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Title: Cronaca di Fra Salimbene parmigiano vol. II (of 2)
Author: Adam, Salimbene de
Language: Italian
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*** Start of this LibraryBlog Digital Book "Cronaca di Fra Salimbene parmigiano vol. II (of 2)" ***


                                CRONACA
                                   DI
                        FRA SALIMBENE PARMIGIANO

                         DELL'ORDINE DEI MINORI


                            VOLGARIZZATA DA
                            CARLO CANTARELLI


                      SULL'EDIZIONE UNICA DEL 1857
                    CORREDATA DI NOTE E DI UN AMPIO
                           INDICE PER MATERIE

                             =Vol. Secondo=



                                 PARMA
                          LUIGI BATTEI EDITORE
                                  1882



                       _Il traduttore si riserva
                 il diritto della proprietà letteraria_



CRONACA

DI FRA SALIMBENE DI ADAMO PARMIGIANO DELL'ORDINE DE' MINORI


a. 1266

L'anno del Signore 1266, Re Carlo passò il ponte di Ceprano[1] col
suo esercito per andare contro Manfredi Principe, di Puglia e Sicilia,
figlio dell'Imperatore deposto Federico II; poi Re Carlo coll'esercito
passò il ponte di S. Germano[2], ed entrò di forza in S. Germano; agli
11 di Febbraio prese Capua, poscia sconfisse Manfredi e l'esercito
di lui presso Benevento. Il qual Manfredi cadde morto con tremila de'
suoi, tra cui il Conte Galvano, Annibale nipote del Cardinale Riccardo,
Enrico Marchese di Scipione, nipote di Uberto Pallavicini, e molti
altri Baroni; e Manfredi fu sepolto appiè del ponte di Benevento[3],
un venerdì 26 Febbraio. Fu anche presa la moglie di Manfredi con due
suoi figliuoli e con tutto il tesoro in Manfredonia. (Questa città la
fabbricò Manfredi, e le impose il proprio nome; e fu fondata in vece di
un'altra città, che si chiamava Siponto, a due miglia di distanza; e,
se il Principe viveva pochi anni ancora, sarebbe diventata una delle
più cospicue città del mondo. È tutta murata in giro, come dicono, ed
ha un porto sicurissimo; è alle radici del monte Gargano; la strada
principale è già abitata; sono già poste le fondamenta delle case
nelle altre strade, che sono larghissime, e aggiungono molto alla
bellezza della città. Ma Re Carlo l'ha tanto in uggia, che non la vuol
nemmeno sentir nominare, anzi vuole che si chiami Siponto nuova).
Nella stessa battaglia restò prigioniero anche il Conte Giordano e
Pietro Asino di Fiorenza, e molti altri rimasero morti sul campo. Il
Principe Manfredi però ebbe alcune buone qualità, di cui ho parlato
a sufficienza nel lavoro che feci intorno a Gregorio X. E ciò ridico
perchè lo storiografo deve essere imparziale, sicchè d'una persona non
dica soltanto il male, e ne tacia il bene. I Cortigiani principali di
Manfredi furono: Il Conte Galvano Lancia, che era il primo della Corte,
e più d'ogni altro influente; era Piemontese ed aveva attinenza di
parentela col Marchese Lancia; il Conte Giordano e il Conte Bartolomeo
ambedue Piemontesi; il Conte di Caserta di Puglia, che tradì Manfredi,
di cui, credo, aveva in moglie una sorella; il Conte di Acerra della
Puglia di Terra di Lavoro; Giovanni da Procida, potente e grande
nella Corte di Manfredi, ed è in voce d'aver egli propinato il veleno
a Re Corrado, ad istanza del fratello Manfredi; Manfredo Maletta,
che vive tuttora, Conte Ciamberlano, potentissimo alla Corte di
Manfredi, ricchissimo, e da Manfredi stesso prediletto. Questo Maletta
avendo potuto sfuggire alla strage che si fece dell'esercito del suo
Signore, si ricoverò a Venezia, e vi abitò finchè Pietro d'Aragona
invase il Regno dalla parte di Messina contro Re Carlo, fratello del
Re di Francia S. Lodovico di buona memoria. Ed ora il prenominato
Ciamberlano è uno dei grandi e prediletti nella Corte di Pietro
d'Aragona. Egli sa dove stanno nascosti molti tesori. È valentissimo
e perfetto compositore di canti e canzonette, e per suonare strumenti
musicali è stimato non aver pari al mondo. È regnicolo, cioè oriondo
del Regno. E qui è da notare che Re Carlo fece uccidere molti, or
l'uno or l'altro, che si spacciavano per Manfredi. Imperocchè non
manca mai chi, a cagione di lucro, s'infinge per Manfredi; sia pur
anche che si esponga al pericolo della morte. L'anno stesso poi 1266,
Brescia, che era sotto la Signoria del Marchese Uberto Pallavicini,
si ribellò al Marchese, ed i Bresciani che erano dentro la città, e
quelli che ne erano fuorusciti, fecero tra loro pace e concordia, e
si rappacificarono anche coi Milanesi e coi Bergamaschi, in Febbraio.
L'anno stesso, i Modenesi fuorusciti occuparono il castello di Monte
Valerio[4], per tradigione di Ugolino da Guiglia, un nobile del
contado di Modena, che fattosi d'improvviso traditore e nemico, di
amico e fedele che era dei Modenesi della città, cioè degli Aigoni,
che parteggiavano per la Chiesa, e ribellatosi a quelli che in molte
maniere l'onoravano, lo consegnò ai fuorusciti, cioè ai Gorzano e a
quelli di parte loro; i quali occupando il detto castello molestavano
in diversi modi la diocesi di Modena. Perciò, i predetti Modenesi
della città, colla milizia dei Reggiani, e forte numero di popolani ed
alcuni Parmigiani si posero a campo virilmente e potentemente attorno
al castello; ed ivi durando tutto il mese, fu tanta la fame e la sete
a cui furono ridotti quei del castello per la moltitudine degli uomini
e degli animali, che non vi si poteva più vivere; e inoltre vi si era
fatto un insoffribile fetore, sicchè dopo aver perduto per forza, ai
3 di luglio, lo steccato, già ridotti agli estremi, avuto affidamento
del rispetto alle persone, abbandonarono, ai 4 di Luglio stesso, il
castello. Allora il prenominato traditore Ugolino di Guilia, mentre
malato morto si trasportava via dal castello, fatto segno alle grida
e all'ira del popolo, fu crudelmente ucciso in mezzo al campo; ed il
castello fu completamente distrutto. L'anno stesso, ai 3 di Settembre,
si rappacificarono tra loro la fazione di quei di Sesso che era fuori,
e la fazione dei Roberti, che eran dentro. E a Reggio fu Podestà
Bonacorso de' Bellincioni da Firenze, che fu tanto benefico ai poveri,
quanto severo coi nobili. E i nobili ne lo cacciarono, perchè sosteneva
i diritti del Comune, e faceva buona giustizia...... Lo stesso anno, i
Guelfi Fiorentini ritornarono in Firenze, e ne espulsero i Ghibellini.
Lo stesso anno, Re Carlo assediò Poggibonsi[5], e vi era stato dintorno
a campo lungo tempo, quando l'ebbe per accordi; ed ivi morì sua moglie
l'anno seguente. L'anno 1266, una grande moltitudine di Saraceni
passando lo stretto venne in Ispagna, e si unirono a quelli che già
vi erano, e, volendo riconquistare quella parte di Spagna che avevano
perduta, fecero immensa strage di cristiani. Ma in fine, serratisi
insieme i cristiani del paese, e aggiuntivisi molti crociati da
diverse parti, riportarono, quantunque con gravi perdite, vittoria sui
Saraceni.


a. 1267

L'anno del Signore 1267, indizione 10ª, Re Carlo in Toscana strinse
di lungo assedio il castello di Poggibonsi, ove erasi chiuso un forte
nucleo di nobili avversi alla Chiesa; finalmente venne con loro ad
accordi e se ne andarono. Fu pure conchiusa pace e concordia tra i
Cremonesi di dentro la città e i fuorusciti, per mediazione del Legato
del Papa. E Uberto Pallavicino perdette la Signoria di Cremona e di
altre città, nelle quali aveva signoreggiato, e se ne tornò a' suoi
castelli di Ghisaleggio e Landasio nella diocesi di Piacenza. E il
Pallavicino stesso restava meravigliato che un prete solo, e colle sole
blandizie delle sue parole, l'avesse potuto espellere da' suoi dominii;
e perciò era solito dire:

    Cum verbis blandis et factis saepe nefandis
    Amentem prudens fallere saepe solet.

      Con opra rea, ma con parole molli,
      L'accorto spesso sa gabbare i folli.

E se lo meritò bene il Pallavicino di perdere la Signoria di Cremona,
perchè temendo di perderla se i devoti che si flagellavano fossero
andati a Cremona, fece piantare le forche lungo il Po....... Così
lo stesso anno uscì di Cremona, con quei di parte sua, Bosio di
Dovara e fu assediato nella Rocchetta[6]. Questi due iniqui Signori
spadroneggiarono molti anni in Cremona. Questo stesso anno, verso
la festa del beato Francesco, Corradino figlio di Corrado, che era
figlio di Federico Imperatore deposto, venne dall'Alemagna per andare
in Puglia a ricuperare contro Re Carlo la Terra degli avi suoi; e
molti Toscani e Lombardi si associarono a lui, e per via non incontrò
alcun ostacolo sino al giorno della battaglia. Perciò l'esercito dei
Cremonesi di dentro la città, per timore di Corradino e dei Veronesi,
sciolse l'assedio della Rocchetta. Questo Corradino era giovine di
lettere, e parlava benissimo latino: e lo stesso anno, in ottobre,
andò a Verona con numerosissima milizia tedesca. Così l'anno stesso, in
Luglio, di notte, furtivamente, Giacomino da Palù ascese ed entrò sul
sasso di Bismantova, ove fu ucciso Turco da Bismantova. Dai Reggiani
e Parmigiani fu pure quell'anno, in Agosto, cinta d'assedio Crovara,
ed i Reggiani vi avevano tre trabucchi, i Parmigiani uno. E Crovara[7]
si arrese a patti, e Bismantova pure fece la sua dedizione, e diede
ostaggi al Comune di Reggio, per sigurtà che non gli avrebbero per lo
innanzi recata offesa. Così pure in Dicembre, ai nove, fu riconquistato
il castello di Reggiolo, occupato dai Cremonesi, che l'avevano avuto da
quei di Sesso, che lo possedevano per ragion di conquista; e fu dalle
mani dei Cremonesi riscattato a prezzo di tremila lire reggiane, oltre
le spese per ambasciate, militi e fanti, che andarono a servizio dei
Cremonesi.


