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Title: I tre moschettieri, vol. III Author: Dumas, Alexandre Language: Italian As this book started as an ASCII text book there are no pictures available. *** Start of this LibraryBlog Digital Book "I tre moschettieri, vol. III" *** I TRE MOSCHETTIERI DI Alessandro Dumas VERSIONE DI ANGIOLO ORVIETO. VOL. III. Napoli, GIOSUÈ RONDINELLA EDITORE Strada Trinità Maggiore nº 27 1853 TIPOGRAFIA DI G. PALMA. CONTINUAZIONE DEL CAPITOLO XXXII. Dopo la minestra la serva portò un pollo allessato, magnificenza che fece dilatare le palpebre dei convitati in modo tale che sembravano avessero a schizzare fuori delle orbite. — Si vede che amate la vostra famiglia, signora Coquenard, disse il procuratore con un sorriso quasi tragico; ecco, certamente, una galanteria che voi fate a vostro cugino. Il povero pollo era magro, e rivestito con quelle grosse pelli increspate che le ossa non giungono mai a traforare ad onta dei loro sforzi; abbisognava che fosse stato cercato lungamente prima di ritrovarlo nel pollaio, ove si era ritirato per morire di vecchiaia. — Diavolo! pensò Porthos, questa è una cosa molto trista; io rispetto la vecchiaia, ma ne faccio poco conto nell'arrosto e nel lesso. E guardò in giro per vedere se la sua opinione era divisa dagli altri; ma, tutto al contrario di lui, egli non vide che occhi fiammeggianti che divoravano in antecedenza questo pollo sublime, oggetto del suo disprezzo. La signora Coquenard tirò a se il piatto, staccò con maestria le due grandi zampe nere che depose sul piatto di suo marito, staccò il collo colla testa che mise a parte per se stessa, levò un'ala per Porthos, e rimise alla serva l'animale che poco prima aveva portato, che se ne ritornò quasi intatto, e che era scomparso prima che il moschettiere avesse avuto il tempo di esaminare le variazioni di rincrescimento disegnatesi sui visi degli scrivani, a seconda dei caratteri e dei temperamenti di coloro che lo provavano. Dopo il pollo, fece la sua entrata un piatto di fave, piatto enorme, nel quale alcune ossa di montone, che a primo aspetto si sarebbero potuto credere accompagnate dalla loro carne, facevano sembiante di farsi vedere. Ma gli scrivani non furono ingannati da questa soperchieria, e le fisonomie lugubri divennero visi rassegnati. La signora Coquenard distribuì questo cibo ai giovani, colla moderazione di una buona economa. Era venuto il giro dei vini. Il sig. Coquenard versò, da una bottiglia dal collo molto stretto, il terzo di un bicchiere a ciaschedun giovane, ne versò a se stesso una porzione quasi eguale, e la bottiglia passò subito dalla parte di Porthos e della signora Coquenard. I giovani riempirono d'acqua questo terzo di vino; quindi, quando ebbero bevuta la metà del bicchiere, lo riempivano nuovamente d'acqua, e sempre facevano lo stesso, cosa che li portava, alla fine del pranzo, a bere una bevanda che dal colore del rubino, era passata a quello del topazio bruciato. Porthos mangiò timidamente la sua ala di pollo. Bevè pure il suo mezzo bicchiere di questo vino molto economico, che riconobbe per vino di Montreuil. Il sig. Coquenard lo guardò inghiottire questo vino puro, e sospirò. — Non mangiate di queste fave, cugino mio Porthos? disse la signora Coquenard con quel tuono che vuol dire: credete a me, non ne mangiate. — Grazie, cugina mia, diss'egli, io non ho più fame. Successe un momento di silenzio. Porthos non sapeva in qual modo contenersi. Il procuratore ripetè più volte: — Ah! signora Coquenard, io ve ne faccio i miei rallegramenti, il vostro pranzo è un vero festino. Porthos credè di essere mistificato, e cominciò a rialzare i suoi baffi, e ad aggrottare il sopracciglio; ma lo sguardo della signora Coquenard lo consigliò alla pazienza. In questo momento, in seguito ad uno sguardo del procuratore, gli scrivani si alzarono lentamente da tavola, piegarono anche più lentamente le loro salviette, quindi salutarono e partirono. — Andate, giovanotti, andate a fare la digestione lavorando, disse gravemente il procuratore. Gli scrivani partirono, la signora Coquenard si alzò, e cavò da una credenza un pezzo di formaggio, dei dolci di cotogno, ed un bodino ch'ella stessa aveva fatto colle mandorle e col miele. Il signor Coquenard aggrottò il sopracciglio, poichè vedeva troppe vivande. — Un festino, decisamente un festino! gridò egli agitandosi sul suo seggio, un vero festino! _Epulae epularum_: Lucullo che pranzo da Lucullo! Porthos guardò la bottiglia che era vicina a lui, e sperò di pranzare col vino, pane e formaggio; ma il vino mancò ben presto, la bottiglia era vuota: il signore e la signora Coquenard fecero sembiante di non accorgersene. — Sta bene, disse a se stesso Porthos, eccomi avvisato per un'altra volta. Passò la sua lingua sul piccolo cucchiaio di dolci, e si agglutinò i denti nella pasta colante della signora Coquenard. — Ora, diss'egli, il sacrifizio è compiuto. Il signor Coquenard, dopo le delizie di un simile pranzo, che egli chiamava un eccesso, provò il bisogno di fare la sua sesta. Porthos sperava che la cosa avrebbe avuto luogo nella stessa località, ma il procuratore non volle intender niente; abbisognò ricondurlo nella sua camera, e gridò tanto fino a che non fu rimesso davanti il suo armadio, sulle imposte del quale, per maggiore precauzione, appoggiò i suoi piedi. La procuratrice condusse Porthos nella camera vicina. — Voi potete venire a pranzo tre volte la settimana, disse la sig. Coquenard. — Grazie, rispose Porthos, io non voglio abusare. D'altronde bisogna che io pensi ad equipaggiarmi. — È vero, disse la procuratrice gemendo; vi è questo disgraziato equipaggio: non è così? — Pur troppo sì! disse Porthos. — Ma di che cosa dunque si compone l'abbigliamento del vostro corpo, sig. Porthos. — Oh! di molte cose, disse Porthos; i moschettieri, come ben sapete, sono soldati di un corpo scelto, e loro abbisognano degli oggetti che sono inutili alle altre guardie ed agli svizzeri. — Ma pure dettagliatemi i vostri bisogni. — Ciò porterà... disse Porthos, che amava meglio discutere il totale di quello che il dettaglio. La procuratrice aspettò fremendo. — A quanto? diss'ella; spero bene che ciò non oltrepasserà le... E si fermò, la parola le venne meno. — Oh! no, disse Porthos, non oltrepasserà le due mila e cinquecento lire. Credo anzi che colla economia uno se ne possa cavare con due mila lire. — Buon Dio! due mila lire! gridò ella; questa è la fortuna di una famiglia, e giammai mio marito acconsentirà a prestare una tal somma! Porthos fece una boccaccia delle più espressive; la signora Coquenard lo capì. — Io domandava i dettagli, diss'ella, perchè avendo molti parenti e dei clienti nel commercio, era quasi sicura di ottenere gli oggetti ad un cento per cento al disotto del prezzo che voi stesso potreste comprarli. — Ah! ah! fece Porthos, se non è che questo che volevate darmi... — Sì, caro Porthos. Voi avete bisogno primieramente... — Di un cavallo. — Sì, un cavallo. Ebbene! io ho precisamente ciò che vi conviene. — Ah! disse Porthos raggiante, ecco dunque che va bene in quanto al mio cavallo; in seguito mi abbisogna il cavallo del mio lacchè e la mia valigia. Perciò che riguarda le mie armi, non fa d'uopo che ve ne occupiate, io le ho. — Un cavallo per il vostro lacchè? riprese esitando la signora procuratrice, ma questa è una cosa da gran signore, amico mio. — E che! signora, disse con orgoglio Porthos, sono io forse per caso un pezzente? — No. Io vi dicea soltanto che un bel muletto aveva qualche volta un così bell'aspetto quanto un cavallo, e che mi sembra che procurando un bel muletto per il vostro Mousqueton... — Vada per il bel muletto, disse Porthos, voi avete ragione, ho veduto dei grandissimi signori spagnuoli che avevano tutto il loro seguito sui muli. Ma allora voi capirete, signora Coquenard, che vi abbisogna un mulo col pennacchio ed i sonagliuoli. — Siate tranquillo, rispose la procuratrice. — Resta ora la valigia, riprese Porthos. — Oh! che questo non v'inquieti, gridò la signora Coquenard, mio marito ha cinque o sei valigie, voi sceglierete la migliore; egli ne ha particolarmente una, che prediligeva nei suoi viaggi, e che è grande da contenere il mondo. — È dunque vuota la vostra valigia? domandò Porthos. — Sicuramente, ella è vuota, rispose la procuratrice. — Ah! ma la valigia di cui ho bisogno, disse Porthos, è una valigia ben guarnita, mia cara. La signora Coquenard emise dei nuovi sospiri. Molière non aveva ancora scritto la sua scena dell'avaro. La signora Coquenard ha dunque la primazia sull'Arpagone. Del resto dell'equipaggio fu dibattuto successivamente nello stesso modo, e il risultato della scena fu che la procuratrice avrebbe domandato a suo marito un imprestito di ottocento lire in contante, e somministrerebbe il cavallo ed il mulo che avrebbe avuto lo onore di portare alla gloria Porthos e Mousqueton. Stabilite queste condizioni, e stipulati gl'interessi, come pure l'epoca del rimborso, Porthos prese congedo dalla signora Coquenard, rientrò in casa sua con molta fame, e di cattivissimo umore. CAPITOLO XXXIII. LA PADRONA E LA CAMERIERA. Frattanto, come lo abbiamo detto, ad onta delle grida della sua coscienza, ad onta dei saggi consigli di Athos, e la tenera rimembranza della signora Bonacieux, d'Artagnan divenne d'ora in ora più innamorato di milady; per questo non mancò, tutti i giorni, di andare a far una corte, alla quale l'avventuroso Guascone si era convinto ch'ella non poteva a meno di presto o tardi corrispondere. Una sera che egli giungeva a naso alzato, leggero come un uomo che aspetta una pioggia d'oro, incontrò la cameriera sulla porta di casa; ma questa volta la bella Ketty non si contentò punto di sorridergli di passaggio, lo prese dolcemente per la mano. — Buono! fece d'Artagnan, ella è incaricata di qualche messaggio per me, per parte della sua padrona; ella mi darà un qualche appuntamento, che non si ha avuto il coraggio di darmi a voce. E guardò la bella giovinetta coll'aria la più trionfante che avesse potuto assumere. — Vorrei dirvi due parole, signor cavaliere, balbettò la cameriera. — Parla, figlia mia; parla, disse d'Artagnan, io ascolto. — Qui è impossibile; ciò che debbo dirvi è troppo lungo, e soprattutto troppo segreto. — Ebbene! ma, come fare allora? — Se il signor cavaliere volesse seguirmi..., disse timidamente Ketty. — Dove vorrai, mia bella fanciulla. — Allora venite. E Ketty, che non aveva lasciata la mano di d'Artagnan, lo condusse per una piccola scala oscura e tortuosa, e dopo avergli fatto salire una quindicina di scalini, aprì una porta. — Entrate, sig. cavaliere, qui saremo soli, e potremo parlare. — E di chi è adunque questa camera, mia bella fanciulla? domandò d'Artagnan. — È la mia, sig. cavaliere; essa comunica con quella della mia padrona per mezzo di questa porta; ma siate tranquillo, ella non potrà sentire ciò che noi diciamo, poichè non va mai in letto che dopo la mezzanotte. D'Artagnan gettò un colpo d'occhio intorno a se: la piccola camera era preziosa pel gusto e per la proprietà; ma suo malgrado, i suoi occhi si fissarono su quella porta che Ketty gli aveva detto che metteva nella camera di milady. Ketty indovinò ciò che si passava nella mente del giovane, e mandò un sospiro. — Voi dunque amate molto la mia padrona, sig. cavaliere? diss'ella. — Io non so se l'amo davvero, ma quello che so si è che ne sono pazzo. Ketty mandò un secondo sospiro. — Ohimè! signore, ciò è ben doloroso! — E che diavolo vedi tu dunque di così doloroso? — È, signore, che la mia padrona non vi ama punto. — Kem! fece d'Artagnan, ti avrebbe fors'ella incaricato di dirmelo? — Oh! no, signore, ma sono io che per l'interesse che vi porto ho preso la risoluzione di comunicarvelo. — Grazie, mia buona Ketty, ma soltanto dell'intenzione; poichè la confidenza, tu ne converrai, non è punto aggradevole. — Vale a dire che voi non credete a quello che vi dico, non è vero? — Si ha sempre difficoltà a credere simili cose, mia bella fanciulla, non fosse altro che per amor proprio. — Dunque voi non mi credete punto? — Ti confesso che fino a tanto che non ti degni di darmi qualche prova di ciò che mi assicuri... — Che dite voi di questa? E Ketty cavò dal suo petto un piccolo biglietto senza indirizzo. — Per me? disse d'Artagnan, impadronendosi prestamente della lettera. E mercè un movimento rapido come il pensiero, ruppe il sigillo ad onta di un grido di Ketty, che vedendo ciò che stava per fare, o per meglio dire ciò che faceva: — Oh! mio Dio, signor cavaliere, che avete voi fatto! — Ah! perdono! non bisogna che io conosca ciò che mi è indirizzato. E lesse: «Voi non avete risposto al mio primo biglietto; siete voi forse malato? o pure avreste voi già dimenticato quali occhi mi faceste al ballo della signora de Guise? ecco l'occasione, conte, non ve la lasciate fuggire.» D'Artagnan impallidì, egli era ferito nel suo amor proprio e si credè ferito anche nel suo amore. — Questo biglietto non è per me? gridò egli. — No, è per un altro, ecco quello che voi non mi avete lasciato il tempo di dirvi. — Per un altro! il suo nome? gridò d'Artagnan furioso. — Il signor conte de Wardes. La rimembranza della scena di S. Germano si presentò subito al pensiero del presuntuoso Guascone, e confermò ciò che le aveva rivelato Ketty. — Povero sig. d'Artagnan! diss'ella con una voce piena di compassione, stringendo di nuovo la mano del giovane. — Tu mi compiangi, buona giovinetta? disse d'Artagnan. — Sì! e con tutto il cuore, poichè so che cosa vuol dire amore. — Tu sai che cosa è l'amore? disse d'Artagnan guardandola per la prima volta con una certa attenzione. — Ahimè! sì. — Ebbene! invece di compiangermi, farai molto meglio ad aiutarmi per vendicarmi della tua padrona. — E qual sorta di vendetta vorreste voi prendervi? — Vorrei supplantare il mio rivale. — In questo io non vi aiuterò, sig. cavaliere, disse vivamente Ketty. — E perchè? domandò d'Artagnan. — Per due ragioni. — E quali? — La prima, è perchè la mia padrona non vi amerà mai. — Che ne sai tu? — Voi l'avete ferita nel più vivo del cuore. — E in che posso io averla ferita, io che dal momento che la conosco, vivo ai suoi piedi come uno schiavo? Parla, te ne prego. — Questo non lo confiderò che all'uomo che... saprà leggere fino al fondo dell'anima mia. D'Artagnan guardò Ketty per la seconda volta. La giovanetta era di una freschezza e di una bellezza che molte duchesse l'avrebbero acquistata in cambio delle loro corone. — Ketty, diss'egli, io leggerò fino al fondo dell'anima tua: che ciò non ti trattenga, mia cara fanciulla; ma parla. — Oh! no, gridò Ketty, voi non mi amate, voi me lo avete detto or ora. — E ciò t'impedisce pure di farmi conoscere la seconda ragione? — La seconda ragione, sig. cavaliere, riprese Ketty incoraggiata dall'espressione degli occhi del giovane, è che in amore, ciascuno pensa per se. Allora soltanto d'Artagnan si ricordò le occhiate languide di Ketty, i suoi sorrisi e i suoi sospiri soffocati ogni volta che la incontrava; ma assorto dal desiderio di piacere alla gran dama, non aveva degnato la cameriera: chi va alla caccia dell'aquila, non si occupa dei rosignuoli. Ma questa volta il nostro Guascone vide con un sol colpo d'occhio tutto il partito che v'era da ricavarsi da questo amore, che Ketty aveva confessato con tanta ingenuità. Intercettazione delle lettere dirette al conte de Wardes, intelligenza nella piazza, entrata libera in tutte le ore per la camera di Ketty, contigua a quella della padrona. Il perfido come si vede, sagrificava la povera giovanetta alla gran dama. Frattanto suonò mezzanotte, e s'intese quasi nel medesimo punto il campanello della camera di milady. — Gran Dio! gridò Ketty, ecco la mia padrona che mi chiama; partite, partite, presto. D'Artagnan si alzò, prese il cappello, come se avesse volontà di obbedire, quindi aprendo prestamente l'imposta di un grande armadio, invece di aprir quella della porta, vi si cacciò dentro, in mezzo alle vesti ed ai pettinatori di milady. — Che fate voi dunque? gridò Ketty. D'Artagnan che nell'entrare aveva presa la chiave, si chiuse dentro al suo armadio senza rispondere. — Ebbene! gridò milady con voce acre, dormite voi forse, che non sentite quando vi si chiama? E d'Artagnan intese che si aprì violentemente la porta di comunicazione. — Eccomi! milady, eccomi! gridò Ketty slanciandosi incontro alla sua padrona. Entrambe rientrarono nella camera della signora; e siccome la porta di comunicazione rimase aperta, d'Artagnan potè ancora sentire per qualche tempo la padrona che sgridava la servente; quindi finalmente si rappacificò, e la conversazione cadde su di lui, nel mentre che Ketty accomodava la sua padrona. — Ebbene! disse milady, questa sera non ho veduto il nostro Guascone. — Come, signora, disse Ketty, non è venuto? sarebbe egli volubile anche prima d'essere felice? — Oh! no: bisogna dire che ne sia stato impedito dal sig. de Tréville o dal signor des Essarts. Io lo conosco bene, io lo tengo in mio potere. — E che ne farà la signora? — Che cosa ne farò? sii tranquilla, Ketty: fra questo uomo e me vi passa una cosa che egli ignora. Poco è mancato ch'egli non mi abbia fatto perdere tutto il mio credito presso il ministro. Oh! io mi vendicherò! — Io credeva che la signora lo amasse. — Io amarlo! lo detesto. Uno stupido che tien la vita di lord Winter fra le sue mani, e non l'uccide! e che mi fa perdere trecento mila lire di rendita! — È vero disse Ketty, vostro figlio è il solo erede di suo zio, e fino alla sua maggiorità avreste potuto godere le rendite delle sue ricchezze. D'Artagnan fremette fino alle midolla delle ossa nel sentire questa soave creatura rimproverargli, con quella voce stridula che durava tanta fatica a nascondere nella conversazione, di non avere ucciso un uomo che la ricolmava di tanti tratti d'amicizia. — Io già, continuò milady, mi sarei vendicata di lui, se, non so il perchè, il ministro non mi avesse ordinato d'avergli dei riguardi. — Oh! sì. Ma la signora non ha avuto riguardi per quella povera donna che egli amava. — Oh! la merciaia della strada Fossoyeurs? non ha già forse dimenticato ch'ella esisteva? la bella vendetta in fede mia! Un freddo sudore colava sulla fronte di d'Artagnan, questa donna era dunque un mostro! Si rimise ad ascoltare; ma disgraziatamente la toaletta era finita. — Sta bene, disse milady, rientrate in camera, e cercate domani di avere una risposta alla lettera che vi ho consegnata. — Per il sig. de Wardes? disse Ketty. — Senza dubbio, il sig. de Wardes. — Eccone uno, disse Ketty, che ha l'aspetto di essere tutto al contrario di questo povero sig. d'Artagnan. — Sortite, madamigella, disse milady, io non amo i comenti. D'Artagnan intese serrare la porta, quindi il rumore di due chiavistelli che metteva milady, affine di chiudersi nella sua camera. Dal canto suo, ma il più dolcemente che potè, Ketty dette alla porta un giro di chiave. Allora d'Artagnan spinse l'imposta dell'armadio. — Oh! mio Dio! disse a bassa voce; che avete voi? come siete pallido! — Abbominevole creatura! mormorò d'Artagnan. — Silenzio! silenzio! sortite, disse Ketty; non vi è che un muro fra la mia camera e quella di milady: si intende dall'una tutto ciò che si dice dall'altra. — Alla buon'ora; ma io non sortirò che allora quando tu mi avrai detto che cosa è divenuto della sig. Bonacieux. La povera giovanetta giurò a d'Artagnan che ella lo ignorava compiutamente; la sua padrona non lasciava penetrare se non che la metà dei suoi segreti. Soltanto ella credeva di potere assicurare che non era morta. In quanto alla causa per la quale poco era mancato che milady non perdesse tutto il suo credito presso il ministro, Ketty non ne sapeva di più: ma, questa volta, d'Artagnan ne sapeva più di lei. Siccome aveva scoperto milady sopra un bastimento in consegna al momento in cui egli stesso lasciava l'Inghilterra, dubitò che quella volta si trattasse dell'affare dei puntali di diamanti. Ciò che vi era di più chiaro in tutto questo è che il vero odio, l'odio profondo, l'odio inveterato di milady, gli veniva dal non aver ucciso suo cognato. D'Artagnan ritornò il giorno dopo presso milady. Ella era di cattivissimo umore; d'Artagnan capì che quella era la mancanza di risposta al biglietto del sig. de Wardes che l'agghiacciava in tal modo. Entrò Ketty; ma milady la ricevette con molta durezza. Un colpo d'occhio che lanciò a d'Artagnan, voleva dire: — Voi vedete che io soffro per voi. Però, verso la fine della serata, la bella lionessa si ammansò, e ascoltò sorridendo le dolci parole di d'Artagnan; ella giunse perfino a dargli la mano da baciare. D'Artagnan sortì, non sapendo più che pensare; ma siccome egli era un Guascone al quale non si poteva così facilmente far perdere la testa, aveva costruito nell'animo suo un piccolo piano. Egli ritrovò Ketty alla porta, e come la sera innanzi, salì nella sua camera per avere delle notizie. Ketty era stata molto rimproverata; era stata accusata di negligenza. Milady non capiva niente sul silenzio del conte de Wardes, e le aveva ordinato di entrare in camera sua alle nove del mattino per prendere i suoi ordini. D'Artagnan fece promettere a Ketty che l'indomani mattina sarebbe andata da lui per dirgli di qual natura erano questi ordini. La povera giovinetta promise tutto ciò che volle d'Artagnan: ella era pazza. A undici ore, vide giungere Ketty. Ella teneva in mano un nuovo biglietto di milady. Questa volta la povera fanciulla non tentò nemmeno di contenderlo a d'Artagnan; ella lo lasciò fare; non ardiva più di dare una negativa al suo bel soldato. D'Artagnan aprì questo secondo biglietto che egualmente non portava nè firma nè indirizzo, e lesse quanto segue: «Ecco la terza volta che vi scrivo per dirvi che io vi amo; guardatevi che non abbia a scrivervi una quarta volta per dirvi che vi detesto.» D'Artagnan arrossì e impallidì più volte guardando questo biglietto. — Oh! voi l'amate sempre! disse Ketty, che non aveva mossi gli occhi un istante dal viso del giovane. — No, Ketty, tu t'inganni; io non l'amo più, ma voglio vendicarmi del suo disprezzo. Ketty sospirò. D'Artagnan prese una penna, e scrisse. «Signora, fin qui io aveva dubitato che non fossero diretti veramente a me i vostri due primi biglietti, tanto io mi credeva indegno di un simile onore. «Ma oggi bisogna bene che io creda all'eccesso della vostra bontà, poichè non solo la vostra lettera, ma ancora la vostra cameriera mi affermano che ho la felicità di essere amato da voi. «Verrò ad implorare il mio perdono questa sera a undici ore. Ritardare di un giorno, sarebbe ora ai miei occhi il farvi una nuova offesa. «_Colui che voi fate il più felice degli uomini_.» Questo biglietto non era precisamente falso; d'Artagnan non lo firmò, ma era un'indelicatezza; era anzi, sotto il punto di vista dei nostri attuali costumi, qualche cosa che si accostava all'infamia; ma in quell'epoca si avevano minori riguardi che non si hanno oggi. D'altronde, d'Artagnan per la propria confessione di milady, la sapeva colpevole di tradimento in affari più importanti, e non aveva per lei che una stima molto leggiera. Finalmente egli voleva vendicarsi della condotta di lei verso la signora Bonacieux. Il piano di d'Artagnan era semplicissimo. Dalla camera della servente egli giungerebbe a quella della padrona; ivi avrebbe confuso la perfida, l'avrebbe minacciata di comprometterla con pubblico scandalo, ed otterrebbe da lei per mezzo del terrore tutte le informazioni che desiderava sopra la sorte della sua Costanza. Fors'anche la libertà della bella merciaia sarebbe stato il risultato di questa visita. — Prendi, disse il giovane rimettendo a Ketty il biglietto sigillato, consegna questa lettera a milady, essa è la riposta del signor de Wardes. La povera Ketty divenne pallida come la morte; ella dubitava di ciò che poteva contenere il biglietto. — Ascolta, mia cara fanciulla, le disse d'Artagnan, tu capisci che bisogna che tutto ciò finisca in un modo o nell'altro; può scovrire che tu hai consegnato il primo biglietto al mio lacchè in vece di consegnarlo al lacchè del conte; che sono stato io che ho disuggellati gli altri due che dovevano esserlo dal signor de Wardes. Allora milady ti discaccerà, e tu la conosci; non è donna da limitare a questo la sua vendetta. — Ahimè! disse Ketty, perchè mai mi sono io esposta a tutto questo! — Per me, lo so bene, mia bella, disse il giovane; io te ne sono riconoscente, te lo giuro. — Ma finalmente, che cosa contiene il vostro biglietto? — Milady te lo dirà. — Ah! voi non mi amate gridò Ketty, e io sono ben disgraziata! Ketty pianse molto prima di decidersi a consegnare questa lettera a milady; ma finalmente si decise, pel trasporto che portava alla sua giovane guardia; era tutto ciò che voleva d'Artagnan. CAPITOLO XXXIV. OVE SI TRATTA DEL MODO DI EQUIPAGGIARSI DI ARAMIS E DI PORTHOS Dopo che i quattro amici si erano messi ciascuno alla caccia del modo di equipaggiarsi, non vi erano fra di loro riunioni ad ore stabilite: pranzavano gli uni senza gli altri, o piuttosto ove si ritrovavano; s'incontravano dove potevano. Il servizio, dal canto suo prendeva pure la sua parte di questo tempo così prezioso che scorreva tanto rapidamente. Erano soltanto convenuti di riunirsi una volta la settimana, verso un'ora, all'alloggio di Athos, atteso che quest'ultimo, a norma del giuramento che aveva fatto, non oltrepassava più la soglia della sua porta. Il giorno stesso in cui Ketty venne a ritrovare d'Artagnan in casa sua era il giorno della riunione. Appena che Ketty fu sortita, d'Artagnan si diresse verso la strada Verou. Egli trovò Athos ed Aramis che filosofavano. Aramis ritornava a prendere qualche inclinazione al ritiro dal mondo. Athos, secondo le sue abitudini, non lo dissuadeva, nè le incoraggiava. Athos era del sentimento che si lasciasse a ciascuno il suo libero arbitrio. Egli non dava mai consigli, quando non gli venivano chiesti; ed anche allora bisognava chiederli due volte. — In generale, non si domanda consigli, diceva egli, che per non saperli, o, se alcuno li segue, per avere qualcuno a cui fare dei rimproveri per averli dati. Porthos giunse un istante dopo d'Artagnan. I quattro amici si ritrovarono adunque in seduta completa. I quattro visi esprimevano quattro sentimenti diversi: quello di Porthos la tranquillità, quello di d'Artagnan la speranza, quello di Aramis l'inquietudine, quello di Athos la non curanza. In capo ad un istante di conversazione, nel quale Porthos lasciò travedere che una persona di alta condizione aveva voluto incaricarsi di toglierlo da ogni imbarazzo, entrò Mousqueton. Egli veniva a pregare Porthos di passare al suo alloggio, ove, diceva egli con un'aria molto pietosa, la sua presenza era urgente. — Sono forse i miei equipaggi? domandò Porthos. — Sì e no, rispose Mousqueton. — Ma in fine che vuoi tu dire? — Venite, signore. Porthos si alzò, salutò i suoi amici, e seguì Mousqueton. Un istante dopo Bazin comparve sulla soglia della porta. — Che volete voi da me, amico mio? disse Aramis con quella dolcezza che si rimarcava sempre in lui, ogni qualvolta le sue idee lo riconducevano allo spiritualismo. — Un uomo aspetta il signore a casa, rispose Bazin. — Un uomo! che uomo è? — Un mendicante. — Fategli l'elemosina, Bazin, e ditegli di pregare per un povero peccatore. — Questo mendicante vuole ad ogni costo parlarvi, e pretende che voi sarete ben contento di rivederlo. — Ha egli niente di particolare per me? — Mi ha detto: «se il signore Aramis esita di venire a ritrovarmi, ditegli che io giungo da Tours». — Da Tours? vengo subito! gridò Aramis. Signori, vi chiedo mille perdoni, ma senza dubbio quest'uomo mi porta delle notizie che aspetto. E alzandosi tosto, si allontanò correndo. Rimasero soltanto Athos e d'Artagnan. — Io credo che costoro abbiano ritrovato il loro affare. Che ne pensate voi d'Artagnan? disse Athos. — Io so che Porthos era sulla buona strada, disse d'Artagnan, e in quanto ad Aramis, per dire il vero, non ne sono mai stato seriamente inquieto. Ma voi, mio caro Athos, voi che avete così generosamente distribuito le doppie dell'Inglese, che erano un vostro bene legittimo, come farete? — Io sono molto contento di avere ucciso quel mariuolo, atteso che aveva avuta la pazza curiosità di voler conoscere il mio vero nome; ma se avessi messo in saccoccia le sue doppie, esse mi peserebbero come un rimorso. — Andiamo dunque, mio caro Athos, voi avete veramente delle delicatezze inconcepibili. — Avanti, avanti! che cosa mi diceva dunque il signor de Tréville, che mi fece l'onore ieri di una sua visita, che voi frequentate questi Inglesi sospetti che sono protetti dal ministro? — Vale a dire, che io rendo visita ad una Inglese, quella di cui vi ho parlato. — Ah! sì, la dama bionda, sul proposito della quale vi ho dato dei consigli che naturalmente vi sarete ben guardato da seguire. — Io vi detti delle mie ragioni. Ho acquistata la certezza che questa donna ha una gran parte nel rapimento della signora Bonacieux. — Sì, e lo capisco: per ritrovare una donna, voi fate la corte ad un'altra. Questa è la strada più lunga, ma la più divertente. Noi lasceremo i due amici, che non avevano niente di molto importante a dirsi, per seguire Aramis. A questa notizia, che l'uomo che gli voleva parlare giungeva da Tours, noi abbiamo veduto con quale rapidità il giovane aveva seguito, o piuttosto preceduto Bazin: egli dunque non fece che un salto dalla strada Férou alla strada Vaugirard. Entrando in casa ritrovò effettivamente un uomo di piccola statura, con occhi intelligenti, ma coperto di cenci. — Siete voi che domandate di me? disse il moschettiere. — Vale a dire che io domando il signor Aramis; siete voi che vi chiamate così? — Io stesso. Avete voi qualche cosa da consegnarmi? — Sì, se voi mi mostrate un certo fazzoletto ricamato. — Eccolo, disse Aramis cavando una chiave che portava sul petto, e aprendo una piccola cassettina d'ebano intarsiata in avorio. Eccolo osservate. — Sta bene, disse il mendicante, mandate fuori il vostro lacchè. In fatti Bazin, curioso di sapere ciò che il mendicante voleva dal suo padrone, aveva regolato il di lui passo sul suo, ed era giunto quasi nello stesso momento. Ma questa celerità non gli servì a gran cosa. Dietro l'invito del mendicante, il suo padrone gli fece cenno di ritirarsi, e fu obligato di obbedire. Partito Bazin, il mendicante gettò uno sguardo intorno a se, per assicurarsi che non poteva essere nè veduto nè inteso, e aprendo la sua veste di cenci, mal chiusa da un cinto di cuoio, si mise a scucire la parte più alta della sua casacca, di dove cavò una lettera. Aramis gettò un grido di gioia alla vista del sigillo, baciò lo scritto, e con un rispetto di venerazione, aprì il biglietto, che conteneva quanto segue: «Amico, la sorte vuole che noi siamo separati per qualche tempo ancora; ma i bei giorni della gioventù non sono perduti senza ritorno. Fate il vostro dovere al campo, io faccio il mio da un altra parte. «Prendete ciò che il latore vi rimetterà; fate la campagna da bello e buon gentiluomo, e pensate a me. Addio, o piuttosto a rivederci.» Il mendicante scuciva sempre; egli cavò uno ad uno, dai suoi sudici abiti, cento cinquanta dobloni di Spagna, che mise in fila sulla tavola; quindi aprì la porta, salutò, e partì, prima che il giovane, stupefatto, avesse osato d'indirizzargli una parola. Aramis allora rilesse la lettera, e si accorse che questa lettera, aveva un _post-scriptum_. «P. S. Voi potete fare buona accoglienza al latore, il quale è conte e grande di Spagna.» — Sogni dorati! grido Aramis; oh! la bella vita! Sì, noi siamo giovani! sì, noi avremo ancora dei giorni felici! oh! a te amor mio, sangue mio, mia esistenza! tutto, tutto, tutto, mia bella amica. E baciò la lettera con passione senza neppure guardare l'oro che risplendeva sulla tavola. Bazin grattò alla porta. Aramis non aveva più ragione per tenerlo in distanza, e gli permise di entrare. Bazin restò stupefatto alla vista di quell'oro, e dimenticò che doveva annunziare d'Artagnan, che, curioso di sapere ciò che era accaduto del mendicante, veniva da Aramis sortendo dalla casa di Athos. Ora, siccome d'Artagnan non si prendeva riguardi con Aramis, vedendo che Bazin dimenticava di annunziarlo, si avanzò da se stesso. — Ah diavolo! mio caro Aramis, disse d'Artagnan se queste sono le prugne che vi si mandano da Tours, voi ne farete i miei complimenti al giardiniere che le raccoglie. — V'ingannate, mio caro, disse Aramis sempre prudente; è il mio libraio che m'invia il prezzo di quel poema in versi monosillabi che io aveva incominciato laggiù. — Ah! davvero? disse d'Artagnan. Ebbene! il vostro libraio è generoso, mio caro Aramis, ecco tutto ciò che io posso dire. — Come, signore! gridò Bazin, un poema si vende così caro? è incredibile! oh! signore, voi fate tutto ciò che volete, voi potete divenire uguale al signor Voiture, e al signor Benserade. Io amo anche questo. Un poeta è quasi un abbate. Ah! signor Aramis, fatevi dunque poeta, ve ne prego. — Bazin, amico mio, disse Aramis, io credo che voi vi immischiate nella nostra conversazione. Bazin capì che aveva torto, abbassò la testa, e sortì. — Ah! disse d'Artagnan con un sorriso, voi vendete le vostre produzioni a peso d'oro? siete ben fortunato, amico mio! Ma osservate, voi perderete questa lettera che vi sorte di saccoccia, e che senza dubbio è pure un biglietto del libraio. Aramis arrossì fino nel bianco degli occhi, spinse in dentro la lettera, e si abbottonò la casacca. — Mio caro d'Artagnan, diss'egli, se volete, possiamo andare a ritrovare i nostri amici, e poichè io sono ricco, ricominceremo da oggi a pranzare assieme, aspettando che voi pure siate a vostra volta ricchi. — In fede mia, disse d'Artagnan, con molto piacere. — È un gran tempo che noi non abbiamo fatto un buon pranzo, e siccome questa sera per conto mio ho da azzardare una spedizione pericolosa, avrò piacere, ve ne lo confesso, di farmi alzare un po' la testa con qualche bottiglia di vecchio borgogna. — Vada per il borgogna, io pure non lo detesto, disse Aramis, al quale la vista dell'oro aveva tolto le sue idee di ritiro. E avendo messo due o tre dobloni in saccoccia, per riparare ai bisogni del momento, ripose gli altri nella cassetta d'ebano intarsiata d'avorio, ove era di già il famoso fazzoletto che gli era servito di talismano. I due amici si portarono prima da Athos, che, fedele al giuramento che aveva fatto di non sortire di casa, s'incaricò di far preparare il pranzo in camera sua. Siccome ei s'intendeva a meraviglia dei dettagli gastronomici, d'Artagnan e Aramis non ebbero alcuna difficoltà di abbandonargli una cura così importante. Essi si portavano all'alloggio di Porthos quando, all'angolo della strada di Bacco, incontrarono Mousqueton, che, con aria pietosa, cacciava innanzi a se un mulo ed un cavallo. D'Artagnan mandò un grido di sorpresa, che non era esente da un misto di gioia. — Ab! il mio cavallo giallo! gridò egli ad Aramis, guardate questo cavallo. — Oh! che orribile ronzino! disse Aramis. — Ebbene! mio caro, riprese d'Artagnan, questo è il cavallo sul quale sono venuto a Parigi. — Come, il signore conosce questo cavallo? disse Mousqueton. — Esso è di un colore originale, fece Aramis; è il solo che io abbia veduto di questo pelame. — Lo credo bene! disse d'Artagnan; io l'ho venduto per tre scudi, e bisogna ben dire che sia stato per il pelame, poichè la carcassa