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Title: Liriche Author: Montanelli, Giuseppe Language: Italian As this book started as an ASCII text book there are no pictures available. *** Start of this LibraryBlog Digital Book "Liriche" *** LIRICHE DI GIUSEPPE MONTANELLI Firenze CO' TIPI DELLA GALILEIANA 1837 AL MIO DOLCE AMICO GIOVANNI BERTOLLI DI PISA TOLTO SUL FIORE DELLA VITA ALLA ITALIA ALLE LETTERE QUESTI MIEI VERSI CONSACRO O GIOVINE ADORNO D'OGNI ELETTA VIRTÙ CHE DEI FILOSOFICI E POETICI STUDI CULTORE ARDENTISSIMO GRANDE SPERANZA DI TE SUSCITASTI E NELLA ELVIRA TUA FESTI APERTO QUANTO DI MELANCONICO E DI LEGGIADRO ALLETTASSI NEL CUORE QUESTO TARDO MA SINCERO TESTIMONIO DI AFFETTO IO DEPONGO SUL TUO SEPOLCRO BAGNATO DALLA LACRIMA DI QUANTI HANNO INTELLETTO DI AMORE. LA MADRE POVERA Alta è la tenebra, Torbido è il cielo, L'aria è di gelo. Sui figli l'aquila L'ali distende, Ma quella misera Con che difende Il pargoletto Che accoglie al petto? Sopra le soglie D'un tempio assidesi; E il rigido aere Gli tempra — invano! «Qual se m'avesse maledetta Iddio «La gente mi scacciò! «Crudeli! supplicando il labbro mio «Che mai vi domandò? «Un ricovero a questo sventurato «Che il suo destin non sà; «Lo vedeste dal gelo assiderato, «E non trovò pietà! «Sol, che avvivi nel mattino «Il più languido tra i fior, «Sul mio povero bambino «Spargi un raggio animator. Prima che spunti il sole L'aere è più crudo: e l'infelice mira Pietosamente senza moto il figlio Che qual reciso giglio Piega il capo sul petto, e non respira. DAVANTI AL CIMITERO DELLA TERRA NATALE Se mai di quel delubro un dì le soglie Varchi il mio stanco frale, ed il riposo Della tomba colà vegliato aspetti, Forse anche allor sarà limpido il cielo. Olezzante la terra, e rallegrato L'aere dai canti. — Il viator solingo Tra i cipressi vedrà splender la face Alla mia bara accesa; e quando il sole Schiari la terra scenderò nel fondo Della scavata fossa. — O primo raggio Che rider fai la valle, il monte, il fiume D'un riso che somiglia all'innocenza, Sulla gelida mia fronte ti posa!.... E già la matutina aura vivace Svegliò il languido fior; già tra le amate Frasche l'ilare augel cantando il giorno Svolazza, e al suono delle sacre torri Il cittadino romorìo s'innova; Io sol fra tutti non mi sveglio, e intanto La terra sopra il mio sonno si chiude. Ah mi rimembra i dì che fanciulletto Presso alla madre mia dinanzi a queste Mura passando ella dicea: — De' nostri Cari parenti le ossa han qui riposo, Preghiam pace agli estinti; — e inginocchiato Colle man giunte mormorai la prece Che m'insegnò quella gentile. — Un giorno, Mentre i monti tingea raggio morente, Appressarsi vedemmo al cimitero Stuol di fanciulle in bianco velo; a due A due moveano il piè tardo per via Sommessamente orando, e sulla bara Dalle più giovanette sostenuta Tra ghirlande di gigli e di viole Era un fanciullo... A quella vista il tetro Pensier di morte m'assalì la mente, Strinsi la mano della madre, e piansi. SALUTO A' QUATTRO POETI ITALIANI A SILVESTRO CENTOFANTI. DANTE A Te fu soglio il giogo d'Appennino, E sul capo di Lei che ti diè guerra Qual tuon s'avvolse un cantico divino. Sparsero i quattro venti sulla terra Quante bestemmie, preghiere, concenti Il trino spirital mondo rinserra; E forse un giorno i sacri monumenti, Che sorgon quai montagne adamantine Del tempo a rintuzzar l'onde irrompenti, Fien sassi ingombri d'edera e di spine, Tra i quai melode spargerà notturna L'alato abitator delle ruine. Ma finchè non s'accenda la diurna Lampa sopra la terra inabitata, Qual face nell'orror muto dell'urna, Come sul mar serenità stellata Risplenderà sull'alme la novella Parola dal tuo raggio illuminata, O Imperator dell'itala favella. PETRARCA Come usignolo che soave canti Allor ch'estivo raggio il suol percuote È dolce al viator su' cui sembianti Scherzano le ombre che la brezza scuote; Tal se malinconia chiama gli erranti Miei passi in valli a profan piede ignote, De' tuoi diversi modulati pianti, O Petrarca, m'è dolce udir le note. E allora dalla pagina dolente Levando il guardo all'irraggiato empiro, Che si curva su me serenamente, Esclamo — Italia! oh con quanto sospiro Ei ti bramò più lieta; e ancor la gente Sospirando ripete il bel desiro. ARIOSTO E TASSO O prima età del rinnovato mondo, Rigogliosa d'eventi e di valore, In cui fremea qual del caosse in fondo La battaglia dell'odio e dell'amore; Poichè Italia restò, come infecondo Arbor, spogliata dell'antico onore, A lei si pose tua grand'ombra accanto, E dei poeti le parlò col canto. Lieve volando come augel sull'onde Lodovico vedea correre armati Per mar, per monti e tra selvose fronde Gli antichi cavalieri innamorati; E femmine lascive e vereconde, E spechi e larve e corridori alati Agitava nell'alta fantasia Tutta ardir, tutta luce e melodia. Vide Torquato abbandonate ai venti Le sacre insegne della gloria avita Per gli assiri vagar campi fiorenti, Mentre la fede il gran Sepolcro addita. — D'amore inebbriato in carmi ardenti Armonizzò la tempestosa vita; E il genio in lui com'aquila in ritorte Tanto si scosse che gli diè la morte. Come due torri poste sul confine Che una dall'altra region diparte Spirto voi daste, o fantasie divine, A tromba che squillò