bernabò
Visconte duca di Milano, 712. Da Francesco da Carrara, signore di
Padova, spedito a Venezia per ottener pace, 740, 741. Sua morte, 744.

Petronace, abbate ristoratore del monistero di Monte Casino, III, 160,
239.

Petronace, arcivescovo di Ravenna, III, 523.

Petronio (Caio), già console, fatto morir da Nerone, I, 240.

Petronio, suocero di Valente Augusto, sua crudeltà, II, 154.

Petronio (San), vescovo di Bologna, II, 511.

Piacentini: loro armata sconfitta dai Parmigiani e Cremonesi, IV,
699. Lor lega co' Milanesi, 700. Rotta loro data dai Parmigiani, 711.
Fortificano la lor città, 738. Come si acconciassero con Federigo
Augusto, 751. Al quale poi fan guerra, 765. Con dure condizioni
ottengono da esso la pace, 779. Lor guerra coi Parmigiani per cagione
di Borgo San Donnino, 965. Sconfitti dai Cremonesi, 971. Cacciati da
quella città gli ecclesiastici, 987. Rotta lor data dai Cremonesi,
1031. Guerre civili fra essi, 1038, 1040, 1046. Pace fra loro procurata
dal cardinale Ugolino, vescovo d'Ostia, 1051. Nuova discordia fra loro,
_ivi_. Gozzo de' Coleoni, podestà di Cremona, mette pace nuovamente
fra essi, 1057, 1058. Nuova rottura fra d'essi, 1115. Si tornano a
pacificare, 1121. Guerra ancora civile tra di essi, 1128. Si ribellano
all'imperadore Federigo II, 1132. Lor guerra coi circonvicini, 1149.
Aderenti al papa Innocenzo IV, 1191. Prevale nella lor città la fazion
ghibellina, 1218. Guerra civile fra essi, 1226. Eleggono per loro
signore Oberto marchese Pelavicino, 1245. Lo scacciano, 1264. Sono
da lui sconfitti, V, 27. Lo ripigliano, 30. Si sottraggono di nuovo
dalla sua ubbidienza, 62. Guerra d'essi coi fuorusciti, 83, 84. Si
sottopongono a Carlo I re di Sicilia, 86. Prendono per loro signore
Alberto Scotto, 208. Scacciatolo, si rimettono in libertà, 294.
Per forza a lui di nuovo si sottomettono, 328, 329. Riacquistano la
libertà, 334. Di nuovo ritornano sotto la signoria di lui, 358.

Piacentino, vescovo di Veletri, III, 64.

Piacenza. Galeazzo, figlio di Matteo Visconte, duca di Milano,
dall'imperadore Arrigo VII creato vicario imperiale in essa, V, 368. Si
dà al papa Giovanni XXII, 429. Francesco Scotto ne divien signore, 528.
Che poi la cede ad Azzo Visconte, 531. Si ribella al duca di Milano,
915. Occupata da Ottobuono de' Terzi, 923. Poi da Giovanni di Vignate,
che la dona a Sigismondo Cesare, 987. È ricuperata da Filippo duca di
Milano, 994. Occupata da Filippo degli Arcelli, 999. Si sottomette
ai Veneziani, 1190. Assediata da Francesco Sforza, 1192. Presa e
saccheggiata, 1193. Riceve per padrone Francesco Sforza, 1203. Si
rivoltano i contadini, 1270. Occupata dall'armi dell'imperadore Carlo
V, 590. Consegnata al duca Ottavio Farnese duca di Parma, 652. Si rende
agli Spagnuoli, VII, 560, 561. Bloccata dagli Austriaci, 582. Battaglia
sotto di essa fra i Gallispani e gli Austriaci, 586. I quali ultimi
abbandonano quel blocco, 591. E poi se ne impadroniscono pel re sardo,
598.

Piacenza e Parma, si rendono all'armi di papa Giulio II, VI, 289.
Ritolte dal Cardona, 298. Ritornano al papa, 300. Date a Pier-Luigi
Farnese, 574.

Piazza Traiana, in Roma, fabbrica mirabile, I, 414.

Picco (Gian-Francesco), signor della Mirandola, ucciso, VI, 500.

Pier Crisologo (San), primo arcivescovo di Ravenna, II, 502.

Pier Saccone de' Tarlati, signore di Arezzo, V, 464. Cede quella città
ai Fiorentini, 537.

Pierio, conte de' domestici, ossia capitano delle guardie del re
Odoacre, ucciso, nella battaglia sull'Adda, da Teoderico re de' Goti,
II, 704.

Pietra-Santa, terra: suo principio, V, 363.

Pietro Apostolo: anno primo del suo pontificato, I, 81. Martirizzato
sotto Nerone, 239.

Pietro Fullone, eretico, occupatore della Chiesa antiochena,
condannato, II, 690. Sua morte, 695.

Pietro Mongo, eretico, occupatore della Chiesa di Alessandria,
condannato, II, 690. Sua morte, 703.

Pietro, vescovo d'Altino, eletto dal re Teoderico, ariano, per
visitatore della Chiesa Romana, II, 745. E perciò condannato in un
concilio, _ivi_.

Pietro, patriarca di Costantinopoli, II, 1262. Sua lettera sinodica
rigettata dal clero e popolo romano, 1263.

Pietro, patriarca d'Aquileia, III, 102.

Pietro, duca ossia governatore di Roma, III, 145, 146.

Pietro, vescovo di Pola, eletto patriarca di Grado, III, 173.

Pietro, duca del Friuli, III, 240.

Pietro Pisano, maestro di Carlo Magno, III, 345.

Pietro, arcivescovo di Milano, III, 394.

Pietro, abbate di Nonantola, III, 444, 524. Inviato da Carlo Magno
ambasciatore a Leone III Augusto, 483.

Pietro, vescovo di Cento Celle, III, 529, 597.

Pietro Tradonico doge di Venezia, III, 600. Conchiude un trattato
di pace co' pirati schiavoni, 608. È creato spatario imperiale da
Teofilo imperadore de' Greci, _ivi_. Ottiene dagl'imperadori Lottario
e Lodovico II la conferma delle esenzioni de' beni goduti da' Veneziani
nel regno d'Italia, 627, 680. È ucciso in una congiura, 704.

Pietro, eletto tutore ed aio del giovinetto Sicone principe di Salerno,
III, 664, 669. Col veleno lo toglie di vita, 670. Creato principe di
Salerno, fa guerra ai Saraceni ed è sconfitto, 680, 681.

Pietro, vescovo di Salerno, III, 696.

Pietro, patriarca di Grado, III, 763, 788.

Pietro, vescovo di Sinigaglia, III, 790.

Pietro, vescovo di Fossombrone, III, 790.

Pietro, vescovo di Salerno, III, 809.

Pietro Candiano, doge di Venezia, III, 859.

Pietro Tribuno, doge di Venezia, III, 874. È creato protospatario da
Leone imperadore di Costantinopoli, _ivi_. Diploma di Guido Augusto in
favore di lui, 888. Mette in fuga gli Ungheri, 966. Suo fine, 983.

Pietro, arcivescovo di Benevento, III, 897. È esiliato da Guido duca
di Spoleti, 920. Da lui richiamato, _ivi_. Lasciato governatore di
Benevento da Atenolfo principe beneventano, 970.

Pietro, vescovo d'Arezzo, III, 943.

Pietro, vescovo di Reggio, III, 953, 984.

Pietro, vescovo di Lucca, III, 1009, 1019, 1039.

Pietro, vescovo di Como, III, 1042.

Pietro Candiano II, doge di Venezia, III, 1056. Manda il figlio Pietro,
che fu poi doge, alla corte di Costantinopoli con assaissimi regali,
ed ottiene da quell'Augusto la dignità di protospatario, _ivi_. Prende
Comacchio, e la dà alle fiamme, 1063. Giugne al fine di sua vita, 1079.

Pietro Badoero, doge di Venezia, III, 1079. Arriva al fine di sua vita,
1090.

Pietro, arcivescovo di Ravenna, III, 1080, 1095. Rinunzia alla sua
Chiesa, 1199.

Pietro Candiano III, doge di Venezia, III, 1190. Sconfigge il re
Adalberto, 1130. Col consiglio ed assenso del popolo crea suo collega
il figlio Pietro, 1133. Che gli si ribella, _ivi_. Sua morte, 1142.

Pietro Candiano IV, si ribella dal padre, che l'avea assunto a collega
nel dogado, III, 1133. Esiliato, va a trovare Guido, figlio del re
Berengario, 1134. Fa guerra a' Veneziani, _ivi_. Rimesso in governo dal
popolo dopo la morte del padre, 1142. Abolisce la mercatanzia dei servi
o schiavi cristiani, rinnovando il decreto già fatto dal doge Orso I,
1148. Manda due ambasciatori all'imperadore Ottone I, da cui ottiene
la conferma di tutti i privilegii, 1169. Suo editto contro i Saraceni,
1200. Ripudia la moglie, obbligandola al chiostro, 1214. Si sposa con
Gualdrada, sorella di Ugo duca e marchese di Toscana, _ivi_. Tratta
con troppo rigore e superbia il popolo, _ivi_. Congiura contro di
lui, _ivi_. Non potendo espugnare il palazzo, per consiglio di Pietro
Orseolo, che poi fu doge, vi attaccano il fuoco, _ivi_. Preso, mentre
fuggia, col figlio è trucidato dai principali della città, _ivi_.

Pietro, vescovo di Pavia, III, 1203, 1242. Creato papa, 1250, 1251.
_V._ Giovanni XIV.

Pietro Orseolo, doge di Venezia, III, 1214. Con destrezza manda un
ambasciatore all'imperadrice Adelaide, madre dell'Augusto Ottone II,
suscitata contro lui e la repubblica da Gualdrada, vedova dell'ucciso
Pietro Candiano, ed ottiene una composizione, 1218. Da Guarino abbate
di San Michele di Cusano in Guascogna è persuaso di farsi monaco,
1220. Segretamente fugge da Venezia, e si porta in Francia, ove prende
l'abito monastico, _ivi_.

Pietro II, vescovo di Vercelli, va in Oriente, ove resta prigione per
gran tempo, III, 1238.

Pietro, abbate di San Pietro in _Coelo aureo_ di Pavia, III, 1257.

Pietro Orseolo II, figlio dell'altro Pietro Orseolo, doge di Venezia,
III, 1272. Manda i suoi legati a Costantinopoli, ed ottiene dagli
imperadori Basilio e Costantino la conferma de' privilegii, 1275. Come
pure dall'imperadore Ottone III la conferma dei vecchi patti, _ivi_.
Ristora Grado, 1278. Invia suo figlio Pietro a Verona a far riverenza
al re Ottone III, che lo tiene alla cresima, IV, 16. Dal quale
ottiene un privilegio, _ivi_. A requisizione di Basilio e Costantino,
imperadori d'Oriente, manda a Costantinopoli il figlio Giovanni, cui è
data in moglie Maria, figlia di Argiro, 39. Il qual figlio gli è poi
dato a collega, _ivi_. Sua vittoria contra i Saraceni, padroni della
Sicilia, 60. Gli sono rapiti dalla morte la nuora e il figlio, 78. Dà
fine al suo vivere, 87.

Pietro, vescovo di Vercelli, ucciso, IV, 36.

Pietro, vescovo di Como, ed arcicancelliere dell'imperadore Ottone III,
IV, 47, 48.

Pietro, vescovo di Novara, IV, 49.

Pietro Damiano insigne cardinale e scrittore: sua nascita, IV, 83. Suo
opuscolo intitolato _Gratissimus_, diretto all'imperadore Arrigo III,
254. Creato cardinale, e vescovo d'Ostia, 283. S'oppone a Benedetto X
papa intruso, 286. Toglie lo scisma del clero milanese incontinente,
295. Sua predizione non avverata, 308. Spedito da papa Alessandro
II a Firenze per lite mossa dai monaci e dal popolo a quel vescovo
Pietro, 313. Suoi versi pungenti per Ildebrando cardinale, 321. Da papa
Alessandro mandato quale legato in Germania, 336. Dallo stesso mandato
a Ravenna per dar sesto a quella sconcertata Chiesa, 350. Sua morte,
_ivi_.

Pietro, abbate della Pomposa, IV, 121.

Pietro Barbolano, doge di Venezia, IV, 155. È deposto ed esiliato a
Costantinopoli, 170.

Pietro, vescovo d'Asti, IV, 212.

Pietro Igneo. _V._ Giovanni e Pietro Igneo.

Pietro, abbate di San Tommaso di Pesaro, IV, 240.

Pietro, arcivescovo di Amalfi, spedito qual legato a Costantinopoli dal
papa Leone IX, IV, 266.

Pietro, vescovo di Lavicano, IV, 284.

Pietro, vescovo di Venafro e d'Isernia, IV, 297.

Pietro di Leone, potente in Roma a' tempi di papa Alessandro II, di
nazione giudaica, IV, 305. Consente e fa accettare per papa Guido
arcivescovo di Vienna, sotto il nome di Callisto II, già eletto a
succedergli da papa Gelasio II, 71.

Pietro, vescovo di Firenze, accusato di simonia, IV, 312. Lite a lui
mossa perciò dai monaci e dal popolo, 313. Quietata da san Pier Damiano
colà spedito a questo fine da papa Alessandro II, _ivi_. Suscitata di
nuovo questa accusa dai monaci vallombrosani, si ricorre a san Giovanni
Gualberto, 327. Il quale propone il giudizio del fuoco, _ivi_. Si fa
monaco, 328.

Pietro, abbate della Vangadizza, IV, 326.

Pietro, marchese di Susa, IV, 333.

Pietro romito, primo banditore della Crociata, IV, 464. Armata da lui
condotta per l'Ungheria e Bulgaria, 469.

Pietro, vescovo di Porto, IV, 571.

Pietro, figlio di Pietro di Lione, cardinale, IV, 571.

Pietro, arcivescovo di Pisa, con una flotta va contro i pirati Mori,
IV, 544.

Pietro, cardinale di Santa Anastasia, IV, 606.

Pietro Polano, doge di Venezia, IV, 615. Ottiene dall'imperadore
Lottario III la conferma dei patti e privilegii, 643. Fa guerra ai
Padovani, 674. Collegato coi Greci contro il re Ruggieri, 695. Termina
il suo vivere, 698.

Pietro, vescovo di Tortona, deposto da papa Innocenzo II nel concilio
da lui tenuto a Pisa, perchè fautore dell'antipapa Anacleto, IV, 627.

Pietro Abailardo, seminator di nuove dottrine, IV, 665.

Pietro, abbate di Clugnì, svaligiato dal marchese Obizzo Malaspina
mentre va a Roma, IV, 678. Onori impartitigli dal papa Eugenio III e
dal senato romano, dai cardinali e dai vescovi, 700.

Pietro Lombardo, Novarese, già vescovo di Parigi, sua morte, IV, 791.

Pietro Ziani, conte d'Arbe, figlio del già doge Sebastiano doge di
Venezia, IV, 992. Sua morte, 1091, 1092.

Pietro di Auxerre, con grande solennità in Roma coronato imperador di
Costantinopoli da papa Onorio III, IV, 1033.

Pietro, abbate di Monte Casino, accoglie l'imperadore Federigo II, IV,
1044.

Pietro da Collemezzo, arcivescovo di Roano, IV, 1179.

Pietro dalle Vigne, gran cancelliere e favorito dell'imperadore
Federigo II, IV, 1195. Caduto dalla grazia di quell'Augusto, è
abbacinato e spogliato di tutto, poi confinato in una prigione, dove,
dopo tre anni, si dà da sè la morte, _ivi_.

Pietro Capoccio, cardinale, spedito in Germania dal papa Innocenzo IV,
dove fa eleggere in re Guglielmo conte d'Olanda, IV, 1198.

Pietro, cardinale, legato apostolico presso il re Manfredi, IV, 1228.

Pietro da Verona, dell'ordine de' Predicatori, ucciso dagli eretici, e
poscia canonizzato, IV, 1231.

Pietro, re d'Arragona, marito di Costanza, figlia del re Manfredi, V,
29. Accudisce alla conquista della Sicilia, 147, 148. Entra in Palermo,
ed è proclamato re, 152. Acquista Reggio, ed accetta il duello col
re Carlo I, 160, 161. Al quale poi manca, 162. Dal papa Martino IV
dichiarato usurpatore e decaduto dal regno, 163. Difende la Catalogna
dai Franzesi, 179. Fine de' suoi giorni, 180.

Pietro da Tarantasia, cardinale, eletto papa, V, 115. _V._ Innocenzo
_V._

Pietro Gradenigo doge di Venezia, V, 205. Congiura contra di lui, 327.
Fine de' suoi giorni, 351.

Pietro dalla Colonna, cardinale, V, 209. Processato dal papa Bonifazio
VIII, 250, 251. Assolto da Benedetto XI, 289, 296.

Pietro figlio di don Federigo re di Sicilia, coronato re, V, 423. Sue
nozze con Isabella figlia del duca di Carintia, _ivi_. Conduce una
flotta in favore di Lodovico il Bavaro, contro il re Roberto, 472.
Succede al padre, 538. Gli si ribellano i conti di Ventimiglia e di
Lentino, 539. Termina il suo vivere, 565.

Pietro Tremacoldo, soprannominato il Vecchio, uomo fiero, d'estrazione
vile, tiranno di Lodi, V, 475, 476. Gli è tolto il dominio da Azzo
Visconte, 527.

Pietro da Corvara, antipapa, V, 468. Fugge da Roma, 472. Dai Pisani è
consegnato a papa Giovanni XXII, 489. Abiurati i suoi errori, ne riceve
l'assoluzione, _ivi_. Passato ad Avignone, quivi pubblicamente innanzi
al papa rinnova la sua abiura, _ivi_. È cacciato in prigione, ove
muore, _ivi_.

Pietro de' Rossi, signore o vicario di Lucca per Giovanni re di Boemia,
V, 515. La cede agli Scaligeri, 525. Generale de' Fiorentini, 533.
Prende Padova e fa prigione Alberto dalla Scala, che manda a Venezia,
536. Ucciso sotto Monselice, _ivi_.

Pietro di Beltrando, cardinale, corona Carlo IV imperatore, V, 645.

Pietro Ruggieri, cardinale di Santa Maria Nuova, eletto papa, V, 723.
_V._ Gregorio XI.

Pietro Bituricense, cardinale, legato in Italia di papa Gregorio XI, V,
732. Sua vittoria sui Visconti, 736.

Pietro Lusignano, re di Cipri, oppresso da' Genovesi, V, 741. A cui
lasciano il titolo di re nell'accordargli la pace, coll'obbligo d'un
tributo, _ivi_.

Pietro Corsini, cardinale, vescovo di Porto, si ribella a papa Urbano
VI, V, 763.

Pietro di Luna, cardinale, uno degli autori del grande scisma contro
Urbano VI papa, V, 763. È creato antipapa col nome di Benedetto XIII,
859. Suoi finti trattati per l'union della Chiesa, 864, 868, 880. È
assediato dai Franzesi, 880, 884. _V._ Benedetto antipapa.

Pietro Gambacorta, signor di Pisa, riceve ed onora papa Urbano VI,
V, 811. Dal quale ottiene la liberazione de' sei cardinali che tenea
prigioni, _ivi_. Cerca di accordare fra loro i Fiorentini e Bolognesi
con Gian-Galeazzo Visconte, 831. Ucciso da Jacopo d'Appiano, che usurpa
quel dominio, 853.

Pietro, vescovo di Meaux, governatore di Genova, V, 879.

Pietro Filargo, da Candia, arcivescovo di Milano, V, 913. È creato papa
col nome di Alessandro V, 962. Va a Bologna, e quivi passa a miglior
vita, 969, 970.

Pietro Stefanacci, cardinale di Sant'Angelo, V, 1008.

Pietro da Campofregoso, doge di Genova, V, 1220. Si difende contro
l'armi del re Alfonso, 1242, 1245, 1246. Dà la sua città a Carlo VII
re di Francia, 1249. Suoi sforzi per toglier Genova ai Franzesi, 1256.
V'entra co' suoi aderenti, ma combattendo resta ucciso, 1257.

Pietro Riario, cardinale, VI, 43. Suo lusso poco lodato, 46. Fine de'
suoi giorni, 48.

Pietro Mocenigo, doge di Venezia, VI, 50. Sua morte, 55.

Pietro de Medici, succede a Lorenzo suo padre negli onori, VI, 110.
Suoi imbrogli coi Fiorentini, 122. Che il dichiarano ribello, 123.
Cerca di tornare in patria, ma inutilmente, 145.

Pietro Loredano, doge di Venezia, VI, 730. Sua morte, 743.

Pietro II, re di Portogallo, entra in lega con l'imperador Leopoldo,
VII, 179.

Pilato (Ponzio), spedito dall'imperadore Tiberio per procuratore e
governator della Giudea, I, 73.

Pileo da Prata, cardinale a arcivescovo di Ravenna, in sospetto a papa
Urbano VI, fugge a Genova, poi va ad unirsi coll'antipapa Clemente, V,
812.

Piligrino, arcivescovo di Colonia, IV, 134, 135, 187.

Pinamonte de' Bonacolsi, ossia de' Bonacossi, creato signore di
Mantova, V, 86. Sposa la fazion ghibellina, 97, 191. Dal figlio
Bardelone è cacciato in prigione, 217.

Pinerolo ceduto ai Franzesi, VI, 1051. Restituito al duca di Savoia,
VII, 122.

Piniano (Severo), prefetto di Roma sotto l'imperadore Valentiniano II,
II, 256, 259, 264.

Pino degli Ordelaffi, nipote di Sinibaldo, signore di Forlì, V, 811.
Sua guerra co' Malatesti, 858. Sua morte, 912.

Pino degli Ordelaffi, figlio di Antonio signore di Forlì, V, 1203.
Chiamato a quella signoria, dopo cacciato il fratello Cino, VI, 22.
Generale dell'armi venete in aiuto di papa Paolo II contro il re
Roberto di Napoli, 32. Termina i suoi giorni, 70.

Pio I, romano pontefice, I, 494. Suo martirio, 508.

Pio II papa. Sua elezione, V, 1252. (_V._ Enea Silvio.) Suo accordo col
re Ferdinando, e viaggio a Mantova, 1253. Dove tiene una gran dieta,
1257. Fine del viver suo, VI, 11.

Pio III papa, dianzi Francesco Piccolomini. Suo breve pontificato, VI,
202, 203.

Pio IV papa. Sua elezione, VI, 685. Suo buon principio, _ivi_. Rigorosa
giustizia contro i Caraffi, 686. Riapre il concilio di Trento, 693.
Benefizii da lui fatti a Roma, 694, 701. Dà fine al concilio di Trento,
703. Congiura scoperta contro di lui, 709. Varie azioni sue, 715.
Termina la vita, 716.

Pio V papa. Sua creazione, VI, 719. Dà soccorsi contro i Turchi, 722.
E contro gli Ugonotti di Francia, 729, 738. Varie sue lodevoli azioni,
737. Dichiara granduca Cosimo de' Medici, 739. Scomunica Elisabetta
regina d'Inghilterra, 745. Vittoria delle Curzolari contro i Turchi a
lui rivelata da Dio, 752. Sua morte e santità, 753.

Pipa, figlia del re de' Marcomanni, concubina dell'imperadore Gallieno,
il quale, per averla, cedette a quel re una parte della Pannonia
superiore, I, 925.

Pippino, duca, avo di Pippino re di Francia, II, 1173.

Pippino il Grosso, usurpa la redini del regno di Francia, mentre regna
Clodoveo III, III, 76. E continua sotto Childeberto III, 96. Poi anche
sotto Dagoberto III, 137. Sua morte, 148.

Pippino, figlio di Carlo Martello. Sua nascita, III, 148. Adottato dal
re Liutprando, 204. Succede al padre, 226, 230. Sue guerre, 237. Creato
re de' Franchi coll'autorità del papa Zacheria, 246. Conquista varie
città de' Saraceni, 250. È coronato e dichiarato patrizio de' Romani da
papa Stefano II, 255. Cala in Italia, e costringe il re Astolfo alla
restituzione dell'Esarcato, 257. Torna in Francia, _ivi_. Viene di
nuovo in Italia contra di lui, 259, 260. Dona l'Esarcato alla Chiesa
Romana, 260. Che cosa comprendesse tal donazione, 268. Sua guerra con
Guaifario duca d'Aquitania, 282. Cessa di vivere, 292.

Pippino, figlio di Carlo Magno. Sua nascita, III, 332. Battezzato in
Roma da papa Adriano, 343. Creato re d'Italia, 344, 351, 365. Fa guerra
a Grimoaldo duca di Benevento, 390. Prende moglie, e fa guerra agli
Unni, 403, 404. S'impadronisce di Rieti, 432. Continua la guerra al
duca Grimoaldo, 437. Stati a lui lasciati dal padre, 451. Fa guerra ai
Veneziani, 469. È rapito dalla morte, 470.

Pippino, figlio bastardo di Carlo Magno, congiura contro il padre, III,
387.

Pippino, re d'Aquitania, figlio di Lodovico Pio, III, 499, 512.
Riduce al dovere i popoli della Guascogna, 522. Stati a lui toccati
nella partizione fatta dal padre, 528, 529. Si ribella al padre, 571.
Riconciliato con lui, 574. Fugge dal padre, 577. Ripiglia le armi
contro di lui, 582. Poscia il protegge, 588. Se ne risente al padre
stesso per l'esaltazione del minor fratello Carlo, 599. È rapito dalla
morte, 605.

Pippino II, figlio di Pippino re d'Aquitania, proclamato re di quel
paese dopo la morte del padre, III, 607. Protetto dallo zio Lottario,
614. Riconosciuto per re dalla maggior parte degli Aquitanii, 629.
Dallo zio Carlo gli è tolto a forza il regno, _ivi_. Lo racquista, 643.

Pirro, patriarca di Costantinopoli, fautore del Monotelismo, II, 1221.
Rinunzia la sua dignità, 1227. Sua disputa con san Massimo abbate, e va
a Roma, 1238. Scomunicato da papa Teodoro, 1242, 1245. Soa morte, 1262.

Pirro, abbate casinense, V, 1125.

Pisa, posta a sacco e devastata dai Normanni, III, 691. Tempo nel quale
comincia a segnalarsi nelle armi e nel commercio, IV, 76. Saccheggiata
dai Saraceni, 77. Presa da Lodovico il Bavaro, che vi crea vicario
Castruccio degli Interminelli, V, 463. Il quale si porta a prenderne
il possesso, 469. Torna sotto il Bavaro, e le costa caro, 473.
Riacquista la libertà, 487. Le fan guerra i Fiorentini, VI, 210, 214,
231. Soccorsa dal vicerè di Napoli, 216. Costretta alla resa da essi
Fiorentini, 250. Conciliabolo in essa tenuto, 269.

Pisani, conquistano la Sardegna, IV, 116, 118, 131. E varii luoghi
in Africa, 182, 183. Vincono Mugetto re de' Saraceni africani, 248.
Insultano i Mori in Palermo, 316. Loro guerra coi Genovesi, 392.
Lor vittoria sui Tunisini, 434. Da papa Urbano II, ad istanza della
contessa Matilda, eretta la lor chiesa in arcivescovato, 454. Daiberto
primo loro arcivescovo, a cui sono sottomessi i vescovati della
Corsica, _ivi_. Mandano soccorsi in Terra Santa, 483. Acquistano
Evizza, 544. E Maiorica, 548. Da una bolla di Gelasio II è confermata
alla lor chiesa il privilegio sopra i vescovati di Corsica, 567. Guerra
loro mossa dai Genovesi per questo, 574, 578, 584. Portata a Roma la
lor lite, la sentenza è loro contraria, per cui maggiormente s'accese
la guerra tra loro, 588. Che continua, 594, 596, 610. Saccheggiano
Amalfi, 636. Colle lor forze assistono Lottario Augusto nella guerra
di Puglia, 649. Fan guerra ai Lucchesi, 677. Loro discordia coi
Genovesi nella città di Costantinopoli, per cui ne nasce un'accanita
guerra, 783. Loro ambascieria all'imperadore Federico I, 786. Dal
quale sono investiti di tutte le regalie, _ivi_. In cui favore armano
molte galee contro il re di Sicilia, _ivi_. Dallo stesso imperadore
sono investiti di tutta l'isola di Sardegna, 791. Della quale
s'impossessano, _ivi_. Lor guerra coi Genovesi per ciò, 795, 799. Uniti
con Federigo Augusto, 809. Guerra di essi coi Lucchesi, 819. E coi
Genovesi, _ivi_. Loro lega coi Fiorentini contro i Genovesi stessi,
828. Messi al bando dell'imperio da Cristiano arcivescovo eletto di
Magonza ed arcicancelliere dell'imperio, 831, 832. Mettono in rotta
i Lucchesi, 836. Pace fra essi e i Genovesi, 849. E di nuovo guerra,
906. Vanno in aiuto di Arrigo VI Augusto, 936. Vengono alle mani coi
Genovesi, 938. Delusi da Arrigo VI Augusto, 941. Guerra lor fatta dai
Genovesi, 945. S'impadroniscono di Siracusa, che loro è tolta dipoi
dai Genovesi, 986. Tornano indarno ad assediarla, 990. Sardegna loro
sottoposta, 1035. Lor vittoria sulla flotta genovese, 1167. Guerra lor
fatta dai Fiorentini e Lucchesi, 1244, 1258. Danno coi Veneziani una
rotta ai Genovesi, 1274. Liberati dall'interdetto da papa Clemente IV,
V, 63. Sconfiggono la flotta de' Provenzali, 74. Rotta loro data dai
Lucchesi, 82. Guerra fra essi e i Genovesi, 159, 166. Grandi sconfitte
date loro dai Genovesi, 174. Lor pace coi Fiorentini, 182. Danno la
signoria della città a Guido conte di Montefeltro, 208. Favoriscono
Arrigo VII re de' Romani, 352. Per la morte di lui costernati, prendono
per loro signore Uguccione dalla Faggiuola, 368. S'impadroniscono
di Lucca, 378. Assediano Montecatino, 382. Grande sconfitta da loro
data ai Fiorentini, _ivi_. Scacciano Uguccione, e creano lor signore
il conte Gaddo de' Gherardeschi, 388. Fanno pace coi Fiorentini,
393. Assediano Lucca, e danno una rotta ai Fiorentini, 558. Prendono
quella città, 563. Lor civili discordie, 596. Varie loro azioni per la
venuta di Carlo IV imperadore, 644. Loro guerra coi Fiorentini, 689.
Sconfitti, fanno pace, 698, 699. Venduti a' Fiorentini, riacquistano
la libertà, 935. Creano lor capitano o doge Giovanni de' Gambacorti,
936. Si rendono a' Fiorentini, 945. Si sottraggono al loro dominio,
VI, 123. Sforzi vani de' Fiorentini contro di loro, 136. Smantellano
la cittadella, ed hanno soccorso dai Veneziani, 140. In aiuto di essi
viene pure Massimiliano Cesare, 142. Protetti da' Veneziani contro gli
stessi Fiorentini, 148. Assediati indarno dai Fiorentini, 153.

Pisone (Lucio), prefetto di Roma sotto l'imperadore Tiberio, I, 96.

Pisone (Gneo Calpurnio), governatore della Soria, ai tempi
dell'imperadore Tiberio, mentre Germanico Cesare era generale in quelle
parti, I, 55. Uomo violento e poco amico del suddetto Germanico, _ivi_.
Sospetti che gli procurasse la morte, 58. Processato per questo, si
uccide, 62.

Pisone (Caio Calpurnio); sua congiura contro Nerone scoperta, I, 235.
La paga colla sua vita, 237.

Pisone Frugi (Lucio Calpurino), imperadore efimero, I, 908.

Pistoia. Divisione in essa fra la nobiltà in due fazioni, bianchi e
neri, V, 240, 270. Afflitta dalle fazioni civili, 273. E da' Fiorentini
e Lucchesi, 280. Che l'assediano, _ivi_, 300. E se ne impadroniscono,
305. Si rimette in libertà, 332. Ne diviene signore Castruccio degli
Interminelli, 446. Perduta e ripresa da lui, 469. Riacquista la
libertà, 487. Ne viene usurpata la signoria dai Fiorentini, 503.

Pitti, popoli della Scozia, vinti da Costanzo Cloro, I, 1069. Infestano
la Bretagna, 524.

Pittura, quando perfezionata in Italia, V, 899.

Pitzia, generale del re Teoderico, va in soccorso di Mundone, Unno,
nella Mesia, II, 576.

Placidia (Elia). _V._ Flacilla.

Placidia (Galla), sorella di Onorio Augusto, II, 263. Accompagna
il fratello Arcadio a Milano, 315, 316. Acconsente alla morte di
Serena sua parente, 390. Presa da Alarico re de' Goti, 402. Condotta
nelle Gallie dal re Ataulfo, che aspira alle sue nozze, 407. Per
sua insinuazione è trattenuto dall'inferocire contro l'Italia, 416.
Continua a dimorare con quel barbaro, 421. Finalmente s'induce a
prenderlo per marito, 424. Strapazzata dopo la morte di lui, 429. Torna
a Ravenna, 432. Sposata da Costanzo conte, 434. Partorisce Valentiniano
III, 440. Dichiarata Augusta, 445. Calunnie contro di lei, _ivi_, 446.
Esiliata dal fratello, si rifugia a Costantinopoli, 450, 451. Torna
in Italia dopo la morte di lui, 456, 461. Tutrice del figliuolo di
Valentiniano, 461, 464. Sospetta di tradimento Bonifazio conte, per la
perfidia di Aezio, 468. Di cui ne viene in chiaro, 474. Suo odio verso
Aezio, 482. Rimette in grazia Bonifazio, e lo dichiara generale delle
milizie, 483. Suo voto, per cui fabbrica la basilica di San Giovanni
Evangelista in Ravenna, 487. Pel matrimonio del figlio, cede l'Illirico
a Teodosio II padre dalla sposa, 498. Ottiene dal papa Sisto III, che
sia eretta in arcivescovato la Chiesa di Ravenna, 502. Va a Roma, 541.
Sua morte, 547.

Placidia, figlia di Valentiniano III Augusto, condotta prigioniera
da Genserico in Africa, II, 580. Maritata ad Olibrio, 586. Rimessa in
libertà, 599, 612.

Placidio, o Placido, console sotto re Odoacre, II, 679.

Placido, prefetto di Roma sotto l'imperadore Costanzo, II, 19.

Placilla (Elia), _V._ Flacilla.

Platina (Bartolommeo Sacchi detto il), scrittore insigne ai tempi del
papa Paolo II, VI, 21. Dallo stesso pontefice fatto imprigionare per
sospetti, 37. Sua morte, 77.

Platone, esarco di Ravenna, II, 1237, 1241, 1245.

Plautilla (Fulvia), figlia di Plauziano, già favorito dell'imperadore
Severo, maritata con Caracalla, I, 689. Da esso poi fatta morire, 714.

Plauto (Rubellio), esiliato ed ucciso da Nerone, I, 219.

Plauziano (Lucio Fulvio), favorito di Severo Augusto, I, 653. Prefetto
del pretorio, commette molte iniquità, 682, 683. Sua figlia maritata
con Caracalla, 689. Console, 690. Suoi vizii, 691. Severo cerca
d'abbassare la sua albagia, 693. Disgusti tra lui e il genero, 694. Da
cui è ucciso, 696.

Plauziano (Quintilio), senatore fatto morire da Severo Augusto, I, 701.

Plauzio (Aulo), pretore e governatore della Germania Inferiore sotto
l'imperadore Tiberio Claudio, 156, 157. Dal quale ottiene il piccolo
trionfo dell'ovazione, 170.

Plinio (Caio Secondo), il Vecchio, amico di Vespasiano Augusto, I, 295.
Sua storia naturale dedicata a Tito Cesare, 312. Quando e come morisse,
319, 320.

Plinio (Caio Cecillo), il Giovane nipote del precedente, corre rischio
della vita alla morte dello zio, I, 320. Console, 386. Assiste ai
giudizii di Traiano, 397. Inviato vice-pretore al governo del Ponto,
399. Lettere di lui a Traiano, 409. Celebre sua lettera in favor dei
cristiani, 412, 413.

Plotina (Pompea), moglie di Traiano: sue virtù, I, 382. Favorisce
Adriano, 408. Il porta allo imperio, 431. Onorata da lui in vita e in
morte, 447. Le è da lui fabbricata una maravigliosa basilica a Nimes in
Provenza, 452.

Plotino, celebre filosofo platonico sotto i Gordiani, I, 846. Sua
morte, 946.

Plutarco, insigne storico, e filosofo ai tempi di Adriano, I, 484.

Po: sua gran rotta con danno del Ferrarese, del Mantovano, Mirandolese
e Modenese, VII, 194.

Poggio de' Bracciolini, segretario della repubblica fiorentina, insigne
letterato: sua morte, V, 1258.

Polemone, re del Ponto, I, 119.

Polemone, re della Cilicia, I, 311.

Polemone, sofista a' tempi degl'imperadori Adriano ed Antonino Pio: sua
alterigia, I, 502.

Policarpo (San), interviene al concilio dal papa Aniceto tenuto in
Roma, nel quale fu decisa la controversia intorno al giorno di Pasqua,
I, 521.

Polieno, scrittore sotto l'imperadore Marco Aurelio, I, 591.

Pollenza, o Potenza, città una volta nel Monferrato. Presso di essa i
Goti sotto Alarico sono sconfitti da Stilicone generale dell'imperadore
Onorio, II, 364, 365.

Polo. _V._ Reginaldo Polo.

Polonia, assalita dai Turchi, VI, 1266.