a. 1268

L'anno 1268, indizione 11ª, i Parmigiani cinsero di assedio Borgo S.
Donnino coll'aiuto de' Modenesi, Cremonesi, Piacentini e Reggiani; e se
ne ritirarono dopo esservi stati lungo tempo attorno, e aver distrutto
nel contado alberi, biade, vigne e case. E allora i Parmigiani si
rappaciarono con que' loro concittadini che soggiornavano in Borgo S.
Donnino. Quell'anno infermò Papa Clemente IV, il giorno di S. Cecilia,
e otto giorni dopo, cioè la vigilia di S. Andrea, morì. L'anno stesso,
Corradino passò presso la Rocchetta e vicino a Brescia; poi tornò alla
Rocchetta di Bosio, passò l'Adda e pel Ticino si recò a Pavia, ove si
fermò molti giorni; poscia si portò a Pisa, traversando le Terre del
Marchese del Carretto, e per mare. Il suo esercito arrivò più tardo
a Pisa passando per il territorio dei Fieschi. E lo stesso anno si
accostò a Roma marciando attraverso la Toscana, a malgrado dei Guelfi
del paese, e raccolse uomini su quel di Lucca. Così nello stesso
millesimo, la vigilia del beato Bartolomeo, s'azzuffò l'esercito di
Corradino coll'esercito di Re Carlo, il quale ne trionfò; e dalla parte
di Corradino molti cadendo furon morti. Vi fu grande strage, e molti
si diedero a fuga, e molti altri Baroni e cavalieri rimasero prigioni.
Lo stesso Corradino col Duca d'Austria e moltissimi altri fu fatto
prigioniero e condotto nelle carceri di Palestrina. Ed Enrico fratello
del Re di Castiglia, che era allora Senatore di Roma, fu parimente
preso in questa battaglia con Galvagno Lanza. Il quale, insieme a
molti altri Pugliesi traditori, fu ucciso con due suoi figli presso
Roma. E l'anno stesso Modenesi e Reggiani presero Brandola[8].... E,
il dì di S. Luca Evangelista, la moglie di Re Carlo venne a Reggio
con numerosissimo seguito di fanti, di cavalieri e balestrieri. E,
non un mese dopo, arrivò a Reggio il Conte di Fiandra in compagnia di
sua moglie, che era figlia di Re Carlo, con una moltitudine di gente,
che tutti andavano in Puglia dopo la sconfitta di Corradino e de'
suoi, nella quale battaglia rimase prigioniero Corrado di Antiochia,
nipote dell'Imperatore, che era evaso dalla prigione del Re per opera
di Giacomo di Napoleone e compagni, che erano nell'accampamento dei
Saraceni. E quella sconfitta avvenne nei campi Palentini, presso
il fiume[9] della Marca, vicino ad Albi[10]. E lo stesso anno, dopo
tre mesi, fece a Corradino medesimo, al duca d'Austria nel regno di
Puglia, e al Conte Gerardo da Pisa..... fece loro presso Napoli mozzar
la testa. Morì anche quell'anno, ai 28 Novembre, Papa Clemente IV,
nativo della Provenza. Questo Papa Clemente, che ebbe moglie e figli,
prima fu avvocato di grande rinomanza e consigliere del Re di Francia:
dipoi, morta la moglie, per merito di vita buona e di rara scienza, fu
fatto Vescovo di Puy[11], poscia Arcivescovo di Narbonne; in seguito,
Vescovo e Cardinale della Sabina; finalmente, mandato da Papa Urbano
IV in Inghilterra, come Legato per la riformazione della pace, fu, in
sua assenza, dai Cardinali eletto Papa, a Perugia, e si diede tanto
alle veglie, ai digiuni, alle preghiere e ad altre buone opere, che si
crede che Iddio pe' meriti di lui abbia liberato la Chiesa dai gravi
disordini, che a quei tempi l'affliggevano. Egli, quando Corradino
nipote dell'Imperatore Federico, s'accingeva a battere Re Carlo, a
cui il Papa aveva dato il Regno di Sicilia, mentre molti disperavano
delle sorti di Carlo, sia perchè l'esercito di Corradino era grosso,
sia perchè la Sicilia s'era ribellata a Carlo stesso, predisse in un
pubblico sermone...... che Corradino come fumo si dissiperebbe, e Carlo
entrerebbe in Puglia siccome inconscia vittima. E l'evento gli fece
ragione; poichè Corradino, dopo presa la fuga, fu fatto prigioniero,
e n'ebbe tronco il capo; e il suo nome, in pochi giorni, svanì come
fumo. Questo Papa canonizzò anche a Viterbo, nella chiesa dei frati
Predicatori, una Edwige duchessa di Polonia, vedova di ammirabile
santità, la quale, tra gli altri suoi miracoli, essendosi differita
di molti anni la sua canonizzazione......... La qual cosa saputasi
da un ebreo, si fece subito battezzare con tutta la sua famiglia. Lo
stesso anno, ai 5 di Dicembre, Manfredo dei Roberti, eletto Vescovo
di Verona chiuse i suoi giorni; e, nello stesso mese, morì Pietro da
Vico, Prefetto di Roma. E lo stesso anno 1268, il Soldano di Babilonia,
devastata l'Armenia, occupò Antiochia, una delle più cospicue città del
mondo, e, presi ed uccisi uomini e donne, la ridusse una solitudine,
e....... per la maggior parte li uccise; e questo avvenne ai 16 di
Maggio, vigilia dell'Ascensione. Così pure nel millesimo sussegnato,
cioè 1268, Corradino, nipote del fu Imperatore Federico, sprezzando
la scomunica del Papa, levando le armi contro Carlo, fatto dalla
Chiesa Re di Sicilia, aggiunti ai Tedeschi, che aveva, molti Lombardi
e Toscani, arrivò a Roma, dove, accolto solennemente, alla imperiale,
si associò il Senatore di Roma Enrico, fratello del Re di Castiglia
e molti Romani, e s'avviò contro Carlo in Puglia; ma dopo un'aspra
battaglia campale, Corradino, co' suoi che voltavan le spalle, fu fatto
prigioniero, e da Carlo con due nobili decapitato.


a. 1269

L'anno 1269, indizione 12ª, a mezzo Aprile, cadde una abbondantissima
neve, che durò, in pianura, due giorni e due notti: e cominciò a
nevicare a mezzanotte tra Sabato e Domenica, nè cessò che sino a
verso sera. La notte successiva si ebbe forte brina, l'altra ancora,
brina fortissima, che distrusse tutte le vigne. E in quell'anno fu dai
Reggiani distrutto il castello di Pizegolo[12], come anche Toano[13]
fu distrutto e raso al suolo. Questo fu un anno di venti furiosissimi;
e, nel mese di Luglio i Cremonesi andarono a campeggiare attorno alla
Rocchetta di Bosio da Dovaria, che venne a soggezione del Comune di
Cremona; e, a norma de' patti sanciti tra le parti belligeranti, la
Rocchetta fu smantellata. Così pure Lucera de' Saraceni in Puglia
si arrese a Re Carlo. E nello stesso anno, in Settembre, duecento
fanti montanari con cavalleria e fanteria della diocesi di Modena,
si recarono, per l'interesse del Comune, nel Frignano contro Guidino
Montecucoli, fratello di Bonacorso, per riedificare un castello in
servizio dei Serafinelli della stessa Terra del Frignano[14]; e ne
restaron morti e prigionieri di fanti e di cavalieri. E allora accorse
il Conte Maginardo con numeroso corpo di militi di Bologna e della
diocesi in aiuto del suddetto Guidino; e si combattè una accanita
battaglia, e furono presi, impiccati e morti quasi tutti quelli della
diocesi di Reggio, e vi morì con un suo segretario, Guido di Mandra,
che era, pel Comune, Capitano di quelli della diocesi di Reggio. Lo
stesso anno, la rocca di Bardi[15], nel mese di Novembre, si arrese al
Comune di Piacenza; e i Parmigiani distrussero sino alle fondamenta
la muraglia di cinta di Borgo S. Donnino, spianarono le fossa del
castello, e mandarono comandando ai Borghigiani di abbandonare il
castello, e fabbricando case, si facessero un borgo lungo la strada
verso Parma. Quell'anno stesso il Marchese Uberto Pallavicini, guercio,
vecchio e invecchiato nel mal fare, morì in montagna nell'amarezza
dell'anima e nel dolore, senza confessione e senza penitenza, e senza
dare alcuna soddisfazione alla Chiesa. E i frati Minori furono là,
volendo tentare di convertirlo a Dio, almeno in punto di morte......
A cui disse frate Gerardino di S. Giovanni in Persiceto, lettore di
teologia nel convento dei frati Minori di Parma: Il Savio ne' Proverbii
6º dice: _Corri, affrettati, risveglia il tuo amico_: Ed io adempiei
a questo precetto della Scrittura, o Signore, recandomi da voi per la
salute dell'anima vostra, ch'io voglio conquistare al cielo........
E il Pallavicino, rispose: Non ho rimorso in coscienza di tener nulla
che sia d'altri. A cui frate Gerardino replicò; _Chi nasconde le sue
colpe non sarà indirizzato; chi se ne confesserà e le abbandonerà,
riceverà misericordia_. Ma frate Gerardino riconoscendo che s'affannava
invano, disse: _Ho fatto quel che toccava a me_ ecc. e l'abbandonò alla
pertinacia di lui....... Penso che frate Gerardino fosse mandato al
Pallavicino o dai Parmigiani, o da qualche Legato per richiamarlo alla
legge della Chiesa. Perocchè quando Papa Clemente passò da Piacenza,
come privato, per andar a ricevere l'investitura del papato, disse
ad alcune persone: A nome mio, dopo ch'io sia partito di quì, dite
a quel Signore che tiene la Signoria di Cremona, che se vuol essere
amico di Dio e della Chiesa e lasciar vivere la gente in pace, io
porrò opera acciocchè il Papa gli faccia buona e festosa accoglienza,
e gli usi misericordia........ I Parmigiani però del Pallavicino
se ne sono vendicati ancor vivo, smantellandogli le castella, e
devastando le Terre che aveva occupato....... Signoreggiò vent'anni
in Cremona; che se altrettanti avesse servito a Dio, n'avrebbe avuto
in mercede il regno eterno. Iddio gli perdoni i molti danni, che ha
fatto ai Parmigiani, ai Cremonesi, ai Piacentini e a molte altre
città Lombarde; ma neppur esso se la passò impunemente...........
Nello stesso anno, si tenne un Capitolo generale in Assisi, essendo
tutt'ora Ministro Generale frate Bonaventura; nè vi era Papa, perchè
i Cardinali non avevano ancora potuto accordarsi. In questo tempo i
Bolognesi si recarono a Primaro, e vi eressero un castello contro i
Veneziani. (Primaro è una località su quel di Ravenna, dove il Po che
rade Argenta, entra in mare). E corsero i Veneziani contro i Bolognesi
con grosso esercito, con navi, baliste, màngani e trabucchi e con ogni
maniera d'argomenti da guerra; e fecero alto alla sponda opposta del
Po, e tentarono un vigoroso attacco al castello de' Bolognesi, e vi
fu grosso combattimento. I Veneziani battevano la torre de' Bolognesi
con màngani e trabucchi; ma i Bolognesi difesero virilmente il loro
castello, sicchè i Veneti abbandonarono l'impresa. Ed i Bolognesi
stettero quivi a oste, credo, due o tre anni, e ne morirono trecento,
o cinquecento, per la malaria del mare, e per la moltitudine delle
zanzare, delle pulci, delle mosche e dei tafani. E frate Pellegrino
del Polesine Bolognese, dell'Ordine de' frati Minori, andò e compose
in accordo Veneti e Bolognesi. I Bolognesi distrussero il castello che
avevano fatto, e quindi partirono, donando molto legname del castello
sfatto ai frati Minori di Ravenna. E siccome io abitava allora a
Ravenna, mi pare che la distruzione di quel castello da parte dei
Bolognesi, e la loro partenza da Primaro accadessero quando Corradino
fu sbaragliato da Carlo, cioè nel 1268. (Ed innumerevoli stormi di
quegli uccelli, che nelle vigne devastano le uve, e che dal volgo si
chiamano tordi, passarono nell'autunno di quell'anno, sicchè ogni sera
dopo cena sino al crepuscolo della notte, e per molti giorni, appena
si poteva liberamente vedere il cielo. Ed erano talora due, tre strati
l'uno sopra l'altro, e coprivano l'estensione di tre o quattro miglia.
E, poco dopo, altri stormi d'uccelli dello stesso genere sopravvenivano
volando, stormeggiando, e gracidando in suono che parea di lamento. E
questo ripetevasi per molti giorni, verso sera, discendendo dai monti
alle valli, e tutto il cielo ingombravano. Ed io con altri frati ogni
sera usciva a vedere, a osservare, a empirmi di meraviglia, e volendo
stare all'aperto, all'aperto non si era, perchè quegli uccelli velavano
tutto il cielo. E dico cosa vera, da me veduta; nè l'avrei creduta a
chi me l'avesse contata). La cagione poi, per cui i Bolognesi andarono
a Primaro e fabbricarono ivi un castello è questa. I Veneziani sono
uomini avari, tenaci e superstiziosi, e vorrebbero assoggettare a sè
tutto il mondo, se fosse possibile; e trattano ruvidamente i mercanti
che vanno ai loro mercati, e vendono caro, e fan pagare molti pedaggi
in più luoghi del loro territorio, per una stessa persona e per un
sol viaggio. E se qualche mercante porta colà le sue merci a vendere,
non può riportarnele, anzi è costretto a vendere, voglia non voglia;
e se una nave carica, che non sia delle loro, per qualche avaria si
ricoveri nei loro porti, non può uscirne, se prima non ha venduto le
merci a loro; e dicono che fu per volere di Dio che quella nave riparò
in un loro porto; al che nulla si può contraddire. Nel tempo in cui
Roglerio di Bagnacavallo dominava a Ravenna, sopravvennero i Veneziani,
e costruirono un castello allo sbocco delle valli, e sulla riva del
Po pel naviglio che va da Ravenna al Po dalla parte di S. Alberto,
e promisero ai Ravennati, che i Veneti avrebbero tenuto il castello
per cinquant'anni e che annualmente, per tale concessione, avrebbero
pagato alla cittadinanza di Ravenna, cioè al Comune, cinquecento lire
della moneta Ravennate; e pagavano puntualmente, come io ho veduto.
Ma i Veneziani in questo affare vi ebbero cinque furberie, o malizie.
La prima fu che mentre questa concessione doveva durare, come s'è
detto, cinquanta anni e non più, ora si maneggiano a perpetuarla;
nè solamente lo dicono, ma lo mostrano a fatti; perchè mentre prima
avevano edificato il castello di legname, ora lo fanno di muraglia.
La seconda è che da questa stazione intercettano la via alle navi
Lombarde, che non possono trar nulla nè dalle Romagne, nè dalla Marca
d'Ancona; da' quali paesi potrebbero esportare frumento, vino, olio,
pesce, carne, sale, fichi, uova, formaggi, frutta, ed ogni sorta di
vettovaglie, se i Veneziani non l'impedissero. Terza, perchè girano
per ogni verso facendo incetta in queste due provincie d'ogni sorta
di vettovaglie, e, perchè prima di loro non ne facciano raccolta,
prevengono i Bolognesi, ai quali per la molta popolazione e per la
fame degli abitanti delle città e delle campagne, urge necessità
di avere abbondanza di tali provvigioni. Per la qual cosa, nessuna
meraviglia se i Bolognesi si sono levati ad alzare un castello contro
i Veneziani, a cagione dei quali dovrebbero accendersi di sdegno ed
insorgere anche tutti i Lombardi, e condurre un esercito e far guerra
ai Veneziani per i danni che loro apportano. Quarta, perchè nel porto
di Santa Maria di Ravenna hanno sempre all'àncora una galea armata,
affinchè di lì nessuno possa uscire con vittovaglie, chiudendo ogni
sbocco ai Ravennati, ai Bolognesi, ai Lombardi. Il che non era punto
nei patti della concessione. Quinto, perchè tengono sempre in Ravenna,
a spese del Comune, un console, che chiamano Vicedomino, coll'ufficio
di sorvegliare con sollecitudine, con somma diligenza e oculatezza,
che i Ravennati non tramino alcun che in danno dei Veneziani, nè
ordiscano nulla contro l'attuale stato di cose; il che pure non era
fra' patti. E i Veneziani denominarono quel castello Marcamò, volendo
dire il mare chiamò, stante che dal castello si ode il suono delle
onde quando il mare è agitato, e si sollevano i cavalloni. Domandai
al Conte Roglerio di Bagnacavallo se l'avesse fatto fare egli quel
castello; e mi rispose: Fratello, io non l'ho fatto fare, se non nel
senso che l'ho lasciato costruire, essendochè quando si fece, io aveva
tanta autorità in Ravenna da poter impedire che si facesse. Ma per tre
motivi lasciai fare: 1º perchè io aveva per moglie una veneziana; 2º
perchè in quel tempo i miei nemici erano fuori di Ravenna; 3º perchè me
ne veniva vantaggio, pagando i Veneziani ai Ravennati cinquecento lire
annue. D'altronde noi non ne risentiamo danno di sorta, perchè Ravenna
ha tanta abbondanza di vettovaglie, che sarebbe stoltezza volerne
di più. Di fatto una larga scodella piena colma di sale a Ravenna
costa un piccolo denaro; all'osteria si pagano altrettanto dodici
ova cotte e condite; quando è la stagione delle anitre selvatiche, se
voglio, posso comprarne una grassissima per quattro piccoli denari; e
talvolta ho visto che, se taluno s'incaricava di pelarne dieci, gliene
davano cinque di mercede. La stessa soperchiarìa usano i Mantovani a
Governolo[16]. (Una volta era della Contessa Matilde, come era anche
la città di Mantova): perchè quivi non si accetta pedaggio dalle navi,
che passano pel Po, ma le costringono a navigare per dieci miglia sino
a Mantova. E dopo che ivi hanno fatto vedere le merci, scaricandole
e ricaricandole e pagando il pedaggio, li fanno (sic) ritornare al Po
per lo stesso canale naviglio, sendochè altra via non avrebbero aperta,
se non ritornando a Governolo. Per la qual cosa sdegnati i Cremonesi
fecero quella Tagliata, di cui più sopra a suo luogo abbiamo parlato,
discorrendo cioè dell'anno in cui fu fatta, la quale molto giovò
ai Mantovani, e danneggiò i Reggiani, avendo loro distrutto campi,
vigne e ville. Questa Tagliata sino a Primaro[17] impaludò larga zona
di terreni, distrusse e sommerse molte ville, e dove prima si aveva
abbondanza di frumento e di vino, ora si ha copia di pesci di diverse
specie.