per ogni parte; E della spenta età, le cui ruine Giaccion quai membra di gigante sparte, A noi, crescente procellosa etate, La fè, il valor, le cortesie narrate. L'AVE MARIA DELLA MATTINA A G. P. VIEUSSEUX. Il povero alla luce apre le ciglia Sotto la chioma d'una querce annosa, E lentamente colla sua famiglia Vassene alla città che ancor riposa. — Supplicando il signore a cui somiglia Perchè si stenda a lui mano amorosa Unico omaggio gli consacra — il pianto, E i grami figli che gli stanno accanto. — Presso alle strade ond'ei passa si desta Intanto la famiglia dei cultori; Qual con ampio cappello sulla testa Ricomincia nel campo i suoi lavori; Ed altri va con più pulita vesta Alla città recando e frutta e fiori: Lieta come armonia di primavera Del popolo campestre è la preghiera. Ma si risveglia sul diserto mare Malinconicamente il navigante, Cui tristezza maggior punge se appare Nuvola minacciosa al sole innante; Che teme più non riveder le care Sembianze di colei che mesta, ansante Al nuovo giorno va sul lido, e guata Se ancor biancheggi la vela invocata. Oh quanto ad ambidue tarda il momento Che una medesma squilla li risvegli! Ella alzando le braccia al firmamento Sola davanti all'Oceano, ed egli Sua voce unendo al supplice concento D'altri raminghi giovanetti e vegli, Muovon preci, che giunte oltre le stelle Si dan l'amplesso come due sorelle. — E ben di lor più misero è il giacente Su nudo legno prigionier che scuote La grave testa, allor che fiocamente D'alto cadendo un raggio lo percuote. Mentre d'intorno a lui l'astro nascente È festeggiato da giulive note, Giunte le palme, l'inno della spene Egli accorda al fragor delle catene. Oh, te beata, che in solinga cella Di nero saio le tue membra ammanti, Appena dal dì vinta è la facella, Che per te veglia a sacra effigie innanti Come astro cui non vela la procella, Queta in mezzo a città romoreggianti Invochi il giorno che il tuo bianco velo Al serto ceda che s'intreccia in cielo. E or lassù di cherubi eletto stuolo Alla Madre di Dio s'aggira intorno; Qual le reca la lacrima del duolo, Quale una rosa che spuntò col giorno; Altri sciogliendo roteante volo Di canti allegran l'immortal soggiorno: Ma più d'ogni altro don cara a Maria De' matutini preghi è l'armonìa. L'AVE MARIA DELLA SERA A PIETRO BASTOGI. E che lo nuovo peregrin d'amore Punge se ode squilla di lontano Che paja il giorno pianger che si muore. Come sospir di vergine amorosa, Che lontan sente il suo fedele e plora, M'aleggia intorno un'aura rugiadosa Che di malinconia l'anima irrora: E in vagheggiar la nube vaporosa Rosseggiante nel ciel, che si scolora, E nell'udir dei villanelli il canto Sento un piacer che si distempra in pianto. E mentre piango, e l'occhio lacrimoso Scorre sulla mestissima campagna, Il colono che torna al suo riposo Umile mi saluta e m'accompagna. Or del soverchio ardore, or del piovoso Tempo in semplice dir meco si lagna; E dopo breve tratto un nuovo addio Mi volge, e resta nel casal natio. Solo il cammin proseguo — e la campana, Che annunzia l'agonia del dì che muore, Qual voce di notturna eco lontana Va per gli orecchi flebilmente al cuore; Ai lenti tocchi la famiglia umana Supplice il pensier leva al suo Fattore, E nella dubbia luce vespertina Alle imagini sue l'alma è divina. — Il giovinetto a cui ride speranza Come sole in estivo etere ardente, Benchè mesta del ciel sia la sembianza Palpitar di mestizia il cor non sente; E mentre il passo irrequieto avanza Abbandonato ad estasi ridente, Nel paradiso suo di gloria ornato Splender vede un bel volto innamorato. — Tempo forse verrà che alto cimento Lunge lo tragga dalle sue dimore, E forte di magnanimo ardimento Seguirà lo stendardo dell'onore; Ma quando fia che lieto ondeggi al vento Il segno di vittoria annunziatore, Sul consorte destrier farà ritorno Alle dolcezze del natio soggiorno. E nell'ora che il bruno aere percuote La squilla della notte messaggiera, Rischiarerà sembianze a lui già note Il moribondo raggio della sera. Calde di pianto le rugose gote Tra i fidi amici dell'età primiera Lo accoglieranno i genitor cadenti. Alternando coi baci i lieti accenti. — In altra etade mentre il sol declina Vago di respirare aura più pura, La procellosa cura cittadina Queterà nel silenzio di natura; E dal declivo della sua collina Lieta di sparse ville e di verdura, Colla consorte al fianco e i figli intorno Udrà l'addio che dan le torri al giorno. Ma l'uom, che al tempo dell'età fiorita Tai speranze allettò nel vergin core, E poscia nel cammin di nostra vita Fra mille spine non rinvenne un fiore, Tal che sovente a lacrimar lo invita Una tristezza che non è dolore, Ad altre fantasie l'alma abbandona, Mentre la squilla lentamente suona. E le ore impazienti di riposo Rimembra del mattin di sua giornata; E il palpitar del core impetuoso, E i sogni della mente inebbriata; E della madre lo sguardo pietoso, E le sembianze della donna amata; Ed il piacer che gli piovea nel petto Lo stringer d'una mano, un guardo, un detto. Ah troppo presto mosse la procella Ad offuscar di sua vita il sereno, E della lode la gentil favella Ch'eccitatrice gli scaldava il seno; E l'amistà che intemerata e bella Gli dava il bacio di dolcezza pieno, Poichè il sospetto se gli pose