non vale certamente diciotto lire. Ma in che modo questo cavallo si trova nelle tue mani, Mousqueton? — Ah! disse il cameriere, non me ne parlate, signore; è uno spaventoso giro del marito della nostra duchessa. — In che modo, Mousqueton? — Sì, noi siamo veduti di molto buon occhio da una donna di qualità, dalla duchessa de... Ma, perdono, il mio padrone mi ha raccomandato di essere secreto. Ella ci aveva obbligati ad accettare un piccolo ricordo, un magnifico destriero di Spagna e un mulo d'Andalusia, che erano maravigliosi a vedersi. Il marito ha saputo la cosa: egli ha confiscato nel loro passaggio le due magnifiche bestie che ci venivano inviate, e ha sostituito loro questi orribili animali. — Che tu gli riconduci? disse d'Artagnan. — Precisamente, riprese Mousqueton: noi non possiamo accettare simili cavalcature in luogo di quelle che ci erano state promesse. — No, per bacco! quantunque avrei veduto volentieri Porthos sul mio cavallo giallo; ciò mi avrebbe dato un'idea di quello che era io stesso, quando sono venuto a Parigi. Ma noi non vogliamo trattenerti; va a fare la commissione che ti ha data il tuo padrone; va, Mousqueton. Porthos è sempre in casa? — Sì, signore, disse Mousqueton, ma di molto cattivo umore; andate. E continuò il viaggio verso la strada dei Grandi-Agostiniani, nel mentre che i due amici andarono a suonare alla porta del disgraziato Porthos. Questi li aveva veduti traversare il cortile, e non aveva volontà di aprire. Essi suonarono adunque inutilmente. Frattanto Mousqueton continuava la sua strada, e, traversando il Ponte Nuovo, sempre cacciando innanzi a se le due carogne, giunse alla strada degli Orsi. Giunto là, egli attaccò, secondo gli ordini ricevuti dal suo padrone, il cavallo ed il mulo al martello della porta del procuratore, quindi, senza inquietarsi sulla loro sorte futura, se ne ritornò a trovare Porthos, e gli annunziò che la sua commissione era eseguita. In capo ad un certo tempo, le due disgraziate bestie, che non avevano mangiato fin dalla mattina, fecero un tal rumore sollevando e lasciando ricadere il martello, che il procuratore ordinò al suo salta-fossi di andare ad informarsi nel vicinato a chi appartenevano questo cavallo e questo mulo. La signora Coquenard riconobbe il suo presente, e sulle prime non capiva la causa di questa restituzione; ma ben presto le venne spiegata dalla vista di Porthos. Il corruccio che scintillava dagli occhi del moschettiere, ad onta degli sforzi che s'imponeva, spaventò la sensibile amante. In fatti, Mousqueton non aveva nascosto al suo padrone l'incontro fatto di d'Artagnan e di Aramis, e che d'Artagnan nel cavallo giallo, aveva riconosciuto il ronzino bearnese sul quale era venuto a Parigi, e che aveva venduto per tre scudi. Porthos uscì dopo avere dato un appuntamento alla procuratrice nel chiostro di S. Gloria. Il procuratore vedendo che Porthos partiva, lo invitò a pranzo, invito che il moschettiere rifiutò con un'aria piena di maestà. La signora Coquenard si portò tutta tremante al chiostro di S. Gloria, perchè indovinava i rimproveri ch'ivi l'aspettavano; ma ella era affascinata dalle grandi maniere di Porthos. Tutto ciò che un uomo ferito nell'amor proprio può lasciar cadere d'imprecazione sulla testa d'una donna, Porthos lo lasciò cadere sulla testa incurvata della procuratrice. — Ahimè! diss'ella, io aveva fatto tutto per lo meglio. Uno dei nostri clienti è mercante di cavalli; egli doveva una somma allo studio e si è mostrato recalcitrante; io ho preso questo mulo e questo cavallo per quello che ci doveva. Egli mi aveva promesso due cavalcature reali. — Ebbene! s'egli vi doveva più di cinque scudi, il vostro cozzone è un ladro. — Non è proibito di ricercare il buon mercato, sig. Porthos, disse la procuratrice cercando di scusarsi. — No, signora, ma quelli che cercano il buon mercato debbono permettere agli altri di cercare degli amici più generosi. E Porthos, girando sopra i suoi talloni, fece un passo per allontanarsi. — Sig. Porthos! gridò la procuratrice, io ho torto, lo riconosco; non avrei dovuto mercanteggiare quando si trattava di equipaggiare un cavaliere come voi. Porthos, senza rispondere, fece un passo di ritirata. La procuratrice credè vederlo in una nube risplendente, tutto circondato da duchesse e da marchese che li gettavano dei sacchi d'oro ai suoi piedi. — Fermatevi in nome del cielo, sig. Porthos! fermatevi e parliamo. — Parlare con voi, mi porta disgrazia, disse Porthos. — Ma ditemi, che cosa domandate? — Niente, perchè torna lo stesso che chiedervi qualche cosa. La procuratrice si attaccò al braccio di Porthos, e nello slancio del suo dolore ella gridò: — Sig. Porthos, io non so niente di tutte queste cose. So io che cosa sia un cavallo? So io che cosa sia un arnese? — Allora bisognava riportarvene a me, che me ne intendo, signora; ma voi avete voluto economizzare e per ciò prestare ad usura. — Questo è un torto che io saprò riparare, sig. Porthos! sulla mia parola d'onore! — Ed in che modo signora? domandò il moschettiere. — Ascoltate. Questa sera il signor Coquenard va dal sig. duca di Caulnes, che lo ha mandato a chiamare. È un consulto che durerà almeno due ore. Venite, noi saremo soli, e faremo i nostri conti. — Alla buon'ora. Ecco quello che si chiama parlare, mia cara. — Mi perdonerete voi? — Vedremo, disse maestosamente Porthos. Ed entrambi si separarono ripetendo: a questa sera! — Diavolo! pensò Porthos nell'allontanarsi: mi pare di ricordarmi dove sta lo scrigno del sig. Coquenard. CAPITOLO XXXV. LA NOTTE TUTTI I GATTI SONO GRIGI Finalmente giunse quella sera aspettata con tanta impazienza da Porthos e da d'Artagnan. D'Artagnan, come d'ordinario, si presentò da milady verso le nove ore. Egli la ritrovò di un umore grazioso; giammai egli era stato così ben ricevuto. Il nostro Guascone vide dal primo colpo d'occhio che il preteso biglietto del conte de Wardes era stato presentato da Ketty alla sua padrona, e che questo biglietto produceva il suo effetto. Ketty entrò per portare i sorbetti. La sua padrona la trattò cortesemente, e le sorrise col suo più grazioso sorriso. Ma la povera giovane era così trista per la presenza di d'Artagnan vicino alla sua padrona, che non s'accorse della benevolenza di milady. D'Artagnan guardava, l'una dopo l'altra, ed era costretto a confessare che la natura si era sbagliata nel formarle. Alla gran dama aveva data un'anima venale e perfida, alla cameriera aveva dato un cuore amoroso ed affezionato. A dieci ore, milady cominciò a comparire inquieta: d'Artagnan indovinò benissimo che cosa voleva dire; ella guardava l'orologio a pendolo, si alzava, ritornava a mettersi a sedere, e sorridea a d'Artagnan in un modo che voleva dire: — Voi certamente siete amabilissimo, ma voi sareste altrettanto obbligante se ve ne andaste. D'Artagnan si alzò e prese il suo cappello; milady gli dette la sua mano a baciare. Il giovane sentì stringersi la sua mano e capì che questo era un sentimento, non di civetteria, ma di gratitudine per la sua partenza. — Ella lo ama furiosamente! mormorò egli. Quindi partì. Questa volta Ketty non lo aspettava nè nell'anticamera, nè nel corridoio, nè sulla gran porta. Bisognò che d'Artagnan ritrovasse da se solo la sala e la piccola camera. Ketty era assisa col viso nascosto nelle sue mani, e piangeva. Ella intese entrare d'Artagnan, ma non alzò la testa. Il giovane andò a lei e le prese le mani, allora ella scoppiò in singhiozzi. Come lo aveva supposto d'Artagnan, milady nel ricevere la lettera, che credeva fosse la risposta del conte de Wardes, aveva, nel delirio della sua gioia, confessato tutto a Ketty; quindi in ricompensa del modo con cui quella volta aveva eseguita la sua commissione, le aveva regalata una borsa. Ketty rientrando in camera sua, aveva gettata la borsa in un angolo, ove era rimasta aperta, spargendo tre o quattro monete d'oro sul tappeto. La povera giovane, alla voce di d'Artagnan, rialzò finalmente la testa. D'Artagnan fu spaventato dallo sconvolgimento del suo viso; ella congiunse le sue mani con un'aria supplichevole, ma non osò di dire una parola. Per quanto fosse poco sensibile il cuore di d'Artagnan, si sentì intenerito da questo muto dolore; ma egli stava troppo attaccato ai suoi progetti, e soprattutto a questo, per non cambiar niente nel programma che aveva stabilito in antecedenza; egli non lasciò a Ketty alcuna speranza d'impedire la temeraria intrapresa che aveva risoluta; soltanto la rappresentò a lei per quello che realmente era, vale a dire come una semplice vendetta contro la civetteria di milady, e come l'unico mezzo che avesse avuto, dominandola colla paura di uno scandalo, di ottenere da lei le informazioni che desiderava sul conto della sig. Bonacieux. Questo piano, del resto, diveniva tanto più facile ad eseguirsi, in quanto che milady, per dei motivi che ora non si possono spiegare, ma che sembravano avere una grande importanza, aveva raccomandato a Ketty di spegnere tutti i lumi nel suo appartamento, ed anche quelli nella camera della confidente. In capo a pochi istanti s'intese milady che rientrava nella sua camera. D'Artagnan si slanciò subito nel suo armadio; appena vi si era chiuso, si sentì suonare il campanello. Ketty entrò dalla sua padrona, e non lasciò la porta aperta; ma il tramezzo delle due camere era così sottile, che s'intendea presso a poco tutto quello che si diceva dalle due donne. Milady sembrava ebbra di gioia; ella si faceva ripetere da Ketty i più piccoli particolari della pretesa conversazione, fra la sua confidente e de Wardes, in che modo aveva ricevuto la lettera, come le aveva risposto, quale era l'espressione del suo viso, s'egli sembrava molto innamorato; e a tutte queste domande la povera Ketty, costretta di far buona apparenza, rispondeva con voce soffocata, di cui la padrona non rimarcava neppure l'accento doloroso, tanto la felicità è egoista. Finalmente, siccome si avvicinava l'ora della sua conversazione col conte, milady fece di fatti spegnere tutti i lumi del suo appartamento, e ordinò a Ketty di rientrare nella sua camera, e d'introdurre de Wardes tosto che si fosse presentato. L'aspettativa di Ketty non fu lunga. Appena d'Artagnan ebbe veduto dal foro della serratura che tutto l'appartamento era nelle tenebre, si slanciò dal suo nascondiglio nello stesso istante in cui Ketty richiudeva la porta di comunicazione. — Che cosa è questo rumore? domandò milady. — Sono io, disse d'Artagnan a mezza voce, sono io, il conte de Wardes. — Oh! mio Dio! mio Dio! mormorò Ketty, non ha neppure potuto aspettare l'ora ch'egli stesso aveva stabilita. — Ebbene! disse milady con voce tremante, perchè non entrate? Conte, conte, soggiunse, voi sapete io vi aspetto. A questo appello, d'Artagnan allontanò dolcemente Ketty, e si slanciò nella camera di milady. Se la rabbia ed il dolore devono turbare un'anima, è quella dell'amante che riceve, sotto un nome che non è il suo, delle proteste di amore che vengono indirizzate al suo rivale. D'Artagnan era in una situazione dolorosa, che non aveva preveduta; la gelosia gli mordeva il cuore, e soffriva quasi tanto quanto la povera Ketty, che in quello stesso momento piangeva nella camera vicina. — Sì, conte, diceva milady colla sua voce più dolce, stringendo la di lui mano fra le sue; sì, io sono felice dell'amore che i vostri sguardi e le vostre parole mi hanno sempre espresso ogni qualvolta ci siamo incontrati. Io pure, io vi amo. Oh! domani, domani, io voglio da voi un qualche pegno che mi provi che pensate a me; e perchè voi non abbiate a dimenticarvene, prendete. Ed ella passò un anello dal suo dito in quello di d'Artagnan Era un magnifico zaffiro circondato di brillanti. Il primo movimento di d'Artagnan fu quello di restituirlo: milady soggiunse: — No, no, conservate, questo anello per amor mio; d'altronde, nell'accettarlo voi mi rendete un servigio, molto più grande di quello che potete immaginarvi, aveva aggiunto con voce molto commossa. — Questa donna è piena di misteri, pensò d'Artagnan. In questo momento egli si sentì sul punto di tutto scoprire. Aprì la bocca per dire a milady chi era, e quale scopo di vendetta lo aveva guidato, ma ella riprese: — Povero angelo, che per poco non è rimasto ucciso da quel mostro di Guascone! Il mostro, era lui. — Oh! continuò milady, le vostre ferite vi fanno ancora soffrire? — Sì, molto, disse d'Artagnan, che non sapeva più che cosa rispondere. — Siate tranquillo, mormorò milady con un tuono di voce poco rassicurante per l'uditore, io vi vendicherò, e crudelmente! — Peste! disse fra se d'Artagnan, il momento di spiegarsi non è ancora venuto. Fu mestieri che passasse qualche tempo perchè d'Artagnan potesse rimettersi dall'emozione provata in questo dialogo: tutte le idee di vendette che aveva seco portate, erano intieramente svanite. Questa donna esercitava su lui un incredibile potere, egli l'odiava e l'adorava ad un tempo; non aveva mai creduto che due sentimenti così opposti potessero allignare nel medesimo cuore, e nel riunirsi, formare uno strano amore, in qualche modo diabolico. Durante tutto il loro colloquio non ritrovò la circostanza favorevole da introdurre il discorso in modo da poter raccogliere informazioni sulla disgraziata Bonacieux, fors'anche allora vi pensava poco. Frattanto suonò un'ora, e bisognava separarsi. D'Artagnan, al momento di lasciare milady, non sentì più che un vivo dispiacere di doversi allontanare, e nell'addio appassionato che s'indirizzarono reciprocamente, fu convenuto un nuovo appuntamento per la settimana vegnente. La povera Ketty sperava di poter indirizzare qualche parola a d'Artagnan, quando passava per la sua camera; ma milady lo condusse ella stessa nell'oscurità, e non lo lasciò che sulle scale. L'indomani mattina d'Artagnan corse tosto da Athos. Egli era ingolfato in un'avventura così strana, che voleva domandare un consiglio. Gli raccontò tutto. Athos aggrottò più volte le sopracciglia. — La vostra milady, gli disse, mi sembra una creatura infame; ma voi non avete per questo meno torto nell'ingannarla. Eccovi in un modo o nell'altro con un nemico sul braccio. E mentre così parlava, Athos guardava con molta attenzione il zaffiro circondato di diamanti che nel dito di d'Artagnan aveva preso il posto del diamante della regina, con ogni cura riposto in uno scrigno. — Voi guardate questo anello? disse il Guascone, tutto glorioso di far risplendere agli occhi dei suoi amici un così ricco regalo. — Sì, disse Athos, esso mi ricorda un gioiello di famiglia. — È bello, non è vero? disse d'Artagnan. — Magnifico! io non credeva che esistessero due zaffiri di un'acqua così bella. L'avete voi dunque contrattato col vostro diamante? — No, disse d'Artagnan, questo è un regalo della mia bella Francese; poichè quantunque non le ne abbia chiesto, sono convinto ch'ella è nata in Francia. — Questo anello vi è stato dato da milady? gridò Athos con una voce in cui era facile scorgervi la più grande emozione. — Da essa stessa; me lo ha regalato questa notte. — Mostratemi dunque questo anello, disse Athos. — Eccolo, rispose d'Artagnan levandolo dal suo dito. Athos lo esaminò e divenne pallidissimo. Lo provò quindi all'anulare della sua mano sinistra, esso andava a questo dito come se fosse stato fatto per lui. Una gradazione di collera e di vendetta passò sulla fronte così ordinariamente calma del gentiluomo. — È impossibile che questo sia lo stesso diss'egli. In che modo potrebbe questo anello ritrovarsi nelle mani di milady Clarik? Eppure è ben difficile che fra due gioielli vi sia una così grande rassomiglianza. — Conoscete voi questo anello? domandò d'Artagnan. — Credeva di riconoscerlo? disse Athos, ma senza dubbio mi sbaglio. E lo rese a d'Artagnan senza però cessare dal guardarlo. — Vi prego, diss'egli dopo un momento, d'Artagnan, togliete questo anello dal vostro dito, voltate la pietra alla parte interna della mano. Esso mi richiama così crudeli rimembranze che non avrei la mia testa per ragionare con voi. Non eravate venuto per richiedermi un consiglio, non mi dicevate ch'eravate imbarazzato su ciò che dovevate fare?.. Ma aspettate, ritornate a darmi questo zaffiro, quello, di cui parlava deve avere una delle sue faccette scagliata per cagion di un certo accidente. D'Artagnan levò di nuovo l'anello dal dito, e lo rese ad Athos. Athos fremette. — Guardate, disse egli, guardate! non è questa una scagliatura? E mostrava a d'Artagnan il luogo ove si ricordava che doveva esistere. — Ma da chi proviene questo zaffiro, Athos? — Da mia madre, che lo aveva dalla madre sua. Come io diceva, questo è un vecchio gioiello che non doveva mai uscire dalla mia famiglia. — E voi lo avete venduto? domandò con esitazione d'Artagnan. — No, rispose Athos con un singolar sorriso: io l'ho regalato in un'ora d'amore, come è stato dato a voi. D'Artagnan rimase egli pure pensieroso. Gli sembrava scorgere nella vita di milady degli abissi, le di cui profondità erano oscure e terribili. Egli mise l'anello, non più in dito, ma in saccoccia. — Ascoltate, gli disse Athos prendendolo per la mano: voi sapete se io vi amo; d'Artagnan, se avessi un figlio non lo amerei più di voi; ebbene! credetemi, rinunciate a questa donna; io non la conosco, ma una specie d'interno presentimento mi dice che è una creatura perduta, e che in essa vi è qualche cosa di fatale. — Avete ragione, disse d'Artagnan. Io me ne separerò. Vi confesso che questa donna spaventa me pure. — Avrete voi questo coraggio? disse Athos. — Io lo avrò, rispose d'Artagnan, e sull'istante medesimo. — Ebbene, davvero, figlio mio; voi avete ragione, disse il gentiluomo stringendo la mano al Guascone con una affezione quasi paterna. E Dio voglia che questa donna, che è appena entrata nella vostra esistenza, non vi lasci una traccia funesta! E Athos salutò d'Artagnan con un movimento della testa, come un uomo che vuol far comprendere che non sarebbe dispiacente di rimaner solo coi suoi pensieri. Entrando in casa sua d'Artagnan ritrovò Ketty che lo aspettava. Un mese di febbre non avrebbe fatto così gran cambiamento nella povera giovane, quanto lo aveva operato un'ora o due di gelosia e di dolore. Ella era mandata dalla sua padrona al conte de Wardes. La sua padrona era folle d'amore, ebbra di gioia. Ella voleva sapere dal conte se avesse potuto sollecitare l'istante del convenuto appuntamento. E la povera Ketty pallida e tremante aspettava la risposta di d'Artagnan. Athos aveva una grande influenza sul giovane. I consigli del suo amico, uniti a' sentimenti del proprio cuore e alla rimembranza della signora Bonacieux che non l'abbandonava che raramente, l'avevano determinato, ora che il suo orgoglio era salvato, a non più rivedere milady. Per tutta risposta, prese una penna e scrisse la seguente lettera come aveva fatto la prima volta. «Non contate sopra di me, signora; dopo la mia convalescenza, ho tante conversazioni di questo genere da accordare, che mi è abbisognato mettere un certo ordine. Quando verrà il vostro turno, avrò io stesso l'onore di darvene avviso. Vi bacio la mano». Del zaffiro non fece parola; il Guascone voleva conservarlo fino a nuovo ordine, come un'arma contro milady. Del resto si avrebbe torto a giudicare delle azioni di un'epoca messe a confronto colle azioni di un'altra epoca. Ciò che in oggi si considererebbe come un'onta ad un galantuomo, allora era una cosa del tutto semplice e naturale. D'Artagnan consegnò la sua lettera a Ketty aperta, la quale la lesse, la prima volta senza capirla, e poco mancò che non divenisse pazza per la gioia quando la rilesse. Ketty non poteva credere a questa felicità; d'Artagnan fu obbligato di ripeterle a viva voce quelle assicurazioni che teneva scritte. Qualunque avesse potuto essere, col carattere impetuoso di milady, il pericolo che correva la povera fanciulla nel rimettere quella lettera alla sua padrona, non per questo ella non ritornò meno alla piazza Reale con tutta la sveltezza delle sue gambe. Il cuore della donna la più buona, è senza pietà pei dolori della sua rivale. Milady aprì la lettera con non minor fretta di quella che aveva avuta Ketty a portarla; ma dalle prime parole ch'ella lesse, diventò livida; quindi contorse rabbiosamente la carta, finalmente si voltò con un baleno sugli occhi dal lato di Ketty. — Che cosa è questa lettera? diss'ella. — È la risposta a quella della signora, rispose Ketty tutta tremante. — Impossibile! riprese milady, impossibile che un gentiluomo scriva ad una donna una simile lettera! Poi ad un tratto gridò: — Mio Dio! saprebbe egli? E si arrestò fremendo. I denti le stridevano: divenne color di cenere; volle fare un passo verso una finestra per respirare un poco d'aria, ma non potè reggersi sulle gambe, la forza le mancò, e cadde sopra un sofà. Ketty credè che si sentisse male e si precipitò per slacciarle il busto. Ma milady si rialzò prestamente; — Che volete voi? e perchè mi mettete la mano addosso? — Io credeva che la signora si sentisse male, e credeva arrecarle soccorso, rispose la cameriera spaventata dalla terribile espressione che aveva assunta la figura della sua padrona. — Io sentirmi male! io? mi prendete forse per qualche donnicciuola? quando mi si insulta io mi vendico, intendete voi? E colla mano fece un segno a Ketty perchè uscisse. CAPITOLO XXXVI. IL SOGNO DI VENDETTA La sera; milady dette ordine che il sig. d'Artagnan fosse introdotto tosto che veniva; ma egli non venne. Il giorno dopo Ketty ritornò di nuovo dal giovane e gli raccontò tutto ciò che era accaduto il giorno innanzi: d'Artagnan sorrise. Questa gelosa collera di milady era la sua vendetta. La sera, milady fu più impaziente ancora della sera innanzi. Rinnovò l'ordine relativo al Guascone; ma, come la sera antecedente, ella aspettò invano. L'indomani, Ketty si presentò in casa di d'Artagnan, non più allegra e snella come nei due giorni precedenti, ma al contrario trista da morire. D'Artagnan chiese alla povera giovanetta ciò che aveva; ma questa, per risposta, cavò una lettera di tasca e gliela rimise. Questa lettera era dal carattere di milady; soltanto, questa volta era realmente diretta al sig. d'Artagnan, e non al conte de Wardes. Egli l'aprì e lesse ciò che segue: «Caro sig. d'Artagnan, è male l'essere negligenti coi suoi amici, particolarmente nel momento in cui si è sul punto di lasciarsi per lungo tempo. Mio cognato ed io vi abbiamo inutilmente aspettato ieri e ieri l'altro a sera. Sarà forse lo stesso questa sera? «Vostra riconoscentissima «_Lady de Winter_» — La cosa è semplicissima, disse d'Artagnan, io mi aspettava questa lettera. Il mio credito s'innalza coll'abbassarsi di quello del conte de Wardes. — Vi andrete voi? domandò Ketty. — Ascolta, mia cara fanciulla, disse il Guascone che cercava di scusarsi ai suoi propri occhi nel mancare alla promessa che aveva fatta ad Athos; capisci che sarebbe cosa impolitica il non arrendersi ad un invito così positivo. Milady, non vedendomi venire, non capirebbe niente della interruzione delle mie visite, ella potrebbe dubitare di qualche cosa, e chi può dire fino a qual punto potrebbe giungere la sua vendetta? — Oh! mio Dio! disse Ketty, voi sapete rappresentare le cose in modo che avete sempre ragione. Ma voi ritornerete a farle la corte, e se questa volta giungerete a piacerle sotto il vostro vero nome, e col vostro vero viso, l'affare sarà molto peggio della prima volta! L'istinto faceva indovinare alla povera giovane una parte di ciò che doveva accadere. D'Artagnan la rassicurò il meglio che potè, e le promise di restare insensibile alle seduzioni di milady. Egli le fece rispondere che era riconoscente alla sua bontà in modo da non potersi essere di più, e che si sarebbe presentato a ricevere i suoi ordini: ma non azzardò di scriverle per timore che, ad occhi così esercitati come quelli di milady, non avesse da alterare abbastanza il suo scritto. A nove ore in punto, d'Artagnan stava sulla piazza Reale. Era evidente che i servitori che stanziavano nell'anticamera erano stati prevenuti, perchè subito che comparve, prima ancora ch'egli avesse domandato se milady era visibile, uno di essi corse ad annunziarlo. — Fate entrare, disse milady con voce così certa ma così penetrante, che d'Artagnan la intese stando in anticamera. Fu introdotto. — Non vi sono per nessuno, disse milady, intendete voi bene? per nessuno. Il lacchè sortì. D'Artagnan gettò uno sguardo curioso sopra milady: ella era pallida e aveva gli occhi affaticati, sia dalla veglia, sia dalle lagrime. Si era a bella posta diminuito il numero dei lumi, e pure milady non potè nascondere le tracce della febbre che da due giorni la divorava. D'Artagnan si avvicinò a lei colla consueta sua galanteria; ella fece allora uno sforzo straordinario per riceverlo, ma giammai fisonomia più sconvolta non smentì maggiormente un sorriso amabile. Alle domande che d'Artagnan le fece sulla sua salute: — Cattiva, rispose ella; cattivissima. — Ma allora, disse d'Artagnan, io riesco indiscreto; voi dunque avete bisogno senza dubbio di riposo, io mi ritiro. — No, disse milady, al contrario, restate, sig. d'Artagnan; la vostra amabile compagnia mi distrarrà. Ella non è mai stata così attraente, pensò d'Artagnan: diffidiamone. Milady prese l'aspetto più affettuoso che potesse prendere, e dette tutte le attrattive possibili al discorso. Nello stesso tempo quella febbre che l'aveva un istante abbandonata ritornava a rendere lo splendore ai suoi occhi, il colorito alle sue guance, il carminio alle sue labbra. D'Artagnan ritrovò la Circe che lo aveva già avvolto nel suo incantesimo. Milady sorrideva, e d'Artagnan sentiva che avrebbe data la sua vita per quel sorriso. Vi fu perfino un momento in cui egli provò un pentimento che si accostava al rimorso per tutto ciò che le aveva fatto. A poco a poco milady divenne più comunicativa. Ella domandava a d'Artagnan s'egli aveva un cuore, un amore. — Ahimè! disse d'Artagnan con l'aria la più sentimentale, potete voi esser crudele a segno da fare una simile domanda, a me che, dal momento in cui vi ho veduta, non sospiro, e non respiro più che per voi? Milady sorrise con uno strano sorriso. — In tal modo voi dunque mi amate? diss'ella. — Ho io bisogno di dirvelo? e non ve ne siete accorta? — Sia pure, ma voi sapete che i cuori più sono orgogliosi, più sono difficili a prendersi. — Oh! le difficoltà non mi spaventano, disse d'Artagnan; non vi sono che le impossibilità che mi atterriscono. — Niente è impossibile, disse milady, ad un vero amore. — Niente, signora? — Niente, rispose milady. Diavolo! pensò fra se d'Artagnan, la nota è cambiata. Diventerebbe ella forse innamorata di me, la capricciosa? e sarebbe ella disposta a dare a me pure qualche altro zaffiro simile a quello che mi ha regalato per il conte de Wardes? — Vediamo: riprese milady, che fareste voi per provare questo amore di cui parlate? — Tutto ciò che si esigesse da me. Che si ordini, e io sono pronto. — A tutto? — A tutto! gridò d'Artagnan, il quale sapeva in antecedenza che non arrischiava gran cosa impegnandosi in tal modo. — Ebbene! parliamo un poco, disse milady avvicinando la sua sedia alla sedia di d'Artagnan. — Vi ascolto, signora, disse questi. Milady restò un istante pensierosa e come indecisa, quindi sembrando prendere una risoluzione: — Io ho un nemico, diss'ella. — Voi, signora! gridò d'Artagnan simulando sorpresa. Sarà egli possibile, mio Dio, bella e buona come voi siete! — Un nemico mortale. — Davvero? — Un nemico che mi ha insultata così crudelmente che si è aperta fra lui e me una guerra a morte. Posso io contare su di voi come ausiliario? D'Artagnan vide sul momento ove la vendicativa creatura voleva venirne. — Voi lo potete, signora, diss'egli con enfasi. Il mio braccio e la mia vita sono vostri, come il mio amore. — Allora, disse milady, poichè voi siete tanto generoso quanto innamorato... Ella si fermò. — Ebbene? domandò d'Artagnan. — Ebbene, rispose milady dopo un momento di silenzio, da questo istante cessate dal parlare d'impossibilità. — Non mi opprimete colla mia felicità! gridò d'Artagnan precipitandosi ai suoi ginocchi, coprendo di baci le mani ch'ella gli abbandonava. — Vendicami di questo infame di de Wardes, pensava milady, e io saprò bene sbarazzarmi in seguito di te, doppio imbecille, lama di spada vivente. — Sì, dimmi tu che mi ami dopo avermi così sfrontatamente ingannato, ipocrita e pericolosa donna, pensava dal canto suo d'Artagnan, e in seguito io riderò di te con quello stesso che tu vuoi punire col mezzo della mia mano. D'Artagnan rialzò la testa. — Io son pronto diss'egli. — Voi mi avete dunque capito, caro signor d'Artagnan, disse milady. — Io indovinerei i vostri sguardi. — In tal modo dunque voi impiegherete per me il vostro braccio, che si è già acquistato tanta fama? — Sull'istante medesimo. — E, disse milady, come ricompenserò io mai un simile servigio? — Il vostro amore è la sola ricompensa che io desidero, disse d'Artagnan, la sola che sia degna di voi e di me. — Interessato! diss'ella sorridendo. — Ah! gridò d'Artagnan, trasportato un istante dalla passione che questa donna aveva l'abilità di accendere nel suo cuore: ah! egli è che il vostro amore mi sembra inverosimile, e che avendo timore di vederlo svanire come un sogno, ho fretta di riceverne rassicurazione positiva dalla vostra bocca. — Meritate voi dunque già una simile confessione? — Io sono ai vostri ordini, disse d'Artagnan. — Bene, sicuramente? fece milady con un ultimo dubbio. — Nominatemi l'infame che ha potuto far piangere i vostri begli occhi. — Chi vi ha detto che ho pianto? gridò ella. — Mi sembrava... — Le donne come me non piangono, riprese milady. — Tanto meglio! sentiamo, ditemi come si chiama. — Pensate che nel suo nome sta tutto il mio segreto. — Bisogna pure che io sappia il suo nome. — Sì, è necessario; vedete se io ho confidenza in voi! — Voi mi ricolmate di gioia. Come si chiama egli? — Voi lo conoscete. — Davvero? — Sì. — Non è già uno dei miei amici? riprese d'Artagnan fingendo esitazione, per far credere meglio alla sua ignoranza. — Se fosse uno dei vostri amici, voi dunque esitereste, gridò milady. E un lampo di minaccia passò davanti ai suoi occhi. — No, fosse ancora mio fratello! gridò d'Artagnan come trasportato dall'entusiasmo. Il nostro Guascone s'innoltrava senza rischi perchè sapeva dove andava. — Io amo il vostro entusiasmo, disse milady. — Ahimè! voi dunque non amate che questo in me? disse d'Artagnan. — Vi risponderò un'altra volta, disse ella prendendogli la mano. E questa pressione fece rabbrividire d'Artagnan, come se col tatto gli avesse comunicato la febbre di cui ella avvampava. — Voi mi amerete un giorno? gridò egli. Oh! se ciò fosse, sarebbe un perderne la ragione! D'Artagnan, infatti, era ebro di gioia, e nel suo delirio quasi credeva alla tenerezza di milady, quasi credeva al delitto di de Wardes. Se de Wardes si fosse ritrovato in quel momento sotto il tiro della sua mano, egli l'avrebbe ucciso. Milady afferrò l'occasione. — Egli si chiama... diss'ella a sua volta. — De Wardes, lo so, interruppe d'Artagnan. — E come lo sapete, esclamò afferrandolo con ambe le mani e tentando di leggere nei suoi occhi fino nel fondo dell'anima sua. D'Artagnan sentì che si era lasciato trasportare troppo oltre, e che aveva commesso uno sbaglio. — Dite, dite, ma dite adunque! ripeteva milady; come lo sapete voi? — Come lo so! disse d'Artagnan. — Sì. — Lo so, perchè ieri de Wardes, in una sala ove era io pure, ha mostrato un anello che disse avuto da voi. — Miserabile! gridò milady. L'epiteto, come si capirà bene, ritornò fino al fondo del cuore di d'Artagnan. — Ebbene? continuò ella! — Ebbene! io vi vendicherò di questo... miserabile! riprese d'Artagnan dandosi l'attitudine di Don Iaphet d'Armenia. — Grazie mio bravo amico, gridò milady. E quando sarò io vendicata? — Domani, subito, quando voi volete. Milady stava per gridare, «sul momento!» ma ella riflettè che una precipitazione sarebbe poco graziosa per d'Artagnan. D'altronde, essa aveva mille precauzioni da prendere, mille consigli da dare al suo difensore, perchè evitasse le spiegazioni davanti ai testimoni. — Domani, riprese d'Artagnan, voi sarete vendicata, o io sarò morto. — No, diss'ella, voi mi vendicherete, ma non morrete. Io so qualche cosa. — Che sapete voi? — Mi sembra che nella vostra lotta con lui non abbiate a lamentarvi della fortuna. — La fortuna è una cortigiana; favorevole ieri, ella può tradire domani. — Che è quanto dire che voi ora esitate? — No, io non esito. Il cielo me ne guardi! ma... — Silenzio! interruppe essa, sento mio fratello; è inutile che egli vi trovi qui. Ella suonò. Comparve Ketty. — Uscite da questa porta, disse a d'Artagnan spingendo la molla che fece aprire una porta segreta, e ritornate a undici ore, noi termineremo il nostro trattenimento. Ketty v'introdurrà nella mia camera. La povera fanciulla credè di cadere all'indietro sentendo queste parole. — Ebbene! che fate voi, signorina? restate là immobile come una statua! Presto riconducete il cavaliere, e questa sera, alle undici ore, avete inteso? Sembra che i suoi appuntamenti sieno tutti a undici ore, pensò d'Artagnan; sarà una specie di abitudine. Milady gli stese una mano che egli baciò teneramente. — Vediamo, pensò egli nel ritirarsi e rispondendo appena ai rimproveri di Ketty, vediamo, non siamo stupidi; decisamente questa donna è una grande scellerata. Stiamo in guardia. CAPITOLO XXXVII. IL SEGRETO DI MILADY D'Artagnan era uscito dal palazzo invece di salire subito da Ketty per ivi aspettare l'ora dell'appuntamento con milady, e ciò per due ragioni: la prima è che in questo modo evitava i rimproveri, le incriminazioni e le preghiere della giovinetta; la seconda è che egli era contento di riflettere e di penetrare freddamente, se era possibile, nel pensiero di questa donna. Ciò che gli parve più chiaro là dentro, si è, ch'egli si esponeva ad amare milady come un pazzo, e ch'ella, al contrario, non lo amava menomamente e non lo avrebbe amato mai. Un istante dopo egli comprese che quello che era meglio da farsi consisteva nel rientrare in casa e scrivere a milady una lunga lettera, nella quale confessarle che de Wardes e egli erano fino al momento lo stesso personaggio, e che per conseguenza egli non poteva impegnarsi, sotto pena di suicidio, ad uccidere de Wardes di cui ella pretendeva aversi a dolere; ma nella convinzione che essa lo detestasse, e che non lo riguardasse che come un vile istrumento di vendetta, che lo infrangerebbe dopo essersene servita, gli ritornò in cuore il pensiero della propria vendetta. Egli voleva governare questa donna che si pigliava giuoco di lui, e che lo aveva ferito essa pure nel suo più puro e sincero amore, rendendosi complice del rapimento della sig. Bonacieux. Fece cinque o sei volte il giro della piazza Reale, agitato da tutti questi sentimenti contrarii, e rivoltandosi ogni dieci passi per guardare la luce dell'appartamento di milady che si scopriva a traverso le gelosie, era evidente che questa volta milady aveva meno fretta della prima a rientrare nella sua camera. Finalmente suonarono le undici ore. A questo suono, cessò ogni irrisoluzione nel cuore di d'Artagnan. Si richiamò al pensiero tutti i particolari della conversazione che aveva avuta con milady, e per un di quei cambiamenti di risoluzione così frequenti in simili casi, entrò col cuore palpitante, con la testa in fuoco nel palazzo, e si precipitò nella camera di Ketty. La