Pompeiano (Claudio); con lui si rimarita Lucilla figlia di Marco
Aurelio, I, 554. Coll'Augusto suocero va a guerreggiar contro i
Marcomanni, 556. Creato console, 577. Congiura di Lucilla sua moglie
contro il fratello Commodo senza che n'abbia seniore, 602. Rifiuta la
dignità imperiale a lui offerta in pubblico senato da Pertinace, 634.
Colla sua prudenza fugge i pericoli sotto d'esso Augusto, _ivi_.

Pompeiano iuniore, perde la vita sotto Caracalla, I, 727.

Pompeiano (Ruricio), prefetto del pretorio sotto Massenzio; difende
Verona contro Costantino il Grande, I, 1108.

Pompejano, prefetto di Roma sotto l'imperadore Teodosio II, II, 381.

Pompeo (Gneo), genero di Claudio Augusto, I, 147, 158. Da lui è ucciso
per la malignità e calunnie di Messalina, 168.

Pomponio, celebre giurisconsulto a' tempi d'Alessandro imperadore, I,
771.

Pomposa, monistero insigne in Comacchio posseduto da Giovanni VIII
papa, e da lui restituito alla Chiesa di Ravenna, III, 763.

Pomposiano (Metio): clemenza di Vespasiano verso di lui, I, 309.
Esiliato in Corsica, poi fatto uccidere da Domiziano, 355.

Ponte mirabile fatto sul Danubio, dall'imperadore Traiano, I, 401.

Ponte magnifico, fabbricato sul Reno da Costantino il Grande, I, 1079.

Pontefice Massimo, titolo non preso da Costantino il Grande, I, 1130.

Pontefice romano: da chi fatta una volta la sua elezione, III, 70; IV,
289, 299.

Pontefici romani: loro elezione e consecrazione, come regolate una
volta, III, 924, 928, 956, 957.

Pontificato romano, ambito anche negli antichi secoli, II, 158.

Ponziano, pontefice romano, I, 796. Esiliato, e sua morte gloriosa, 814.

Ponzino de' Ponzoni, signor di Cremona, V, 397, 515. Rende quella città
ad Azzo Visconte, 520.

Ponzio, abbate di Clugnì, IV, 547.

Poppea Sabina. _V._ Sabina.

Poppone, patriarca d'Aquileia, viene in Italia coll'imperadore Arrigo
II, IV, 133. Muove lite al patriarca di Grado, chiamandolo usurpatore
di quel titolo, e come soggetto alla sedia sua, 142. S'impadronisce di
Grado, da dove poi viene scacciato dai Veneziani, 143. Dall'imperadore
Corrado II riceve in custodia Eriberto arcivescovo di Milano, 191. Dal
papa Benedetto IX ottiene un decreto che la Chiesa di Grado dovesse
riconoscere per metropolitano l'arcivescovo aquileiense, 220. Portatosi
con gente armata a Grado dà il sacco a tutto, non risparmiando neppur
le chiese, _ivi_.

Poppone, vescovo di Brixen, _V._ Damaso II.

Porfirio, filosofo celebre al tempo di Diocleziano imperadore, I, 1122.

Porga, principe de' Croati, II, 1203.

Portica di San Pietro, che fosse, IV, 559.

Porto vastissimo vicino a Roma, fatto fabbricare dall'imperadore
Tiberio Claudio, I, 148.

Portogallo, d'onde così chiamato, II, 590. Dominato dagli Svevi, 672.
Suo regno acquistato da Filippo II re di Spagna, VI, 785.

Portoghesi in lega con Carlo III, dichiarato re di Spagna, VII, 179.

Possidio, cattolico vescovo di Calama, esiliato da Genserico re de'
Vandali, II, 496.

Postumo (Marco Cassio Lazieno), generale di Valeriano Augusto, poscia
governatore delle Gallie sotto Gallieno, I, 900. Proclamato imperadore,
904. Sue azioni prima della ribellione, 913, 914. Riconosciuto da quasi
tutte le provincie, 914, 915. Suo mirabil fine, 926.

Postumo (Caio Giunio Cassio), figlio di Postumo seniore, creato
Augusto, 915. Sua morte, 926.

Precedenza tra gli arcivescovi di Milano e Ravenna, cagion di lite, IV,
158, 235.

Predicatori: loro ordine quando istituito, IV, 1029. Frutto delle loro
prediche, 1115.

Prefetti del pretorio d'Italia, Gallia, Illirico ed Oriente, I, 1115,
1193.

Prefetti di Roma, ristabiliti sotto gli Ottoni Augusti, loro autorità,
IV, 110.

Prefetto del pretorio: dignità onorevole e temuta, I, 184.

Prefetto di Roma, prestava una volta giuramento di fedeltà agli
imperadori, IV, 956. In seguito ai romani pontefici, 957.

Presente (Bruttio), suocero di Commodo Cesare, I, 581. Console, 587.

Presidio, console orientale sotto l'imperadore Anastasio, II, 717.

Pretestato (Vezio Agorio), prefetto di Roma sotto l'imperadore
Valentiniano, II, 156. Risposta da lui data a papa Damaso che
l'esortava a farsi cristiano, 158. Designato console, muore, 253.

Pretoriani, soldati, il terrore di Roma, I, 3, 88. Per forza vogliono
imperadore Claudio II, 142. Poi Nerone, 194. Insolenti sotto Nerva,
376. Proclamano Pertinace imperadore, 632. Poi Giuliano, 641.
Svergognati dall'imperadore Settimio Severo, 648. Sotto l'imperadore
Alessandro combattono col popolo di Roma, 789. Loro grande ardire sotto
lo stesso, 790. Altra loro rissa col popolo romano sotto l'imperadore
Massimino, 832. Nel qual tempo attaccano fuoco a Roma, 833. Ridotti
a poco numero da Galerio, 1077. Creduti i più valorosi degli altri
soldati, 1105. Aboliti da Costantino, 1114.

Priamo, Franco, avo del re Faramondo, II, 438.

Primigenio patriarca gradense, II, 1200.

Primo (Antonio), soprannominato Becco di Gallo: sue imprese in favore
di Vespasiano, I, 277. Mette in rotta le truppe di Vitellio, 279.
Giunto a Roma, opprime Vitellio stesso, 274. Abbattuto da Muciano
console, 286, 287.

Principi d'Italia: esorbitanti contribuzioni loro imposte dai ministri
cesarei a' tempi dell'Augusto Leopoldo, VII, 97, 102, 111.

Principio, prefetto di Roma sotto l'imperadore Valentiniano, II, 175.

Prisca, moglie di Diocleziano Augusto, I, 1013, 1110, 1121. Uccisa da
Licinio, 1128, 1129.

Priscillianisti, eretici; scritti di papa Leone contro di essi, II, 528.

Prisciano: sua congiura contro Antonino Pio, I, 495.

Prisco (Stazio), generale romano contro i Parti sotto l'imperadore
Marco Aurelio, I, 534.

Prisco (Caio Lutorio), poeta celebre sotto l'imperador Tiberio,
condannato a morte, I, 65.

Prisco (Giulio), prefetto del pretorio sotto Vitellio, I, 274. Mandato
contro l'esercito di Vespasiano, 281.

Prisco (Elvidio), senatore e filosofo a' tempi degli imperadori Galba,
Vitaliano e Vespasiano: sua superbia, I, 301, 302. Esiliato, poi
ucciso, 302, 303.

Prisco (Nerazio), giurisconsulto celebre sotto lo imperadore Adriano,
I, 431.

Prisco da Nicea, ingegnosissimo architetto, I, 661.

Prisco, fratello di Filippo seniore Augusto, governatore della Soria,
I, 853. Sollevazione di quei popoli contro di lui, 859, 860. Unitosi
coi Goti nella Macedonia, è proclamato imperadore, poi ucciso, 868.

Prisco, storico, da Teodosio Augusto inviato ambasciatore ad Attila,
II, 525, 537.

Proba (Valeria Faltonia), moglie di Adelfio proconsole, compone i
Centoni di Virgilio, II, 501.

Probato (Celio), prefetto di Roma sotto l'imperadore Costanzo, II, 42.

Probiano (Petronio), prefetto di Roma sotto l'imperadore Costantino, I,
1185, 1186.

Probiano, prefetto di Roma, sotto l'imperadore Valente, II, 204, 207.

Probiano, prefetto di Roma sotto Valente imperadore, II, 204, 207.

Probiano, prefetto di Roma sotto Teodosio II imperadore, II, 431.

Probino, prefetto di Roma sotto Costanzo imperadore, II, 17.

Probino, patrizio, creato console a' tempi di re Odoacre, II, 699.
Insieme con Fosto e col senato romano sostiene Lorenzo antipapa contro
Simmaco, 744, 745.

Probo, genero di Severo Augusto, I, 653.

Probo (Marco Aurelio), spedito dall'imperadore Aureliano a ricuperare
l'Egitto, I, 966. È proclamato imperadore, 982. Sue lettere al senato
romano dopo la morte di Floriano, 983. Da tutti riconosciuto come
imperadore, _ivi_. Sue belle doti, 984. Sue militari imprese, 986. E
vittorie riportate contro i Barbari, _ivi_. Doma gli Isauri, 989. Il re
di Persia Narseo o Narsete cerca di placarlo, con replicate ambascierie
a lui spedite, 991. Suo trionfo in Roma, 997. Sue applaudite
provvisioni, 998. È ucciso da' suoi, 999.

Probo (Sesto Anicio Petronio), prefetto d'Italia ai tempi
dell'imperadore Valentiniano, II, 169. Creato console, 178. Prefetto
dell'Illirico, 188. Con Valentiniano II, per timore di Massimo, fugge
dall'Italia, imbarcandosi per Tessalonica, 270.

Probo, figliuolo d'Alipio, pretore in Roma ai tempi di Giovanni
tiranno, II, 404.

Probo, console orientale sotto l'imperatore Anastasio, II, 742.

Probo, console occidentale sotto re Teoderico, II, 786.

Procle, o Proclo, patriarca di Costantinopoli, predica le lodi di san
Giovanni Grisostomo, II, 490. Sua morte, 529.

Proclo, eletto questore da Giustino Augusto, II, 800. Sua autorità
presso quell'imperatore, e sua lealtà nell'amministrare la giustizia,
_ivi_.

Procolo (Tito Elio), usurpatore dell'imperio nelle Gallie, ucciso, I,
995, 996.

Procolo (Valerio), prefetto di Roma sotto l'imperatore Costantino
juniore, I, 1210. E sotto Costanzo, II, 42, 51.

Procolo (Furio): sua vanità nel consolato, e sontuosi giuochi da lui
dati, II, 14.

Procopio, generale di Giuliano Augusto in Mesopotamia, II, 128.
Ribellatosi, occupa Costantinopoli a Valente imperatore, 151. Sue
qualità ed azioni, 153. Suoi progressi, 155. Tradito dai suoi generali,
cerca salvarsi colla fuga, ma da due suoi capitani, Fiorenzo e
Barcalbo, preso e condotto all'imperatore Valente, da cui gli è fatto
mozzare il capo, 160, 161.

Procopio, storico, seguita Belisario in Africa, II, 849. Sua
descrizione della presa di Napoli fatta da quel generale, 864, 865. Sua
narrazione del come sia stata presa Ravenna, 874. La sua storia segreta
di Giustiniano ha molte cose incredibili, 981.

Proietto, vescovo, legato del papa Celestino al concilio terzo
universale tenuto in Efeso, II, 480.

Promoto, general di Teodosio Augusto: sua vittoria sui Grutongi, II,
262. Generale della cavalleria contro Massimo tiranno, 274. Sua morte,
293.

Prospero (San) d'Aquitania, prete e scrittore della Chiesa cattolica,
II, 615.

Prospero Adorno, doge di Genova, V, 1265. Sua caduta, 1266. Riduce
Genova all'ubbidienza del duca di Milano, dal quale è nominato
governatore, VI, 57, 58. Si rivolta contro lo stesso duca di Milano,
62. È cacciato, 63.

Prospero Colonna, cardinale, nipote del papa Martino V: processo contro
di lui intentato da papa Eugenio IV, V, 1085. Fugge da Roma, 1086. Il
suo palazzo è messo a sacco, _ivi_.

Proterio (San), patriarca d'Alessandria, ucciso dagli eretici, II, 597.

Proverbio militare, II, 630.

Prudenzio (San), poeta cristiano, scrive contro i pagani, II, 366.

Psamatossiris, re de' Parti, _V._ Partamaspare.

Publio Asprenate, generale de' Romani al Reno sotto Augusto, I, 30.

Publio Sulpicio, _V._ Quirino.

Pudente (Lucio Valerio), di soli tredici anni nei giuochi capitolini a
Roma riporta la corona sopra gli altri poeti latini, I, 404.

Pugliesi, si ribellano ai Greci, IV, 91.

Pulcare, duca d'Amalfi, III, 785. Sua lega coi Saraceni, per cui è
scomunicato dal papa Giovanni VIII, 809.

Pulcheria, figlia di Teodosio I Augusto, II, 257. Orazione funebre a
lei scritta da San Gregorio Nisseno, 258.

Pulcheria, sorella di Teodosio II imperadore, dichiarata Augusta,
II, 426. Consiglia al fratello di prendere Atenaide per moglie, 443.
Costretta a ritirarsi dalla corte, 530. Tornata alla corte, 542.
Divenuta imperadrice si marita con Marciano, 544, 545. Fine di sua
vita, 571.

Pupieno (Marco Clodio Massimo), creato imperadore alla morte dei due
Gordiani, I, 828. Va coll'esercito contro Massimino, 830. Dopo la
vittoria riportata dalle sue armi va ad Aquileia, dove è ricevuto con
indicibile plauso, 835. Sue dissensioni con Balbino Augusto, 836. Con
Balbino ucciso dai pretoriani, 837.


Q

Quadrato (Caio Ummidio Durmio), governatore della Soria sotto Nerone,
I, 199. Sua morte, 219.

Quadrato (Asinio), scrittore della guerra partica a' tempi
dell'imperadore Marco Aurelio, I, 537.

Quadrato, mastro di camera di Commodo, congiura contro lui, I, 602. Da
cui è fatto morire, 603.

Quadruplice alleanza contro la Spagna, VII, 286.

Quartino (Tito), proclamato imperadore da alcuni soldati, I, 818.
Assassinato poscia da Macedonio suo amico, _ivi_.

Querini (Angelo Maria), cardinale chiarissimo, e vescovo di Brescia,
VI, 40, 601, 648.

Quietismo (il), eresia condannata da Innocenzo XI, VII, 66, 67.

Quieto (Lusio), Moro di nazione, generale di Traiano: sue prodezze in
Oriente, I, 427. Viene depresso da Adriano per sospetti, 437. Con molti
altri personaggi di gran credito accusato di macchinazioni contro la
vita dello stesso imperadore, 442.

Quieto (Gneo Fulvio), figlio di Macriano, dichiarato Augusto dal padre,
I, 906. Lasciato governator della Soria, 908. Ucciso dai suoi, 909.

Quinquegenziani, popoli dell'Africa, domati da Massimiano Augusto, I,
1047.

Quinquennali, decennali, vicennali e tricennali: loro origine, I, 38.

Quintiliano (Marco Fabio), Spagnuolo; insigne maestro di eloquenza in
Roma, I, 342, 370.

Quintilio (Massimo), tolto di vita dall'imperadore Commodo, I, 605.

Quintilio (Condiano), tolto di vita dall'imperadore Commodo, I, 605.

Quintilio (Sesto), come fuggisse l'ira di Commodo, I, 605.

Quintillo (Marco Aurelio Claudio), fratello di Claudio Augusto, I, 936.
Proclamato imperadore, 946. Ucciso da' suoi soldati, 947.

Quinziano, vescovo di Rodes, cacciato dai Goti, II, 784. Da Teoderico
poi, figlio di Clodoveo, nominato alla chiesa d'Auvergne, _ivi_.

Quirinio (Publio Sulpicio), fa la descrizione della Giudea, I, 12.
Quando impiegato in tale uffizio, 13, 24.

Quod-vult-Deus, vescovo di Cartagine, II, 567.


R

Rabano Mauro, arcivescovo di Magonza; sue controversie con Gotescalco
monaco, III, 652.

Rabodo, marchese di Toscana, IV, 558.

Radagaiso, re degli Unni o Goti, viene in Italia, II, 350, 359. Sua
nuova mossa contro l'Italia, 369. Procede sino in Toscana, 371. Dove
da Stilicone, generale dell'imperadore Onorio, è sconfitto, poi morto,
372.

Radaldo, conte e marchese, III, 991.

Radelchi, _V._ Radelgiso.

Radelgario, principe di Benevento, III, 664. Cessa di vivere, 672.

Radelgiso, ossia Radelchi, conte di Conza, III, 514. Suoi disegni
contro Sicone principe di Benevento, 555. Si fa monaco a Monte Casino,
556.

Radelgiso, ossia Radelchi, principe di Benevento, III, 611. Contro di
lui eletto principe Siconolfo, 617. Sconfitto dai Salernitani, 618.
Guerra a lui fatta dal suddetto Siconolfo, principe di Salerno, 623.
Chiama in aiuto i Saraceni, 625, 626. Sua armata sconfitta, 626, 630.
Assediato in Benevento, 630. Di nuovo prende i Saraceni al suo soldo,
652. Diviso il ducato fra lui e Siconolfo, 654. Dà fine alla sua vita,
664.

Radelgiso II, ossia Radelchi, principe di Benevento, III, 824. Viene
deposto, 843. Ricupera Benevento, 920. Poi lo perde, 945, 946.

Radoaldo, figlio di Gisolfo duca del Friuli, II, 1144. Dimora in
Benevento, 1211, 1212. Proclamato duca di quelle contrade, 1233.
Termine di sua vita, 1241.

Radoaldo, re dei Longobardi, ucciso, II, 1257.

Raffaello Adorno, doge di Genova, V, 1168. Rinunzia alla dignità, 1195.

Raffaello Riario, cardinale, VI, 60.

Ragenario, o Regnacario, signor di Cambray, perde regno e vita per mano
di Clodoveo, II, 778.

Ragimberto, o Ragumberto, figlio di Godeberto re de' Longobardi,
salvato dalle mani di Grimoaldo, II, 1275. Usurpa il regno, e muore,
III, 112.

Ragimberto, governatore d'Orleans, III, 141, 142.

Raimondo II, conte di Barcellona, IV, 384, 545.

Raimondo, conte di Provenza, IV, 399.

Raimondo, conte di Sant'Egidio, conduce un corpo di Crociati in
Levante, IV, 469.

Raimondo dalla Torre, vescovo di Como, V, 61. È cacciato fuori di
Brescia dalla fazione guelfa, 81. Creato patriarca d'Aquileia, 101. Fa
guerra ai Milanesi, 128. Fa pace con essi, 133. Abbattuti i Torriani,
torna colla testa bassa ad Aquileia, 142. Stringe lega con Guglielmo
marchese di Monferrato, 172.

Raimondo d'Aspello, marchese di Ancona, ucciso da alcuni Modenesi, V,
371.

Raimondo da Cardona, vicario del re Roberto, fa guerra ai Visconti,
V, 420. Sconfitto da Marco Visconte, 425. Assedia Milano, 435.
S'impadronisce di Tortona e d'Alessandria, 436. Fatto prigione, come
liberato, 439. Torna generale in Toscana, 446. Sconfitto e preso da
Castruccio degli Interminelli, 448.

Raimondo di Cardona, vicerè di Napoli, guida gli Spagnuoli contra il
duca di Ferrara, VI, 270. Assedia Bologna, 273. Rotto dai Franzesi
sotto Ravenna, 282. Rimette in Firenze i Medici, 291. Orrido sacco dato
dalle sue genti alla terra di Prato, _ivi_. Occupa Brescia ed altri
luoghi, 292, 293. Vano assedio da lui fatto di Padova, 306. Dà una
rotta all'armata veneta, 307.

Raimondo, conte di Montecuccoli, generale di Francesco I duca di
Modena, VI, 1122. Generale dell'imperadore Leopoldo, riporta un'insigne
vittoria contro i Turchi, 1238. Cessa di vivere, VII, 37.

Rainolfo, capo de' Normanni, IV, 165. È creato conte d'Aversa da
Michele imperadore de' Greci, 198. Va in aiuto di Ardoino contro i
Greci, 208, 217. Nella divisione della Puglia, gli tocca Siponto col
Monte Gargano, 215. È investito dall'imperadore Arrigo II de' suoi
Stati, 237.

Rainolfo, conte di Alife, IV, 598, 601. Cognato di Ruggieri re di
Sicilia, 609. A cui dà una gran rotta, 622. Fa pace con lui, 631. Di
nuovo si ribella, 635. Costretto a fuggire, 636. Creato duca di Puglia,
650. Dà un'altra rotta a Ruggieri, 653. Continua con lui la guerra,
656. Sua morte, 659.

Ramberto, abbate d'Asti: diploma di Berengario II re d'Italia in suo
favore, III, 1126.

Rameglì: battaglia _ivi_ data colla rotta dei Franzesi, VII, 205.

Ramito, o Ramisco, patrizio, ucciso presso Classe da Ricimere, II, 594.

Rampretto, marchese di Toscana, IV, 628.

Rangone (conte Guido), generale di papa Clemente VII, VI, 423, 425,
434, 437, 441, 442, 443, 460. Generale del re di Francia, suo tentativo
contro Genova, 522, 523.

Ranuccio Farnese, figlio d'Alessandro duca di Parma, gli succede
in quel ducato, VI, 843, 844. Sue nozze con Margherita Aldobrandina
pronipote di papa Clemente VIII, 891. Congiura contro di lui, 936.
Termina i suoi giorni, 987.

Ranuccio II Farnese, figlio di Odoardo duca di Parma, gli succede in
quel ducato, VI, 1144, 1145. Conchiude la pace fra gli Spagnuoli e
Francesco I duca di Modena, 1172. Gli è smantellato Castro, e tolto
dal papa Innocenzo X, 1175. Sue nozze con Margherita di Savoia, 1220.
Rimasto vedovo, sposa Isabella d'Este, 1233, 1239. Morta anche questa,
sposa in terze nozze Maria d'Este sorella della defunta, 1251. Sue
straordinarie feste per le nozze del figlio Odoardo colla principessa
Dorotea Sofia di Neoburgo, VII, 89. Termina i suoi giorni, 112.

Rataldo, vescovo di Verona, III, 512, 589. In disgrazia dell'imperadore
Lottario, 597. Interviene ad una dieta tenuta in Aquisgrana, _ivi_.

Ratchis, figlio di Pemmone duca del Friuli, III, 125. È creato
da Liutprando re d'Italia duca in luogo di suo padre, 207. Con un
esercito entra nella Carniola, 212. Sua bravura, _ivi_. Creato re de'
Longobardi, 236. Sue leggi, 237. Va ad assediar Perugia, 241. Ma, ad
istanza di papa Zacheria, si ritira, ed abbraccia la vita monastica,
_ivi_. Torna al secolo per voglia della corona, 264, 265.

Raterio, monaco, va a Roma, per ottenere da papa Giovanni XI
l'approvazione d'Ilduino arcivescovo di Milano, III, 1048. Eletto
vescovo di Verona, _ivi_, 1055. Posto in prigione dal re Ugo, 1061.

Ravenna, assediata da Teoderico, II, 704. E presa, 713. Assedio d'essa
fatto da Belisario, 883. Che vi entra a patti, 886. Città composta di
tre città, 1000. Combattimento e giuoco popolare, che brutti effetti
_ivi_ producesse, III, 97. Presa dal re Liutprando, 181. Ricuperata,
186. Suo esarcato donato alla Chiesa Romana da Pippino re di Francia,
260. Sua metropoli reintegrata dal papa Gelasio II, IV, 565. Tolta a
Federigo II da Paolo da Traversara, 1158. Ricuperata da esso Federigo,
1164. Ne è cacciata la parte guelfa, 1214. Assediata dai Franzesi sotto
la condotta di Gastone di Foix, VI, 281. I quali riportano una gran
vittoria, 283. Presa e saccheggiata da essi, 284.

Ravennati: strage di loro fatta da Giustiniano II Augusto, III, 129,
131. A cui si ribellano, 134. Come pure a Leone Isauro, del quale
sconfiggono l'armata lor mandata contro, 200.

Ravizza Rusca, signor di Como, V, 498.

Razale, general de' Persiani, sconfitto e morto in singolar certame da
Eraclio imperadore, II, 1192.

Reano, governatore d'Arabia, ucciso da Elagabalo, I, 755.

Recaredo, re de' Visigoti in Ispagna, abbraccia la religione cattolica,
II, 1107.

Rechiario, o Riciario, re degli Svevi in Ispagna, succede al padre
Rechila, II, 534. Suo matrimonio con una figliuola di Teoderico re
de' Visigoti, 536. Saccheggia la Guascogna, _ivi_. Dà il saccheggio
a Cesaraugusta, oggi Saragozza, _ivi_. Infesta la Spagna tarraconese,
588, 589. Sanguinosa battaglia da lui sostenuta contro Teoderico II re
de' Visigoti, suo cognato, presso il fiume Urbico in Ispagna, 590. In
cui vinto fugge, _ivi_. Preso, da lì a qualche tempo è ucciso, _ivi_.

Rechila, re degli Svevi in Ispagna, succede al padre Ermerico, II, 500.
Presso Singilo, fiume della Betica, sconfigge Andevoto generale dello
imperadore Valentiniano III, _ivi_. Prende Merida, 506. E Siviglia,
512. Sua morte, 534.

Reduce, vescovo di Napoli, II, 1042.

Reggiani, sconfiggono i Modenesi, IV, 976. Fanno pace, 980. Cacciano
fuor della lor città i Guelfi, 1192. Poscia tornano a parte guelfa, con
cacciarne i Ghibellini, V, 51. Lor guerra civile, 186, 196. Prendono
per loro signore Obizzo marchese d'Este, 207.

Reggio, si ribella agli Estensi, V, 302. Presa dal cardinal Bertrando,
legato e generale del papa Giovanni XXII, 489. Poi ripresa da Lodovico
il Bavaro, che vi pone un suo vicario, 490. Suo dominio conferito a
Giovanni re di Boemia, 498, 499. Se ne impadroniscono i Gonzaghi, 525.
Feltrino solo _ivi_ padrone, 668. Dallo stesso è poi venduta a Bernabò
Visconte, 728. Desolazione di essa per l'inutile tentativo dell'Estense
Niccolò per torla al Visconte, 728, 729.

Regilliano, generale di Gallieno Augusto nell'Illirico, I, 903. Sua
vittoria sui Sarmati nella Mesia superiore, _ivi_. Sua ribellione, 904.
Proclamato imperadore, 910. È ucciso dai suoi, 911.

Regillo, prefetto del pretorio sotto Commodo, I, 619. Dal quale è
ammazzato, 620.

Reginaldo, ossia Regnibaldo, duca di Chiusi, sua congiura contro
l'imperadore Carlo Magno, III, 324, 343.

Regolo (Caio Memmio), governatore della Macedonia ed Acaia: a lui tolta
la moglie da Caligola, I, 122.

Rei, per la solennità della Pasqua liberati, II, 230.

Remigio (San), vescovo di Reims, battezza Clodoveo re dei Franchi, II,
727.

Remismondo, capo degli Svevi a' tempi dell'imperadore Avito, II, 590.

Renato d'Angiò, erede di Giovanna II regina di Napoli, V, 1114. Fatto
prigione da Filippo duca di Borgogna, 1116. Liberato, va a Napoli,
1130. Sua guerra con Alfonso re d'Aragona, 1136, 1146, 1155. Perde
Napoli e tutto il regno, 1157. Torna in Italia in aiuto di Francesco
Sforza, 1229, 1232. Torna in Francia, 1234.

Renato II, duca d'Angiò, viene al servizio de' Veneziani, VI, 83.

Renea, figlia di Lodovico XII, re di Francia, sposata da Ercole d'Este
principe di Ferrara, VI, 464. Infetta degli errori di Giovanni Calvino,
525. Suo infelice fine, 690.

Renzo da Ceri, capitano della fanteria veneta: sue imprese, VI, 252.
Abbandona Brescia, 304. Sue azioni in Bergamo, 306. Difende Crema, 310,
313. Rende Bergamo, 314. Generale de' Veneziani, 321. Va al servigio
di papa Leone X, 330. A cui sottomette il ducato di Urbino, 334, 346.
Difende Marsilia, 405. Deputato alla difesa di Roma, 438.

Reparato, arcivescovo scismatico di Ravenna, III, 41. Si sottomette al
papa Dono, 47. Muore, 48.

Repentino (Fabio), prefetto del pretorio sotto Antonino Pio, I, 493.

Repentino (Cornelio), prefetto di Roma, sposa Didia Clara figlia di
Giuliano Augusto, I, 643.

Repubblica, nome una volta significante il romano imperio, II, 1078,
1200, 1201; III, 262.

Riccarda, imperadrice, moglie di Carlo il Grosso, III, 826. Giustifica
la sua innocenza, e muore santamente, 857, 858.

Riccardo, padre di san Willebaldo e di santa Walpurga, non mai re,
muore in Lucca, III, 244.

Riccardo, abbate di Fulda, IV, 104.

Riccardo I, conte di Aversa, IV, 261. Creato da papa Niccolò II
principe di Capoa, 293. Protegge papa Alessandro II, 305. Dal quale
è investito di Capoa, 310. Acquista Gaeta, 316. Guerra a lui fatta da
Goffredo duca di Toscana, 324, 331. Giura vassallaggio al papa, 359.
Assedia Napoli, e manca di vita, 386.

Riccardo, abbate di Marsiglia, IV, 432.

Riccardo II, principe di Capoa: se gli ribella quella città, IV, 449.
Dopo lungo assedio la ricupera, 477. Termina il corso di sua vita, 508.

Riccardo, vescovo di Albano, IV, 504.

Riccardo dall'Aquila, duca di Gaeta, IV, 562.

Riccardo, vescovo di Siracusa, IV, 856.

Riccardo, re d'Inghilterra, prende la croce, IV, 912. Giunto a Messina,
fa guerra al re Tancredi, 918, 919. Occupa l'isola di Cipri, e dà
mano alla conquista di Accon, 926. Fu spavento dei Saraceni, 929. Nel
ritorno a casa è preso da Leopoldo duca di Austria, 931. A caro prezzo
compra la libertà, 935. Promuove Ottone IV all'imperio, 960.

Riccardo, fratello del re d'Inghilterra, tratta di pace fra il papa
Gregorio IX e l'imperadore Federigo II, IV, 1168. Gli è esibito da papa
Innocenzo IV il regno di Sicilia, 1235. Eletto re de' Romani, 1261. Sua
contesa per l'imperio con Alfonso re di Castiglia, V, 32. Arrigo suo
figlio empiamente ucciso da Guido conte di Monforte, 91.

Riccardo, cardinale di Sant'Angelo, V, 55.

Ricciardino, conte di Langusco, creato signor di Pavia, V, 369. Ne
perde colla vita il dominio, 385.

Ricciardo, conte di San Bonifazio, proditoriamente preso da
Salinguerra, IV, 1064. Liberato, 1067. Posto in prigione dai Ghibellini
in Verona, 1095. Rimesso in libertà, 1102. Cacciato da Verona, 1133.
Abbraccia il partito di Federigo II, 1141. Poscia si rivolta contro di
lui, 1163. Sua morte, 1232.

Ricciardo da Camino, signor di Trivigi, V, 350. Ucciso, 356.

Ricciardo de' Manfredi, signor di Faenza e d'Imola, V, 523.

Richecourt (Emmanuele conte di): sua rara attività nel governo
economico della Toscana, VII, 707.

Richelieu (Armando di Plessis di), cardinale, arbitro della corte di
Francia, VI, 994. Fa un accordo cogli Spagnuoli per la Valtellina,
1006. Fa imprendere l'assedio della Rocella, 1012. E se ne
impadronisce, 1024. Cala colle armi in Italia, e fa pace col duca di
Savoia, 1026, 1027. Di nuovo come generale cala in Italia in aiuto del
duca di Mantova, 1033. Tenta di sorprendere il duca di Savoia, 1034.
Suo imperio in Francia, 1048. Come conseguisse una porta aperta per
l'Italia, cioè Pinerolo, 1051. Leghe e guerre da lui promosse, 1068,
1069. Sue idee contro la real casa di Savoia, 1097, 1104. Sua morte, e
sue qualità, 1113.

Richenza, moglie di Lottario re di Germania, incoronata col marito a
Liegi dal papa Innocenzo II, IV, 615. Suo placito tenuto in Reggio,
645. Riconosce Corrado III per re di Germania, 658.

Richerio, abbate di Monte Casino, accompagna papa Leone IX a Roma, IV,
266.

Richilda, figlia di Giselberto conte del palazzo. Moglie di Bonifazio
marchese, IV, 114. Suo ricorso all'imperadore Arrigo II per ottenere
alcuni beni sul Ferrarese, 116. Sua cessione fatta al vescovato di
Cremona, 126. Sue virtù, e morte, 187.

Richilda, badessa di Santa Giulia di Brescia, IV, 704.

Riciario, _V._ Rechiario.

Riciario, fratello di Ragenario, o Regnacario, signore di Cambray,
fatto prigione e ucciso dal re Clodoveo, II, 778.

Ricimere (Flavio), conte, generale di Avito Augusto, II, 582.
Promuove la di lui rovina, 591. Da lui preso, lo costringe a dimettere
l'imperio, 593. Fa egli da imperadore, 594. Creato console, 603. Toglie
di vita Maioriano imperadore, 608. Dà una rotta agli Alani, 616. Sposa
una figlia di Antemio Augusto, 623. La vuol far da imperadore, 640.
Assedia Roma, 642. Vi entra, _ivi_. Fa uccidere il suocero, 643. Dà
il sacco a quella misera città, _ivi_. Termina i suoi giorni, _ivi_.
Chiesa da lui edificata in Roma per sepoltura sua e de' Goti ariani,
_ivi_. Suoi epitaffii, _ivi_.

Ricomere (Flavio), generale di Graziano Augusto, II, 205, 209, 211. E
di Teodosio, 222. Console, 250. Va contro Massimo tiranno, 274.

Ridolfo, o Rodolfo, duca di Svevia, IV, 314, 349, 354. Si ritira dalla
corte del re Arrigo IV, 355. Con lusinghe e promesse il suddetto re
lo tira nel suo partito contro il papa Gregorio VII, 365. Poscia lo
abbandona, 374. Vien creato re, 379. Sue battaglie con esso Arrigo,
389, 392, 395. In suo favore si dichiara il papa, 395. Mortalmente
ferito nella quarta battaglia data ad Arrigo, poco dopo muore, 400.

Ridolfo d'Habspurch, eletto re de' Romani, V, 100. Riconosciuto per
re dai Milanesi, 107. Suo abboccamento con papa Gregorio X in Losanna,
110. Città d'Italia che gli prestano fedeltà, 114. Concede la Romagna
a papa Niccolò III, 125. Sua vittoria su Ottocaro re di Boemia, 131.
Tratta con papa Onorio IV di andare a Roma per prender la corona
dell'imperio, 183, 184. Sue pretensioni sul regno d'Ungheria alla morte
di quel re Ladislao, 212. Sua morte, 214.

Ridolfo da Varano, signore di Camerino, V, 750. Generale de'
Fiorentini, 751. Va al servigio del papa Gregorio XI, 754, 755, 757.

Rigizone, vescovo di Feltre, IV, 134.

Rignomere, signore dei Cenomanni (oggidì le Maine), è levato di vita da
Clodoveo re dei Franchi, II, 778.

Riminesi: loro vittoria sui Cesenati, IV, 1032.

Rimetalce, o Remetalce, re della Tracia, I, 75. Parte della Tracia a
lui conceduta dall'imperadore Caligola, 119. È ucciso dalla propria
moglie, 165, 166.

Rimetalse, re del Bosforo, I, 522.

Rinaldo, vescovo di Pavia, III, 1217; IV, 215.

Rinaldo, vescovo di Como, IV, 359, 413.

Rinaldo, arcicanceliere dell'imperio, eletto arcivescovo di Colonia,
IV, 771. A lui donati i creduti corpi dei tre re magi, li fa portare
nella sua città, 776. Arnese pessimo di Federigo Augusto, 782, 786. Dà
una rotta ai Romani, 800. Muore da una epidemia sotto le mura di Roma,
811.

Rinaldo, duca di Spoleti, IV, 1066. Lasciato per governatore del regno
dall'imperadore Federigo II, invade gli Stati della Chiesa, 1083.
Imprigionato e spogliato dei beni da esso Augusto, 1100.

Rinaldo, vescovo di Vicenza, governatore della Romagna, V, 281. Sua
morte, _ivi_.

Rinaldo, marchese d'Este, ricupera Ferrara dal re Roberto, V,
396. Scomunicato da papa Giovanni XXII, 411, 417. Toglie Argenta
all'arcivescovo di Ravenna, 444. Va in soccorso di Passerino de'
Bonacossi, signor di Mantova e Modena, 448. Gran rotta da lui data
ai Bolognesi, 449. Si riconcilia col papa, 483, 508. Fa lega contro
Giovanni re di Boemia, 500. Assedia San Felice, castello sul Modenese,
507. Gli è data una rotta dai Modenesi, 508. Sotto Ferrara sconfigge
l'esercito pontifizio, 511. Ricupera Argenta, 517. Fine de' suoi
giorni, 526.

Rinaldo d'Este, cardinale, protettor della Francia, sue liti in Roma
coll'almirante di Castiglia, VI, 1142. Altro suo grave impegno contro i
Chigi, nipoti del papa Alessandro VII, 1221.