allato, Più non ebber per lui l'incanto usato. Or di grave mestizia lo confonde L'idea dei cari che la morte ha spenti; Ed alla terra che il lor fral nasconde Immoti affisa i rai di pianto ardenti. Poi se vicino a lui tra fronde e fronde L'usignol rinnovella i suoi concenti, Quasi d'un'immortal bellezza in traccia Novellamente al ciel leva la faccia. E gli astri vede.... ma simili al fiore Che era l'amor dell'aura mattutina, E che or senza vermiglio e senza odore Il capo al suol languidamente inchina, Perderanno le stelle il lor fulgore Nella notte dell'ultima ruina.... E spenti del maggior lume vivace I rai saranno come inutil face. Oh mille volte più infelice e mille Quei che lontano dall'ostello avito Ode suonar le vespertine squille, Mentre del mar solingo erra sul lito. Ai mesti tocchi, dalle sue pupille Scoppia il dolor dell'animo smarrito, E va dicendo tra i sospiri e i lai, — O patria mia non ti vedrò più mai! — La campana che ascolta ah non è quella Che il pargoletto orecchio gli molcea, E quando al tempo della vita bella D'amorosi pensier l'alma pascea; E nell'ora che appar la prima stella La sua diletta riveder solea: Un'altra squilla gli suonava in core Il sospirato istante dell'amore. Sull'ali della speme egli sen vola Alle bramate invan sponde natie, E di soavità l'alma consola Col dolce aspetto delle patrie vie: Vede i più cari, e n'ode la parola Qual per lui risuonava in altro die, Ed il monte rimira e la vallea Ond'estatico il guardo al ciel volgea. Ma simile a colui che da molesta Cura turbato al sonno chiuse i rai, E allor che esterrefatto si ridesta Più acerbi sente rinnovar suoi guai, Al tornar dell'imagine funesta L'esule ricomincia i primi lai, E vede ovunque volga umido il ciglio La dolorosa terra dell'esiglio. O Poeta dell'italo destino, Tu ben provasti quanto sia dolente All'orecchio del nuovo pellegrino Una squilla che pianga il dì morente. Ed io, che al raggio del Cantor divino Con giovanil disio scaldo la mente, Spesso del mesto cor nel più segreto Quei lamentosi tuoi carmi ripeto. Parmi vederti della patria mia Sdegnoso correr la pianura, il monte, E mentre del pianeta che va via L'ultimo raggio ti balena in fronte, Sgorgan torrenti d'itala armonia Del genio tuo dall'agitato fonte. — Bella, ardente, immortale al par del sole Sarà la luce delle tue parole. LA CAMPANA DEL DE PROFUNDIS A GINO CAPPONI. Addormentata tace la campagna, E il villan del lavoro si riposa Seduto al fianco della sua compagna. E mentre con melode lamentosa Nel pargolo giacente che si duole Alletta il sonno la madre amorosa; Intorno al fuoco con antiche fole Ricurva ed abbronzata vecchiarella Trattien del figlio la più adulta prole. Sovente il suon di supplice favella E i latrati del vigile mastino Interrompon la flebile novella; E dal digiuno vinto e dal cammino Di fuor sommessamente un vecchio esclama: — Date asilo allo stanco pellegrino. — Ti consola, o buon vecchio, ogni tua brama Sarà contenta nell'umile ostello Dove in ruvide spoglie è un cuor che ama. Ma nelle vie più quete del castello, Da lampada notturna rischiarate, Invan cerca un albergo il poverello. — E con note dal pianto accompagnate Oh quante volte un fanciulletto ansante Affretta il passo ad implorar pietate, Mentre la vedovella lacrimante Ristà più lunge, e quel prego seconda Con interrotta voce tremolante. Ora che popoli Di stelle il cielo, E della tenebra Distendi il velo Sulle città, Tu sei propizia Al masnadiero Che dietro al cespite Presso al sentiero S'appiatterà. E per te provido Sonno le ambasce Queta, e di rosei Sogni si pasce Giovin beltà; Ma il genio indomito Dell'inspirato Veglia, e per l'ampio Campo stellato Volando và. Allor che il cigolar delle quadrighe Più non s'udrà, nè calpestio d'umani, Ma sol del gufo il gemito interrotto E l'abbajar dei veltri, e il gorgoglío Delle fontane, e lo stormir dei rami Turberanno la queta aura notturna Rapito anch'io viaggierò nel cielo. Or lo squillo lento lento Che per l'aere si diffonde Degli estinti par l'accento, E c'inviti a lacrimar. O cadente genitore, Che sostegno più non hai, I misteri del dolore Vien fra le urne a celebrar. Come spica verdeggiante Il diletto tuo crescea, E il tuo crine biancheggiante Parea nato a carezzar; E a fruir de' tuoi sudori, E a donarti il bacio estremo, E di lacrime e di fiori La tua polve a consolar. Veni, o donna sconsolata, Nello squallido ricinto Dove un'aura innamorata Mestamente carezzò La viola scolorita, Che sul cener del tuo fido Di tue lacrime nutrita Soavissima spuntò. Sotto un salice piangente, Tra un cipresso ed una croce Della vergine dolente È sepolto l'avvenir; E quel nome che nel petto Ti scolpia la man d'amore. Che del padre nel cospetto Non osavi proferir; Che dipinse il tuo sembiante Mille volte di vermiglio Quando il core palpitante Dall'altrui labbro lo udì: Ah quel nome! a questo e a quello Or domanda una preghiera, E la morte, d'un avello Sulla pietra lo scolpì. O voi tutti, da crudele Fato umano combattuti Che quai navi senza vele Viaggiate in questo mar, Sulla tomba in cui riposa Un diletto a voi rapito In quest'ora tenebrosa Deh venite a lacrimar. E tu perchè sì presto, o Madre mia, Abbandonasti sulla terra un figlio Che dolorosamente ti desia? Involontaria