giovane, pallida come la morte, tremante in tutte le sue membra, volle fermare d'Artagnan; ma milady, coll'orecchio in ascolto aveva inteso il rumore fatto nell'entrare, ed aprì la porta. — Venite, diss'ella. D'Artagnan non aveva più la sua ragione; egli credeva di essere trascinato da qualcuno di quegli intrighi fantastici che si formano in sogno. Quindi si avanzò verso milady, cedendo a quella attrazione magnetica che la calamita esercita sul ferro. La porta si richiuse dietro a loro. Ketty a sua volta si slanciò contro la porta. La gelosia, il furore, l'orgoglio offeso, tutte finalmente le passioni che si disputano il cuore di una donna innamorata, la spingevano, ad una rivelazione; ma essa era perduta se confessava di aver tenuto mano ad un simile intrigo, e per sopra più d'Artagnan era perduto per essa. Quest'ultimo pensiero d'amore la consigliò ancora a questo ultimo sacrificio. D'Artagnan, dal canto suo, si abbandonava per intero alle ispirazioni della sua vanità. Non era più un rivale che si amava in lui, era egli stesso che si faceva sembiante di amare. Una voce segreta gli diceva bene, nel fondo del cuore, ch'egli non era che un'arme, che si accarezzava aspettando che desse la morte; ma l'orgoglio, ma l'amor proprio, ma la follia, facevano tacere questa voce, soffocavano questo mormorio. Poi il nostro Guascone, con la dose di confidenza che noi gli conosciamo, si paragonava a de Wardes e si domandava perchè, in fin del conto, non sarebbe amato esso stesso in se stesso. Mercè i prestigi de' suoi pensieri, milady non era più per lui quella donna dalle fatali intenzioni che lo aveva un istante spaventato, era una donna graziosa che prometteva di provare ella stessa l'amore che inspirava. Però, milady, che non aveva gli stessi motivi di d'Artagnan per obliare, lo tolse ben presto dalla sua contemplazione, e lo richiamò alla realtà della loro conversazione. Essa gli domandò se le misure che dovevano nell'indomani occasionare il di lui incontro con de Wardes erano già state stabilite in antecedenza nel suo spirito. Ma d'Artagnan, le di cui idee avevano preso un'altra strada, dimenticò se stesso come uno sciocco, e rispose galantemente che non era vicino a lei quando era tutto interamente nella felicità di vederla e di sentirla, che egli poteva occuparsi di duelli e di colpi di spada. Questa freddezza, per i soli interessi che la occupavano, spaventò milady, le di cui interrogazioni divennero più stringenti. Milady contenne la conversazione fra quei limiti che anticipatamente aveva tracciati col suo spirito irresistibile, e colla sua volontà di ferro. D'Artagnan allora si credè molto spiritoso consigliando a milady di rinunziare, perdonando a de Wardes, ai progetti furiosi che aveva formati. Ma alle prime parole che disse, il viso della signora prese un'espressione sinistra. — Avreste poi paura, caro signor d'Artagnan? gridò ella con voce stridula e beffarda che risuonò stranamente alle orecchie del giovane. — Voi non lo pensate, anima cara, rispose d'Artagnan; ma finalmente se questo povero conte de Wardes fosse meno colpevole di quello che voi pensate? — In ogni caso, disse gravemente milady, egli mi ha ingannata, e dal momento che mi ha ingannata ha meritata la morte. — Egli dunque morrà poichè voi lo comandate, disse d'Artagnan con un tuono così risoluto, che parve a milady l'espressione di una affezione a tutte pruove. Tosto essa gli sorrise di nuovo. — Sì, io son pronto a tutto, disse allora d'Artagnan con una involontaria esaltazione; ma prima vorrei essere certo di una cosa. — Di quale? domandò milady. — È che voi mi amate. — La vostra presenza qui ne è una pruova, mi sembra, rispose ella fingendo di essere imbarazzata. — Sì, e per questo io sono ai vostri cenni in corpo ed in anima. Disponete del mio braccio. — Grazie, mio bravo difensore; nello stesso modo che io vi provo il mio amore ricevendovi qui, voi dal canto vostro mi proverete il vostro, non è vero? — Certamente. Ma se voi mi amate come dite, riprese d'Artagnan, non temete voi un poco per me? — Che posso io temere? — Ma in fine che io non sia ferito pericolosamente, od anche ucciso? — Impossibile! disse milady. Voi siete un uomo valente ed una fina spada! — Voi dunque non preferireste, rispose d'Artagnan, un mezzo che vi vendicasse nello stesso modo, rendendo inutile il duello. Milady guardò il giovane in silenzio; i suoi occhi chiari avevano una espressione stranamente funesta. — Veramente diss'ella, io credo che ora voi di nuovo esitate! — No, io non esito, ma è che quel povero conte de Wardes mi fa veramente pena dal momento che non lo amate più; mi sembra che un uomo debba essere tanto crudelmente punito dalla perdita del vostro solo amore, che non abbia bisogno di essere gastigato. — Chi vi dice che l'ho amato? disse milady. — Almeno posso io credere al presente senza troppa fatuità che ne amate un altro? disse il giovane con tuono galante, e ve lo ripeto io m'interesso al conte. — Voi, domandò milady. — Sì, io. — E perchè voi? — Perchè io solo so.... — Che cosa? — Ch'egli è ben lungi dall'essere, o piuttosto dall'essere stato così colpevole verso di voi quando lo sembra. — In verità? disse milady con aria inquieta; spiegatevi, perchè, veramente, non so che cosa vogliate dire. Ed ella guardava d'Artagnan con cert'occhi che s'infiammavano a poco a poco di un fuoco sinistro. — Sì, io sono galantuomo, disse d'Artagnan deciso a finirla, e poichè mi avete confessato il vostro amore, e che io sono ben sicuro di possederlo, perchè lo possedo, non è vero! — Interamente. Continuate. — Ebbene! io mi sento come trasformato; una confessione mi pesa. — Una confessione? — Se avessi dubitato del vostro amore, non l'avrei fatta; ma voi mi amate; non è vero che mi amate? — Senza dubbio. — Allora se per un eccesso d'amore io mi sia reso colpevole verso di voi, mi perdonerete? — Può darsi. Ma questa confessione, disse ella impallidendo, questa confessione? — Voi avete dato appuntamento a de Wardes, giovedì ultimo, in questa stessa camera, non è vero? — Io! no! non è vero! disse milady con un tuono di voce così fermo, ed un viso così impassibile che, se d'Artagnan non ne avesse avuta una perfetta certezza, ne avrebbe dubitato egli pure. — Non mentite, mio bell'angelo disse d'Artagnan sforzandosi di sorridere, ciò sarebbe inutile. — In che modo? parlate dunque! voi mi fate morire! — Oh! tranquillizzatevi; voi non siete colpevole verso di me, ed io vi ho già perdonata. — Avanti, avanti! — De Wardes non può gloriarsi di niente. — Perchè? mi avete detto voi stesso che quell'anello... — Quell'anello, sono io che l'ho. Il de Wardes di giovedì, e il d'Artagnan d'oggi sono la stessa persona. L'imprudente si aspettava una sorpresa mista di furore, un piccolo uragano che si risolverebbe in lagrime; ma egli s'ingannava stranamente, e non rimase lungamente in orrore. Pallida e terribile milady si alzò, e respingendo d'Artagnan, che era vicino a lei, con violento pugno nel petto, ella volle slanciarsi lungi da lui. D'Artagnan la ritenne per la veste onde implorare il suo perdono; ma ella con un movimento possente e risoluto tentò di fuggire. Allora la veste si stracciò alla vita; e sopra una delle belle spalle, che rimasero scoperte, d'Artagnan con un fremito inesprimibile, riconobbe il giglio, quel bollo indelebile che imprime la mano infamante del carnefice. — Gran Dio! gridò egli lasciando la veste. E restò muto, immobile ed agghiacciato al suo posto. Ma milady si sentiva già denunziata dallo spavento stesso di d'Artagnan. Senza dubbio egli aveva veduto tutto; il giovane sapeva ora il suo secreto, secreto terribile, che tutto il mondo ignorava, meno che lui! essa si rivoltò, non più come una donna furiosa, ma come una pantera ferita. — Ah! miserabile! diss'ella, tu mi hai vilmente tradita, e di più possedi il mio segreto! tu dunque morrai. Ella corse ad un bauletto di margherite posto sopra la sua toaletta, l'aprì con la mano febbrile tremante, ne cavò un piccolo pugnale col manico d'oro e colla lama acuta e sottile, e ritornò di uno sbalzo sopra d'Artagnan, che era rimasto seduto. Quantunque il giovane, come si sa, fosse coraggioso, rimase spaventato da quella figura alterata, da quelle palpebre dilatate, da quelle guance pallide, e da quelle labbra sanguinolenti; egli si alzò e rinculò come all'aspetto di un serpente che si fosse scagliato contro di lui, e per istinto, portando la sua mano molle di sudore alla spada, la cavò dal fodero. Ma senza inquietarsi alla vista di questa, milady continuò ad inoltrarsi verso di lui per colpirlo, e non si fermò che quando ne sentì la punta acuta contro il suo petto. Allora tentò di afferrare questa spada con le sue mani, ma d'Artagnan l'allontanò sempre dalle sue prese, e la presentava, senza ferirla, ora ai suoi occhi, ora al suo petto, e continuò a rinculare cercando di fare la sua ritirata per la porta che metteva nella camera di Ketty. Milady, in questo mentre, si aggirava intorno a lui con orribili trasporti, ruggendo in un modo formidabile. Ora, siccome la cosa finiva per rassomigliare ad un duello, d'Artagnan si rimise a poco a poco. — Bene, bella donna, bene, diceva egli; ma dalla parte del cielo! calmatevi, o pure io vi disegno un secondo giglio sull'altra spalla. — Infame! infame! urlava milady. Ma d'Artagnan, cercando sempre la porta, si teneva sulla difesa. Al rumore che essi facevano rovesciando i mobili, ella per balzare su lui, ed egli per garantirsi dietro ai mobili di lei, Ketty aprì la porta. D'Artagnan, che aveva incessantemente manovrato per ravvicinarsi a questa porta, non ne era più lontano che tre passi. Con un solo slancio balzò dalla camera di milady in quella della servente, e rapido come il lampo, richiuse la porta, contro la quale egli si appoggiò con tutto il suo peso, nel mentre che Ketty chiudeva la serratura. Allora milady cercò di rovesciare la parete che la chiudeva nella sua camera, con forza molto al disopra di quella di una donna, quindi, quando vide che era cosa impossibile, crivellò la porta a colpi di pugnale, dei quali qualcuno trapassò la spessezza del legno. Ciaschedun colpo era accompagnato da una imprecazione. — Presto, presto, Ketty disse d'Artagnan a mezza voce quando la serratura fu chiusa, fammi sortire dal palazzo, o se noi le lasciamo il tempo di fare il giro, ella mi farà uccidere dai lacchè: sollecitiamo; capisci tu? si tratta della vita, o della morte. Ketty non capiva che troppo. Ella lo trascinò per le scale nell'oscurità. Era tempo. Milady aveva già suonato e svegliato tutto il palazzo; il portiere tirò il cordone alla voce di Ketty, nello stesso momento che milady gridava dalla finestra. — Non aprite! Il giovine se ne fuggì, nel mentre che essa minacciava ancora con un gesto impotente. Nel momento in cui ella lo perdè di vista, cadde svenuta nella sua camera. CAPITOLO XXXVIII. IN CHE MODO, SENZA INCOMODARSI, ATHOS RITROVÒ IL MEZZO D'EQUIPAGGIARSI D'Artagnan era talmente fuori di sè, che, senza occuparsi di ciò che sarebbe accaduto a Ketty, traversò mezzo Parigi correndo, e non si fermò che davanti alla porta di Athos. Lo sconvolgimento del suo spirito, il terrore che lo spronava, il grido di alcune pattuglie che gli correvano dietro, non fecero che precipitare ancor più la sua corsa. Traversò il cortile, salì al secondo piano ove stava Athos, e battè alla porta in modo da romperla. Grimaud venne ad aprirgli, cogli occhi sonnolenti; d'Artagnan si slanciò con tanta forza nell'anticamera che poco mancò che non stramazzasse. Malgrado il mutismo abituale di Grimaud, questa volta gli ritornò la parola. Alla vista della spada che d'Artagnan teneva ancora in mano, il povero servitore s'immaginò di aver che fare con qualche assassino. — Soccorso! aiuto! soccorso! gridò egli. — Taci, disgraziato! disse il giovane. Io sono d'Artagnan, non mi riconosci più? dov'è il tuo padrone! — Voi, sig. d'Artagnan, gridò Grimaud spaventato. Impossibile! — Grimaud, disse Athos sortendo dal suo appartamento in veste da camera, io credo che voi vi permettiate di parlare! — Ah! signore, egli è che... — Silenzio. Grimaud allora si contentò di mostrare col dito d'Artagnan al suo padrone. Athos, per quanto fosse flemmatico, scoppiò in una risata nel vedere l'aria sconvolta del suo giovane camerata. — Non ridete, amico mio, gridò d'Artagnan, in nome del cielo! non ridete, perchè sull'anima mia ve lo dico, non vi è niente da ridere. Pronunciò queste parole con un'aria così solenne, e con uno spavento così vero, che Athos lo prese subito per le mani gridando: — Sareste voi ferito, amico mio? voi siete molto pallido. — No, ma mi è accaduto un terribile avvenimento. Siete voi solo, Athos? — Per bacco! e chi volete che sia da me a quest'ora? — Bene, bene. E d'Artagnan si precipitò nella camera di Athos. — Eh! parlate, disse questi chiudendo la porta, e mettendo il chiavaccio per non essere disturbato; è forse morto il re? avete forse ucciso il ministro? voi siete tutto sossopra: parlate, dite, perchè io moro d'impazienza. — Athos, rispose d'Artagnan, preparatevi a sentire una storia incredibile, inudita! — Parlate dunque, disse Athos. — Ebbene! continuò d'Artagnan mettendosi vicino all'orecchio di Athos e abbassando la voce, milady ha il marchio di un giglio sopra una spalla. — Ah! gridò il moschettiere come se avesse ricevuta una palla nel cuore. — Vediamo, disse d'Artagnan, siete voi sicuro che l'altra sia veramente morta? — L'altra? disse Athos con una voce così sorda che fu molto se d'Artagnan l'intese. — Sì, quella di cui mi avete parlato un giorno ad Amiens. Athos mandò un gemito, e lasciò cadersi la testa sulle mani. — Questa, continuò d'Artagnan, è una donna dai ventisei ai vent'otto anni. — Bionda? disse Athos. — Sì. — Occhi blu-chiari, di una chiarezza straordinaria, colle ciglia e lo sopracciglia nere? — Sì. — Grande, ben fatta? Le manca un dente vicino al canino sinistro? — Sì. — Il marchio del giglio è piccolo, di color rosso, e come nascosto da uno strato di pasta che vi applica? — Sì. — Però, voi dite che questa donna è inglese? — La chiamano milady, non per questo ella può essere egualmente francese. Lord Winter non è che suo cognato. — D'Artagnan voglio vederla! — Guardatevene, Athos, guardatevene: voi avete voluto ucciderla, ella è donna da rendervi la pariglia, e in modo da non fallare. — Essa non oserà dir niente, perchè sarebbe un denunziarsi da se. — Ella è capace di tutto! l'avete voi mai veduta in furore? — No, disse Athos. — Una tigre! una pantera! Ah! mio caro Athos, credo bene di aver attirato su noi due una terribile vendetta. D'Artagnan allora raccontò tutto, la sua collera insensata e le sue minacce di morte. — Avete ragione, e sulla mia parola, darei la mia vita per un capello, disse Athos. Fortunatamente è dopo domani che noi lasceremo Parigi, noi andremo, secondo tutte le probabilità, alla Rochelle, e una volta partiti... — Ella vi perseguiterà in capo al mondo, Athos, se vi riconosce. Lasciate dunque che il suo odio si sfoghi sopra di me soltanto. — Eh! mio caro, che m'importa se mi uccide? disse Athos. Credereste voi per caso che io sia attaccato alla vita? — Vi è un qualche terribile mistero sotto tutto questo, Athos. Questa donna è una spia del ministro, ne sono sicuro. — In questo caso state all'erta voi. Se il ministro non vi ha in un gran conto, per l'affare di Londra vi ha in un grande odio: ma siccome in fin dei conti non vi può rimproverar niente apertamente, e che bisogna che l'odio si soddisfaccia, particolarmente quando è odio di un ministro; state in guardia! Se uscite, non uscite mai solo; se mangiate, prendete le vostre precauzioni; non vi fidate d'alcuno finalmente, e neppure della vostra ombra! — Fortunatamente, disse d'Artagnan, che si tratta di giungere soltanto fino a dopo domani sera senza incontri, perchè una volta all'armata, spero bene, non avremo a temere degli uomini. — Frattanto, disse Athos, io rinuncio ai miei progetti di reclusione e verrò ovunque con voi; bisogna che ritorniate alla strada Fossoyeurs. Io vi accompagno. — Sia, mio caro Athos; ma lasciatemi prima restituirvi l'anello che ho ricevuto da questa donna. Questo zaffiro è vostro. Non mi avete voi detto che questo era un gioiello di famiglia? — Sì, mio nonno lo comprò per due mila scudi, per quanto ho poi sentito ripetere da mio padre. Faceva parte dei regali di nozze di mia madre; egli è magnifico. Mia madre me lo regalò, ed io, pazzo che fui! piuttosto che custodirlo come una santa reliquia, lo regalai a quella miserabile. — Ebbene, riprendete questo anello che capisco vi dee essere caro. — Io! riprendere questo anello dopo che è stato in dito a quella infame? giammai! giammai! questo anello è lordato, d'Artagnan. — Allora, vendetelo o impegnatelo. Vi daranno almeno un migliaio di scudi. Con questa somma voi potete provveder bene ai vostri affari. Poi, al primo danaro che vi giungerà, lo leverete di pegno, e lo riprenderete purgato dalle sue antiche macchie, poichè sarà passato per le mani degli usurai. Athos sorrise. — Voi siete un grazioso compagno, diss'egli, mio caro d'Artagnan. Colla vostra continua ilarità, rialzate dall'afflizione i poveri spiriti oppressi. Ebbene! sì, impegneremo questo anello che mi appartiene, ma ad una condizione. — Quale? — Che vi sieno cinquecento scudi per voi, e cinquecento per me. — Vi pensate voi, Athos! Io non ho bisogno del quarto di questa somma. Io che sono nelle guardie, e vendendo la mia sella con i suoi annessi, ne ricavo quanto mi occorre. Che mi abbisogna? un cavallo per Planchet, ecco tutto. Poi, voi dimenticate che io pure ho un anello. — Al quale mi sembra, che voi siate molto più attaccato di quello che non sono io al mio; almeno ho creduto accorgermene. — Sì, perchè in una circostanza estrema, non solo può cavarci da qualche imbarazzo, ma ancora da qualche gran pericolo. Non è un semplice diamante, ma è ancora un talismano incantato. — Non vi capisco, ma credo però a quanto dite... Ritorniamo dunque al mio anello, o piuttosto al nostro — voi avrete la metà della somma che ci verrà data sopra esso, o lo getto nella Senna; e dubito che come Policrate, qualche pesce non sarà così compiacente per riportarcelo. — Ebbene dunque, io accetto, disse d'Artagnan. In questo momento Grimaud entrò accompagnato da Planchet; questi era inquieto pel suo padrone, e curioso di sapere cosa gli fosse accaduto. Athos si vestì, e quando fu vicino a uscire, fece a Grimaud il segno di un uomo che prende la mira. Questi si mise tosto il suo moschetto sotto il braccio e si dispose a seguire il suo padrone. D'Artagnan e Athos, seguiti dai loro lacchè, giunsero senza alcun accidente nella strada Fossoyeurs. Il sig. Bonacieux era sulla porta, egli guardò d'Artagnan con aria furbesca. — Eh! mio caro locatario, diss'egli, sollecitatevi. Voi avete in casa una bella giovinetta che vi aspetta, e le donne, voi sapete, amano poco di aspettare. — È Ketty! gridò d'Artagnan. E si slanciò nel corridoio. Effettivamente sul pianerottolo che metteva nel suo appartamento, e raggruppata contro la porta, ritrovò la povera fanciulla tutta tremante. Come lo vide: — Voi mi avete promessa la vostra protezione, avete promesso di salvarmi dalla sua collera, diss'ella; ricordatevi che siete stato voi che mi avete perduta. — Sì, Ketty, senza dubbio, disse d'Artagnan, sii tranquilla, Ketty. Ma che cosa ti è accaduto dopo la mia partenza? — Lo so io? disse Ketty. Alle grida ch'ella mandò, sono accorsi i lacchè; ella era pazza per la collera. Tutto ciò ch'esiste d'imprecazioni essa lo ha vomitato contro di voi. Allora ho pensato che si ricorderebbe che fu dalla mia camera che voi penetraste nella sua, e che quindi mi avrebbe ritenuto per vostra complice. Ho preso quel poco di danaro che avevo, quei pochi effetti preziosi, e mi sono salvata. — Povera fanciulla! ma che debbo fare per te? io parto dopo domani. — Tutto ciò che vorrete, sig. cavaliere, fatemi allontanare da Parigi, fatemi allontanare dalla Francia. — Io non posso però condurti meco all'assedio della Rochelle, disse d'Artagnan. — No, ma voi potete collocarmi in provincia, presso qualche dama di vostra conoscenza, nel vostro paese, per esempio. — Ah! amica mia, nel mio paese le dame non tengono cameriere. Ma aspetta, ho trovato quello che ti conviene. Planchet! va subito a cercarmi Aramis, che egli venga da me. Noi abbiamo una cosa di grande importanza da dirgli. — Comprendo il tuo progetto; disse Athos, ma perchè non ti rivolgi piuttosto da Porthos? mi sembra che la sua marchesa... — La marchesa di Porthos piuttosto che tenere una cameriera si farebbe vestire da un dei giovani di studio di suo marito, disse d'Artagnan ridendo. D'altronde Ketty non vorrà andare a stare in via degli Orsi; non è vero, Ketty. — Io abiterò dove vorrete, disse Ketty, purchè io sia bene nascosta e non si sappia ove sono. — Ora, che noi siamo per separarci, e per conseguenza che non sei più gelosa di me... — Sig. cavaliere, da lontano e da vicino, io vi amerò sempre lo stesso. — Oh! Diavolo! dove va ad annidare la costanza! mormorò Athos. — Io pure, disse d'Artagnan, io pure ti amerò sempre! sii tranquilla. Ma vediamo, rispondimi. Pongo molta importanza alla domanda che ti faccio: avresti tu mai inteso parlare di una giovane che fu rapita di notte tempo? — Aspettate dunque... Ma... Oh! mio Dio! sig. cavaliere, forse che amereste ancora questa donna? — No, è uno, dei miei amici che l'ama. A voi, è Athos, quello là. — Io! gridò Athos, con un accento simile a quello di un uomo che si accorge di essere per mettere il piede sopra un serpente. — Senza dubbio, tu; fece d'Artagnan stringendogli la mano. Tu sai bene quanto interesse noi tutti prendiamo a questa povera Bonacieux. D'altronde Ketty non dirà niente. Non è vero Ketty? Tu comprendi, fanciulla mia, continuò d'Artagnan, questa è la moglie di quell'orribile di macacco che hai veduto sul limitare della porta, entrando qui. — Oh! mio Dio! gridò Ketty; voi mi ricordate la mia paura, purchè non mi abbia riconosciuta! — Come riconosciuta? Tu dunque hai visto altre volte quell'uomo! — È venuto due volte da milady. — È lui; e verso qual epoca? — Saranno circa quindici o diciotto giorni. — Precisamente. — E ieri sera è ritornato. — Ieri sera? — Sì, un momento prima che entraste voi stesso. — Mio caro Athos, noi siamo avviluppati da una masnada di spioni! E tu credi ch'egli t'abbia riconosciuta, Ketty? — Scorgendolo ho abbassata la mia cuffia, ma forse era troppo tardi. — Discendete voi, Athos, di cui egli diffida meno di me, e guardate se è sempre sulla porta. Athos discese e risalì subito. — È partito, diss'egli, e la casa è chiusa. — È andato a fare il suo rapporto, e a dire che tutti i piccioni sono nel colombaio. — Ebbene, involiamoci, disse Athos, e non lasciamo qui che Planchet per portarci le notizie. — Un momento! e Aramis che abbiamo mandato a cercare? — È giusto, disse Athos, aspettiamo Aramis. In questo momento entrò Aramis. Gli fu esposto l'affare, e gli fu detto come era urgente, che in mezzo a tutte le sue conoscenze di alto bordo, ritrovasse un posto ove collocare Ketty. Aramis riflettè un momento, e disse arrossendo: — Ciò vi sarà realmente un servizio reso? diss'egli a d'Artagnan. — Ve ne sarò riconoscente per tutta la mia vita. — Ebbene! la signora di Bois Tracy mi ha domandato, per una delle sue amiche che abitano in provincia, io credo, una cameriera sicura, e se voi potete, mio caro d'Artagnan, garantirmi... — Oh! signore, rispose Ketty, io sarò affezionata, siatene certo, alla persona che mi darà il mezzo di lasciare Parigi. — Allora, disse Aramis, ciò va pel suo meglio. Si mise ad un tavolino, e scrisse poche parole che sigillò con un anello, e consegnò il biglietto a Ketty. — Ora, fanciulla mia, disse d'Artagnan, tu sai che qui non fa più bel tempo per te che per noi. Così separiamoci. Ci rivedremo in tempi migliori. — Ed in qualunque tempo noi ci ritroveremo in qualunque luogo che sia, disse Ketty, voi mi troverete che vi amerò come vi amo adesso. — Giuramento da giocatore, disse Athos nel tempo che d'Artagnan andava ad accompagnare Ketty per le scale. Un istante dopo i tre amici si separarono, fissando l'appuntamento per le quattro presso di Athos, e lasciando Planchet per guardare la casa. Aramis rientrò in casa, e Athos e d'Artagnan si occuparono a collocare il zaffiro. Come lo aveva preveduto il Guascone, furono facilmente ritrovate trecento doppie sull'anello; di più, l'Ebreo annunziò loro che, se volevano venderlo, siccome ne farebbe uno simile per un paio d'orecchini, offriva fino a cinquecento doppie. Athos e Aramis, coll'attività di due soldati, e la sicurezza di due conoscitori, impiegarono appena tre ore a comprare il loro intero equipaggio. D'altronde Athos era facile ad accomodarsi e gran signore fino all'estremità delle unghie, ogni qualvolta una cosa conveniva, pagava il prezzo domandato, senza neppure tentare di togliere niente. D'Artagnan voleva tentare di fargli delle osservazioni, ma Athos gli metteva la mano sulla spalla sorridendo, e d'Artagnan capiva che era bene per lui piccolo gentiluomo Guascone lo stare a mercanteggiare, ma non per un uomo che aveva le maniere di un principe. Il moschettiere trovò un superbo cavallo andaluso, nero come l'ebano, colle narici di fuoco, colle gambe fine ed eleganti, e che aveva appena sei anni. Egli lo esaminò, lo ritrovò senza difetti. Gli domandarono mille lire. Forse lo avrebbero potuto avere per meno, ma nel tempo che d'Artagnan discuteva sul prezzo col mezzano, Athos contava le cento doppie sulla tavola. Grimaud ebbe un cavallo piccardo, grosso e forte, e costò trecento lire. Ora, comprata la sella di quest'ultimo cavallo e le armi di Grimaud, non restava più un soldo delle cento cinquanta doppie di Athos. D'Artagnan offerse al suo amico di mordere una boccata della parte che gli era venuta, e che gli avrebbe poi restituita più tardi la porzione che gli avrebbe prestata. Ma Athos per risposta, si contentò di stringersi nelle spalle. — Quanto ci dava l'Ebreo del zaffiro per lasciarlo in assoluta sua proprietà? domandò egli. — Cinquecento doppie. — Vale a dire dugento doppie di più; cento doppie per voi, cento doppie per me. Ma questa è una fortuna! amico mio, ritorniamo dall'Ebreo. — Come! voi volete... — Questo anello precisamente mi ricorderebbe troppo triste rimembranze; poi, noi non avremo mai trecento doppie da restituirgli di modo che in questo contratto noi perdiamo due mila lire. Andate a dirgli che l'anello è suo, d'Artagnan, e ritornate colle dugento doppie. — Riflettete, Athos. — Il danaro contante è caro pel tempo che corre, e bisogna saper fare dei sacrifizi. Andate, d'Artagnan, andate, Grimaud vi accompagnerà col suo moschetto. Una mezz'ora dopo, d'Artagnan ritornò con duemila lire, e senza che gli fosse accaduto alcun accidente. Fu così che Athos ritrovò nell'interno della sua casa delle risorse che non si aspettava. CAPITOLO XXXIX. UNA DOLCE VISIONE All'ora convenuta, i quattro amici erano riuniti in casa di Athos. La loro preoccupazione sugli equipaggi era del tutto scomparsa, e ciascun viso non conservava più che l'espressione delle proprie e segrete inquietudini; poichè dietro ogni fortuna presente, sta nascosta una disgrazia per l'avvenire. Ad un tratto entrò Planchet, portando due lettere coll'indirizzo di d'Artagnan. L'una, era un piccolo biglietto gentilmente piegato in lungo con un bel sigillo di cera verde, sul quale era improntata una colomba che portava nel becco un ramo d'olivo. L'altra, era un'epistola quadrata e risplendente delle terribili armi del ministro. Alla vista della piccola lettera, il cuore di d'Artagnan balzò, poichè credè di aver riconosciuto il carattere, e quantunque non avesse veduto questo scritto che una sola volta, gliene era restata la memoria nel fondo del cuore. Prese dunque la piccola lettera, e la disigillò con prestezza. Vi era scritto: «Passeggiate mercoledì prossimo dalle sei alle sette ore pomeridiane sulla strada Chaillot, e guardate con cura nelle carrozze che passeranno. Ma se avete cara la vostra vita, e quella delle persone che vi amano, non dite una parola, non fate un movimento che possa far credere di aver riconosciuto quella che si espone a tutto per vedervi un istante.» — Nessuna sottoscrizione. — Questo è un laccio che vi si tende disse Athos; non vi andate d'Artagnan. — Però mi sembra di riconoscere la scrittura. — Può essere imitata, riprese Athos; a sei o sette ore di questi tempi, la strada Chaillot è del tutto deserta, sarebbe lo stesso che andaste a passeggiare nella foresta Bondy. — Ma se noi vi andiamo tutti? disse d'Artagnan. Che diavolo! non ci divoreranno già tutti e quattro, e più i quattro lacchè, gli otto cavalli, e le armi; ne avrebbero una indigestione. — Poi, questa sarà un'occasione di far mostra dei nostri equipaggi, disse Porthos. — Ma se è una donna che scrive, disse Aramis, e che questa donna desideri di non essere veduta, pensate che voi la compromettete, d'Artagnan; cosa che è mal fatta per parte di un gentiluomo. — Noi restiamo indietro, disse Porthos, egli solo andrà avanti. — Sì, ma un colpo di pistola è presto tirato da una carrozza che va al galoppo. — Bah! disse d'Artagnan, non mi colpiranno. Noi raggiungeremo allora la carrozza, ed estermineremo quelli che vi si troveranno dentro. Saranno sempre tanti nemici di meno. — Ha ragione disse Porthos, battaglia! d'altronde bisogna provare le nostre armi. — Diamoci, in fede mia, questo piacere, disse colla sua aria di non curanza Aramis. — Come vorrete, disse Athos. — Signori, sono quattr'ore e mezza e abbiamo appena il tempo di prepararci per essere alle sei sulla strada Chaillot. — Poi, se usciamo troppo tardi, disse Porthos, non saremo veduti, cosa che sarebbe di un gran danno. Andiamo dunque a prepararci, signori. — Ma voi dimenticate? questa seconda lettera, disse Athos. Eppure mi sembra dal sigillo che meriti di essere aperta. In quanto a me, vi dichiaro, mio caro d'Artagnan, che me ne prendo maggior pensiero che di quel piccolo ninnolo che vi siete così dolcemente posto sul cuore. D'Artagnan arrossì. — Ebbene! disse il giovane, vediamo che cosa vuole da me sua Eccellenza. D'Artagnan disigillò la lettera, e lesse. «Il sig. d'Artagnan guardia del re, compagnia des Essarts, è aspettato al palazzo del ministro questa sera a ore otto.» «LAHOUDINIÈRE _Capitano delle guardie_» — Diavolo! disse Athos, ecco un appuntamento ben molto più allarmante del primo. — Andrò al secondo sortendo dal primo, disse d'Artagnan; uno è per le sette, l'altro è per le otto; vi sarà tempo per tutti. — Hum! io non v'andrei, disse Aramis; un cavaliere galante non può mancare ad un appuntamento dato da una donna; ma un gentiluomo prudente può dispensarsi dall'andare da Sua Eccellenza, particolarmente quando ha qualche ragione di credere che non è per ricevervi dei complimenti. — Io sono del parere di Aramis, disse Porthos. — Signori, riprese d'Artagnan, ho già ricevuto dal signor Cavois un simile invito di Sua Eccellenza, al quale non feci attenzione, e il giorno dopo mi è accaduta una gran disgrazia, la mia Costanza è scomparsa. Qualunque sia la cosa che mi può accadere, io vi andrò. — Se questa è una risoluzione stabilita, fate, disse Athos. — Ma la bastiglia? disse Aramis. — Bah! voi me ne caverete! disse d'Artagnan. — Senza dubbio, ripresero Aramis e Porthos con una ammirabile serietà, come se fosse stata la cosa la più semplice. — Senza dubbio noi vi caveremo di là; ma frattanto, siccome dobbiamo partire dopo domani, fareste assai meglio di non esporvi a questo pericolo. — Facciamo meglio, disse Athos, non lo lasciamo in tutta la serata. Aspettiamolo ciascuno ad una porta del palazzo, e ciascuno con tre moschettieri dietro a noi. Se vediamo uscire qualche carrozza con gli sportelli chiusi e vi è apparenza sospetta, vi piomberemo sopra. È qualche tempo che non abbiamo avuto nulla a dividere colle guardie del ministro, il sig. de Trèville ci crede morti. — Decisamente Athos, disse Aramis, voi siete fatto per essere un generale d'Armata: che dite del piano, signori? — Ammirabile, ripresero tutti in coro. — Ebbene! disse Porthos, io corro al quartiere, prevengo i nostri camerati di tenersi pronti per le otto, il luogo di riunione sarà sulla piazza del Palazzo del ministro; in questo mentre voi fate insellare i cavalli dai lacchè. — Io non ho cavallo, in fede mia, disse d'Artagnan, andrò a farne insellare uno dal sig. de Trèville. — È inutile, disse Aramis, voi ne prenderete uno dei miei. — Quanti ne avete dunque? domandò d'Artagnan. — Tre, rispose sorridendo Aramis. — Caro mio, disse Athos, voi siete certamente il poeta meglio pagato di tutta la Francia e Navarra. — Ascoltate caro Aramis, voi non saprete che farvene di tre cavalli, non è vero? anzi non capisco neppure come ne abbiate comprati tre. — Io non ne ho comprati che due, disse Aramis. — Il terzo vi è dunque caduto dal cielo? — No, il terzo mi è stato condotto questa mattina da un domestico senza livrea, che non ha voluto dirmi a cui apparteneva, che mi ha assicurato di aver ricevuto l'ordine dal suo padrone... — O dalla sua padrona, interruppe d'Artagnan. — La cosa non cambia niente, disse Aramis arrossendo; che mi ha assicurato che il suo padrone o la sua padrona gli ha ordinato di mettere questo cavallo nella mia scuderia, senza dirmi da qual parte veniva. — Non è che ai poeti che accadono tali avventure, riprese gravemente Athos. — Ebbene! in questo caso, facciamo meglio, disse d'Artagnan. Quale dei due cavalli monterete voi? quello che avete comprato, o quello che vi è stato regalato. — Quello che mi è stato regalato, senza neppur dirlo. Voi capirete, d'Artagnan, che io non posso fare questa ingiuria al donatore sconosciuto; riprese Aramis. — O alla donatrice misteriosa, disse Athos. — Dunque quello che avete comprato vi addiviene inutile? — Presso a poco. — L'avete scelto voi stesso? — Colla maggior diligenza. La sicurezza del cavaliere, voi lo sapete dipende quasi sempre dal suo cavallo. — Ebbene! cedetelo a me pel prezzo che vi costa. — Era precisamente ciò che io voleva proporvi, mio caro d'Artagnan, dandovi tutto il più tempo che vi sarà necessario per rimborsarmi di questa bagattella. — E quanto vi costa? — Ottocento lire. — Ecco quaranta dobloni, mio caro amico, disse d'Artagnan cavando la somma di saccoccia. Io so che questa è la moneta colla quale vi vengono pagati i vostri poemi. — Vi ritrovate dunque in fondi? disse Aramis. — Ricco! ricchissimo! mio caro. E d'Artagnan fece suonare nella sua saccoccia il resto delle sue doppie. — Mandate la vostra sella alla caserma dei moschettieri, e vi si condurrà qui il vostro cavallo coi nostri. — Benissimo; ma ben presto saranno le cinque, sollecitiamoci. Un quarto d'ora dopo, Porthos comparve alla estremità della strada Férou, sopra un magnifico cavallo spagnuolo. Mousqueton lo seguiva sopra un cavallo d'Auvergne, piccolo, ma molto bello. Porthos risplendeva di gioia e di orgoglio. Nello stesso tempo, Aramis comparve all'estremità dell'altra strada, montato sopra un superbo cavallo Inglese; Bazin lo seguiva sopra un cavallo di Rouan, tenendo a mano un vigoroso meclemburghese; era la cavalcatura di d'Artagnan. I due moschettieri s'incontrarono alla porta; Athos e d'Artagnan li guardavano dalla finestra. — Diavolo! disse Aramis, voi avete un superbo cavallo, mio caro! — Sì, rispose Porthos, è quello che doveva essermi inviato sulle prime. Un cattivo scherzo del marito