Rinaldo I, duca di Modena: sua nascita, VI, 1198. Succede al nipote
Francesco II nel ducato, VII, 112. Suo matrimonio con Carlotta
Felicita di Brunsvich, 126. Suntuose nozze di Giuseppe re dei Romani
da lui celebrate in Modena, 140. Magnifica solennità con cui celebra
il battesimo del figlio Francesco Maria, 143. È costretto a cedere
Brescello ai cesarei, 165. Impadronitisi i Franzesi della città di
Reggio, si ritira a Bologna, 169. Per suggestione di Francesco Farnese,
duca di Parma, suo nipote, gli stessi Franzesi gli smantellano tutte le
fortificazioni, 175. Con un pretesto gli confiscano tutte le rendite
e i mobili, 179. Ricorre al papa Clemente XI per protezione, 180.
Coll'aiuto de' cesarei ricupera Modena e Reggio, 204, 205. Rientra
in possesso di tutti i suoi Stati, 209. Suoi diritti su Comacchio,
221, 222, 223, 227. Acquista la Mirandola, 234, 260. Dà in moglie una
figlia al duca di Parma, 328, 336. I suoi stati occupati nuovamente dai
Franzesi, si ritira colla famiglia a Bologna, 394. Promesse a lui fatte
dal duca di Noaglies, 416. Torna nella sua capitale, 422. Sua morte,
438.

Rinieri, marchese di Toscana, IV, 106. Suo placito tenuto in Arezzo
114. Si arrende a Corrado re d'Italia, e vien deposto, 156, 157, 174.

Rinieri, prete cardinale di San Clemente, eletto papa, IV, 482, _V._
Pasquale II.

Rinieri, figlio del marchese di Monferrato, creato re di Tessalonica
dall'imperadore greco Manuello Comneno, del quale avea sposata una
figlia, IV, 873.

Rinieri, cardinale. Co' Perugini sconfitto da Federigo II imperadore,
IV, 1196.

Rinieri Zeno, doge di Venezia: sua morte, V, 81.

Rinieri dalla Gherardesca conte, signor di Pisa, _V._ 415.

Riotimo, re della Bretagna Minore, sconfitto dai Visigoti, II, 626. Si
ricovera presso i Borgognoni, _ivi_.

Riparii, popoli ausiliarii de' Romani, II, 553.

Risinda, badessa della Posterla, in Pavia, ottiene dal re Berengario di
fabbricar castella nelle tenute del suo monistero contro le incursioni
de' pagani, III, 974, 984.

Riuprando, vescovo di Novara, IV, 215, 216.

Robaldo, o Roboaldo, vescovo di Alba, eletto arcivescovo di Milano, IV,
637. Giura fedeltà al papa Innocenzo II, 644. Va in Roncaglia a far la
corte all'imperadore Lottario III, _ivi_. Per ordine di esso Augusto
scomunica i Cremonesi, _ivi_.

Roberto, figlio di Roberto il Forte, progenitore della real casa di
Francia, III, 863.

Roberto, re di Francia, IV, 20. Ricusa il regno d'Italia, 147.

Roberto Guiscardo: quando dalla Normandia venisse in Puglia, IV, 172.
Sua guerra contro il papa Leone IX, 261. Sue conquiste in Calabria,
268. Occupa gli Stati di Unfredo suo fratello, 282. Prende in moglie
Sigelgaita figlia di Guaimario IV principe di Salerno, 287. È creato
duca di Puglia, 291, 297. Sue maggiori conquiste, 297. Aiuta il
fratello Ruggieri all'acquisto della Sicilia, 303. Sue liti con lo
stesso suo fratello, che lo libera dalla prigionia, 309, 310. Occupa
Taranto, 314. Fa guerra ai Mori in Sicilia, 319. Assedia Bari,
332. Altre sue conquiste, 335. Insidie tese alla vita di lui, 337.
S'impadronisce di Bari, 344, 347. Assiste alla consecrazione della
basilica di Monte Casino, fatta da papa Alessandro II, 347. Assedia
Palermo, 348. E se ne impadronisce, 352. Scomunicato da papa Gregorio
VII, 361. Marita una sua figlia con Costantino Duca Augusto greco, 375.
S'impadronisce di Salerno, 381. Marita una figlia ad Ugo figlio del
marchese Azzo II Estense, 384. Assedia Benevento, 385, 386. È di nuovo
scomunicato dal papa, _ivi_. Fa pace con lui, 387. Se gli ribellano
varie terre, 393. Dà per moglie a Raimondo II conte di Barcellona una
sua figlia, 394. Giura omaggio al papa, 397. Ripiglia molte terre, e
protegge un finto imperador dei Greci, 398, 399. Mossa guerra ai Greci
conquista Corfù, 405. Assedia Durazzo, e dà ai Greci una rotta, 406,
407. S'impadronisce di quella città, 410. Ricupera Canne, 415. Venuto
a Roma, la saccheggia, 419. Libera papa Gregorio, e seco il conduce,
_ivi_. Muove guerra a Giordano principe di Capoa, 422. Sconfigge
la flotta dei Greci e Veneziani, _ivi_. Dà fine ai suoi giorni in
Cefalonia, 425.

Roberto, principe di Capoa, IV, 508. Suo trattato col papa Pasquale
II contro il re Arrigo V, 525. Congiura contro Landolfo della Greca,
governatore di Benevento pel papa, 543. Interviene alla consecrazione
di papa Gelasio II, e a lui giura fedeltà, 562. Fine del suo vivere,
577.

Roberto, figlio di Guglielmo il Conquistatore re d'Inghilterra, tenta
inutilmente di avere in moglie la contessa Matilda, IV, 439. Succede al
padre nel ducato di Normandia, 440. Va in Levante colla crociata, 469.

Roberto, conte di Fiandra, IV, 372. Va in Levante in crociata, 469.

Roberto, vescovo di Traina, IV, 478.

Roberto, vescovo d'Alba, IV, 596.

Roberto II, principe di Capoa, succede al padre, IV, 601. Unito col
papa Onorio II contro Ruggeri conte di Sicilia, _ivi_. Corona esso
Ruggieri in re, 614. Aiuta l'antipapa Anacleto contro i Beneventani,
616. Sua rottura col re Ruggieri, 621, 624. Suoi maneggi contro di lui,
630. Va in Germania legato del pontefice Innocenzo II, 638. Ricupera i
suoi Stati, 648. All'assedio di Salerno, 649. Torna a perdere i suoi
Stati, 652. Ricorre al re Federigo I per giustizia, 709. Ripiglia
Capoa, 731. Suo miserabile fine, 736.

Roberto di Bissavilla, congiura contro il cugino Guglielmo re di
Sicilia, IV, 731.

Roberto, conte d'Artois, balio del re di Sicilia, V, 177, 188. Se ne
torna sdegnato in Francia, 201.

Roberto, duca di Calabria: sue vittorie su' Siciliani, V, 261. Assedia
per mare Messina, 267. Entrata l'epidemia nella sua armata, scioglie
l'assedio, _ivi_, 268. Sua infelice impresa di Sicilia, 275. Da Carlo
II, re di Napoli, è inviato per capitano dei Fiorentini, 300. Succede
al padre nel regno di Napoli, 326. Vicario di Ferrara, viene in Italia,
335. Dove stende le ali di sua potenza, 336. Suoi preparamenti contro
Arrigo VII, 340. Ambasciatori a lui spediti dallo stesso Arrigo per un
accordo fra loro, 352. Gli fa guerra in Roma, 353. A lui giura fedeltà
Asti con altre città, 360. Fatto signor di Firenze, 365. Guida a suo
talento la corte pontificia, 372. Creato vicario dell'imperio e senator
di Roma, 373. Sua impresa contro la Sicilia d'infelice riuscita, 378.
Dichiarato signor di Genova, va in persona al soccorso di quella città,
400. Sfidato a singolar tenzone da Marco Visconte, 401. Libera Genova
dallo assedio dei Ghibellini, 404. Lasciato quivi per suo vicario
Ricciardo Gambatesa va in Provenza, 404. Creato signor di Brescia, 407.
Incita il papa contro i Ghibellini, 410. Muove guerra ai Visconti,
419, 425. Cessa il suo dominio in Firenze, 432. Fa guerra a Milano,
433, 434. Sua mira all'acquisto dell'Italia, 440, 441. Continua il suo
dominio in Genova, 442. Gran danno reca alla Sicilia, 452, 456, 464.
Suoi sforzi contro Lodovico il Bavaro, 464. Perde l'unico suo figlio,
475. Promette in moglie Giovanna sua nipote ad Andrea suo nipote, 516.
Privato del dominio di Genova, 529. Fa nuova guerra alla Sicilia,
541. Perde Asti, 550. Prende Milazzo in Sicilia, 559. Con molte
dimostrazioni di stima riceve Francesco Petrarca, _ivi_. Vuole indurlo
a ricevere la laurea poetica in Napoli, _ivi_. Fine dei suoi giorni,
568.

Roberto, cardinale di Ginevra, generale dell'armata pontificia, V, 750.
Sua barbarie incredibile contro il popolo di Cesena, 755. È creato
antipapa, 763, 764. Va a Napoli, e ne è cacciato dal popolo, 769. Si
ritira ad Avignone, _ivi_. Corona re di Napoli Lodovico II d'Angiò,
834. Divien padrone di Ginevra, 843. Termina la sua vita, 858.

Roberto, arcivescovo di Milano, corona re d'Italia Carlo IV, V, 644.

Roberto, duca di Baviera, eletto re de' Romani, V, 898. Sua venuta in
Italia, 902. Vergognosamente torna in Germania, 903. Arriva al fine del
suo vivere, 972.

Roberto Galeotto Malatesta, signor di Rimini, sua morte, V, 1099.

Roberto Malatesta, figlio di Sigismondo, signor di Rimini, VI, 30.
S'impadronisce del potere, 32. Sua vittoria sull'armata del papa Paolo
II, 33. Va al servigio dei Fiorentini, 65, 66. Poscia dei Veneziani,
78. Dà una rotta al duca di Calabria, e muore, 80.

Roberto da San Severino, spedito contro il duca di Savoia, V, 1287. E
contro Jacopo Piccinino, 1241. Gli è dato il principato di Salerno dal
re di Napoli Ferdinando, 1264. Capitano dei Bentivogli, VI, 33. Unito
con Lodovico il Moro, fa guerra alla reggenza di Milano, 57, 66. Grande
perturbatore, coopera alla ribellion di Genova, 63. Suoi imbrogli nella
guerra di Toscana, 66. Generale de' Veneziani, 78. Generale delle armi
della Chiesa, 92. Muore in battaglia, 97.

Robusto, o Roburro (Titurio), prefetto di Roma sotto l'imperador Probo,
I, 1003.

Rodelinda, moglie di Bertarido re de' Longobardi, II, 1276; III, 39.
Fabbrica Santa Maria alle Pertiche, fuori di Pavia, 48.

Rodgauso, duca del Friuli, III, 329. Ribellatosi all'imperadore Carlo
Magno, è privato di vita, 330.

Rodi, isola presa dai Saraceni, II, 1260. Suo mirabil colosso, _ivi_.

Rodoaldo, figlio di Rotari, è proclamato re dei Longobardi, II, 1251.
Dà fine al suo vivere, 1256, 1267.

Rodoaldo duca del Friuli, III, 53. Gli è rapito il ducato, 90. Ricorre
al re Cuniberto per aver giustizia contra dell'usurpatore, _ivi_.

Rodoaldo, vescovo di Porto, spedito da papa Niccolò alla corte
dell'imperadore Lodovico II, per difendere sant'Ignazio patriarca di
Costantinopoli ingiustamente deposto e carcerato, III, 698. Dal quale
si lascia corrompere, _ivi_. Mandato poscia in Francia, ove egualmente
è corrotto, _ivi_. Processato, 700.

Rodolfo I, figlio di Corrado, proclamato re di Borgogna superiore, III,
863. Guerra a lui fatta da Arnolfo re di Germania, 864, 900. Termina i
suoi giorni, 982.

Rodolfo II, re della Borgogna, succede al padre, III, 982. Invitato
in Italia contro Berengario imperadore, 1012. È coronato re d'Italia,
1013. Dà una rotta a Berengario, 1016. Dopo la cui morte acquista tutto
il regno, 1021. Se gli ribella Pavia, 1026. Abbandona l'Italia, 1027.
Sua pace con re Ugo, 1058. Fine di sua vita, 1072.

Rodolfo, re di Borgogna, sottomette il suo regno al romano imperio, IV,
117, 173. Muore, 172.

Rodolfo, principe di Benevento, IV, 261, 263.

Rodolfo II, re d'Ungheria, figlio dell'imperadore Massimiliano, eletto
re de' Romani, VI, 769. Ed imperadore dopo la morte del padre, 772. Gli
fanno guerra i Turchi, 848, 852. Ottiene aiuti dal papa Clemente VIII,
855. Sue prosperità, 877. Sua guerra coi Turchi, 895, 896. Fan tregua
con essi, 915. Suo imbroglio coll'arciduca Mattias, 922, 934. Termina i
suoi giorni, 935.

Rodrigo, re cattolico di Spagna, resta disfatto ed ucciso in una
battaglia contro i Musulmani, III, 132.

Rodrigo Borgia, dallo zio Callisto III è eletto cardinale, V, 1244. È
spedito da papa Sisto IV legato in Ispagna, dove fa gran bottino, VI,
42. Carica d'ingiurie il cardinal di Balua, 94. Creato papa, 12. _V._
Alessandro VI.

Roffredo, arcivescovo di Benevento, IV, 586.

Roffredo, abbate di Monte Casino, IV, 924, 929. Fa da guerriero, 932.

Rolando, arcivescovo d'Arles: suo infelice fine, III, 723.

Rolando, vescovo di Trivigi, IV, 391.

Rolando, cardinale di San Marco, IV, 736.

Rolando, cardinale di San Callisto, cancelliere della Chiesa romana,
IV, 739. È eletto papa, 756. _V._ Alessandro III.

Rollone, capo dei Normanni, primo duca di Normandia, chiamato Roberto,
III, 982.

Roma, formidabile suo incendio sotto Nerone, I, 231. Fu esso cagione
che divenisse più bella, 232. Altro suo incendio sotto Tito Flavio,
322. E sotto Commodo, 622. Anno suo millesimo magnificamente
solennizzato dai Filippi Augusti, 857 Sue mura ristaurate sotto
Aureliano, 955. Invano assediata da Galerio, 1083. Infelice sotto
Massenzio, 1104. Scossa per tre giorni dal tremuoto, II, 18. Regina
delle città, 75. Suoi pregi, 76. Assediata da Alarico re de' Goti,
389. Trattato dei suoi cittadini con questo barbaro, 390. Con cui
si accordano, 391. Presa e saccheggiata da esso Alarico, 400. Qual
fosse allora la ricchezza e magnificenza de' Romani, 403. Presa e
saccheggiata da Genserico re de' Vandali, 579. Poscia da Ricimere,
642. Da Belisario, 867. Assediata dal re Totila, 905. Orribile fame
di que' cittadini, 909. Presa dai Goti, 910. Sue mura diroccate,
912. Ripigliata da Belisario, e difesa, 914. E poi da Totila, 923.
Co' suoi contorni afflitta dai Longobardi, 1091. Suo dominio esibito
da papa Gregorio III a Carlo Martello, III, 219. Incerto che _ivi_
signoreggiasse Pippino, 284. Soggetta a Carlo Magno come patrizio, 380,
402, 424. Signoreggiata da' papi, 426. Assediata da Arrigo IV re di
Germania, IV, 402, 409, 412. A lui si rende, 416, 417. Danni immensi ad
essa recati da Roberto Guiscardo, 419. Chiamata nuova Babilonia, 565.
Presa da Braccio da Montone, V, 1009. Parte d'essa presa e saccheggiata
dai Colonnesi, VI, 426. Assalita e presa dai Tedeschi sotto la condotta
di Carlo duca di Borbone, 439. Lagrimevol sacco della medesima, _ivi_.
Peste in essa, 444. Terribili innondazioni del Tevere in essa, 482,
666, 874. Afflitta da fiera carestia ed infermità, 834, 837.

Romagna: antichità del suo nome, III, 443. Sottoposta a Guglielmo
re de' Romani, IV, 1214. Ceduta a papa Niccolò III da Ridolfo re de'
Romani, V, 126.

Romana Chiesa, capo di tutte le altre, II, 225, 1136. Sempre custode
della vera dottrina, III, 55.

Romani, ai tempi di Cesare Augusto, sono sconfitti dai Germani sotto
la condotta di Arminio e Sigimero, I, 30. Lor costumi e vizii dipinti
da Ammiano, II, 175. Accusano Narsete all'imperadore Giustino, per cui
da quell'Augusto è richiamato dal governo d'Italia, 991. Loro mal animo
contro l'imperadore Leone Isauro per cagion delle sacre immagini, III,
180. Lor giuramento di fedeltà agli imperadori Lodovico e Lottario,
545. Sottoposti una volta alla sovranità imperiale, 675. Invettiva
di Goffredo Malaterra contro di loro, IV, 420. Loro conflitto colle
armate del re Arrigo V, 529, 530. Loro sedizione a' tempi di papa
Pasquale II, 553. Sconfitti da quei di Tivoli, 670. Lor sedizione
contro Innocenzo II, 673. Stabiliscono il senato e il senatore, _ivi_,
676. Lor sedizione contro papa Lucio II, 679. Forzati da Eugenio III
all'ubbidienza, 681. Insolentiscono di nuovo, 682. Invitano a Roma il
re Corrado, 683. Lor baldanzosa ambasciata a Federigo I Augusto, 728.
A cui fan guerra, 729. Lieto accoglimento da lor fatto ad Alessandro
III papa, 793. Assediano Tuscolo, 804. Sconfitti dalle armi di
Federigo 1, 805. Che poi assedia Roma, 807. Fanno accordo con lui,
810. Distraggono Albano, 820. Tornano a far guerra a Tuscolo, _ivi_,
825. Lor fraudolento accordo con papa Alessandro, dopo cui smantellano
le mura di Tuscolo, 830, 831. Richiamano a Roma esso papa, 865. Loro
discordia con papa Lucio III, 880, 884, 886. Sacrileghe loro insolenze
contro di lui, 886. E poscia contro Urbano III, 899. Si accordano con
Clemente III, 910. Distruggono Tuscolo, 922. Sottomettono Viterbo,
972. Inquietano papa Onorio III, 1036. Congiurati contro Gregorio IX,
1081. Inviperiti contro Viterbo, 1100, 1106. Richiamano in Roma esso
papa Gregorio, 1110. Dalla quale per loro cagione costretto ad uscire,
si porta a Rieti, 1117. Rotta loro data dai Viterbesi, 1118. Assediano
Tivoli, 1223. Cacciano in prigione Brancaleone lor senatore, 1260. Lo
rimettono in posto, 1269. Loro discordie, V, 42. Creano loro signore
Jacopo dalla Colonna, col dargli anche il titolo di Cesare, 212.
Portano la guerra a Viterbo ed altre terre, _ivi_. Creano due senatori,
e cessano così le guerre civili tra essi, 222. Favorevoli a Lodovico il
Bavero, 464. Lo dichiarano senatore e capitano, poi lo fanno coronare
imperadore, 466, 467. Poscia lo beffano, 472. Cacciano Guglielmo da
Ebole, vicario del re Roberto, e lor senatore, e creano due senatori
de' loro, 482. Lor dissensioni per le fazioni de' Colonnesi ed Orsini,
513. Eleggono Cola di Rienzo per loro tribuno, 590. Sollevati, il
mettono in fuga, 595, 596. Essendo egli tornato al governo, l'uccidono,
635, 636. Si sottomettono a papa Innocenzo VI, 685. Loro istanze a papa
Urbano V, richiamandolo a Roma, 707. Accolgono Gregorio XI, 753. Lor
sedizione contro Innocenzo VII papa, 932. Lor sedizione contro papa
Eugenio IV, 1106, 1107. Loro ambasciata per indurre lo stesso papa a
tornare a Roma, 1118.

Romano, patrizio, macchina di usurpar l'imperio, e per ordine di
Antemio Augusto gli è tagliato il capo, II, 636.

Romano imperio, cominciato da Romolo, stabilito da Augusto, termina con
Romolo Augustolo, II, 661.

Romano, patrizio, creato esarco dell'Italia, II, 1064. Fa guerra ai
Longobardi, 1077, 1078. Toglie loro Perugia ed altre città, 1086. Sua
avarizia e sue calunnie contro di san Gregorio papa, 1095. Altri suoi
vizii, 1097. Impedisce la pace fra i Romani e i Longobardi, 1101. O
manca di vita, o è richiamato in Oriente, 1102, 1103.

Romano, duca di Viterbo, III, 454, 506.

Romano, arcivescovo di Ravenna, III, 801. Fine del suo vivere, 823.

Romano, papa: sua elezione, III, 925. Passa a miglior vita, 927.

Romano, imperador dei Greci: ambasciatore a lui spedito da Ugo re
d'Italia, III, 1035. Brutto affare a lui toccato, _ivi_, 1036. Navi da
lui spedite ad Ugo stesso contro i Saraceni, 1088.

Romano juniore, figlio dell'imperadore Costantino, prende per moglie
Berta figlia di Ugo re d'Italia, III, 1094. Riacquista l'isola di
Creta, 1152. Manda per governator generale de' suoi Stati in Italia
Costantino protospata, IV, 174, 175.

Romano Diogene, imperador dei Greci, IV, 343.

Romeo de' Pepoli, cacciato da Bologna, V, 422. Tenta indarno di
rientrarvi, e muore, 431.

Romilda, moglie di Gisolfo, duca del Friuli, con infame tradimento
si dà a Cacano re degli Avari, II, 1145. In premio è fatta da lui
impalare, 1146.

Romoaldo, figlio di Grimoaldo duca di Benevento, II, 1274. Difende
Benevento assediata dai Greci, III, 11. Suo concordato con essi, 12.
Suoi figliuoli, 28. S'impadronisce di Taranto e Brindisi, 31. Termina
il corso di sua vita, 49. Incertezza intorno al tempo del suo governo e
della sua morte, 114.

Romoaldo II, duca di Benevento, succede al padre Gisolfo, III, 115.
Occupa con frode il castello di Cuma, 157. Sua morte, 163, 195.

Romoaldo, figlio di Arigiso principe di Benevento, mandato dal padre a
Roma con regali all'imperadore Carlo Magno, III, 361. Sua morte, 364.

Romoaldo (San), abbate di Classe, III, 1220; IV, 16. Instituisce
l'ordine de' Camaldolesi, 90. Sua morte, 160.

Romoaldo, arcivescovo di Salerno, IV, 597.

Romoaldo, altro arcivescovo di Salerno, IV, 793. Intendente di
medicina, 796. Accompagna a Venezia papa Alessandro, III, 857.

Romolo (Marco Aurelio), figlio di Massenzio Augusto, dichiarato Cesare,
I, 1087. Sua morte, 1092.

Romolo (Flavio Pisidio), prefetto di Roma a' tempi dell'imperadore
Onorio, II, 375.

Romolo, figlio d'Oreste, proclamato imperadore d'Occidente, II, 656.
_V._ Augustolo.

Roncaglia sul Piacentino: _ivi_ tenuta la gran dieta dei re d'Italia ai
tempi di Federigo I imperadore, IV, 720.

Rosmonda, figlia di Cunimondo, re dei Gepidi, presa per moglie da
Alboino re dei Longobardi, II, 987. Cagione per cui essa gli facesse
levare la vita, 1014. Fugge a Ravenna, dove incontra la morte, 1016.

Rotari, creato re de' Longobardi, II, 1214. Muove guerra ai Romani,
1227. Acquista Genova, ed altre città del lido ligustico, 1229. Dà
una rotta ai Romani, 1232. Pubblica le leggi longobardiche, 1233. Se
impedisse ai vescovi l'intervenire al concilio romano, 1244. Fine di
sua vita, 1250.

Rotari, duca di Bergamo, III, 112. Assume il titolo di re, 116. Preso
ed ucciso dal re Ariberto, _ivi_.

Rotari, parente di Liutprando: sua congiura contro questo principe
scoperta, per cui rimane ucciso, III, 147.

Rotilde, moglie di Adalberto II duca di Toscana, III, 798.

Rotrude, moglie di Carlo Martello, III, 148. Sua morte, 172.

Rotrude, figlia di Lottario Augusto, III, 611.

Rufino (Eraclio, o sia Araclio), prefetto di Roma sotto l'imperadore
Diocleziano, I, 1059. Creato console, 1098. Prefetto di Roma sotto
Massenzio, 1103.

Rufino (Stazio), prefetto di Roma sotto gl'imperadori Galerio e
Massenzio, I, 1087.

Rufino (Vettio), prefetto di Roma sotto Costantino, I, 1136, 1138.

Rufino, prefetto di Roma sotto l'imperadore Valente, III, 199.

Rufino, maggiordomo di Teodosio Augusto, III, 288. Sue iniquità,
293. Console, 295. Prefetto del pretorio, 303. Suoi molti vizii, 322.
Principio di sua rovina, 323. Ucciso per ordine di Stilicone, 327.

Rufo (Fenio), prefetto di Roma, sotto Nerone, I, 224.

Rufo (Lucio Virginio), governatore della Germania, ricusa l'imperio,
I, 252. Aiuta Galba a salire sul trono, 257. Creato console, 265, 372.
Fine di sua vita, 373.

Rufo (Caio Musonio), filosofo, I, 303.

Rufo (Attilio), governatore della Soria a' tempi dell'imperadore
Domiziano: sua morte, I, 335.

Rufo (Tenio), governatore della Giudea sotto lo imperadore Adriano, I,
469.

Rufo (Vettio), già console, ucciso da Commodo Augusto, I, 605.

Rufo, console occidentale sotto l'imperadore Anastasio, II, 708.

Rugi, popoli, col re loro sconfitti da Odoacre re di Italia, II, 692.
Entrano in Pavia, 714.

Ruggieri, fratello di Roberto Guiscardo, viene in Italia, IV, 286,
287. Conquiste da lui fatte in Calabria, 297. S'impadronisce di
Messina, 303. Libera Roberto suo fratello dalla prigionia, 310. Passa
in Sicilia contro i Saraceni, _ivi_. Sue vittorie sui Mori, 316, 335.
E sull'armata navale dei Greci, 344. Assedia Palermo, 348. E se ne
impadronisce, 352. Acquista Trapani, 383. E Taormina, 390. Marita una
figlia con Raimondo conte di Provenza, 399. Sua vittoria per terra
e per mare sui Saraceni, e presa di Siracusa, 436. E di Girgenti,
442. Suo nuovo matrimonio con Adelaide nipote di Bonifazio marchese
d'Italia, 445, 446. Altre sue conquiste, _ivi_. Rapitogli dalla morte
Giordano suo figlio, 454, 455. Marita una sua figlia con Corrado re
d'Italia, 467. Va in aiuto del nipote Ruggieri duca di Puglia, cui
erasi ribellata Amalfi, 470. Annichilato l'esercito suo che assediava
quella città, avvilito si ritira, 471. Collo stesso nipote va in aiuto
di Riccardo principe di Capoa, 477. Suo abboccamento con papa Urbano II
a Salerno, 478. Dallo stesso pontefice dichiarato legato apostolico in
Sicilia, _ivi_. Cessa di vivere, 489, 490.

Ruggieri II, figlio di Ruggieri I conte di Sicilia, IV, 490. Succede
al fratello, 541. Perchè mai non desse soccorso a Terra Santa,
542. Sue nozze con Alberia, figlia di Alfonso re di Castiglia, 578.
Usurpa Stati a Guglielmo duca di Puglia, 582. Che glie ne cede degli
altri, 584. Si fa erede di esso duca, 597. Acquista varie città, 598.
Ottiene l'investitura da papa Onorio II, 603. Altri suoi acquisti,
609. Abbraccia il partito di Anacleto antipapa, 613. Dal quale prende
il titolo di re, _ivi_. Gli si sottomettono Amalfi e Napoli, 617.
Costringe alla resa Brindisi e Bari, 621. Rotta da lui data a Rainolfo
conte d'Alife, 622. Sua crudeltà verso le città riprese, 626. Fa
pace con Rainolfo, 631. Gli si sottomette Napoli ed altre città, 632.
S'inferma, ed è creduto morto, 635. Doma i suoi ribelli, 636. Gli è
tolta tutta la Puglia da Lottario Augusto, 646, 649. Rotta a lui data
da Rainolfo, 653. Tratta di pace col papa Innocenzo II, 654. Ripiglia
varie terre, 656, 659. Fa prigione il papa, 660. Riconciliato con lui,
riceve l'investitura de' suoi Stati, 661. Sottomette la città di Bari,
663. Incita Guelfo VI contro il re Corrado III, 672. Privilegii a lui
concessi da papa Lucio II, 684. S'impadronisce di Tripoli, 685. Muove
guerra ai Greci, e saccheggia varie città, _ivi_, 686. Introduce in
Sicilia le manifatture di seta, 687. Sue conquiste in Africa, 690. Sua
flotta libera Lodovico re di Francia dalle mani dei Greci, 696. Da'
quali è poi sconfitta, 697. Gli nasce una figlia appellata Costanza,
702. Altre sue conquiste in Africa, 705. Fine di sua vita, 714. Anno di
sua morte controverso, 715.

Ruggieri, primogenito del re Ruggieri, creato duca di Puglia, IV, 637.
Sue imprese militari, 653, 659. Fa prigione papa Innocenzo, 660. Creato
duca di Napoli, 662. Infesta le terre della Chiesa Romana, 666. Manca
di vita, 698.

Ruggieri, figlio di Tancredi re di Sicilia, sposa Irene figlia di
Isacco Angelo imperador greco, IV, 922. Sua immatura morte, 933.

Ruggieri, figlio di Roberto Guiscardo, dichiarato principe di Puglia,
IV, 405. Ribellatasi la città d'Ascoli, ne fa smantellare le mura e
bruciare le case, 408. È assediato nella rocca di Troia dal popolo
ribellato, 410. Fa una vigorosa sortita, e disperde quella ribellione,
411. Succede al padre, 426. Fa guerra e pace con Boamondo suo fratello,
436. Giura vassallaggio al papa, 441. Nuove rotture con Boamondo, 445,
450, 459. Sua morte, 535.

Ruggieri di Loria, ammiraglio di Pietro re d'Aragona e Sicilia, prende
parte della flotta di Carlo I re di Sicilia, V, 153, 163, 164. Fa
prigione Carlo primogenito d'esso re, 168. S'impadronisce di molti
luoghi, _ivi_. Prende la flotta franzese, 179, 180. Grande sconfitta
da lui data alla napoletana, 188. Dà una nuova sconfitta alla flotta
franzese, 222. Prende e saccheggia la città di Malvasia in Grecia,
_ivi_. Abbandona don Federigo re di Sicilia, 250. Sue vittorie sui
Siciliani, 259.

Ruggieri degli Ubaldini, arcivescovo di Pisa, congiura da lui ordita
contro Ugolino de' Gherardeschi, V, 196. Per cui preso è cacciato
Ugolino con due figli ed un nipote in fondo d'una torre, e colà
lasciato morir di fame, _ivi_.

Rugila, re degli Unni, II, 486. Sua morte, 489.

Russiani: loro prodezze contro i Tartari e Turchi, VII, 428, 429. Lor
lega coll'imperadore Carlo VI, 435. Con prosperità fanno guerra a'
Turchi, 438, 456. Fanno pace con essi Ottomani, 457. Un loro esercito
è condotto dagli Anglo-Olandi contro la Francia, 684. Arrivo d'essi in
Polonia, 687. In Moravia, 693. E in Germania, da dove retrocedono, 694.

Rusticiana, moglie di Severino Boezio patrizio ai tempi del re
Teoderico, II, 817.

Rustico (Giunio), maestro di Marco Aurelio Augusto, I, 526, 527.

Rustico (Quinto), prefetto di Roma sotto l'imperadore Costanzo, II, 16.

Rustico (Decimo), nobile d'Auvergne, seguace del ribelle Giovino, preso
dai generali dell'imperadore Onorio, e fatto crudelmente morire, II,
415.

Rustico, o Rusticio, console sotto il re Teoderico, II, 803.

Rutilio (Claudio Numaziano), già prefetto di Roma: suo Itinerario, II,
447.


S

Sabaudia, oggidì Savoia: suo nome quando si cominciasse ad udire, II,
521.

Sabbaziani, eretici, II, 839.

Sabina (Poppea), moglie di Ottone. Come Nerone se ne inamorasse, I,
208. Lo accende contro la madre, 210. Poi contro Ottavia di lui moglie,
224. Sposata da esso Nerone, 225. Il quale con un calcio nella pancia,
gravida com'era, la uccide, 239.

Sabina (Giulia), figlia di Tito Augusto, II, 319. Presa da Domiziano
suo zio, e trattata qual moglie, 369.

Sabina (Giulia), figlia di Matidia Augusta, moglie di Adriano, II, 433.
Suoi disgusti col marito, 451. Dichiarata Augusta, 456, 457.

Sabina (Furia Tranquillina) Augusta, moglie di Gordiano III Augusto, I,
841.

Sabiniano, si ribella in Africa contra di Gordiano III, I, 839.
Proclamato imperadore, 840.

Sabiniano, valoroso generale di Zenone Augusto, II, 673. Sua morte, 680.

Sabiniano juniore, console orientale, II, 754, 755. Generale
dell'armata greca, è sconfitto dalle genti del re Teoderico, 756.

Sabiniano, papa, succede a san Gregorio, II, 1131. Fine del suo vivere,
1135.

Sabino (Poppeo, o Pompeo), generale dell'imperadore Tiberio contro i
ribelli della Tracia, I, 75. Preso in Macedonia il sedicente Druso,
figlio di Germanico, lo manda a Tiberio, 102. Si uccide, 104.

Sabino (Tizio), cavaliere romano, giustiziato per frode di Seiano, I,
79.

Sabino (Cornelio), congiurato contro l'imperador Caligola, I, 139. Si
uccide, 145.

Sabino (Ninfidio), prefetto del pretorio, tradisce Nerone, I, 254. È
fatto a pezzi dai pretoriani, 259.

Sabino (Publio), prefetto del pretorio sotto l'imperadore Vitellio, I,
274.

Sabino (Flavio), fratello di Vespasiano Augusto, fa che il senato
ed i soldati in Roma prestino giuramento all'imperadore Valente, I,
272. Prefetto di Roma, 276. Ucciso da' soldati tedeschi, partigiani
dell'usurpatore Vitellio, 283.

Sabino (Giulio), nobile della Gallia. Sua strana avventura, I, 314.
Fatto morire da Vespasiano, 315.

Sabino (Appio, o Caio Oppio), governatore della Mesia sotto
l'imperadore Domiziano, sconfitto ed ucciso da' Daci, I, 339.

Sabino (Tito Flavio), cugino di Domiziano, da lui ucciso, I, 354.

Sabino, prefetto di Roma sotto i due Gordiani, ucciso, I, 826. Diverso
da Sabino console, 839.

Sabino, vescovo di Capoa, va a Costantinopoli con papa Giovanni II, II,
817.

Saburano, prefetto del pretorio sotto Traiano, I, 393.

Sacerdozii, venduti da Patroclo vescovo d'Arles, II, 465.

Saione (Verano), generale del re Teoderico nelle Gallie, II, 781.

Saladino, sultano di Babilonia e dell'Egitto, s'impadronisce di
Gerusalemme, IV, 901. Indarno assedia Tiro, _ivi_, 902. Assedia
i cristiani assedianti Accon, 913, 917. Sconfitto da Riccardo re
d'Inghilterra, 929.

Salinguerra, capo de' Ghibellini in Ferrara, fa guerra ai Ravegnani,
IV, 972. Sua discordia con Azzo VI marchese d'Este, 991. Usurpa la
signoria di Ferrara, 995. Da dove è cacciato dallo stesso Azzo VI,
1000. Vi rientra coll'esclusione dell'Estense e di tutti i suoi
partigiani, 1007. Acquista il favore del papa Innocenzo III, che
lo investe delle terre che già erano della contessa Matilda, 1027.
Nuovamente cacciato di Ferrara, 1052. Prevale nuovamente il suo partito
in Ferrara, 1056. Sotto la buona fede tradisce il marchese estense Azzo
VII, 1057. Di nuovo il tradisce, 1064. Creato podestà di Verona, 1095.
Caro a Federigo II Augusto, 1105. A cui sottomette Ferrara, 1140. Perde
Ferrara, e finisce i suoi giorni in prigione, 1163.

Sallustio (Secondo), prefetto delle Gallie sotto lo imperadore
Giuliano, II, 104. Console, 124.

Sallustio (Secondo), prefetto d'Oriente sotto l'imperadore Giuliano,
II, 119. Alla morte dell'Augusto Gioviano fa eleggere imperadore
Valentiniano, 143.

Salome, sorella del re Erode il Grande, padrona del principato di
Jamnia; sua morte, I, 32. Lascia di tutto erede Livia moglie d'Augusto,
_ivi_.

Salonina (Cornelia), Augusta, moglie di Gallieno imperadore, I, 925.

Salonino (Asinio), figlio di Asinio Gallo: sua morte, I, 67.

Salonino (Publio Licinio Cornelio Valeriano), figlio di Gallieno
Augusto, creato Cesare, I, 883, 900.

Salonino (Quinto Giulio Gallieno), figlio di Gallieno Augusto, I, 900.
Ucciso da Postumo, 914.

Salonio, vescovo d'Ambrun, condannato e deposto, II, 1023.

Salviano, prete di Marsiglia, dà la descrizione dello Stato florido in
cui si trovava Cartagine quando venne presa e saccheggiata da Genserico
re de' Vandali, II, 504. Ritratto da lui lasciato di Littorio, generale
di Valentiniano III, spedito contro i Goti, 565.