lacrima sul ciglio Mi spunta, e il cor mi palpita nel petto Se a ragionar di te mi riconsiglio. O rimembranze del sereno aspetto, E delle voci dall'amor dettate, E degli amplessi del materno affetto; Voi nell'anima mia vi riposate, Come nel sen di giovinetto ardente Verginali sembianze innamorate. E quando favellar soavemente Odo una madre coll'amata prole, Che nel medesmo palpito consente; E il suon delle dolcissime parole In quell'età beata mi trasporta Che con rammarco rimembrar si suole, Una voce repente mi sconforta E mi dice — colei che le tue voglie Allor quetava, ah troppo presto è morta! — Ma più non ci attristi l'orror della fossa. Vedete quegli astri? — qui polvere ed ossa.... I nostri diletti saliron lassù. E già de' futuri già sanno il destino, Proteggon le genti che sono in cammino, Compreser gli arcani del tempo che fu. Il gemito, o Padre, che t'esce dal seno Fra gl'inni che allegran l'eterno sereno Del figlio beato s'accoglie nel cor, E mentre lo credi qui dentro sepolto Ei dice all'Eterno con supplice volto — Consola il martiro del mio genitor. — Non muore disperso sull'aura notturna Che lene sussurra tra i salci dell'urna, O Donna, il sospiro del petto fedel; E al par dei sospiri che al tempo giocondo Sfogavan la piena del sen verecondo È caro al tuo fido che t'ama dal ciel. E suona oltre il regno dei mondi lucenti O madre, la voce degl'inni gementi Ond'io disacerbo l'immenso martir: Mi vedi se assorto m'ispiro al creato, Mi vedi se ai mesti favello inspirato, Mi vedi se fervo di santo desir....... E quando varcate le nubi e le stelle Non cupo rimbombo d'umane favelle, Ma l'eco dei cieli per noi suonerà: Udremo la voce de' nostri diletti. — O spirti, diranno, tra gli angeli eletti Venite alla gioia che fine non ha — Siccome il torrente precipita al piano, E il fiume va in traccia del vasto oceano, E un porto sospira la nave nel mar, Sospinte nostr'alme da vago disio Sospiran la pace ch'è in grembo di Dio. Ah quando i diletti potremo abbracciar? RIMEMBRANZE D'INFANZIA O care soglie dell'ostello avito! Dite, dite i consigli E i voti e i preghi che con mesto affetto La Madre a me volgea, Allor che fui rapito Ancor fanciullo al suo grembo diletto. — Fuggi, sclamò, i perigli Ond'è piena la vita, e qual partisti A me ritorna affettuoso e puro; — Poi nell'estremo istante Per man mi prese; il suo congiunse al mio Labbro tutta tremante, E fra i singulti risuonò l'addio. Cigolaron le rote; il guardo estremo Diedi al tetto paterno, E coi cenni del volto e della mano Al suon risposi dell'addio lontano. Ma tu, giorno sereno, Che il figlio sospirato Della donna gentil rendesti al seno, Dal confin del passato Sfolgorante t'affaccia al mio pensiero. Quando il bramato raggio Sulla vegliata coltre alfin battea, Salve, salve, io dicea, Beatissimo dì! nel tuo viaggio Mi vedrai consolato! Perchè di penne armato Il cavallo non era, e qual baleno Non volai sul terreno? Allor che di lontano al guardo apparve Il nativo castello, e sulle antiche Torri, e sui rudi tetti, E sulle verdi collinette apriche Morir vidi del sole il raggio estremo, La piena degli affetti Con più tumulto m'ondeggiò nel seno. Forse chi m'era appresso Nelle tronche parole in quell'istante Il commosso sentia spirto ondeggiante. Tregua, tregua al disio — la man percuote L'umil porta degli avi; e a quel rimbombo La Madre si riscuote. — Nella sala paterna il nome mio Festeggiato risuona, e tre dilette Sorelle picciolette Muovon dall'alto frettolose il piede. — Qual mi si slancia al collo, e quale il fianco Colle palme m'abbraccia, e qual si vede Saltellarmi dinante: Nel materno sembiante Alfin l'alma si sazia, e la consola Una dolcezza che non ha parola. IL SALICE La tua fronte il ciel non guata; Baci il suol languidamente; E sei l'arbor destinata I sepolcri ad ombreggiar. Di tue foglie il verde è bello Se si specchia in queto rio, Ma sul marmo d'un avello L'ombra tua più sacra appar. Ah! dai colpi lo difendi Di procella struggitrice! Solo il varco non contendi Della luna allo splendor; E mentr'ella qual pietoso Volto guata il cimitero Su te canti lamentoso Il notturno volator. Un magnanimo Possente Cui fu carcer l'oceano La sua tomba mai non sente D'un sospiro consolar. Ma tu pieghi i rami mesti Su quell'urna illacrimata, Tu che un giorno lo vedesti Penseroso in riva al mar. Spesso memore nocchiero Tra le sacre aure s'aggira Che dell'esule Guerriero Ebber l'ultimo sospir; E se all'urna s'avvicina Ode i passi d'una scolta, L'ulular della marina, E de' tuoi rami il fremir. LA TROVATELLA Infelice trovatella! Malinconico sorriso Sorvolando il tuo bel viso Con amor mi salutò. Quante cose a me dicea Quel sorriso in sua favella! Sì t'intesi, o trovatella, E il mio ciglio lacrimò. Non hai nome, non hai tetto E non sai qual sen t'accolse.... Nata appena ti ravvolse Entro un velo ignota man: E lasciata nella notte Sulle selci del cammino Fin al sorger del mattino Invocasti aiuto invan. Qui raccolta fra gli stenti Sei cresciuta, o trovatella: Ah la faccia tua sì bella Come presto impallidì! Non suonò sulla tua cuna Mai di madre il pio concento; Sventurata! al tuo lamento Mai niun cor s'intenerì. E tra poco vagherai Sola sola tra le genti Come foglia in preda ai venti, Come