vi aveva sostituito l'altro, ma il marito è stato in seguito punito, ed io ho avuto ogni soddisfazione. Grimaud comparve a sua volta tenendo a mano la cavalcatura del suo padrone. D'Artagnan e Athos discesero, si posero in sella vicino ai loro compagni, e tutti e quattro si incamminarono verso il fiume, Athos sul cavallo che doveva a sua moglie, Aramis sul cavallo che doveva alla sua amica, Porthos sul cavallo che doveva alla procuratrice, e d'Artagnan sul cavallo che doveva alla sua buona fortuna; la migliore di tutte le amiche. I lacchè li seguivano. Come lo aveva pensato Porthos, la cavalcata fece un buon effetto, e se la sig. Coquenard si fosse ritrovata sulla strada che percorreva Porthos, avrebbe potuto vedere che aria signorile aveva egli sul suo bel cavallo di Spagna, e non le sarebbe rincresciuta la sanguigna fatta allo scrigno di suo marito. Vicino al Louvre i quattro amici incontrarono il signor de Tréville che ritornava da San Germano; egli li fermò per far loro i suoi complimenti sulla bellezza delle loro cavalcature; cosa che in un istante fece radunare intorno a loro parecchie centinaia d'oziosi. D'Artagnan approfittò della circostanza per parlare al signor de Tréville della lettera col gran sigillo rosso, e colle armi del duca di Richelieu. S'intende bene che dell'altra lettera non disse una parola. Il sig. de Tréville approvò la risoluzione che aveva presa, e lo assicurò, che se all'indomani non avesse avute le sue notizie, avrebbe saputo ritrovarlo in qualunque luogo si fosse stato. In questo momento l'orologio della Samaritana suonò sei ore. I quattro amici si scusarono per un appuntamento, e presero congedo dal sig. de Tréville. Un tratto di galoppo li condusse sulla strada Chaillot. Il giorno cominciava ad abbassarsi; alcune carrozze passavano, e ripassavano. D'Artagnan, portato a qualche passo di distanza dai suoi amici, penetrava col suo sguardo fino nel fondo di esse, ma non vi scopriva alcuna persona di sua conoscenza. Finalmente dopo un quarto d'ora d'aspettazione, e quando il crepuscolo cadeva del tutto, apparve una carrozza che veniva di gran galoppo dalla strada _Sèvres_. Un presentimento disse in antecedenza a d'Artagnan che quella carrozza racchiudeva la persona che gli aveva dato appuntamento. Il giovane si meravigliò seco stesso per sentirsi il cuore battere così violentemente. Quasi subito una testa uscì dal finestrino, con due dita sulla bocca come per raccomandare il silenzio, e come per inviare un bacio. D'Artagnan mandò un leggero grido di gioia. Questa donna o piuttosto quest'apparizione, perchè la carrozza era passata colla rapidità di una visione, era la signora Bonacieux. Per un movimento involontario, e malgrado la fatta raccomandazione, d'Artagnan lanciò il suo cavallo al galoppo, e in pochi salti raggiunse la carrozza; ma il cristallo di quella era ermeticamente chiuso, la visione era scomparsa. D'Artagnan si ricordò la raccomandazione: «se vi è cara la vostra vita e quella di coloro che vi amano, rimanete immobile, come se non aveste veduto niente». Egli dunque si fermò, tremante, non per lui, ma per quella povera donna, che evidentemente si era esposta ad un gran pericolo nel dargli quell'appuntamento. La carrozza continuò la sua strada, e, camminando sempre a tutta corsa, s'internò in Parigi, e disparve. D'Artagnan era rimasto interdetto allo stesso posto, senza sapere a che pensare. Se era la sig. Bonacieux, e se ella ritornava a Parigi, perchè quell'appuntamento fuggitivo? perchè quel semplice ricambio di un'occhiata? perchè quel cenno perduto? Se d'altronde non era essa, cosa ancora possibile, perchè la poca luce che rimaneva rendeva possibile uno sbaglio, se non era essa, non poteva essere questo il principio di un colpo di mano caricato contro di lui, coll'esca di quella donna per la quale si conosceva il di lui amore? I tre compagni si ravvicinarono a lui, e tutti e tre avevano perfettamente veduto una testa di donna comparire alla portiera, ma nessuno di loro, eccetto Athos, conosceva la sig. Bonacieux. Il parere di Athos si fu, ch'era in realtà essa; ma meno preoccupato di d'Artagnan per questo bel viso, aveva creduto di vedere una seconda testa, quella di un uomo nel fondo della carrozza. — Se la cosa è così, disse d'Artagnan, essi la trasporteranno senza fallo da una prigione in un'altra. Ma che vogliono essi fare di questa povera creatura, e come mai potrò raggiungerla? — Amico, disse Athos con gravità, ricordatevi che i morti sono i soli che non siamo esposti ad incontrare sulla terra. Voi ne sapete qualche cosa, quanto io, non è vero? Ora, se la vostra amica non è morta, se è dessa quella che noi abbiamo veduta, voi la troverete un giorno o l'altro. E forse, mio Dio! aggiunse egli con quell'accento misantropico che gli era così particolare, forse più presto di quello che non vorreste. Suonarono le sette e mezzo, la carrozza era stata in ritardo di una ventina di minuti dall'ora dell'appuntamento: gli amici di d'Artagnan si ricordarono che aveva una visita da fare, facendogli però in pari tempo osservare che stava sempre a lui il disimpegnarsene. Ma d'Artagnan era ostinato ad un tempo e curioso. Egli si era cacciato in testa che sarebbe andato dal ministro, e che avrebbe saputo ciò che voleva da lui Sua Eccellenza; niuna cosa avrebbe potuto farlo cambiare di risoluzione. Giunsero per la strada Sant'Onorato, alla piazza del ministro, ove ritrovarono i dodici moschettieri convocati, che passeggiavano aspettando i loro camerati. Là soltanto spiegarono loro di che cosa si trattava. D'Artagnan era molto conosciuto dall'onorevole corpo dei moschettieri del re, ove si sapeva che un giorno avrebbe preso posto; e veniva considerato già in antecedenza come un camerata. Ne risultò da questi antecedenti, che ciascuno accettò di tutto cuore la missione per la quale erano convocati. D'altronde, si trattava, secondo ogni probabilità di giuocare un cattivo colpo al ministro ed ai suoi agenti, e per simili spedizioni questi degni gentiluomini erano sempre pronti. Athos li divise in tre brigate, prese il comando dell'una, dette la seconda ad Aramis, la terza a Porthos, quindi ciascuna andò a rimpiattarsi dirimpetto ad un uscita. D'Artagnan dal canto suo entrò bravamente dalla porta principale. Quantunque si sapesse vigorosamente sostenuto, il giovane non era senza una qualche inquietudine nel salire ad uno ad uno i gradini della scala. La sua condotta con milady rassomigliava molto ad un tradimento, e dubitava delle relazioni politiche che esistevano fra questa donna ed il ministro; di più, de Wardes ch'egli aveva così male acconciato, era dei fedeli di Sua Eccellenza, e d'Artagnan sapeva che Sua Eccellenza se era terribile coi suoi nemici, era molto incantato dei suoi amici. — Se de Wardes ha raccontato tutto il nostro affare al ministro, cosa che non è da dubitare, e s'egli mi ha riconosciuto, cosa probabile, io debbo considerarmi presso a poco come un uomo condannato, diceva d'Artagnan scuotendo la testa. Ma perchè ha egli aspettato fino ad oggi? È semplicissimo: milady avrà portate le sue lagnanze contro di me con quell'ipocrita dolore che la rende così interessante, e quest'ultimo delitto avrà messo il colmo alla misura. Fortunatamente, aggiungeva egli, i miei buoni amici sono laggiù, ed essi non mi lasceranno portar via senza difendermi. Però la compagnia dei moschettieri del sig. de Tréville non può fare da se sola la guerra al ministro, che dispone delle forze di tutta la Francia, e davanti al quale la regina è senza potere, ed il re senza volontà. D'Artagnan, amico mio, tu sei prudente, tu hai delle eccellenti qualità, ma le donne ti perderanno! Era a quella trista conclusione quando entrò nell'anticamera. Rimise la sua lettera all'usciere di servizio, che lo fece passare nella sala d'intrattenimento, e che s'innoltrò nell'interno del palazzo. In questa sala d'intrattenimento erano cinque o sei guardie del ministro che, sapendo ch'era stato egli che aveva ferito Jussac, lo guardavano sorridendo con un singolare sorriso. Questo stesso sorriso parve a d'Artagnan di cattivo augurio; solo, non essendo il nostro Guascone facile ad intimorirsi, o piuttosto mercè quel grande orgoglio che è proprio di tutte le persone del paese, non lasciava vedere facilmente ciò che accadeva nell'interno del suo animo, quando ciò che vi accadeva si rassomigliava al timore. Egli si situò con fierezza davanti alle guardie, con una mano sull'anca, ed in una attitudine che non mancava di maestà. L'usciere rientrò e fece segno a d'Artagnan di seguirlo. Sembrò al giovane che le guardie, vedendolo allontanarsi, si urtassero fra di loro. Seguì un corridoio, traversò un gran salone, entrò in una biblioteca, e si ritrovò in faccia ad un uomo, assiso davanti ad uno scrittoio che scrivea. L'usciere l'introdusse e si ritirò, senza dire una parola; d'Artagnan restò in piedi ed esaminò quest'uomo. Egli sulle prime credè di aver che fare con qualche giudice che esaminasse il suo registro, ma si accorse che quell'uomo scriveva, o piuttosto correggeva delle linee disuguali in lunghezza, contando le sillabe colle dita: vide che era dirimpetto ad un poeta. In capo a pochi istanti, il poeta chiuse il suo manoscritto, sulla coperta del quale era scritto: MIRAME, _tragedia in cinque atti_; e alzò la testa. D'Artagnan riconobbe il ministro. CAPITOLO XL. UNA VISIONE TERRIBILE Richelieu appoggiò il gomito sopra il suo manoscritto, la sua guancia sulla mano, e guardò un istante d'Artagnan. Nessuno aveva l'occhio più profondamente scrutatore di lui; ed il giovane si sentì scorrere questo sguardo per le vene, come una febbre. Però si contenne bene: aveva il suo feltro in mano, ed aspettò il comodo di Sua Eccellenza senza troppo orgoglio, ma senza neppure troppa umiltà. — Signore, gli disse il ministro, siete voi un d'Artagnan di Béarn? — Sì, Mio-signore. — Vi sono molti rami della famiglia d'Artagnan a Turbes e nelle vicinanze; a quali di questi appartenete? — Io sono il figlio di quello che ha fatto le guerre della religione col gran re Enrico, padre di Sua graziosa Maestà. — Sta bene così. Siete voi che siete partito, sono circa sette od otto mesi, dal vostro paese per venire a cercar fortuna nella capitale? — Sì, Mio-signore. — Nel venir qui, siete passato per Méung, ove vi è accaduto qualche cosa; non so troppo che, ma infine qualche cosa. — Mio-signore, disse d'Artagnan, ecco ciò che mi è accaduto... — Inutile, inutile, riprese il ministro con un sorriso che indicava ch'egli conosceva quella storia tanto bene, quanto colui che voleva raccontarla. Voi eravate raccomandato al sig. de Tréville, non è vero? — Si, Mio-signore, ma precisamente in questo disgraziato affare di Méung... — Fu perduta la lettera di raccomandazione, riprese Sua Eccellenza; sì lo so. Ma il sig. de Tréville è un amabile fisonomista, che conosce gli uomini a primo sguardo, e vi ha posto nella compagnia di suo cognato, facendovi sperare che un giorno o l'altro entrereste nei moschettieri? — Mio-signore, siete perfettamente informato. — Da quel tempo vi sono accadute molte cose. Faceste una passeggiata dietro i Carmelitani, che sarebbe stato meglio vi foste ritrovato altrove; quindi avete fatto coi vostri amici un viaggio alle acque di Forges, essi si sono fermati per la via, ma voi avete continuata la vostra strada. La cosa era semplicissima, voi avevate degli affari a Londra. — Mio-signore, disse d'Artagnan, interdetto, andava... — Alla caccia nel parco di Windsor o altrove; ciò non interessa ad alcuno. Io lo so, perchè il mio stato porta di saper tutto. Al vostro ritorno siete stato ricevuto da una augusta persona, e vedo con piacere che avete conservato il ricordo ch'ella vi ha dato. D'Artagnan portò la mano sul diamante che aveva avuto dalla regina, e ne voltò la pietra all'interno di essa; ma era troppo tardi. — L'indomani di questo giorno riceveste la visita di de Cavois, riprese il ministro; egli veniva a pregarvi di passare al palazzo: questa visita non l'avete resa, e avete avuto torto. — Mio-signore, io credeva di essere incorso nella disgrazia di Vostra Eccellenza. — E perchè, signore? per aver eseguito gli ordini dei vostri superiori con più coraggio e più intelligenza che non avrebbe fatto un altro? Incorrere nella mia disgrazia, quando voi meritate i miei elogi. Sono le persone che non obbediscono quelle che io punisco, e non quelli che come voi obbediscono... troppo bene... E la pruova, ricordatevi la data del giorno in cui vi aveva fatto dire di venirmi a vedere, e cercate nella vostra memoria ciò che è accaduto la stessa sera. Fu la stessa sera in cui ebbe luogo il rapimento della sig. Bonacieux. D'Artagnan fremette, ed egli si ricordò che una mezz'ora prima, la povera donna era passata vicino a lui, trasportata senza dubbio da quella stessa potenza che l'aveva fatta scomparire. — Finalmente, continuò il ministro, siccome io non sentiva parlare di voi da qualche tempo, ho voluto sapere che cosa facevate. D'altronde voi mi dovete qualche ringraziamento: avete rimarcato voi stesso con quanti riguardi siete sempre stato trattato in tutte le circostanze? D'Artagnan s'inchinò con rispetto. — Ciò, continuò il ministro, proveniva non solo da un sentimento di equità naturale, ma ancora da un piano che mi era formato a vostro riguardo. D'Artagnan era sempre più meravigliato. — Io voleva, riprese il ministro, esporvi questo piano il giorno che riceveste il mio primo invito; ma voi non siete venuto. Fortunatamente non si è perduto niente per questo ritardo, e oggi voi lo sentirete. Sedetevi là dirimpetto a me, signor d'Artagnan; voi siete abbastanza buon gentiluomo per non dover restare in piedi. E il ministro indicò col dito una sedia al giovane, che era così meravigliato di quanto accadeva, che per obbedire aspettò un secondo segno del suo interlocutore. — Voi siete coraggioso, signor d'Artagnan, continuò Sua Eccellenza; voi siete prudente, ciò che vale ancora più. Io amo gli uomini di cuore e di testa, intendo gli uomini di coraggio; ma per quanto giovine, e appena entrato nel mondo voi avete dei possenti nemici. Se non state in guardia, essi vi perderanno. — Ahimè! mio-signore, rispose il giovane, essi potranno facilmente farlo senza dubbio, poichè sono forti e bene appoggiati, nel mentre che io sono solo... — Sì, è vero, ma quantunque siete solo, voi avete già fatto molto, e non dubito che farete ancora più... Però voi avete, credo io bisogno di essere guidato nell'avventurosa carriera che avete intrapresa, poichè, se non m'inganno, voi siete venuto a Parigi colla ambiziosa idea di far la vostra fortuna. — Io sono nell'età delle folli speranze, Mio-signore, disse d'Artagnan. — Non vi sono folli speranze che per gli stupidi, signore, e voi siete un uomo di spirito. Vediamo che direste voi di un grado di alfiere nelle mie guardie, e di una compagnia dopo la campagna? — Ah! Mio-signore!... — Voi accetterete, non è vero? — Mio-signore... riprese d'Artagnan con aria imbarazzata. — Come, voi rifiutate? gridò il ministro con meraviglia. — Io sono nelle guardie di Sua Maestà, Mio-signore, e non ho ragione di essere mal contento. — Ma mi sembra, disse Sua Eccellenza, che le mie guardie sieno pure le guardie di Sua Maestà, e che quando si serve in un corpo francese si serve il re. — Vostra Eccellenza ha compreso male le mie parole. — Voi volete un pretesto, non è vero? io lo capisco. Ebbene! questo pretesto lo avete. L'avanzamento, la campagna che si apre, l'occasione che vi offre, eccola ostensibile a tutti: per voi il bisogno di protezioni sicure: poichè è bene che voi sappiate, signor d'Artagnan, che ho ricevute delle gravi accuse contro di voi. Voi non consacrate esclusivamente i vostri giorni e le vostre notti al servizio del re. D'Artagnan arrossì. — Del resto, continuò il ministro ponendo una mano sopra un involto di carte, io ho là un registro intero che non riguarda che voi. Io so che voi siete uomo di risoluzione, e una volta che i vostri servigi venissero ben diretti, invece di condurvi al male, potrebbero esservi molto profittevoli. Allora riflettete, e decidetevi. — La vostra bontà mi confonde, Eccellenza; una tal grandezza d'animo, mi fa piccolo come un verme della terra; ma poichè mi permettete di parlare francamente... D'Artagnan si fermò. — Sì, parlate. — Ebbene, io dirò a Vostra Eccellenza che tutti i miei amici sono fra i moschettieri e le guardie del re, e che i miei nemici, per una inconcepibile fatalità, sono presso Vostra Eccellenza. Io dunque sarei mal veduto qui, e mal veduto là, se accettassi ciò che mi offre il Mio-signore. — Avreste voi già l'orgogliosa idea, che io vi offra ciò che volete, signore? disse il ministro con un sorriso di sdegno. — Mio-signore! Vostra Eccellenza è cento volte buona per me, e, al contrario, io penso di non avere fatto ancora abbastanza per essere degno delle sue bontà. L'assedio della Rochelle sta per aprirsi, io servirò sotto gli occhi di Vostra Eccellenza, e se avrò la fortuna di condurmi a quest'assedio in modo tale da meritare di attirarmi i suoi sguardi, ebbene! allora avrò almeno avanti di me qualche azione eroica o rumorosa per giustificare la protezione di cui ella vorrà onorarmi. Ogni cosa dev'esser fatta a suo tempo. Forse più tardi avrei il diritto di darmi, ora avrei la sembianza di vendermi. — Vale a dire che voi rifiutate di servirmi, signore? disse il ministro con un tuono di dispetto nel quale però spiccava una certa stima. — Rimanete dunque libero, e conservate i vostri odii e le vostre simpatie. — Mio-signore... — Bene, bene, disse il ministro, io non per questo me la prenderò con voi, ma voi capirete, se ho abbastanza da fare nel difendere i proprii amici, e nel ricompensarli, non si è tenuto a niente coi propri nemici. Io però voglio darvi un consiglio, mantenetevi sempre bene in guardia, signor d'Artagnan, poichè dal momento che io avrò ritirata la mia mano di sopra a voi, non darei un obolo per la vostra vita. — Mi vi proverò, Mio-signore, rispose il Guascone con un'umile sicurezza. — Pensateci più tardi, ed in un certo momento, se vi accadono disgrazie, disse Richelieu con una certa espressione, che sono stato io che sono venuto a cercarvi, e che ho fatto ciò che ho potuto per salvarvi da queste disgrazie. — Qualunque cosa mi accada, disse d'Artagnan, mettendo la sua mano sul petto e inchinandosi, avrò un'eterna riconoscenza a Vostra Eccellenza di quanto fa per me in questo momento. — Ebbene! come voi dunque lo avete detto, signor d'Artagnan, noi ci rivedremo dopo la campagna; io vi seguirò collo sguardo, perchè io pure sarò laggiù, continuò il ministro mostrando col dito a d'Artagnan una magnifica armatura ch'egli doveva indossare, e al nostro ritorno, faremo i conti. — Ah! Mio-signore! gridò d'Artagnan, risparmiate il peso della vostra disgrazia, restate neutro se vedete che agisco da galantuomo. — Giovinotto, disse Richelieu, se io posso dirvi anche una volta ciò che vi ho detto oggi, vi prometto di dirvelo. Quest'ultima parola di Richelieu esprimeva un dubbio terribile, essa costernò d'Artagnan più che non lo avrebbe fatto una minaccia, poichè era un avvertimento. Il ministro cercava adunque di preservarlo da qualche disgrazia che lo minacciava? egli aprì la bocca per rispondere, ma un gesto della mano del ministro lo congedò. D'Artagnan uscì, ma alla porta il cuore fu presso a mancargli, e poco mancò che non rientrasse. Però la figura grave e severa di Athos gli comparve. Se faceva il patto che dal ministro gli veniva proposto, Athos non gli stenderebbe più la mano, Athos lo rinegherebbe. Fu questo timore che lo trattenne, tanto è possente l'influenza di un carattere veramente grande sopra tutto ciò che lo circonda. D'Artagnan discese per la medesima scala per cui era salito; egli trovò davanti alla porta Athos e i quattro moschettieri che aspettavano il suo ritorno, e che cominciavano ad inquietarsi. Con una parola d'Artagnan li rassicurò, e Planchet corse a prevenire gli altri posti che era inutile il montare una più lunga guardia, attesochè il suo padrone era uscito sano e salvo dal palazzo del ministro. Rimasti in casa di Athos, Aramis e Porthos s'informarono delle cause di questo strano appuntamento; ma d'Artagnan si contentò dir loro che il signor di Richelieu l'aveva fatto venire per proporgli di entrare nelle sue guardie col grado d'alfiere, e che egli aveva rifiutato. — E voi avete avuto ragione! gridarono ad una sola voce Porthos ed Aramis. Athos cadde in una profonda distrazione, e non disse niente. Ma quando fu rimasto solo con d'Artagnan: — Voi avete fatto ciò che dovevate fare, gli disse; ma forse avete avuto torto a fare così. D'Artagnan mandò un sospiro, poichè questa voce corrispondeva ad una voce segreta dell'anima sua, che gli diceva che grandi sventure lo aspettavano. L'indomani passò tutta la giornata in preparativi per la partenza. D'Artagnan andò a fare i suoi addii col signor de Tréville. In quell'ora si credeva ancora che la separazione delle guardie e dei moschettieri, sarebbe stata momentanea, il re in quel giorno aveva seduto al Parlamento, e doveva partire l'indomani. Il signor de Tréville si contentò dunque di chiedere a d'Artagnan se aveva bisogno di lui; ma d'Artagnan rispose con una certa fierezza che egli aveva tutto ciò che gli abbisognava. La notte riunì tutti i camerati della compagnia delle guardie del signor des Essarts, e della compagnia dei moschettieri del signor de Tréville, che avevano fatto amicizia assieme. Si lasciarono per rivedersi quando piacerebbe a Dio, e se a Dio piaceva. La notte fu dunque delle più rumorose, come bene si può credere, poichè in simili casi non si può combattere l'estrema preoccupazione che con l'estrema non curanza. Il giorno di poi, al primo suono delle trombette, gli amici si separarono; i moschettieri corsero al palazzo del signor de Tréville, e le guardie a quello del signor des Essarts, ciascuno dei capitani condusse tosto la sua compagnia al Louvre ove il re passò la rivista. Il re era tristo, e sembrava malato, cosa che gli toglieva il suo altero portamento. In fatti il giorno innanzi era stato colto dalla febbre, durante il Parlamento e nel mentre che amministrava la giustizia. Ciò non ostante non era meno deciso a partire pel campo nella stessa sera; ad onta delle osservazioni che gli venivano fatte, aveva voluto passare la rivista operando con questo primo colpo di vigore di vincere la malattia che già incominciava ad impadronirsi di lui. Terminata la rivista, le guardie sole si misero in moto, i moschettieri non doveano partire che col re, cosa che permise a Porthos di andare a fare col suo superbo equipaggio un giro nella strada degli Orsi. La procuratrice lo vide passare sul suo bel cavallo, e coll'uniforme nuovo; ella amava troppo Porthos per lasciarlo partire così, e però gli fece segno di discendere, di venire da lei. Porthos era magnifico: i suoi sproni risuonavano, la sua corazza brillava, la sua spada gli batteva seriamente sulle gambe. Questa volta gli scrivani non avevano alcuna volontà di ridere, tanto Porthos aveva l'aspetto di essere un tagliatore di orecchie. Il moschettiere fu introdotto presso il signor Coquenard, il di cui piccolo occhio grigio brillò di collera vedendo il suo preteso cugino tutto fiammeggiante; una cosa sola però lo consolava interamente, e si era che da tutti si diceva che questa campagna sarebbe stata seria: egli sperava con tutta dolcezza nel fondo del suo cuore, che Porthos sarebbe stato ucciso. Porthos presentò i suoi complimenti al signor e alla signora Coquenard; ella non poteva trattenere le lagrime, ma non si fece alcun cattivo pensiero sul suo dolore, si sapeva da tutti ch'ella era attaccatissima a tutti i suoi parenti, pei quali aveva sempre avuto delle dispute assai crudeli con suo marito. Fino a che la procuratrice potè seguire con gli occhi il suo bel cugino, ella agitò un fazzoletto sporgendosi dalla finestra in modo da far credere che voleva precipitarvisi. Porthos ricevette tutti questi segni di tenerezza come uomo avvezzo a tali dimostrazioni. Soltanto nel voltare l'angolo della strada, sollevò il suo cappello, e lo agitò per l'aria in segno di addio. Dal canto suo, Aramis scriveva una lunga lettera. A chi? nessuno ne sapeva niente. Nella camera vicina, Ketty, che doveva partire la stessa sera per Tours, aspettava questa lettera misteriosa. Athos beveva a gran sorsi gli ultimi residui del suo vino di Spagna. In questo mentre, d'Artagnan sfilava con la sua compagnia. Giungendo nel sobborgo S. Antonio, si voltò per guardare allegramente la Bastiglia alla quale era sfuggito fino allora. Siccome egli guardava soltanto la Bastiglia così non vide punto milady che, cavalcando un cavallo colore isabella, lo designava col dito a due uomini di molto cattivo aspetto, che si accostarono alle file per riconoscerlo. Dietro un'interrogazione che essi fecero con lo sguardo, milady rispose con un segno che era veramente lui. Quindi, certa che non poteva più accadere sbaglio sulla persona, punse il suo cavallo, e disparve. I due uomini seguirono allora la compagnia, e alla uscita del sobborgo S. Antonio, montarono sopra due cavalli già preparati, che erano tenuti a mano da due servitori senza livrea. CAPITOLO XLI. L'ASSEDIO DELLA ROCHELLE L'assedio della Rochelle fu uno dei più grandi avvenimenti del regno di Luigi XIII. Le viste politiche del ministro, allora quando intraprese quest'assedio, erano considerevoli. Delle città importanti, date da Enrico IV agli ugonotti come piazze di sicurezza, non restava più che la Rochelle. Il ministro voleva distruggere quest'ultimo baluardo del calvinismo. La Rochelle, che aveva presa una nuova importanza per la rovina delle altre città calviniste, era d'altronde l'ultima porta aperta agl'Inglesi nel regno di Francia, e chiudendola all'Inghilterra, nostra eterna nemica, il ministro compiva l'opera di Giovanna d'Arco, e del duca di Guise. Così Bassompierre, che era ad un tempo protestante per convinzione, e cattolico come commendatore dell'ordine di Santo Spirito, Bassompierre che era germano di nascita, e francese di cuore, Bassompierre finalmente che aveva un comando particolare all'assedio della Rochelle, diceva, nel caricare alla testa di molti altri signori protestanti come lui: — Voi vedrete, signori, che noi saremo abbastanza bestie per perdere la Rochelle. E Bassompierre aveva ragione. La cannonata dell'isola Re gli presagiva le dragonate dei Cévennes; la presa dalla Rochelle era il prefazio dell'editto di Nantes. Ma, al lato di queste viste generali del ministro livellatore e simplificatore, e che appartengono alla storia, il cronicista è obbligato di raccontare le piccole viste dell'uomo innamorato e del rivale geloso. Richelieu, come ognun sa, era stato innamorato della regina; questo amore aveva presso di lui un semplice scopo politico? o era naturalmente una di quelle profonde passioni come ne inspirò Anna in quelli che la circondavano? Ciò non sapremo dire; ma, in ogni caso, si è visto dallo sviluppo anteriore di questa storia che Buckingham l'aveva vinta su lui, e che in due o tre circostanze, e particolarmente in quella de' puntali, egli lo aveva, mercè la devozione dei tre moschettieri, ed il coraggio di d'Artagnan, egli lo aveva crudelmente mistificato. Si trattava dunque per Richelieu non solo di sbarazzare la Francia da un nemico, ma di vendicarsi di un rivale. Del resto la vendetta doveva essere grande e rumorosa, e degna in tutto di un uomo che tiene nella sua mano per spada di combattimento tutte le forze dì un gran regno. Richelieu sapeva che combattendo l'Inghilterra, egli combatteva Buckingham, e che trionfando dell'Inghilterra, trionfava di Buckingham; finalmente che nell'umiliare l'Inghilterra agli occhi d'Europa, umiliava Buckingham agli occhi della regina. Dal canto suo Buckingham, mentre metteva avanti l'onore dell'Inghilterra, era mosso da sentimenti assolutamente uguali a quelli del ministro. Buckingham pure teneva dietro ad una vendetta particolare. Buckingham non era potuto entrare sotto nessun pretesto ambasciatore in Francia, egli voleva entrarvi come conquistatore. Ne risulta che il vero giuoco di questa partita che giuocavano questi due possenti regni pel capriccio di due uomini innamorati, era un semplice sguardo della regina Anna. Il primo vantaggio era stato pel duca di Buckingham; giunto improvvisamente a vista dell'isola Re con novanta vascelli, e circa ventimila uomini aveva sorpreso il conte de Toiras, che comandava pel re nell'isola, e, dopo un combattimento sanguinoso, aveva operato il suo sbarco. Il conte de Toiras, si ritirò nella cittadella S. Martino colla guarnigione, e gettò un centinaio di uomini in un piccolo forte che si chiamava il forte della Prée. Questo avvenimento aveva sollecitato le risoluzioni del ministro; e mentre si aspettava che il re in persona andasse a prendere il comando dell'assedio della Rochelle, com'era stato risoluto, aveva fatto partire Monsieur per dirigere le prime operazioni, e aveva inviato verso il teatro della guerra tutte le truppe di cui poteva disporre. Era in un di questi distaccamenti di avanguardia di cui faceva parte il nostro amico d'Artagnan. Il re, come si disse, doveva seguirlo subito dopo amministrata la giustizia; terminate le sedute di giustizia il 28 di giugno, egli era stato preso dalla febbre, ciò non ostante aveva voluto partire; ma peggiorando lo stato di sua salute, aveva dovuto fermarsi a Villeroy. Ora, dove si fermava il re, si fermavano i moschettieri, e ne resultava che d'Artagnan, ch'era puramente e semplicemente nelle guardie, si ritrovava separato, momentaneamente almeno dai suoi buoni amici Athos, Porthos ed Aramis. Questa separazione, che per lui non era che una contrarietà, sarebbe certamente divenuta una seria inquietudine, se avesse potuto indovinare da quali sconosciuti pericoli era circondato. Arrivò però senza avventure fino al campo, stabilito davanti alla Rochelle. Tutto era sempre nello stesso stato: il duca di Buckingham ed i suoi Inglesi, padroni sempre dell'isola Re, continuavano ad assediare, ma senza risultato, la cittadella di San Martino e il forte della Prée, e le ostilità colla Rochelle erano cominciate da due o tre giorni a cagione di un forte che il duca di Angoulème aveva fatto costruire in vicinanza della città. Le guardie, sotto il comando del signor des Essarts, avevano il loro quartiere ai Minimi. Ma noi lo sappiamo, d'Artagnan, preoccupato dall'ambizione d'entrare nei moschettieri, aveva raramente fatto amicizia coi suoi camerati; egli si ritrovava dunque isolato e abbandonato alle proprie riflessioni. Le sue riflessioni non erano ridenti. Da un anno che egli era giunto a Parigi, erasi intricato in affari pubblici, ed i suoi affari particolari non avevano progredito molto nè come amore, nè come fortuna. In amore, la sola donna che egli aveva veramente amata, era stata la signora Bonacieux, la quale era scomparsa, senza ch'egli avesse potuto scoprire che cosa era di lei avvenuto. In fortuna, egli, meschino, si era fatto un nemico nel ministro, vale a dire in un uomo davanti al quale tremavano tutti i più grandi del regno, cominciando dal re. Quest'uomo poteva schiacciarlo, eppure non lo aveva fatto. Per uno spirito così perspicace, quale era quello di d'Artagnan, questa indulgenza era un raggio di luce per mezzo del quale egli vedeva nell'avvenire. Quindi si era fatto ancora un altro nemico, meno a temersi, credeva egli; ma che però sentiva per istinto che non era da disprezzarsi: questo nemico era milady. In compenso di tutto questo, egli aveva la protezione e la benevolenza della regina; pel tempo che correva, era una causa di più di persecuzione, e la sua protezione, si sa, proteggeva molto male; ne faceva testimonianza Calais e la signora Bonacieux. Ciò che aveva guadagnato di più chiaro in tutto questo, era il diamante di cinque o seimila lire che egli portava in dito, e questo diamante ancora, supponendo che d'Artagnan, nei suoi progetti d'ambizione, avesse voluto conservarlo per servirsene un giorno come un segnale per farsi riconoscere dalla regina, non aveva, mentre aspettava, perchè non poteva disfarsene, maggior valore di un sassolino che si calpesta coi piedi. Noi diciamo di un sassolino che si calpesta, perchè d'Artagnan faceva queste riflessioni passeggiando solitariamente sopra un bel sentiero che conduceva dal campo ad un villaggio vicino: ora, queste riflessioni lo avevano portato più lontano di quello ch'egli avrebbe voluto, e il giorno cominciava ad abbassarsi; quando ad un ultimo raggio del sole cadente, gli parve di veder brillare dietro una siepe la canna di un moschetto. D'Artagnan aveva l'occhio vivo e lo spirito pronto: egli capì che il moschetto non era venuto là da sè solo, e che colui che lo portava non doveva essersi nascosto dietro una siepe con intenzioni amichevoli. Risolse dunque di riguadagnare il largo, allorchè, dall'altra parte della strada, dietro una roccia, scoperse l'estremità di un secondo moschetto. Questa era evidentemente una imboscata. Il giovane gettò un'occhiata sul primo moschetto, vide con una certa inquietudine che si abbassava verso la sua direzione. Ma tosto che vide l'orifizio della canna immobile, si gettò a pancia a terra. Nello stesso tempo il colpo partì, ed egli intese il fischio di una palla che passava al di sopra della sua testa. Non v'era tempo da perdere; d'Artagnan si alzò in piedi, e nello stesso momento la palla dell'altro moschetto fece saltare de' sassolini nella stessa direzione, sul sentiero ove si era gettato colla faccia per terra. D'Artagnan non era uno di quegli uomini inutilmente coraggiosi, che cercano una morte ridicola, perchè si dica di essi che non hanno rinculato di un passo; d'altronde qui non si trattava più di coraggio, d'Artagnan era caduto in una insidia. — Se vi è un terzo colpo; disse a se stesso, io sono un uomo morto. E tosto fuggì a tutte gambe nella direzione del campo, colla prestezza delle genti del suo Paese, così rinomate per la loro agilità. Ma per quanto fosse stata grande l'agilità della sua corsa, il primo che aveva tirato, aveva pure avuto il tempo di ricaricare il suo moschetto, e gli tirò un colpo così aggiustato questa volta, che la palla traversò il suo cappello, e se lo vide volare a dieci passi di distanza. Siccome d'Artagnan non aveva altro cappello, raccolse il suo mentre correva, giunse ansante e pallido al suo alloggio, si assise senza dir niente ad alcuno, e riflettè. Questo avvenimento poteva avere tre cause. La prima, e la più naturale, poteva essere una imboscata di quei della Rochelle, che non si sarebbero ritrovati malcontenti di uccidere una guardia di Sua Maestà, per avere un nemico di meno, e perchè questo nemico poteva avere una borsa ben piena nella sua saccoccia. D'Artagnan prese il suo cappello, esaminò il foro della palla e scosse la testa. La palla non era del calibro che portavano i moschetti, era una palla d'archibugio; l'aggiustatezza del colpo gli avevo già dato un'idea che era stata tratta con un arme particolare; non era dunque una imboscata militare, perchè la palla non era di calibro. Poteva però essere un ricordo del ministro. Ci risovverremo che al momento in cui, mercè il benefico raggio del sole, aveva scoperto la canna del fucile, egli si maravigliava della longanimità di Sua Eccellenza a suo riguardo. Ma d'Artagnan scosse la testa con aria di dubbio. Per le persone che non aveva che a