Salvio (Giuliano), congiura contra di Commodo imperadore, per cui perde
la vita, I, 605.

Salvio, conte, della scuola de' domestici, sotto lo imperadore Onorio
ucciso in una sommossa di truppe in Pavia, II, 385.

Sambida, re o capo degli Alani, II, 518.

Sammonico (Quinto Sereno), scrittore, ucciso da Caracalla, I, 723.

Samone, Franco, eletto re dagli Sclavi, II, 1174.

Sanesi, maltrattati e sconfitti da' Fiorentini, IV, 1099. Prendono
e smantellano Montepulciano, 1108. Assediata la loro città da'
Fiorentini, 1111. Pace fra essi, 1128. Gran rotta da loro data ai
Fiorentini, V, 21. Altra loro insigne vittoria de' Fiorentini, 22.
Da' quali sono sconfitti, 82. Loro guerra co' Perugini, 669. Pace fra
essi, 670. Infestati dalle compagnie de' masnadieri, 709. Loro civili
discordie, 716. Cacciano di città Carlo IV, 718.

Sangibano, re degli Alani, II, 653.

San Marino, repubblica: tentativo del cardinale Giulio Alberoni per
sottoporla al dominio pontifizio, VII, 458.

Sansone, nominata la moglie di Tito Elio Procolo usurpatore
dell'imperio nelle Gallie, I, 995.

Santo, titolo dato anche a' papi e vescovi viventi, II, 360.

Saoterio, prefetto del pretorio sotto Commodo Augusto, I, 610.

Sapore I, re di Persia, muove guerra a' Romani, I, 841, 844. Messo
in fuga da Gordiano III, Augusto, 844. Conchiude la pace con Filippo
imperadore, 852. Sua guerra con Valeriano, 886. Prende e saccheggia
Antiochia, 889. Fa prigione esso Valeriano, 896. Occupa varie città,
906. Gli fa guerra Odenato, 921.

Sapore II, re di Persia, I, 1166. Amico di Costantino il Grande, 1200.
La rompe con lui, 1210. Muove guerra a Costanzo Augusto, 1212. Fugge
nella battaglia a Singara contra Costanzo Augusto, II, 25. Celebre
assedio da lui fatto di Nisibi, 36. Prende Amida, 91. Entra nella
Mesopotamia, 99. Contra di lui procede Costanzo Augusto, 100. E poi
Giuliano Apostata, 129. Pace vantaggiosa da lui fatta coll'imperadore
Gioviano, 139. Sua pace con Valente, 205. Sua morte, 229.

Sapore, generale di Teodosio, II, 233.

Sapore III, re di Persia, II, 251. Ucciso dai suoi sudditi, 346.

Saraceni, cominciano le ostilità contro il romano imperio, II,
1205. Conquistano Damasco e l'Egitto, 1214. Poi la Soria, 1219. E
la Mesopotamia, 1223. E la Persia, 1225. S'impadroniscono di parte
dell'Africa, 1241. Poi di tutta la Persia, 1249. Calano in Sicilia,
1252. Lunga discordia fra loro, 1263, 1265. Fiero saccheggio dato da
loro alla Sicilia, III, 32. Assediano Costantinopoli, 42, 43. Cacciati
di là, fanno pace co' Greci, 50, 51. Poi con Giustiniano II Augusto,
71. Che poi la rompe, 85. S'impadroniscono di Cartagine e dell'Africa.
98, 99. Furono diversi da' Turchi, 100. Occupano Tiana nella
Cappadocia, 130. E la Spagna, 321. Assediano di nuovo Costantinopoli,
158. Forzati a ritirarsi, 159. Aspirano alla Linguadoca, 165.
Que' di Spagna sconfitti, 172, 197. S'impadroniscono d'Avignone,
208. Sono sconfitti da Carlo Martello, _ivi_. I primi occupano la
Sicilia, 565. S'impadroniscono di Messina, 577. E di Palermo, 579.
Infestano la Dalmazia, 608, 609. Loro conquiste nella Calabria, 625.
S'impadroniscono di Bari, _ivi_. Prendono Taranto e danno il sacco a
quasi tutte le città della Puglia, 626. Sconfitti da Sergio duca di
Napoli, 644. Arrivano fin sotto Roma, 645. Saccheggiano la basilica
Vaticana, _ivi_. Sommersa la loro flotta, 650. Distruggono la città di
Luni, 657. Sconfiggono l'esercito de' Beneventani, 680. Desolazione
da loro data al ducato beneventano, 705. Fanno prigione Rolando
arcivescovo d'Arles, 722, 723. Loro tolta la città di Bari, 733.
Assediano Salerno, 749. Se ne ritirano, e danno il sacco alla Calabria,
755. Infestano la Puglia, 775. S'impadroniscono della Sicilia, 802.
Rotta loro data da' Greci, 817, 844. Si fanno forti al Garigliano,
835. Saccheggiano Monte Casino, 844. Que' di Spagna si annidano in
Frassineto, 967. Cacciati i primi dal Garigliano per cura di papa
Giovanni X, 996. Snidati i secondi dal Frassineto da Ugo re d'Italia,
1088. Guerra loro fatta da' Greci, IV, 201, 208. Poi dai Normanni, che
prendono Messina, 303. E Palermo, 352.

Sarbaro, o Sarbaraza, generale de' Persiani, sconfitto da Eraclio
Augusto, II, 1175, 1181, 1188. Con cui fa pace, 1194.

Sardegna, presa da' Goti, II, 933. Tolta da' Pisani e Genovesi a
Mugetto Saraceno, IV, 116, 131. Non è ben certo se allora i Pisani
l'occupassero, 132. Aveva i suoi re nell'undecimo secolo, 320. Ragioni
della Chiesa romana su quell'isola, 1145. Enzio, figlio di Federigo II
Augusto, ne è dichiarato re, 1147. Occupata dagl'Inglesi ed Austriaci,
VII, 225. Ricuperata dall'armi del re Cattolico Filippo V, 278. Ceduta
al duca di Savoia, 298.

Sarilone, ossia Sarlione, conte del palazzo del re Ugo, III, 1064.
Creato marchese di Spoleti e Camerino, 1081. Fine del suo governo e
della sua vita, 1095.

Sarmati: rivolta de' servi contra di loro, I, 1203. Rimessi in possesso
del loro paese da Costanzo Augusto, II, 83.

Saro, capitano de' Barbari al soldo di Onorio Augusto: sue imprese, II,
379, 384, 385, 388, 389. Si dichiara a favore di Onorio contro Alarico,
399. Ucciso dal re Ataulfo, 417.

Sassone, cardinale di Santo Stefano, IV, 583.

Sassoni: loro vizii e virtù, II, 474. S'impadroniscono della Gran
Bretagna, 620. Venuti in Italia col re de' Longobardi Alboino, 996.
Tornano in Germania, 1024. Si ribellano contro Arrigo IV re, IV, 283,
357, 359. Rotta loro data da esso, 365, 399, 400. Altre loro guerre col
medesimo, 437.

Saturnino (Caio Sentio), console, fu creduto che facesse la descrizione
della Giudea, I, 13.

Saturnino (Emilio), prefetto del pretorio sotto lo imperadore Severo,
ucciso dal collega Plauziano, I, 692.

Saturnino (Publio Sempronio), imperadore efimero a' tempi di Gallieno
imperadore, I, 917.

Saturnino (Sesto Giulio), sua sollevazione contro l'imperadore Probo,
I, 993. Proclamato imperadore, 994. Preso dai soldati di Probo, gli è
mozzato il capo, 995.

Saturnino (Flavio), generale di Teodosio Augusto, II, 237. Console, 238.

Saule, condottiere degli Alani militanti in favore dell'imperadore
Onorio contro Alarico re dei Goti, II, 363. Consiglia Stilicone ad
attaccar la pugna co' Goti nel giorno di Pasqua, _ivi_. Resta ucciso in
quella battaglia, _ivi_.

Savelli: loro casa abbattuta da Alessandro VI, VI, 189.

Savino (San), martire venerato in Camerino, II, 1115.

Savona, presa e saccheggiata da' Longobardi, II, 1229.

Scala (dalla), famiglia nobile, signori di Verona. _V._ i loro nomi
proprii.

Scantilla (Mallia), moglie di Giustiniano Augusto, I, 643.

Scapula (Publio Ostorio): sue imprese nella Bretagna, I, 182. Sua
morte, _ivi_.

Scarpetta degli Ordelaffi, capitano di Forlì, V, 315.

Scaurino, maestro di Alessandro imperadore, I, 764.

Scauro (Marco, ossia Mamerco Emilio), accusato a Tiberio dalla perfidia
di Macrone, si dà la morte, I, 101.

Scevino (Flavio), congiura contra di Nerone, I, 236.

Scevola, giurisconsulto celebre sotto Marco Aurelio, I, 542.

Schiavoni: loro irruzione nell'Illirico e nella Tracia, II, 1051. Se
ne impadroniscono, 1112. Malmenati dagli Unni, 1174. Eleggono Samone
per loro re, ed hanno vittoria, _ivi_. Loro guerra con Dagoberto re de'
Franchi, 1209. Guerra loro fatta da' Greci, 1266. Loro fiera irruzione
nel Friuli, III, 123.

Schiner (Matteo), cardinale di Sion, incita gli Svizzeri ad un fatto
d'armi contro Francesco I re di Francia, VI, 324, 325.

Sciarra della Colonna a tradimento in Anagni fa prigione papa Bonifazio
VIII, V, 282.

Scisma funestissimo insorto l'anno 1378 nella Chiesa romana, V, 763.

Sclavi, _V._ Schiavoni.

Scolastico, esarco di Ravenna, mandato dall'imperadore Anastasio con
una lettera a papa Costantino, con cui si dichiarava quell'Augusto
seguace della Chiesa cattolica e difensore del sesto concilio generale,
III, 146.

Scoti, gente britannica inumana, II, 524.

Scotto (Alberto), _V._ Alberto Scotto.

Scriboniano (Furio Camillo), generale delle armi romane nella Dalmazia,
sollevatosi contra Claudio Augusto, perisce, I, 152.

Scriboniano (Furio), figlio di Camillo, esiliato da Roma
dall'imperadore Tiberio Claudio, I, 185.

Scrittori greci, soliti a cangiare i nomi agli stranieri, _V._ Greci.

Scrittura sacra, usata nel decidere le consulte, II, 1173.

Scuole, stabilite da Lottario Augusto nel regno di Italia, III, 568.

Sebastiano conte, generale di Giuliano Augusto, lasciato da lui
alla custodia delle frontiere della Mesopotamia, II, 128, 153.
Coll'imperadore Valentiniano va contra degli Alamanni, 170. Va contro
i Quadi, 195. Allontanato da Merobaude dal consiglio per dare un
successore al defunto Valentiniano, 197. Comandante della fanteria
nella Pannonia contro i Goti, 209. Morto in battaglia, 212.

Sebastiano, fratello di Giovino, dichiarato Augusto, ed ucciso, II, 417.

Sebastiano, conte, generale di Valentiniano III, II, 484. Esiliato,
488. Fugge da Costantinopoli, 492. Si rifugia presso i Vandali in
Africa, 508, 509. Da loro gli è tolta la vita per ordine del re
Genserico, 509.

Sebastiano (San), martire: per la sua intercessione cessa la peste
nella città di Pavia, III, 59.

Sebastiano Ziani, doge di Venezia, IV, 833. Accoglie papa Alessandro
III in Venezia, 858. Sua prudenza in maneggiar la pace fra lui e
l'imperadore Federigo I, 861. Fine de' suoi giorni, 873.

Sebastiano Veniero, doge di Venezia, VI, 773. Sua morte, 778.

Sebastiano, re di Portogallo, morto in una battaglia contro i Mori, VI,
778.

Sebastiano, re finto di Portogallo, imprigionato in Venezia, VI,
899. Poscia da quella repubblica esiliato, _ivi_. Travestito passa in
Toscana, ove conosciuto dal gran duca Ferdinando è carcerato e mandato
a Napoli, _ivi_. Condotto poscia in Ispagna, colà termina i suoi
giorni, 900.

Secolare (Cornelio), prefetto di Roma sotto Valeriano Augusto, I, 894.

Secondino, console orientale sotto l'imperadore Anastasio, II, 779.

Secondo (Lucio Pomponio), poeta tragico e governatore della Germania
sotto l'imperadore Tiberio Claudio, I, 182.

Secondo (Pedanio), prefetto di Roma sotto Nerone, ucciso da un servo,
I, 220.

Secondo (Petronio), prefetto del pretorio, congiurato contro
l'imperadore Domiziano, I, 367. Ucciso da' soldati, 377.

Secondo (Sallustio), prefetto del pretorio d'Oriente sotto l'imperadore
Giuliano, II, 119.

Secondo (Sallustio), prefetto delle Gallie, creato console, II, 124.

Secondo, vescovo di Trento, scrisse la storia dei Longobardi, II, 1029,
1062. Battezza solennemente in Monza Adaloaldo, figlio del re Agilolfo,
1123. Fine de' suoi giorni, 1148.

Secondotto, marchese di Monferrato, succede al padre, V, 730. Sue nozze
con Violante, sorella di Gian-Galeazzo Visconte conte di Virtù, vedova
già di Lionetto d'Inghilterra, 757. Per la sua bestialità ucciso da un
Tedesco del suo seguito, 766.

Sede di san Pietro, vacante per tre anni, I, 1060.

Segerico, figlio di Sigismondo re de' Borgognoni, II, 809. Per le trame
della matrigna tolto di vita dal padre, _ivi_.

Segeste, suocero d'Arminio, manda suo figlio Segimondo a Germanico
per aiuto, onde difendersi dal genero, che gli avea mosso contro una
sedizione, I, 49.

Segimero, padre d'Arminio, sorprende col figlio i Romani, che rimangono
sconfitti, I, 29, 30.

Segimondo, figlio di Segeste capo de' Germani, mandato dal padre a
Germanico per aiuto contro Arminio, I, 49.

Segisvoldo, generale di Valentiniano III. _V._ Sigisboldo.

Segittario, vescovo di Gap, condannato e deposto, II, 1023.

Seiano (Elio), favorito di Tiberio Augusto, spedito da quell'imperadore
col figlio Druso a sedare le truppe sollevate in Pannonia, I, 44.
Odiato dal romano popolo, 63. Imputato della morte di Druso figlio
di Tiberio, 68, 69. Sua iniquità, 69, 70. Statue a lui alzate, 70.
Aspira alle nozze di Giulia Livilla, 74. Adulato da tutti, 86. Trame di
Tiberio per atterrarlo, 87. Preso ed ucciso, 90, 91.

Selim, sultano de' Turchi: sua potenza e crudeltà, VI, 349, 350.

Selim II, sultano dei Turchi, succede al padre Solimano II, VI, 723.

Semipelagiani, eretici condannati nel concilio II arausicano, II, 615,
837.

Sempronio Gracco, bandito per la sua disonesta amicizia con Giulia
figlia di Augusto, I, 46.

Senatore (Flavio), console orientale sotto l'imperadore Teodosio II,
II, 493.

Senatusconsulto di Giulio Cesare, circa i testamenti, abolito
dall'imperadore Antonino Pio, I, 512.

Seneca (Lucio Anneo), filosofo, corre pericolo della vita sotto
l'imperadore Caligola, I, 127. Relegato in Corsica da Tiberio Claudio,
156. Torna a Roma precettore di Nerone, 179. Satira da lui composta
contro Claudio Augusto, 195. Tiene in freno Agrippina, 197. Nerone
comincia a sprezzarlo, 206. Taccia a lui data da Marco Suilio, 207. E
da altri, 211. Creato console, 223. Tenta di ritirarsi dalle cariche,
224. Imputato di aver tenuta mano nella congiura contro Nerone, si
svena, 287.

Senecione (Caio Sosio), console e favorito di Traiano, I, 392.

Serena, moglie di Stilicone, II, 382, 387. Fatta uccidere dal senato,
390.

Sereno, patriarca d'Aquileia, III, 161. Il re Liutprando gli ottiene
dal papa Gregorio II il pallio, _ivi_. Sua lite col patriarca di Grado,
162.

Sergio papa. Sua elezione, III, 74. Ricusa di sottoscrivere i canoni
del concilio trullano, 87. Tentativo di rapirlo fatto per ordine di
Giustiniano II, 89. È chiamato all'altra vita, 111.

Sergio, protospatario e duca di Sicilia, a' tempi dell'imperadore Leone
Isauro, fa proclamare imperadore un certo Basilio, III, 159. Scappa
dalla Sicilia in Calabria, ricoverandosi presso i Longobardi, 160.

Sergio, patrizio, generale delle armi dell'imperadore Leone Isauro in
Sicilia, III, 197.

Sergio, duca di Napoli, III, 634. Sconfigge la flotta de' Saraceni,
644. Sconfitto da' Capoani, 693. Sua morte, 730.

Sergio II papa. Sua elezione, III, 636. Dà la corona del regno d'Italia
a Lodovico II, 638. Sostiene i diritti del popolo romano, 639. Passa a
miglior vita, 648.

Sergio II duca di Napoli, III, 731. Imprigiona Atanasio, vescovo di
quella città e suo zio, 732. L'assedia in un'isola, ed è scomunicato,
753. Sua lega co' Saraceni, 789. Acciecato e deposto, viene inviato a
Roma, ove muore, _ivi_.

Sergio III, diacono della Chiesa, soccombe nell'elezione di papa
Formoso, III, 886. Veramente soccombe in quella di Giovanni IX, 927.
Viene eletto papa, 959. Rifabbrica la patriarcale Lateranense, 968. Sua
morte, e difesa del suo nome, 978.

Sergio, duca d'Amalfi, III, 1205.

Sergio, altro duca d'Amalfi, che viene poi scacciato dal popolo, IV, 77.

Sergio IV papa. Sua elezione, IV, 86. Fine di sua vita, 96.

Sergio IV, duca di Napoli, IV, 94. Cede alle forze di Pandolfo principe
di Capoa, 161. Ricupera Napoli, 164.

Sergio, duca d'Amalfi, IV, 206. Succede al padre, 340. Sua morte, 383.

Sergio, abbate di San Niccolò del Lido, IV, 218.

Sergio V, duca di Napoli, IV, 322, 347.

Sergio, duca di Sorrento, IV, 347, 577, 581.

Sergio VI, duca di Napoli, IV, 610. Si sottomette al re Ruggieri, 617.
Rinolfo, conte d'Alife, a lui ricorre per aiuto contro il re Ruggieri,
626. Di nuovo si ribella contro il re Ruggieri, 635. Soccorre Napoli,
638, 639. Va ad assediare la città di Salerno, 649. Muore in una
battaglia, 653.

Seronato, prefetto del pretorio nelle Gallie sotto l'imperadore
Antemio, II, 627.

Serpente di Mosè, se tuttavia sussistente in Milano, IV, 54.

Servando, prefetto del pretorio nelle Gallie, _V._ Arvando.

Servi, non ammessi alla milizia, I, 1202. Quei della Sarmazia cacciano
i proprii padroni, 1203.

Serviano (Caio Giulio), console, marito di Paolina sorella
dell'imperadore Adriano, I, 405, 465, 470. Da cui è ucciso, 481.

Sesualdo, aio di Romoaldo duca di Benevento, III, 11. Sua gloriosa
morte, 13.

Seta, a' tempi di Aureliano si vendeva a peso di oro, I, 973. Vesti di
seta vietate tanto agli uomini che alle donne dall'imperadore Tacito,
980. Quando si principiò a fabbricare in Europa, II, 931.

Setticio (Claro), prefetto del pretorio sotto l'imperadore Adriano, I,
451.

Settimio, efimero imperadore, I, 959.

Severa (Giulia Aquilia), moglie dell'imperadore Elagabalo, I, 759.

Severa (Marcia Otacilia) Augusta, moglie di Filippo seniore, I, 850.
Creduta cristiana, 852.

Severa (Valeria), moglie di Valentiniano I Augusto, II, 164, 198.

Severiano, governatore della Cappadocia, I, 333. Ucciso da' Parti,
_ivi_.

Severiano, suocero di Filippo seniore Augusto, I, 853. Governatore
della Pannonia, 860.

Severiano, figlio di Severo Augusto, I, 1082. Ucciso da Licinio
Augusto, 1128.

Severiano, vescovo cattolico, esiliato da Genserico re dei Vandali, II,
496.

Severino, console occidentale sotto l'imperadore Severo, II, 607.

Severino iuniore, console occidentale sotto re Odoacre, II, 681.

Severino (San), apostolo del Norico, II, 622. Il suo corpo trasportato
in Italia, è posto nel castello Lucullano, 694.

Severino papa. Sua consecrazione e sua morte, II, 1219, 1224.

Severo (Cassio), oratore satirico: sua misera morte, I, 96.

Severo (Giulio), generale di Adriano contro i Giudei, I, 470.

Severo (Catilio), governatore della Soria, I, 437. Prefetto di Roma
deposto dall'imperadore Adriano, 480, 481.

Severo (Claudio), filosofo, maestro di Marco Aurelio Augusto, I, 526.

Severo (Settimio), che fu poi imperadore, governatore di Lione,
disperde le truppe del ribello Materno nelle Gallie, I, 612. Creato
console, 616. Generale delle armi romane nella Pannonia sotto
l'imperadore Commodo, 644. Si fa proclamare Augusto in Carnunto,
_ivi_. Frettolosamente sen viene a Roma, 646, 647, 648. Suoi impieghi
in gioventù, 649, 650. Suo pesante governo sui principii, 651. Suo
regalo dato al popolo romano, 652. Funerale da lui fatto a Pertinace,
_ivi_. Sua moglie e suoi figli, 653. Va contro Pescennio Negro, 654.
Che da lui resta sconfitto ed ucciso, 658. Sua crudeltà contro i di
lui partigiani, _ivi_. Nome di Settimia e Severiana da lui dato a
Laodicea, 659. Pei molti aggravii da lui posti si rende odioso in
tutto l'Oriente, _ivi_. Acquista Bisanzio, 662. Porta la guerra ai
Parti, 663. De' quali riporta vittoria, _ivi_. Rifiuta il trionfo dal
senato decretatogli, _ivi_. Vince l'armata di Clodio Albino, che poi
resta ucciso, 668. Crudele contra i di lui aderenti, _ivi_, 669. Sua
liberalità verso i soldati, 670. Sua crudeltà verso i nobili romani,
671. Muove nuovamente guerra a' Parti, 674. Assedia inutilmente
Atra, _ivi_, 679. Saccheggia Ctesifonte reggia d'essi Parti, 676. Sua
avarizia, 682. Comincia ad usare il titolo di Pio, 683. Dà la toga
virile a Caracalla Augusto suo figliuolo, mentre era in Antiochia,
684. Passa in Egitto, _ivi_. Proibisce che alcuno possa abbracciare
la religione cristiana e giudaica, _ivi_. Quinta persecuzione dei
cristiani comandata da lui, _ivi_. Privilegii da lui concessi alla
città d'Alessandria in Egitto, 685. Visita Menfi, le piramidi il
Labirino e la statua di Mennone, _ivi_. Fabbriche da lui fatte
innalzare in Bisanzio, 686. Arriva a Roma: trionfo e spettacoli suoi,
687. Sua lodevole maniera di vivere e giustizia, 697. Passa nella Gran
Bretagna, 706. Dove termina i suoi giorni, 712. Deificato, _ivi_, 715.

Severo (Flavio Valerio), dichiarato Cesare, I, 1063. E poscia Augusto,
1075, 1078. Viene in Italia, mandato da Galerio Massimiano Augusto per
abbattere il ribelle Massenzio, 1082. Sua morte, _ivi_.

Severo (Acilio), prefetto di Roma, sotto l'imperadore Costantino, I,
1172.

Severo, prefetto di Roma sotto l'imperadore Graziano, II, 234.

Severo o Severiano (Livio), patrizio congiurato contro Maioriano
Augusto, II, 608. Creato imperadore dopo di lui, 609. Giugne al fine di
sua vita, 618.

Severo, patriarca d'Aquileia, imprigionato da Smaragdo esarco, II,
1061. Accetta il concilio V, 1063. Poi ritorna all'errore, _ivi_. Sua
morte, 1133.

Severo, vescovo d'Ancona, II, 1089.

Sforza (Attendolo), valente capitano: sua origine, V, 899, 923. Va al
servigio de' Fiorentini, 935. Poi dei marchese di Ferrara, 959. Leva di
vita Ottobuono de' Terzi tiranno di Parma e Reggio, 968. Va al servigio
di Ladislao re di Napoli, 979. Fatto imprigionare da Pandolfo Alopo,
favorito della regina Giovanna II di Napoli, 998. Liberato e creato
gran contestabile del regno, _ivi_. Imprigionato dal re Jacopo della
Marca, _ivi_. Torna in sua libertà ed al suo grado, 1006. Sua guerra
contro Braccio da Montone, 1010. Sconfitto dai Napoletani, 1018. Sue
battaglie con Braccio, 1022. Assedia Napoli, 1030. Torna in grazia
della regina, 1041. E la difende contro il re Alfonso, 1045. Va per
liberar l'Aquila dall'assedio, postovi da Braccio di Montone, 1048.
Muore affogato nel viaggio, 1052.

Sforza, famiglia illustre che discese dal precedente. _V._ i loro nomi
proprii.

Siagria, piissima donna: sua carità nel redimere gli schiavi, II, 719.

Siagrio (Postumio), prefetto di Roma sotto l'imperadore Tacito, I, 977.

Siagrio, generale de' Romani a' tempi dell'imperadore Severo nelle
Gallie, II, 619. Sconfitto ed ucciso da Clodoveo re de' Franchi, 691.

Sibiglia, sorella di Baldovino, re di Gerusalemme, sposa Guglielmo
Lungaspada, marchese di Monferrato, IV, 872.

Sibilla, moglie di Tancredi re di Sicilia, rimasta vedova, prende la
tutela di Guglielmo III, IV, 933. _V._ Guglielmo III.

Sicardo, principe di Benevento, III, 582. Fa guerra a' Napoletani,
601. S'impadronisce di Amalfi, 609. Continua a molestare e stringere
la città di Napoli, _ivi_. Macchiato di molti vizii d'incontinenza
e d'avarizia, 610. Si mette tutto in mano di Rofredo, _ivi_. Che lo
consiglia a prendere in moglie Adelgisa sua parente, _ivi_. Per i
cui consigli mette le mani addosso a Siconolfo suo fratello, _ivi_.
Costringe a farsi monaco Maione suo parente, _ivi_. Fa proditoriamente
impiccare Alfano, uno de' più illustri personaggi di Benevento, _ivi_.
Diventa odioso a tutti, _ivi_. È ucciso, _ivi_.

Sicardo, abbate di Farfa, III, 616.

Sicardo, vescovo di Cremona e storico, IV, 892. Placa l'imperadore
Federigo I irato contro la sua città, 898. Spedito in Germania da' suoi
concittadini, 911. Presa la croce, va in Levante, 978. Sua morte, 1028.

Sichelgaita, moglie di Roberto Guiscardo duca di Puglia; a lei
attribuita la morte del marito, IV, 425. Sua morte, 441.

Sicilia, infestata da' corsari, II, 501. Dai Vandali, 508. Saccheggiata
de' Goti, 926. Saccheggiata da' Saraceni, III, 32. Da essi occupata,
565. Guerra _ivi_ fatta da' Greci contro i medesimi, IV, 201. I quali
ricuperano le città perdute, 209. Occupata da Arrigo VI Augusto, 938.
Proclamatone re Pietro d'Aragona, V, 236. Da fiero tremuoto afflitta,
VII, 109. Invasa dall'armi spagnuole, 284. E dalle imperiali, 286.
Gli Spagnuoli assediano Melazzo, 292. Vittorie degli stessi contro
i Tedeschi al fiume Roselino, 293. Ceduta all'imperatore, 298.
Conquistata dall'infante don Carlo, 403.

Siciliani, si ribellano al re Carlo I, V, 149. Messinesi, assediati
da lui, virilmente si difendono, 152. Liberati dall'assedio, 153.
Scomuniche contro di loro fulminate dal papa Onorio IV, 177. Loro
furore contro i Franzesi prigioni, _ivi_. Sconfitta da loro data alla
flotta napoletana, 189. Abbandonati da Giacomo re d'Aragona, 236. Da
lui sconfitti, 260. E da Ruggieri di Loria, 267.

Sicone, conte d'Agerenza, III, 514. Creato principe di Benevento, 516.
Manda ambasciatori allo imperadore Lodovico Pio, 520. Suoi sospetti
contro Radelgiso, 555. Termina i suoi giorni, 580. Fatto da lui morire
in prigione Deusdedit abbate di Monte Casino, 591.

Sicone, principe di Salerno, III, 664. Messo in corte di Lodovico II
Augusto, 669. Dal quale è fatto cavaliere, _ivi_, 670. Col veleno è
tolto di vita, 670.

Siconolfo, fratello di Sicardo principe di Benevento, imprigionato,
III, 610. Tratto di prigione, è proclamato principe da' Salernitani,
618. Sua guerra contro Radelgiso principe di Benevento, 623. Lo
sconfigge, 626. Prende al suo soldo i Saraceni, 627. Mette in rotta
l'esercito nemico, 630. Ricorre per aiuto a Lodovico II re d'Italia,
640. Saccheggia il tesoro di Monte Casino, 641. Divide il ducato con
Radelgiso, 654. Fine de' suoi giorni, 663, 664.

Sidonio (Apollinare), insigne scrittore. Panegirico suo in lode
di Avito imperadore, II, 587. Altro in onore di Maioriano Augusto,
601. Altro in esaltazione di Antemio Augusto, 627. Creato vescovo
d'Auvergne, 649.

Siena: lite sua con Arezzo per la diocesi, III, 142, 151, 427. Si
toglie dal dominio dell'imperadore Carlo V, e si mette sotto la
protezion dei Franzesi, VI, 619. Le fan guerra i cesarei, 627. Poscia
Cosimo duca di Firenze, 633. Si rende a Cesare, 642, 643. Indi data al
suddetto duca di Firenze, 680.

Siffredo, arcivescovo di Magonza, in lega contro l'imperadore Ottone
IV, IV, 1013.

Sifidio, console occidentale sotto re Odoacre, II, 695.

Sigeardo, patriarca d'Aquileia: sua morte, IV, 380.

Sigeberto, re di Colonia, assassinato dal proprio figlio Cloderico per
suggestione e tradimento del re Clodoveo, II, 778.

Sigeberto, re della Francia Orientale, figlio di Clotario re di
Francia, succede al padre nel regno d'Austrasia, II, 972. Somministra
viveri agli Avari, onde lascino in pace i suoi stati, 985. Procede
contra di loro, li rompe e li fuga, 988. È tolto dal mondo, 1024.

Sigeberto, scrittore: sua cronologia non ben sicura, II, 1156.

Sigeberto, o Sigoberto, figlio di Dagoberto re dei Franchi, II, 1199.
Alla morte del padre, a lui tocca l'Austrasia, 1220. Sua debolezza
d'animo, 1239. Sua morte, 1264.

Sigefredo, duca de' Normanni, va in aiuto de' suoi che assediano
Parigi, III, 851.

Sigefredo, vescovo di Parma, III, 1041, 1043. Accompagna Berta
figlia del re Ugo a Costantinopoli, che va a sposare Romano, figlio
dell'imperadore greco Costantino, 1094. Privilegio a lui conceduto
dall'imperadore Ottone II, 1226.

Sigefredo, altro vescovo di Parma, IV, 35. Da Arrigo II re di Germania
gli è concessa la badia di Nonantola sul modenese, 68. Amplissimo
privilegio a lui concesso dallo stesso re, 74.

Sigefredo, arcivescovo di Magonza; a lui affidata l'educazione del
giovanetto Arrigo IV, IV, 314. Che gli è tolta da Adelberto arcivescovo
di Brema, _ivi_. La torna ad avere, 327. Viene a Roma, 345. Fatto
prigioniero dal re Ridolfo in un fatto di armi, 390. Corona Ermanno in
re di Germania, 403, 404.

Sigefredo, vescovo di Bologna, censure contro di lui confermate nel
concilio romano tenuto da papa Gregorio VII, IV, 391.

Sigesario, o Sigesaro, vescovo goto, II, 397.

Sigifredo, re oppure generale de' Normanni, innonda la bassa Germania,
III, 833.

Sigifredo, conte del palazzo e conte di Milano sotto il re Berengario:
suo placito tenuto in quella città, III, 950.

Sigifredo, principe longobardo, padre d'Azzo, che fu bisavolo della
celebre contessa Matilda, III, 1117.

Siginfredo, vescovo di Piacenza, IV, 134.

Sigisboldo, Segisvoldo, o Sigisvallo, Goto, generale di Valentiniano
III Augusto, II, 470. Manda Massimino, vescovo ariano a sant'Agostino
in Ippona per conferire con lui, 477. Console, 496.

Sigismondo, figlio di Gundobado re de' Borgognoni, II, 719, 741.
Succede al padre, 795. Uccide il figlio, e suo pentimento, 809. È
consegnato da' suoi in mano di Clodomiro, re franco, dal quale è
posto prigione in Orleans, II, 817. Poi fatto morire, _ivi_. Posto nel
catalogo dei santi, 818.

Sigismondo, figlio di Carlo IV imperadore, creato re d'Ungheria, V,
918. Poscia re de' Romani, 972. Muove guerra a' Veneziani, 977, 983.
Suo abboccamento con papa Giovanni XXIII, 987. Fa tregua co' Veneziani,
988. Va al concilio di Costanza, 993. Suo fervore per la riunion della
Chiesa, 996. Sua vittoria de' Turchi, 1025. Viene in Italia, 1092. Sua
coronazione in Milano, 1093. E suo viaggio in Toscana, 1094, 1095. Sua
coronazione romana, 1102. Sua morte, 1125.

Sigismondo Malatesta, signore di Rimini, V, 1078. Occupa Cervia, 1105.
Tradisce Francesco Sforza, 1169, 1174. Gli fa guerra, 1177. Sconfitto
dal conte d'Urbino, 1197. Va al servizio dei Fiorentini, 1202. Sue
iniquità, 1246. A lui fa guerra il re Alfonso, _ivi_. Impetra una pace
svantaggiosa, 1258. Va al servigio di Giovanni duca d'Angiò contro
il papa Pio II, 1266. Dà una rotta all'esercito pontifizio, 1267. Ne
riceve egli un'altra, 1273. Cessa di vivere, VI, 29, 30.

Sigismondo, duca d'Austria, fa guerra a' Veneziani, VI, 96.

Sigoberto, re de' Franchi, _V._ Sigeberto.

Sigolfo, vescovo di Piacenza, III, 1176, 1217.

Sigualdo, patriarca d'Aquileia, III, 347.

Sigualdo, vescovo di Piacenza: sua morte, III, 1264.

Silana (Giulia), accusa Agrippina, ed è relegata, I, 202.

Silano (Cretico), governatore della Soria sotto lo imperadore Tiberio,
I, 54.

Silano (Marco Giunio), primo fra' senatori, si dà la morte, I, 120.

Silano (Lucio), destinato genero di Claudio Augusto, I, 147, 150.
Toltagli Ottavia figlia d'esso Augusto, a lui promessa, si uccide, 179.

Silano (Appio), senatore, stoltamente fatto uccidere da Claudio
Augusto, I, 151.

Silano (Giunio), proconsole dell'Asia, avvelenato da Agrippina madre
dell'imperadore Nerone, I, 196.

Silano (Torquato), fatto accusar da Nerone, si uccide, I, 230.

Silio (Caio), generale di Tiberio, I, 51, 65. Sposa Messalina Augusta,
172. Viene ucciso, 175.

Silla (Cornelio), _V._ Fausto.

Sillano (Lamia), governatore della Soria, genero di Antonino Pio, I,
488.

Silvano (Pomponio), accusato, con arte scampa la vita, I, 207.

Silvano, nelle Gallie si fa proclamare Augusto, II, 67. È ucciso, 68.

Silverado, abbate di Bobbio, III, 1059.

Silverio papa. Sua elezione, II, 863. Esiliato e deposto da Belisario,
870. Confinato nell'isola Palmaria, 873. Dov'è privato di vita, _ivi_.

Silvestro, romano pontefice, I, 1129. Sue premure contro l'eresia
d'Ario, 1173. Sua morte, 1206.

Silvestro II papa. Sua elezione, IV, 36, 37. Assedia Cesena, 42. Suo
concilio, 45. Ottiene dall'imperadore Ottone III il perdono al popolo
di Tivoli, 46. Altro suo concilio, 62. Sua morte, ed apologia, 63.

Silvestro III, papa, eletto e scacciato, IV, 221. Deposto nel concilio
romano, 229.

Silvestro de' Gatti, signor di Viterbo accoglie con grande onore in
quella città Lodovico il Bavero, V, 466. Ucciso, 492.

Silvestro Valiero, doge di Venezia, VII, 110.

Simbaticio, generale de' Greci, occupa il ducato di Benevento, III,
887, 888. A lui succede Giorgio patrizio, 892.

Simeone (San) Stilita, anacoreta, II, 586. Sua morte, 606, 607.

Simeone, re de' Bulgari, III, 983.

Simile, prefetto del pretorio sotto Adriano, I, 436, 446.

Simmaco (Lucio Aurelio Aviano), prefetto di Roma, II, 148, 150.

Simmaco (Aurelio), figlio del precedente, celebre senatore e scrittore,
II, 236. Prefetto di Roma, 239, 250. Sua supplica per rimettere nel
senato la statua della Vittoria, 253, 254, 282. Console, 292. Suo
credito come scrittore, 321.