a. 1270

L'anno 1270, indizione 13.ª, nel mese d'Aprile, Domenica delle olive,
arrivò a Reggio l'Imperatore di Costantinopoli che era in viaggio per
oltremare; e, il giorno stesso, nel convento dei frati Minori, creò
cavaliere Giacomino di Roteglia[18], che poi pel 1.º di Maggio bandì
una gran corte, per trovarsi alla quale tutti i cavalieri e quasi tutti
i giovani gentiluomini di Reggio vestirono a nuovo, e poi fecero doni
dei loro vestiarii. Lo stesso anno, ai 27 di Giugno, Giovedì, mancò ai
vivi Bonifazio da Foiano, Arciprete della Chiesa maggiore di Reggio,
uomo di lettere e fratello germano di Guglielmo Vescovo di Reggio,
ed era stato anche Arciprete di Campigliola. Morì a S. Salvatore ove
dimorava, e fu sepolto nella Chiesa maggiore. L'anno stesso, in Agosto,
furono smantellati i fortilizi, le castella e le case degli aderenti
al partito di quei di Sesso della diocesi di Reggio, e, nel mese di
Settembre, furono mandati a confino essi e ventiquattro loro amici,
appartenenti anch'eglino alla diocesi di Reggio, con ingiunzione di
stare al di là di Bologna, di Tortona e di Verona. Così, in Settembre
fu anche morto Arverio, fratello di Bonacorso da Palù, con due figli
ed altre persone, da Giacomino da Palù; il quale Giacomino da Palù, a
più riprese, fece strage di molti del suo casato; cioè uccise il padre
di suo genero, Alberto Caro, ed il genero, che aveva nome Zanone, e
il figlio della propria figlia, bambino ancor lattante, battendolo
contro terra, e Arverio, che era suo fratello consanguineo, e un altro
ancora del suo casato. Così, nel millesimo sussegnato 1270, non vi era
nè Papa, nè Imperatore; e il Re di Francia Lodovico il cristianissimo,
non rattenuto dal pensiero delle fatiche e delle spese, che altra volta
aveva fatto oltre mare, di nuovo imprese il viaggio con due figli, il
Re di Navarra, e moltissimi Baroni e Prelati della Chiesa per liberare
Terra Santa. Ma per redimere più agevolmente Terra Santa deliberarono
di assoggettare prima alla potestà dei cristiani il Regno di Tunisi,
che, trovandosi a mezza via, impediva di non poco il viaggio a quelli
che passavano per andar oltre mare. Ma dopo che con un pronto e forte
colpo di mano ebbero occupato il porto e Cartagine, che è presso
Tunisi, nell'esercito de' Cristiani cominciò a infuriare la malattia,
che quell'anno infieriva lungo le coste di quel mare; e mietè, prima,
la vita d'un figlio del Re, poi quella del Legato del Papa, Cardinale
Albanese, in seguito quella del Re stesso cristianissimo, Lodovico,
e di molti Conti e Baroni e semplici soldati. Come poi abbia chiusi
i suoi giorni il Re prenominato.... Nella sua malattia non cessando
mai di lodare Iddio, talvolta alle lodi intercalava questa preghiera:
_Fammi, o Signore, tener in non cale la prospera sorte del mondo, e
non paventare l'avversa_. Pregava anche per il popolo che aveva tratto
seco, dicendo: _Santifica e custodisci, o Signore; il tuo popolo_. E
in sul punto di esalare l'ultimo respiro, alzò gli occhi al cielo e
disse: _Entrerò in casa tua, adorerò nel santo tempio tuo, e confesserò
il tuo nome, o Signore_. Pronunziate queste parole, s'addormentò nel
Signore. E in mezzo al turbamento d'animo dell'esercito dei cristiani,
e alla festa che ne facevano i Saraceni, ecco che con numerose squadre
di milizia arrivò Carlo Re di Sicilia, a sollecitare il quale, vivo
ancora il Re di Francia, era venuto suo fratello; il cui arrivo molta
esultanza suscitò negli animi dei cristiani, e molta trepidazione nei
Saraceni. E quantunque, a quanto appariva, fossero di numero superiori
ai cristiani, pure mancava loro l'ardimento di provocarli a generale
battaglia; ma con loro arti recavano ai cristiani molte molestie;
delle quali questa fu una. Quella regione è molto sabbiosa, e, in
tempo di siccità, sommamente polverosa; laonde i Saraceni appostarono
molte migliaia d'uomini sopra un monte vicino ai cristiani, e quando
soffiava il vento nella direzione dei cristiani, smovevano la sabbia,
e se ne sollevavano nubi e nembi d'un polverìo, che era molestissimo
ai cristiani. Ma finalmente, per pioggia caduta, cessò la polvere, e
i cristiani, appostate le macchine e tutti gli argomenti guerreschi,
s'apparecchiavano ad oppugnare Tunisi da mare e da terra; il che
incutendo timore ai Saraceni, vennero a patti coi cristiani. Tra i
quali patti è fama che i principali fossero i seguenti: che tutti i
cristiani prigionieri in quel Regno si lasciassero in libertà; che
nei monasteri fabbricati nelle città di quel Regno ad onore del nome
di Cristo, si potesse liberamente predicare il Vangelo dai frati
Minori e Predicatori, od altri che fossero; che liberamente si potesse
battezzare chi il desiderasse; che, pagate le spese della crociata al
Re, la Tunisia fosse tributaria al Re di Sicilia. E molti altri patti
furono convenuti, che quì sarebbe troppo lungo annoverare. E mentre per
l'arrivo di Odoardo Re d'Inghilterra, in compagnia di una moltitudine
di Frisoni ed altri pellegrini, era cresciuto di tanto il numero dei
combattenti cristiani, che si giudicava arrivassero a 200000, e si
sperava che bastassero non solo a redimere Terra Santa, ma anche a
soggiogare tutti i Saraceni, sì numeroso esercito, per le peccata de'
cristiani, si disperse senza aver apportato alcun notevole vantaggio.
Perocchè il Legato, che avrebbe dovuto dirigerli, fu rapito da morte;
Terra Santa, a cui doveano avviarsi, mancava del governatore dei
pellegrini; il Patriarca, che fu delegato per Terra Santa, era morto;
la Sede Apostolica che a tutti doveva sopravvedere e provvedere, era
vacante; e il Re di Navarra, che era partito malato dall'Africa, giunto
in Sicilia, soccombette alla sua malattia.