stendere la mano per colpire, il ministro ricorreva raramente a simili mezzi. Poteva essere una vendetta di milady. Questa congettura era la più ragionevole. Egli cercò, ma inutilmente, di ricordarsi i lineamenti o il vestito degli assassini: ma si era allontanato da loro con tanta rapidità, che non aveva avuto il comodo di rimarcar niente. — Ah! poveri amici miei, mormorò d'Artagnan, dove siete mai? Oh! quanto mi è dannosa la vostra lontananza! D'Artagnan passò una cattivissima notte; tre o quattro volte si risvegliò con uno sbalzo figurandosi che un uomo si avvicinasse al suo letto per pugnalarlo. Però il giorno comparve senza che l'oscurità avesse portato alcun accidente. Ma d'Artagnan pensò bene che quello che veniva differito non veniva annullato. Egli rimase tutta la giornata nel suo alloggio, scusandosi seco stesso che non usciva perchè il tempo era cattivo. Il giorno dopo a nove ore fu battuto al campo. Il duca di Orleans visitava i posti. Le guardie corsero alle armi, d'Artagnan prese il suo posto in mezzo ai suoi camerati. Monsieur passò sulla linea di battaglia, quindi gli uffiziali superiori si avvicinarono a lui per fargli la loro corte. Il sig. des Essarts, capitano delle guardie, si avvicinò. Dopo un istante parve a d'Artagnan che il sig. des Essarts gli facesse segno d'andare a lui: egli aspettò un nuovo gesto del suo superiore, temendo di sbagliarsi, ed essendosi rinnovato questo gesto, lasciò il suo rango e si avanzò per ricevere l'ordine. — Monsieur vuol chiedere degli uomini di buona volontà per una missione pericolosa, ma che farà onore a quelli che la compiranno, e vi ho fatto segno affinchè vi teneste pronto. — Grazie, mio capitano, rispose d'Artagnan, che non chiedeva di meglio che distinguersi sotto gli occhi del luogotenente generale. Infatti, i Rochellesi avevano fatto nella notte una sortita e avevano ripreso un bastione, di cui l'armata realista si era impadronito due giorni prima. Si trattava di spingere un picchetto perduto per fare la ricognizione se l'armata aveva conservato quel bastione. Dopo pochi istanti, Monsieur alzò la voce e disse: — Mi abbisognerebbe per questa missione tre o quattro volontarii condotti da un uomo sicuro. — Quando all'uomo sicuro, io l'ho per le mani, disse il sig. des Essarts mostrando d'Artagnan, e in quanto ai quattro o cinque volontarii, Monsieur non ha che a dire le sue intenzioni, e gli uomini non gli mancheranno. — Quattro uomini di buona volontà per venirsi a fare uccidere con me! disse d'Artagnan alzando la testa. Due dei suoi camerati delle guardie si slanciarono tosto, ed essendosi uniti a questi due altri soldati, ritrovò che il numero domandato era sufficiente. D'Artagnan rifiutò dunque tutti gli altri non volendo far torto a quelli che avevano la priorità. Si ignorava se dopo la presa del bastione, i Rochellesi lo avevano evacuato, o se lo avevano lasciato con la guarnigione; bisognava dunque esaminare il luogo indicato molto da vicino per verificare la cosa. D'Artagnan partì coi suoi quattro compagni, e seguì la linea della trincea; le due guardie camminavano alla stessa fila di lui, e i soldati andavano per di dietro. Essi giunsero in tal modo coprendosi coi terrapieni fino ad un centinaio di passi dal bastione, là d'Artagnan nel rivoltarsi si accorse che i due soldati erano scomparsi. Egli credè che, avendo avuto paura, fossero rimasti in addietro, e continuò ad avanzare. Alla voltata della contro-scarpa essi si trovarono lontani circa sessanta passi dal bastione. Non si vedeva alcuno, e il bastione sembrava assolutamente deserto. I tre giovani perduti deliberavano se dovessero andar più avanti, allorchè una cinta di fumo circondò il gigante di pietra, ed una grandine di palle venne a fischiare intorno a d'Artagnan ed ai suoi. Essi sapevano già ciò che volevano sapere, il bastione era difeso, una più lunga fermata in quella direzione pericolosa sarebbe dunque stata una inutile imprudenza. D'Artagnan e le due guardie voltarono le spalle, e cominciarono una ritirata che rassomigliava a una fuga. Giungendo all'angolo della trincea, che stava per servire loro di muro, una delle guardie cadde, una palla gli aveva traversato il petto, l'altro che era sano e salvo continuò la sua corsa verso il campo. D'Artagnan non volle abbandonare in tal modo il suo compagno, si inchinò per rialzarlo ed aiutarlo a raggiungere la linea, ma in questo momento s'intesero due colpi di fucile: una palla spaccò la testa alla guardia ferita, l'altra venne a cadere sullo scoglio dopo essere passata a due pollici da d'Artagnan. Il giovane si rivoltò prestamente, perchè questo attacco non poteva più venire dal bastione, che era nascosto dall'angolo della trincea. L'idea dei due soldati che lo avevano abbandonato gli ritornò al pensiero, e gli ricordò i suoi assassini di due sere prima: egli risolvè dunque di voler questa volta sapere con chi aveva a fare, e cadde sul suo camerata come se fosse stato morto. Vide subito due teste rialzarsi al di sopra di un muro abbandonato che era a trenta passi di là, erano quelle dei nostri due soldati. D'Artagnan non si era ingannato, questi uomini non lo avevano seguito per altro che per assassinarlo, sperando che la morte del giovane fosse messa nel conto del nemico. Soltanto, siccome egli poteva essere appena ferito, e denunciare il delitto, essi si avvicinavano per terminarlo. Fortunatamente, ingannati dall'astuzia di d'Artagnan, non si curarono di ricaricare le armi. Allora quando furono a dieci passi da lui, d'Artagnan, che nel cadere aveva avuta cura di non abbandonare la spada, si rialzò ad un tratto, e con uno sbalzo si ritrovò vicino a loro. Gli assassini compresero che se essi fuggivano dalla parte del campo senza avere ucciso quell'uomo, sarebbero stati da lui denunciati, così la prima idea fu quella di disertare e di passare nelle file nemiche. Uno di essi prese il suo fucile per la canna, e se ne servì come una mazza, vibrò un colpo terribile a d'Artagnan, che egli evitò slontanandosi; ma con questo movimento egli lasciò libero il passo al bandito, che tosto si slanciò verso il bastione. Siccome i Rochellesi, che li guardavano, ignoravano con quali intenzioni quest'uomo veniva a loro, fecero fuoco su lui, ed egli cadde colpito da una palla che gli fracassò la spalla. In questo mentre, d'Artagnan si gettò sul secondo soldato attaccandolo colla sua spada. La lotta non fu lunga, questo miserabile per difendersi non aveva che il suo archibugio scarico, la spada della guardia strisciò contro la canna dell'arme divenuta inutile, e andò a traversare la coscia dell'assassino che cadde. D'Artagnan gli mise subito la punta del suo ferro alla gola. — Oh! non mi uccidete gridò il bandito. Grazia! grazia, mio ufficiale! e io vi dirò tutto. — Il tuo segreto vale egli la pena che ti conservi in vita? domandò il giovane. — Sì, se voi stimate che l'esistenza sia qualche cosa quando non si ha che ventidue anni come voi, e che si può giungere a tutto, essendo così bello e coraggioso come voi siete. — Miserabile! disse d'Artagnan; vediamo, parla presto. Chi ti ha incaricato di assassinarmi? — Una donna che io non conosco, ma che si fa chiamare milady. — Ma se tu non conosci questa donna, come sai tu il suo nome? — Il mio camerata la conosceva, e la chiamava così; fu con lui che ella trattò l'affare e non con me. Egli anzi ha in saccoccia una lettera di questa persona che deve avere per voi una grande importanza, per quanto gli ho inteso dire. — Ma come ti trovi tu in mezzo a questo assassinio? — Egli mi ha proposto di fare il colpo noi due, ed io ho accettato. — E quanto vi ha ella dato per questa bella spedizione? — Cento luigi. — Ebbene! alla buon'ora, disse il giovine ridendo, ella stima che io valga qualche cosa. Cento luigi sono una somma per due miserabili come voi siete. Così io comprendo perchè tu hai accettato, e ti faccio grazia ad una condizione. — Quale? domandò il soldato inquieto, vedendo che tutto non era ancora finito. — Che tu vada a cercare la lettera che il tuo camerata ha in saccoccia. — Ma, gridò il bandito, questo è un altro modo di uccidermi. Come volete voi che io vada a cercare questa lettera sotto il fuoco del bastione? — Bisogna pertanto che tu decida di andare a ritrovarla, o io ti uccido colle mie proprie mani. — Grazie, signore, pietà! in nome di quella giovane dama, che voi amate, che voi forse credete morta, ma che non lo è! gridò il bandito mettendosi in ginocchio, e appoggiandosi sulla sua mano, poichè col sangue cominciava già a perdere le sue forze. — E come sai tu che vi è una donna che io amo, e che credo morta? domandò d'Artagnan. — Da quella lettera che il mio camerata ha in saccoccia. — Tu vedi bene allora che abbisogna necessariamente che io abbia questa lettera, disse d'Artagnan. Così non più ritardo, non più esitazione, o qualunque sia la mia ripugnanza ad imbrattare per una seconda volta la mia spada nel sangue di un miserabile come te, ti giuro, sulla fede di onesto uomo... a queste parole d'Artagnan fece un gesto così minaccioso che il ferito si rialzò. — Fermate! gridò egli riprendendo forza e coraggio dal terrore, vi anderò... vi anderò... D'Artagnan prese l'archibugio del soldato, lo fece passare davanti a lui, e lo spinse pungendolo con la spada. Era una cosa spaventosa il vedere questo disgraziato lasciando sul sentiero che percorreva una lunga traccia di sangue, pallido per la sua vicina morte, tentando di strascinarsi senza essere veduto fino al corpo del suo complice, che giaceva venti passi di là lontano. Il terrore era dipinto talmente sul suo viso, coperto di un freddo sudore, che d'Artagnan ne ebbe pietà e guardandolo con disprezzo: — Ebbene! gli disse, io ti mostrerò la differenza che passa fra un uomo di coraggio e un vile come sei tu! resta; anderò io! e con un passo agile, coll'occhio in guardia, osservando i movimenti del nemico, approfittandosi di tutte le inuguaglianze del terreno, d'Artagnan giunse fino al secondo soldato. Vi erano due mezzi di giungere al suo scopo; frugarlo sul luogo e trasportarlo; facendosi uno scudo del suo corpo, e frugarlo entro la trincea. D'Artagnan preferì il secondo mezzo, e caricò l'assassino sulle sue spalle nello stesso tempo che il nemico faceva fuoco. Una piccola scossa, un ultimo grido, un fremito di agonia provarono a d'Artagnan che, colui che aveva assunto l'impegno di essere il suo assassino, diveniva in quel momento il suo scudo per salvargli la vita. D'Artagnan raggiunse la trincea; e gettò il cadavere vicino al ferito, che era pallido quanto il morto. Egli cominciò subito l'inventario: un portafoglio di cuoio, una borsa nella quale si ritrovava evidentemente una parte della somma che il bandito aveva ricevuta, un bussolo, due dadi formavano l'eredità del morto. Lasciò il bussolo e i dadi ove erano caduti, al ferito la borsa, e aprì avidamente il portafoglio. In mezzo ad alcune carte di nessuna importanza, ritrovò la seguente lettera; essa era quella che era stata cercata col rischio della sua vita: «Poichè avete perduta la traccia di quella donna che ora è in salvo in quel convento, ove voi non avreste mai dovuto lasciarla giungere, cercate di non fallire l'uomo, altrimenti, voi sapete che io ho la mano lunga, e che voi paghereste caro i cento luigi che vi ho dati». Nessuna sottoscrizione. Ciò non ostante era evidente che quella lettera veniva da milady. In conseguenza egli la conservò come un pezzo di convinzione, e ritrovandosi in sicurezza dietro l'angolo della trincea, si mise ad interrogare il ferito. Questi confessò che era stato incaricato, col suo camerata, quello stesso che era stato ucciso, di rapire una giovane donna che doveva uscire da Parigi per la barriera della Villetta, ma che essendosi fermati a bere in una bettola, avevano fallito il colpo di dieci minuti. — Ma che avreste voi fatto di questa donna, domandò d'Artagnan con angoscia. — Noi dovevamo portarla in un palazzo della piazza Reale, disse il ferito. — Sì, sì, mormorò d'Artagnan, è d'essa: nella casa stessa di milady. Allora, pensò il giovane qual sete tremenda di vendetta spingeva questa donna a perderlo unitamente a quelli che lo amavano, e quanto essa ne sapeva sugli affari di corte, poichè aveva tutto scoperto. Senza dubbio ella aveva queste informazioni dal ministro. Ma per compenso, egli capì pure con un sentimento di gioia reale, che la regina era giunta a scoprire la prigione in cui la povera signora Bonacieux espiava la sua devozione, e ch'essa l'aveva tolta da questa prigione. Allora gli fu spiegata la lettera che aveva ricevuta dalla giovane sposa, e il suo passaggio sulla strada Chaillot, passaggio simile ad una apparizione. Da quel momento, come Athos lo aveva predetto, riconobbe la possibilità di ritrovare la signora Bonacieux, ed un convento non era allora impenetrabile. Questa idea compì di mettere la calma nel suo cuore. Egli si rivoltò verso il ferito, che seguiva con ansietà tutti i cambiamenti di diversa espressione del suo viso, e gli stese le braccia: — Andiamo diss'egli, io non voglio abbandonarti così; appoggiati al mio braccio, e ritorniamo al campo. — Sì, disse il ferito, che credeva appena a tanta magnanimità; ma non è già per farmi impiccare? — Tu hai la mia parola, diss'egli, e per la seconda volta io ti regalo la vita. Il ferito si lasciò cadere in ginocchio e baciò di nuovo il piede del suo salvatore, ma d'Artagnan che non aveva alcun motivo per rimanere così vicino al nemico, accorciò egli stesso le testimonianze di questa investigazione. La guardia che era ritornata fin dalla prima scarica dei Rochellesi, aveva annunziata la morte dei suoi quattro compagni. Furono perciò molto meravigliati, e molto allegri nei reggimenti, quando si vide ricomparire il giovane sano e salvo. D'Artagnan spiegò il colpo di spada del suo compagno adducendo una sortita che immaginò. Egli raccontò la morte dell'altro soldato e i perigli che essi avevano corsi. Questo racconto fu per lui l'occasione di un vero trionfo. In tutta la giornata l'armata non parlò d'altro che di questa spedizione, e Monsieur gli fece fare i suoi ringraziamenti. Del resto, siccome ogni bella azione porta seco la sua ricompensa, la bella azione di d'Artagnan ebbe per risultato di rendergli la tranquillità che aveva perduta. In fatti il giovane credeva di potere stare tranquillo, poichè dei due nemici, uno era rimasto ucciso, l'altro affezionato ai suoi interessi. Questa tranquillità provava una cosa, ed è, che d'Artagnan non conosceva ancora milady. CAPITOLO XLII. IL VINO D'ANJOU Dopo le notizie quasi disperate sul conto della salute del re, cominciò a spargersi nel campo la notizia della sua convalescenza, e siccome egli aveva molta fretta di giungere in persona all'assedio, si diceva che tosto avesse potuto rimontare a cavallo, si sarebbe messo in viaggio. In questo tempo, Monsieur, che sapeva che da un momento all'altro sarebbe stato surrogato nel comando, sia dal duca d'Angoulème, sia da Bassompierre, o da Schömberg, che si disputavano il comando supremo, faceva poche cose, perdeva le sue giornate in tentativi, senza arrischiare qualche grande intrapresa per scacciare gl'Inglesi dall'isola Re, ove assediavano la cittadella di S. Martino, e il forte della Prée, nel mentre che dal canto loro i Francesi assediavano la Rochelle. D'Artagnan, lo abbiamo detto, era ritornato più tranquillo come accade sempre dopo un pericolo passato, e quando il pericolo sembra svanito. Non gli rimaneva che una sola inquietudine, ed era quella di non ricevere alcuna notizia dei suoi amici. Ma un bel mattino gli venne tutto spiegato mediante questa lettera datata da Villeroy. «Sig. d'Artagnan. «I signori Athos, Porthos ed Aramis, dopo aver fatta una buona partita in casa mia, e dopo essersi ben ben rallegrati, hanno cagionato così gran fracasso, che il preposto del castello, uomo rigidissimo, li ha messi in consegna per alcuni giorni. Eseguisco gli ordini che essi mi hanno dati inviandovi dodici bottiglie del mio vino d'Anjou, di cui mi hanno fatto grande elogio; essi vogliono che beviate alla loro salute col loro vino favorito. «Io l'ho fatto; e sono, signore, con un gran rispetto, vostro umilissimo, ed obbedientissimo servitore. GODEAU. _Albergatore dei signori tre moschettieri._» — Alla buon'ora! gridò d'Artagnan, essi pensano a me nei loro piaceri come io pensava a loro nella mia gioia. Certamente, io beverò alla loro salute, e di tutto cuore, e non beverò solo. D'Artagnan corse in traccia di due guardie, colle quali aveva più amicizia delle altre, per invitarle a venire a bere con lui il delizioso piccolo vino d'Anjou, che gli era giunto da Villeroy. Una di queste guardie era invitata per la stessa sera, e l'altra pel giorno dopo; la riunione fu dunque fissata pel posdomani. D'Artagnan mandò le sue dodici bottiglie di vino alla vivandieria delle guardie raccomandandole che fossero custodite con ogni cura. Quindi, il giorno della solennità, mentre il pranzo era fissato per l'ora del mezzogiorno, d'Artagnan mandò fin dalle nove Planchet per preparare ogni cosa. Planchet, inorgoglito per essere stato elevato alla dignità di maestro di casa, pensò a compiere le sue funzioni da uomo intelligente. A questo effetto, chiamò in aiuto il cameriere di uno dei convitati del suo padrone, chiamato Fourreau, e di più anche Brisemont, quel falso soldato che aveva voluto uccidere il nostro eroe, e che, non appartenendo a nessun corpo, era entrato al servizio di d'Artagnan, o piuttosto a quello di Planchet, dappoichè d'Artagnan gli aveva salvata la vita. Giunta l'ora del festino, i due convitati arrivarono, presero posto, e i cibi furono distribuiti sulla tavola; Planchet serviva, colla salvietta sul braccio; Fourreau stappava le bottiglie, e Brisemont, il convalescente, travasava nelle caraffe di vetro il vino che sembrava aver fatto deposizione per causa delle scosse del viaggio. Di questo vino, la prima bottiglia era un poco torbida verso la fine, Brisemont versò questo fondo in un bicchiere, e d'Artagnan gli permise di beverlo, il povero diavolo non aveva ancora molta forza. I convitati, dopo aver mangiato la minestra, stavano per mettere alle labbra il primo bicchiere, allorquando il cannone rintronò dal forte Luigi e dal forte Nuovo. Tosto le guardie, credendo che si trattasse di qualche attaccamento imprevisto, sia degli assediati, sia degli Inglesi, saltarono alle loro armi, d'Artagnan fece come loro, e tutti e tre uscirono correndo per portarsi al proprio posto. Ma appena fuori della bettola si trovarono disingannati sulla causa di questo gran rumore. Le grida di viva il re, viva il ministro! risuonavano da tutte le parti, e i tamburi battevano in tutte le direzioni. In fatti, il re, nella sua impazienza, aveva fatto raddoppiare le tappe, e giungeva nello stesso istante con tutto il suo seguito, ed un rinforzo di diecimila uomini di truppe. Dei suoi moschettieri, parte lo precedevano, parte lo seguivano. D'Artagnan, posto in fila colla sua compagnia, salutò con un gesto espressivo i suoi amici, ed il sig. de Tréville che lo riconobbe subito. Compiuta la cerimonia del ricevimento, i quattro amici furono ben presto riuniti. — Perdinci! gridò d'Artagnan, non è possibile di giungere in miglior punto, e le vivande non avranno avuto ancora il tempo di raffreddarsi. Non è vero, signori? aggiunse il giovane voltandosi verso le due guardie, che egli presentò ai suoi amici. — Ah! ah! sembra che voi banchettaste, disse Porthos. — Spero, disse Aramis, che non vi saranno donne al vostro pranzo? — Vi è del vino bevibile nella vostra bicocca? domandò Porthos. — Per bacco! vi è il vostro, amico caro, rispose d'Artagnan. — Il nostro vino? fece Athos meravigliato. — Sì, quello che mi mandaste. — Noi vi abbiamo mandato del vino? — Ma voi lo sapete bene di quel piccolo vino delle coste di Anjou. — Sì, so bene di qual vino volete parlare... — Il vino che preferivate... — Senza dubbio, quando io non ho ne champagne, nè Chambertin. — Ebbene! in mancanza di champagne e di Chambertin, vi contenterete di quello. — Noi abbiamo dunque fatto venire dei vino d'Anjou, golosi che siamo? Porthos. — Ma no, è il vino che mi fu spedito per parte vostra. — Per parte nostra? fecero i moschettieri. — Siete stato voi, Aramis, riprese Athos, che avete mandato del vino? — No; e voi, Porthos? — No; e voi, Athos? — No. — Se non siete stati voi, disse d'Artagnan, è stato il vostro albergatore. — Il nostro albergatore? — Eh! sì, il vostro albergatore, Godeau, albergatore dei moschettieri. — In fede mia, venga di dove vuol venire, non importa! disse Porthos, gustiamolo, e se è buono, beviamolo. — No, disse Athos, non beviamo il vino che ha una sorgente sconosciuta. — Avete ragione, Athos, disse d'Artagnan. Nessuno di voi ha incaricato l'oste Godeau d'inviarmi del vino? — No: e frattanto vi è stato mandato per parte nostra? — Ecco la lettera, disse d'Artagnan. E presentò il biglietto ai suoi camerati. — Questo è il suo carattere, disse Athos. Io lo conosco; sono stato io che prima di partire, ho accomodato i conti della comunità. — La lettera è falsa, disse Porthos, noi non siamo mai stati consegnati. — D'Artagnan, disse Aramis con tuono di rimprovero, come mai avete potuto credere che avessimo fatto del susurro? D'Artagnan impallidì, e un tremito convulso scosse tutte le sue membra. — Tu mi spaventi, disse Athos, che non parlava che nelle grandi occasioni che cosa è dunque accaduto? — Corriamo, corriamo, amici miei! gridò d'Artagnan, un orribile sospetto mi agita lo spirito: sarebbe questa ancora un'altra vendetta di quella donna? Fu Athos che impallidì a sua volta. D'Artagnan si slanciò verso la bettola; i tre moschettieri e le due guardie lo seguirono. Il primo oggetto che colpì la vista di d'Artagnan, entrando nella sala da pranzo, fu Brisemont steso per terra e rotolandosi in mezzo ad atroci convulsioni. Planchet e Fourreau, pallidi come cadaveri, cercavano di prestargli soccorso; ma era evidente che ogni soccorso era inutile: tutti i tratti del viso del moribondo erano increspati dall'agonia. — Ah! gridò egli scorgendo d'Artagnan: ah! è orribile! voi fate sembiante di farmi grazia per poi avvelenarmi! — Io! gridò d'Artagnan, io, disgraziato! che dici tu dunque? — Io dico che siete stato voi che mi avete dato questo vino, io dico che siete stato voi che mi avete dato da bere, io dico che siete voi che vi vendicate di me, io dico che questa è una cosa orribile!. — Non credete niente Brisement, disse d'Artagnan; non credete niente: ve lo giuro. — Oh! ma vi è un Dio!; Dio vi punirà! mio Dio, ch'egli soffra un giorno quanto soffro io. — Sul mio onore, gridò d'Artagnan precipitandosi verso il moribondo, vi giuro che non sapeva che questo vino fosse avvelenato, e che io stesso era sul punto di berlo come voi. — Non lo credo, disse il soldato. E spirò in un aumento di tortura. — È orribile! mormorò Athos, nel mentre che Porthos, rompeva le bottiglie, e che Aramis dava gli ordini, un po' tardi, perchè si andasse a cercare un confessore. — Oh! amici miei, disse d'Artagnan, voi mi avete anche una volta salvata la vita, e non solo a me, ma ancora a questi compagni. Signori, continuò egli dirigendosi alle guardie, vi domando il silenzio sopra questa avventura: grandi personaggi potrebbero aver parte in tutto ciò che avete veduto, e il male di tutto ciò ricadrebbe su noi. — Ah! signore, balbettò Planchet più morto che vivo; ah! signore, io l'ho fuggita bella! — In che modo, furbo! gridò d'Artagnan, tu stavi per bere il mio vino? — Alla salute del re, signore; ero per bere un povero bicchiere, se Fourreau non mi avesse detto che mi chiamavano. — Ahimè! disse Fourreau, i di cui denti si sbattevano pel terrore, io voleva allontanarlo per berlo tutto da solo. — Signori, disse d'Artagnan indirizzandosi alle guardie, voi capirete che un simile festino non potrebbe essere che molto tristo dopo ciò che è accaduto; così accettate tutte le mie scuse, rimettiamo la partita a un altro giorno, ve ne prego. Le due guardie accettarono cortesemente le scuse di d'Artagnan ed accorgendosi che i quattro amici desideravano di restar soli, si ritirarono. Allorchè la guardia ed i tre moschettieri furono senza testimoni, si guardarono con un'aria che voleva dire: che ciascuno comprendeva la gravità della situazione. — Primieramente, disse Athos, sortiamo da questa camera; un morto è sempre una cattiva compagnia. — Planchet, disse d'Artagnan, vi raccomando di vegliare sul cadavere di questo povero diavolo; che sia sepolto in cimiterio. Aveva commesso un delitto è vero, ma se ne era anche pentito. E i quattro amici uscirono dalla camera lasciando Planchet e Fourreau incaricati di rendere gli onori mortuarii a Brisemont. L'oste dette loro un'altra camera, nella quale furono loro servite delle uova da bere, e dell'acqua che Athos andò a prendere da se stesso alla fontana. In poche parole Athos, Porthos e Aramis furono messi al corrente della situazione. — Ebbene! disse d'Artagnan ad Athos, voi lo vedete, amico caro, questa è una guerra a morte. Athos scosse la testa. — Sì, sì, diss'egli, lo vedo bene! ma credete voi che sia essa? — Ne sono sicuro. — Però, io vi confesso che ho ancora qualche dubbio. — Ma quel giglio sulla spalla? — Sarà una Inglese che avrà commesso qualche delitto in Francia, e che quindi sarà stata infamata in conseguenza del suo delitto. — Athos, è vostra moglie, ve lo dico io, rispose d'Artagnan; non vi ricordate voi dunque come tutti i connotati si rassomigliano. — Io però avrei creduto che l'altra fosse in realtà morta, perchè l'avevo bene impiccata. Fu d'Artagnan che questa volta scosse la testa. — Ma finalmente che cosa è quello che dovremo fare? disse il giovine. — Il fatto è che non si può restar così con una spada continuamente sospesa al di sopra della testa, disse Athos, e che bisogna uscire da questa situazione. — Ma in che modo. — Ascoltate; cercate di raggiungerla e di avere una spiegazione con lei. Ditele: la pace, o la guerra! sulla mia parola da gentiluomo di non dire giammai cosa alcuna, nè fare cosa alcuna contra di voi. Dal canto vostro, giuramento solenne di restar neutra a mio riguardo; altrimenti, io andrò a ritrovare il cancelliere, andrò a ritrovare il re, andrò a ritrovare il boia; metterò sossopra la corte contro di voi, io vi denunzierò come infame: vi farò mettere sotto processo, e se voi sarete assoluta, ebbene io vi ucciderò, fede da gentiluomo, all'angolo di qualche strada, come ucciderei un cane arrabbiato. — Mi piace assai questo piano, disse d'Artagnan; ma come potrò metterlo ad esecuzione! — Il tempo porta seco l'occasione; l'occasione è la martingala dell'uomo: più s'impegna, e più si vince, quando si sa aspettare. — Sì, ma aspettare circondato da assassini e da avvelenatori... — Bah! disse Athos, Dio ci ha conservati fin qui, Dio ci conserverà pure per l'avvenire. — Sì, noi... poi altronde siamo uomini, e alla fine, è del nostro stato l'arrischiare la nostra vita; ma, ma essa... soggiunse egli a mezza voce. — Chi è quest'essa? domandò Athos. — Costanza. — La signora Bonacieux? ah sì, è giusto, disse Athos. Povero amico! dimenticava che siete innamorato. — Ebbene! ma, disse Aramis, non avete voi veduto dalla lettera stessa, che fu ritrovata sul miserabile che è stato ucciso, che ella era in convento? nei conventi si sta benissimo, e tosto che l'assedio della Rochelle sarà terminato, vi prometto per conto mio... — Buono, disse Athos. Sì, mio caro, Aramis, noi sappiamo che i vostri voti tendono al ritiro. — Io non sono moschettiere che provvisoriamente, disse umilmente Aramis. — Sembra che sia molto tempo che non abbiate ricevuto notizia della vostra amica, disse a bassa voce Athos; ma non fate attenzione, noi conosciamo questo. — Ebbene! disse Porthos, mi sembra che vi potrebbe essere un mezzo semplice. — E quale? domandò d'Artagnan. — Ella è in un convento, voi dite? riprese Porthos. — Sì. — Ebbene, tosto terminato l'assedio, noi la rapiremo da questo convento. — Sì, ma bisogna prima sapere in quale convento ella sia. — È giusto disse Porthos. — Ma, ora che vi penso, disse Athos, non pretendete voi, caro d'Artagnan, che sia stata la regina che abbia fatta la scelta del convento? — Sì, io lo credo almeno. — Ebbene, ma Porthos ci aiuterà in questo. — In che modo? se vi aggrada. — Per mezzo della vostra principessa, della vostra duchessa, della vostra marchesa; ella deve avere le braccia lunghe. — Zitto! disse Porthos mettendo un dito sulle sue labbra, io la credo un poco ministeriale, per conseguenza non deve sapere nulla da noi. — Allora, disse Aramis, io m'incarico di averne notizia. — Voi, Aramis! gridarono i tre amici; ed in che modo? — Per mezzo dell'elemosiniere della regina, col quale sono in stretta amicizia, disse Aramis arrossendo. E dopo questa assicurazione, i quattro amici, che avevano terminato il loro modesto vitto, si separarono con promessa di rivedersi nella stessa sera. D'Artagnan ritornò ai Minimi, e i tre moschettieri raggiunsero il quartiere del re, ove essi dovevano far preparare il loro alloggio. CAPITOLO XLIII. L'ALBERGO DEL COLOMBAIO ROSSO Appena giunto al campo, il re, che aveva tanta fretta di ritrovarsi in faccia del nemico, e che divideva l'odio del ministro contro Buckingham, volle fare tutte le disposizioni dapprima per scacciare gl'inglesi dall'isola Re, in seguito per stringere l'assedio della Rochelle; ma, suo malgrado, fu ritardato a cagione delle dissenzioni che scoppiarono fra il signor Bassompierre e Schömberg contro il duca d'Angoulème. I signori Bassompierre e Schömberg erano marescialli di Francia, e reclamavano il loro diritto di comandare l'armata sotto gli ordini del re; ma il ministro che sapeva essere Bassompierre ugonotto nel fondo del suo cuore, e che stringeva debolmente gl'inglesi e Rochellesi, suoi fratelli in religione, spingeva al contrario il duca di Angoulème, che il re a sua istigazione aveva nominato luogotenente generale. Ne risultò, sotto pena di vedere i signori Bassompierre e Schömberg disertare l'armata, di dover loro affidare a ciascuno un comando speciale. Bassompierre prese i suoi quartieri al nord della città da Lalen fino a Dompierre; il duca di Angoulème prese i suoi all'est, da Dompierre fino a Périgny. Il sig. Schömberg, al mezzogiorno, da Périgny fino ad Angoulin. Il quartiere di Monsieur era Dompierre. Il quartiere del re era un poco ad Estré, un poco alla Jarre. Finalmente l'alloggio del ministro era sulle dighe, o piuttosto sul ponte della Pierre, in una piccola casa senza alcun trinceramento. In questo modo Monsieur sorvegliava Bassompierre, il re il duca d'Angoulème, il ministro il signor de Schömberg. Stabilita questa organizzazione, fu subito la prima cura quella di scacciare gl'Inglesi dall'isola. La circostanza era favorevole. Gl'Inglesi che prima di ogni altra cosa hanno bisogno di buoni viveri per essere buoni soldati, non mangiando più che carni salate e cattivo biscotto, avevano molti malati nel loro campo; di più, il mare, molto pericoloso in quell'epoca dell'anno lungo tutte le coste di ponente, metteva tutti i giorni qualche piccolo bastimento a secco, e la spiaggia, dalla punta d'Aiguillon fino alla trincea, era letteralmente, a ciascuna marea, ricoperta di pini, di alberi e di feluche rotte; ne risultava che, quand'anche i soldati del re si fermassero nel loro campo, era evidente che un giorno o l'altro Buckingham, che non restava nell'isola Re se non per ostinazione, sarebbe obbligato di levare l'assedio. Ma siccome il signor di Toiras fece dire che tutto si preparava nel campo nemico per un nuovo assalto, il re giudicò che era tempo di finirla, e dette gli ordini necessari per un affare decisivo. Non essendo nostra intenzione di fare il giornale dell'assedio, ma al contrario di non riportare che quegli avvenimenti che sono strettamente collegati colla storia che raccontiamo, ci contenteremo di dire in due parole che l'intrapresa riuscì con gran contento del re, con gloria del sig. duca ministro. Gl'Inglesi respinti piede per piede, battuti da tutte le parti, sommersi al passaggio dell'isola, furono obbligati di rimbarcarsi, lasciando sul campo di battaglia due mila uomini, fra i quali cinque colonnelli tre tenenti-colonnelli, dugento cinquanta capitani, e venti gentiluomini di qualità con due pezzi di cannone, e sessanta bandiere, che furono portate a Parigi da Claudio di San Simone, e sospese con gran pompa alla volta della chiesa di Nostra-Donna. Fu cantato il _Te Deum_, al campo, e di là si propagò per tutta la Francia. Il ministro restò dunque padrone di continuare l'assedio, senza dovere momentaneamente almeno aver nulla a temere per parte degli Inglesi. Un inviato del duca di Buckingham, nominato Montaigu, era stato preso, e si era avuta la pruova di una lega fra l'Impero la Spagna l'Inghilterra e la Lorena. Questa era la lega contro la Francia. Di più, negli appartamenti di Buckingham, che era stato costretto di abbandonare così precipitosamente, si erano ritrovate delle carte, nelle quali si confermava questa lega, a quanto pure ci assicura il ministro nelle sue memorie che compromettevano fortemente la signora de Chevreuse, e per conseguenza la regina. Però era sul ministro che pesava tutta la responsabilità, perchè non si può essere ministro senza essere responsabile. Per cui tutte le risorse del suo vasto genio erano tese notte e giorno, e occupate ad ascoltare il menomo rumore che si elevasse in uno dei più gran regni d'Europa. Il ministro conosceva l'attività, e soprattutto l'odio di Buckingham; se la lega che minacciava la Francia trionfava, tutta la sua influenza era perduta, la politica spagnuola e alemanna aveva i suoi rappresentanti nel gabinetto del Louvre, dove non aveva ancora partigiani. Richelieu, il ministro francese, il ministro nazionale per eccellenza, era perduto; il re, che, mentre lo obbediva come un fanciullo, l'odiava, come un fanciullo odia il suo maestro, l'abbandonava alle vendette riunite di Monsieur e della regina. Egli era perduto, e con lui forse tutta la Francia; bisognava dunque riparare questo colpo. Fu per questo che si videro i corrieri divenuti ad ogni istante più numerosi, succedersi notte e giorno a questa piccola casa del ponte della Pierre, ove il ministro aveva stabilita la sua residenza. Erano persone di ogni specie e carattere, di ogni abito e costume; donne alquanto imbarazzate nel loro vestito da paggio, le di cui larghe pieghe del gonnellino, non giungevano a nascondere interamente le forme arrotondate; finalmente paesani colle mani annerite ma le gambe sottili, e che facevano sentire l'uomo di qualità da una lega di distanza. Quindi altre visite meno ancora aggradevoli, poichè due o tre volte corse la voce che il ministro era sul punto di essere assassinato. È vero che i nemici di Sua Eccellenza dicevano che era egli stesso che faceva spargere questa voce, e che metteva in campagna gli assassini mal destri per avere, all occorrenza, il diritto di rappresaglia; ma non bisogna credere nè a quello che dicono i ministri, nè a quello che dicono i loro nemici. Ciò del resto non toglieva al ministro, cosa che i suoi più accaniti detrattori non hanno mai contestato, il coraggio personale di fare delle corse notturne, ora per comunicare al duca di Angoulème degli ordini importanti, ora per andare a prendere dei concerti col re, ora per conferire con qualche messaggiero che non voleva che fosse veduto nella sua abitazione. Dal canto loro, i moschettieri