Simmaco, prefetto di Roma, favorisce Eulalio eletto papa contro
Bonifazio I, II, 439.

Simmaco (Quinto Aurelio Memmio), iuniore, creato console sotto re
Odoacre, II, 689.

Simmaco, eletto papa con scisma, II, 731. Prevale a Lorenzo eletto
contro di lui, 734. Riconosciuta legittima ne' concilii la sua
elezione, 735. Rinnovato lo scisma e le accuse contra di lui, 743.
Riconosciuta la di lui innocenza nel concilio palmare, 744. Suo scritto
apologetico ad Anastasio Augusto, 749. Sua carità verso i vescovi
africani esiliati, 752. Sue lettere, 783, 785, 786. Sua morte, 788.

Simmaco, figlio di Severino Boezio, console sotto Giustino imperadore,
II, 807.

Simmaco, suocero di Boezio e senatore di Roma, fatto morire dal re
Teoderico, II, 818.

Simone, conte di Sicilia e di Calabria, IV, 490, 497. Sua morte, 541.

Simone, cardinale di San Martino, legato del papa Clemente XI; prende
Jesi ed altre città e castella della marca d'Ancona, V, 61.

Simone, o Simonino, Boccanegra, primo doge di Genova, V, 549, 553.
È obbligato a fuggire dalla città, 576. Burla i Visconti, e torna ad
essere doge, 655. Entra in lega contro di essi, 661. Riduce alla sua
ubbidienza Ventimiglia, Savona e Monaco, 664. Dà aiuto al marchese di
Monferrato, 689. Termina miseramente i suoi giorni, 694.

Simone da Borzano, cardinale, abbandona il papa Urbano VI e si dà al
partito dell'antipapa Clemente VII, V, 763.

Simonia, una volta familiare, IV, 234. Condannata ne' concilii, 245,
271.

Simplicio, vicario di Roma sotto l'imperadore Valentiniano, sua
crudeltà, II, 187, 188. Fatto processare dall'imperadore Graziano, paga
il fio delle sue scelleraggini, 200.

Simplicio papa. Sua elezione, II, 631. Sue lettere, 664, 669. Suo zelo
per la religione, 671, 682. Fine di sua vita, 684.

Sindualdo, re degli Eruli in Italia, oppresso da Narsete, II, 983.

Singerico, re de' Goti, ucciso, II, 429.

Singilio, fiume della Betica, presso il quale Rechila, re degli Svevi,
diede una sconfitta e tolse un gran tesoro ad Andevoto, capitano
dell'esercito romano sotto l'imperatore Valentiniano III, II, 500, 501.

Sinibaldo de' Fieschi, cardinale di San Lorenzo in Lucina, IV, 1177.
Eletto papa, _ivi_. _V._ Innocenzo IV.

Sinibaldo degli Ordelaffi, signore di Forlì, V, 749. È imprigionato da'
suoi nipoti, 811.

Sinoce, generale sotto l'imperadore Valentiniano III, spedito in Africa
contro Bonifacio conte e governatore in quella regione, II, 469. Uccide
i due suoi compagni, Mavorzio e Gallione, 470. Si accorda con lo stesso
Bonifazio, _ivi_. Dal quale è levato dal mondo, _ivi_.

Siracusa, presa da' Saraceni, III, 802.

Siriano, grammatico greco, creato conte da Teodosio II Augusto, II, 463.

Siricio, romano pontefice; sua elezione, II, 255. Fa cacciare tutti gli
eretici manichei da Roma, 285. Sua morte, 340.

Siro, vescovo di Genova, IV, 612. Creato arcivescovo, _ivi_, 620.

Siroe, figlio di Cosdroe re di Persia, si ribella al padre e l'uccide,
II, 1195.

Sisinnio papa. Sua consecrazione, III, 127. Poco dopo muore, _ivi_.

Sisto I papa, I, 427. Suo martirio, 467.

Sisto II papa, I, 886. Suo martirio, 887.

Sisto III papa eletto, II, 482. Rigetta Giuliano pelagiano, già vescovo
di Eclano, 506. Fine di sua vita, 507.

Sisto IV papa. Sua elezione, VI, 40. Fa guerra a' Turchi, e ingrandisce
i parenti, 42. Celebra il giubileo, 50. Meschiato nella congiura
dei Pazzi contro i due fratelli Giuliano e Lorenzo de Medici, 59.
Muove guerra a' Fiorentini, dopo aver contro d'essi fulminate tutte
le scomuniche e maledizioni del cielo, 61. Sua lega co' Veneziani,
71. Collegato con essi contro il duca di Ferrara, 78. Fa pace col re
Ferdinando, 81. Fulmina le censure contro i Veneziani, 83. Fine del suo
vivere, 88.

Sisto V papa. Sua creazione, VI, 801. Sue prime azioni, 804. Sua cura
per estirpare i banditi, 808. Fa alzare un obelisco, 810. Altre sue
imprese, _ivi_. Istituisce varie congregazioni, 812. Rauna molto oro
per bene della Chiesa, 817. Altre sue belle opere, _ivi_, 823. Procede
contro Arrigo III, 824. Fa collazionare e pubblicare la sacra Bibbia
secondo il prescritto dal sacro concilio di Trento, 828. Chiude la
carriera del suo vivere, _ivi_.

Sitta, generale di Giustiniano Augusto contro i Persiani, II, 832.

Siviglia, spianata da' fondamenti da' Vandali, II, 463.

Smaragdo, o Smeraldo, esarco di Ravenna, II, 1048. Fa tregua co'
Longobardi, 1055, 1057. Imprigiona Severo patriarca d'Aquileia, e varii
altri vescovi, 1061. Fine del suo governo, 1064. È richiamato da quel
governo, _ivi_. Torna ad essere rivestito della dignità di esarco,
1118. Di nuovo richiamato a Costantinopoli dall'imperadore Eraclio,
1143.

Smirna, smantellata da un furioso tremuoto, I, 586.

Socrate, storico greco, II, 507.

Soderino, cardinale, ritiene come prigione del papa Pio III il duca
Valentino, VI, 205, 206.

Soemio, re dell'Arabia Iturea, I, 119.

Soemo, dall'imperadore Nerone dichiarato re della Sofene, I, 198. Entra
con un esercito nella Comagene, 297.

Soemo, re dell'Armenia, I, 535.

Sofia, moglie di Giustino II imperadore, coronata Angusta, II, 982. A
lei attribuita la caduta di Narsete, 990, 991. Deluse le sue speranze
da Tiberio Costantino Augusto, 1031.

Sofronio, monaco, si oppone ai monoteliti, II, 1206. Succede a Modesto
patriarca di Gerusalemme, _ivi_. Con assaissimi passi dei santi padri
prova le due volontà e due operazioni in Gesù Cristo, 1208. Sua omilia
recitata il giorno di Natale mentre Gerusalemme era assediata da Omaro
califa de' Saraceni, 1216. Presa quella città, muore dal cordoglio,
_ivi_.

Solari (conte), Italiano, generale cesareo, VII, 176. Muore in
battaglia, 179.

Solimano, califa de' Saraceni, III, 151. Assedia Costantinopoli, e
muore, 158.

Solimano II, sultano de' Turchi, s'impadronisce dell'Ungheria, VI,
430. Assedia Vienna, 471. Allestisce un potente esercito per invadere
il restante dell'Ungheria, e rifarsi della ritirata dall'assedio
di Vienna, 483. All'avvicinarsi dell'esercito cristiano, si ritira,
conducendo però moltissimi contadini ungheresi prigionieri, 488. Sua
stretta corrispondenza ed amicizia con Francesco I re di Francia,
550. Suo copioso armamento di terra e di mare per prendere Malta ai
cavalieri gerosolimitani di San Giovanni, 711. Prende la fortezza di
Sant'Ermo con massacrare chiunque era sopravvissuto alla difesa, 712.
È costretto ad abbandonare quell'impresa dopo di aver sacrificato
un numero strepitoso de' suoi, tra' quali il famoso corsaro Dragut
Rais, _ivi_. Arma nuovamente, e prende l'isola di Scio, 720, 721.
Tenta invano Pescara e le isole di Tremiti, 721. Molte città d'Italia
soggiacciono al suo furore, _ivi_. Poi è forzato a ritirarsi dalle
armi del papa, dei Veneziani e degli Spagnuoli, _ivi_, 722. Passa in
Ungheria, ove prende alcune terre, 723. Sua morte, _ivi_.

Soncino Benzone, signore di Crema, V, 386.

Sonichilde, seconda moglie di Carlo Martello, III, 172. È posta in un
monistero dai figliastri, 226, 227.

Sopatro, filosofo platonico, ucciso dalla plebe di Costantinopoli, I,
1198.

Sorano (Berea), senatore illustre, condannato a morte da Nerone, I, 241.

Sosiano (Autistio), pretore di Roma, esiliato dall'imperadore Nerone,
I, 223.

Sotero, romano pontefice, I, 529. Suo martirio, 555.

Sotomeno, storico greco, II, 507.

Sozzo e Jacopo de' Vestarini, signori di Lodi, V, 475.

Spagna Tarragonese, devastata da' Franchi, I, 911. Occupata da'
Saraceni, III, 132. Partaggio di quella monarchia, VII, 135. Altro
susseguente, 146. Approvata la successione della casa di Francia a
quella corona, 147.

Spagnuoli. (_V._ Raimondo di Cardona.) Loro barbarie in Toscana, e
specialmente in Prato, VI, 291. E sul Padovano, 308. Loro armata viene
in Italia contro il regno di Napoli, VII, 383. Conquistano i regni di
Napoli e Sicilia, 400, 403. Assediano e prendono la Mirandola, 411.
Fuggono dalla Lombardia in Toscana, 415. Vessazioni da loro inferite
allo Stato della Chiesa, 424. Lasciano libera la Toscana a' Tedeschi,
431. Muovono guerra in Italia alla regina di Ungheria, 479. Vengono le
loro armi unite alle napoletane fino a Pesaro, 491. Marciano fino a
Bologna, 496. Spettatori oziosi della cittadella di Modena assediata
dagli Austro-Sardi, 499. Così della Mirandola, 500. Loro precipitosa
ritirata verso la Romagna, 501. Tornano a Bologna, 504. Conquistano
la Savoia, 506. Danno battaglia agli Austro-Sardi a Camposanto,
509. Si ritirano a Rimino, 513. E poscia verso il regno di Napoli,
525. Sostengono Velletri contro le forze degli Austriaci, 528. Loro
battaglia navale cogl'Inglesi verso Tolone, 535. Loro avanie in Nizza e
Savoia, 697. _V._ Gallispani.

Sparziano, scrittore sotto Costantino, I, 1220.

Specioso, vescovo di Firenze, scelto a giudice dal re Liutprando nella
lite tra i due vescovi di Siena e d'Arezzo, III, 152.

Spedali per i pellegrini, perchè una volta istituiti, III, 244. Erano
frequenti ne' tempi antichi, 551.

Speranza, conte di Montefeltro, signore d'Urbino V, 444. Ne perde il
dominio, 530.

Spinola (marchese Ambrosio), va con leva di gente in Fiandra in
soccorso dell'arciduca Alberto, VI, 900. Destinato all'assedio
d'Ostenda, 903. La sforza a rendersi, 906. Prende Oldense e Linghen,
912. Dal re di Spagna è spedito colle armi contra del palatino
d'Ungheria, 979. Prende Giuliers, 983. E Breda, 998. Viene in Italia
spedito governatore di Milano dalla corte di Spagna, 1028. Fa guerra al
duca di Mantova, _ivi_. Assedia Casale, 1036. Sua morte, 1044.

Spoleti: suo ducato quando istituito, II, 1020. Suoi duchi non
indipendenti dai re longobardi, 1039, 1040. Si dà al papa Adriano I,
III, 317. Ma è ritenuto nel regno d'Italia, 327, 374, 453. Descrizione
del palazzo ducale ch'esisteva in questa città, fatta da Mabillone,
493. Suo ducato posto da alcuni nella Toscana, 689. Diviso in due, 752.
Estensione di quel ducato, 861.

Staremberg (conte Guido di), generale cesareo in Italia, VII, 174.
Conduce la sua armata in Piemonte, 178. Spedito dall'imperadore in
Ispagna per generale, 224. Sue imprese in quelle parti, 232, 234, 249.
Si ritira dalla Catalogna, ritorna in Italia, 254.

Statua della Vittoria, fatta levare dalla sala del senato da Costanzo
Augusto, II, 77. E da Graziano imperadore, 235. Vano tentativo a
Valentiniano Augusto per rimettere l'altare della medesima, 254.

Statua equestre, creduta d'argento, innalzata a Teodosio, II, 307.

Statue, in parte proibite da Claudio Augusto, I, 162.

Stazio (Publio Papinio), poeta, adulatore di Domiziano, I, 333. Suo
poema poco applaudito, 336, 337.

Stefano I, pontefice romano, I, 878. Suo martirio, 886.

Stefano, abbate di Subbiaco, III, 127.

Stefano, patrizio e duca di Roma, III, 213, 232.

Stefano, eletto, ma non consecrato papa, però escluso dal catalogo de'
papi, III, 247.

Stefano II eletto papa, III, 247. Cerca di placare il re Astolfo
minacciante Roma, 248. Suo viaggio a Pavia e in Francia, 252. Sua bolla
in favore del monistero di Nonantola, sospetta, 253. Corona e dichiara
patrizio de' Romani, il re Pippino, 255. Lettera da lui scritta a nome
di san Pietro, 259. Ottiene in dono alla Chiesa romana l'esarcato, 260.
Fine del suo vivere, 269.

Stefano juniore, monaco e martire, III, 290.

Stefano III papa. Sua elezione, III, 292. Suo concilio, 293. Imbrogli
suoi con alcuni privati romani, 296. Sua lettera in discredito della
nazion longobarda, 301. Termina i suoi giorni, 308, 309.

Stefano, vescovo e duca di Napoli, III, 342, 343.

Stefano IV papa. Sua elezione, III, 501. Va in Francia, 502. Suo
ritorno in Italia, 503. Sua bolla, 506. Fine di sua vita, _ivi_.

Stefano juniore, duca di Napoli, III, 557.

Stefano, vescovo di Nepi, III, 715. Presidente del concilio dal papa
Adriano II tenuto a Costantinopoli a' tempi dell'imperadore Basilio,
720.

Stefano, vescovo di Sorrento, III, 730.

Stefano V papa. Sua elezione, III, 848. Amico di Guido re d'Italia,
881. Lo crea imperadore, 884. Sua morte, 885.

Stefano, patriarca di Costantinopoli, III, 855.

Stefano VI papa. Sua elezione e sue barbarie contro il cadavere di papa
Formoso, III, 916, 917. Suo infelice fine, 923. Suo epitaffio, 924.

Stefano VII papa. Sua elezione, III, 1040. Termina i suoi giorni, 1048.

Stefano VIII papa. Sua elezione, III, 1079. Anno della sua morte, 1089.

Stefano (Santo), re d'Ungheria, IV, 87. Guerra a lui fatta da Corrado
Augusto, 167.

Stefano IX papa. Sua elezione, IV, 281. E sua breve vita, 284, 285.
_V._ Federigo fratello di Gotifredo.

Stefano, cardinale, inviato in Grecia, IV, 282. In Germania, 301.

Stefano, cardinale di Santo Adriano, IV, 1049.

Stefano, figlio d'Andrea re d'Ungheria, accusato in Ravenna, V, 36.

Stefano di Alberto, cardinale, eletto papa, V, 627. _V._ Innocenzo VI.

Stefano, duca di Baviera: sue armi contro il signor di Milano, Gian
Galeazzo, V, 838. Viene egli stesso in Italia, 841. Ritorna in Baviera,
844.

Stefano Pendinello, arcivescovo d'Otranto, ucciso da' Turchi, VI, 72.

Stilicone, generale di Teodosio I Augusto, II, 309. Tutore di
Onorio Augusto, 316. Sua ambizione, 324. Atterra l'emulo Rufino,
326, 327. Milita contro i Barbari, 329. Dichiarato nemico pubblico
dall'imperadore Arcadio, gli sono tolte le terre ed il palazzo che
occupava in Oriente, 330. Obbligato a ritornarsene in Italia, _ivi_.
Sua cura per abbattere Gilone tiranno dell'Africa, 337. Sua perfidia
verso Mascezel, 339. Dà per moglie ad Onorio Augusto Maria sua figlia,
340. Creato console, 348. Va nella Rezia a combattere que' popoli, che
sottomette, 362. Co' quali unito poscia cala in Italia per opporsi ad
Alarico re de' Goti, 363. Sue battaglie con essi, _ivi_, 364, 365.
Console per la seconda volta, 371. Vittoria da lui riportata contro
Radagaiso re degli Unni, 372. Sue trame con Alarico re de' Goti, 376.
Aspira all'imperio, 383. Fautore de' Barbari, _ivi_. È ucciso d'ordine
di Onorio Augusto, 385. Accuse contra di lui, _ivi_.

Stilione, maestro d'Alessandro imperadore, I, 764.

Strologi cacciati d'Italia, I, 185.

Strologia giudiciaria: sua voga in Roma, I, 34, 52. Arte vana a cagione
di molti mali, 366.

Subbiaco, monistero nella campagna romana, rifatto sotto papa Giovanni
VII, III, 126.

Successiano, valoroso generale sotto Valeriano, I, 893. Prefetto del
pretorio, _ivi_.

Suetopolo, re della Dalmazia, convertito alla fede di Cristo da san
Cirillo da Salonichi, III, 709.

Suilio (Marco), potentissimo avvocato e terribile e venale accusatore
sotto l'imperadore Claudio, sparla di Seneca, ed è esiliato, I, 207.

Suintile, primo monarca fra i Goti di tutta la Spagna, dipinto da
sant'Isidoro, arcivescovo di Siviglia, come principe pien valore e
padre de' poveri, II, 1182.

Sulpiciano (Flavio ossia Flacco), suocero di Pertinace Augusto, I, 640.
Console, 645. Ucciso dall'imperadore Severo, 671.

Sulpicio (Alessandro), storico sotto l'imperadore Teodosio, II, 298,
304.

Suppone, conte del palazzo, sotto Bernardo re d'Italia, III, 493. Conte
di Brescia, 513. Creato duca di Spoleti, 534. Sua morte, 548.

Suppone II, duca di Spoleti, III, 721. Fu figlio di Maurino, 751, 752.
Interviene alla dieta di Pavia tenuta da Carlo II imperadore, 774.
Forse duca e marchese di Milano e della Lombardia, 800.

Sura (Lucio Licinio), consiglia Nerva ad adottar Traiano, I, 377.
Favorito poi d'esso Traiano, e console, 392, 393. Invidiato, e
calunniato a quell'imperadore, 393. Fine di sua vita, 409.

Svetonio Tranquillo, storico e secretario di Adriano Augusto, privato
della sua carica, I, 451.

Svevi, occupano la Gallizia. _V._ Rechila e Rechiario.

Svevia, ne' vecchi tempi appellata Soavia e Suavia, II, 996, 997.


T

Tacfarinate, Africano, fa guerra ai Romani, I, 62, 64. Sua alterigia e
sue minaccie fatta allo imperadore Tiberio, 67.

Tachiperto, duca ossia governatore di Lucca, III, 316.

Tacito (Cornelio), storico e console sotto l'imperadore Nerva, I, 372.
Sua orazione funebre per Virginio Rufo, 373.

Tacito (Marco Claudio), console sotto Aureliano imperadore, I, 962,
976. È eletto imperadore, 978. Sue lodevoli azioni, 980. Sua morte,
981.

Taddeo da Sessa, avvocato, spedito al concilio di Lione da Federigo
II imperadore, per difendere la propria causa, IV, 1188. Resta ucciso,
1205.

Taddeo de' Pepoli, signor di Bologna, V, 538, 545. Creato suo vicario
dal papa Benedetto XII, 554. Dà fine al suo vivere, 595.

Taddeo de' Manfredi, signor d'Imola, IV, 1202, 1228. Gli è tolta quella
città, VI, 47.

Talassio, prefetto del pretorio di Oriente sotto lo imperadore
Costanzo, II, 63.

Talesperiano, vescovo di Lucca, III, 152.

Tallard (maresciallo di), generale del re di Francia Lodovico XIV in
Germania, fatto prigioniere alla battaglia di Hogstedt, VII, 186, 187.

Tamas Kulickan, sofì della Persia: sue mirabili azioni, VII, 460.

Tancredi, figlio di Ottone Buono marchese, prende la croce e va in
Levante, IV, 471. Sposa Cecilia, figlia naturale di Filippo re di
Francia, 508.

Tancredi, figlio di Ruggieri duca di Puglia, IV, 698. Creato re di
Sicilia, 915. Guerra a lui mossa da Riccardo re d'Inghilterra, 918. Dà
in moglie a Ruggieri suo figlio Irene figlia del greco Augusto Isacco
Angelo, 922. Ricupera le città occupate da Arrigo VI Augusto, 925. Ha
in sue mani prigioniera Costanza moglie dello imperadore stesso, e, ad
istanza del papa Celestino III, la manda libera al marito, _ivi_. Fine
de' suoi giorni, 933.

Taranto, città presa dai Longobardi, III, 31.

Tarasio (San), patriarca di Costantinopoli, III, 355. Minacciato della
vita, 358. Assiste al settimo concilio generale tenuto nella città
di Nicea in Bitinia, 361. Disapprova il matrimonio dell'imperadore
Costantino con Teodota, 406.

Tarragona in Ispagna, saccheggiata dai Franchi, I, 911.

Tasone, figlio di Gisolfo duca del Friuli, II, 1144. Creato anch'egli
duca, 1169. Sua ribellione contro Arioaldo re d'Italia, 1199. Sua
morte, 1210.

Tassilone, da Childeberto, re dell'Austrasia, creato duca di Baviera,
II, 1097. Muore, 1140.

Tassilone II, duca di Baviera, III, 285. Sua superbia e ribellione,
300. Suoi dissapori con Carlo Magno, 344. Il quale gli muove guerra,
365. Finalmente a lui si sottomette, 366. Torna a cozzare con lui, 374.
Pentito si presenta a lui, che gli ha misericordia, 375. Si fa monaco,
_ivi_.

Tasso (Torquato): sua morte, VI, 859.

Tauro (Statilio), proconsole dell'Africa sotto Tiberio, accusato si
uccide, I, 190, 191.

Tauro (Flavio), prefetto del pretorio d'Italia, sotto l'imperadore
Costanzo, e console, II, 101. Fugge in Oriente, 105, 106. Relegato
dall'imperadore Giuliano in Vercelli, 119.

Taziana (Flavia), moglie di Pertinace Augusto, I, 635.

Taziano (Celio), promuove Adriano all'imperio, I, 431. Creato da lui
prefetto del pretorio, 436. Uomo violento, 437. A lui imputate le
crudeltà di Adriano, 443. Il quale nol può tollerare, 445, 446. Creato
senatore, 446.

Taziano (Attilio): sua congiura contro l'imperadore Antonino Pio, I,
495. Per cui è esiliato, _ivi_.

Taziano, prefetto del pretorio in Oriente sotto l'imperador Teodosio,
II, 274. Abbattuto da Rufino, 303. E relegato nel suo paese, _ivi_.

Taziano, console dubbioso ai tempi di Leone Augusto, II, 620.

Teatro di Pompeo in Roma, bruciato, I, 858.

Tebaldo Boccadipecora, cardinale di Santa Anastasia, da alcuni eletto
papa col nome di Celestino, ma dal partito de' Frangipani proclamato un
secondo, prevalendo la loro prepotenza, con gloriosa umiltà cede i suoi
diritti all'ambizioso competitore, IV, 589, 590.

Tebaldo, vescovo di Verona, inviato dalla sua città all'imperadore
Federigo I, IV, 733.

Tebaldo Brusato, Bresciano; sue iniquità, V, 342. Fa ribellar Brescia
al re Arrigo VII, 346. Resta prigione de' Tedeschi, 347. Miseramente
muore, _ivi_.

Tebaldo degli Ordelaffi, signor di Forlì, V, 1042, 1049, 1050. Manca di
vita, 1063.

Tedaldo, o Teodaldo marchese, avolo della contessa Matilda, III, 1231.
Dichiarato marchese di Mantova, 1239. Ha titolo di marchese e conte di
Modena, 1266. Beni a lui tolti dal vescovo di Verona, 1280. Dichiarato
marchese e conte di Reggio, IV, 48. Favorisce Arrigo II re di Germania,
66. Non fu duca di Toscana, 67. Suoi governi, 68, 71, 75. Sua morte,
95.

Tebaldo ossia Tedaldo, vescovo d'Arezzo, IV, 140.

Tebaldo, arcivescovo di Milano, IV, 367, 370. Scomunicato, scomunica
papa Gregorio VII, 374, 385. Termina i suoi giorni, 424.

Tedaldo, o Tebaldo, arcidiacono di Liegi, eletto papa, V, 92. _V._
Gregorio X.

Teia, capitano de' Goti, spedito in Italia dal loro re Totila, II,
940. Eletto da essi a re, 943. Battaglia fra lui e Narsete sul fiume
Dragone, in cui resta morto, 945.

Telane, figlio del re Odoacre, dato in ostaggio al re Teoderico, II,
712.

Telesforo, romano pontefice, I, 457. Suo martirio, 478.

Temistio, sofista sotto Giuliano Augusto, II, 135. Sua orazione
in lode di Gioviano imperadore, 142, 161. Dell'imperadore Valente,
170, 171, 183. Da questo imperadore spedito al suo nipote Graziano
abitante in Treveri, 201. Sua orazione recitata nel senato a Roma in
lode di Graziano, _ivi_. Altra sua orazione recitata nel palazzo di
Costantinopoli in lode dell'imperadore Teodosio, 231. Creato dallo
stesso imperadore prefetto di Costantinopoli, 250. Altra sua orazione
in lode del medesimo Teodosio, _ivi_.

Temisvar, presa a Solimano II dalle armi cesaree comandate dal principe
Eugenio di Savoia, VII, 272.

Tempio della Concordia, dedicato da Tiberio Augusto, I, 36.

Tempio di Castore e Polluce, dedicato pure dal medesimo Tiberio, I, 36.

Tempio d'Iside, atterrato per ordine di Tiberio Augusto, I, 60.

Tempio della Pace, mirabile, fabbricato da Vespasiano, I, 309.
Bruciato, 622.

Tempio di Vesta in Roma, bruciato, I, 623.

Tempio della famiglia Flavia, eretto da Domiziano, I, 330.

Tempio di Venere e di Roma insigne, elevato dall'imperadore Adriano, I,
466.

Tempio di Diana in Efeso, incendiato da' Goti, I, 912, 913.

Tempio del sole in Roma, innalzato da Adriano Augusto: sue immense
ricchezze, I, 972.

Tempio di Giove Olimpico, fabbricato in Antiochia da Diocleziano, I,
1048.

Tempio di Nemesi, nella stessa città fabbricato dal medesimo
imperadore, I, 1048.

Tempio di Apolline, nella città stessa, innalzato dallo stesso Augusto,
I, 1048.

Tempio d'Ecate pure in Antiochia, fabbricato sotto terra da Diocleziano
stesso, I, 1048.

Tempio di Apollo in Roma, abbruciato, II, 125.

Tempio di Apollo in Dafne divorato dalle fiamme, II, 125.

Tempio di Serapide in Alessandria, distrutto da Teofilo vescovo, II,
294, 295.

Tempio di Bacco pure in Alessandria, dallo stesso vescovo ridotto a
chiesa cristiana, II, 295.

Tempio della dea celeste io Cartagine, atterrato, II, 447.

Tempio di Giove Capitolino in Roma, saccheggiato da' Vandali, II, 580.

Tempio di Santa Sofia in Costantinopoli, uno dei più magnifici del
mondo cristiano, II, 965.

Tempio del fuoco in Gazaco, in Persia, dato alle fiamme dall'esercito
di Eraclio, dopo averne smascherata l'impostura dei sacerdoti, II,
1173.

Templari: loro processi e condanna promossi da Filippo il Bello, re di
Francia, V, 309.

Teobaldo, ossia Tebaldo, marchese di Camerino e di Spoleti, III,
1062. Va in soccorso di Landolfo principe di Benevento, e riporta
una vittoria contro i Greci, _ivi_. Cessa di vivere, 1065. Sua moglie
nipote del re Ugo, 1081.

Teobaldo II, duca e marchese di Spoleti e di Camerino, II, 1102. Tempo
di sua morte, 1145.

Teobaldo, abbate di Monte Casino, IV, 137. Suoi privilegii confermati
dall'imperadore Arrigo II, 141. Chiamato e tenuto quasi prigioniero in
Capoa da Pandolfo IV principe, 168.

Teobaldo, romito franzese della schiatta dei conti di Sciampagna, muore
in Solaniga presso Vicenza, IV, 326. Suo corpo trasferito in Francia,
363.

Teobaldo, vescovo di Liegi, V, 337.

Teocrito, uomo vile, prefetto del pretorio sotto Caracalla, I, 733.

Teodaldo, _V._ Tedaldo.

Teodaldo, vescovo di Fiesole, dal re Liutprando scelto a giudice nella
lite tra il vescovo d'Arezzo e quello di Siena, III, 152.

Teodato, o Teodoto, Goto, creato re d'Italia, II, 853, 854. Fa morire
Amalasunta, 854. Sua timidità, 860. Patti co' quali si esibiva di
cedere il regno a Giustiniano Augusto, _ivi_. Accettati, non li vuol
poi mantenere, 862. È ucciso dai suoi, 866.

Teode, generale del re Teoderico in Ispagna: sua prepotenza, II, 824.
Re de' Visigoti, 842. Dà una rotta ai Franchi, 898.

Teodebaldo, figlio di Teodeberto re de' Franchi, II, 922. Sue risposte
a Giustiniano Augusto, 934. Sua morte, 954.

Teodeberto, figlio di Teoderico re dei Franchi, fuga i corsari
danesi, II, 797. Si unisce coi fratelli contro i Borgognoni, 856.
Succede al padre, 857. Entra in lega con Vitige re de' Goti, 866.
Manda i Borgognoni in Italia, che distruggono Milano, 875. Poscia uno
sterminato esercito de' suoi, che dà un fiero guasto a varie provincie
dell'Italia, 881, 882, 920, 921. Sue vaste idee troncate dalla morte,
922.

Teodeberto II, re dei Franchi, II, 1100. Sua battaglia con Clotario II,
re di Soissons, ossia di Neustria, 1112. Altra con lo stesso, 1128.
Suoi ambasciatori spediti in Italia al re Agilolfo, assistono alla
dieta della nazion longobarda radunata nel circo di Milano, nella quale
è eletto Adaloaldo collega nel regno ad Agilolfo, 1131. Sua battaglia
coi Sassoni, 1133. Si collega col re Clotario contro il fratello
Teoderico re della Borgogna, 1137. Battaglia sanguinosa fra essi,
nella quale egli, co' due suoi figliuoli Clotario e Meroveo, resta
prigioniero del fratello, 1148, 1149. Dall'avola sua Brunechilde viene
in un co' figliuoli tolto di vita, 1149.

Teodeberto, duca di Baviera, III, 117, 140.

Teodelana, sorella di Teoderico re di Borgogna, si unisce coll'ava
Brunechilde contro il fratello, II, 1137.

Teodelapio, duca di Spoleti, II, 1117.

Teodelapio di Verona, celebre pei suoi miracoli, III, 236, 237.

Teodelassio, abbate di Bobbio, III, 991.

Teodelinda, Bavarese, presa in moglie del re Autari, II, 1067. Dopo la
morte di lui si marita con Agilolfo duca di Torino, 1081. Sua pietà,
e lettere a lei scritte da san Gregorio papa, 1092. Riduce il marito
Agilolfo alla fede cattolica, 1107, 1113. Tempio e palazzo da lei
fabbricato in Monza, 1124. Doni a lei inviati da San Gregorio papa,
1129. Protegge san Colombano abbate, 1149. Non sa ricevere il concilio
V generale, 1154. Prende la tutela di Adaloaldo re suo figlio, 1158. È
chiamata a miglior vita, 1177.

Teodemaro, patriarca d'Aquileia, _V._ Teutimaro.

Teodemiro, re degli Ostrogoti, padre di Teoderico re d'Italia, muove
guerra all'imperadore Zenone, II, 657. Col figlio Teoderico passa
nella Mesia alla testa del suo esercito, ove prende varii luoghi ai
Romani; poi va ad impossessarsi della Tessalia, di Eraclea e Larissa,
finalmente pone l'assedio a Tessalonica, _ivi_. Varii regali a lui
mandati da Flaviano, patrizio romano, difensore di quella città; per
aver da lui pace, _ivi_. Sua morte, 658.

Teoderada, moglie di Romoaldo duca di Benevento, III, 15, 28. Sua
pietà, 49.

Teoderada, moglie di Ansprando aio del re Liutberto, III, 117. Presa da
Ariberto re d'Italia, le sono tagliati naso ed orecchie, _ivi_.

Teoderico, o Teodorico, re de' Visigoti, 11, 437. Assedia la città
d'Arles, 465. Che è costretto dalle armi romane ad abbandonare, 466. Fa
pace coi Romani, _ivi_. Marita una sua figliuola con Unnerico, figlio
di Genserico, re de' Vandali, 550. Da quel re gli è suscitato contro
Attila re degli Unni, 551. Muore nella battaglia nei campi catalaunici,
555.

Teodorico II, re dei Visigoti, trucida il fratello Torismondo, ed
è riconosciuto re in suo luogo, II, 571. Alla morte dell'imperadore
Valentiniano, muove guerra ai Romani, 584. Fa pace con essi, _ivi_.
Promette all'imperadore Avito la sua assistenza contra di Genserico,
_ivi_. Ambasciatori da lui spediti agli Svevi di Spagna, 589. Dà una
rotta agli stessi Svevi, 590. Prende la città di Braga, che dà al
sacco, _ivi_. Giunto nel luogo detto Portucale (d'onde il nome di
Portogallo), gli è condotto prigioniero Rechiario re degli Svevi, suo
cognato, _ivi_. A cui toglie la vita, _ivi_. Dà per capo a quei popoli
Aiulfo, _ivi_. Il quale a lui ribellatosi, è preso e giustiziato,
_ivi_. Lodato da Apollinare Sidonio per le sue belle doti, 591. Dalle
sue truppe sono messe a sacco ed incendiate le città di Astorga e
di Palenza nella Gallicia, 603. Narbona a lui data, 614. Ucciso dal
fratello Enrico, 625.

Teoderico, figlio di Triario, duca degli Ostrogoti, va in aiuto di
Ostro conte, capo de' sollevati in Costantinopoli, II, 639. Costretto
a ritirarsi, fissa la sua sede nella Tracia, 649. Spedisce genti a
devastar le campagne di Filippi, _ivi_. Assedia e prende Arcadiopoli,
_ivi_. Fa pace collo imperadore Leone, _ivi_. Generale de' corpi
d'armata che servivano di guardia all'imperadore stesso, 650. Fa
un'irruzione nella Tracia, 679, 680. Sua morte, 680.

Teoderico Amalo, figlio di Teodemiro re degli Ostrogoti, va col
padre nella Mesia, II, 657. Succede a lui, 658. Muove guerra a Zenone
Augusto, 675. Col quale poi fa pace, _ivi_. Di nuovo gli muove guerra,
681. Saccheggi da lui commessi nella Macedonia e nella Tessalia, _ivi_.
Fa pace con Zenone, 685. Da lui esaltato ed anche adottato, _ivi_, 686.
Creato console, 687. Da quell'imperadore spedito contra d'Illo ribello,
688. Fa una scorreria fin presso Costantinopoli, 698. Si pacifica
di nuovo con Zenone Augusto, 696. Principio di discordia fra lui ed
Odoacre re d'Italia, 697. Ottiene da Zenone la licenza di conquistare
l'Italia, _ivi_. Giunto con un immenso esercito al fiume Ulca, quivi
supera i Gepidi, 699. Poi vince i Bulgari e i Sarmati, 700. Giugne in
Italia, _ivi_. Dà due rotte ad Odoacre, _ivi_, 701. Lo sconfigge per la
terza volta, e l'assedia in Ravenna, 704. La qual città gli si arrende
e toglie la vita ad Odoacre, 713. Varii suoi parentadi, 716. Assume il
titolo di re, 718. Suo glorioso governo, _ivi_, 720, 721. Si accorda
con Anastasio Augusto, 723. Benchè ariano, favorisce i cattolici,
725. Magnifica sua entrata in Roma, 735. Sua savia condotta per lo
scisma di papa Simmaco e di Lorenzo, 746. Conduce l'acqua a Ravenna,
con far rifabbricare a tutte sue spese gli acquedotti diroccati, 750.
Muove guerra a' Bulgari, 752. E loro toglie la Pannonia inferiore,
_ivi_. Rotta data da' suoi ai Greci e Bulgari, 756. Suoi negoziati
per impedir la guerra tra i Franchi ed i Visigoti, 761, 762. Data una
rotta ai Franchi, s'impadronisce della Provenza, 768. Diviene padrone
delle provincie ubbidienti ai Visigoti in Ispagna, 776. Estensione
del suo dominio, _ivi_. Non restituì ad Amalarico nipote la Spagna,
finchè visse, 781. Da tutti i principi è rispettato, 784. Sua stima
ed ammirazione verso san Cesario vescovo d'Arles, 786. Sue fabbriche,
e suo buon governo, 793. Magnifici spettacoli da lui dati ai Romani,
802, 810. Doni da lui fatti alla basilica vaticana, 810. Sollevato
coi Franchi contro i Borgognoni, acquista molte città, 813. Condanna
Severino Boezio, filosofo celebre, all'esilio, e poi alla morte,
816. Manda papa Giovanni a Costantinopoli, 817. Tornato di là, il fa
imprigionare, 820. Giunge al fine di sua vita, 822.