a. 1271

L'anno del Signore 1271, indizione 14.ª, l'ultimo di Marzo, arrivò di
passaggio a Reggio, Filippo Re di Francia con suo fratello e col suo
esercito, ed ebbe ospitalità nel palazzo di Guglielmo da Fogliano,
che allora era Vescovo di Reggio. Il qual Re andava in Francia colla
salma di suo padre Lodovico Re di Francia, che trasportava dall'Africa,
dove era morto a Cartagine presso Tunisi. E lo trasportava in un'urna
chiusovi con aromi; ed in un'altra urna portava la salma di Tristano
suo fratello e figlio del Re predetto, che era morto parimente a
Cartagine con molti altri Baroni, che s'eran mossi per redimere oltre
mare la Terra Santa. E dopo otto giorni passò pure da Reggio il Conte
di Fiandra colla sua gente e la sua milizia. In quell'anno fu enorme
carestia di biade; tanto che in Maggio e Giugno lo staio di fava si
vendeva sei soldi imperiali; lo staio di melica, tre, quattro soldi
imperiali; lo staio di spelta costava due soldi e mezzo imperiali
sul pubblico mercato, e in contratti privati dieci soldi reggiani;
lo staio del frumento si pagava venti soldi imperiali in pubblico;
ed in privato, otto soldi imperiali. E lo stesso anno i Cremonesi
andarono a oste contro il castello di Malgrate[19], e vi stettero fino
a tanto che lo ebbero a patti, e lo diroccarono e rasero al suolo. Lo
stesso anno fu anche devastato il territorio di Crema sino alle fossa
della città, in Giugno, dai Milanesi. Ed era allora Podestà di Milano
Roberto da Tripoli, cittadino Reggiano, dei Roberti. In quell'anno fu
costituita in Bologna una compagnia, che si chiamava della giustizia;
ed era numerosa assai e composta dei migliori popolani di quella
città; e mandò ottocento dei suoi armati ai confini del territorio
Bolognese per la sicurezza della città. Nello stesso anno, Deto dei
Cancellieri di Pistoia fu sei mesi Podestà di Reggio, da San Pietro
al 1º. di Gennaio; e il detto Podestà andò ad assediare il castello
di Corvara, ai 22 di Luglio, con fanteria e cavalleria del quartiere
di Castello e di S. Nazzaro. Vi concorse anche un quartiere della
città di Parma. E il Comune di Reggio mandò tre trabucchi, e tre quei
di Parma. Il Comune di Mantova, in aiuto del Comune di Reggio, pel
detto assedio, inviò venticinque balestrieri; quel di Castiglione di
Toscana anch'esso mandò a servigio del Comune di Reggio un manipolo
di balestrieri. E vi stettero a oste i detti quartieri di Castello e
di S. Nazzaro diciasette giorni; poi vi andarono i fanti ed i cavalli
del quartiere di S. Pietro e di S. Lorenzo per ventitrè giorni. Poscia
vi ritornarono quelli del quartiere di Castello e di S. Nazzaro per
undici giorni; ed ebbero, per capitolazione, tanto il castello che la
Terra di Corvara; e il castello lo atterrarono, la Terra la devastarono
a volontà del Comune di Reggio; e quelli che erano dentro il castello
ebbero affidamento per le persone e le robe loro; e stettero ai bandi e
alle condanne del Comune di Reggio, che s'impossessò del castello ai 19
Settembre, giorno di Sabato. E Giacomino da Palù, per la restituzione
di quella Terra, toccò quattrocento lire imperiali. Nell'Agosto di
quell'anno i Bolognesi corsero a oste sulla diocesi di Modena, e
cinsero di assedio Savignano[20] e Montombraro[21]; stantechè fra i
Comuni di Bologna e di Modena vi era una convenzione, per la quale
i Modenesi non potevano avere alcun castello alla destra del Panaro,
e perciò i Bolognesi distrussero que' due castelli.... E, per questi
sei mesi, si pagò lo staio del frumento otto soldi imperiali e più; lo
staio di spelta, otto _grossi_; una libbra grossa di carne di maiale,
14, 15, 16, 17, 18 imperiali; una libbra grossa d'olio d'ulivo, due
soldi imperiali; quattordici fichi secchi, un _reggiano_; dodici o
tredici mandorle, un _reggiano_; uno staio di farro, 12 o 13 _grossi_.
Ed ogni altra sorta di vettovaglie fu quell'anno scarsissima. Ed in
quest'anno, allorchè si trasportava in Francia la salma di S. Lodovico
Re di Francia, per intercessione di lui, che è come dire per amore
di lui, operò Iddio molti miracoli.... Nella città di Reggio, quando
eravi di passaggio il corpo di S. Lodovico, Giacomo degli Alucii alzò
preghiere a Dio, acciocchè per amore del Santo lo esaudisse; e il
Signore rese miracoloso il suo Santo, il quale sanò per miracolo una
gamba a Giacomo degli Alucii. A Parma, che è la mia città, quella cioè
di cui sono nativo, guarì una fanciulla di un cancro, che aveva in un
braccio. E, nel 1274, maestro Rolando Taverna Parmigiano, Vescovo di
Spoleto, cui Papa Martino IV mandò in Francia a raccogliere e scrivere
i miracoli di S. Lodovico Re di Francia, perchè lo voleva canonizzare
e inscrivere nell'Albo dei Santi, reduce dalla Francia, dove era
andato per la preaccennata commissione, disse a me in Reggio, dove io
allora abitava, che aveva raccolti e notati settantaquattro miracoli,
diligentemente provati con testimonianze attendibili ed autorevoli.


a. 1272

L'anno 1272, indizione 15ª, fu creato Papa Gregorio X, che prima si
chiamava Tedaldo Visconti di Piacenza. E per discordia de' Cardinali
la cristianità era stata senza Papa tre anni, nove mesi e ventun
giorni. E lo stesso anno, ai 14 di Marzo, lunedì, morì Enzo figlio
del fu Federico Imperatore, che era nelle carceri di Bologna; ed ebbe
sepoltura nel convento de' frati Predicatori; e il Comune di Bologna
lo fece imbalsamare, e tutta la città gli rese solenni onori funebri
alla sepoltura. Considera ora le opere di Dio. Questo Re Enzo fu
figlio illeggittimo dell'Imperatore Federico; eppure ebbe tanti onori
in morte sulla sua tomba. Chè per lui fu un onore morire ed esser
sepolto in Bologna; essere dai Bolognesi stato fatto imbalsamare;
essere ricevuto nel convento loro dai frati Predicatori, ed ivi essere
messo a dormire l'eterno sonno con S. Domenico. Mentre Corrado, figlio
legittimo dello stesso Imperatore, mancò di questi onori non solo, ma
quando si trasportava a Palermo, ove sono le tombe dei Redi Sicilia,
dai Messinesi ne furono gettate le ossa nel mar di Messina, e buttato
pasto ai pesci....... perchè aveva fatto danno e sfregio ai Messinesi,
come aveva fatto il padre di lui.... Nel medesimo anno, nel suddetto
mese di Marzo, morì il Cardinale Ottaviano; e i frati Minori di Reggio
comprarono alcune case presso al loro convento, e il Comune incaricò
periti stimatori, che calcolassero il valore di prezzo di quelle case
da comprarsi in buona fede, e il Consiglio tutto concordò. E così
ampliarono il loro convento e aprirono una strada nuova che s'allineava
direttamente colla casa di Arduino de' Tacoli, che va alla chiesa di
S. Giacomo, dove abitano i frati dell'Ordine di Pietro peccatore di
S. Maria in Porto di Ravenna; del qual Ordine è Santa Fenicola di
Parma. E nello stesso anno, in Aprile, i Bolognesi co' loro amici
s'accordarono e tennero un Consiglio generale, ed un Consiglio de'
popolani, ed arringarono e statuirono di voler andare a oste col loro
carroccio sulla diocesi di Modena, per torre al Comune e alla città
di Modena tutta quella parte di diocesi che avevano alla destra del
Panaro. Ed i Bolognesi fecero incidere a lettere su d'una pietra, che
il Comune di Bologna era deliberato di andare a quella impresa. E la
pietra fu murata nel palazzo del Comune di Bologna, sicchè il Podestà e
il Capitano del popolo di Bologna, quando erano in palazzo, la avevano
sott'occhi ogni giorno. E i Bolognesi quotidianamente premevano il
detto Podestà e Capitano ad armare a tal fine l'esercito, avendo il
Comune deliberato in proposito, e avendo il Podestà e il Capitano
giurato di eseguire la deliberazione. Inoltre i Bolognesi inviarono ai
Parmigiani alcuni loro ambasciatori, i quali nel palazzo del Comune di
Parma perorarono domandando e pregando da parte dei loro concittadini,
che ai Parmigiani piacesse di non immischiarsi nelle vertenze del
territorio Modenese posto tra la Secchia e Bologna; come essi non
s'intrometterebbero in quanto accadesse tra la Secchia e Parma; che era
quanto dire: Prendetevi la signoria della città e diocesi di Reggio
sino alla Secchia, che noi faremo altrettanto della città e diocesi
di Modena sino alla Secchia stessa. E fu risposto che non era uso
de' Parmigiani far danno ai loro vicini quando non avevano colpa. E
li rimandarono inesauditi, nè vollero prestare il loro assenso alle
proposte de' Bolognesi, e mantennero sino ad oggi pace e amicizia co'
loro vicini Reggiani e Modenesi. Nè la città e Comune di Modena volle
cedere ai Bolognesi quella parte di diocesi e territorio, che era sulla
destra del Panaro, anzi cercarono di aiuto i loro amici per difendersi
contro i Bolognesi. E in aiuto dei Modenesi accorsero da Cremona
cento cavalieri con tre cavalli ciascuno, da Parma due mila uomini
di fanteria e mille di cavalleria. Accorse pure il Marchese d'Este da
Ferrara, e dalla città di Reggio molta cavalleria, oltre i maggiorenti
e più potenti e più nobili della città, non a spese del Comune, ma per
conto ed onore proprio. E i Bolognesi trassero fuori e condussero nella
piazza del Comune di Bologna il loro carroccio; ma quando giunse il
momento pe' Bolognesi di formare il loro esercito, la fazione di quelli
dei Geremei di Bologna non volle prendere l'armi contro i Modenesi,
e stavano anzi pronti ed in armi alle loro case; e se gli altri
Bolognesi si fossero mossi contro i Modenesi, la fazione di quei de'
Geremei aveva progetti e accordi di far entrare in Bologna il Marchese
d'Este con tutta sua gente, e i Parmigiani, i Cremonesi, i Reggiani
e i Modenesi, che erano in Modena, e molti Toscani e Romagnoli, ed
espellere da Bologna tutti quelli del partito de' Lambertazzi. Quindi
i Bolognesi si ristettero dall'andare sopra Modena. Lo stesso anno,
all'ultimo di Maggio, uscì di vita Gerardo da Tripoli, e fu sepolto il
1º di Giugno, mercoledì, vigilia dell'Ascensione, nel monastero di S.
Prospero di Reggio. E durante la Podesteria del predetto Podestà, cioè
Triverio dei Rustici, cittadino di Gubbio[22], si ebbe gran carestia
d'ogni sorta di vettovaglie, tale che uno staio di frumento costava 8,
9, 10 soldi imperiali; uno staio di spelta si vendeva quattro soldi
imperiali, e 13 e 14 _grossi_; uno staio di melica 12, 13, 15, 16
_grossi_; uno staio di fava 15, 18, 20 _grossi_; uno di ceci 8, 9 soldi
imperiali; una libbra grossa di carne di maiale 18, 20, 22 imperiali;
una libbra d'olio d'ulivo, 22 soldi imperiali; e un peso di cacio 8, 9
soldi imperiali; uno staio di fagiuoli, 20 grossi, e 7 soldi imperiali.
E d'ogni altra specie di _vettovaglie_, per tutto il detto tempo, vi fu
massima penuria; e durò due anni. Nello stesso millesimo, in Luglio,
Guglielmo Luigini fu nominato Abbate del monastero di S. Prospero
di Reggio, confermato dal Legato, che era a Piacenza, ed insediato
nell'ufficio ai 13 di Luglio, mercoledì. E per quel giorno il detto
Abbate fece imbandire un sontuoso banchetto, a cui furono invitati
i Chierici, i Religiosi e i migliori cittadini di Reggio. E nel 30
Luglio, sabato, morì Bonifazio di Canossa, e fu sepolto in S. Leonardo
della città di Reggio. Ai venti di Maggio dello stesso anno, arrivò a
Reggio Odoardo Re d'Inghilterra, che era di ritorno colla moglie da'
paesi d'oltremare, e fu ospitato nel palazzo del Vescovo; e, il giorno
appresso, si rimise in viaggio alla volta del suo paese. Lo stesso anno
cominciò la fabbrica del palazzo nuovo del Comune di Reggio, sul trivio
di quei di Sesso e di altre casamenta, che erano di Ugo Speciale,
e d'altre casamenta ancora prospettanti sullo stesso trivio; e morì
nell'anno stesso Guido Gaio de' Roberti, che fu sepolto nella chiesa
dei frati Minori.