che non avevano gran cosa da fare all'assedio, non erano tenuti con regolamenti severi, e menavano una gioconda vita. Ciò era loro tanto più facile, particolarmente ai nostri tre compagni perchè erano amici del sig. de Tréville; essi ottenevano facilmente da lui di potere rientrare tardi, e di restare fuori anche dopo la chiusura del campo con dei permessi particolari. Ora una sera che d'Artagnan era di guardia alla trincea, e che non aveva potuto accompagnarli, Athos, Porthos ed Aramis, montati sopra i loro cavalli di battaglia, avviluppati nei loro mantelli da guerra, con una mano sulla incassatura delle loro pistole, ritornavano tutti e tre da una bettola, che Athos aveva scoperta due giorni prima, posta sulla strada della Jarre e che si chiamava il _Colombaio rosso_. Essi seguivano il cammino che conduceva al campo, tenendosi sulle difese, come abbiamo detto per timore di qualche imboscata, allorchè, a un quarto di lega circa dal villagio di Boisnau, credettero sentire il passo di una cavalcata che veniva verso di loro. Tosto si fermarono tutti e tre, stretti l'uno all'altro; e aspettarono, stando sul mezzo della strada. Un istante dopo, precisamente in cui la luna usciva da una nube, videro comparire da una voltata della strada due cavalieri, che a loro volta si fermarono, sembrando deliberare se dovevano o no continuare la strada, o ritornare addietro. Questa esitazione dette qualche sospetto ai tre amici, e Athos facendo un passo in avanti, gridò colla sua voce ferma: — Chi vive? — Chi vive a voi stessi? domandò uno dei due cavalieri. — Questo non è rispondere! disse Athos. Chi vive? rispondete o scarichiamo. — Guardate a ciò che fate, disse allora una voce vibrante che sembrava avere l'abitudine di comandare. — Sarà un qualche ufficiale superiore che fa la sua ronda notturna, disse Athos, rivoltandosi verso i suoi amici che volete voi fare, signori? — Chi siete voi? disse la stessa voce collo stesso tuono di comando: rispondete, o vi potreste ritrovar male per la vostra disobbedienza. — Moschettieri del re! disse Athos, sempre più convinto che quegli che l'interrogava in tal modo ne aveva il diritto. — Di qual compagnia? — Compagnia de Tréville. — Avanzatevi all'ordine, e venite a rendermi conto di ciò che fate qui a quest'ora. I tre compagni si avanzarono coll'orecchia un poco bassa, poichè tutti e tre erano allora convinti di aver che fare con uno più di loro. Fu però lasciato ad Athos di portare la parola. Uno dei due cavalieri, quello che aveva parlato il secondo, era dieci passi più avanti del suo compagno; Athos fece segno a Porthos ed Aramis di rimanere essi pure in addietro; e si avanzò solo. — Perdono mio ufficiale, disse Athos ma noi non sapevamo con chi avevamo che fare, e voi potete vedere che facevamo buona guardia. — Il vostro nome? disse l'ufficiale che si copriva una parte del viso col mantello. — Prima il vostro, signore, disse Athos che cominciava a disgustarsi contro questa inquisizione, datemi prima, vi prego, la pruova che voi avete il diritto d'interrogarmi. — Il vostro nome? riprese una seconda volta il cavaliere, lasciando cadere il suo mantello in modo da far apparire tutto il suo viso scoperto. — Il signor ministro! gridò il moschettiere stupefatto. — Il vostro nome? riprese per la terza volta Sua Eccellenza. — Athos! disse il moschettiere. Il ministro fece un segno allo scudiere, che si avvicinò. — Questi tre moschettieri ci seguiranno, diss'egli a bassa voce, io non voglio che si sappia che sono uscito dal campo; e ordinando che ci seguano, noi siamo sicuri ch'essi non lo diranno a nessuno. — Noi siamo gentiluomini, Eccellenza, disse Athos; domandateci dunque la nostra parola; e non abbiate alcuna inquietudine. Grazie a Dio, noi sappiamo custodire un segreto. Il ministro fissò i suoi occhi penetranti sopra questo ardito interlocutore. — Voi avete l'orecchio fino, signor Athos, disse il ministro, ma ora ascoltatemi: non è per diffidenza che io vi prego di seguirmi; i vostri due compagni saranno i signori Porthos ed Aramis? — Sì, Eccellenza, disse Athos, nel mentre che i due moschettieri rimasti in addietro s'innoltravano col cappello in mano. — Io vi conosco, signori, disse il ministro, vi conosco; io so che non siete del tutto fra i miei amici, e ne sono dispiacente; ma so d'altronde che siete coraggiosi e leali gentiluomini e che si può fidarsi di voi Signor Athos, fatemi dunque l'onore di accompagnarmi, voi e i vostri due amici, ed allora avrò una scorta da fare invidia a Sua Maestà, se lo incontriamo. I tre moschettieri s'inchinarono fino sul collo del loro cavallo. — Ebbene! sul mio onore, disse Athos, Vostra Eccellenza ha ragione di condurci seco: noi abbiamo incontrato sulla strada dei visi orribili, ed anzi nella osteria del Colombaio rosso abbiamo avuto una contesa con quattro di questi brutti visi. — Una contesa! e perchè, signori? disse il ministro, io non amo le liti, voi lo sapete. — È precisamente per questo che ho avuto l'onore di prevenire Vostra Eccellenza di ciò che è accaduto, poichè potrebbe saperlo da qualcun altro, e dietro un rapporto crederci in mancanza. — E quale è stato il risultato di questa lite? domandò il ministro aggrottando il sopracciglio. — Il mio amico Aramis, che qui vedete, ha ricevuto un piccolo colpo di spada nel braccio, cosa che non gli impedirà, come Vostra Eccellenza può vederlo, di montare all'assalto, se Vostra Eccellenza ordina la scalata. — Ma voi non siete uomo da lasciar dare un colpo così, disse il ministro. Sentiamo, siate franco, signore, voi pure ne avete reso qualcuno: confessatevi; voi sapete che io ho il diritto di dare l'assoluzione. — Io, Mio-signore, non ho neppure messo mano alla spada, ma ho preso pel corpo quello con cui avevo a che fare, e l'ho gettato dalla finestra; sembra che cadendo, continuò, Athos con qualche esitazione, egli si sia rotta la coscia. — Ah! ah! fece il ministro, e voi signor Porthos? — Io, Eccellenza, sapendo che il duello è proibito, ho afferrato una panca, e ho dato un colpo a uno di questi briganti, e credo di avergli rotta una spalla. — Bene! disse il ministro, e voi signor Aramis? — Io, Eccellenza, siccome sono di naturale dolcissimo, e che d'altronde, cosa che forse non sa Vostra Eccellenza, sono sul punto di ritirarmi dal mondo, io voleva dividere i miei camerati, quando uno di questi miserabili mi ha dato a tradimento un colpo che mi ha traversato il braccio; allora mi è mancata la pazienza, ho cavato io pure lo spada, e siccome egli ritornava alla carica, credo aver sentito che gettandosi sopra di me, se l'abbia fatta attraversare pel corpo; so solo che è caduto, e mi è sembrato che lo portassero via coi suoi due compagni. — Diavolo! signori, disse il ministro, tre uomini fuori di combattimento per una quistione da bettola! voi non vi andate colla mano morta; e a proposito da che è nata questa querela? — Questi miserabili erano ubriachi, disse Athos, e sapendo che vi era una donna, giunta poco prima nell'osteria, essi volevano forzare la sua porta. — E questa donna era giovane e bella? domandò il ministro con una certa inquietudine. — Noi non l'abbiamo veduta, Eccellenza, disse Athos. — Voi non l'avete veduta? benissimo, va benissimo! riprese vivamente il ministro; avete fatto bene a difendere l'onore di una donna, e siccome è all'albergo del Colombaio rosso ove io pure vado, saprò se mi avete detta la verità. — Mio-signore, disse con fierezza Athos, noi, siamo gentiluomini, e per salvare la nostra testa non diremmo una bugia. — Io pure non dubito sulla verità di ciò che dite, signor Athos; non ne dubito un solo istante. Ma aggiunse egli per cambiare la conversazione, questa donna era dunque sola? — Questa dama aveva un cavaliere chiuso nella sua camera, rispose Athos; ma siccome questo cavaliere, ad onta del rumore, non si è fatto vedere, è a presumere che questo sia un vile. — Non giudicare da temerario, dice l'Evangelo, replicò il ministro. Aramis s'inchinò. — Ed ora, signori, sta bene, continuò Sua Eccellenza, io so quando ne volevo sapere; seguitemi. I tre moschettieri passarono dietro al ministro che si avviluppò di nuovo il viso nel suo mantello, e rimise il suo cavallo in moto prendendo otto o dieci passi di vantaggio sulle persone che componevano la sua scorta. Si giunse ben presto al silenzioso e solitario albergo. Senza dubbio l'oste sapeva quale illustre personaggio stava per alloggiare e per conseguenza avea mandato via tutti gli importuni. Dieci passi prima di arrivare alla porta, il ministro fece un segno al suo scudiere, ed ai tre moschettieri di fare alto; un cavallo già insellato era attaccato ad una inferriata, il ministro battè tre volte, ed in un modo particolare. Un uomo avvolto in un mantello uscì subito, e cambiò alcune parole rapidamente col ministro, dopo di che rimontò a cavallo, e partì nella direzione di Surgère, che era pure quella di Parigi. — Avanti, signori, disse il ministro. Voi mi avete detta la verità, miei gentiluomini, diss'egli indirizzandosi ai tre moschettieri, e non dipenderà da me, che il nostro incontro di questa sera non debba riuscirvi vantaggioso. Frattanto, seguitemi. Il ministro pose i piedi a terra, e i tre moschettieri fecero altrettanto; il ministro gettò le redini del suo cavallo nelle mani del suo scudiere, i tre moschettieri attaccarono le redini dei loro ad una inferriata. L'oste stava sulla soglia della porta, per lui il ministro altro non era che un ufficiale che veniva a far visita ad una signora. — Avete voi qualche camera al pian terreno ove questi signori possono aspettarmi stando vicini ad un buon fuoco? disse il ministro. L'oste aprì una porta di una sala, nella quale precisamente era stato surrogato un eccellente e grande cammino ad un cattivo braciere. — Ho questa, disse egli. — Sta bene, rispose il ministro. Entrate, signori, e compiacetevi aspettarmi; io non starò più di una mezza ora. E nel mentre che i tre moschettieri entravano nella camera al pian terreno, il ministro, senza domandare più ampie informazioni, montò la scala come un uomo che non ha bisogno che gli venga indicata la strada. CAPITOLO XLIV. UTILITÀ DELLE GOLE DA BRACIERE Egli è evidente che, senza dubitarsene, e mossi soltanto dal loro carattere cavalleresco e avventuriero, i nostri tre amici avevano reso qualche servizio ad una persona che il ministro onorava della sua particolare protezione. Ora chi era questa persona? fu la domanda che per prima si fecero fra di loro i tre moschettieri; quindi vedendo che alcune delle risposte che poteva fare la loro intelligenza non era soddisfacente, Porthos chiamò l'oste e si fece portare dei dadi. Egli ed Aramis si assisero ad una tavola, e si misero a giuocare, Athos passeggiava riflettendo. Mentre rifletteva e passeggiava, Athos passava e ripassava davanti la gola del braciere rotto per metà e la di cui estremità metteva nella camera superiore, e ciascheduna volta che passava e ripassava, sentiva un rumore di parole che finirono col fissare la di lui attenzione. Quindi si avvicinò e distinse alcune parole che gli parvero senza dubbio di meritare un tale interesse, che gli fecero far segno ai suoi due compagni di tacere, restando egli stesso incurvato coll'orecchio teso all'altezza dell'orifizio inferiore. — Ascoltate, milady, diceva il ministro, l'affare è importante. Sedetevi, e parliamo. — Milady! mormorò Athos. — Io ascolto Vostra Eccellenza con la più grande attenzione, rispose una voce di donna che fece fremere il moschettiere. — Un piccolo bastimento con equipaggio inglese, il di cui capitano sta a' miei ordini, vi aspetta all'imboccatura della Charente, al forte della Punta; egli metterà alla vela domani mattina. — Bisogna dunque che io vada questa notte. — Sull'istante medesimo; vale a dire dopo che avrete ricevuto le mie istruzioni. Due uomini che, uscendo, ritroverete alla porta, vi serviranno di scorta; voi mi lascerete uscire pel primo; quindi una mezz'ora dopo di me uscirete voi pure. — Sì, Mio-signore. Ora, ritorniamo alla missione di cui volete incaricarmi, e siccome io metto molto interesse per continuare a meritarmi la confidenza di Vostra Eccellenza, degnatevi di espormela in termini chiari e precisi, affinchè io non abbia a commettere alcun errore. Vi fu un istante di profondo silenzio fra i due interlocutori; era evidente che il ministro pesava in antecedenza i termini coi quali stava per esprimersi, e che milady raccoglieva tutte le sue facoltà intellettuali per comprendere le cose che stava per dirle, e per imprimersele nella sua memoria quando sarebbero dette. Athos approfittò di questo momento per dire ai suoi due compagni di chiudere la porta per di dentro, e per far loro segno che venissero ad ascoltare insieme con lui. I due moschettieri, che amavano i loro comodi, portarono una sedia per ciascuno di loro due, ed una terza per Athos. Tutti e tre si assisero con le loro teste avvicinate, e le orecchie in ascolto. — Voi partirete per Londra, riprese il ministro. Giunta colà, andrete a ritrovare Buckingham. — Io farò osservare a Vostra Eccellenza, disse milady, che dopo l'affare dei puntali di diamanti, pei quali il duca ha sempre avuto dei sospetti su me, Sua Grazia non ha più alcuna confidenza in me. — Ma questa volta, disse il ministro, non si tratta più di accattivarsi la sua confidenza, ma di presentarsi francamente e lealmente come negoziatrice. — Francamente e lealmente? ripetè milady con un indicibile accento di doppiezza. — Sì, francamente e lealmente, riprese il duca con lo stesso tuono; tutto questo affare deve essere trattato allo scoperto. — Io seguirò alla lettera le istruzioni di Vostra Eccellenza, e aspetto che me le partecipi. — Voi anderete a ritrovare Buckingham per parte mia, e gli direte che io so tutti i preparativi ch'egli fa, ma che non me ne prendo punto alcun pensiero, attesochè al primo movimento che egli arrischierà, io perderò la regina. — Crederà egli che Vostra Eccellenza è al caso di mantenere la minaccia che ora fa? — Sì, poichè ho delle pruove. — Bisogna che io possa presentare queste pruove e la loro importanza. — Senza dubbio, e gli direte: primo che io pubblico il rapporto di Bois-Robert e del marchese Beatru, sulla conversazione che il duca ha avuto in casa della signora contestabile con la regina, la sera in cui la signora contestabile ha dato una gran festa mascherata: gli direte, affinchè non dubiti più, che egli vi venne col costume di gran Mogol, che doveva portare il cavaliere de Guise, e che ha comprato da quest'ultimo mediante la somma di tremila doppie. — Bene, Mio-signore. — Tutti i particolari della sua entrata al Louvre, e della sua uscita, durante la notte in cui si è introdotto nel palazzo, sotto le vesti di un dicitore di buona avventura italiano mi sono noti; gli direte, perchè non abbia ancora a dubitare della autenticità delle mie informazioni, ch'egli aveva sotto il suo mantello una gran veste bianca disseminata di lagrime nere, di teste di morte, e di ossa incrociate, poichè nel caso di una sorpresa doveva farsi credere il fantasma della donna bianca, che, come ciascuno sa, ritorna a comparire al Louvre, ogni qualvolta sta per accadere un grande avvenimento. — È tutto qui, Mio-signore. — Ditegli che so ancora tutte le circostanze della avventura d'Amiens; che farò fare un piccolo romanzo spiritosamente composto, con un piano del giardino, e i ritratti dei principali attori di questa scena notturna. — Gli dirò anche questo. — Ditegli ancora che io tengo prigioniero Montaigu, che Montaigu è alla Bastiglia, che è vero che non gli fu ritrovata indosso alcuna lettera, ma che la tortura può fargli dire tutto ciò che sa, ed ancora ciò che non sa. — A meraviglia! — Finalmente, aggiungete che Sua Grazia, nella fretta precipitata che ha impiegata nel lasciare l'isola Re, dimenticò nel suo alloggio alcune lettere della signora de Chevreuse, che compromettono particolarmente la regina, in quanto che esse provano che Sua Maestà non solo può amare i nemici del re, ma ancora che ella cospira con quelli della Francia. Avete voi ben ritenuto tutto ciò che ho detto? — Vostra Eccellenza ne giudichi da se stessa: il ballo mascherato della signora contestabile, la notte del Louvre, la serata d'Amiens, l'arresto di Montaigu, la lettera della signora de Chevreuse. — Sta bene, disse il ministro, sta bene; voi avete una felice memoria, milady. — Ma, riprese quella a cui il ministro aveva diretto questo complimento, se malgrado tutte queste ragioni il duca non si arrendesse, e continuasse a minacciare la Francia? — Il duca è innamorato come un pazzo, o piuttosto come uno stupido, riprese Richelieu con una profonda amarezza. Come gli antichi paladini, egli non ha intrapresa questa guerra che per ottenere uno sguardo dalla sua bella. Se egli sa che questa guerra può costare l'onore, e fors'anche la libertà della donna dei suoi pensieri, come egli dice, vi garantisco che vi penserà due volte. — Eppure, disse milady con una persistenza che provava che voleva veder chiaro fino al termine della missione di cui era incaricata, eppure s'egli persiste? — Se egli persiste?... disse il ministro, ciò non è probabile. — Ciò è però possibile, disse milady. — S'egli persiste... Sua Eccellenza fece una pausa, e riprese: — S'egli persiste, ebbene! io spererò in uno di quelli avvenimenti che cambiano la faccia degli stati. — Se Vostra Eccellenza volesse citarmi nella storia qualcuno di questi avvenimenti, disse milady, forse dividerei la sua confidenza nell'avvenire. — Ebbene sentite, per esempio, disse Richelieu, quando nel 1610, per una causa presso a poco simile a quella che fa muovere il duca, il re Enrico IV, di gloriosa memoria, stava per invadere ad un tempo la Fiandra e l'Italia per colpire l'Austria da due parti, ebbene! non è accaduto un avvenimento che salvò l'Austria? perchè il re di Francia non potrebbe avere una circostanza uguale a quella che ebbe l'imperatore? — Vostra Eccellenza vuol parlare del colpo di coltello della strada Feronniere. — Precisamente, disse il ministro. — Vostra Eccellenza non teme che il supplizio di Ravaillac spaventi coloro che per un momento avessero avuto il pensiero d'imitarlo. — Vi è in tutti i paesi, particolarmente se questi paesi sono divisi di religione, dei fanatici che non domanderebbero di meglio che di divenire martiri. Ed ecco: precisamente in questo momento mi ritorna il pensiero che i puritani sono furiosi contro il duca di Buckingham, e che i loro predicatori lo indicarono come l'anticristo. — Ebbene? disse milady. — Ebbene? continuò il ministro con un'aria indifferente, non si tratterebbe per il momento, per esempio, che di trovare una donna bella, giovane, accorta, che avesse a vendicare se stessa sul duca. Una tal donna può ritrovarsi. Il duca, è un uomo di buone fortune, e se ha seminati molti amori, colle sue promesse di eterna costanza, ha pure seminati molti odii colle sue eterne infedeltà. — Senza dubbio, disse freddamente milady, una tal donna si può ritrovare. — Ebbene! una donna che mettesse il coltello di Giacomo Clement, o di Ravaillac nelle mani di un fanatico, salverebbe la Francia. — Sì, ma ella sarebbe la complice di un assassino. — Sono mai stati conosciuti i complici di Ravaillac, o di Giacomo Clement? — No, perchè forse essi erano posti troppo in alto onde si osasse di andarli a cercare là ove erano. Non si brucerebbe il palazzo di giustizia per tutti, Mio-signore. — Voi dunque credete che l'incendio del palazzo di giustizia abbia avuto tutt'altra causa di quella di un semplice caso fortuito? domandò Richelieu nel modo che avrebbe fatto un'interrogazione senza alcuna importanza. — Io, Mio-signore, rispose milady, io non credo niente. Io cito un fatto, e nulla più. Solamente, dico che se mi chiamassi madamigella Montpensier, o la regina Maria de Medici, prenderei minori precauzioni di quelle che non prendo, chiamandomi semplicemente lady de Winter. — È giusto, disse Richelieu. Che vorreste voi dunque? — Io vorrei un ordine che ratificasse in antecedenza tutto ciò che vorrei fare per il maggior bene della Francia. — Ma bisognerebbe prima ritrovare la donna che ho detto, che avesse a vendicarsi del duca. — Essa è ritrovata, disse milady. — Quindi bisognerebbe ritrovare quel miserabile fanatico che servisse di strumento alla giustizia di Dio. — Si ritroverà. — Ebbene! disse il duca, allora sarà tempo di reclamare l'ordine che ora domandate. — Vostra Eccellenza ha ragione, riprese milady, e sono io che ho torto di vedere nella missione di cui vengo onorata, tutt'altra cosa, che ciò che vi è realmente; vale a dire, di annunziare a Sua Grazia, per parte di Vostra Eccellenza, che voi conoscete i diversi traversamenti per mezzo dei quali egli è giunto ad avvicinarsi alla regina durante la festa data dalla signora contestabile, che voi avete le pruove del colloquio accordato al Louvre dalla regina a certo astrologo italiano, che non è altra cosa che il duca di Buckingham; che voi avete comandato un piccolo romanzo dei più spiritosi sull'avventura d'Amiens col piano del giardino in cui è accaduto questa avventura, e il ritratto degli attori che vi figurarono; che Montaigu è alla Bastiglia, e che la tortura può fargli dire tutte le cose di cui si ricorda, ed anche quelle di cui non si ricorda; finalmente che voi possedete certa lettera della signora de Chevreuse, ritrovata nell'alloggio di Sua Grazia, che compromette grandemente non solo quella che l'ha scritta ma ancora quella a nome della quale è stata scritta. Quindi, se egli persiste, malgrado tuttociò, siccome la mia missione si limita a quanto ho detto, io non avrò più che a pregar Dio di fare un miracolo per salvare la Francia. È questo tutto ciò, signore, io non avrò altra cosa da fare? — Sta bene, rispose seccamente il ministro. — Ed ora, disse milady senza sembrare di rimarcare il cambiamento di tuono del duca e del suo sguardo, ora ho ricevuto le mie istruzioni da Vostra Eccellenza, a proposito dei suoi nemici; Mio-signore, mi permetta di dirgli due parole sopra i miei. — Voi dunque avete dei nemici? domandò Richelieu. — Sì, Mio-signore, dei nemici contro i quali dovete prestarmi un appoggio, poichè io me gli sono fatti servendo Vostra Eccellenza. — E quali? replicò il duca. — Primieramente, una piccola intrigante che si chiama Bonacieux. — Ella è nella prigione di Montes. — Vale a dire che vi era, riprese milady, ma la regina ha sorpreso un ordine del re col quale l'ha fatta trasportare in un convento. — In un convento? disse Richelieu. — Sì, in un convento. — In quale. — Non lo so; il secreto è ben custodito. — Io l'avrò. — E vostra Eccellenza mi dirà in qual convento è questa donna? — Io non vedo che vi possa essere alcun inconveniente, disse il ministro. — Bene. Ora ho un altro nemico molto più da temere per me di questa piccola signora Bonacieux. — E quale? — Il suo amante. — Come si chiama? — Oh! Vostra Eccellenza lo conosce bene, gridò milady trasportata dalla collera, è il nostro cattivo genio di tutti e due; è quegli che nell'incontro delle guardie di Vostra Eccellenza ha deciso la vittoria in favore dei moschettieri del re; è quegli che ha dato quattro colpi di spada a de Wardes, vostro emissario, e che ha fatto andare a vuoto l'affare dei puntali; è quegli finalmente che, sapendo che sono stata io che gli ho involato la signora Bonacieux, ha giurato la mia morte. — Ah! ah! disse il ministro, so di chi volete parlare. — Io voglio parlare di quel miserabile di d'Artagnan. — È un ardito compagnone, disse il ministro. — È precisamente per questo, che essendo un ardito compagnone, è tanto più da temersi. — Bisognerebbe, disse il duca, avere una pruova delle sue intelligenze con Buckingham. — Una pruova? gridò milady, io ne avrò dieci. — Ebbene! allora è la cosa più semplice del mondo: datemi questa pruova, ed io ve lo mando alla Bastiglia. — Bene, Mio-signore, ma in seguito? — Quando si è alla Bastiglia, non vi è più in seguito, disse il ministro con voce sorda. Ah! per bacco! continuò egli, se mi fosse così facile di sbarazzarmi del mio nemico come mi è facile di sbarazzarmi del vostro, e se fosse contro simili persone che voi mi domandate l'impunità... — Mio-signore, riprese milady, testa per testa, esistenza per esistenza, uomo per uomo: datemi quello, io vi do l'altro. — Io non so quello che voi volete dire, e non voglio neppure saperlo; ma ho il desiderio di rendermi a voi gradito, e non vedo alcuno inconveniente a darvi ciò che mi domandate in riguardo ad una creatura così infima, tanto più come voi mi dite, se questo piccolo d'Artagnan è un libertino, un duellista, un traditore. — Un infame! Mio-signore, un infame. — Dunque della carta, una penna, e dell'inchiostro, disse il ministro. — Ecco tutto, Mio-signore. — Bene. Fu fatto un momento di silenzio, il quale provava che il ministro era occupato a cercare i termini nei quali doveva essere scritto il biglietto, ed anche a scriverlo. Athos, che non aveva perduto una parola della conversazione, prese i suoi due compagni, ciascuno per la mano, e li condusse all'altra estremità della camera. — Ebbene! disse Porthos, che vuoi tu, e perchè non ci lasci ascoltare la fine di questa conversazione? — Zitto! disse Athos parlando a bassa voce, noi abbiamo inteso quanto è necessario che intendiamo; d'altronde, io non v'impedisco di ascoltare il resto, ma bisogna che io esca. — Bisogna che tu esca? disse Porthos; ma se il ministro chiederà di te, che cosa risponderemo noi? — Non aspetterete che egli vi domandi di me; voi gli direte pei primi che sono andato a perlustrare, poichè certe parole del nostro oste mi han dato luogo a pensare che il cammino non era sicuro; d'altronde ne dirò due parole allo scudiere del ministro; il resto concerne me solo non ve ne inquietate. — Siate prudente, Athos, disse Aramis. — Siate tranquillo, rispose Athos, voi lo sapete, io sono di sangue freddo. Porthos e Aramis andarono a prendere il loro posto vicino alla canna nel braciere. In quanto ad Athos, egli uscì senza alcun mistero dalla porta, andò a staccare il suo cavallo attaccato con quello dei suoi amici ad una inferriata del pian terreno, convinse in quattro parole lo scudiero della necessità di una avanguardia pel ritorno, visitò con affettazione le sue pistole, si mise la spada fra i denti, e seguì a corpo morto la strada che conduceva al campo. CAPITOLO XLV. SCENA CONIUGALE Come lo aveva preveduto Athos, il ministro non tardò a discendere; egli aprì la porta della camera ove erano entrati i moschettieri e ritrovò Porthos che faceva una partita accanita con Aramis. Con un rapido colpo d'occhio frugò tutti gli angoli della sala, e vide che gli mancava uno dei suoi uomini. — Che cosa è divenuto del signor Athos? domandò egli. — Mio-signore, rispose Porthos, è andato in perlustrazione, atteso alcune parole dell'oste che gli hanno fatto credere non essere molto sicura la strada. — E voi, che cosa avete fatto signor Porthos? — Ho vinto cinque doppie ad Aramis. — Ora potete ritornare con me? — Noi siamo agli ordini di Vostra Eccellenza. — A cavallo adunque, signori, perchè si fa tardi. Lo scudiero era alla porta e teneva per le redini il cavallo del ministro. Un poco più lontano, un gruppo di due uomini e di tre cavalli si vedeva fra l'ombre; questi due uomini erano quelli che dovevano condurre milady al porto della Punta, e vegliare al suo imbarco. Lo scudiero confermò al ministro ciò che i due moschettieri gli avevano già detto in proposito di Athos. Il ministro fece un gesto di approvazione, e si rimise in cammino, circondandosi nel ritorno delle medesime precauzioni che aveva prese nell'andata. Lasciamo seguirgli la sua strada del campo, protetto dallo scudiero e da' due moschettieri, e ritorniamo ad Athos. Per un centinaio di passi era andato della stessa andatura; ma una volta fuori della portata della vista, avea lanciato il suo cavallo a destra, aveva fatto una voltata, ed era ritornato a una ventina di passi entro il bosco a stare sulle vedette del passaggio della piccola compagnia; quindi avendo riconosciuto il cappello dei suoi compagni, e la frangia dorata del mantello di Sua Eccellenza, aspettò che i cavalieri avessero fatta la voltata all'angolo della strada, e avendoli perduti di vista, ritornò di gran galoppo all'albergo, che gli fu aperto senza difficoltà. L'oste lo riconobbe. — Il mio uffiziale, disse Athos, ha dimenticato di fare alla dama del primo piano una raccomandazione importante, e mi ha inviato per riparare la sua dimenticanza. — Salite, disse l'oste, ella è ancora nella sua camera. Athos approfittò del permesso, salì la scala col passo il più leggiero, giunse al piano, e, a traverso la porta socchiusa, vide milady che si metteva il cappello. Egli entrò nella camera, e chiuse la porta dietro a se. Athos rimase in piedi davanti alla porta, avvolto nel suo mantello, e col feltro calcato sopra gli occhi. Nel vedere questa figura muta ed immobile come una statua, milady ebbe paura. — Chi siete voi, e che cosa volete? gridò ella. — Andiamo, è realmente lei, mormorò Athos. E lasciando cadere il suo mantello, e rialzando il suo cappello, si avanzò verso milady. — Mi riconoscete voi, signora? disse egli. Milady fece un passo in avanti, quindi indietro come se avesse veduto un serpente. — Andiamo, disse Athos, sta bene io vedo che voi mi riconoscete. — Il conte della Fére! mormorò milady impallidendo, e rinculando fino a che il muro le impedì di andare più oltre. — Sì, sì, milady, rispose Athos, il conte della Fére in persona, che ritorna espressamente dall'altro mondo per avere il piacere di vedervi. Sediamo dunque, e parliamo, come dice il ministro. Milady, dominata da un terrore inesprimibile, si assise senza profferire una sola parola. — Voi siete un demonio inviato sulla terra, disse Athos; la vostra possanza è grande, io lo so, ma voi sapete pure che, coll'aiuto di Dio, gli uomini hanno vinto spesso i demonii anche i più terribili. Voi vi siete già abbattuta sul mio sentiero, ed io credeva di avervi atterrata, signora, ma o io mi sono ingannato, o l'inferno vi ha risuscitata. Milady, a queste parole che le ricordavano delle rimembranze orribili, abbassò la testa mandando un sordo gemito. — Sì, l'inferno vi ha risuscitata, riprese Athos, l'inferno vi ha fatta ricca, l'inferno vi ha dato un altro nome, l'inferno vi ha quasi rifatto anche un altro viso: ma non vi ha cancellato nè le lordure della vostra anima, nè il marchio infame del vostro corpo. Milady si alzò come mossa da una molla, e i suoi occhi lanciarono dei baleni. Athos rimase seduto. — Voi mi credevate morto, non è vero? io pure vi credeva morta, e questo nome di Athos aveva nascosto il conte della Fére, come il nome di Milady de Winter ha nascosto quello di Anna de Breuil? non era così che voi vi chiamavate quando ci siamo maritati? la nostra posizione è veramente strana, proseguì Athos ridendo; noi non abbiamo vissuto fino al presente se non perchè l'uno e l'altro ci credevamo morti, e perchè una rimembranza dà minor pena che una creatura, quantunque qualche volta nelle rimembranze vi sieno delle cose divoranti. — Ma finalmente, disse Milady con sorda voce, chi vi conduce a me, e che cosa volete? — Io voglio dirvi che rimanendo invisibile ai vostri occhi, non vi ho perduta di vista. — Voi sapete ciò che ho fatto? — Io posso raccontarvi giorno per giorno, le vostre azioni, dalla vostra entrata al servizio del ministro fino a questa sera. Un sorriso d'incredulità sfiorò le pallide labbra di milady. — Ascoltate. Siete voi che avete tagliati i due puntali di diamanti sulla spalla del duca di Buckingham; siete voi che avete fatta rapire la signora Bonacieux; siete voi che, innamorata di de Wardes credendo di ricever lui, avete aperta la vostra porta a d'Artagnan; siete voi che, credendo che de Wardes vi avesse tradita, volevate farlo uccidere dal suo rivale; siete voi che, allorquando questo rivale ha scoperto il vostro infame secreto, avete voluto farlo assassinare da due omicidi che avete inviati a perseguitarlo; siete voi, che sapendo che le loro palle avevano mancato il colpo, avete inviato del vino avvelenato con una falsa lettera, per far credere alla vostra vittima che questo vino veniva dai suoi amici; siete voi finalmente che venite qui, in questa camera, seduta sopra questa sedia, ove io siedo, a prendere col ministro, duca de Richelieu, l'impegno di fare assassinare il signor d'Artagnan. Milady era livida. — Voi dunque siete Satanasso? diss'ella. — Può darsi, disse Athos, ma in ogni caso ascoltate bene quanto io sono per dirvi: assassinate, o fate assassinare il duca di Buckingham, poco m'importa; io non lo conosco, e d'altronde egli è nemico della Francia; ma non toccate un sol capello a d'Artagnan, che è un amico fedele che io amo e difendo, o vi giuro sulla testa di mio padre, il delitto che avreste tentato di commettere o che avreste commesso sarà l'ultimo. — Il signor d'Artagnan mi ha offesa crudelmente, disse milady con sorda voce; il signor d'Artagnan dunque morrà. — In verità è egli possibile di potere offendere voi, signora, disse Athos ridendo; egli vi ha offesa, e morrà? — Egli morrà! riprese milady, prima lei, e poi lui. Athos fu preso da una vertigine: la vista di quella creatura, che non aveva niente di comune con le altre donne, gli richiamava delle orribili rimembranze, pensò che un giorno in cui si trovava in una situazione meno pericolosa di questa, egli aveva voluto sacrificarla al suo onore; il suo desiderio di ucciderla gli ritornò ardente, e lo investì una specie di febbre; si alzò egli pure, si levò dalla cintola una pistola, e la montò. Milady pallida come un cadavere voleva gridare, ma la sua lingua intirizzita non potè proferire che un suono rauco, che non aveva niente di comune con la parola umana, e che sembrava il ruggito di una bestia feroce; appoggiata, contro la tappezzeria ella sembrava, dai capelli sparsi, l'immagine spaventosa del terrore. Athos alzò lentamente la sua pistola, stese il braccio in modo che l'arma toccasse quasi la fronte di milady, quindi con voce tanto più terribile, in quanto che essa aveva la calma di una inflessibile risoluzione: — Signora, diss'egli, voi mi consegnerete sull'istante medesimo il foglio che vi ha firmato il ministro, oppure, sull'anima mia, vi faccio saltare le cervella. Con un altro uomo, milady avrebbe potuto conservare qualche dubbio, ma ella conosceva Athos. Ciò non ostante rimase immobile. — Voi avete ancora un altro minuto secondo per decidervi, le disse. Milady vide dalla contrazione del viso che il colpo stava per partire; allora portò la mano prestamente al suo seno, ne cavò un foglio e lo stese ad Athos. — Prendete diss'ella, e siate maledetto. Athos prese il foglio, rimise la sua pistola alla cintola, si avvicinò alla lampada per assicurarsi che veramente fosse quello, lo spiegò e lo lesse: «È per ordine mio, e per il bene dello stato che il portatore del presente ha fatto quello che ha fatto. «3 Agosto 1628. «_Richelieu._» — E ora, disse Athos riprendendo il suo mantello, e rimettendo il suo feltro sulla testa ora che ti ho strappato i denti, mordi se lo puoi! E uscì dalla camera senza neppur guardare dietro a se. — Alla porta dell'albergo trovò i due uomini, e il cavallo che tenevano a mano. — Signori, diss'egli, l'ordine di Sua Eccellenza, voi lo sapete, è di condurre questa donna, senza perdere tempo, al forte della Punta, e di non lasciarla che quando si è imbarcata. Siccome queste parole si