Teoderico, re d'Austrasia, figlio naturale di Clodoveo re de' Franchi.
Suo vantaggio nella divisione degli Stati dopo la morte del padre, II,
782, 783. Conquista la Turingia, 842. Si unisce coi fratelli contro i
Borgognoni, 856. Muore, _ivi_.

Teoderico, re di Borgogna, II, 1100. Sua terribile battaglia contro
Clotario II, re di Soissons, o della Neustria, nella quale resta
sconfitto quest'ultimo, 1112, 1128. Suo matrimonio con Ermenberga,
figliuola di Vitterico re de' Visigoti di Spagna contrariato da
Brunechilde sua ava, 1137. La quale lo istiga contro il fratello
Teodeberto, re dell'Austrasia, 1148. Battaglia fra loro, nella quale
resta vittorioso, 1149. Fa morire il fratello e due nipoti, 1149. Per
cui va in possesso di tutti gli stati posseduti da Teodeberto, _ivi_.
Porta di nuovo la guerra a Clotario, 1152. Muore, _ivi_.

Teoderico II, re de' Franchi, è obbligato a prendere la tonsura, III,
34.

Teoderico III, re de' Franchi, III, 53. Cessa di vivere, 86.

Teoderico IV, soprannominato Calense, re de' Franchi, succede a
Chilperico II, III, 163. Muore, 208.

Teoderico, vescovo di Metz, III, 1240. Va in aiuto dell'imperadore
Arrigo II contro Adalberone arcivescovo di Treveri e cognato
dell'imperadore, IV, 84.

Teodicio, duca di Spoleti, III, 284. Coopera alla deposizione del
pseudo-papa Costantino, 291.

Teodoino, cardinale legato del papa Innocenzo II, IV, 657. Interviene
al parlamento tenuto in Modena da' principi italiani, per far fronte a
Federigo I imperadore, 835.

Teodolfo, vescovo d'Orleans, III, 397. Involto nella rivolta di
Bernardo re d'Italia contro l'imperadore Lodovico Pio, 513. Relegato in
un monastero, 517. Rimesso in libertà, 530. Sua morte, _ivi_.

Teodone II, duca di Baviera, III, 117. Per divozione va a Roma, 155,
168.

Teodora, figliastra di Massimiano Augusto, moglie di Costanzo Cloro, I,
1028.

Teodora, moglie di Giustiniano Augusto, II, 812. Sue biasimevoli
qualità, 830. Lettera a lei scritta da Gundelina moglie di Teodato re
d'Italia, 855. Fa deporre papa Silverio, 869, 870. E levargli la vita,
875. Sua morte, 917.

Teodora, figlia del principe de' Cazari, moglie di Giustiniano II: sua
fedeltà verso il marito, III, 118, 119. Va a Costantinopoli col figlio
Tiberio, 121.

Teodoreto, celebre scrittore della Chiesa, creato vescovo di
Ciro in Siria, II, 455. Creduto fautore di Nestorio, 478. Per cui
dall'imperadore Teodosio è sequestrato nella sua diocesi, 519. Sparla
di san Cirillo vescovo d'Alessandria, 520.

Teodoro (Flavio Mallio), console rinomato, II, 342. Libro _De vita
beata_ a lui dedicato da santo Agostino, _ivi_.

Teodoro, o Teodorico, patrizio, favorisce a Roma la fazion veneta
contro la prasina, II, 774.

Teodoro, vescovo di Cesarea di Cappadocia, capo degli eretici acefali,
induce Giustiniano imperadore a voler condannati i tre capitoli di papa
Vigilio, II, 938.

Teodoro papa. Sua elezione, II, 1232. Sua bolla dubbiosa, 1235. Sue
lettere contro i monoteliti, 1240. Scomunica Pirro già patriarca di
Costantinopoli, monotelita, 1242. Rito non più inteso usato da lui in
questa occasione, _ivi_. Ultimo giorno di sua vita, 1244.

Teodoro, arcivescovo di Ravenna, III, 48. Sua lite col clero, _ivi_,
56. Sua pace colla santa Sede, 65. Sua morte, 86.

Teodoro, Greco, arcivescovo di Cantorberì, III, 31.

Teodoro, patrizio, esarco di Ravenna, III, 56. Finisce di vivere, 73.

Teodoro arciprete della santa romana Chiesa, da una parte del
popolo e del clero eletto papa, si fortifica nel palazzo patriarcale
lateranense, III, 74.

Teodoro, patrizio: strage da lui fatta dei Ravennati per ordine
dell'imperadore Giustiniano II, III, 129.

Teodoro, forse vescovo di Pavia, III, 152, 153.

Teodoro, console e duca di Napoli, III, 341.

Teodoro, duca di Napoli, III, 479. Dichiarato protospatario dai Greci
Augusti, _ivi_. Cacciato dai Napoletani, 557.

Teodoro Studita, difensor delle sacre immagini, III, 499, 523.

Teodoro II papa: sua elezione e morte, III, 927.

Teodoro, figlio di Andronico imperador de' Greci, marchese di
Monferrato, V, 300. Giunge in Italia, 306. Sue guerre per impossessarsi
del Monferrato, 308, 313, 314. Favorisce Arrigo VII re de' Romani, 337.
Da Filippone da Langusco con inganno gli è tolta la città di Vercelli,
che egli teneva in guardia, 358. Perde Casale di Monferrato, 360. Fa
guerra al re Roberto di Napoli, 370. Occupa Tortona, 501. Dà fine al
suo vivere, 542.

Teodoro II, marchese di Monferrato, V, 785. Fa lega con Lodovico duca
d'Orleans, signore d'Asti, e con Amedeo di Savoia, principe della
Morea, 863. Toglie a Filippo Maria Visconte Vercelli e Novara, 924. Fa
guerra a Giovanni Maria Visconte duca di Milano, 958. Creato capitano
di Genova, 967. Da dove è cacciato, 989. Fa pace col duca di Milano,
1013. Termina il corso di sua vita, 1015.

Teodosio, conte, padre di Teodosio Augusto, II, 166. Creato generale
della cavalleria, dall'imperadore Valentiniano è spedito nelle Gallie
contro gli Alamanni, 177, 179. È inviato in Africa contro Fermo
ribellato, 185. Ivi ucciso per ordine dell'imperadore Graziano, 201.

Teodosio (Flavio), duca della Mesia, figlio di Teodosio conte: suo
valore, II, 190. Preservato miracolosamente dall'orrenda carnificina
fatta dall'imperadore Valente, 192. Si ritira in Ispagna, 201.
Richiamato da Graziano imperadore, 216. Che il crea suo collega ed
Augusto, 218. A lui assegnato il governo dell'Oriente, 219, 220.
Sue vittorie contro i Goti, Alani ed Unni, 222. Sua malattia e suo
battesimo, 224. Entra in Costantinopoli, 227, 228. Sua vittoria degli
Sciti e Carpodaci, 232. Suo zelo per la religione cattolica, _ivi_.
Assegna terre ai Goti nel romano imperio, 237. Sua clemenza, 256.
Sua vittoria de' Grutongi, 262. Sedizione degli Antiocheni contra di
lui, 265. Clemente nondimeno verso di loro, 267. Suoi preparamenti
contro Massimo tiranno, 274. Leggi da lui pubblicate specialmente
contro gli eretici, 276. Lasciato un consiglio di scelti ministri in
Costantinopoli al governo di quella città e del figliuolo Arcadio
Augusto, parte per l'Italia, _ivi_. Manda con una flotta la moglie
Giustina ed il figlio Valentiniano a Roma, _ivi_. Vince ed uccide
Massimo, 277, 278, 279. Sua clemenza verso i vinti, 280. Condanna
all'esilio Simmaco, primo fra' senatori romani, 282. Poi gli perdona,
_ivi_. Suo trionfo in Roma, 283. Abbatte il paganesimo in Roma,
284. Irritato fortemente contro quei di Tessalonica, 287. Placato da
sant'Ambrosio arcivescovo di Milano, _ivi_. Sedotto dagli uffiziali
di sua corte, fa un fiero scempio di quei cittadini, 288. Lettera a
lui scritta da sant'Ambrosio in questa occasione, _ivi_. Il quale gli
proibisce l'ingresso in chiesa, 289. Accetta la pubblica penitenza
impostagli da quel santo arcivescovo, _ivi_. Sua pietà esaltata da
tutti gli scrittori contemporanei, _ivi_. Torna a Costantinopoli,
293. Suoi editti contro gli eretici, gli apostati ed i pagani, 294.
Deputazione a lui mandata dall'usurpatore Eugenio, 302. Sua celebre
costituzione contro le superstizioni pagane, 303. Si prepara a
procedere contro Eugenio, 305, 308, 309. Sua miracolosa vittoria di
esso tiranno, 313, 314. Perdona a tatti quei che aveano parteggiato
pel tiranno, 314. Come pure ai figli di Eugenio, _ivi_. Sant'Ambrogio
va ad Aquileia per impetrar da lui il perdono ai Milanesi, 315.
Passa a Milano, _ivi_. Colà mette in buon sesto i pubblici e privati
affari, prevedendo di dover in breve morire, _ivi_. Consegna i suoi
figli a quell'insigne prelato, _ivi_. Porzione da lui assegnata al
figlio Onorio, 316. Gli deputa a tutore Stilicone suo generale, _ivi_.
Deputazione a lui inviata dal senato romano, _ivi_. Fine di sua vita,
317. Sue mirabili doti e virtù, 318. Grande specialmente la sua pietà,
320. Scrittori che fiorivano sotto di lui, 321, 322.

Teodosio II Augusto. Sua nascita, II, 360. Creato Augusto, 361.
Succede ad Arcadio suo padre, 381. Dichiara Augusta Pulcheria sua
sorella, 426. Sposa Atenaide appellata poi Eudocia, 443, 444. Fa
pace col re di Persia, 450. Pubblica varie leggi contra de' pagani
e giudei, 455. Spedisce una poderosa armata contro di Giovanni
tiranno, 456. Conferisce al cugino Valentiniano il nome e la dignità
di Cesare, _ivi_. Determina di passare in persona in Italia contra
del tiranno, 457. Ma, colto a Salonichi da una malattia, è costretto
a ritornarsene a Costantinopoli, _ivi_, 458. Aspare, suo generale,
fa prigione Giovanni, _ivi_. Dichiara Augusto Valentiniano sotto la
tutela di sua madre Galla Placidia Augusta, 461. Sua legge per ridurre
in miglior forma le scuole di Costantinopoli, 462, 463. Riporta due
vittorie contro i Persiani, 469. Proibisce di levare alcuno per forza
dalle chiese e loro ricinti, 481. E di portar armi in chiesa, _ivi_.
Procura la pace fra le chiese d'Oriente, 482. Indebitamente accusato
di poca pietà, 485. Sua liberalità in tempo di carestia, 489. Ordina
che sieno abbruciati i libri di Nestorio, 490. Rilega il suo autore
in Oasi d'Egitto, 495. Pubblica il suo codice, 498. Traslazione da
lui fatta del corpo di san Giovanni Grisostomo in Costantinopoli,
500. Ad istanza della moglie, fa una considerabile giunta alla città
d'Antiochia, 501. Suo severissimo editto contro i Giudei, Samaritani,
eretici, e specialmente contro i gentili, 502. Fa innalzare le mura
di Costantinopoli dalla parte del mare, _ivi_. Perchè da lui facesse
divorzio sua moglie, 532. Sua pace vantaggiosa con Attila, 538. Sua
morte e sue qualità, 543.

Teodosio, figlio di Maurizio Augusto, dichiarato imperadore, II, 1082,
1102. È trucidato, 1119.

Teodosio, fratello di Costante Augusto, da lui ucciso, II, 1269.

Teodosio, esattor delle gabelle pubbliche, creato per forza imperatore,
III, 154. Si ritira, ed abbraccia la vita chericale, 156, 157.

Teodata: per lei fabbricato un monistero in Pavia dal re Cuniberto,
III, 106, 107. Suo epitaffio, 107, 108, 109, 110.

Teofane, scrittore, quando fiorisse, II, 1246. Viene confutato, III,
184. E trovato veritiero, 201.

Teofane, patriarca d'Antiochia, III, 73.

Teofania, figlia di Romano juniore imperador dei Greci, chiesta in
moglie per Ottone II Augusto, III, 1186. Il quale manda Arnolfo I
arcivescovo di Milano a Costantinopoli per prenderla e condurla in
Italia, 1199. Sue nozze, 1201. Va seco lei in Germania, _ivi_. Ritorna
in Italia, 1227. Libera il marito dalle mani dei Greci, 1240. Accorre
in aiuto di Ottone III suo figlio, 1242. Sua venuta a Roma, 1264. Sua
autorità in Italia, 1267. Sua morte, 1271. Sue belle qualità, _ivi_.

Teofilatto, esarca d'Italia, sotto l'imperadore Tiberio Absimaro, III,
113. Richiamato, 131.

Teofilatto duca di Napoli, III, 435.

Teofilatto, figlio di Michele Curopalata, imperador de' Greci, III, 477.

Teofilo, governator della Soria sotto Costanzo Augusto, II, 62.

Teofilo, vescovo d'Alessandria, distrugge il celebre tempio di
Serapide, II, 295.

Teofilo, patriarca d'Alessandria, II, 369.

Teofilo, grammatico latino, creato conte da Teodosio II Augusto, II,
463.

Teofilo, imperador da' Greci, III, 566. Suoi ambasciatori a Lodovico
Pio, 607. Sua morte, 624.

Teone, matematico, che fiorì sotto Teodosio il Grande, II, 321.

Teotberga, moglie di Lottario re della Lorena, scacciata dal marito,
III, 682. La torna a riprendere ad istanza de' suoi baroni, 686.
Imputati a lei varii delitti, viene cacciata in un monistero, 692. Da
dove fugge e si ricovera nella casa di Uberto suo fratello nel regno
di Carlo Calvo, _ivi_. È ripudiata, 698, 700. Finisce la sua vita in un
monistero di Metz, 725.

Teotgaudo, arcivescovo di Treveri, III, 698. È deposto, da papa
Niccolò, 701.

Teotone, abbate di Fulda, da Lodovico re di Germania mandato in Italia
all'imperadore suo zio ed al papa Niccolò, III, 686.

Teottisto, duca di Napoli, III, 557.

Terbellio, principe de' Bulgari, aiuta Giustiniano II a risalire sul
trono, III, 119. Che poi gli la guerra, 128.

Terenzio (Marco), con sua ingegnosa parlata a Tiberio Augusto, scampa
la vita, I, 94.

Termanzia, figlia di Stilicone, sposata da Onorio Augusto, II, 382.
Ripudiata da lui, 387. Sua morte, 431.

Terme antoniane, magnifica fabbrica in Roma, I, 730. Loro sterminala
grandezza, II, 403.

Terme diocleziane, altra magnifica fabbrica in Roma, I, 1050; II, 403.

Terme massimiane in Cartagine, I, 1050, 1052.

Terra: suo moto riprovato in Roma, VI, 1065.

Terracina, città protetta dal principe degli Apostoli san Pietro, II,
1104.

Tertulla (Arricidia), prima moglie di Tito Augusto, I, 319.

Tertulliano, celebre scrittore, incoraggisce i martiri di Cristo a
sopportare i patimenti, I, 672.

Tertullo (Giusteo), prefetto di Roma sotto l'imperadore Gallerio
Massimiano, I, 1080.

Tertullo, prefetto di Roma sotto l'imperadore Costanzo, II, 88. Poi
sotto Giuliano, 101.

Tertullo, console sotto l'imperadore Onorio, II, 404.

Tessalonicesi: loro sedizione contro i ministri di Teodosio Augusto, e
crudele scempio fatto d'essi, II, 287, 288.

Tetrico (Publio Piveso), senatore romano e governatore dell'Aquitania,
sotto Gallieno imperadore, usurpa l'imperio nelle Gallie, I, 927.
Claudio Augusto si prepara per abbatterlo, 937. Da cui è poi distolto
dalla guerra contro i Barbari settentrionali, 940. Dopo un assedio di
sette mesi, prende la città d'Autun, 943. Vinto da Aureliano Augusto,
si dà a lui, 967, 968. Tra i prigionieri, vestito alla maniera dei Goti
nel trionfo d'Aureliano, 970. Perdonato e creato correttore di tutta
l'Italia, 971.

Tetrico (Caio Pacuvio Piveso), juniore, creato Cesare, I, 928. Col
padre nel trionfo dell'imperadore Aureliano fra i prigionieri vestito
alla maniera dei Goti, 970. Dallo stesso Aureliano creato senatore,
971.

Tevere, inonda la città di Roma, I, 430, 530, 880. Un tempo assai ricco
d'acque, 1112. Altre inondazioni di esso in Roma, III, 155, 387; VI,
482, 666; VII, 173.

Teutimaro, o Teodemaro, patriarca d'Aquileia, III, 660.

Teutone, vescovo di Rieti, III, 570.

Tibatone, capo de' ribelli nella Gallia sotto l'imperadore Valentiniano
III, II, 492. Preso e giustiziato, 496.

Tiberiano (Caio Giunio), console e prefetto di Roma sotto l'imperadore
Diocleziano, I, 1024, 1025, 1053.

Tiberio, figlio di Livia Augusta, sposa Giulia figlia d'Augusto, I,
10. Si ritira a Rodi, poi torna a Roma, 11. Adottato in figliuolo
da Augusto, 15. Va a militare in Germania, 17. Varie sue imprese,
_ivi_. Anche nella Pannonia ribellata, 21, 22. Torna trionfante a
Roma, 26. Nuove sue imprese di guerra, 28. Rispedito contro i Germani,
32. Dichiarato da Augusto collega suo nell'imperio, 34. Suo trionfo,
36. Eletto imperadore, 43, 44. Sua moderazione nei principii del suo
governo, 46, 47. Si dilettava dell'astrologia giudiciaria, 52, 108. Sue
tirannie, 52, 72, 76. Si ritira nella Campania, 75. Sceglie l'isola di
Capri per sua dimora, 77. Dopo la morte della madre divenuto peggiore,
83. Opprime Seiano, 90, 91. Sue crudeltà, 93, 94, 99, 101, 103, 107.
Sua infame libidine, 95. Sua morte, 113.

Tiberio Gemello, figlio di Druso, cioè del figlio di Tiberio, I, 111.
Odiato perchè nipote d'esso Tiberio, 114. Adottato dall'imperadore
Caligola, 116. Poi tolto di vita dallo stesso Augusto, 118.

Tiberio Trace, dichiarato Cesare da Giustino juniore Augusto, II, 1018.
Sua attenzione al governo, 1024, 1025. Creato Augusto, 1030. Sua guerra
co' Persiani, 1034. Giunge alla fine dei suoi giorni, 1044. Sue belle
doti, _ivi_.

Tiberio Absimaro, usurpa l'imperio de' Greci, III, 101. Fa guerra ai
Saraceni, 102. Ucciso da Giustiniano II Augusto, 120, 121.

Tiberio, figlio di Giustiniano II, è dichiarato Augusto, III, 121.
Accoglie papa Costantino, 133. Gli è abbreviata la vita, 137.

Tiberio Petasio, ribello a Leone Isauro, ucciso, III, 191, 192.

Tiberio, vescovo di Napoli, III, 557, 600. Sua morte, 635.

Tibone, fiume nel Piacentino, battaglia in quei contorni fra i
Gallispani ed Austriaci, VII, 596.

Tigellino (Sofonio), prefetto del pretorio sotto lo imperadore Nerone,
I, 224. Strumento della crudeltà di quel tiranno, 225. Lo tradisce,
254. Si uccide da sè stesso, 266.

Tigrane, già re dell'Armenia, tolto di vita in Roma dall'imperadore
Tiberio, II, 107.

Tigrane, creato da Nerone re dell'Armenia, II, 219. Guerra a lui
fatta da Tiridate, fratello di Vologeso re de' Parti, 226. Da cui è
abbattuto, 229.

Tilpino (Turpino de' romanzi italiani), arcivescovo di Rems, va a Roma
con altri dodici prelati franzesi, ed assiste al concilio _ivi_ tenuto
da papa Stefano III, III, 293.

Timasco, generale della fanteria di Teodosio Augusto contro il tiranno
Massimo, II, 274. Contro l'usurpatore Eugenio, 309. Cacciato in esilio
dall'imperadore Arcadio per le mene dello eunuco Eutropio, 330.

Timolao, figlio di Zenobia, regina de' Palmireni, e di Odenato, prende
il titolo d'Augusto, I, 929, 930, 958, 964.

Timoteo, vescovo intruso di Costantinopoli, dallo imperadore Anastasio
sostituito a Macedonio cattolico, da lui cacciato in esilio, II, 783.

Tipo (il) di Costante Augusto, che cosa contenesse, II, 1242.

Tiridate, creato re de' Parti, ed abbattuto, I, 105, 106.

Tiridate, re dell'Armenia, scacciato da' Romani, I, 209. Loro fa
guerra, 226. Viene a Roma a prendere la corona dalle mani di Nerone,
241, 242. E la prende con rara magnificenza, _ivi_, 243.

Tiridate, re dell'Armenia: sua pace con Macrino Augusto, I, 746.

Tisone, vescovo di Trivigi, inviato dal papa Gregorio IX a Verona per
metter pace tra que' cittadini, IV, 1128.

Tito (Flavio Sabino Vespasiano), figlio di Vespasiano Augusto,
dichiarato Cesare, continua la guerra cominciata dal padre nella
Giudea, I, 277, 285. Ottiene dal padre grazia per gli Alessandrini,
287. Assedia Gerusalemme, 289, 290. E la prende, _ivi_, 291. Suo
abboccamento in Argos col filosofo Apollonio Tianeo, 293. Viene a
Roma, dichiarato collega dal padre, e con lui trionfa, _ivi_, 294.
È il braccio dritto del padre in tutti gli affari, 300. Invaghito
di Berenice, poi se ne libera, 311. Opprime i congiurati contra del
padre, 316. Per cui incorre nell'odio di molti, _ivi_. A lui succede
nell'imperio, 318. Azioni della sua gioventù, _ivi_, 319. Suoi vizii,
320. Sue belle doti, fabbriche e suo mirabil governo, 321, 322. Arte
sua propria di farsi amare dai popoli, 323. Immatura sua morte, 326.

Tito, diacono, ucciso da Felice, generale dell'imperadore Valentiniano,
in Roma mentre distribuiva le limosine, II, 465.

Titoli vani e superbi usati dai monarchi dell'Asia, II, 84, 85.

Tiziano (Postumio), prefetto di Roma sotto l'imperadore Diocleziano, I,
1061.

Tiziano (Tiberio Fabio), uomo consolare, prefetto di Roma sotto
l'imperadore Costantino juniore, I, 1225, 1227. E sotto Costanzo
Augusto, II, 28, 42. Parteggia pel tiranno Magnenzio, 47. Sua insolente
ambasciata all'imperadore Costanzo, _ivi_. Dal quale però viene
trattato generosamente, _ivi_.

Tiziano (Fabio), console e prefetto di Roma sotto l'imperadore
Teodosio, II, 272.

Tiziano Vecelli, da Cadore, celebre pittore: sua morte, VI, 770.

Tolomeo, re della Mauritania: doni a lui mandati dall'imperadore
Tiberio, I, 72. Chiamato da Caligola, giunge in Lione, 132. Esiliato da
lui, poi fatto uccidere a tradimento, _ivi_.

Tolomeo, geografo, vissuto a' tempi dell'imperadore Antonino Pio, I,
524.

Tolone, assediata da' collegati inglesi, spagnuoli e piemontesi, VII,
211, 212.

Tommaso (San), patriarca di Costantinopoli: sua morte, II, 1142.

Tommaso, arcivescovo di Milano, III, 344.

Tommaso, arcivescovo di Cantorberì, santo martire, IV, 827. È
canonizzato dal papa Alessandro III, 834.

Tommaso Morosino, patriarca di Costantinopoli, IV, 985.

Tommaso, conte di Savoia, IV, 1018. Sua lega coi Milanesi, 1028. Dà
aiuto a' Genovesi, 1070. Legato in Italia di Federigo II Augusto, 1074.
Il popolo di Torino si sottrae alla sua ubbidienza, 1098. Sua morte e
copiosa figliuolanza, 1116.

Tommaso, cardinale di Santa Sabina, IV, 1093.

Tommaso iuniore, conte di Savoia, a lui data in moglie una figlia di
Federigo II Augusto, IV, 1204. Poscia una nipote di papa Innocenzo IV,
1224. Fa guerra agli Astigiani, 1248. Preso dai Torinesi e consegnato
agli Astigiani, 1259. Liberato dalle carceri, 1265, 1266. Sua morte, e
suoi figli dati in ostaggio agli Astigiani, V, 18, 19.

Tommaso (San) d'Aquino, dottore della Chiesa, sua morte, V, 106.

Tommaso Mocenigo, doge di Venezia, V, 989. Sua morte, 1051.

Tommaso da Campofregoso, di comune consenso del popolo viene eletto
doge di Genova, V, 1001. Guerra a lui fatta dal duca di Milano Filippo
Maria Visconte collegato coi fuorusciti genovesi, 1014, 1016. Dal quale
compra a caro prezzo la pace, 1023. Nella quale è obbligato a deporre
il titolo di doge ed assumere quello di governatore, 1024. Soccorre il
porto di Bonifazio in Corsica contro Alfonso re di Napoli, 1029. Nuova
guerra a lui mossa dal duca di Milano, 1038. Al quale è obbligato di
ceder Genova, restandogli soltanto il dominio di Sarzana, _ivi_, 1039.
Tenta inutilmente di ricuperar Genova, 1073. Si fa di nuovo proclamar
doge, 1119, 1120. È deposto, 1160.

Tommaso, principe di Savoia. Guerra da lui e dal fratello Maurizio,
cardinale, fatta contro la duchessa reggente loro cognata, VI, 1086,
1092, 1093. Occupa Torino, 1096. Sua battaglia svantaggiosa con Arrigo
di Guisa conte d'Arcourt, comandante delle truppe franzesi, 1099.
Assediato in quella città de' Franzesi, 1102. A' quali è costretto di
restituirla, 1104. Fa pace colla duchessa e col re di Francia, 1111. Al
comando delle armi franzesi toglie molte fortezze agli Spagnuoli, 1112.
Perde Tortona e acquista Asti, e varie altre sue vicende, 1119, 1129,
1132. Generale del re Cristianissimo Luigi XIV in Italia nella guerra
contro Milano, 1198. Termina i suoi giorni, 1199.

Torchitore (Torchitorio), re in Sardegna, IV, 320.

Toresino, ossia Turisendo, re dei Gepidi, II, 936.

Toringi, ossia Turingi, popoli della Germania, II, 763.

Torino, occupato dal principe Tommaso di Savoia, VI, 1096. Suo
memorabil assedio fatto da' Franzesi, 1102. Che l'obbligano alla resa,
1104. Sua cittadella rovesciata a terra dall'incendio del magazzino
della polvere da fuoco, VII, 137. Assediato dai Franzesi, comandati
dal duca della Fogliada, 195. Con quanta forza continuato esso assedio,
198. Dal principe Eugenio, colla sconfitta de' Franzesi, liberato, 201.

Torismondo, re de' Visigoti, col padre Teoderico alla battaglia contro
Attila nei campi catalaunici, II, 554. In favore degli Alani contro
lo stesso re, 568. Per la sua alterigia ed insolenza è trucidato dai
fratelli Teoderico e Federico, 571.

Torriani, probabilmente discendenti da Arderico dalla Torre, IV, 828.
(_V._ Martino, Napo.) Rientrano in Milano, da dove scacciano Pietro
Visconte con altri nobili, V, 280. Ripulsano Matteo Visconte, 287.
Perdono il dominio di Milano cacciativi dall'imperadore Arrigo VII,
339, 343.

Tortonesi: guerra lor fatta dai Pavesi, IV, 514.

Toscana: sua marca e ducato, III, 566. Si rimette in libertà dopo la
morte di Arrigo VI, IV, 958. Ceduta a Francesco duca di Lorena, VII,
414. Evacuata dagli Spagnuoli, 431.

Tosco (Memmio), console sotto l'imperatore Valeriano, I, 887, 891.

Tosco (Nummio), prefetto di Roma, sotto l'imperadore Diocleziano, I,
1051.

Totila, ossia Baduilla, eletto re dai Goti, II, 893. Dà una rotta ai
Greci, 894. Assedio di Napoli da lui fatto, 895. Con isforzarla alla
resa, 898. Assedia Roma, 905. La prende, 910. Ne smantella poscia
le mura, 912. Indarno tenta di ricuperarla, 915. S'impadronisce di
Rossano, 919. E di Perugia, _ivi_, 920. Passa con una possente flotta
in Sicilia, 925. Se ne torna in Italia, 930. Percosse a lui date dai
Greci, 933. Sconfitto da Narsete, perde la vita, 941, 942.

Totone, duca di Nepi, III, 289.

Tracondo, console orientale sotto l'imperadore Zenone, II, 681.

Tradizione sacra, sempre conservata nella Chiesa cattolica, III, 55.

Traiano (Marco Ulpio), che fu poi imperadore: suo consolato, I,
347. Adottato e dichiarato collega nell'imperio da Nerva, 377, 378.
Rispettato da' Barbari stessi, 391. Sua modesta entrata in Roma, 382.
Principii gloriosi del suo governo, 383. Sua modestia e cortesia,
386. Clemenza ed applicazione, 388. Titolo di ottimo principe a lui
conferito, 389, 410. Sue fabbriche e beneficenze, 391. Geloso del
ben pubblico e privato, 393. Sua prima guerra contro i Daci, 394.
Suo trionfo, 396. Sua seconda guerra contro quei Barbari, 399. Ponte
insigne da lui fabbricato sul Danubio, 401. Dà fine alla guerra dacica,
405. Torna a Roma, e celebra il suo secondo trionfo, 407. Perseguitati
sotto di lui i cristiani, 411. Piazza Traiana da lui fabbricata, 414.
Parte con una possente armata per portare la guerra a Cosroe re della
Persia, 415. Il quale, ciò udito, manda a lui ambasciatori con regali,
pregandolo di pace, _ivi_. Gliela nega, e continua il viaggio fino
in Antiochia, 416. Gli è presentato Sant'Ignazio, vescovo di quella
città, ch'ei, come cristiano, manda a Roma per esser esposto alle fiere
nell'anfiteatro, _ivi_. Giunge ai confini dell'Armenia, 417. Regali
a lui mandati da' varii principi di quelle contrade, _ivi_. A lui si
porta Partamasire re dell'Armenia, chiedendogli la conferma del regno
d'Armenia, che non ottiene, 418. Giuramento di fedeltà a lui prestato
da varii re, 420. Quali fossero i ricreamenti di questo imperadore,
_ivi_. Come trattasse la milizia, _ivi_. Conquista la Mesopotamia, 421.
Dà il sacco al regno de' Parti, 424. E un re a quei popoli, 428. Fine
di sua vita, 429. Sue ceneri accolte con trionfo in Roma, 433.

Traiano (Decio), governatore della Pannonia, fatto morire da Elagabalo,
I, 755.

Traiano, conte cattolico, generale di Valente Augusto in Armenia, II,
193. Gli è tolto quel comando, 210. Muore in battaglia, 212.

Trasamondo, re dei Vandali, II, 716, 726. Perseguita i cattolici, 751.
Termina i suoi giorni, 811.

Trasarico, re de' Gepidi, infesta i confini dell'imperio romano, II,
753. Mandatogli contra un esercito da Teoderico re d'Italia, si ritira
di là del Danubio, _ivi_. A lui toglie poi Teoderico la città di
Sirmio, _ivi_.

Trasea (Publio Peto), senatore di gran virtù, I, 215, 223. Fatto morir
da Nerone, 241.

Trasguno, duca di Fermo, III, 304.

Trasimondo, conte di Capoa, II, 1274. Duca di Spoleti, III, 13.

Traslazione di corpi santi, frequente una volta, III, 560. _V._ Corpi
dei santi.

Trasmondo, duca di Spoleti, III, 117.

Trasmondo, duca di Spoleti, succede per forza al padre, III, 171. Suo
dono fatto al monistero di San Pietro di Ferentillo, 172. Si umilia al
re Liutprando, 190. Poscia a lui si ribella, 213, 219.

Trasmondo, duca e marchese di Spoleti e Camerino, III, 1145.

Trasmondo, altro duca e marchese di Spoleti e Camerino, III, 1205,
1231. Per vendicare il parente Landenolfo principe di Capoa, ucciso da
quei cittadini, assedia inutilmente quella città, 1277.

Trasmondo, marchese di Camerino, IV, 201.

Trasmondo, conte di Chieti, IV, 281.

Trasmondo, abbate di Tremiti: sua crudeltà, IV, 320.

Trasullo, astrologo celebre dell'imperadore Tiberio; predizioni da lui
fatte a quell'Augusto, e sua morte, I, 108, 110.

Trebelliano (Caio Annio), usurpa l'imperio a' tempi dell'imperadore
Gallieno, I, 923.

Trebellio, principe dei Bulgari, _V._ Terbellio.

Trecenta: terribil fenomeno dell'aria _ivi_ succeduto con immenso danno
di essa contrada, VII, 345.

Tregua di Dio, che fosse nei vecchi secoli, IV, 178. Accettata e
giurata in Italia, 441.

Tremuoto spaventoso in Antiochia, I, 422; II, 825, 833, 834.

Tremuoto in Nicomedia, I, 445.

Tremuoto in varie parti dell'Asia, I, 513.

Tremuoto in Ismirne, I, 586.

Tremuoto in Sidone e Tiro, I, 1050.

Tremuoto in molte città d'Oriente, II, 10, 15, 86, 124, 125, 152, 198.

Tremuoto in Neocesarea, II, 17.

Tremuoto in varie città, II, 18.

Tremuoto in Berito nella Fenicia, II, 28.

Tremuoto in Nicea, II, 171, 172.

Tremuoto in Costantinopoli ed altre città, II, 527, 669, 955, 964, 965,
1047.

Tremuoto in Italia, III, 430; IV, 554.

Tremuoto in Puglia, III, 1269.

Tremuoto in Brescia e molte altre città, IV, 1055.

Tremuoto nel regno di Napoli, V, 1244, 1245.

Tremuoto in Calabria, VI, 1091.

Tremuoto in Rimini ed altri luoghi, VI, 1266.

Tremuoto in Benevento, ed in altre città vicine, VII, 173.

Tremuoto spaventoso in Abbruzzo e Calabria, VII, 208, 209.

Tremuoto in Palermo, VII, 327, 328.

Trento, sua corte ducale, III, 644. Celebre concilio in essa tenuto,
_V._ Concilio.

Treveri, città devastata da Attila, II, 553, 554.

Tribigildo, conte goto, si rivolta contro i Romani, II, 345. Unito con
Gaina fa pace con l'imperadore Arcadio, 353. Sua morte, _ivi_.

Triboniano, giurisconsulto celebre a' tempi dell'imperadore
Giustiniano: sue qualità, II, 836.

Tribunizia podestà, titolo degli imperadori romani, I, 4.

Tribuno Memmo, doge di Venezia, III, 1225. Spedisce alcuni ambasciatori
a Verona a placare lo imperadore Ottone III, 1245. Concede ai
Caloprini, suoi nemici, di tornare a Venezia, 1260, 1261. Sua morte,
1272.

Tricennali: loro origine, I, 38.

Trigezio, uffiziale di Valentiniano III, maneggia e conduce e buon
termine la pace fra esso Valentiniano e Genserico re de' Vandali, II,
491.

Triglia, pesce stimatissimo ai tempi dell'imperadore Tiberio, I, 77.

Trione (Fulcinio), già console sotto l'imperadore Tiberio, accusato, si
uccide, I, 103.

Triostila, re de' Gepidi, si oppone a Teoderico re dei Goti, che viene
per innondare l'Italia, II, 700.

Trivane, maestro di camera del re Teoderico, II, 808.

Trivisani, occupano Feltre e Belluno, IV, 1084. Sconfitti da Azzo VII
marchese d'Este, 1108. Danni loro inferiti dai Padovani, 1123. Lor
città tolta a Federigo II da Alberico da Romano fratello d'Eccelino,
1156. Assistiti dalla repubblica veneta, si liberano dal giogo di quel
tiranno, V, 16. A cui levano la vita, 24.

Trivulzio (Gian Giacomo), insigne capitano, passa al servigio del re di
Francia Carlo VIII, VI, 141. Per esso occupa lo stato di Milano, 155,
156. Creato marchese di Vigevano, 157. Maresciallo di Francia nella
battaglia di Ghiaradadda, 235. Generale de' Franzesi nel Milanese alla
morte di Carlo d'Ambosia, signor di Sciomonte, 263. S'impadronisce
di Bologna, 264. Ricupera la Mirandola, 267. Abbandona Milano, 287.
Interviene alla battaglia di Marignano, 326. Forma l'assedio di
Brescia, 330. Suo strattagemma, 337.

Trivulzio (Teodoro), interviene all'assedio di Brescia, VI, 330.

Troyes, città miracolosamente salvata da Attila, per la protezione di
san Lupo, vescovo di quella città, II, 554.

Tufa generale del re Odoacre contro Teoderico re de' Goti, II, 700. Si
dà al partito di esso re, 702.

Tulo, generale del re Teoderico contro i Borgognoni, II, 813. Creato
patrizio dal re Atalarico, _ivi_.

Tunisi, presa dall'imperadore Carlo V, VI, 513. Poscia dalle armi di
Filippo II, 760. Ricuperata dai Turchi, 763.