sperso viator. Forse.... ah l'orrido pensiero Che nell'anima si desta Crudelmente mi funesta!.... Deh su lei veglia, o Signor. PER UN NUOVO PONTE SULL'ARNO (_Concepito da Pietro Martini di Fucecchio, giovine architetto di alte speranze, morto sul fiore dell'età, ed eseguito con proprio disegno da Ridolfo Castinelli di Pisa. Durante l'esecuzione, a questo ultimo mancarono due cari figli, onde rimase sconsolatissimo senza prole. Il ponte è collocato in luogo da cui si vede Vinci, patria di Leonardo, i poggi di Cerreto, villa Medicea celebre per la morte d'Isabella, ec., ec., Empoli ove Farinata si oppose al ghibellino disegno di spianare Firenze_). Ed io lo vidi nell'estremo istante! Io lo udii delirante! E mentre i cari amici Facean corona al doloroso letto, E il Dio degli infelici Gli posava sul petto, Ei la turba vedea degli operanti Nel lavoro sudanti, Ed or con rauca voce Quella turba animava, Or con le scarne braccia Le contrapposte forze equilibrava. — La gente allor dicea — Con lui morrà la generosa idea. — Ma tu, Ridolfo mio, Tu di morte all'artiglio la rapisti Poichè in grembo di Dio L'ali raccolse il giovine compianto; E con nuovo artificio La grand'opra compisti Onde ti vien da mille labbri il vanto. Oh qual strale tremendo, Mentre vegliavi sulla cara mole Come una madre sull'infante prole, Nel più vivo dell'alma ti trafisse! Sì t'intendo, t'intendo......... Ma lascia, o Padre orbato, Lascia allo stuolo degli amici il pianto E dell'Arte nel seno Sfoga gli affetti onde il tuo core è pieno. Queste colline apriche Ov'è sì dolce l'agonia del giorno, Queste castella antiche Tra la verdura torreggianti intorno, Allegreranno i rai D'estranio viatore Che arresterà sul nuovo Ponte i passi. A questo aere sereno Di Leonardo il seno S'apria qual rosa al matutino albore; E su quella pendice Strangolata peria dal suo tiranno Una sposa infelice; E là seduto a cittadino scranno Farinata salvava Dall'incendio delle ire ghibelline Le gigantesche moli fiorentine. Allor che il verno infurierà più crudo, E scalzo contadino, E industre mercatore, E stanco pellegrino, Non più da questi liti Su lenta nave il fiume varcheranno Tremanti irrigiditi, Il nome tuo fra gl'inni dell'affetto Suonerà benedetto. Ah perchè lo straniero Che dall'alpe discende A meditar sull'italo mistero; Sorger non vede a mille Le moli delle antiche emulatici? E spreca i suoi tesori La tralignata gente In lascivie di mimi e di cantori? Quando nella più cupa ora tacente A quei delubri aviti Che immoti al par del sole Aspetteranno i secoli, m'inspiro, In lor della gigante Età che li creò l'ombra rimiro. Ma che dirà dinante Alla fragil beltà di nostre mura Che mai dirà la poesia futura? IL GIOVINE _Il Giovine_ Qual chi seduto al rinascente giorno D'una montagna sull'aurata cima Ampio vede orizzonte a sè d'intorno Che arcanamente l'anima sublima; Tal'è il mio spirto. — O immenso azzurro vano Inondato di raggi e di concenti, O bei colori onde si veste il piano, O flutti, o alpestri gioghi, o monumenti, Virtù superna al vostro aperto sole Mi sollevò da tenebroso fondo, E a lei và l'ala delle mie parole In mezzo a tutte l'armonie del mondo. _Il Sospetto_ Quei che sembra a te dinante D'ogni gioia tua goder, Ha il sorriso nel sembiante E il dispetto nel pensier. _La Morte_ Non vedesti quella schiera Che vicina a te passò Mormorando una preghiera? Vieni al tempio ov'ella entrò. S'alza il panno d'una bara, Ed un lugubre splendor Faccia immobile rischiara Che par vinta nel sopor. T'avvicina — egli fioria Giovinetto al par di tè, Quanto senti ei pur sentia Cadde infermo, e più non è. _La Distruzione_ Ve' quel monte? ai nuovi rai In vermiglio pinto appar; Ma tra poco lo vedrai Infuocata onda eruttar. E saette il ciel disserra Sull'altera umanità; Nelle sue febbri la terra Trema, e inghiotte le città. _Il Giovine_ Floride piaggie, azzurro ciel raggiante Sognava inebbriato il mio pensiero: Ma sol scheletri vede a sè dinante Or che dal sogno si destò nel vero. E me tranquillo qual marina calma Crede chi guata la fronte serena; Ah non sa il mondo che mi piange l'alma, Mentre il riso sul volto mi balena! _La Speranza_ E perchè a terra pieghi la fronte Nel bel teatro che Dio ti fè? Degli inspirati vieni sul monte E il tuo destino saprai qual'è. Vedi quegli astri! Son mondi erranti Perennemente d'intorno al sol; E sopra gli astri schiere di santi E di cherubi spiegano il vol. Dal ciel discesa l'alma immortale Di prova in prova passa quaggiù, E quando all'alta patria risale Le fan ghirlanda le sue virtù. Pria che tu levi l'ala da terra In gran battaglia dovrai pugnar: Sarà tremenda l'ultima guerra, Ma lieto giorno vedo albeggiar. Allor dei templi tra le colonne Incoronati tutti di fior Vecchi, fanciulli, giovani e donne Alterneranno canti d'amor; E la parola degli inspirati Sopra le genti si spanderà Qual sui marini flutti placati Ampia si spande serenità. LA SPOSA DEL RICCO Al verecondo raggio Della sorgente luna Alta magion si specchia In placida laguna. Delle ampie sale l'aere Profondamente tace; Sol di notturna face Al debile chiaror In solitaria stanza Siede una giovin sposa, E sulla destra in languido Atto la fronte posa. Aperte son le pagine Onde tentava invano Porger conforto arcano Al