accordavano effettivamente con gli ordini ricevuti, essi inchinarono la testa in segno di assenso. In quanto ad Athos, egli si mise leggermente in sella, e partì al galoppo. Soltanto, invece di seguire la strada, egli prese la traversa dei campi pungendo vigorosamente il suo cavallo, fermandosi di tratto in tratto per ascoltare. In una di queste fermate, egli intese sulla strada il rumore di molti cavalli. Non dubitò più che quello fosse il ministro colla sua scorta. Fece una nuova corsa in avanti, pulì il suo cavallo coll'erba e le foglie d'alberi, e venne a situarsi in mezzo alla strada a circa duecento passi dal campo. — Chi vive? gridò egli di lontano quando scoperse i cavalieri. — È il nostro bravo moschettiere io credo, disse il ministro. — Sì, Mio-signore, rispose Athos, sono io in persona. — Signor Athos, disse Richelieu, ricevete tutti i miei ringraziamenti per la buona guardia che voi ci avete fatta. Signori: eccoci arrivati; prendete la porta a sinistra; la parola d'ordine è _il re e l'isola re_. Dicendo queste parole, il ministro salutò colla testa i tre amici e voltò a dritta, seguito dal suo scudiere perchè in quella notte, egli stesso dormiva al campo. — Ebbene, dissero assieme Porthos ed Aramis, quando il ministro fu fuori delle loro voci; ebbene! gli ha firmato il foglio che ella domandava. — Lo so, disse tranquillamente Athos, poichè eccolo qua. E i tre amici non dissero più una sola parola finchè non giunsero al loro quartiere, eccetto che per dare la parola d'ordine alle sentinelle. Solamente fu inviato Mousqueton a dire a Planchet, che tosto che il suo padrone fosse ritornato dalla trincea, era pregato di portarsi sul momento all'alloggio dei moschettieri. Da un'altra parte come lo aveva preveduto Athos, milady, ritrovando alla porta gli uomini che l'aspettavano, non fece alcuna difficoltà a seguirli; ella avrebbe avuto per un momento la volontà di farsi riaccompagnare davanti al ministro e di raccontargli tutto, ma una rivelazione per parte sua avrebbe occasionata una rivelazione, per parte d'Athos, ella direbbe bene che Athos l'aveva impiccata ma Athos direbbe ch'ella era bollata; pensò adunque che valeva ancor meglio conservare il silenzio, partire col segreto, compiere colla sua abilità ordinaria la difficile missione di cui era stata incaricata; quindi terminata ogni cosa con la soddisfazione del ministro, venire da lui a reclamare la sua vendetta. In conseguenza dopo aver viaggiato tutta la notte, a sette ore del mattino ella giungeva al forte della Punta, a otto ore era imbarcata, e a nove ore il bastimento alzava l'ancora, e faceva vela per Inghilterra. CAPITOLO XLVI. IL BASTIONE DI SAN GERVASIO Giungendo presso i suoi tre amici, d'Artagnan li ritrovò riuniti nella stessa camera. Athos rifletteva, Porthos si arricciava i baffi, Aramis leggeva delle orazioni sopra un grazioso libretto legato in velluto blu. — Perdinci! diss'egli, signori, spero che quanto avete a dirmi, ne valga la pena altrimenti non vi perdonerei di avermi fatto smantellare un bastione da per me solo. Ah! perchè mai non eravate voi là, signori! la vi faceva un gran caldo. — Noi eravamo da un'altra parte, dove certamente non faceva neppure un gran freddo, rispose Porthos tutto occupato a far prendere a' suoi baffi una piega sua particolare. — Oh! oh! fece d'Artagnan, comprendendo il leggero aggrottamento di sopracciglio del moschettiere, sembra che qui vi sia del movimento. — Aramis, disse Athos, voi siete stato a fare colezione ieri l'altro all'albergo del Farfallone, io credo? — Sì. — Come vi si sta? — Io vi ho mangiato molto male pel canto mio; però non è da giudicarne da ciò, ieri l'altro era giorno di magro e non vi era che di grasso. — Come! disse Athos, in un porto di mare essi non hanno pesce? — Essi dicono, riprese Aramis rimettendosi alla sua pietosa lettura, che la diga, che ha fatto costruire il ministro, lo scaccia in alto mare. — Ma non è questo che io voleva domandarvi, Aramis, riprese Athos, io vi chiedo se voi siete stato in libertà, e se è venuto nessuno a disturbarvi... — Mi sembra che noi non abbiamo avuto molti importuni. Sì, davvero perciò che voi volete dire, Athos, noi staremo abbastanza bene al Farfallone. — Andiamo dunque, al Farfallone, disse Athos, poichè qui i muri sono come i fogli di carta. D'Artagnan che era abituato al modo di fare del suo amico, e che riconosceva subito da una parola, da un segno che le circostanze erano gravi, prese il braccio di Athos, e uscì senza dirgli una parola. Porthos li seguì parlando con Aramis. Per la strada fu incontrato Grimaud; Athos gli fece segno di seguirlo. Grimaud, secondo la sua abitudine, obbedì in silenzio; il povero servitore aveva quasi disimparato del tutto a parlare. Giunsero all'osteria del Farfallone. Erano le sette ore del mattino, il giorno cominciava a comparire; i quattro amici ordinarono la colezione, entrarono in una sala ove, al dire dell'oste, essi non dovevano essere disturbati. Disgraziatamente l'ora era scelta male per un conciliabolo. Era stata battuta la diana da poco tempo, ciascuno si scuoteva dal sonno della notte, e per scacciare l'aria umida del mattino venivano a bere la _goccia_ nell'osteria, dragoni, svizzeri, guardie, moschettieri, cavalleggieri, e si succedevano con una rapidità che doveva far benissimo gli affari dell'oste, ma che soddisfaceva molto poco le viste dei quattro amici; per cui essi corrispondevano molto male ai saluti, ai brindisi ed ai lazzi dei loro compagni. — Andiamo, disse Athos, siamo per cominciare qualche buona lite, e in questo momento non ne abbiamo bisogno. D'Artagnan, raccontateci come avete passata la vostra notte, e noi dopo vi racconteremo la nostra. — In fatti, disse un cavalleggiero che si sfondolava tenendo alla mano un bicchiere d'acquavite, che gustava lentamente, in fatti voi eravate di trincea, signore guardie, e mi sembra che abbiate avuto maglia da spartire coi signori Rochellesi. D'Artagnan guardò Athos per sapere se doveva rispondere a questo intruso che si mischiava nella conversazione. — Ebbene! disse Athos, non senti il signor Busigny, che ti ha fatto l'onore d'indirizzarti la parola? racconta ciò che è accaduto questa notte, poichè questi signori desiderano saperlo. — Non avete voi _prese une pastione?_ domandò uno svizzero che beveva del rum in un bicchiere da birra. — Sì, signore, rispose d'Artagnan inchinandosi, noi abbiamo avuto quest'onore; abbiamo anzi, come avrete potuto sentirlo, introdotto sotto un angolo un barile di polvere, che col suo scoppio, ha fatto una bellissima breccia, senza contare che, il bastione non essendo stato fatto ieri, tutto il restante è stato maltrattato. — E che bastione è! domandò un dragone che portava infilata nella sua sciabola un'oca e che veniva a farla cucinare. — Il bastione san Gervasio, rispose d'Artagnan, dietro il quale i Roccellesi molestavano i nostri lavori. — E l'affare è stato caldo? — Sì, noi vi abbiamo perduti cinque uomini, i Roccellesi otto o dieci. — _Balzembleu!_ fece lo svizzero, che, ad onta della ammirabile collezione di giuramenti che ha la lingua alemanna, aveva presa l'abitudine di giurare in francese. — Ma è probabile, disse il cavalleggero che essi questa mattina inviino dei pionieri per poter rimettere il bastione nel suo primitivo stato. — Sì, è probabile, disse d'Artagnan. — Signori, disse Athos, propongo una scommessa. — Ah! sì, _une scommesse_, disse lo svizzero. — E quale domandò il cavalleggero. — Aspettate, disse il dragone, deponendo la sua sciabola come uno spiedo sui due grandi capifuochi di ferro che sostenevano le legna che ardevano nel camminetto, v'entro anch'io. Oste del malanno, presto una leccarda, che non abbia a perdere una goccia del grasso di questo stimabile volatile. — _Egli avere ragione_, disse lo svizzero _la grassa d'oca sta bona per gonfiture_. — Là, disse il dragone. Ora, sentiamo la scommessa. Noi siamo qui, signor Athos. — Sì, la scommessa disse il cavalleggero. — Ebbene! signor de Busigny, io scommetto con voi, che coi miei tre compagni, i signori Porthos, Aramis d'Artagnan ed io, anderemo a fare colezione sul bastione di san Gervasio, e che ci tratterremo là un'ora coll'orologio alla mano, che che possa operare il nemico per farci sloggiare. Porthos e Aramis si guardarono; essi cominciavano a capire. — Ma disse d'Artagnan accostandosi all'orecchio di Athos, tu vuoi farci ammazzare senza misericordia. — Noi siamo molto più ammazzati se non andiamo, rispose Athos. — Ah! in fede mia, signori, disse Porthos gettandosi indietro sulla sua sedia, e arricciandosi i baffi, ecco una bella scommessa, io spero. — Così io l'accetto, disse il signor de Busigny. Ora si tratta di fissare in che deve consistere la scommessa. — Ma voi siete quattro, signori, disse Athos, noi siamo quattro; un pranzo a discrezione per otto; vi conviene? — A meraviglia, riprese il signor de Busigny. — Ci sto, disse il dragone. — Perfettamente, disse lo svizzero. Il quarto uditore che in tutta quella scena avea rappresentato la parte del muto, fece un segno colla testa in prova che accettava la proposizione. — La colezione di questi signori è pronta, disse l'oste. — Ebbene! portatela, disse Athos. L'oste obbedì; Athos chiamò Grimaud, gli mostrò una gran cesta che giaceva in un angolo, e gli fece un gesto per avvolgere nelle salviette le vivande portate. Grimaud capì sull'istante che si trattava di far colezione sull'erba, prese il cestone, covrì le vivande, vi unì le bottiglie, e si mise il tutto sotto il braccio. — Ma dove andate a mangiare la colezione? disse l'oste. — Che v'importa, disse Athos, purchè siate pagato? E gli gettò maestosamente due doppie sulla favola. — È necessario darvi il resto, mio ufficiale? disse l'oste. — No; aggiungete soltanto due bottiglie di _champagne_, e la differenza sarà per le salviette. L'oste non faceva un così buono affare come avea creduto sulle prime, ma si rifece mettendo ai quattro convitati due bottiglie di vino d'Anjou, invece di due bottiglie di vino di _champagne_. — Signor de Busigny, disse Athos, volete regolare il vostro orologio col mio, o mi permettete di regolare il mio col vostro. — A meraviglia, signore, disse il cavalleggiero cavando dalla sua saccoccia un bellissimo orologio circondato di diamanti; sette ore e mezzo diss'egli. — Sette ore e trentacinque minuti, disse Athos; noi sapremo che il mio va avanti di cinque minuti, signore. E, salutando gli assistenti stupefatti, i quattro giovani presero la strada del bastione san Gervasio, seguiti da Grimaud che portava il cesto senza sapere dove andavano, ma nella obbedienza passiva in cui era stato abituato, non pensava nemmeno a domandare. Fino a che i quattro amici furono nel recinto del campo, non dissero una parola; d'altronde erano seguiti dai curiosi, che conoscendo la scommessa fatta, volevano sapere come sarebbe finita; ma una volta che ebbero passata la linea di circonvallazione, e che si trovarono all'aria libera, d'Artagnan che ignorava affatto quello di cui si trattava, credè fosse giunto il tempo di poter domandare una spiegazione. — Ed ora, mio caro Athos, diss'egli, abbiate l'amicizia di spiegarmi dove andiamo. — Voi lo vedete bene, disse Athos, noi andiamo sul bastione. — Ma che andiamo a farvi? — Voi lo sapete bene andiamo a farvi colezione. — Ma perchè non abbiamo fatto colazione al Farfallone? — Perchè abbiamo delle cose molto importanti da dirci, ed era impossibile di poter parlare cinque minuti in quell'albergo con tutti quegli importuni, che vanno, che vengono, che salutano, che parlano. Qui almeno, continuò Athos mostrando il bastione, non verranno a disturbarci. — Mi sembra, disse d'Artagnan con quella prudenza che si collegava tanto bene e tanto naturalmente in lui col suo eccessivo coraggio, mi sembra che avremmo potuto ritrovare qualche luogo appartato sulla riva dal mare. — Ove ci avrebbero veduti a conferire tutti e quattro assieme, dimodochè in capo ad un quarto d'ora, il ministro sarebbe stato pervenuto dalle sue spie che noi tenevamo consiglio. — Sì, disse Aramis, Athos ha ragione: _animadvertentur in desertis_. — Un deserto non ci sarebbe stato male, disse Porthos, ma il difficile era di ritrovarlo. — Non vi è deserto ove un uccello non possa passare al di sopra della testa, o un pesce non possa saltare al di sopra dell'acqua, o un coniglio non possa partire dalla sua tana, e io credo che l'uccello, il pesce, il coniglio diventerebbe una spia del ministro. Val dunque meglio continuare la nostra intrapresa, in faccia alla quale d'altronde noi non possiamo più addietrare senza vergogna; noi abbiamo fatta scommessa, una scommessa, che non poteva essere preveduta, in cui io sfido chiunque a ritrovare la vera causa. Noi forse saremo attaccati, ma fors'anche no. Se non lo saremo, avremo tutto il tempo di parlare, e nessuno ci ascolterà; perchè io rispondo che le mura di questo bastione non hanno orecchie; se lo saremo, noi parleremo dei nostri affari nello stesso modo, e di più, mentre ci difenderemo, ci copriremo di gloria, vedete bene che tutto è benefizio. — Sì, disse d'Artagnan; ma noi saremo ancora indubitabilmente colti da una palla. — Eh! mio caro! disse Athos, voi sapete bene che le palle che sono più a temersi non sono sempre quelle che sortono dai moschetti. — Ma mi sembra che per simile spedizione, disse Porthos, avremmo dovuto prendere i nostri moschetti. — Voi siete un ignorante, amico Porthos; perchè dovevamo noi incaricarci di un peso inutile. — Io non trovo in faccia al nemico che sia peso inutile il portare un moschetto di calibro con una dozzina di cartucce, e la sua fiasca da polvere. — Ebbene! disse Athos, non avete voi inteso ciò che ha detto d'Artagnan? — Che cosa ha detto d'Artagnan? — D'Artagnan ha detto che all'attacco di questa notte sono rimasti uccisi quattro o cinque francesi, e quasi il doppio di altrettanto di Roccellesi. — Ebbene? — Non si è avuto il tempo di spogliarli, non è vero? Attesochè in quel momento vi era qualche cosa di più premuroso da fare. — Ebbene? — Ebbene! noi ritroveremo i loro moschetti, e le loro cartucce, le loro fiasche della polvere, e invece di quattro moschetti, e di dodici palle, avremo una quindicina di fucili, e un centinaio di colpi da tirare. — Oh! Athos disse Aramis, tu sei veramente un grande uomo! Porthos chinò la testa in segno di adesione. D'Artagnan solo non sembrava compiutamente convinto. Senza dubbio Grimaud divideva i dubbi del giovinotto, poichè, vedendo che si continuava a camminare verso il bastione, cosa di cui egli aveva dubitato fino allora, tirò il suo padrone per un lembo dell'abito. — Dove andiamo noi? domandò egli con un gesto. Athos gli mostrò il bastione. — Ma, disse sempre nello stesso dialetto il delizioso Grimaud, noi vi lasceremo la pelle. Athos levò gli occhi e il dito verso il cielo. Grimaud depose il suo paniere per terra, e si assise scuotendo la testa. Athos levò dal suo cinto una pistola, guardò se vi era polvere nello scodellino, la montò, e avvicinò la canna all'orecchio di Grimaud. Grimaud si ritrovò in piedi come mosso da una susta. Athos allora gli fece un cenno di prendere il paniere, e d'incamminarsi davanti a tutti. Grimaud obbedì. Tuttociò che vi aveva guadagnato il povero servitore in questa pantomima di un istante, fu di passare dalla retroguardia alla avanguardia. Giunti sul bastione, i quattro amici si rivoltarono. Più di trecento soldati di tutte le armi erano radunati alla porta del campo; e in un gruppo separato si poteva distinguere il signor de Busigny, il dragone, lo svizzero ed il quarto che non aveva parlato. Athos si tolse il cappello, lo mise sulla punta della spada, e lo agitò per l'aria. Tutti gli spettatori gli resero il saluto, accompagnando questa gentilezza da un evviva che giunse fino a loro. Dopo di che, tutti e quattro disparvero nell'interno dei bastione, ove li aveva già preceduti Grimaud. CAPITOLO XLVII. IL CONSIGLIO DEI MOSCHETTIERI Come lo aveva preveduto Athos, il bastione non era occupato che da una dozzina di morti, parte Francesi e parte Roccellesi. — Signori, disse Athos, che aveva preso il comando della spedizione, nel mentre che Grimaud metterà in tavola, cominciamo dal raccogliere i fucili e le cartucce. Noi potremo d'altronde parlare anche seguendo questo lavoro. Questi signori, soggiunse mostrando i morti, non ci ascoltano certamente. — Ma noi potremo sempre gettarli nel fosso, disse Porthos, dopo esserci assicurati però che non hanno niente nelle loro saccocce. — Sì, riprese Athos; ma questa è una faccenda per Grimaud. — Ebbene, allora, disse d'Artagnan, che Grimaud li frughi e li getti per di sopra al muro. — Guardiamocene bene disse Athos, essi possono servirci. — Questi morti possono servirci? disse Porthos; e che diventi tu pazzo, amico caro! — Non fate dei giudizi temerarii rispose Athos. Quanti fucili abbiamo, signori? — Dodici rispose Aramis. — Quanti colpi da tirare? — Un centinaio. — Sono quanti ce ne può abbisognare; carichiamo le armi. I quattro moschettieri si misero all'opera. Quando essi terminavano di caricare l'ultimo fucile, Grimaud fece segno che la colezione era all'ordine. Athos rispose sempre col gesto, che andava bene, e indicò a Grimaud una specie di casotto, ove questi capì che dovea tenersi in sentinella. Soltanto, per addolcire la noia di questa fazione, Athos gli permise di portar seco un pane, due costolette ed una bottiglia di vino. — Ed ora, a tavola! disse Athos. I quattro amici sederono per terra, colle gambe incrociate come i turchi, o come i sartori. — A noi! adesso, disse d'Artagnan, ora che non avete più timore di essere inteso, spero che mi metterete a parte del vostro secreto. — Io spero di procurarvi del divertimento, e della gloria ad un tempo, signori, disse Athos. Io vi ho fatto fare una amena passeggiata; ecco una colezione delle più succose, e cinquecento persone laggiù, come voi potete vederlo a traverso i mortai, che ci prendono per pazzi, o per eroi, due classi d'imbecilli che si rassomigliano abbastanza. — Ma questo secreto? disse d'Artagnan. — Il secreto, disse Athos, si è che ieri sera ho veduto milady. D'Artagnan stava per mettere il suo bicchiere alla bocca, ma a questo nome di milady la mano gli tremò così forte, che fu obbligato di deporlo, per non spargerne il contenuto. — Tu hai veduto tua mo... — Taci dunque! interruppe Athos; voi dimenticate, mio caro, che questi signori non sono tanto iniziati come voi nei secreti dei miei affari privati. Io ho veduto milady. — E dove? domandò d'Artagnan. — A due leghe circa di qui, all'albergo del Colombaio rosso. — In questo caso io sono perduto, riprese d'Artagnan. — No, non del tutto ancora, disse Athos; perchè a quest'ora ella deve aver lasciate le coste della Francia. D'Artagnan respirò. — Ma in fin del conto, domandò Porthos chi è dunque questa milady? — Una donna graziosa, disse Athos gustando un bicchiere di vino spumoso. Canaglia di un oste gridò egli, che ci ha dato del vino d'Anjou per del vino di _Champagne_, e che crede che noi ci lasceremo canzonare! Sì, continuò egli, una donna graziosa, alla quale il nostro d'Artagnan ha fatto non so qual dispetto, di cui volendosene vendicare, sarà un mese, ha voluto farlo uccidere a colpi di moschetto, saranno otto giorni ha tentato di avvelenarlo, e ieri sera ha domandato la sua testa al ministro. — Come! ha domandato la mia testa al ministro? gridò d'Artagnan pallido pel terrore. — È così, disse Porthos; è vero come che la luce risplende, la ho inteso colle mie proprie orecchie. — Allora, disse d'Artagnan lasciando cadere le sue braccia con scoraggiamento, è inutile di lottare più lungamente; tanto vale che io mi bruci le cervella, e che tutto si finisca così. — Questa è l'ultima bestialità che si possa fare, disse Athos, atteso che è la sola alla quale non vi sia alcun rimedio. — Ma io non la vincerò mai, disse d'Artagnan, con simili nemici. Primieramente il mio sconosciuto di Méung; in seguito de Wardes al quale ho dato quattro colpi di spada; poi milady della quale ho sorpreso il secreto; finalmente il ministro al quale ho fatto andare a vuoto la vendetta. — Ebbene! disse Athos, tutto questo non forma che quattro, e noi siamo quattro uno contro uno, perdinci!... ah! se noi crediamo ai segni che ci fa Grimaud, dobbiamo aver a che fare con un numero ben maggiore di persone. Che cosa c'è Grimaud? in considerazione della circostanza, io vi permetto di parlare, amico mio; ma siate laconico, ve ne prego. Che cosa c'è? — Una truppa. — Quante persone? — Circa una ventina d'uomini. — Che uomini sono? — Sedici pionieri, e quattro soldati. — A quanti passi sono? — A cinquecento passi. — Buono, noi abbiamo ancora il tempo di terminare questo volatile, e di bere un bicchiere di vino. Alla tua salute, d'Artagnan! — Alla tua salute! ripeterono Porthos ed Aramis. — Ebbene dunque, alla mia salute! quantunque non creda che i vostri augurii possano servirmi a gran cosa. — Bah! disse Athos, Dio è grande, come dicono i seguaci di Maometto, e l'avvenire sta nelle sue mani. Quindi, avendo bevuto il contenuto del suo bicchiere, che depose in seguito vicino a lui, Athos si alzò con non curanza, prese il primo fucile che gli si presentò, e si avvicinò ad una feritoia. Porthos, Aramis e d'Artagnan fecero altrettanto. In quanto a Grimaud egli ricevette l'ordine di situarsi dietro ai quattro amici per ricaricare le armi. In capo a pochi istanti si vide ricomparire la truppa, ella seguiva una specie di strada coperta, di trincea che stabiliva una comunicazione fra il bastione e la città. — Per bacco! valeva ben la pena d'incomodarci per una ventina di monelli armati di piccozze, di falci e di pali! Grimaud non avrebbe avuto bisogno che di far loro un segno perchè se ne andassero, e io sono convinto che essi ci avrebbero lasciati tranquilli. — Io ne dubito, disse d'Artagnan perchè essi si avanzano molto risolutamente a questa parte. Coi lavoratori non vi erano che quattro soldati e un brigadiere che fussero armati di fucile. — Egli è che non ci hanno veduti, disse Athos. — In fede mia, disse Aramis, confesso che ho ripugnanza a far fuoco sopra questi poveri diavoli di borghesi. — Cattivo abbate, disse Porthos, che ha pietà degli eretici. — In verità, disse Athos, Aramis ha ragione, e io vado a prevenirli. — Che diavolo fate voi dunque? disse d'Artagnan, voi andate a farvi fucilare, mio caro. Ma Athos non tenne alcun conto dell'avviso, salì sulla breccia col suo fucile in una mano, e il cappello nell'altra. — Signori diss'egli indirizzandosi ai soldati ed agli operai, che maravigliati di questa apparizione, si fermarono a cinquanta passi dal bastione, e salutandoli cortesemente: — Signori, noi siamo, io ed alcuni miei amici, nella volontà di far colezione su questo bastione. Ora, voi sapete che niuna cosa è tanto disaggradevole quanto di essere disturbati nel tempo che si fa colezione; vi preghiamo adunque, se avete assolutamente delle faccende qui, di aspettare che avessimo finito il nostro pasto, o di ritornare più tardi, a meno che non vi venga la salutare idea di lasciare il partito della ribellione, e di venire a bere con noi alla salute del re di Francia. — Guardati, Athos, disse d'Artagnan; non vedi tu che ti prendono di mira? — Sia pure, sia pure, disse Athos; ma questi sono borghesi che tirano molto male, e che avranno tutti i riguardi per non colpirmi. Infatti nel medesimo istante partirono quattro colpi di fucile, e le palle vennero ad appiattarsi intorno ad Athos, ma senza che una sola lo toccasse. Quattro colpi di fucili gli risposero quasi nello stesso tempo; ma essi erano meglio diretti di quelli degli aggressori: tre soldati caddero morti irrigiditi, e uno dei lavoratori fu ferito. — Grimaud, un altro moschetto, disse Athos sempre sulla breccia. Grimaud obbedì subito. Dal canto loro i tre amici avevano cambiati i fucili, una seconda scarica seguì la prima; il brigadiere e due pionieri caddero morti, il restante della truppa prese la fuga. — Andiamo, signori, una sortita, disse Athos E i quattro amici si slanciarono fuori del forte e giunsero fino al campo di battaglia, riunirono i quattro moschetti dei soldati, la mezza picca del brigadiere, e convinti che i fuggitivi non si fermerebbero prima di entrare in città ripresero la via del bastione, portando seco i trofei della loro vittoria. — Ricaricate le armi, Grimaud, disse Athos, e noi, signori, riprendiamo la nostra colezione, e continuiamo la nostra conversazione. A che punto eravamo noi? — Io me lo ricordo, disse d'Artagnan, tu dicevi che dopo aver domandato la mia testa al ministro, milady aveva lasciato le coste di Francia. E dove va ella? aggiunse d'Artagnan che si preoccupava moltissimo dell'itinerario che doveva seguire milady. — Ella va in Inghilterra, rispose Athos. — E con quale scopo? — Nello scopo di assassinare o di fare assassinare Buckingham. D'Artagnan mandò una esclamazione di sorpresa e d'indignazione. — Ma questa è un'infamia! gridò egli. — In quanto a ciò, disse Athos, io vi prego a credere che me ne inquieto molto poco. Ora che voi avete finito Grimaud, continuò Athos, prendete la mezza picca del nostro brigadiere, attaccateci una salvietta, e piantatela là sull'alto del bastione; che questi ribelli di Roccellesi vedano ch'essi hanno che fare con bravi e leali soldati del re. Grimaud obbedì senza rispondere, un istante dopo la bandiera bianca ventilava al di sopra della testa dei quattro amici. Un grido di gioia, e un turbine d'applausi salutarono questa apparizione. La metà del campo era alle barriere. — Come, tu t'inquieti poco, riprese d'Artagnan, che si uccida o che si faccia uccidere Buckingham? ma il duca è nostro amico. — Il duca è inglese, il duca combatte contro di noi, che ella faccia del duca tutto ciò che vuole, io me ne inquieto poco quanto di questa bottiglia vuota. E Athos mandò quindici passi da lui una bottiglia di cui aveva versato nel suo bicchiere fin l'ultima goccia. — Un momento, disse d'Artagnan; io non abbandono in tal modo Buckingham, egli ci aveva regalati bellissimi cavalli. — E soprattutto bellissime selle, disse Porthos che, in quello stesso momento, portava al suo mantello un gallone della sua. — Quindi, disse Aramis, Dio vuole la conversione, e non la morte del peccatore. — _Amen_, disse Athos, e noi ritorneremo su questo argomento più tardi, se vi fa piacere. Ma ciò che in questo momento più mi occupava, e sono sicuro che tu lo capirai, d'Artagnan, era di riprendere a questa donna una specie di firma in bianco che aveva scroccata al ministro, per mezzo della quale ella doveva impunemente sbarazzarsi di te, e forse anche di noi. — Ma è dunque un demonio questa creatura? disse Porthos stendendo il suo piatto ad Aramis che scalcava un pollo. — E questo biglietto colla firma in bianco, disse d'Artagnan, è rimasto nelle sue mani. — È passato nelle mie; non ti dirò già che ciò sia accaduto senza pena, perchè allora mentirei. — Mio caro Athos, disse d'Artagnan, io non conto più le volte che vi devo la vita. — Allora fu dunque per ritornare da lei che tu ci lasciasti? domandò Aramis. — Precisamente. — E tu hai questo biglietto del ministro? disse d'Artagnan. — Eccolo, disse Athos. E cavò il prezioso foglio dalla saccoccia della casacca. D'Artagnan lo spiegò con una mano di cui non tentava nemmeno di dissimulare il tremito, e lesse a sua volta: «È per ordine mio, e per il bene dello stato, che il portatore del presente ha fatto quello che ha fatto. «3 Agosto 1628. «_Richelieu_.» — In fatti, disse Aramis, questa è un'assoluzione in tutte le regole. — Bisogna stracciare questo biglietto, disse d'Artagnan, che sembrava leggervi la propria sentenza di morte. — Al contrario, disse Athos, bisogna conservarlo gelosamente; io non darei questo biglietto quando anche mi si ricoprisse d'oro. — E che farà ella adesso? domandò il giovane. — Ma, disse negligentemente Athos, essa probabilmente scriverà al ministro, che un dannato moschettiere, nominato Athos, le ha strappato per forza il suo salva-condotto, e gli darà nella stessa lettera il consiglio di sbarazzarsi nello stesso tempo di lui e dei suoi due amici Porthos ed Aramis. Il ministro si ricorderà allora che questi sono quegli stessi uomini che gli attraversano sempre il sentiero, allora, un bel mattino, egli farà arrestare d'Artagnan, e perchè non si annoi a restar solo, ci manderà a tenergli compagnia alla Bastiglia. — Ma che! disse Porthos, mi sembra che tu dica dei tristi scherzi, mio caro. — Io non scherzo, disse Athos. — Sai tu, disse Porthos, che a storcere il collo a questa dannata milady, sarebbe un peccato meno grande che a storcerlo a questi poveri diavoli di ugonotti, che non hanno mai commesso altro delitto che quello di cantare in francese ciò che noi cantiamo in latino? — Che ne dice l'abbate? domandò tranquillamente Athos. — Io dico che sono del parere di Porthos, rispose Aramis. — Ed io dunque? disse d'Artagnan. — Fortunatamente che essa è lontana, disse Porthos, perchè vi confesso francamente che qui m'incomoderebbe. — Essa m'incomoda tanto in Inghilterra quanto in Francia, disse Athos. — A me incomoda dappertutto, disse d'Artagnan. — Ma poichè tu l'hai avuta fra le mani, perchè non l'hai annegata, strangolata, impiccata? non vi sono che i morti che non ritornano più. — Voi credete, sig. Porthos? rispose il moschettiere con un cupo sorriso che d'Artagnan solo potè comprendere. — Signori, mi è venuta un'idea. — Sentiamo, dissero i tre moschettieri. — Alle armi! gridò Grimaud. I giovani si alzarono vivamente, e corsero ai loro fucili. Questa volta una piccola truppa si avanzava, composta di venti o venticinque uomini; ma non era più composta di operai, erano puramente soldati della guernigione. — Se noi ritornassimo al campo? disse Porthos, mi sembra che la partita non sia uguale. — Impossibile per tre ragioni, rispose Athos: la prima è, che non abbiamo ancora finito di far colezione; la seconda è, che abbiamo a dirci ancora alcune cose d'importanza; la terza è, che mancava ancora dieci minuti all'ora della libertà. — Vediamo, disse Aramis; bisogna almeno stabilire un piano di battaglia. — È cosa semplicissima, disse Athos; tosto che lo inimico è a portata del nostro moschetto, noi faremo fuoco, se continua di farsi avanti, faremo nuovamente fuoco, fino a tanto che avremo dei fucili carichi; se quel che rimane della truppa vuol tentare un assalto, noi lasceremo allora gli assedianti discendere nella fossa e loro lasceremo cadere sulla testa questo gran masso di muro, che non si regge che per uno straordinario sforzo di equilibrio. — Bravo disse Porthos; precisamente, Athos, tu eri nato per essere generale, e il ministro, che si crede un grand'uomo di guerra, è ben poca cosa al tuo confronto. — Signori, disse Athos, non prendiamo oggetti doppii, vi prego: pigliate la mira bene; ciascuno sopra un uomo. — Ho già la mira sul mio, disse d'Artagnan. — Ed io sul mio, disse Porthos. — Ed io pure idem, disse Aramis. — Allora fuoco! esclamò Athos. I quattro colpi partirono, e non fecero che una detonazione, quattro uomini caddero morti. Tosto il tamburo battè, e la piccola truppa avanzò al passo di carica. Allora i colpi di fucile si succederono senza ordine, ma sempre inviati colla stessa aggiustatezza, però, come avessero conosciuto la debolezza numerica dei nemici, i Roccellesi continuarono ad inoltrarsi al passo di corsa. Con altri tre colpi di fucile due uomini caddero; ciò non ostante la marcia di quelli che erano rimasti in piedi non si rallentò. Giunti ai piedi del bastione, i nemici erano ancora dodici o quindici; un'ottima scarica li accolse, ma non li arrestò punto; essi saltarono nel fosso, e si affrettarono a scalare la breccia. — Andiamo, amici miei, disse Athos, finiamola con un colpo, alla muraglia! E i quattro amici, secondati in ciò da Grimaud, si misero a spingere colle canne delle carabine ritrovate un enorme masso di muro, che s'inclinava come se il vento lo spingesse, e, staccandosi dalla sua base, cadde con un rumore orribile nel fosso; quindi s'intese un gran grido, una nube di polvere salì verso il cielo, e tutto fu terminato. — Li avremmo noi schiacciati dal primo all'ultimo? disse Athos. — In fede mia mi sembra di sì, disse d'Artagnan. — No, disse Porthos, eccone là due o tre che si salvano a gambe. In fatti, tre o quattro di questi disgraziati coperti di fango e di sangue, fuggivano sul sentiero coperto e rientravano in città; questo era quanto rimaneva della piccola truppa. Athos guardò il suo orologio. — Signori, diss'egli, è compiuta un'ora che noi siamo qui, e adesso la partita è guadagnata, ma bisogna essere bei giuocatori; d'altronde d'Artagnan ci aveva detto di avere un'idea. E il moschettiere col suo sangue freddo abituale andò a sedersi davanti a' residui della colezione. — Voi volete conoscere il mio piano? disse d'Artagnan ai suoi tre campioni, allorchè, a cagione dell'allarme che era stato dato, e che aveva un sì funesto scioglimento per la piccola truppa roccellese, essi ebbero ripreso il loro posto davanti ai residui della colezione. — Sì, replicò Athos, voi dicevate avere un'idea. — Ah! son deciso, gridò d'Artagnan; io passerò in Inghilterra una seconda volta, andrò a ringraziare il signor de Buckingham, e lo avvertirò dell'insidia tramata contro la sua vita. — Voi non farete questo, d'Artagnan, disse freddamente Athos. — E perchè? non l'ho io già fatto altra volta? — Sì, ma in quell'epoca il signor de Buckingham era alleato e non nemico; ciò che voi volete fare sarebbe giustamente dichiarato tradimento. D'Artagnan capì la forza del ragionamento, e si tacque. — Ma disse Porthos, mi sembra di avere io pure un idea. — Silenzio per l'idea del signor Porthos, disse Aramis. — Domanderò un congedo al sig. de Tréville, sotto un pretesto qualunque che voi troverete, io non sono molto forte sul ritrovare dei pretesti. Milady non mi conosce, mi avvicinerò a lei senza che mi tema, e quando troverò la mia bella, la strangolerò. — Eh! disse Athos, sarei lontanissimo dall'adottare l'idea di Porthos. — Vergogna! disse Aramis, uccidere una donna, no! sentite, io ho la vera idea. — Sentiamo la vostra idea, Aramis, disse Athos che aveva molta deferenza pel giovane moschettiere. — Bisognerebbe avvertire la regina. — Ah! in fede mia, sì! dissero assieme Porthos e d'Artagnan, io credo che noi tocchiamo il mezzo. — Prevenire la regina? disse Athos, ed in che modo? abbiamo noi forse delle relazioni alla corte? possiamo noi inviare qualcuno a Parigi senza che si sappia al campo? di qui a Parigi vi sono cento quaranta leghe, la nostra lettera non sarà ad Angers che noi saremo tutti e quattro in prigione. — In quanto al far rimettere con mezzo sicuro una lettera a Sua Maestà, disse Aramis arrossendo, io me n'incarico; io conosco a Tours una persona adattata... Aramis si fermò, vedendo sorridere Athos. — Ebbene! voi non approvate questo mezzo, Athos? disse d'Artagnan. — Io non lo rigetto del tutto, ma vorrei soltanto fare osservare ad Aramis che egli non può lasciare il campo, che nessuno fuori che uno di noi può dirsi veramente sicuro, che due ore dopo che il messaggiere sarà partito, tutti i pellegrini, tutti gli alguazilis, tutte le facce nere del ministro sapranno la vostra lettera a memoria, e sarete arrestato voi e la vostra adattata persona. — Senza calcolare, disse Porthos, che la regina salverà il signore de Buckingham, ma non penserà affatto a salvare noi. — Signori, disse d'Artagnan, l'obbiezione di Porthos