a. 1273

L'anno 1273, indizione 1ª, il dì 27 Settembre, cioè nella festa
dei SS.i Cosma e Damiano, giunse a Reggio Papa Gregorio X co' suoi
Cardinali, e ricevette ospitalità nel monastero di S. Prospero; e, il
giorno seguente, mosse per Parma, affrettato dal bisogno di andare a
Lione per tenervi Concilio. Questo Gregorio, di santissima religione,
era compassionevole dei poveri, largo e benigno sopra ogni altro
uomo, molto misericordioso e mansueto. Egli, quando era Arcidiacono di
Liegi, e, per divozione, era in viaggio per oltremare, trovandosi di
alloggio nel palazzo di Viterbo, fu dai Cardinali proclamato Papa. Egli
fece una nomina di Cardinali lodatissima, per avere eletto personaggi
insigni e valenti. Al terz'anno del suo pontificato, per aiuto di
Terra Santa, cui voleva visitare in persona, celebrò uno straordinario
Concilio a Lione, che si aperse il 1º di Maggio; al quale intervennero
anche ambasciatori straordinari dei Greci e dei Tartari. Dei Greci,
che promettevano di ritornare all'unità della Chiesa, e a provarlo
confessarono che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figliuolo,
e cantarono solennemente il Simbolo in seno al Concilio. Dei Tartari,
che battezzati nel corso del Concilio, ritornarono al loro paese. Il
numero de' Prelati presenti al Concilio fu di 500 Vescovi, 60 Abbati,
e circa 1000 altri Prelati. Questo Papa nel Concilio diede molte ed
utili disposizioni relative ai soccorsi per Terra Santa, alla elezione
de' Sommi Pontefici, e allo stato della Chiesa universale. Durante
il Concilio, gli elettori degli Imperatori elessero il Conte Rodolfo
di Lamagna Imperatore dei Romani. Allora Rodolfo Re dei Romani e Re
dei Franchi insieme a molti Baroni presero la croce per andare in
soccorso di Terra Santa. Questo Papa aveva una rara esperienza delle
cose secolari; nè studiava a guadagni, ma a soccorrere i poveri. Morì
e fu sepolto ad Arezzo. Cominciò l'anno 1272, e, dal giorno della sua
elezione, tenne la Sede Apostolica quattro anni e dieci giorni; ed il
papato restò vacante dieci giorni.


a. 1274

L'anno 1274, indizione 2.ª, fu celebrato a Lione da Gregorio X un
Concilio generale nel quale soppresse l'Ordine dei Saccati, e la
congregazione, o piuttosto la dispersione di quei villani e ribaldi,
che si dicono e non sono apostoli, ma sono anzi una sinagoga di
Satana, e l'avanguardia dell'Anticristo, del quale Ordine fu fondatore
Gherardino Segalello in Parma, che in mille modi folleggiò, come
ricordo d'aver già detto e veduto, e fece folleggiare tanti altri; ma
si avverò in lui ciò che Davide già da tempo lontano aveva predetto nel
salmo 57º: _Al nulla si ridurranno, come acqua che scorre: tende il suo
arco sino a che siano annientati_. Quest'arco teso fu Papa Gregorio
X, che nel Concilio generale di Lione soppresse quelle Religioni di
mendicanti, che di recente erano state istituite, cioè quella dei
Saccati, e di quei ribaldi che chiamavano sè stessi apostoli, volendo
egli dare esecuzione alla Decretale di Innocenzo III, fatta in Concilio
generale, che dice: Acciochè la troppa diversità delle Religioni non
induca grave confusione nella Chiesa di Dio, abbiamo assolutamente
proibito che nessuno istituisca una Religione nuova; e chiunque
voglia darsi ad una Religione, si volga ad una di quelle, che sono
già approvate. Nel millesimo preindicato, la città di Bologna fu in
preda ad un grave conflitto intestino, e in parte fu messa a fuoco.
E il partito imperiale di detta città, quello cioè dei Lambertazzi,
fu spogliato e scacciato nella festa di S. Giovanni Battista. Nel
qual anno, un sabato, 2 Giugno, sul mattino, i Bolognesi partigiani
dell'Impero, per timore che arrivassero rinforzi a quelli del partito
della Chiesa contro gli imperiali stessi, senza violenza e senza colpo
ferire se la svignarono da Bologna, e si ricoverarono a Faenza. La
quale, nell'anno stesso, dai Bolognesi, che erano ancora in Bologna,
cioè da quelli di parte della Chiesa, fu stretta d'assedio, e ad
aiutarli concorse anche una certa quantità di pedoni, cavalieri e
balestrieri di Modena, Reggio, Parma e Cremona, e fu tutt'all'intorno
devastata e distrutta. Le quali cose, io, che allora abitava a Faenza,
ho vedute e riconosciute.


a. 1275

L'anno 1275, indizione 3ª, ai 24 del mese d'Aprile, la cavalleria di
Bologna con Nicoluzzo da Balugano di Jesi, Podestà di Bologna, e con
Malatesta di Vircolo, cittadino di Rimini, Capitano del popolo di
Bologna, fecero una cavalcata contro i Faentini e contro i Bolognesi
fuorusciti, che erano a Faenza. E giunti alla porta della città di
Faenza, i Faentini e i Bolognesi fuorusciti fecero una cavalcata vicino
ad alcuni castelli occupati dai Bolognesi; e ritornando a Faenza si
trovarono di fronte alla cavalleria di Bologna, e, sovrastando in
pericolo, coraggiosamente li assalirono, e, quando piacque a Dio,
la milizia di Bologna fu messa in piena rotta e fuga, e parte ne
furon morti, parte prigioni, parte mortalmente feriti. Questo scontro
avvenne vicino al ponte di S. Procolo, che dista da Faenza due o tre
brevi miglia. L'anno stesso, ai tredici Giugno, giovedì, i Bolognesi,
invocato l'aiuto de' Lombardi, formarono un esercito contro i Faentini
e i Forlivesi per annientarli. E, in aiuto dei Bolognesi di parte della
Chiesa, accorse una certa quantità di cavalleria e di balestrieri di
Ferrara, e Modenesi, e Reggiani, e Parmigiani, e si accamparono al
ponte di S. Procolo ne' pressi di Faenza, a distanza di due, come è
detto più sopra, o al più tre brevi miglia. Nel quale esercito vi era
un'infinita quantità di fanti e di cavalli. E avendo essi un giorno,
per devastare l'agro Faentino, passato il ponte, Guido Conte di
Montefeltro, Capitano di guerra de' Faentini e Forlivesi e Bolognesi
fuorusciti, mandò dicendo al Malatesta, capitano de' Bolognesi, che
voleva battaglia. Nè questi la rifiutò. Quindi immediatamente il Conte
Guido uscì di Faenza con tutta la sua gente, e designò le schiere,
che dovevano battersi; e il Malatesta designò le sue. Fatta dall'uno
e dall'altro Capitano la designazione delle proprie squadre, il
Conte Guido urtò poderosamente contro i Bolognesi, e debellandoli,
inseguendoli, uccidendo e facendo prigionieri, li ridusse al nulla.
Poscia, disperse, malconciate, passate a fil di spada le milizie, il
Conte Guido si volse contro la caterva de' popolani, che erano oltre
quattromila, e stavano ancora compatti nell'accampamento a guardia del
vessillo e del carroccio, e senza colpo ferire si arresero prigionieri
del Conte, il quale, a trionfo della vittoria, li trasse entro Faenza
e chiuse in carcere. E così i Faentini corsero sul luogo, nel quale
l'esercito era stato a campo, e vi trovarono e presero intatte tutte
le vettovaglie, i padiglioni, le tende, i carri ed ogni sorta di
salmerie occorrenti ad un esercito. E in quel combattimento perirono
molti cavalieri nobili e potenti, cioè Nicolò de' Bazalerii, Arriguccio
de' Galluzzi di Bologna, e tra fanti e cavalieri Bolognesi ben 3325.
Così pure di Reggio fu morto Giovanni Rossello de' Roberti, allora
Capitano della cavalleria Reggiana, e Princivallo di Minozzo, e Guido
Briga figlio del fu Bernardo di Corrado; i quali furono trasportati a
Reggio ciascuno in una sua arca; e i primi due, cioè Giovanni Rossello
e Princivallo, furono sepolti in due tombe separate nel convento dei
frati Predicatori, dopo essere stati esposti su due distinti feretri
nella chiesa di S. Barnaba fuori Porta S. Pietro. E tutta la città
uscì fuori ad incontrarli, e fu un sabato, 15 Giugno. Guido Briga,
poi arrivò in un'arca più giorni dopo, e fu sepolto alla chiesa de'
frati Minori. Fu morto anche Nicolò del fu Filippo Vescovo, che era
giudice col Podestà di Bologna in quell'esercito; ma sul campo non
fu possibile rinvenirne il cadavere. Questa vittoria dei Faentini, e
strage dei Bolognesi, accadde nel giorno di S. Antonio dell'Ordine de'
Minori; e perciò i Bolognesi non vogliono nemmeno udirlo più nominare
in Bologna. Anche l'anno avanti, i Bolognesi stanchi dell'assedio
di Faenza, la vigilia di S. Francesco l'abbandonarono; e così per
S. Francesco evitarono mali, per S. Antonio hanno acquistato beni
(_sic_). L'anno stesso 1275 cominciò per la fiera di S. Maurizio a
piovere dirottamente, e prima di Natale si rovesciò dal cielo per più
giorni tale diluvio d'acque, che portò vaste innondazioni, a i fiumi
traboccarono ed uscirono dai loro alvei spandendosi per la diocesi
di Reggio; e tutto l'inverno fu piovoso. E, in quell'anno e nel
successivo, s'ebbero in pianura piogge e diluvii, e, ai monti, nevi
oltre misura copiose; e in alcuni punti di montagna furono alte sin
cinque braccia, e in altri sino a sei braccia; e tanta neve durò più
mesi nell'anno predetto e nel seguente. Vi fu anche ai monti grande
morìa di maiali e d'altro bestiame, per mancanza di nutrizione. Non
avevano nulla da somministrar loro a pasto, e cuocevano fieno e lo
trituravano per pascere i maiali. In quell'anno, ai 5 di Dicembre,
festa di S. Nicolò, giunse a Reggio, reduce da Lione, Gregorio X con
sua Corte e suoi Cardinali, e fu ospitato nel palazzo del Vescovo di
Reggio. Il giorno dopo partì per Roma; ma poi ad Arezzo infermò, e vi
stette molti giorni infermo.