Tunone, duca d'Ivrea, II, 309.

Turbone (Marzio), generale di Adriano Augusto, I, 437. Governatore
nella Pannonia e Dacia, 442. Prefetto del pretorio, 446.

Turchi, conosciuti anche dagli antichi; loro potenza, II, 1005.
Dalla Tartaria usciti, cominciano le lor conquiste, IV, 246. Prendono
Otranto, VI, 72. Lo restituiscono, 74. Assediano Vienna, _V._ Vienna.
Lor grande armamento contro la cristianità, 263, 264. Tolgono il regno
della Morea ai Veneziani, 265. Assediano la capitale di Corfù, 268,
269. Vinti sotto Petervaradino dal principe Eugenio di Savoia, 272.
Loro sconfitta sotto Belgrado, e perdita di quella città, 275, 276.
Pace fra essi e l'imperadore Carlo VI, 282. E co' Veneziani, _ivi_.
Assediano Belgrado, 456. Loro è ceduta, _ivi_.

Turchi Gazari, si collegano con Eraclio Augusto, II, 1185. Gli danno un
gran rinforzo, 1188. Ma poi si ritirano, 1191.

Turchi maomettani, di setta diversa da quella de' Persiani, II, 1269.
Diversi dai Saraceni, III, 100, 101.

Turcio (Rufio Aproniano Asterio), console sotto re Teoderico, II, 717.

Turino (Vetronio), perchè ucciso da Alessandro Augusto, I, 792.

Turingi, _V._ Toringi.

Turisendo, re dei Gepidi, _V._ Toresino.

Turpiliano (Caio Petronio), già console, fatto uccidere dall'imperadore
Galba, I, 259.

Turpillione, creato generale della cavalleria dallo imperadore Onorio,
II, 389.

Toscolo: sue mura atterrate dai Romani, IV, 831. Distrutto poscia da
essi, 922.


U

Ubaldo, vescovo di Cremona, IV, 171, 186. Suo placito, 204, 209.

Ubaldo, vescovo di Mantova; fugge dal re Arrigo IV presso la contessa
Matilda, IV, 447.

Ubaldo, cardinale di Santa Prassede, IV, 735.

Ubaldo, vescovo d'Ostia, IV, 847. È creato papa, 878. _V._ Lucio III.

Ubertino da Carrara, signor di Padova, V, 539. Ripiglia Monselice, 540.
Sua pace cogli Scaligeri, 575. Fine de' suoi giorni, 578.

Uberto, figlio di Ugo re d'Italia, creato duca di Toscana, III, 1069.
Fu eziandio conte del sacro palazzo, 1087. Poscia anche duca e marchese
di Spoleti e di Camerino, 1095. Le quali provincie sono a lui tolte,
1102. Incerto il tempo di sua morte, 1146, 1147, 1149, 1183.

Uberto, vescovo di Parma, conte di quella città, III, 1155.
Arcicancelliere di Ottone il Grande, 1174, 1207.

Uberto, vescovo di Forlì, III, 1185.

Uberto, vescovo di Palestrina, IV, 359.

Uberto, vescovo di Lucca, deposto, IV, 627.

Uberto, od Umberto, marchese e conte di Morienna e Savoia, IV, 814.
Aderente a Federigo I imperadore, 848.

Uberto da Pirovano, arcivescovo di Milano, IV, 993, 994.

Uberto, vescovo di Vercelli, IV, 418.

Udalrico (Santo), vescovo di Augusta, III, 1198, 1199.

Udelrico, marchese di Toscana, IV, 664. Va in aiuto de' Fiorentini
contro i Senesi, 677.

Ugo, marchese e duca di Provenza, figlio di Berta rimaritata
in Adalberto II duca di Toscana, III, 926, 1024. Proclamato re
d'Italia, ne viene al possesso, 1030, 1031. Quando coronato, 1032.
Suo abboccamento con papa Giovanni X, 1034. Manda ambasciatori a
Costantinopoli, 1035. Congiura contro di lui scoperta e punita,
1042. Ingiustamente perseguita ed abbatte Lamberto duca di Toscana,
1049, 1050. Divien signore di Roma con isposar Marozia, 1053. Ma ne
è cacciato dai Romani, 1054. Indarno assedia Roma, 1057. Ricupera
Verona, 1061. Torna all'assedio di Roma, e fa pace con Alberico, 1068.
Sua tirannia verso il fratello Bosone, duca di Toscana e della cognata
Willa, 1068, 1069. Sua scandalosa incontinenza, 1075, 1076. Continua la
guerra contro Roma, 1085. Snida i Saraceni da Frassineto, 1089. Marita
Berta sua figlia con Romano figlio di Costantino imperador de' Greci,
1091, 1094. Contro di lui s'alzano Berengario marchese d'Ivrea, e molti
principi d'Italia, 1097, 1098. Vuol ritirarsi, ed è ritenuto, 1099. Sua
pace con Alberico principe di Roma, e depressione, 1101. Si riduce in
Provenza, 1103. Fine de' suoi giorni, 1104.

Ugo, figlio di Maginfredo conte di Milano, creduto uccisore di Lamberto
imperadore, III, 933.

Ugo, abbate di Farfa, III, 1078; IV, 28, 34. Suoi litigii con Gregorio
abbate dei Santi Cosma e Damiano, monistero in Roma, a cagione della
cella in Santa Maria in Minione, 39. Assiste ad un placito tenuto dal
re Arrigo II in Germania 80, 81. A lui dallo stesso re decretato il
possesso del castello di Bucciniano, 104. Sue liti col senatore romano,
110.

Ugo, figlio di Uberto, creato duca di Toscana, III, 1149, 1183. E di
Spoleti, 1267. Assedia Capoa, 1277. Sua morte, IV, 49. Sembra non aver
rinunziato il ducato di Spoleti, 50.

Ugo Capeto, proclamato re di Francia, III, 1279. In un concilio di
vescovi franzesi, senza l'approvazione del papa, fa deporre Arnolfo
arcivescovo di Rems, 1275. Manda al papa Giovanni XV, pregandolo
a voler recarsi a Grenoble per conoscere meglio la faccenda
dall'arcivescovo Arnolfo, IV, 9. Tempo di sua morte, 20.

Ugo, vescovo di Amburgo, III, 1268.

Ugo duca di Spoleti e marchese di Camerino, IV, 162. Sua morte, 278,
279.

Ugo, marchese, uno degli antenati della casa di Este, IV, 97, 100.
Messo al bando dell'imperio da Arrigo I Augusto, 108. Invita Roberto re
di Francia al regno d'Italia, 146, 147. Varii suoi atti, e sua morte,
166.

Ugo, vescovo di Ferrara, IV, 111.

Ugo (Santo), abbate di Clugnì, nella città di Colonia battezza Arrigo
figlio di Arrigo III imperadore, IV, 253. Assiste nell'ultime ore il
papa Stefano IX, 285. Va con la contessa Matilda per ottener grazia al
re Arrigo IV dal papa Gregorio VII, 377.

Ugo, o Ugone Bianco, cardinale ribello della Chiesa romana, IV, 302.
Nuovamente ribellatosi, cerca la deposizione del papa Gregorio VII, e
l'elezione d'un nuovo, 370. Scomunicato in un concilio romano, 385.

Ugo del Mauso, figlio di Azzo II, marchese d'Este, creato principe del
Maine, IV, 339, 340. Prende per moglie una figlia di Roberto Guiscardo,
384. Sue biasimevoli azioni, 440, 441, 451.

Ugo, arcivescovo di Lione, IV, 413. È scomunicato da papa Gregorio VII,
423, 432.

Ugo, vescovo di Mantova, IV, 450.

Ugo il Grande, fratello del re di Francia, va in Levante in crociata,
IV, 469. Fatto prigione a Durazzo, e condotto a Costantinopoli, 470.

Ugo, cardinale d'Alatri, IV, 562. Da papa Gelasio II creato governatore
di Benevento, 565. Sua morte, 582.

Ugo, o Ugone, arcivescovo di Palermo, IV, 734.

Ugo, arcivescovo di Genova, IV, 823.

Ugo da Bologna, cardinale, IV, 864.

Ugo del Balzo, conte d'Avellino: suo magnanimo fatto, V, 59. Siniscalco
del re Roberto in Lombardia; sue azioni, 360, 370. Sconfitto dai
Visconti, 384, 390. Ucciso in un fatto d'armi, 406.

Ugo, delfino di Vienna, V, 337.

Ugo Cavalcabò, marchese, occupa Cremona, V, 914.

Ugo Boncompagno, cardinale, eletto papa, VI, 754, 755. _V._ Gregorio
XIII.

Ugolino, cardinale e vescovo d'Ostia, da papa Onorio III mandato a
Genova per rimettere la pace fra i popoli d'Italia, IV, 1033. Poscia
dallo stesso pontefice mandato a Milano e a Piacenza, 1037. Dà la croce
a Federigo II imperadore per andare in Terra Santa, 1043. Mette pace
fra i cittadini di Piacenza, 1051. Eletto papa, 1077, _V._ Gregorio IX.

Ugolino de' Gherardeschi, conte, creato signore di Pisa, V, 182. Per le
sue doppiezze ed iniquità dalla fazione dell'arcivescovo Ruggieri, suo
capitale nemico, ordita una congiura è preso, gettato in fondo d'una
torre con due piccioli figli e tre nipotini, e colà lasciato morir di
fame, 196.

Ugolino Gonzaga, signor di Mantova, V, 608. Sue truppe in aiuto
di Jacopo da' Pepoli, signor di Bologna, 614. Col fratello Filippo
va contro i Visconti, 654. Capitano della lega, contro gli stessi
Visconti, 662. Contro i quali riporta una vittoria, 667. Fa pace con
essi Visconti, 668. Sconfigge nuovamente le lor genti, 681. Ucciso dai
fratelli, 690.

Ugolino de' Trinci, signor di Foligno, V, 593.

Uguccione dalla Faggiuola, V, 244. Capitano dei Romagnuoli contro i
Bolognesi, 253. Cogli Aretini, i Ravegnani e con quei di Montefeltro
fa guerra a Cesena, 281. Capitano degli Aretini, è sconfitto da'
Fiorentini, 332. Eletto per loro signore dai Pisani, 367, 368.
Guerra da lui fatta ai Lucchesi, 377. S'impadronisce di Lucca, 378. A
Montecatino dà una gran rotta ai Fiorentini, 383. È cacciato da Pisa,
388. Perde anche Lucca, _ivi_. Si rifugia presso Cane dalla Scala, 389.
Il quale, pel credito che godea nell'arte della guerra, lo crea suo
capitan generale, _ivi_. E coll'aiuto suo cerca di ricuperar Lucca, ma,
fallito il colpo, se ne torna a Verona, 393. Da Cane mandato per avere
Trivigi, 403. Fine dei suoi giorni, 406.

Uladislao, duca di Boemia, IV, 744.

Ulca, fiume, sulle sponde del quale Teoderico, figlio di Teodemiro,
che fu poi re d'Italia dà una rotta ai Gepidi, che si oppongono al suo
passaggio in Italia, II, 699.

Ulda, o Uldino, re degli Unni, va contro il ribello Gaina, lo uccide,
e manda la sua testa all'Augusto Arcadio, II, 356. Al servigio
dell'imperadore Onorio contro i Goti condotti da Radagaiso, 371.

Ulfari, duca di Trivigi, si ribella ad Agilolfo re di Italia, II, 1085.

Ulfila, vescovo ariano dei Goti, II, 202.

Ulfila, compagno e luogotenente di Costanzo generale dell'imperadore
Onorio contro il tiranno Costantino nelle Gallie, II, 410.

Ulpiano, famoso giurisconsulto sotto Severo Augusto, I, 698.

Ulpiano (Domizio), insigne giurisconsulto, consigliere di Alessandro
Augusto, I, 771. Creato prefetto del pretorio, 772. Ucciso in una
sedizione, 790.

Ulrico, patriarca d'Aquileia, IV, 529.

Ulrico, altro patriarca d'Aquileia, fa un'incursione nell'isola di
Grado per cui è fatto poi prigione dai Veneziani, IV, 784.

Umaro, _V._ Omaro.

Umbaldo, arcivescovo di Lione, pel primo riconosce ed onora per papa
legittimo Callisto II, IV, 571.

Umberto, abbate di Subbiaco, IV, 251.

Umberto, cardinale, da papa Leone IX inviato a Costantinopoli per
suo legato, IV, 266. Da papa Vittore II mandato al monastero di Monte
Casino, per far che que' monaci si ritrattassero di alcuni soprusi, con
minaccia di scomunica non obbedendo, 273. Fa eleggere ad abbate di quel
monistero Federigo, personaggio piissimo, 281.

Umberto, vescovo di Selva Candida, IV, 284.

Umberto II, ossia Uberto, figlio di Amedeo conte di Savoia, IV, 476.
Conte di Morienna, progenitore della real casa di Savoia, 570.

Umberto III, conte di Morienna e Savoia, IV, 693.

Umberto, delfino di Vienna, da papa Clemente VI fatto generale d'un
esercito di crociati contra i Turchi, passa per l'Italia, V, 581.
Magnificamente ricevuto e regalato da Obizzo di Este, marchese di
Ferrara, _ivi_. Passa in Levante, da dove, senza farvi alcuna prodezza,
ritorna povero, _ivi_.

Unaldo, duca d'Aquitania, III, 203. Si fa monaco, 239. Torna al secolo,
_ivi_, 294.

Unfredo, creato arcivescovo di Ravenna, dall'imperadore Arrigo III, IV,
239. Sua contesa con papa Leone IX, dal quale, in un concilio tenuto
a Vercelli, è sospeso dal suo monistero, e forse scomunicato, 247.
Dall'imperadore rimesso in grazia del papa, 250. Sua morte, _ivi_.

Unfredo, conte, capo de' Normanni in Puglia, IV, 253. Sconfigge
l'armata pontificia, 262. Accompagna il papa Leone IX infermo sino a
Capoa, 266. Sue liti col fratello Roberto Guiscardo, 268. Fine dei suoi
giorni, 282.

Ungari, come fossero dapprima appellati, II, 972. S'impadroniscono
della Pannonia, III, 855. Loro origine, e barbari costumi, 879.
Chiamati dal re Arnolfo in Germania, 893. Loro battaglie coi Bulgari,
921. Calano per la prima volta in Italia, 937. Continuano le scorrerie
e saccheggi, 965. Devastano la Sassonia e la Turingia, 972. Condotti
dai loro re Dursac e Bugat invadono la Lombardia, 1011. Chiamati in
soccorso dallo imperadore Berengario contro Rodolfo re d'Italia, 1014.
Prendono e distruggono Pavia, 1020. Devastano la Puglia ed altri paesi,
1071. Loro scorrerie contro i Greci, in Germania e Francia, 1094.
Tassi, loro re, devasta l'Italia, e la Lombardia specialmente, 1105.
Rotta insigne data loro da Ottone il Grande, 1132, 1133.

_Unigenitus_: famosa bolla, seminario d'infinite dissensioni nel regno
di Francia, VII, 258, 263, 266, 280.

Unnerico, figlio di Genserico re dei Vandali, dato per ostaggio a
Valentiniano Augusto, II, 491, 492. Rimesso in libertà, 503. Prende
per moglie Eudocia figlia di Valentiniano III Augusto, 580, 599. Che
da lui fugge, 646. Succede al padre, 668. Perseguita i cattolici,
674, 685, 689. Ad istanza dell'imperadore Zenone e di Placidia, vedova
dell'Augusto Olibrio, accondiscende che, dopo ventiquattr'anni di sede
vacante, in Cartagine si eleggesse dal clero e popolo cattolico il
vescovo, 678. Fine di sua vita, 689.

Unni Tartari: loro irruzione nelle terre dei Goti, II, 202, 231. E
poi del romano imperio, 325. Cacciati dalla Pannonia, 467. Re d'essi
Attila, 489. Aiutano i Romani nelle Gallie, 494, 505. Saccheggiano
l'Illirico, 514. Estensione del loro dominio, 525. (_V._ Attila,
Avari.) Loro lega coi Longobardi, 1115. Terribile loro incursione
in Italia, e specialmente nel ducato del Friuli, 1143. Prendono e
saccheggiano Cividale, 1145. Sconfitti dagli Sclavi, 1174. E dagli
eserciti di Carlo Magno, III, 375, 385. Che li sottomettono, 387.

Unoco, duca del Friuli, III, 711. Succede al padre nel ducato, 717.
Fine de' suoi giorni, 769.

Urbano I, pontefice romano, I, 764. Suo martirio, 796.

Urbano II papa. Sua elezione, IV, 433. (_V._ Ottone vescovo d'Ostia.)
Concilio da lui tenuto in Roma, 438. E in Melfi, 441. Altro suo
concilio tenuto in Benevento, 448. A lui si ribellano i Romani,
_ivi_. Ricupera il palazzo lateranense, 460. Tiene un concilio in
Piacenza, 463. Predica la crociata nel concilio di Chiaramonte, 464.
Va a Benevento, 477. Dichiara il conte di Ruggieri suo legato per la
Sicilia, 478. Tiene un gran concilio in Roma, 481. È chiamato a miglior
vita, 482.

Urbano III papa. Sua elezione, IV, 892. Occupati i suoi Stati dal re
Arrigo VI, 899. Suoi dissapori coll'imperadore Federigo I, per cui
minaccia di scomunicarlo, 903. Passa a miglior vita, 904.

Urbano IV papa. Sua elezione V, 28. Suoi maneggi contro la casa di
Svevia, 33. Muove Carlo di Angiò contro la Sicilia, 38. Si ritira fuor
di Roma, 42. Istituisce la festa del Corpo di Cristo, 43. Crea senatore
di Roma Carlo conte d'Angiò, 44. Dà fine al suo vivere, 45.

Urbano V papa. Sua elezione, V, 686. Fa lega con varii principi contro
i Visconti, 704. Viene in Italia, 707. Ritorna in Francia, 722. Fine
del suo vivere, e suoi santi costumi, 723.

Urbano VI papa. Sua elezione, V, 760, 761. Suo rigore ed imprudenza,
761, 769. Depone i cardinali scismatici, 764. Sua guerra contro gli
aderenti all'antipapa Clemente VII, 769, 770. Fulmina fiere censure
contro Giovanna regina di Napoli, 776. Muove Carlo dalla Pace contro
di lei, 777. Lo corona re di Napoli, 784. Va a Napoli, 793. La rompe
con esso re, 800. Sua crudeltà contro alcuni cardinali sospetti di
congiura, 802, 803, 804, 811. Assediato in Nocera, e liberato si ritira
a Genova, 804, 805. Leva di vita i porporati prigioni, 812. Odio suo
contro i pretendenti del regno di Napoli, 818. Torna a Roma, 824. È
chiamato da Dio al rendimento de' conti, 829.

Urbano VII papa: suo breve pontificato, VI, 829.

Urbano VIII papa. Sua creazione, VI, 992. Dai Franzesi gli è tolto
il deposito della Valtellina, 997. Celebra il giubileo, 998. Manda
il nipote in Francia per trattar di pace in Italia fra le due corone
di Francia e Spagna, 1004, 1005. Sua premura per unire alla Chiesa il
ducato d'Urbino, 1010, 1011. Sua moderazione, 1055. Titolo di Eminenza
da lui conferito ai cardinali, 1057, 1058. Sua ostinazione in non voler
soccorrere il pericolante imperadore Ferdinando II, 1059. Congiura
contro di lui scoperta, 1064. Maneggia la pace fra gli Spagnuoli
e il duca di Parma, 1075. Suoi imbrogli col duca di Parma, 1108.
S'impadroniscono le sue milizie del ducato di Castro, 1109. Irruzione
del duca di Parma nei suoi Stati, 1116. Guerra sua contro i collegati,
1121. Fa pace con essi, 1123, 1124. Passa a miglior vita, 1127.

Urbico (Lollio), generale dell'imperadore Antonino Pio, nella Bretagna,
I, 514.

Urbico, questore del sacro palazzo sotto il re Teoderico, III, 718.

Urbino: suo ducato unito alla Chiesa romana, VI, 1012.

Ursicino, conte, toglie la vita a Silvano tiranno, II, 68.

Ursicino, vescovo di Torino, II, 1109.

Ursingo, conte di Trento, III, 170.

Ursino, eletto papa nello scisma contro Damaso, II, 156.

Uscocchi, corsari nell'Adriatico, VI, 896, 947.

Utrecht: pace _ivi_ stabilita tra la Francia ed altre potenze, VII,
250, 251.

Uvilia, conte del patrimonio (_sic_), II, 773.


V

Vaballato Augusto, figlio di Settimia Zenobia regina dei Palmireni, I,
929, 930, 958, 964.

Vadomario, re degli Alamanni, II, 101, 155, 185.

Valente (Fabio), acclama imperadore Vitellio, I, 262. Con un esercito
viene in Italia, 267. Vittoria da lui riportata contro Ottone, 271. Sua
potenza in corte di Vitellio, 274. Gli è tagliata la testa, 282.

Valente (Salvio), giurisconsulto celebre ai tempi dell'imperadore
Antonino Pio, I, 509.

Valente (Giulio), imperadore effimero, I, 872.

Valente (Publio Valerio), proconsole dell'Acaia, si fa proclamare
Augusto, I, 908.

Valente (Giuliano), correttore della Venezia, alla morte di Caro
Augusto, usurpa l'imperio, I, 1007. Vinto in una battaglia da Carino,
gli è tolta la vita, 1010.

Valente (Valerio), si fa proclamare Augusto in Oriente, I, 1129. È
ucciso da Licinio, _ivi_.

Valente, creato Cesare da Licinio Augusto, I, 1134. Poscia da lui
ucciso, 1135.

Valente (Flavio), fratello di Valentiniano imperadore, dichiarato
Augusto, II, 147. Se gli ribella Procopio, 153, 154. Lo atterra, 160.
Sue crudeltà, 161, 162. Fa pace co' Goti, 174. Congiura di Teodoro
contro di lui, 191. Rotta all'esercito suo data dai Goti, 206. Altra
maggiore sconfitta a lui data, in cui lascia la vita, 212. Lodi e
biasimi di questo Augusto, 213.

Valente, comandante de' Dalmatini mandati dallo imperadore Onorio alla
difesa di Roma contro Alarico, II, 394.

Valentiniano (Flavio), cassato dal suo ufficio da Costanzo Augusto,
II, 80. Proclamato imperadore, 143. Sue azioni prima dell'imperio,
_ivi_. Sue qualità, 145. Più rotte da lui date agli Alamanni, 159. Suo
matrimonio con Giustina riprovato, 164. Sua crudeltà, 166, 173, 179,
188. Tradimento fatto dai suoi ai Quadi, 189. I quali perciò gli fan
guerra, _ivi_. Termina la vita sua, 196. Sue qualità, _ivi_.

Valentiniano iuniore, soprannominato Galata, figlio di Valente Augusto,
II, 161. Creato console, 172. Sua morte, 181.

Valentiniano II (Flavio), figlio del primo, II, 194. Proclamato
Augusto, 197. Abita in Milano, 247. Fa pace con Massimo tiranno, 249,
251. Rigetta la supplica de' Romani acciò sia rimessa nella sala del
senato la statua della vittoria, 254. Fugge in Levante per paura di
Massimo tiranno, 269. È rimesso nei suoi stati da Teodosio, 280, 281.
Sue belle doti, 296. Tiranneggiato da Arbogaste, suo generale, 298. E
da lui ucciso, 300.

Valentiniano III: sua nascita, II, 440 Esiliato, va a Costantinopoli,
450. Dichiarato Cesare da Teodosio II Augusto suo cugino, viene
in Italia, 456. Pubblica due leggi contra de' manichei, eretici e
scismatici, 459, 460. Perdona ad Aezio, e gli conferisce il titolo
di conte, 460. È dichiarato Augusto dal cugino Teodosio, 461.
Pianta la sedia in Ravenna, 464. Brutto ritratto di lui fatto da
Procopio, _ivi_. Sue belle leggi, 475. Chiama in suo aiuto i Goti
contro Aezio, 486. Rimette in sua grazia Aezio, _ivi_. Fa pace con
Genserico re dei Vandali, 491. Suo matrimonio con Licinia Eudossia
figlia dell'imperadore Teodosio II, 497. Cessione da lui fatta in
tale circostanza, 498. Ottiene da papa Sisto III che la chiesa di
Ravenna sia eretta in arcivescovato, 502. Tradito da Genserico, 503.
Confessione di San Paolo per ordine suo fabbricata, 506. Va a Roma,
541. Ucciso, e perchè, da' congiurati, 575.

Valentino, doge di Venezia, III, 461. Spogliato della dignità, 476.

Valentino, papa. Sua elezione, e sua morte poco dopo seguita, III, 558.

Valenza (duca di), _V._ Cesare Borgia e Duca Valentino.

Valeria, figlia di Diocleziano Augusto, moglie di Galerio Cesare, I,
1028, 1099. Perseguitata da Massimino Augusto, 1100. Uccisa da Licinio
Augusto, 1128.

Valeriano (Publio Licinio), che poi fu imperadore, ricusa la carica
di censore, I, 870. Acclamato imperadore, 877. Suoi lodevoli costumi,
879. Suoi difetti fisici, _ivi_. Perseguita i cristiani, 886. Va in
Oriente contro Sapore re di Persia, 890. Da cui è fatto prigione, 896.
Trascurato dall'ingrato suo figlio Gallieno, 898. Sua morte, 899.

Valeriano (Publio Licinio) iuniore, figlio di Valeriano Augusto, I,
879, 880. Dichiarato Cesare, 882.

Valeriano (San), vescovo d'Aquileia, II, 230.

Valeriano, prefetto di Roma sotto gli imperadori Graziano, Valentiniano
II e Teodosio, II, 229, 230.

Valerio Messalino, governatore della Dalmazia sotto Cesare Augusto, va
_ivi_ contro i ribelli, I, 22.

Valerio Massimo, prefetto di Roma sotto gl'imperadori Valeriano e
Gallieno, I, 881, 884.

Valerio, console sotto il re Teoderico, II, 808.

Valerio, console orientale sotto l'imperadore Teodosio II, III, 482.

Valerio, arcivescovo di Ravenna, III, 395.

Valid, califa de' Saraceni, III, 121. Dopo l'occupazione delle Spagne
muore, 151.

Vallestain (Alberto duca di Fridland), fiero generale dell'imperadore
Ferdinando II, VI, 1049, 1058. Sua caduta, 1065.

Valia, re de' Goti in Ispagna, II, 429, 431. Fa pace con Onorio
Augusto, 432. Sue imprese contro i Vandali, _ivi_, 436. Sua morte, 437.

Valtellina: guerra insorta a cagion d'essa, VI, 974, 984. Depositata
in mano del papa, 990. Presa dai Franzesi, 996, 997. Accordo per essa,
1006, 1081.

Valvassori milanesi, insorgono contro i lor signori, IV, 183. Che
significasse questo nome, 184.

Vamba, re piissimo delle Spagne, III, 43. Sua vittoria dei Saraceni, 44.

Vandali, entrano nelle Gallie, II, 376. E poi nelle Spagne, 402. Danno
il nome all'Andaluzia, 413. Loro azioni colà contro gli Svevi, 442.
Sconfiggono Castino generale di Onorio Augusto, 449. Loro crudeltà,
463. Occupano l'Africa, 471, 473. _V._ Genserico. Sconfitti colà da
Belisario, generale dell'imperadore Giustiniano, perdono tutto, 851.

Vandomo (Luigi Giuseppe duca di), generale delle armi gallispane in
Italia, libera Mantova, VII, 167, 168. Sue altre imprese, 168, 170.
Conduce l'armata verso il Tirolo, 175. Accorre in Piemonte colle sue
armi, 179. Suoi progressi militari contro il duca di Savoia, 184.
Assedio di Verrua da lui fatto, 185, 189. La costringe a rendersi, 190.
Sua battaglia contro i Tedeschi a Cassano, 192. Sua vittoria contro gli
stessi alla Fossa Seriola, 196. Viene colle sue forze ad accamparsi
vicino a Verona, danni che reca alla veneta repubblica, _ivi_, 197.
Cede il comando al duca d'Orleans, 197. Direttore del duca di Borgogna
in Fiandra, 224. Generale di Filippo V in Ispagna, sue imprese in
quelle parti, 235, 236, 242.

Varane, generale di Onorio Augusto, II, 389, 400. Console, 404.

Varane, re di Persia: sconfitte a lui date dai Romani, II, 469.

Varo (Quintilio), governatore della Soria, I, 13. Generale de' Romani
in Germania, 29. Sue legioni tagliate a pezzi dai popoli di quella
contrada, 30. Si uccide, _ivi_.

Varo (Caio Ceionio), prefetto di Roma sotto l'imperadore Carino, I,
1005.

Varrone (Visellio), generale di Tiberio nelle Gallie, I, 65.

Varrone (Cingonio), console designato, ucciso da Galba, I, 259.

Varroniano, figlio di Gioviano Augusto, II, 137, 142.

Vasi antichi del Tempio di Salomone, II, 853.

Vecchio della Montagna, principe dei popoli chiamati Assassini; manda
ambasciatori a Federigo II Augusto, IV, 1109. Da uno de' suoi è tolto
di vita Lodovico duca di Baviera, _ivi_.

Vedove: proibito ad esse il farsi monache prima che sia passato l'anno
della morte del marito, III, 171.

Vedulfo, maggiordomo del re Teoderico, II, 746.

Vegezio, scrittore che fiorì sotto Teodosio il Grande, II, 321.

Veleno, una volta usato in Italia, IV, 243.

Velleio Patercolo, storico, va alla guerra in Soria con Caio Cesare,
figlio adottivo d'Augusto, I, 8. Poscia in Germania con Tiberio, 17.
In una altra guerra contro i Pannoni conduce allo stesso Tiberio varii
rinforzi di truppe, 21. Adulator di questo tiranno, 34, 44, 85, 86.

Velletri: in essa entra l'infante don Carlo re delle Due Sicilie colla
sua armata, contro cui s'accampa l'austriaca, VII, 526. Strepitoso
tentativo del principe di Lobcowitz per sorprendere quella città, 528.
Entra in essa la sua gente, ma ne è poi respinta, 529, 530.

Venanzio, console sotto il re Odoacre, II, 687.

Venanzio, console sotto il re Teoderico, II, 761, 852.

Venanzio, prete, spedito da papa Ormisda legato a Costantinopoli, II,
791.

Venanzio Fortunato, scrittore italiano, nato in Castello, villa tra
Conegliano e Ceneda, I, 979. Sua morte, 1113.

Venceslao, eletto re de' Romani, V, 753. Succede nell'imperio a Carlo
IV suo padre, 765. Crea duca di Milano Gian-Galeazzo Visconte, 865. Per
la sua dappocaggine e scapestrata vita è deposto, 897.

Vendramino (Andrea). _V._ Andrea Vendramino.

Venezia, inclita città: suo principio, II, 567. Suo primo doge, III,
100. Esclusa dal regno d'Italia, 440, 455. Assalita da Pippino re
d'Italia, 469. Dove fondata, 476. Visitata da Lodovico II Augusto,
680. Sue lodi, IV, 405. Alessandro III papa si porta in essa, 858.
Ove conchiude la pace coll'imperadore Federigo I, 861. Terribile
incendio in essa, VI, 311. Incendio grandissimo del suo arsenale, 736,
737. Venuta in essa di Arrigo III re di Francia, e personaggi che
si trovavano quivi a complimentarlo, VI, 765. Feste date in questa
circostanza, _ivi_. Fiera peste in essa, 770. Grave incendio che
consumò tutto il palazzo ducale, 773. Alessandro IV rimette in essa i
Gesuiti, 1209.

Venezia (provincia della); di essa quasi tutta s'impossessa Alboino, re
dei Longobardi, II, 1000.

Veneziani, ricuperano Ravenna all'imperio, III, 189. Scacciati
dall'Esarcato, 353. Guerra loro fatta da Pippino, re d'Italia, 469.
Rotta data da essi alla flotta di Roberto Guiscardo, IV, 406. Sconfitti
anch'essi da lui, 422. Lor patti e privilegii confermati da Arrigo IV
imperadore, 462. Dan soccorso a Terra Santa, 483, 484. Sconfiggono i
Padovani, 535. Lor vittoria degli infedeli presso Joppe, 587. Tolgono
Tiro agl'infedeli, con altre prodezze, 591. S'impadroniscono di varie
isole del greco imperio, 594. Soccorrono Fano, 668. Danno una rotta ai
Padovani, 674. Fan prigione Ulrico, novello patriarca d'Aquileia, 734.
Fan lega contro l'imperadore Federigo I, 788. Lor guerra con Manuello
imperadore dei Greci, 829, 830. Assediano, uniti ai Tedeschi, Ancona,
840. Mandano grandi soccorsi in Terra Santa, 909. Col loro doge Arrigo
Dandolo prendono a condurre in Levante la gran crociata, 977, 978.
Ricuperano Zara, 979. Acquistano la quarta parte del greco imperio,
985. Fan guerra coi Genovesi, 1002, 1003. Lor discordia coi Padovani,
1024, 1027. Collegati col papa contro Federigo II Augusto, 1153, 1160.
Assediano e prendono Ferrara, 1162, 1163. Lor vittoria della flotta
genovese, 1273, 1274. Continua la guerra tra essi, V, 63, 64. Altra
lor guerra coi Bolognesi, con loro svantaggio, 90, 94. Principio di
altra lor guerra coi Genovesi, 226. Lor flotte sconfitte, 232, 256.
Lor guerra coi Padovani, 295. S'impadroniscono di Ferrara, 319, 320.
Terribil bolla di Clemente V papa contro d'essi per l'occupazione di
quella città, 324. Da dove ne sono cacciati, 325. Congiura di Baiamonte
Tiepolo abbattuta, 327. Non compresi nel regno d'Italia, 351. Rimessi
in grazia di Clemente V, 370. Muovono guerra a Mastino dalla Scala,
532, 533. Gli dan la pace coll'acquisto di Trivigi, 543. Assediano Zara
ribellata, 580, 581. E la costringono alla resa, 584. Guerra lor mossa
dai Genovesi, 617. I quali prendono e bruciano Negroponte, 624. Fiera
battaglia navale fra essi presso Costantinopoli, 627, 628. Co' Catalani
danno una grave sconfitta ai Genovesi, 631. Dai quali è poi presa la
loro flotta, 641. Fiera guerra mossa contro di loro da Lodovico re
d'Ungheria, 657, 663. Come possono ottengono la pace da lui, 665.
Odio loro contro Francesco da Carrara, signore di Padova, 702. E
guerra fra loro, 729, 733, 734. Onde nata una fierissima guerra tra
essi e i Genovesi, 767. Rotta data alla lor flotta da essi Genovesi,
771. Indarno chieggono pace, 772. Loro sforzi e valore per la difesa,
che convertono in offesa, 774. Ripigliano Chiozza: dura nondimeno la
guerra, 778. Donano Trivigi a Leopoldo duca d'Austria, 783. Pace fra
essi e i Genovesi, 784. Incitano lo Scaligero contro il Carrarese,
810. Acquistano Corfù, 814. Collegati con Gian-Galeazzo Visconte, 826.
Acquistano Trivigi, 831. Acquistano Vicenza, 928. Muovono guerra a
Francesco da Carrara, 929. S'impadroniscono di Verona, 937. Poscia di
Padova, 938. Levano dal mondo Francesco da Carrara ed i suoi figli,
939. Guerra loro mossa da Sigismondo re dei Romani, 977, 983, 984.
Con cui fan tregua, 988. Lor guerra col patriarca d'Aquileia, 1014.
Prendono varii luoghi in Dalmazia, 1025. Acquistano varie altre città
in Dalmazia ed in Friuli, 1033, 1034. Ed altre terre, 1039. Collegati
co' Fiorentini contro il duca di Milano, 1062. Prendono per lor
generale il Carmagnola, 1064. Tolgono Brescia al duca di Milano, _ivi_.
Fanno pace con lui, 1068. Ma egli torna a far loro guerra, 1069. Varie
battaglie fra loro, 1071, 1072. Con una nuova pace acquistano Bergamo,
1074. Sconfitti dal duca a Soncino, 1088. Rotta la loro flotta dal
medesimo sul Po, 1089. Sconfiggono la flotta dei Genovesi, 1091. Levano
dal mondo il Carmagnola, 1097. Lor pace col duca di Milano, 1100.
Sconfitti da Niccolò Piccinino, 1109. Nuova guerra fanno al duca di
Milano, 1124. Danni loro recati da Niccolò Piccinino, 1133. Prosperità
delle loro armi contro il duca di Milano, 1139, 1145. Che loro fa
guerra viva, 1150. E viene poi a pace, 1152. Acquistano Ravenna, 1154.
Danno una rotta all'esercito di Milano, 1182. Lor progressi contro quel
duca, 1183. Acquistano Lodi e Piacenza, 1190. Perdono questa ultima
città, 1163. Sconfitta la lor flotta da Francesco Sforza, 1198, 1199.
E poi la loro armata, e fan lega fra loro, 1199, 1201. Si accordano
coi Milanesi contra di lui, 1211. Lor guerra col re Alfonso di Napoli,
1213. E con Francesco Sforza, 1226, 1229. Con cui fanno pace, 1236. Lor
lega con papa Paolo II, VI, 32. Acquistano Cipri, 51. Muovono guerra
ad Ercole duca di Ferrara, 76. Lega contro di loro unita da tutti i
principi italiani per farli desistere dalla guerra contro il duca di
Ferrara, 82. Scomunicati da papa Sisto IV, 83. Fanno pace coi nemici
collegati, 86. Lor muove guerra Sigismondo duca d'Austria, 96, 97. Lor
lega con papa Alessandro VI e col duca di Milano, 115. E con altri
contro Carlo VIII re di Francia, 130. Mandano aiuti a Ferdinando re
di Napoli, 137. Poscia ai Pisani, 142. Fanno lega con Lodovico XII re
di Francia, 155. Acquistano Cremona, 157. Occupano Faenza e Rimino,
205. Loro accordo con papa Giulio II, 215. Fa loro guerra Massimiliano
imperadore, 227. Lo costringono ad una vergognosa pace, 228, 229. Lega
di Cambrai contro di loro, 229. Loro potenza, 231. Gran rotta loro
data dai Franzesi in Ghiaradadda, 235, 236. Prese loro varie città
di Terra ferma, 237, 238. Restituiscono al papa e al re Cattolico le
città da essi richieste, 238. Loro umile ambasciata a Massimiliano
Augusto, 239. Ricuperano Padova, 242. E poi Vicenza ed altri luoghi,
248. Ottengono pace da papa Giulio, 251. Che tutto si volge in loro
difesa, 254. Varie percosse loro date dai collegati, 267. Riacquistano
e perdono Brescia, 276. Che è saccheggiata, 278. Uniti cogli Imperiali
e Spagnuoli cacciano di Italia i Franzesi, 286. Burlati o traditi dal
Cardona, generale degli Spagnuoli, e da papa Giulio, 292. Loro lega con
Lodovico XII re di Francia, 296, 297. Ricuperano Brescia e Bergamo,
301. Di nuovo le abbandonano, 304. Rotta data alla loro armata dagli
Spagnuoli, 309. Riacquistano Bergamo, 329. Hanno due percosse sotto
Brescia, 330, 331. Loro sforzi per ricuperare Verona, 339, 341. E la
riacquistano, 345. Fanno lega con Carlo V Augusto, 392. Poscia col re
di Francia ed altri contro Cesare, 422. Occupano Ravenna e Cervia, 442.
Loro accordo con Carlo V, 474. Lega con varii principi contro il Turco,
533. Fanno pace con Solimano, 541, 546. Cipri ad essi tolto dai Turchi,
744, 745, 748. Insigne loro vittoria contro i Turchi a Lepanto, 751.
Fanno pace colla Porta, 759. Fabbricano Palma Nuova nel Friuli, 848.
Molestati dagli Uscocchi, vi provveggono, 896, 947, 948. Imprigionano
un finto Sebastiano re di Portogallo, 809. Loro lega coi Grigioni,
904. Monitorio di Paolo V contro d'essi, 911. Concordia stabilita fra
il papa ed essi dal cardinale di Gioiosa, 917. Si dichiarano in favore
di Francesco Gonzaga duca di Mantova, 940. Lor guerra coll'arciduca
Ferdinando d'Austria, 951. Loro lega col duca di Savoia, 956, 973.
Continuano la guerra co' Tedeschi, 956. Loro la fa il duca d'Ossuna,
vicerè di Napoli, 961. Fanno pace cogli Austriaci, 962, 966. Proteggono
il partito protestante nella Valtellina, 974. Loro lega col re di
Francia Lodovico XIII e col duca di Savoia, 990. Vanno circospetti
in favorire Carlo, novello duca di Mantova, 1025. Loro magnificenza,
1048. Fanno lega coi duchi di Toscana e di Modena in favore del duca
di Parma, 1015. Fanno guerra al papa Urbano VIII, 1121. Pace fra loro,
1124. Cagione d'immensi guai è per loro la presa d'un galeone turco
fatta dai Maltesi, 1130, 1131. Loro è tolta dai Turchi la Canea, 1137.
Ed assediata Candia, 1144, 1171, 1176. Loro vittoria contro la flotta
turchesca, 1178. A cui tengono dietro varie perdite, 1192. Insigne
lor vittoria in mare, 1200. Altre lor vittorie, 1205, 1209, 1225,
1226. Soli contro la potenza turchesca, 1226. Loro vantaggi in mare,
1229, 1230. Candia assediata e difesa da essi, 1247, 1249, 1250. Che
in fine perdono, 1252. Entrano in lega con lo imperadore Leopoldo e
con Sobieschi re di Polonia contro i Turchi, VII, 54. Loro progressi
contro la Morea, 58, 59, 61, 62. Di cui interamente diventano padroni,
69. Prendono Napoli di Malvasia ed altri luoghi, 77, 82. Assediano
indarno Candia, 100. Acquistano Citclut e la isola di Scio, 110, 111.
La quale è ricuperata dai Turchi, 116. Incitano l'imperadore Leopoldo
ad una guerra contro Mustafà II imperadore dei Turchi, 134. Prosperi
eventi loro contro lo stesso, 135. Fan pace con lui, 138. Saldi nella
neutralità nelle guerre d'Italia, 183, 184. Gravi danni da loro patiti
a cagione delle nemiche armate, 196. Muove loro guerra i Turchi, e
tolgono tutta la Morea, 265. Assediata dai Turchi la città di Corfù,
268, 269. Alla quale cercano con una poderosa armata navale di portar
soccorsi, 269. È loro abbandonata dopo un inutile assedio, 271. Loro
battaglia navale coi Turchi, 273, 274. Pace con essi, conchiusa a
Passarovitz, 282. Loro magnificenza in accogliere Maria Amalia, figlia
di Federigo Augusto re di Polonia, sposa di don Carlo di Borbone, re
delle Due Sicilie, 442, 443. Neutrali nelle guerre insorte in Italia
dopo la morte di Carlo VI Augusto, 441. Lor saggia neutralità e
moderazione nelle ultime guerre d'Italia, 707.