è piena di buon senso. — Ah! ah! che accadde nella città! disse Athos. — Battono la generale. I quattro amici ascoltarono, e il rumore del tamburo giunse effettivamente sino a loro. — Vedrete che ora ci manderanno un reggimento intero, disse Athos. — Voi non farete conto di tener testa contro un reggimento intero? disse Porthos. — E perchè no? disse il moschettiere; io mi sento in vena, e tenerei forte davanti un'armata, se avessimo avuto soltanto la precauzione di prendere una dozzina di bottiglie di più. — Sulla mia parola, il rumore del tamburo si avvicina, disse d'Artagnan. — Lasciatelo avvicinarsi, disse Athos; vi è un quarto d'ora di cammino da qui alla città, e per conseguenza dalla città, a qui; è un tempo maggiore di quello che ci abbisogna per stabilire il nostro piano; se noi ce ne andiamo di qui non ritroveremo mai un luogo più convenevole. Ascoltate, signori, ecco la vera idea che mi viene. — Allora, dite. — Permettete che io dia a Grimaud alcuni ordini indispensabili. Athos fece segno al suo cameriere di avvicinarsi. — Grimaud, disse Athos mostrando i morti che giacevano sul bastione, voi prenderete questi signori, li metterete dritti contro il muro, porrete loro i cappelli in testa e i fucili i mano. — Oh! grand'uomo, disse d'Artagnan, io ti capisco! — Voi capite? disse Porthos. — E tu capisci Grimaud? disse Athos. Grimaud fece segno con la testa di sì. — È tutto ciò che abbisogna, disse Athos. — Ritorniamo alla nostra idea. — Io però vorrei comprendere... disse Porthos. — È inutile. — Sì, sì, l'idea di Athos! dissero ad un tempo Aramis e d'Artagnan: — Questa milady, questa donna, questa creatura, questo demonio, ha un cognato, per quanto mi avete detto, io credo? d'Artagnan. — Sì, ed anche lo conosco molto bene, e credo pure non abbia gran simpatia per sua cognata. — Non c'è male, rispose Athos, ed egli la detesterà, cosa che varrà ancor meglio. — In questo caso noi siamo serviti a seconda dei nostri desiderii. — Però, disse Porthos io vorrei capir bene che cosa fa Grimaud. — Silenzio, Porthos, disse Aramis. — Come si chiama questo cognato? — Lord da Winter. — Ove si trova presentemente? — È ritornato a Londra al primo rumore della guerra. — Ebbene ecco l'uomo che precisamente ci abbisogna, disse Athos. È lui che ci conviene di prevenire; noi gli faremo sapere che sua sorella è sul punto di fare assassinare qualcuno e lo pregheremo di non perderla di vista. Vi è a Londra, spero, qualche stabilimento del genere delle convertite o delle _madelonnette_; egli vi farà mettere sua cognata, e noi saremo tranquilli. — Sì, disse d'Artagnan, fino a tanto che ella ne esca. — Ah! in fede mia, disse Athos, voi vorreste troppo, d'Artagnan; io vi ho detto ciò che aveva, e vi prevengo che questo è il fondo del mio sacco. — Ma io ritrovo che sarebbe meglio, disse Aramis, avvertire ad un tempo lord de Winter e la regina. — Si, ma da chi faremo noi portare la lettera a Tours e a Londra? — Io rispondo di Bazin, disse Aramis. — Ed io di Planchet, disse d'Artagnan. — In fatti, disse Porthos, se noi non possiamo lasciare il campo, lo possono però ben lasciare i nostri lacchè. — Senza dubbio, disse Aramis, e fin d'oggi scriveremo le lettere, daremo loro il denaro necessario, e che partano. — Noi daremo loro del danaro? riprese Athos; voi dunque ne avete danaro? I quattro amici si guardarono in viso, una nube passò davanti alla loro fronte che si era per un momento rischiarata. — In fede mia, sì, disse Athos; eccoli. Vedete i furbi che vengono senza tamburi e senza trombette. Ah! ah! hai tu finito, Grimaud? Grimaud fece segno di sì, e mostrò una dozzina di morti che aveva posti nell'attitudine le più grottesche, gli uni portavano l'arme gli altri montavano il fucile, altri prendevano la mira, finalmente alcuni altri erano colla sciabola alla mano. — Bravo? disse Athos; ecco ciò che fa onore alla tua immaginazione. — È lo stesso, disse Porthos, io vorrei però capir bene. — Andiamocene per prima cosa, disse d'Artagnan, tu capirai in seguito. — Un momento, signori, un momento, diamo il tempo a Grimaud di sparecchiare. — Ah! disse Aramis ecco i punti neri e i punti rossi che ingrandiscono molto visibilmente, ed io sono del parare di d'Artagnan; credo che non avremo tempo da perdere se vogliamo ritornare al campo. — In fede mia, disse Athos, non ho più niente in contrario alla ritirata; noi abbiamo scommesso per un'ora, e siamo rimasti un'ora e mezzo; non vi è niente da dire; partiamo, signori partiamo. Grimaud aveva già presa la strada col paniere. I quattro amici uscirono dietro di lui, e fecero una diecina di passi. — Eh! gridò Athos, che diavolo facciamo noi, signori? — Hai tu dimenticato qualche cosa? domandò Aramis. — La bandiera, per bacco! non bisogna lasciare una bandiera nelle mani del nemico, anche quando questa bandiera sia formata con una salvietta. E Athos si slanciò nel bastione, salì sulla piattaforme e portò via la bandiera; soltanto siccome i Roccellesi erano giunti alla portata del fucile, fecero un fuoco terribile sopra quest'uomo, che, come per divertimento, andava ad esporsi ai loro colpi. Ma si sarebbe detto che Athos aveva un incantesimo nella sua persona: le palle passarono fischiando intorno a lui, e neppure una lo toccò. Athos agitò la bandiera voltando il tergo alle genti della città, e salutando quelli del campo. Da ambe le parti s'innalzarono numerose grida, da una parte grida di collera, dall'altra grida d'entusiasmo. Una seconda scarica seguì la prima, e tre palle, traforandola, formarono realmente della salvietta una vera bandiera. Si sentiva tutto il campo che gridava: discendete! discendete! Athos discese; i suoi camerati che lo aspettavano con ansietà, lo videro comparire con gioia. — Andiamo, Athos, andiamo, disse d'Artagnan, allunghiamo il passo, allunghiamo; ora che abbiamo ritrovato tutto fuor che il danaro, sarebbe da stupidi il farsi ammazzare. Ma Athos continuò a camminare maestosamente, e i suoi compagni vedendo inutile ogni osservazione, regolarono il loro passo sul suo. Grimaud e il suo paniere avevano preso l'avvantaggio, e si ritrovarono entrambi fuori di pericolo. Un momento dopo s'intese il rumore di una scarica di moschetti arrabbiata contro il bastione. — Che cosa è questa? domandò Porthos, e contro chi tirano essi? io non sento fischiare le palle, non vedo nessuno. — Essi tirano sui nostri morti, rispose Athos. — Ma i nostri morti non risponderanno. — Precisamente, allora essi crederanno ad una imboscata, e delibereranno; essi invieranno un parlamentario, e quando si accorgeranno della burla, noi saremo fuori della portata delle loro palle. Ecco perchè è inutile di arrischiare un'infiammazione affrettando il passo. — Oh! adesso capisco disse Porthos maravigliato. — Siete ben fortunato disse Athos alzando le spalle. Dal canto loro i Francesi, vedendo i quattro amici ritornare al passo, mandavano delle grida d'entusiasmo. Finalmente si fece sentire una nuova fucilata, e questa volta le palle vennero a cadere sui sassi intorno ai quattro amici, e a fischiare lugubramente alle loro orecchie. I Roccellesi si erano finalmente impadroniti del bastione. — Ecco delle persone poco destre, disse Athos. Quanti ne abbiamo noi uccisi? — Dodici, o quindici. — Quanti ne abbiamo schiacciati? — Otto o dieci. — E in cambio di tutto ciò, neppure una sgraffiatura? ma no! che avete voi dunque nella mano, d'Artagnan? del sangue mi sembra? — Non è niente, disse d'Artagnan. — Una palla morta? — Neppure. — Ma che cosa è dunque? Noi lo abbiamo detto, Athos amava d'Artagnan come un suo figlio; questo carattere cupo ed inflessibile, aveva qualche volta per il giovane delle premure paterne. — Una escoriazione, riprese d'Artagnan: le mie dita sono state prese tra il muro, ed il mio anello, allora la pelle si è aperta. — Ecco che cosa accade a portare dei diamanti, padron mio, disse sdegnosamente Athos. — E che? gridò Porthos, esiste un diamante, e perchè diavolo allora quando esiste un diamante, ci lamentiamo di non aver danari? — È giusto di fatto, disse Aramis. — Alla buon'ora, Porthos; questa volta ecco un'idea. — Senza dubbio, disse Porthos inghiottendo il complimento di Athos, poichè vi è un diamante, vendiamolo. — Ma, disse d'Artagnan, questo è il diamante della regina. — Ragione di più, riprese Athos. La regina salverà il signor de Buckingham, suo amante, non vi è niente di più giusto; la regina salverà noi, suoi amici, non vi è niente di più morale. Vendiamo il diamante. Che ne pensa il signore abbate? Io non chiedo il parere di Porthos, poichè l'ha già dato. — Io penso, disse Aramis arrossendo, che il suo anello non venendogli da una amica, e per conseguenza non essendo un pegno d'amore, d'Artagnan può venderlo. — Mio caro, voi parlate come la filosofia in persona. Così il vostro parere è?... — Di vendere il diamante, rispose Aramis. — Ebbene disse allegramente d'Artagnan, vendiamo il diamante; e non ne parliamo più. La scarica continuava, ma gli amici erano fuori della portata, e i Roccellesi non tiravano più che per sgravio di coscienza. — In fede mia, era tempo che venisse questa idea a Porthos; eccoci al campo. Ora, signori, neppure una parola sopra tutto questo affare. Noi siamo osservati, ci vengono incontro, noi saremo portati in trionfo. In fatti, come lo abbiamo detto, tutto il campo era in emozione. Più di duemila persone avevano assistito, come ad uno spettacolo, alla fortunata furfanteria dei quattro amici; furfanteria di cui si era ben lungi dal sospettare il vero motivo. Non si sentivano che le grida di viva le guardie! viva i moschettieri! Il sig. de Busigny era venuto pel primo a stringere la mano ad Athos, e a riconoscere che aveva perduto. Il dragone e lo svizzero lo avevano imitato, e tutti i camerati avevano seguito il dragone e lo svizzero. Da ogni lato venivano ai quattro amici felicitazioni, strette di mano, abbracci da non finirla più, risa inestinguibili sul conto dei Roccellesi; finalmente un tumulto così grande, che il ministro credè fosse nata una qualche sollevazione, ed inviò Houdinière, suo capitano delle guardie per informarsi di ciò che accadeva. La cosa fu raccontata al messaggiero con tutta l'effervescenza dell'entusiasmo. — Ebbene? domandò il ministro vedendo il suo capitano di ritorno. — Ebbene! Mio-signore, disse questi, sono tre moschettieri ed una guardia che hanno fatto una scommessa col sig. de Busigny di andare a far colezione sul bastione di san Gervasio, e che mentre facevano colezione, hanno ucciso non so dir quanti Roccellesi. — Vi siete voi informato del nome di questi tre moschettieri? — Si, Mio-signore. — Come si chiamano essi? — Sono i signori Athos, Porthos ed Aramis. — Sempre i miei tre bravi! mormorò il ministro. E la guardia? — Il sig. d'Artagnan. — Sempre il mio furbo giovane! decisamente bisogna che questi quattro uomini vengano dalla mia parte. La sera stessa, il ministro parlò al signor de Tréville della spedizione della mattina, che formava l'argomento di conversazione di tutto il campo; il sig. de Tréville, che aveva sentito il racconto dalla bocca stessa di quelli che ne erano stati gli eroi, la narrò a Sua Eccellenza, con tutti i particolari senza dimenticare l'episodio della salvietta. — Sta bene, sig. de Tréville, disse il ministro, fatemi avere questa salvietta, vi prego; vi farò ricamar sopra tre gigli d'oro, e la darò per guida alla vostra compagnia. — Eccellenza, disse il sig. de Tréville, vi sarà ingiustizia per le guardie; il sig. d'Artagnan non è della mia compagnia ma di quella del sig. des Essarts. — Ebbene prendetelo, disse il ministro, non è giusto che quattro bravi militari che si amano tanto non sieno della stessa compagnia. La stessa sera, il sig. de Tréville annunziò questa buona notizia ai tre moschettieri e a d'Artagnan, invitandoli per la mattina dopo a far colezione da lui. D'Artagnan non capiva in se dalla gioia. Si sa che il sogno di tutta la sua vita era di esser fatto moschettiere. I tre amici erano pure molto contenti. — In fede mia, disse d'Artagnan ad Athos, tu hai avuto una trionfante idea, e, come dicesti, vi abbiamo acquistato gloria, ed abbiamo potuto effettuare una delle conversazioni della più alta importanza. — Che possiamo ora riprendere che nessuno formi dei sospetti su noi, poichè coll'aiuto di Dio oramai saremo presi per ministeriali. La stessa sera d'Artagnan andò a presentare i suoi omaggi al sig. des Essarts, e a dargli parte dell'avanzamento che aveva ottenuto. Il sig. des Essarts, che amava molto d'Artagnan, gli fece allora le sue offerte di servigi. Questo cambiamento di corpo esigeva delle spese indispensabili nell'equipaggio. D'Artagnan rifiutò sulle prime, ma, ritrovando poi buona l'occasione, lo pregò di far stimare il diamante che gli rimise, e col quale desiderava fare del denaro. L'indomani, a otto ore del mattino il cameriere del sig. des Essarts, entrò da d'Artagnan, e gli rimise un sacchetto d'oro contenente sette mila lire. Era il prezzo del diamante della regina. CAPITOLO XLVIII. AFFARE DI FAMIGLIA Athos aveva ritrovata la parola: bisognava fare dell'affare Buckingham un affare di famiglia. Un affare di famiglia non era sottoposto all'investigazione del ministro. Un affare di famiglia non riguardava nessuno. Era lecito di occuparsi davanti a tutti di un affare di famiglia. Aramis aveva ritrovata l'idea: i lacchè. Porthos aveva ritrovato il mezzo: il diamante. D'Artagnan non aveva ritrovato niente, egli che era ordinariamente il più inventore dei quattro, ma bisogna pur dire che il nome solo di milady lo paralizzava. Ah! noi c'inganniamo, egli aveva ritrovato al campo il compratore del suo diamante. La colezione presso il sig. de Tréville fu di una graziosa allegria. D'Artagnan aveva già il suo economo. Siccome egli era presso a poco della statura di Aramis, e Aramis largamente pagato, come si rammenterà, dal libraio che aveva comprato il suo poema, aveva fatto fare tutto in doppio, ed aveva ceduto al suo amico un equipaggio compiuto. D'Artagnan sarebbe stato al colmo dei suoi voti se non avesse, nel suo pensiero, veduto sempre Milady spuntare sull'orizzonte come una tetra nube. Dopo la colezione fu convenuto che la sera si unirebbero nell'alloggio di Athos, e che là sarebbe terminato l'affare. D'Artagnan passò tutta la giornata nel fare mostra del suo abito da moschettiere in tutte le strade del campo. La sera nell'ora stabilita, i quattro amici si riunirono; non restava più a decidersi che solo tre cose. Ciò che sarebbe stato scritto al fratello di milady. Ciò che sarebbe stato scritto alla persona accorta di Tours; e quali sarebbero stati i lacchè che avrebbero portate le lettere. Ciascuno offriva il suo. Athos vantava il silenzio di Grimaud, il quale non parlava se non allorquando il suo padrone gli scuciva la bocca. Porthos vantava la forza di Mousqueton, che era di una statura da battersi a pugni con quattro di complessione ordinaria; Aramis confidava nella destrezza di Bazin, e faceva un elogio pomposo del suo candidato; finalmente d'Artagnan aveva fede intera nella bravura di Planchet, ricordava in qual modo egli si era condotto nello spinoso affare di Boulogne. Queste quattro virtù si disputarono lungamente il premio, e occasionarono dei magnifici discorsi, che non riporteremo per timore che fossero troppo lunghi. — Disgraziatamente, disse Athos, bisognerebbe che quello che si manderà avesse riunite in se stesso queste quattro qualità. — Ma ove trovare un simile lacchè? — Impossibile, disse Athos, lo so bene; prendete dunque Grimaud. — Prendete Mousqueton. — Prendete Bazin. — Prendete Planchet, è franco, destro, sono già due qualità sopra quattro. — Signori, disse Aramis, la cosa principale non è già di sapere quale dei nostri lacchè sia il più discreto, il più forte, il più destro o il più bravo; il principale si è di sapere quale è quello che ama di più il danaro. — Ciò che dice Aramis è pieno di buon senso, riprese Athos; bisogna speculare sopra i difetti delle persone, non sopra le loro virtù. Moschettiere provvisorio, voi siete un gran moralista. — Senza dubbio, riprese Aramis, perchè noi abbiamo bisogno di essere ben serviti non solo per la riuscita, ma ancora per non sbagliare, poichè in caso di scacco, ne va della testa, non già dei lacchè.... — Più basso, Aramis, disse Athos. — È giusto: non per i lacchè, riprese Aramis, ma per il padrone, ed anche per i padroni. I nostri lacchè ci sono essi abbastanza affezionati per arrischiare la loro vita per noi? no. — In fede mia, disse d'Artagnan, io risponderei quasi di Planchet. — Ebbene! mio caro amico, aggiungete alla sua affezione naturale, una buona somma che gli procuri qualche vantaggio, e allora, invece di rispondere una volta, ne risponderete due. — Eh! buon Dio, voi sarete ingannati in egual modo, disse Athos, che era ottimista quando si trattava di cose, e pessimista quando si trattava di uomini; essi prometteranno tutto per aver del danaro, e per la via la paura impedirà loro di agire. Una volta presi, saranno torturati, e confesseranno. Che diavolo! non siamo già ragazzi! Per andare in Inghilterra, Athos abbassò la voce, bisogna attraversare tutta la Francia, seminata di spie e di creature del ministro; bisogna ritrovare un passaggio per imbarcarsi; bisogna sapere l'inglese per chiedere gl'indirizzi a Londra. Ritenete che io vedo la cosa ben difficile. — Ma niente affatto, disse d'Artagnan a cui premeva moltissimo che la cosa si effettuasse; io vedo al contrario tutto facile. Non fa d'uopo di dire, per bacco! che se si scrive a lord Winter cose al disopra dei nostri affari, degli orrori del ministro... — Più basso, disse Athos: — Degli intrighi, e dei segreti di stato, continuò d'Artagnan, uniformandosi alla ricevuta raccomandazione, non fa mestieri di dire che allora saremo tutti arruotati vivi; ma perdinci! non dimenticate, come voi stesso lo avete detto, Athos, che noi gli scriviamo col solo fine di mettere, fin dal suo arrivo a Londra, milady fuori della possibilità di nuocerci. Io gli scriverò dunque presso a poco in questi termini. — Sentiamo, disse Aramis prendendo in antecedenza un aspetto di critico. — «Signore e amico caro...» — Ah! sì, amico caro, ad un Inglese! interruppe Athos. Bene incominciato! bravo d'Artagnan! basta questa sola parola per essere squartato, invece di arruotato. — Ebbene, sia! io gli dirò dunque soltanto, «Signore.» — Voi potete ancora dire «milord» riprese Athos che stava molto attaccato alle convenienze. — «Milord, vi ricordate voi del piccolo recinto delle capre presso il Luxembourg?» — Buono! il Luxembourg adesso! si crederà che sia un'allusione alla regina madre! ecco una cosa ingegnosa! disse Athos. — Ebbene, noi metteremo semplicemente, «Milord, vi ricordate voi di un certo piccolo recinto ove vi fu salvata la vita?» — Mio caro d'Artagnan, disse Athos, voi non sarete mai che un ben tristo redattore. «Ove vi fu salvata la vita!» Questo non è conveniente, non si ricordano mai questi servigi ad un galantuomo. Benefizio rimproverato è un'offesa fatta. — Ah! caro mio, disse d'Artagnan, voi siete insopportabile, e se è necessario di scrivere sotto la vostra censura, in fede mia io vi rinunzio. — E farete bene. Maneggiate il moschetto e la spada, mio caro, voi ve ne cavate bene in questi due esercizi; ma lasciate la penna al nostro abbate, ciò riguarda lui solo. — Sì, di fatti disse Porthos, lasciate la penna ad Aramis, che scrive delle tesi in latino. — Ebbene, sia così, disse d'Artagnan; Aramis redigeteci adunque questa nota, ma per l'amor di Dio, tenetevi conciso, altrimenti vi critico a mia volta, ve ne prevengo. — Non chiedo di meglio, disse Aramis con quell'ingenua confidenza che ogni poeta ha in se stesso, ma che io sia messo al corrente di tutto. Ho inteso parlare di qua e di là, che questa cognata era una scellerata, anzi ne ho acquistata una pruova ascoltando la sua conversazione col ministro... — Più basso adunque, per bacco! disse Athos. — Ma, continuò Aramis, i particolari mi sfuggono. — A me pure, disse Porthos. D'Artagnan e Athos si guardarono qualche tempo in silenzio. Finalmente, Athos, dopo essersi raccolto e divenendo più pallido ancora dell'ordinario, fece un segno di adesione, e d'Artagnan comprese che poteva parlare. — Ebbene, ecco ciò che si deve scrivere, riprese d'Artagnan: «Milord, vostra cognata è una scellerata che ha voluto farvi uccidere per ereditare da voi; ma essa non poteva sposare vostro fratello, essendo già maritata in Francia, ed essendo stata.» D'Artagnan si fermò, come se cercasse la parola, guardando Athos. — «Scacciata da suo marito» disse Athos. — «Perchè fu conosciuto essere essa bollata» continuò d'Artagnan. — Bah! gridò Porthos, impossibile! ella ha voluto fare uccidere suo cognato. — Sì. — Ella era maritata? domandò Aramis. — Sì. — E suo marito si è accorto che aveva un giglio sulla spalla? gridò Porthos. — Sì. Questi tre sì erano stati pronunciati da Athos, ciascuno con un'intonazione più tetra. — E chi ha veduto questo giglio? domandò Aramis. — D'Artagnan ed io, o piuttosto, per osservare l'ordine di cronologia, io e d'Artagnan, rispose Athos. — E il marito di quest'orribile creatura vive ancora? disse Aramis. — Egli vive ancora. — Ne siete voi sicuro? — Ne son sicuro. Vi fu un istante di freddo silenzio, durante il quale ciascuno sentì l'impressione a seconda della sua natura. — Questa volta, riprese Athos interrompendo pel primo il silenzio, d'Artagnan ci ha dato un eccellente programma, ed è questo che bisogna scrivere prima di tutto. — Diavolo! voi avete ragione, Athos, riprese Aramis, e la redazione è spinosa. Il cancelliere stesso sarebbe imbarazzato a redigere un'epistola di questa forza, eppure il signor cancelliere redige molto graziosamente un processo verbale. Non importa! tacete, io scrivo. Aramis prese la penna, riflettè alcuni momenti, si mise a scrivere otto o dieci linee con un carattere grazioso, piccolo e da donna, quindi, con voce dolce e lenta, come se ciascuna parola fosse stata scrupolosamente pesata, lesse quanto segue: «Milord. «La persona che vi scrive queste linee ha avuto l'onore di incrociare la sua spada colla vostra, in un piccolo recinto della strada Inferno. Siccome avete voluto dopo, chiamarvi molte volte l'amico di questa persona, essa deve in riconoscenza di questa amicizia, darvi un buon avviso. Due volte siete stato in pericolo di essere la vittima di una vicina parente, che voi credete vostra ereditiera, perchè non sapete che prima di contrarre il matrimonio in Inghilterra, ella era già maritata in Francia; ma la terza volta che è questa voi potreste soccombere. La vostra parente è partita dalla Rochelle per l'Inghilterra. Sorvegliatela fin dal suo arrivo, poichè essa ha dei progetti grandi e terribili. Se desiderate assolutamente sapere ciò di cui ella è stata capace, la sua vita passata è impressa sopra la sua spalla sinistra.» — Ebbene, ecco ciò che si chiama meraviglioso, e voi avete una penna da segretario di stato, mio caro Aramis. De Winter ora farà buona guardia, se pure gli giunge l'avviso, e, cadendo ancora nelle mani di Sua Eccellenza stessa, noi non potremo essere compromessi; ma, siccome il lacchè che partirà potrebbe farci credere che è stato a Londra e fermarsi a Chatellerault, non gli daremo che la metà della somma, promettendogli l'altra metà in cambio della risposta. Avete voi il diamante? continuò Athos. — Io ho ancora meglio di ciò, ho la somma, disse d'Artagnan. E gettò il sacchetto sulla tavola. Al suono dell'oro, Aramis alzò gli occhi. Porthos rabbrividì; in quanto ad Athos, egli rimase impassibile. — Quando vi è in questo piccolo sacco? disse egli. — Sette mila lire in luigi da dodici franchi. — Sette mila lire! gridò Porthos; quel piccolo pezzo di diamante valeva settemila lire! — Pare, disse Athos, poichè eccole qua; io non presumo che il vostro amico d'Artagnan ve ne abbia aggiunte delle sue. — Ma, signori, con tuttociò, disse d'Artagnan, noi non pensiamo alla regina; abbiamo un poco cura della salute del suo caro Buckingham questo è il meno che le dobbiamo. — È giusto, disse Athos, ma questo riguarda Aramis. — Ebbene! rispose egli arrossendo, che debbo io fare? — Ma, riprese Athos, è semplicissimo, redigere una seconda lettera per questa accorta persona che abita a Tours. Aramis riprese la penna, si mise a riflettere di nuovo, e scrisse le seguenti linee, che sottomise subito all'approvazione dei suoi amici. «Mia cara cugina.» — Ah! ah! disse Athos, questa accorta persona è una vostra parente? — Mia cugina germana, disse Aramis. — Vada dunque per la cugina germana. Aramis continuò: «Mia cara cugina, Sua Eccellenza il ministro, che Dio conservi per la felicità della Francia, e per la confusione dei nemici del regno! è sul punto di finirla cogli eretici della Rochelle; è probabile che il soccorso della flotta inglese non giungerà neppure in vista della piazza; oserei quasi dire che sono certo che il signore de Buckingham sarà nell'impossibilità di partire, in conseguenza di qualche grande avvenimento. Sua Eccellenza è il più illustre politico dei tempi passati, dei tempi presenti, e probabilmente dei tempi futuri. Egli spegnerebbe il sole se il sole lo incomodasse. Date queste felici novelle a vostra sorella, mia cara cugina. Ho sognato che questo maledetto inglese era morto. Non mi sovvengo bene se era morto di ferro o di veleno; solamente ciò di cui sono sicuro, si è ch'egli era morto, e voi lo sapete, i miei sogni non m'ingannano mai. Assicuratevi dunque di vedermi ritornare ben presto.» — A meraviglia! gridò Athos, voi siete il re dei poeti, mio caro Aramis voi scrivete come i migliori scrittori. Resta ora di mettere l'indirizzo a questa lettera. — È facilissimo, disse Aramis Piegò galantemente la lettera, la riprese e scrisse: «A madamigella Michon, lavandaia a Tours.» I tre amici si guardarono ridendo. Essi erano stati presi. — Ora, disse Aramis, voi capirete, signori, che il solo Bazin può portare questa lettera a Tours. Mia cugina non conosce che Bazin, e non ha fiducia che in Bazin. Qualunque altro farebbe andare a vuoto l'affare. D'altronde Bazin è ambizioso e sapiente. Egli spera di divenire qualche cosa di grande quando io cambierò stato, ed egli lo cambierà assieme con me. Voi capirete che un uomo che ha simile veste non si lascerà prendere, o se sarà preso, subirà il martirio piuttosto che parlare. — Benissimo, disse d'Artagnan, io concedo con tutto il cuore Bazin, ma concedete a me pure Planchet. Milady l'ha fatto mettere un giorno alla porta a furia di colpi di bastone. Ora, Planchet ha buona memoria, e io vi garantisco, se può supporre possibile una vendetta, si farà piuttosto arruotar vivo che rinunciarvi. Se i vostri affari di Tours sono affari vostri, Aramis, quelli di Londra sono miei. Pretendo adunque che sia scelto Planchet, il quale, d'altronde, è già stato a Londra con me, e sa dire correttamente «_London, sir, if you please e my master, lord d'Artagnan_». Con ciò siate tranquilli, egli farà la sua strada andando e venendo. — In questo caso, disse Athos, bisogna che Planchet riceva settecento lire per andare e settecento per ritornare, e Bazin trecento lire per andare e trecento per ritornare; ciò ridurrà la somma a cinque mila lire. Noi prenderemo mille lire per ciascheduno da impiegarsi come meglio ci parrà, e lasceremo un fondo di mille lire, che custodirà l'abbate, per i casi straordinarii o i bisogni comuni. Vi accomoda così? — Mio caro Athos, disse Aramis, voi parlate come Nestore, che era, come ognun sa, il più saggio della Grecia. — Ebbene, è combinato, riprese Athos: Planchet e Bazin partiranno. A tutta perdita, non sono mal contento di conservare Grimaud; egli è assuefatto alle mie maniere, ed io gli sono attaccato; la giornata di ieri ha già dovuto spossarlo; questo viaggio lo perderebbe. Fu fatto venire Planchet, gli furono date le sue istruzioni, egli era stato pervenuto da d'Artagnan, che da prima gli aveva annunziata la gloria, quindi il denaro, per ultimo il pericolo. — Io porterò la lettera nel paramano del mio vestito, disse Planchet, e se sarò preso io la inghiottirò. — Ma, allora tu non potrai fare la commissione disse d'Artagnan. — Voi questa sera, me ne darete una copia che domani mattina io saprò a memoria. D'Artagnan guardò i suoi amici come per dir loro: — Ebbene che vi aveva io promesso? — Ora continuò egli, indirizzandosi a Planchet, tu hai otto giorni per giungere fino a lord de Winter; tu hai altri otto giorni por ritornare qui: questi sono sedici giorni. Se, il sedicesimo giorno della tua partenza, tu non sei giunto qui alle otto della sera, non avrai il tuo danaro, fossero ancora otto ore e cinque minuti. — Allora, signore, disse Planchet, compratemi un orologio. — Prendi questo, disse Athos dandogli il suo colla consueta generosità, e sii un bravo giovane; pensa bene che se parli, se ciarli, se millanti, tu fai tagliare il collo al tuo padrone, che ha una così grande confidenza nella tua fedeltà, che ci ha garantiti di te. Ma pensa altresì che, se per colpa tua accade qualche disgrazia a d'Artagnan, io ti ritroverò da pertutto per aprirti il ventre. — Oh! signore! disse Planchet umiliato da questi sospetti, e soprattutto spaventato dall'aria calma del moschettiere. — Ed io, disse Porthos girando i suoi grossi occhi, pensa che ti scortico vivo. — Ah! signore! — Ed io, disse Aramis colla sua voce dolce e melodiosa, pensa che ti brucio a fuoco lento come un selvaggio. — Ah! signore! E Planchet si mise a piangere; noi non oseremo dire se ciò fosse pel terrore delle minacce che gli venivano fatte, o per tenerezza di vedere quattro amici così strettamente uniti di intenzioni. D'Artagnan gli prese la mano. — Vedi tu, Planchet gli disse, questi signori ti dicono tuttociò, per la tenerezza che mi portano, essi però nel fondo del loro cuore ti amano. — Oh! signore, disse Planchet, o io riuscirò, o sarò tagliato in quattro; e mi tagliassero in quarti, siate convinto che non vi sarà un mezzo che mi farà parlare. Fu deciso che Planchet partirebbe l'indomani a otto ore dei mattino, affinchè come egli aveva detto, potesse imparare a memoria nella notte la lettera che portava. Egli guadagnò precisamente dodici ore con questo accomodamento, poichè egli doveva essere di ritorno il sedicesimo giorno a otto ore di sera. L'indomani al momento in cui si stava per montare a cavallo, d'Artagnan che si sentiva nel fondo del suo cuore debole per il duca di Buckingham prese Planchet a parte: — Ascolta, gli disse, quando tu avrai rimessa la lettera a lord de Winter, e che egli l'avrà letta, gli dirai ancora: «vegliate sopra Sua Grazia, lord Buckingham, poichè si vuole assassinarlo». Ma ciò è cosa così grave, e così importante, che io non ho voluto neppure confidare ai miei amici che io ti affidava questo segreto, e che per un posto da capitano io non vorrei scrivertelo. — Siate tranquillo, signore, disse Planchet; voi vedrete se si può contare sopra di me. E montato sopra un eccellente cavallo che egli doveva lasciare a venti leghe, per prendere la posta, Planchet partì al galoppo, col cuore un poco ristretto dalla trista promessa che gli era stata fatta dai moschettieri, ma del resto colle migliori disposizioni. Bazin partì l'indomani mattina per Tours, ed ebbe otto giorni a compiere la sua missione. I quattro amici, durante tutto il tempo di queste due assenze, avevano come bene si può capire, gli occhi più che mai in guardia, il naso al vento, e le orecchie in ascolto. Le loro giornate si passavano a tentare di sorprendere ciò che si diceva, a sorvegliare gli andamenti del ministro, e a fiutare tutti i corrieri che giungevano. Più d'una volta un insormontabile tremito li colse, quando furono chiamati per un servizio inatteso. Essi d'altronde avevano pure da sorvegliare alla propria sicurezza: milady era un fantasma che allorquando era comparso una volta a qualcuno, non lo lasciava più dormire tranquillamente. La mattina dell'ottavo giorno, Bazin fresco come sempre, e sorridendo secondo la sua abitudine, entrò nell'osteria nel Farfallone, mentre i quattro amici erano sul punto di far colezione, dicendo, giusto il convenuto: — Sig. Aramis, ecco la risposta di vostra cugina. I quattro amici si scambiarono una allegra occhiata: la metà dell'affare era fatto: è vero che questa era la più corta e la più facile. Aramis prese, arrossendo suo malgrado, la lettera che era di un carattere grossolano e senza ortografia. — Buon Dio! gridò egli ridendo decisamente io sono disperato; giammai questa povera Michon giungerà a scrivere come il sig. de Voiture. — Che cosa volere dire queste brave Migeon? domandò lo svizzero, che era in vena di parlare con i quattro amici, quando giunse la lettera. — Oh! mio Dio! meno ancora di niente, disse Aramis, una piccola e graziosa lavandaia, che amo molto, e alla quale ho chiesto alcune biancherie lavorate di sua mano per modo di ricordo. — Se quella, disse lo svizzero, stare così gran dama come stare suo carattere, voi dovete avere grande fortune, mio camerate! Aramis lesse la lettera, e lo passò ad Athos. — Osservate dunque quello che mi scrive, Athos, diss'egli. Athos gettò un colpo d'occhio sulla lettera, e per fare svanire tutti i sospetti che avrebbero potuto nascere, lesse ad alta voce: «Cugino mio, mia sorella ed io indoviniamo benissimo i sogni, e ne abbiamo una paura spaventosa; ma del vostro si potrà dire, almeno io spero, che ogni sogno è una menzogna. Addio, portatevi bene, e fate che di tempo in tempo sentiamo parlare di voi.» «ACLAÈ MICHON» — E di che sogno parla ella? domandò il dragone che si era avvicinato durante la lettura. — Sì, di quale sogno? disse lo svizzero. — Perdinci! disse Aramis, la cosa è semplice, di un sogno che ho fatto io, e che le ho raccontato nella mia lettera. — Ah! sì, per bacco essere tutto zimplice di ragontare sue sogne; ma io non sognare mai. — Voi siete molto fortunato, disse Athos alzandosi, e vorrei pure dire io altrettanto che voi! — Giammaie, riprese lo svizzero incantato che un uomo come Athos gli avesse rivolta la parola. Giammaie, giammaie. D'Artagnan, vedendo che Athos si alzava, fece altrettanto, prese il suo braccio e partì. Porthos e Aramis rimasero per tener testa agli scherzi del dragone e dello svizzero. In quanto a Bazin se ne andò a dormire sopra un fascio di paglia; e siccome egli aveva più immaginazione che lo svizzero, fece dei sogni d'oro sul suo avvenire. FINE DEL TERZO VOLUME. INDICE DELLE MATERIE (VOL. III.) _Continuazione del Capitolo XXXII._ 5 CAP. XXXIII. _La padrona e la cameriera._ 10 CAP. XXXIV. _Ove si tratta del modo di equipaggiarsi di Aramis e di Porthos._ 20 CAP. XXXV. _La notte tutti i gatti sono grigi._ 30 CAP. XXXVI. _Il sogno di vendetta._ 40 CAP. XXXVII. _Il segreto di Milady._ 48 CAP. XXXVIII. _In che modo, senza incomodarsi, Athos ritrovò il mezzo d'equipaggiarsi._ 55 CAP. XXXIX. _Una dolce visione._ 66 CAP. XL. _Una visione terribile._ 77 CAP. XLI. _L'assedio della Rochelle._ 86 CAP. XLII. _Il vino d'Anjou._ 101 CAP. XLIII. _L'albergo del Colombaio Rosso._ 110 CAP. XLIV. _Utilità delle gole da braciere._ 120 CAP. XLV. _Scena coniugale._ 130 CAP. XLVI. _Il bastione di san Gervasio._ 137 CAP. XLVII. _Il consiglio dei Moschettieri._ 145 CAP. XLVIII. _Affare di famiglia._ 166 Nota del Trascrittore Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori tipografici. *** End of this LibraryBlog Digital Book "I tre moschettieri, vol. III" *** Copyright 2023 LibraryBlog. All rights reserved.