a. 1276

L'anno 1276, indizione 4ª, ai 10 di Gennaio, festa di S. Paolo, primo
eremita, Papa Gregorio X morì ad Arezzo, città della Toscana. Questo
Papa fu molto zelante delle cose divine, e molto aveva in animo di
fare; ma la morte prematura gli tolse di mandare a compimento i suoi
progetti. Egli depose un Vescovo, che aveva domandato licenza di non
intervenire al Concilio, perchè sospettò che volesse rimanere a casa
per avarizia, cioè per risparmiare le spese...... Così pure biasimò
e vituperò frate Pietro dei Fulconi di Reggio, e lo allontanò da sè,
mentre prima dimorava seco a Corte, perchè accumulava tesori. Tolse il
cappello rosso al Cardinale Riccardo, perchè parve che avesse conferita
una prebenda con simonia. E, fin prima che fosse Papa, furono composti
alcuni versi, ch'egli poi credeva che alludessero a sè, e che per sè
fossero stati profeticamente scritti, ne' quali è detto:

    Sanctus parebit, et Christi scita tenebit.
    Angelicae vitae; vobis pavor, o Giezitae[23].

    D'angelico costume un santo austero
      Verrà del Cristo a custodire il Vero.

    Vi corra un gelo al cor, tremate, audaci
      Di Simon mago miseri seguaci.

Ma riportiamo per ordine tutti i versi, giacchè questo Papa li
riferiva a sè stesso. Questi sono alcuni versi, che furono destinati
ad alcuni Cardinali, e anche ad un certo Capitolo provinciale dei frati
Predicatori, parecchi mesi prima che Papa Gregorio X fosse eletto, come
un sacerdote del detto Ordine, frate degno di fede, disse a me, e mi
diede i versi. Ed io, quasi tre mesi prima della elezione di Gregorio
X, vidi que' versi nel loro testo originale:

    Quarto Clementi, dum tertius annus agetur
    Papa sacer genti justorum substituetur,
    Ac domo Christi succedet sanctior isti,
    Patris de coelis servus bonus, atque fidelis.
    Huic salvandarum zelus vehemens animarum
    Et quod honoretur Deus a cunctis et ametur.
    Currus et auriga Christi populis erit iste;
    Nam sua non quaeret, sed quae tua sunt,
                              bone Christe.
    Gazas terrenas spernet, discrimine plenas,
    Conformis Christo, mundo dum vivet in isto.
    Hunc Deus ornabit, et mire clarificabit,
    Sanctificabit, magnificabit, glorificabit,
    Mundum pacabit, et Ierusalem renovabit.
    Fructus terra dabit, Deus orbem laetificabit
    Sed prius horribile quiddam parebit in yle
                              (Idest): in mundo.
    Clementi alius sacer succedet et almus,
    Cui procuratrix Theotocon ejus amatrix,
    Et defensatrix, semperque benigna educatrix.
    En circa mille bis centum septuaginta
    Tetraque: tunc ille velut annorum quadraginta,
    Sanctus parebit, et Christi scita tenebit,
    Angelicae vitae; vobis pavor, o Giezitae.
    Christe, tuum pulcrum tunc nobis, sancte, sepulcrum
    Reddes subiectis, Agarenis inde reiectis.
    Nunc male captivi, tunc convertentur Achivi.
    Cardinibus multam, pones, altissime, mulctam.
    Tres Deus orantes, quam saepius et vigilantes,
    Quod sic praestetur, clare docuisse videtur.

    Dopo Clemente volgerà 'l terz'anno,
      E di Clemente quarto avrà lo scanno
    Pastor novel di sacro spiro ardente,
      Voto e desio della cristiana gente.
    Alma che vien dal ciel d'amore accesa,
      Niun più santo di lui vedrà la Chiesa.
    Dell'uom la perfezion, di Dio la gloria
      Saran sua cura sol, virtude e storia.
    Cocchio e cocchier del popolo di Cristo,
      Brama al regno di Lui sol fare acquisto.
    L'oro disprezza, che a virtù fa guerra;
      Tesoreggia pel ciel sopra la terra.
    In lui magnificenza, in lui splendore
      Iddio raduna, e ne fa santo il cuore.
    Per lui fia pura dell'altar la face;
      Lieto il mondo per lui composto in pace.
    Colmo di frutti avrà la terra il seno,
      Colmo di gioie il cor, lieto, sereno.
    Ma prima il sol vedrà prodigio strano
      Che di Clemente il successor sovrano.
    Cui la Madre di Dio, Vergine pura,
      Guida darà, difesa, amore e cura.
    Ecco il dugensettantaquattro arriva
      Aggiunto al mille; e sapïenza viva
    D'angelico costume, un santo austero
      Verrà del Cristo a custodire il Vero.
    Vi corra un gelo al cor, tremate, audaci
      Di Simon mago miseri seguaci.
    Il gran Sepolcro a liberar di Cristo
      Ei viene, e vola al glorïoso acquisto.
    E, lo schiavo d'error e di sofisma
      Acheo converso, sparirà lo scisma.
    Guizzanti strideran le tue saette
      Sui Porporati, altissime vendette.
    Par che squarciasse del futuro il velo
      A preghi e veglie di tre santi il cielo.

E questa scrittura noi la vediamo letteralmente verificata. A Papa
Clemente IV succedette Gregorio X; e fu buon uomo, giusto, retto e
timorato di Dio; e prima che a Clemente succedesse un altro Papa
apparve al mondo un'_orribile cosa_; e fu che i cristiani, per
discordia tra' Cardinali, stettero senza Papa tre anni, nove mesi e
ventun giorni; e perciò restavano stupefatti di tanto lunga vacanza
della Sede Apostolica. Laonde Gregorio X appena fatto Papa, fissò norme
opportune per l'elezione del Sommo Pontefice. Il detto poi ne' versi:

    En circa mille biscentum septuaginta
    Tetraque, tunc ille velut annorum quadraginta

è chiaro e facilissimo a intendersi, perchè si verificò alla lettera.
Nel 1274 celebrò un Concilio generale a Lione, in cui si mostrò
veramente santo, perchè stabilì ottime regole da osservarsi; e credeva
fermamente di attenersi agli insegnamenti di Cristo, se fosse vissuto;
ma per la malizia altrui, fu dalla morte tolto di mezzo, come Giosia Re
di Giuda, quando appunto era più necessario....... Quel che segue poi
negli altri versi

    Angelicae vitae; pavor vobis, o Giezitae

s'è già detto come perseguitò vivamente i simoniaci. Quel che vien dopo:

    Christe, tuum pulcrum, tunc nobis, sancte, sepulcrum
    Reddes subiectis, Agarenis inde reiectis.

si può spiegare adempiuto in questo modo: Egli visitò una volta
personalmente Terra Santa, e s'era proposto di visitarla di nuovo per
redimere il Santo Sepolcro. Ma contro la volontà di Dio nulla si può.
Ond'è che il Signore disse Luca 21.º: _E Gerusalemme sarà calpestata
dai Gentili, finchè i tempi dei Gentili siano compiuti_. Ond'è che è
detto, Apocalisse 11.º: _Ed essi calcheranno la Città Santa lo spazio
di quarantadue mesi_. L'Abbate Gioachimo intese questo numero così:
quarantadue mesi sono le quarantadue generazioni, che pone Mattia,
chè tali si dichiararono nel nuovo testamento, perchè secondo S.
Luca III: _E Gesù Cristo cominciava ad esser come di trent'anni_,
quando fu batezzato da Giovanni. Poni dunque quarantadue generazioni
da Cristo sino ai giorni nostri, assegnando trent'anni a ciascuna
generazione, e si completeranno in 1260 anni, (tempo in cui cominciò la
divozione dei flagellanti). Il qual numero è designato in più luoghi,
come nell'apocalisse 11.º: _Ed io darò a' miei due testimonii di
profetizzare: e profetizzeranno 1260 giorni, vestiti di sacchi_. E più
innanzi Apocalisse 12.º: _E la donna fuggì nel deserto, dove ha luogo
apparecchiato da Dio, acciocchè sia quivi nudrita 1260 giorni_. E tanto
qui che più su, pel giorno si intende l'anno....... Quindi non appare
essere volere di Dio, che il Sepolcro di Cristo, una volta glorioso,
sia ora liberato. Ma se fosse dipeso dalla volontà di Gregorio X
sarebbe stato liberato, se la morte non gli avesse tronca l'impresa in
mano, stantechè a questo fine andò oltremare, rinnovò l'Impero, celebrò
il Concilio...... Io credo in vero (non so se m'inganni) che per queste
due cose che il Papa tentò di fare, Iddio lo togliesse di mezzo, non
volendo che sorga più alcun Imperatore dopo Federico II, di cui è detto
ancora: _In lui sarà finito l'Impero, perchè sebbene sia per avere
successori, dalla suprema Sede Romana non ne avranno il titolo_. Non
pare poi che sia volere di Dio che il Santo Sepolcro sia liberato,
perchè molti che hanno voluto provarvisi, hanno provato invano. E
perciò a questo riguardo la Chiesa può esclamare con Isaia 49.º: _Io mi
sono affaticato a vuoto: invano, ed indarno ho consumato la mia forza;
ma pur certo la mia ragione è appo il Signore, e l'opera mia appo
l'Iddio mio_. Quanto segue poi in quei versi.

    Nunc male captivi, tunc convertentur Achivi.

cioè i Greci; così si può spiegare. I Greci intervennero al Concilio
di Lione celebrato da Gregorio X e promisero di ritornare all'unità
della Chiesa romana....... Riguardo poi alla conversione de' Greci
e de' Giudei ecc, leggi nel libro dell'Abbate Gioachimo, chè la sua
esposizione è bellissima, piacevole, e piena di verità......