combattuto cor; E solo in quel silenzio Lene alitar si sente D'addormentato parvolo L'anelito frequente. Oh qual pesa sull'anima, Di lei crudel martiro! Difficile il respiro Sprigionasi dal sen..... Sorge, al balcon s'affaccia Cercando aura più pura, E pensierosa, immobile Contempla la natura — Suona delle onde il murmure E un odoroso fiato il crine inanellato Ad agitar le vien. «Perchè festevole «Al mio pensiero «T'affacci, o vergine, «Dal piè leggiero «Dal vel che ogn'aura «Lieve carezza «Dal crin che olezza «Come il mattin? «Quando di rosea «Veste ammantata «Varchi di splendida «Sala l'entrata, «S'alza nell'ilare «Stuolo un bisbiglio, «Ed ogni ciglio «S'affisa in te. «Son io la stessa? oh come disadorna «È la pianta che lieta un dì fioria! «La stagione dei fiori a me ritorna.... «Ma dove andò la primavera mia? «Infelice! il genitore «Qual vil merce m'ha venduta «Alle voglie d'un signore «Che sua sposa mi nomò. «E nel dì che trasportato «Da brittannici destrieri «Alto cocchio inargentato «Al palagio mi recò «Del novello mio consorte, «Chi non disse — Oh lei felice «Che varcate quelle porte «Non saprà che sia dolor! — «Ma che val della ricchezza «Lo splendore invidiato «Se non è la giovinezza «Consolata dall'amor? «Era a questa simigliante «Quella notte avventurosa «Che in quell'astro tremolante «Il mio sguardo si fissò «Teco, o C..., e si smarria «La nostr'alma nell'empiro; «In sul sen la fronte mia «Lievemente si posò! «. . . . . . . . . . «. . . . . . . . . «. . . . . . . . . «. . . . . . . . . «O Fanciulla dei campi abitatrice «Quanto sei più felice! «Nel dì che un umil tetto «S'allegrerà del tuo riso di sposa, «Di gemme peregrine «Ghirlanda non avrai sul biondo crine, «Ma porterai sul petto «D'aprile il più bel fiore «Rapito ai campi dalla man d'amore. Da un improvviso tremito Perchè scossa è la bella, Qual per fragor di fulmine, Smarrita tortorella? Diè un rimbombo la porta dorata, Nel grand'atrio il mastino latrò, Suona un'ora di notte avanzata, Il consorte dall'orgia tornò. IL POETA CIECO A G. BATTISTA NICCOLINI I. _Sopra un colle al levarsi del sole._ IL POETA La faccia mia sia volta all'oriente: — E tu dimmi che vedi, or che la brezza Del sol foriera mormorar si sente. IL FANCIULLO Vedo una barca Che il lago varca. Là sulla via Un villanello Và lento lento Verso il castello. Di pianta in pianta L'augel che canta Svolazza, e limpide Stille dai rami Cadono al suol. A noi di fronte Sol vedo il monte Che appar turchino Come tranquillo Flutto marino: Inargentato Splendidamente E l'oriente.... Vedo una nuvola!... Ah padre mio Si leva il sol! IL POETA Sì lo sento — e allor che il nuovo Sole, o patria, in te fiammeggia Come dio nella sua reggia, Il tuo ciel, le tue montagne Il tuo pian, le tue marine I castelli, le ruine, Svegliano aura di speranza Nel poeta che in suo core Teco piange al tuo dolore! Il caro pargolo Che ancor riposa Già l'amorosa Madre guardò. Al prigioniero Nel duolo antico Come un amico Il dì tornò. E l'uom dal debile Fianco or non sente L'età cadente Su lui gravar. Anche l'infermo Cui speme è morta Si riconforta Nel sol che appar. Tu pur lieve com'ala, o salma mia, Diventi al matutino aere novello: Ma che giova all'estinto che gli sia Lieve la polve sparsa sull'avello? Si spanderà dinanzi al gran pianeta L'alito vaporoso della terra Ora in vista scherzevole e quieta, Or con tremendo sonito di guerra; Rapidi come i palpiti del core Gli uni sugli altri scoppieranno i lampi; Poi l'arco del sereno annunziatore Sorriderà sui desolati campi; Coronerà le torri il sol cadente D'un bel vermiglio dolcemente fioco; Azzurro il monte, roseo l'occidente, Tutte le nubi diverran di fuoco; Gli astri confusi alle riverse piante Tremoleranno in sen della laguna; Or emula del sole, or simigliante A lucid'arco sorgerà la luna; Pria squallide le valli e la pianura, Poi la virtù che terra e ciel trasmuta Risveglierà le rose e la verzura.... Ma per quest'alma ogni sembianza è muta! II. _Nelle vie d'una città d'Italia all'ora di mezzogiorno._ _Dei fanciulli lo stuol folleggiante_ _S'apre obliquo sentier clamoroso_ _Tra vegliardi dal fronte pensoso,_ _Tra garzoni dal volto seren,_ _Mentre il cieco rasenta le mura,_ _Col bastone tentando il terren._ IL FANCIULLO Giovine donna avvolta in bianco velo Vicina a noi passò, E le pupille sue color del cielo Pietosa in te fissò, Disse — _Infelice!_ e pianger la mirai! IL POETA Io non la vidi e non la vedrò mai! Un picciolo piede com'aura leggiera, Un guardo ove brilli sereno il pensiero, Un crine diffuso su candido petto, Un pallido aspetto, Il cor del poeta facean palpitar! — Ed or se voce intorno a me sonante Com'arpa tocca da mirabil'arte M'invoglia di conoscere il sembiante Onde il soave accento si diparte, L'alma dal sen si svelle disiante Quasi l'abisso che da lui mi parte Varcar s'affidi; e poi franta la spene Riman qual prigionier nelle catene. Ma ben del poeta lo sguardo si serra Davanti ai codardi che calcan la terra Impressa dell'orme d'antico valor, Con fronte ombreggiato da crine odoroso In cui non lampeggia pensier generoso, Con riso che insulta dei forti al dolor. — Chi tragge un sospiro guardando il sereno Del ciel che si curva d'Italia sul seno Qual volto d'amico su spenta beltà? E