Veniero, patriarca di Grado, III, 548. Sue differenze con Andrea,
patriarca d'Aquileia, 648.

Veuturino da Bergamo dell'ordine de' Predicatori, missionario, per la
Lombardia e per la Toscana predica la penitenza e la pace con grande
seguito di persone, V, 524. Accusato alla corte di Roma, è chiamato ad
Avignone da papa Benedetto XII, presso il quale si giustifica, _ivi_.
Per aver disapprovata la lontananza dei papi da Roma, gli è impedito di
tornare al suo ministero, _ivi_.

Venuleio, insigne giurisconsulto ai tempi dell'imperadore Alessandro,
I, 771.

Vercelli: sue varie rivoluzioni, V, 273, 339, 349. Se ne impadronisce
Filippone conte di Langusco, 358. Viene disputato il dominio di quella
città, 412. Se ne impadronisce Matteo Visconte, 418.

Vergini, per una legge pubblicata dall'imperadore Maioriano, non si
poteano consacrar a Dio prima dell'anno quarantesimo, II, 600.

Verina Augusta, moglie di Leone imperadore, II, 607. Fa sollevare
il fratello Basilisco contro Zenone imperadore, 658. Esiliata da
Costantinopoli, è rinchiusa con Leonzia sua figliuola e Marciano suo
genero in Papurio, castello in Calcedone, 681. Liberata, fa coronare
imperadore in Tarso Leonzio patrizio, uomo piissimo, 687. Che da ognuno
viene accettato, 688. Muore, _ivi_.

Verino (Lucrio Valerio), prefetto di Roma sotto Costantino imperadore,
I, 1155, 1167.

Verno rigorosissimo dell'anno 1709, VII, 225, 226.

Vernulfo, uccisore del re goto Ataulfo, II, 428.

Vero (Lucio Annio), console, avolo di Marco Aurelio Augusto, I, 445.

Vero (Vinidio), giurisconsulto celebre, ai tempi dell'imperadore
Antonino Pio, I, 309.

Vero (Marzio), generale de' Romani contro i Parti, I, 534. Ricupera
l'Armenia, 535. Console, 584, 585.

Vero Cesare, figlio di Marco Aurelio Augusto, I, 540. Manca di vita,
554.

Verona, città della Galleniana, I, 924. Afflitta da Attila, II,
561. Arricchita di fabbriche dal re Teoderico, 791. Ricuperata da
Narsete, 975. Afflitta da una fiera inondazione e da un incendio,
1070, 1071. Assediata dalle armi di Carlo Magno, III, 316. A cui si
rende, 320. Fortificata da Pippino re d'Italia, 375. Manda il suo
vescovo Tebaldo per iscusarsi ed umiliarsi all'imperadore Federigo I,
IV, 733. Prevalendo _ivi_ la fazion ghibellina, entra in guerra con
Padova, 1095. Le fan guerra i Mantovani, 1107. Pace fra i cittadini,
1128. V'entrano le truppe ed il figlio di Federigo II Augusto, 1133.
Riportano vittoria dei Mantovani, 1164. Liberati dalla schiavitù
e crudeltà di Eccelino da Romano, V, 16. In quella città comincia
a dominare Mastino dalla Scala, 36, 40. Saccheggiata da Ugolotto
Biancardo, 840. Presa dai Veneziani, 937. Si rende a Massimiliano
imperadore, VI, 239. Che la vende al re di Francia, 252. Invano
assediata dall'Alviano, generale delle armi venete, 305. Assediata da
Odetto di Fois, signore di Lautrech, generale delle armi franzesi in
Italia, unito colle veneziane, 339, 341, 342. Suo misero stato, 340.
Torna sotto i Veneziani, 344.

Veronesi: loro vittoria sui Padovani, IV, 955. E sui Mantovani, 967.
Lor guerra civile, 994. Eccelino da Romano acquista _ivi_ alquanto di
autorità, 1068. Impediscono la venuta de' Tedeschi in Italia, 1073.

Verrua, assediata dal duca di Vandomo, VII, 185, 189.

Vescovi ed abbati obbligati alla milizia, III, 547.

Vespasiano, che fu poi imperadore, milita contro i Britanni, I,
157. Creato console, 183. Sotto Nerone corre pericolo della vita,
239. Inviato generale contro i Giudei ribelli, 244. Vuol assediare
Gerusalemme, 260. Proclamato imperadore dalle milizie, 276. Progresso
delle armi sue in Italia, 277. Arriva a Roma, 288. Rimette in piedi
il Campidoglio bruciato, _ivi_. Trionfa col figlio Tito per la guerra
della Giudea felicemente terminata, 293. Sue belle doti e buon governo,
294. Sua clemenza, 296. Riforma i costumi depravati de' Romani, 299.
Avarizia a lui imputata, 305. Ma scusata, 306. Sua liberalità, 307.
Tempio mirabile della Pace da lui fabbricato, 309. Biasimato per la
morte data a Giulio Sabino, 315. Congiura contro di lui scoperta, 316.
Fine della sua vita, 317.

Vespro siciliano, o strage de' Franzesi in Sicilia, V, 149.

Vestali, private di tutti i privilegii ed esenzioni da Graziano
imperadore, II, 236.

Vestarini signori di Lodi, _V._ Sozzo e Jacopo Vestarini.

Vestinio (Lucio Giulio), secretario di Adriano Augusto, I, 434.

Vesuvio: fuma e gitta fiamme, pietre e cenere, I, 319. Immensi danni e
rovine che apportò, 322. Vomita una grande quantità di cenere, II, 646.
Suoi terribili incendii, e danni da esso recati. VI, 1056; VII, 137,
140.

Vetranione, usurpa l'imperio nell'Illirio, II, 34. Fa pace con
Magnenzio tiranno, 39. Con qual arte deposto da Costanzo, 40. È ben
trattato da lui, _ivi_.

Vettari, duca del Friuli, III, 26. Sua impresa contro gli Sclavi, 33.

Via Traiana, qual fosse, I, 410.

Viatore (Flavio), console occidentale sotto il re Teoderico, II, 722.

Vibidia, la più anziana delle Vestali, indarno si adopera per salvare
la vita a Messalina Augusta, I, 175.

Vibodo, vescovo di Parma, III, 689. Spedito dal papa Adriano II
all'imperadore Lodovico II, 728. Lettera a lui scritta da papa Giovanni
VIII, 800, 815, 828.

Vicennali giuochi: loro origine, I, 38.

Vicenza: prevalgono qui i Ghibellini, e ne sono cacciati i Padovani,
IV, 1080. Presa e saccheggiata da Federigo II Augusto, 1135. Liberata
dal giogo di Eccelino, passa poi sotto il dominio dei Padovani, V,
15, 16. Si rende all'imperadore Massimiliano, VI, 239. Ricuperata dai
Veneziani, 248. Saccheggiata dai Tedeschi, 253. Torna all'obbedienza
dei Veneziani, 256. Assassinata dagli Spagnuoli, 321. E da' Tedeschi,
340, 341.

Videmire, fratello di Teoderico re o duca degli Ostrogoti, viene con
un'armata in Italia, ove muore, II, 648.

Videmire, figlio del precedente, succede al padre nel comando degli
Ostrogoti in Italia, II, 648. Passa nelle Gallie, indotto da' regali
dell'imperadore Glicerio, ove si unisce co' Visigoti, _ivi_.

Vienna, assediata dai Turchi, VII, 45. Difesa e liberata dai cristiani,
47.

Vigesima delle eredità e dei legati, aggravio pubblico introdotto da
Augusto Cesare, I, 19.

Vigilanzia, sorella di Giustino imperadore e madre di Giustiniano, II,
830.

Vigilanzio, creato generale delle guardie del corpo dell'imperadore
Onorio, II, 389.

Vigili, corpi di guardia istituiti da Augusto, I, 20. Loro uffizio,
_ivi_, 1115.

Vigilinda ossia Vinilinda, figliuola del re Bertarido, moglie di
Grimoaldo II duca di Benevento, III, 49.

Vigilio, da Belisario intruso nella sedia di S. Pietro, II, 870.
Dopo la morte di papa Silverio legittimata la di lui elezione,
874. Ritiratosi in Sicilia, dà aiuto ai Romani, 907. Chiamato a
Costantinopoli da Giustiniano Augusto, si incammina per quel viaggio,
912. Giugne a Costantinopoli, ove s'imbroglia nella controversia dei
tre capitoli, 917. Sollecita l'imperadore a ricuperar l'Italia dalle
mani dei Goti, 927. Per la prepotenza di Giustiniano contro di lui,
fugge a Calcedone, 938. Esiliato da lui, 950. Richiamato, approva il
concilio V generale, 957, 958. Fine de' suoi giorni, 958.

Vilfrido (San), arcivescovo di Yorch, III, 17. Cacciato dalla sua
sedia, raduna un concilio nella basilica lateranense, 52.

Villafranca, presa da' Franzesi, VII, 190, 191.

Villano, arcivescovo di Pisa, IV, 820.

Villars (maresciallo di), va in aiuto di Massimiliano elettor di
Baviera, VII, 174. Difende il Delfinato contro le forze del duca di
Savoia e collegati, 220. Sua battaglia contro il principe Eugenio di
Savoia e il duca di Marlboroug nelle vicinanze di Mons, indecisa, 231,
232. Tenta, ma inutilmente, di dar soccorso alla città di Donai in
Fiandra, 237. Da maestro di guerra continua a combattere in Fiandra,
242. Sua completa vittoria presso Dexain, per cui ricupera molti
luoghi, 248, 249. Assedia il forte della Scarpa, e in brevi giorni lo
prende, 249. Torna a Parigi, _ivi_. Prende la fortezza di Landau in
Alsazia, 255, 256. S'impossessa di Friburgo e di molte altre fortezze,
256. Si porta a Rastat per concludere la pace con l'Augusto Carlo VI,
269.

Villeroy (duca di): sua infelice battaglia a Chiari, VII, 158, 159.
Fatto prigione in Cremona dal principe Eugenio di Savoia, 166. Posto in
libertà, guerreggia in Fiandra, 205.

Vincenzo, prefetto del pretorio delle Gallie, creato console
dall'imperadore Onorio, II, 357.

Vincenzo, generale della cavalleria sotto l'imperadore Onorio, ucciso
in una sommossa di truppe in Pavia, II, 385.

Vincenzo Lerinense, scrittore, II, 490.

Vincenzo Gonzaga, principe di Mantova: sue nozze con Margherita
Farnese, figlia del duca Alessandro, VI, 786, 787. Che poi viene
sciolto pei difetti corporali della sposa, 797. Si rimarita con Leonora
figliuola di Francesco gran duca di Toscana, _ivi_. Succede al padre,
813. Si porta a Roma a rendere ubbidienza al papa Innocenzo IX, 837.
Poscia a Ferrara per ossequiare Clemente VIII, 873. Manca di vita, 935.

Vincenzo II Gonzaga, cardinale, VI, 936. Suo segreto matrimonio con
Isabella, vedova di Fersente Gonzaga, principe di Bozzolo, 1014. Suo
divorzio, _ivi_. Succede al fratello Ferdinando nel ducato di Mantova,
e muore, _ivi_, 1015.

Vincenzo Gonzaga vicerè di Napoli, a lui è tolta Guastalla dal duca di
Mantova suo cugino, VII, 32. Gli è restituita dagli spagnuoli, 103.

Vindice (Caio Giulio), muove la ribellione nelle Gallie contro Nerone,
I, 249. Si uccide da sè stesso, 252.

Vindice (Marco), prefetto del pretorio sotto l'imperadore Marco
Aurelio, I, 557.

Viniberta, ossia Guiniberta, moglie di Gisolfo duca di Benevento, III,
61.

Viniciano (Marco Annio), _V._ Minuciano.

Vinio (Tito), potente nella corte di Galba Augusto, I, 257.

Violante, figlia di Guglielmo Lungaspada, marchese di Monferrato, _V._
Jolanta.

Viomado, persona fedele di Childerico, re de' Franchi, II, 617.

Vipera ed alberi, adorati dai Longobardi, III, 15, 1270.

Vipsania, ripudiata da Tiberio, e maritata con Asinio Gallo, I, 84.
_V._ Agrippina.

Vipsanio. _V._ Agrippa (Marco Vipsanio).

Virgilio, vescovo d'Arles, II, 1113.

Virtù (conte di), _V._ Gian-Galeazzo Visconte.

Visconti, così appellati i luogotenenti dei conti, ossia dei
governatori delle città, II, 1104. Una volta vicegovernatori di una
città, IV, 234.

Visconti, duchi di Milano, _V._ i loro rispettivi nomi.

Visigoti, abbattuti da Clodoveo re de' Franchi, II, 765. Strage che
essi fanno dei Franchi comandati da Childeberto e Clotario, 898.

Vitale, vescovo scismatico d'Altino, relegato in Sicilia, II, 991.

Vitale II, patriarca di Grado, III, 925.

Vitale III, patriarca di Grado, III, 1200. Ricorre all'imperadore
Ottone II contro gli uccisori del padre suo Candiano IV doge di
Venezia, 1218. Ritorna a Venezia, 1220. Dallo zio Vitale Candiano,
doge, spedito in Germania, _ivi_.

Vitale Candiano, doge di Venezia, III, 1220. Termina il suo vivere,
1225.

Vitale, vescovo di Torcello, IV, 170.

Vitale Faledro, doge di Venezia, IV, 422. Privilegio da lui concesso al
popolo di Loreo, 462. Sua morte, 472.

Vitale Michele, doge di Venezia, IV, 472. Sua morte, 495.

Vitale Michele II, doge di Venezia, IV, 738. Ricupera Zara, 829. Fa
guerra coi Greci, 830. Sua armata distrutta dalla peste, 833. Ferito in
una sedizione, termina i suoi giorni, _ivi_.

Vitaliano, prefetto del pretorio sotto Massimino, ucciso, I, 825.

Vitaliano, diacono, spedito da papa Ormisda legato a Costantinopoli,
II, 791.

Vitaliano Scita, nipote di Aspare, si solleva contro Anastasio Augusto,
II, 789, 792. Burlato, si ritira ad una vita quieta, 792. Generale
delle armi di Giustino Augusto, 800. Creato console, ed ucciso, 803,
804.

Vitaliano papa. Sua elezione, II, 1264. Sua bolla finta per la erezione
del vescovato di Ferrara, 1271. Altra sua bolla dubbiosa, III, 16.
Scomunica Mauro arcivescovo di Ravenna, ribello alla santa sede, 27.
Manda in Inghilterra Teodoro, monaco greco, 31. Passa a miglior vita,
40.

Vitellio (Lucio), console sotto l'imperadore Tiberio, padre di Vitellio
imperadore, I, 100. Generale d'armi in oriente, 104. Sue imprese contro
i Parti, _ivi_, 105. Con qual arte salvasse la vita sotto Caligola,
135. Console sotto Caligola stesso, 154. Sua infame azione, 169.

Vitellio (Aulo), che fu poi imperadore, creato console, I, 170.
Adulator di Nerone, 223. Inviato da Galba generale nella Germania,
261. Proclamato imperadore da quelle legioni, 262. Invia due eserciti
in Italia, 267. Rotta da essi data all'armata di Ottone, 270, 271. Suo
viaggio a Roma, 273. Vespasiano acclamato imperadore contro di lui,
276. Le cui armi vanno occupando le provincie, 277, 278. Vani sforzi di
esso Vitellio, 281. Sua morte e vergognoso trattamento, 284.

Vitellio (Lucio), fratello di Vitellio imperadore, da lui mandato ad
occupare Terracina agli imperadori suoi emuli, I, 282. È barbaramente
ucciso, 285.

Vitelozzo Vitelli, signore di Città di Castello, VI, 192. Ucciso dal
duca Valentino, 196.

Vitige, acclamato re d'Italia dai Goti, colla cessione di Stati fa lega
coi re Franchi, II, 865. Assedia indarno a Roma, 868, 871. Poi Milano,
876. Che, costretto a rendersi, orridamente fu dato a sacco colla morte
d'infinite persone, 877, 878. Si rende con Ravenna a Balisario, 886.
Condotto a Costantinopoli ed onorato, finisce _ivi_ di vivere, 889.

Vitterico, re de' Visigoti, II, 1137.

Vittore I papa, sua elezione, I, 604. Suo martirio, 672.

Vittore (Aurelio), governatore della seconda Pannonia sotto
l'imperadore Giuliano, II, 105. Dall'imperadore Valente spedito ad
Atanarico principe dei Goti a dolersi di sua condotta, 167. Di nuovo
a lui mandato per invitarlo a recarsi oltre il Danubio per trattar di
pace coll'imperadore stesso, 174. Cerca distogliere lo stesso Valente
dalla guerra contro i Goti, 210. Si ricovera presso Graziano Augusto,
216.

Vittore (Flavio), figlio di Massimo tiranno, dichiarato Augusto dal
padre, II, 247. È ucciso, 279.

Vittore conte, dal tiranno Massimo mandato in Italia, II, 249.

Vittore, arcivescovo di Torino, II, 719.

Vittore, vescovo di Capoa, scrittore, II, 931.

Vittore II papa. Sua elezione, IV, 269. Concilio da lui tenuto in
Firenze, 271. Va in Germania, 277. Vicario d'Italia, 280. Termina i
suoi giorni, 281.

Vittore III, creato papa, IV, 428. Ma non consecrato, 429. Riceve la
consecrazione, 431. Tiene un concilio in Benevento, 432. Sua morte,
_ivi_.

Vittore antipapa; suo pentimento, IV, 655.

Vittore III, antipapa, IV, 756. Fomentato da Federigo I Augusto, 761,
764. Da cui è riconosciuto papa, 764, 765. Suo conciliabolo tenuto a
Lodi, 771. Fine di sua vita, 787.

Vittoria, città posticcia fabbricata da Federigo II in faccia a Parma
assediata, IV, 1202. Dai vittoriosi Parmigiani disfatta, 1206.

Vittoria: sua statua, _V._ Statua.

Vittorino (Cornelio), prefetto del pretorio sotto Antonino Pio, I, 493.

Vittorino (Aufidio), generale di Marco Aurelio in Germania, I, 530.
Console sotto Commodo, 597.

Vittorino (Furio), prefetto del pretorio sotto Marco Aurelio, I, 550.

Vittorino (Marco Aurelio Piavvonio), creato Augusto da Postumo, I, 915.
Gli si ribella, 926.

Vittorino (Caio Piavio), iuniore, dichiarato Cesare dal padre nelle
Gallie, I, 927.

Vittorio d'Aquitania, suo ciclo rinomato, II, 615.

Vittorio Amedeo, duca di Savoia: sua nascita, VI, 813. Principe di
Piemonte, 939, 953. Prende Crevacuore, 958. Suo matrimonio con Cristina
di Francia, 973, 979. Fa guerra ai Genovesi, 1001. Generale delle armi
franzesi in Italia, 1003, 1022. Succede al padre, 1042. Acquista il
meglio del Monferrato, 1050. Rilascia Pinerolo ai Franzesi, 1051. Sua
lega colla Francia, 1057. Prende il titolo di re di Cipro, 1064. Unito
ai Franzesi fa guerra a Milano, 1076. Sua battaglia a Tornavento, 1077.
Termina i suoi giorni, 1082.

Vittorio Amedeo II, duca di Savoia: sua nascita, VI, 1241. Succede
al padre, VII, 12. Sue nozze conchiuse coll'infanta di Portogallo,
e sciolte, 34, 35, 36, 37. Sue nozze con Anna figlia di Filippo
d'Orleans, 52. Entra in lega coll'imperadore e la Spagna contro i
Franzesi, 86. Alla Staffarda è rotto da essi, 87, 88. Continuazione
della guerra in Piemonte, 94. Penetra nel Delfinato, e si ammala, 101,
102. Svantaggiosa per lui la battaglia di Orbazzano, 108. Prende Casale
di Monferrato, 117. S'accorda co' Franzesi, 121, 122. Generalissimo
de' Franzesi assedia Valenza, 123. Fa accettare la neutralità a'
Tedeschi ed agli Spagnuoli, 124. Interviene alla battaglia di Chiari,
159. Sua lega coll'imperadore Leopoldo, 177, 178. Sue angustie dacchè
gli fu dichiarata la guerra dalla Francia, 178. Suoi sforzi per
sostenere Verrua assediata dai Franzesi, 185. Riduce a Genova la real
sua famiglia, 195. Arriva in suo soccorso il principe Eugenio, 199.
Sua gran vittoria contro i Franzesi colla liberazion di Torino, 200.
Ricupera le sue città, 203. S'impadronisce d'Alessandria, 204. Sua
irruzione nella Provenza, 211. Toglie ai Franzesi alcune fortezze, 220.
Prende il titolo di re, 251. Passa in Sicilia, dov'è coronato, 252,
253. Invaso quel regno dagli Spagnuoli, 284. Entra nella quadruplice
alleanza contro la Spagna, 289. Perde la Sicilia ed acquista la
Sardegna, 298. Sue gloriose azioni, 351. Rinuncia la corona a Carlo
Emmanuele suo figlio, 352. Se ne mostra pentito, 360. Laonde gli è
tolta la libertà, 362. Dà fine al suo vivere, 370.

Vittorio Amedeo, primogenito di Carlo Emmanuele re di Sardegna: sua
nascita, VII, 327.

Volchero, patriarca d'Aquileia, IV, 1003.

Vologeso, re dei Parti, I, 199. Fa guerra ai Romani, 209. Sostiene
nell'Armenia Tiridate suo fratello, 226. S'impadronisce dell'Armenia,
228. Invitato a Roma da Nerone, se ne ride, 244. Richiede aiuti a
Vespasiano, 298.

Vologeso, forse re dell'Armenia, I, 472.

Vologeso, re dei Parti, muove guerra al romano imperio, I, 530. Sue
vittorie, 533. Perseguitato fino nella sua reggia, 538. Pace fra lui e
i Romani, 539.

Volusiano (Caio Vibio Gallo), figlio di Gallo Augusto, creato Cesare,
I, 871. Imperadore, 874. Resta ucciso, 876.

Volusiano (Petronio), prefetto di Roma sotto lo imperadore Claudio II,
I, 932.

Volusiano (Rufio), prefetto di Roma sotto l'imperadore Galerio
Massimiano, I, 1095. Sotto Massenzio, 1102. Sotto Costantino, 1116,
1129, 1136.

Volusiano (Caio Ceionio Rufo), prefetto di Roma sotto gl'imperadori
Valentiniano e Valente, II, 148, 150, 183.

Volusiano, prefetto di Roma sotto Valentiniano III, II, 489. Sua morte,
_ivi_.

Vonone re de' Parti, I, 18. Detronizzato si rifugia sotto i Romani, 54.
Ucciso, 61.

Vopisco, storico: sue età, II, 14.


W

Walberto, arcivescovo di Milano, fuggito dal re Berengario, si rifugia
presso il re di Sassonia, III, 1145, _V._ Gualberto.

Walderico, abbate di S. Lorenzo di Cremona, dal re Arrigo III gli è
interdetto di alienare beni senza licenza di Ubaldo vescovo di quella
città, IV, 209.

Waldone, ossia Gualdone, vescovo di Como, III, 1100. Scappa dal re
Berengario, e si ricovera presso il re di Sassonia, 1146. Espugna la
fortezza nel lago di Lario, 1168. Minacciato da certo Udone conte,
1175.

Walla, figlio di Carlo Martello, dall'imperadore Carlo Magno, suo
parente, dato per consigliere a Bernardo re d'Italia, III, 481, 482,
492. Si fa monaco, 494. Aio di Lottario Augusto, 532. Lo favorisce
contro il padre, 574. Diventa abbate di san Colombano di Bobbio, 586.
Inviato dall'imperadore Lottario ambasciatore a Lodovico Pio suo padre,
594. Manca di vita, 595.

Walperto, duca di Lorena, III, 147, 149.

Warnieri, dottore in Bologna, _V._ Guarnieri.

Wernero, arcivescovo di Maddeburgo, ucciso in un fatto d'armi, IV, 390.

Wibodo, vescovo di Parma, _V._ Vibodo.

Wicheramo, governatore di Lucca, III, 429.

Widgero, eletto, ma non consecrato arcivescovo di Ravenna, IV, 223.
Chiamato in Germania dal re Arrigo III, è deposto, 227, 228.

Willa, moglie di Bosone duca di Toscana, sua estrema avidità, III, 1069.

Willa, figlia di Bosone duca di Toscana, moglie di Berengario II,
che poi fu re d'Italia, III, 1068, 1116. Sua avarizia, 1137. Sua
prepotenza, 1145. Trattiene il marito dal rinunziar la corona, 1151.
Assediata nell'isola di San Giulio dall'imperadore Ottone I, 1157,
1158. Condotta prigioniera a Bamberga in Germania, 1165, 1166. Alla
morte del marito si fa monaca, 1177.

Willa, contessa, moglie di Uberto duca di Toscana, III, 1278.

Willa, moglie di Tedaldo marchese di Toscana, IV, 67.

Willa, contessa, vedova di Ugo duca e marchese, IV, 201.

Willario, doge di Venezia, chiamato Obelerio. _V._ Obelerio.

Willigiso, ossia Wiligo, arcivescovo di Magonza, III, 1257. Accompagna
Bosone, dall'imperadore Ottone III spedito a Roma onde farlo crear
papa, che fa poscia Gregorio V, IV, 14.

Winigiso, duca di Spoleti, _V._ Guinigiso,

Wintero, marchese d'Istria, III, 1079.

Witichindo, principe de' Sassoni, fa guerra a Carlo Magno, III, 339.
Da lui sconfitto, se ne fugge nel paese dei Normanni presso il mar
Baltico, 348, 349. Si sottomette, 356.

Wolfoldo, vescovo di Cremona, esiliato dall'imperadore Lodovico Pio,
III, 513. Sua morte, 530.

Worms: trattato _ivi_ conchiuso fra la regina d'Ungheria, Giorgio II,
re d'Inghilterra, e il re sardo Carlo Emmanuele, VII, 515, 557.


Z

Zaba o Zabda, generale di Zenobia regina dei Palmireni, acquista
l'Egitto, I, 942. Rotta a lui data da Aureliano Augusto, 961.

Zacheria, patriarca di Gerusalemme, condotto schiavo dai Persiani, II,
1155.

Zacheria papa. Sua elezione, III, 224. Non protegge Trasmondo duca
di Spoleti, 225. Ricupera quattro città dal re Liutprando, 228. Suo
viaggio a Pavia, 232. Sua carità, 240, 241. Placa il re Ratchis, e
l'induce a farsi monaco, 241. Promuove al regno di Francia Pippino,
246. Termina i suoi giorni, 247.

Zacheria, vescovo d'Anagni, III, 698.

Zaddo, Saraceno, dopo aver fatto omaggio a Carlo Magno della città
di Barcellona, allorchè Lodovico, re d'Aquitania, entra colle armi in
Catalogna, si mostra mancator di parola e nemico, per cui è assediato
in Barcellona stessa, III, 431. Per andare a chieder soccorso agli
altri Mori di Spagna, uscito di città, è preso e condotto al re
Lodovico, _ivi_. Presentato a Carlo Magno, è da lui esiliato, 432.

Zama, generale dei Saraceni in Ispagna, III, 165.

Zara, città della Dalmazia, presa dai Veneziani coi crociati, sotto la
condotta di Arrigo Dandolo, IV, 979.

Zazone, fratello di Gelimere, re dei Vandali in Africa, mandato da lui
con una flotta per ricuperare la Sardegna, II, 850. Entra in Cagliari e
trucida Goda occupatore dell'isola, _ivi_. Si riunisce colla sua flotta
al fratello, 851. È assalito e vinto da Belisario, _ivi_.

Zecca, in quali città d'Italia sotto Carlo Magno, III, 458.

Zefirino, romano pontefice, I, 672. Suo martirio, 736.

Zenobia (Settimia), Augusta, moglie di Odenato Palmireno, si ritiene
tenesse mano all'omicidio del marito, spinta da gelosia di veder da
lui anteposto il figliastro a' suoi figli, I, 929. Prende le redini del
governo, 930. Col mezzo del suo generale Zabda conquista l'Egitto, 942.
Sue rare qualità, 956, 957. Rotta al di lei esercito data da Aureliano
Augusto, 961. Insolente risposta da lei data allo stesso imperadore,
che le offriva buoni patti, 963. Si ritira sulle terre dei Persiani,
_ivi_. Presa per via, 964. Da Aureliano condotta in trionfo a Roma,
_ivi_, 970. Da quell'imperadore le è perdonato ed assegnato un decente
appannaggio, 970.

Zeno (Carlo), _V._ Carlo Zeno.

Zenoida, _V._ Zenonida.

Zenone, figliuolo di Polemone re di Ponto, da Germanico creato re
d'Armenia, I, 56. Sua morte, 104.

Zenone (Flavio), console pagano sotto l'imperadore Teodosio II, tenta
di abolire la religione cristiana, II, 531. Sua morte, _ivi_.

Zenone Isauro, marito di Arianna figlia di Leone Augusto, da lui creato
console, II, 632. Mandato contro gli Unni che infestavano la Tracia,
634. Insidie a lui tese da Anspare patrizio, _ivi_. Eletto imperador
d'Oriente, 651. Per la sollevazione di Basilisco fugge in Isauria, 658.
In qual anno ciò accadesse, 663, 666. Ritorna sul trono, 664. È fautore
degli eretici, 671. Sedizione di Marciano, figlio dell'imperadore
Antemio, contro di lui, 674. La reprime, e relega Marciano stesso con
la moglie Leonzia in Papurio, castello della Cappadoce, 675. Con regali
e denaro fa retrocedere Teoderico, re degli Ostrogoti, avviatosi con
un'armata contro Costantinopoli, _ivi_, 685. Ambasciatori a lui spediti
dal re Odoacre e de' Galli occidentali, 677. Propende per Odoacre,
_ivi_. Al quale conferisce il patriziato di Roma, 678. Alle sue istanze
Unnerico, re de' Vandali, permette che, dopo ventiquattr'anni di sede
vacante, il clero e popolo cattolico di Cartagine eleggano il loro
vescovo, _ivi_. Gli è mossa guerra da Teoderico Amalo re dei Goti, 681.
Per consiglio d'Illo, generale delle sue armi, caccia da Costantinopoli
e relega nella Cappadoce Verina Augusta, vedova dell'imperadore Leone,
_ivi_. Pubblica l'Enotico, 682. Gli si ribellano Illo e Leonzio, 686,
687. Manda loro contro un'armata per terra e per mare, 688. Dal quale
restano pienamente sconfitti, _ivi_. Sua instabile credenza, 690. Gli
è fatta guerra da Teoderico, re degli Ostrogoti, 694. Pace e concordia
fra lui e Teoderico Amalo, 696. Permette a Teoderico stesso di passare
al conquisto d'Italia, 697. Sua morte, 705.

Zenone, diacono della chiesa di Pavia, muore per salvare il re
Cuniberto, III, 83, 84.

Zenonida, ossia Zenoida, moglie di Basilisco, usurpatore dell'imperio
in Oriente, II, 658.

Ziebelo, cioè Diavolo, capo dei Turchi Gazari, si collega con Eraclio
Augusto, II, 1186.

Zizim, eletto re dei Sarmati da Costanzo Augusto, II, 84.

Zizim, fratello di Baiazette II imperador dei Turchi, viene in mano di
papa Innocenzo VIII, VI, 103. Tentativo contro la di lui vita, 106. Per
veleno a lui dato muore, 128.

Zoe, imperadrice dei Greci: sua prepotenza, IV, 210.

Zottone, primo duca di Benevento, II, 1009. Sua morte, 1088.

Zozimo papa. Sua elezione e condanna da lui fatta de' pelagiani, II,
436. Termina la sua vita, 437.

Zventeboldo, re ossia duca della Moravia, figlio di Arnolfo re di
Germania, sue turbolenze quetate dall'imperadore Carlo il Grosso, III,
842. Perseguita Rodolfo, re della Borgogna tras-jurana, 864. Spedito
dal padre con un esercito in Italia in aiuto del re Berengario, 886,
894. Sua ribellione, per cui è costretto a rendersi tributario, 893.
Torna in Germania, 895. Ucciso in un fatto d'armi, 939.



Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
senza annotazione minimi errori tipografici.





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