L'anno del Signore 1276, indizione 4.ª, ai 21 di Gennaio festa di
S Agnese, fu eletto Papa frate Pietro dell'Ordine dei Predicatori,
Borgognone, della città di Tarantasia, il quale essendo Arcivescovo
di Lione, fu fatto Cardinale da Papa Gregorio X, che fregiò del
cappello stesso anche frate Bonaventura Ministro Generale dell'Ordine
de' Minori, maestro Pietro Spagnuolo, e due altri. Del collegio de'
Cardinali dunque era stato il primo, e fu chiamato Innocenzo V, che
morì l'anno stesso, in cui fu fatto Papa, cioè ai 22 di Giugno. E
l'anno stesso, un martedì, sul finir di Giugno, vigilia di S. Giovanni
Battista, si rovesciò un diluvio strabocchevole d'acque; tantochè
il Crostolo gonfiò in modo che, da Rivalta[24] sino a Bagnolo[25],
tutto il territorio era allagato, e molte persone perirono annegate;
e le biade furono travolte da luogo a luogo, e ruinarono i ponti dei
torrenti, le case furono rese crollanti, o atterrate dall'inondazione,
le biade sommerse, le ghiaie che erano sulle strade trasportate su'
campi o ne' fossati, sicchè diluvio tale non fu mai più veduto, nè
i vecchi ricordavano che mai l'eguale in antico fosse avvenuto. E il
Crostolo gonfiò e si espanse talmente presso il borgo di S. Stefano
e d'Ognissanti fuori porta, che la corrente delle acque invase la
strada d'Ognissanti in Reggio, e dell'acqua che veniva dal Crostolo ne
furon piene le case dell'una parte e dell'altra del borgo predetto, e
tutta la strada era coperta di detta acqua, sicchè una barca poteva
navigarvi. Anche tutto l'Ospedale di Santa Caterina ne era pieno e
l'Ospedale di S. Geminiano parimente, e la strada pareva un canale
naviglio; e il detto Ospedale di S. Geminiano ne riportò gravi danni in
biade ed altre cose, asportate dall'inondazione. Anche la strada della
Modolena[26] pareva un canale naviglio; e le acque della Modolena[27]
si congiunsero con quelle del Crostolo; e que' torrenti scorrevano per
case e per campi, che pareva un mare. Anche molto bestiame annegò, cioè
tutte le pecore dell'Ospedale di S. Pietro in Vincoli di Modolena, e
molti altri animali. Nè udita fu mai nè veduta altrettale inondazione,
nè i vecchi ne avevano memoria. E tanto diluvio si scatenò per tutto
il mondo, e le pioggie durarono tutta la state e l'autunno, sicchè non
si potè seminare; e nella Villa di Crostolo[28], presso Masenzatico, le
case s'empirono d'acqua del fiume; e la pioggia persistette quattordici
mesi. Lo stesso anno morì Papa Innocenzo V, ai 22 di Giugno, e fu
eletto, agli 11 di Luglio, Ottobono Fieschi, nipote di Papa Innocenzo
IV, e si chiamò Adriano V, che morì il mese dopo, ai 17 d'Agosto, e fu
sepolto nella chiesa de' frati Minori a Viterbo; e, nel successivo 17
Settembre, fu eletto Papa maestro Pietro Spagnuolo, che assunse il nome
di Giovanni XXI, e restò in sede otto mesi e un giorno. E nello stesso
anno si ebbero pioggie dirotte e diluvii, sicchè i campagnoli non
poterono seminare; cosa non mai più udita dai vecchi.


a. 1277

L'anno 1277, indizione 5.ª, ai 21 di Gennaio, giorno di Santa Agnese,
giovedì, Napoleone cittadino Milanese, Anziano perpetuo del popolo
della città di Milano, fu ignomininsamente rimosso da quell'anzianato,
fatto prigioniero con sei o sette di casa sua da' fuorusciti milanesi,
e da' Comaschi e lo ritengono tuttora prigione in Como, ossia ne'
castelli Comaschi, e precisamente nel castello di Bardello[29]; e sono
state fatte tre gabbie, in cui sono chiusi, cioè, come si dice, due per
gabbia. E la presura era avvenuta in un borgo della diocesi di Milano,
che si chiama Desio[30]. E i contadini di quel borgo uccisero allora
Francesco della Torre, ed alcuni altri di quei della Torre, e amici
loro. E Cassone figlio di Napoleone, udito di questa cosa in un certo
castello ove si trovava, corse con quattrocento armati a cavallo sopra
Milano, ed entrò in città co' suoi, e trovò che casa sua e quelle de'
suoi erano poste a ruba e a sacco; e le porte della città erano chiuse,
e il popolo di Milano affollatissimo e armato nel Broletto, e quivi
Cassone s'impegnò in una mischia e uccise molti; ma quando s'accorse
che non trovava gran seguito, uscì fuori coi suoi armati, e s'accostò
a Lodi, la quale non lasciandolo entrare, si trattenne ne' sobborghi, e
il giorno dopo andò a Crema co' suoi armati. E l'Arcivescovo di Milano
in una con tutti quelli del partito di dentro, fecero l'ingresso in
città con vivissima festa ed esultanza; e il popolo milanese elesse
questo stesso Arcivescovo a suo Signore: e assecondando il desiderio
dell'Arcivescovo nominarono Simone, Capitano della città per un
anno; Guglielmo Pusterla, Podestà dei mercanti; e Riccardo conte di
Langosco[31], Podestà della città. E, ai 21 del mese di Maggio, morì
Papa Giovanni XXI dopo un Papato di otto mesi e un giorno. E, lo stesso
anno, un Lunedì 7 Luglio, morì Ugolino da Fogliano, e il giorno dopo
fu sepolto alla chiesa di S. Spirito di Reggio. E quello fu un anno
in cui uno staio di fava seminata ne fruttò diciotto, venti, anche
venticinque; e perciò più ancora di quello del proverbio: _Fava de
zenaro, lo mozo per lo staro_; cioè quando si semina fava in Gennaio,
prolifica tanto che se ne ha un moggio da uno staio: questa è sperienza
e tradizione degli agricoltori. Lo stesso anno e millesimo, un esercito
Reggiano andò a oste a Bismantova[32]; e quelli di Bismantova si
arresero all'obbedienza del Podestà di Reggio, nel mese d'Agosto. Nello
stesso mese, Guastalla, cioè il territorio di Guastalla, fu occupato
dai nemici; ma immantinente fu riconquistato dall'altro partito, cioè
da quelli di parte della Chiesa; e tutti quelli che l'avevano occupato
restarono, o morti, o prigionieri. In quell'anno fuvvi grande morìa,
e moltissime malattie d'uomini, di donne e di ragazzi per quasi tutto
il mondo, ma principalmente nel regno d'Italia e in Lombardia; e le
pioggie furono sì continue e grosse, che non si poterono raccogliere le
meliche, nè seccarle, nè si potè seminare. L'anno stesso, Mastino della
Scala, che ebbe la Signoria di Verona dopo Ezzelino da Romano, fu morto
da quattro assassini Veronesi. Ma Alberto della Scala suo fratello
germano, e che succedette a Mastino nella Signoria di Verona, vendicò
pienamente il fratello facendo uccidere i malfattori..... In quell'anno
si ebbe anche gravissima carestia, e in alcuni casi fu venduto uno
staio di frumento 9 soldi imperiali, e 20 soldi reggiani; uno staio
di fava 17, 18, 19 _grossi_; uno staio di melica 13, 14, 15 _grossi_;
una libbra grossa d'olio d'ulivo 21 imperiali, e sin anche 22 e due
soldi imperiali. Fu anche in quell'anno che, coll'assenso del Consiglio
generale di Cremona, nel mese di Novembre e di Dicembre, si cominciò
ad otturare il cavo Tagliata. E fu eletto Papa, verso il giorno di S.
Andrea, il Cardinale Giovanni Gaetani, che assunse il nome di Nicolò
III. Egli da Cardinale era il governatore, e protettore e censore
dell'Ordine de' Minori, e dopo che fu Papa, commentò la loro Regola, e
chiarì alcune cose che parevano non facili ad intendersi. Ed è notabile
che tutti i Cardinali governatori, protettori e censori dell'Ordine del
beato Francesco, furono poi fatti Papi, come Gregorio IX, Alessandro
IV e Nicolò III; e ciò credo io, mercè la grazia di Dio, l'aiuto del
beato Francesco e la bontà della vita loro. Del resto, quello che ha
da venire sallo Iddio. Ora il Cardinale dell'Ordine de' frati Minori è
Matteo Rossi, e ne lo assegnò, anzi ne lo impose, Papa Nicolò, perchè è
suo parente; ma i frati avevano eletto Girolamo, che era stato Ministro
Generale del loro Ordine, ed ora è Cardinal prete del titolo di Santa
Potenziana (ma dopo fu fatto Vescovo di Palestrina; e frate Bencivenni
è stato fatto Vescovo di Albano. Questi fu dell'Ordine dei Minori,
lettore di teologia, bello, buono, onesto uomo, e amico intimo di
Nicolò III, che lo creò anche Cardinale, perchè talvolta abitò con lui,
e amava affettuosamente l'Ordine, a cui apparteneva).


a. 1278

L'anno 1278, indizione 6.ª, fu impedito dai Cremonesi che si interrasse
il cavo Tagliata, quando il Comune di Reggio, a chiuderlo, vi aveva già
spese duemila lire imperiali e più, senza tener conto della prestazione
d'opera ed altre spese da parte degli abitanti della diocesi di Reggio.
Ed il Comune di Reggio ne ebbe grave danno e beffa; perchè il Marchese
Cavalcabò cogli altri Cremonesi della città di Cremona negarono al
Comune di Reggio la promessa indennità delle spese fatte per la detta
chiusura, e la distrussero; promessa che era stata fatta ad Azzone di
Manfredi, che allora era Podestà di Cremona, e al Comune di Reggio, dal
Consiglio generale e dal Comune di Cremona stessa. In quell'anno uno
staio di frumento costava 8, 9, 10 soldi imperiali; uno staio di spelta
14 _grossi_, e 5 soldi imperiali; e uno staio di melica 14 _grossi_
e 5 soldi imperiali. E lo stesso anno, in Maggio, fu smantellata,
diroccata e incendiata Gonzaga[33], ossia il castello di Gonzaga, dai
Mantovani. E allora era Signore di Mantova Pinamonte, il quale tenne
molt'anni quella Signoria, e di tale opera di distruzione era solito
vantarsene, e andava dicendo: «Ho fatto la tale cosa, durante la mia
Signoria, ho fatto la tale altra, nè finora me ne capitò disgrazia,
anzi ogni cosa mi va a seconda dei voti»; ma queste vanterie non erano
da uomo sensato...... E nota che nel millesimo sussegnato si trattò la
prima volta di creare un Capitano del popolo di Reggio; e fu fatto,
a sei mesi, Ugolino Rossi, cioè il figlio del fu Giacomo di Bernardo
Rossi di Parma, per cura di Guglielmo Fogliani, Vescovo di Reggio,
che ebbe dal Comune facoltà di eleggerlo. E lo stesso anno fu presa
Lodi da Cassone della Torre di Milano. Nello stesso millesimo ed anno,
Giliolo da Marano di Parma, Giudice, fu eletto, a sei mesi, Podestà di
Reggio, cioè dal 1º Luglio al 1º Gennaio. E lo stesso anno, sotto la
reggenza del detto Podestà, quelli di Bismantova ruppero il patto di
obbedienza al Podestà e al Comune di Reggio. E il sunnominato Ugolino
Rossi, Capitano del popolo di Reggio, assunse per primo l'ufficio della
Capitaneria, ed ebbe sede la prima volta nella casa di un Guido Gaio
de' Roberti. In quell'anno fu preso anche dai Cremonesi il castello
di Fornovo[34]; e dal Patriarca d'Aquileia e dai Torriani si presero
a forza molte Terre in quel di Milano, e furono fatti innumerevoli
prigionieri. A Bologna si concordò la pace per interposizione di frate
Latino, nipote di Papa Nicolò III, e Cardinale Legato in Lombardia ed
in Toscana.