invan tra l'olezzo di floridi piani, O a piè di montagne che nutron vulcani Danno ombre di gloria le antiche città. — III. _Sulla riva del mare — la sera —_ IL FANCIULLO Alla torre noi siam dei prigionieri! — IL POETA E che vedi sul mar? — IL FANCIULLO Vele lontane! — IL POETA Ma dove l'onda al ciel si ricongiunge Non si stende una striscia porporina Lungamente sui flutti? IL FANCIULLO — Ah quanto è bella! E un'altra striscia sopra lei si posa Che somiglia al color della viola. — IL POETA Or guarda il ciel — splende la luna? IL FANCIULLO Un lieve Velo di cerchio in guisa la circonda, E a lei vicina tremola la stella. IL POETA Qui ci arrestiam — di queste aure marine Quanto m'è grato inebbriarmi il petto! — _E presso al mar s'asside — il figlio intanto_ _Va sull'arena di conchiglie in traccia,_ _O in barca irrequieta al lido avvinta_ _Entra, e coll'agil remo si trastulla._ UN PESCATORE (_cantando_) «Sempre vicina al lido «Và questa navicella, «Italia è troppo bella «Io non la vuo' lasciar. — «Prima che l'alba nasca «Lasciando il tetto mio «Degli astri al tremolio «Gitto le reti in mar. «E al mio ritorno i figli «Con ilare sembiante «La preda ancor guizzante «Accorrono a mirar. «Vada il nocchiero ardito «Incontro alla procella: «Italia è troppo bella «Io non la vuo' lasciar. UN PRIGIONIERO (_cantando_) «M'hai rapita la bellezza «De' miei poggi, del mio sole, «Della sposa la carezza, «II sorriso della prole. «Perchè l'ala del pensier «È rimasta al prigionier? _Poi di lontane_ _Voci armonia_ _Suona sull'onde,_ _E a lor risponde_ _Altra armonia,_ — _Son naviganti_ _Son prigionieri_ _Che della sera_ _Fan la preghiera_ _Sacra a Maria._ — _L'augel notturno_ _Flebilemente_ _Cantar si sente;_ _E i doppi ferri_ _Della prigion_ _Da mano vigile_ _Percossi mandano_ _Lugubre suon._ IL POETA Del pescator la melodia si tace, Muore sull'aura il prego del nocchier; Quetò la rondinella il vol loquace, E più non si lamenta il prigionier. Ah conosco la notturna Ora all'aere taciturna, Interrotta sol dal murmure Del tranquillo mar che frange, Simigliante ad uom che piange. La conosco: e questa è l'ora Che ricurvo sulla prora Il nocchier pensa più flebile Della patria le pendici, E l'addio dei cari amici! Mare! allor che il tuo vergine zaffiro Era alle stelle e al sol specchio lucente, E di natura al matutin respiro I tuoi flutti turgean candidamente, Nè ancor dei venti al procelloso spiro S'unía la voce del nocchier morente, Te delle madri il disperato affetto Non avea maledetto. Ministro ai voli dell'uman desio L'ardimentoso pin lottò coll'onde, E l'inquieto spirto discoprio Quanto mistero il velo tuo nasconde. Ala d'italo genio il sol seguio Anche nel ciel di sconosciute sponde, E qual gemma rapita al tuo profondo Fu dissepolto un mondo.... Al marin suolo instabile Somiglia l'inquieta Anima del poeta, Che più scolpito sente Il verbo della mente, Allor che delle tenebre Entro la pace immensa Piange, s'allegra, e pensa. Mentre serene rilucean le stelle Sui taciturni alberghi dei cultori, Quai solitarie e più d'ogni altra belle, E quai ristrette in variati cori, Lo spirto mio da questa bassa stanza A voi s'ergea tra i mondi, e queti i vanni Dove degl'infelici è la speranza, Il terror dei codardi e dei tiranni, Vedea da quell'eterna aura sicura Qual lento verme su fiorito stelo Il tempo passeggiar sulla natura Stampando orma di morte in terra e in cielo. E in altre notti, allor che il firmamento Era da spesse folgori solcato, E si spandea col sibilar del vento Il muggito del mare infuriato, Oh quante volte di funereo cinto Sulla soglia inspirato m'arrestai! E antico grandeggiar popolo estinto Fuor delle scoperchiate urne mirai. Poscia quando tra brani di procella Azzurreggiava il ciel novellamente, E a lui tornava la smarrita stella Quai pensier dolce a disperata mente; E della notte il queto orror profondo Sol da cadenti stille era turbato, Esser mi parve abitator d'un mondo Dal sole e dalla gente abbandonato. Veglie di gaudio arcano Inebbriate — addio! Or come il vulgo umano Invoco il sonno anch'io. Nè davanti a marmoreo Vetusto monumento, Allorchè rinnovellano Le upupe il lor lamento, M'assiderò stupito Pensando ai corsi secoli, Al nulla, all'infinito. IV. _In famiglia — la notte — _ IL POETA A me ti appressa, o figlio — oh come dolce Mi fia sentir sulle ginocchia il peso Delle tue membra, e aver la mano avvolta Entro la chioma tua! — voi, figlie, intanto Addormentate il mio dolor col canto. LE FIGLIE (_cantando sull'arpa_) «In densa nube avvolto È il nostro genitor, E sempre di pallor Dipinto ha il volto. «Non vede il nostro aspetto, Non vede i nostri fior, Ma l'inno dell'amor Gli molce il petto. «Compagne e notte e die Sarem del suo dolor, Gli allegreremo il cor Coll'armonie, «E alfine i nostri lai Ascolterà il Signor; La luce, o Genitor, Tu rivedrai. _Poi chetamente_ _Ciascuna aspetta_ _Che i labbri s'aprano_ _Del genitor:_ _Anche il fanciullo_ _Lo guarda immoto_ _Per lo stupor._ IL POETA Matutino il Poeta un dì sedea Al rezzo aprico di fiorita altura, E a sè dinanzi folleggiar vedea Due fanciullette d'un egual statura; Neri sguardi elle avean, guancie rosate E bionde chiome al vento abbandonate. Repente alta caligine Gli s'addensò d'intorno. — «O Figlie mie, la nebbia «C'invidia i rai del giorno! — «Padre travedi; un velo «Sarà negli occhi tuoi; «Sempre sereno è il cielo, «Risplende il sol per noi. — Tacquero; e la caligine Più folta si facea, Al fianco suo le figlie Stringendo allor dicea: — «Ogni creato oggetto «Invola al guardo mio, «Ma dei figli l'aspetto «Nò non rapirmi, o Dio — Ah fu vano il pregar, fu vano il pianto, Crebbe la nebbia, e le due fanciullette Quell'infelice più non vide accanto. — Dove ne andaste? — PADRE, Risposero, SIAM QUI! — Ma qual da un altro mondo Ei la risposta udì. Or sono adulte, ogni gentil le adora: Egli le vede pargolette ancora. _Delle due figlie quella_ _Che al padre e più vicina_ _A lui s'appressa, e in volto_ _Lo bacia affettuosa._ _Egli a quel bacio sente_ _Sua guancia lacrimosa._ _Oh dell'amor la lacrima_ _Perchè non ha virtù_ _D'animar la pupilla_ _Di chi non vede più?_ _E poi l'altra sorella_ _Si stringe al padre anch'ella,_ _E sui ginocchi il figlio_ _Riposa; nel silenzio_ _Solo alitar si sente_ _Un sospirar frequente._ LAMENTO In questo umano esiglio Compagna io sol non ho. Sempre la cerca il ciglio, Dove la incontrerò? Forse in festiva stanza Tra vergini beltà, Commosso dalla danza Il crin le ondeggierà? O a rai del sol cadente Avvolta in bruno vel Nel tempio mestamente Leverà il guardo al ciel? Oh se mi fosse accanto Quella gentile, allor Che in armonia di pianto Saluto il dì che muor! Oh se con lei le stelle Potessi vagheggiar, Mentre infinite e belle Si specchiano nel mar! Quanto maggior la piena Saria del mio piacer, E quanto più serena La luce del pensier! Ma questa assidua guerra D'indomiti desir Che il petto mio rinserra, Accelera il morir! E forse il nuovo aprile Su tomba fiorirà Che niun ciglio gentile Di pianto bagnerà. A GIO. BATT. NICCOLINI La giovin rigogliosa età serena Fugge per me qual odoroso spiro, E i procellosi affetti ond'è ripiena In dolce nota modular desiro. Benchè il pensier mi gravi aspra catena, Spesso tra lievi fantasie m'aggiro, Ma del cor l'armonia cessata appena Sento il dir fioco, e col sermon m'adiro. Tu di conforti a me deh sii cortese, O GENEROSO, perchè in altri petti Serpeggi il fuoco che di sè m'accese: Tu per cui dal sepolcro delle istorie Escono a risvegliar sopiti affetti VERGOGNE antiche, SCELLERANZE e GLORIE. LA POESIA Non stenda la mano sull'arpa del vate Chi ferver, quai fiamme dai venti agitate, Magnanimi affetti non sente nel cor! E qui più vivaci scintillan le stelle, Qui sboccian le rose più grate, più belle, Qui splenda nel Verso più luce d'amor. Somigli all'olezzo dei floridi piani, Somigli alla lava dei nostri vulcani, Somigli al sereno dell'italo ciel. Ah fosse scintilla di luce divina Quest'alma inquieta che va pellegrina Qual'umile vela su flutto crudel! Vorrei dell'afflitto sul languido core Passar dolcemente qual brezza sul fiore Il vile, il superbo vorrei fulminar.... E queste montagne che bacian l'empiro, Le nubi, le stelle, l'immenso zaffiro, Gli antichi castelli, la voce del mar; Le note d'un'arpa lontana lontana, Il suon di campestre notturna campana, La foglia cadente su queto ruscel; Un raggio tra gli archi del tempio languente, La pallida gota di bella dolente, Il canto solingo di flebile augel; La luna tra i fiori d'antica ruina, La croce tra i salci d'aperta collina, Un serto appassito su marmo feral; Di supplice veglio le palme tremanti, Di vispo fanciullo le chiome ondeggianti, La rosa caduca, la querce immortal; E i molti fantasmi di vinti nemici, Di prodi esultanti, di prodi infelici Che vagan tra l'urne dell'italo suol; E questo rimbombo di grida di pianti, Di preghi e bestemmie che all'inno dei santi, Si mesce varcando la spera del sol; Arcani concenti mi svegliano in petto; E come a fanciulla se vide il diletto, E come alla terra se il giorno sentì. Un lampo m'arride di gioia immortale Allor che dei vati la febbre m'assale.... Ardenti quai raggi di fervido dì Traboccan gli affetti... già tutto m'inonda La piena... ma come del verso la sponda Il turgido fiume raccoglier potrà?... O caro usignolo che in selva tacente La luna novella dal balzo sorgente Saluti coll'inno che pianger mi fà, O caro usignolo!... qual corda di cetra Te scoton le brezze vaganti nell'etra, Il raggio degli astri, l'oleggio dei fior: E come dal monte perenne fontana, Dal pieno tuo core prorompe l'arcana Notturna melode che inebbria d'amor. Io come saetta nel nembo raccolta, Io come facella nell'urna sepolta, Ho fiamma nel petto che irromper non può. E al par della nube che in cielo viaggia, E al par della nave che cerca una spiaggia Varcando la vita senz'orma morrò. FINE. INDICE _A Giovanni Bertolli_ Pag. 3 La Madre Povera » 5 Davanti al cimitero della terra natale » 7 Saluto a' quattro Poeti italiani » 9 L'Ave Maria della mattina » 13 L'Ave Maria della sera » 15 La Campana del Deprofundis » 20 Rimembranze d'infanzia » 26 Il Salice » 28 La Trovatella » 30 Per un nuovo Ponte sull'Arno » 32 Il Giovine » 35 La Sposa del Ricco » 38 Il Poeta cieco » 42 Lamento » 56 A G. B. Niccolini » 58 La Poesia » 59 Nota del Trascrittore Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori tipografici. *** End of this LibraryBlog Digital Book "Liriche" *** Copyright 2023 LibraryBlog. All rights reserved.