a. 1279

L'anno 1279, indizione 7ª, nella diocesi di Reggio fu preso un
lupo[35], che divorava i ragazzi. E nello stesso anno, nel mese
di Febbraio, Tommasino di Gorzano e quei di Banzola di soppiatto
occuparono Bismantova, e ne portarono via roba, vettovaglie e tutto
quanto vi si trovava; e nello stesso mese i prenominati invasori
consegnarono ogni cosa nelle mani di un milite del Podestà di Reggio
pel Comune, che ne pagò mille lire reggiane. Nel mese di Maggio poi
morì Aimerico da Palù in Parma, e fu sepolto nel convento de' frati
Minori, e dai Parmigiani si ebbe distinte dimostrazioni d'onore tanto
alla morte, quanto sulla tomba. E lo stesso anno, nel mese di Febbraio,
o sul principio di Marzo, fu segnata la pace tra i Torriani e quei
di Lodi da una parte, e i Milanesi dall'altra. E, nel mese d'Aprile,
a Reggio furono giurate e contratte parentele tra quei di Fogliano e
Antonio de' Roberti, tra Giacomino di Rodiglia e Guido da Tripoli, e
tra Guido di Bibianello e Guglielmo di Canossa. E poscia, in Aprile
o in Maggio, quei di Bismantova rioccuparono Pietra Bismantova;
e un certo numero di fanti e di cavalli da Bologna e da Parma con
balestrieri di Modena andò a oste colà, e vi stettero quindici giorni;
finchè quelli di Bismantova restituirono a patti quella Terra al Comune
di Reggio, e si ritirarono. (Nel soprassegnato millesimo due Re co'
loro eserciti si azzuffarono e n'ebbero aspra ed accanita battaglia,
cioè Rodolfo Re de' Romani, che coll'assenso di Gregorio X era stato
eletto al seggio d'Imperatore, e il Re di Boemia; urtarono dunque
l'uno contro l'altro, e Re Rodolfo ne riportò la vittoria e uccise
il Re di Boemia; e l'uno e l'altro erano buoni amici dell'Ordine
de' frati Minori). Lo stesso anno, nella festa dei SS. Apostoli
Filippo e Giacomo, cioè il 1º Maggio, un fortissimo terremoto scosse
la Marca d'Ancona, sicchè due parti di Camerino[36] subissarono, e
molte vittime si ebbero a deplorare: Fabriano, Matelica, Cagli, S.
Severino e Cingoli, tutti questi castelli ruinarono, e parimente
Nocera, Foligno, Spello[37], e in breve tutti i castelli, che sono
tra que' monti ne furono assai malconci. Così tre monti tra i quali
eranvi artificialmente formati due laghi e costrutto un castello si
riunirono; e i laghi e il fiume, che col rigurgito delle acque li
formava, ed il castello restarono sepolti. In Romagna e sui monti
tra Firenze e Bologna ruinarono castelli ed ogni sorta di edifici con
innumerevoli vittime sotto le ruine; e tanto timore invase l'animo di
tutti, che da quelle parti nessuno s'attentava più di stare in casa,
neppure il Legato Cardinale Latino. Nella Marca d'Ancona e altrove
si rappacificarono molte discordie per timore e per l'aspettazione di
imminente pericolo. Fu fatta anche pace tra i Bolognesi e i Romagnoli
per mediazione del Cardinale Latino dell'Ordine dei Predicatori. Così
nello stesso anno, verso il giorno d'Ognissanti, fu la città di Parma
interdetta dagli uffici ecclesiastici, per cagione di due donne, che
in quella città furono bruciate vive per eretiche (delle quali una si
chiamava Alina, l'altra era una sua seguace) e per cagione de' frati
Predicatori e del Cardinale Latino. Come pure verso Natale furono di
nuovo espulsi da Bologna quelli che vi erano rientrati per la fatta
concordia, cioè i Lambertazzi, perchè pretendevano un trattamento pari
a quello dei partigiani della Chiesa. (Parimente nel suddetto millesimo
fu ucciso Francesco Cavatrutta di Parma per intrighi e sollecitazioni
di un certo capo di assassini, che si chiamava Cecco Tosco di Firenze.
Accorse dunque alla chiamata di costui Guglielmo Bestiario de'
Lambertini di Bologna con alcuni malfattori, e lo ferì di spada nel
palazzo del Comune di Bologna, e lo dilacerarono a brandellini, e lo
gettarono giù dal palazzo come vile carname. Allora era Podestà di
Bologna Guglielmo Putagio di Parma, e frate Ghifredo Pagani di Parma
era Guardiano de' frati Minori di Bologna). Nello stesso millesimo si
videro anche le imposture di miracoli di un certo Alberto, che stava a
Cremona e che era stato un portatore e ad un tempo un tracannatore di
vino, non che un peccatore; dopo la cui morte, come se ne faceva correr
voce, operò molti miracoli a Cremona, a Parma e a Reggio. In Reggio
alla chiesa di S. Giorgio, e del beato Giovanni Battista; a Parma nella
chiesa di S. Pietro, che è presso la piazza nuova, ove avevano la loro
stazione, tutti i brentori di Parma ossia i tracannatori di vino; e
beato chi li poteva toccare, o dare loro qualche cosa del proprio;
altrettanto facevano le donne. Ed univano compagnie per le parrocchie,
ed uscivano per le vie, e per le piazze, per andare processionalmente
alla chiesa di S. Pietro, ove si veneravano reliquie di quell'Alberto;
e cantando portavano croci e gonfaloni, e facevano offerte di porpore,
sciamiti, broccati, baldacchini[38] e molti denari; che poi i brentori
si dividevano tra di loro e tenevano per sè. La qual cosa vedendo i
parrochi si affrettarono a far dipingere le immagini di quell'Alberto
nelle loro chiese, perchè crescesse il numero e il pregio delle
offerte. E non solo in quel tempo si faceva dipingere l'immagine di lui
nelle chiese, ma anche sui muri, sotto i porticati delle città, delle
campagne e de' castelli. Il che è contrario alle leggi ecclesiastiche,
le quali proibiscono di venerare le reliquie di chi non è stato dalla
Chiesa riconosciuto e ascritto all'albo dei Santi; nè si può dipingere
l'immagine di alcuno come di Santo, se prima non ne sia pubblicata
la canonizzazione. Laonde i Vescovi, che permettono tali abusi nelle
loro diocesi, meriterebbero d'essere rimossi dal loro ufficio, cioè
meriterebbero d'essere spogliati della loro dignità episcopale.........
E chiunque avesse mancato d'intervenire a queste solennità, si
riguardava come un eretico che le avesse in odio. E i secolari andavan
dicendo a chiara e viva voce ai frati Minori ed ai Predicatori: Voi
credete che non possano far miracoli che i vostri Santi; ma siete
pure in inganno; ed ora lo si vede da questo. Ma Iddio sbugiardò
presto l'accusa infame, apposta a' suoi servi ed amici, mettendo in
chiaro la menzogna di coloro, che li avevano accusati, e castigando i
calunniatori degli innocenti. Di fatto, arrivato un tale da Cremona,
che diceva d'aver portato una reliquia di questo S. Alberto, cioè
il dito mignolo del piede destro, accorsero affollati i Parmigiani,
uomini, donne, ragazzi, ragazze, vecchi, giovani, chierici, secolari,
e tutti i Religiosi, e con processione lunga, infinita, portarono
quel dito alla chiesa matrice, che è quella della Vergine gloriosa; e
collocato quel dito sull'altare maggiore, s'accostò Anselmo Sanvitali,
Canonico della cattedrale, e, a volte, Vicario del Vescovo, e lo baciò.
Ma sentito odore, cioè fetore d'aglio, e dettolo agli altri preti,
s'accorsero anch'essi e riconobbero che erano stati gabbati, poichè
non trovarono che fosse nulla fuorchè uno spicchio di aglio; e così
restarono canzonati i Parmigiani e beffati, i quali _folleggiarono in
vanità e diventarono vani_. In Cremona, nella chiesa ove era sepolto
quell'Alberto, i Cremonesi volevano dimostrare che Dio per mezzo di lui
operava miracoli; e perciò da Pavia e da altre città Lombarde molti
infermi vi si facevano condurre per liberarsi dalle loro infermità.
Accorsero anche da Pavia a Cremona molte nobili donne e donzelle,
alcune per divozione, altre per isperanza di guarigione........ e
perciò di gran lunga sbaglia il peccatore, o il malato, che abbandona i
Santi conosciuti a prova, e si rivolge ad invocare l'aiuto di chi non
può essere esaudito...... Nota però e considera che come i Cremonesi,
i Parmigiani, e i Reggiani folleggiarono per Alberto brentore, anche
i Padovani avevano folleggiato prima per un certo Antonio, che era un
pellegrino, e i Ferraresi per un certo Armanno Pungilupo..............
Iddio realmente ascolta anche le invocazioni del beato Francesco, del
beato Antonio, di S. Domenico e de' figli loro, ai quali debbono dare
ascolto i peccatori. Ma la venerazione di tali nuovi Santi nasceva
da molteplici cause: da parte de' malati, per ricuperare la sanità;
da parte de' curiosi, per vedere novità; da parte dei preti, per
invidia che hanno de' moderni Religiosi; da parte dei Vescovi e dei
Canonici, pel lucro che ne ritraggono, come è palese nel Vescovo e
ne' Canonici di Ferrara, che guadagnarono molto per la divozione di
Armanno Pungilupo; e finalmente da parte di coloro che vagavano fuori
delle loro città, come partigiani dell'Impero, i quali speravano, in
occasione de' prodigi operati da questi nuovi Santi, di rappacificarsi
coi loro concittadini, essere rimessi in possesso de' loro averi, e di
finirla d'andare vagolanti pel mondo. Nel millesimo sussegnato, cioè
1279, indizione 7ª, fu rotta la pace di Milano, perchè il Marchese
di Monferrato ingannò e tradì i Torriani, come fece divulgare per la
Lombardia il Patriarca, che era uno de' Torriani. Però ebbe luogo la
pace de' Bolognesi, che nel mese di Settembre rientrarono in Bologna; e
fu fatta una tregua e una pace tra' Bresciani e i Mantovani. E, l'anno
stesso, i frati Predicatori di Parma fuggirono e si ricoverarono a
Reggio, perchè i Parmigiani si sollevarono contro di loro, a cagione
di una donna, cui essi avevano fatta arrostire come una gazzera. Perciò
i Parmigiani furono scomunicati da frate Latino Cardinale e Legato del
Papa, che era a Firenze, e che apparteneva all'Ordine dei Predicatori.
E un venerdì, 22 Dicembre, fu rotta la pace tra i Bolognesi della città
e i fuorusciti. Vi fu guerra civile, e molti ne rimasero morti, e una
quasi innumerevole quantità di case, che appartenevano a quelli del
partito dei Lambertazzi, furono incendiate e diroccate dal partito
avverso; laonde per timore di peggio i Lambertazzi uscirono dalla
città.


a. 1280

L'anno 1280, indizione 8ª, uno staio di seme di canapa si vendeva 16,
sino a 20 soldi imperiali. E in quell'anno i Parmigiani incominciarono
a fare i cavi per murarvi le fondamenta di un castello presso a Cadeo
sulla strada pubblica[39], e nel mese di Marzo scavarono le fossa di
quel castello nella contrada di Cella, e lo chiamarono il castello
della Croce. E i Mantovani fecero un ponte nella contrada che si chiama
Brazzolo[40]. E nel mese di Agosto, nell'ottava dell'Assunzione della
beata Maria Vergine, morì Papa Nicolò III. E i partigiani dell'Impero,
di Faenza e di molte altre Terre della Romagna, uscirono dalle loro
città. Il Conte di Romagna, che era Podestà di Bologna, cominciò allora
a parteggiare per gli anzidetti Bolognesi. Nello stesso anno firmossi
una pace fra quelli di Padova e di Verona, e la fazione imperiale
lasciò Bologna; nel Settembre la parte imperiale uscì di Vercelli.
Nello stesso anno insorse discordia tra Guglielmo Vescovo di Reggio, i
preti della città e della diocesi di Reggio stessa da una parte, e Dego
Capitano del popolo e il popolo di Reggio dall'altra, a cagione delle
decime, parendo che i preti volessero esigere troppo dal popolo e dalla
città. Perciò il Capitano con ventiquattro difensori delle ragioni del
popolo statuirono leggi contro i laici collettori delle dette decime;
e per cagione di quelle leggi il Vescovo scomunicò il Capitano, i
ventiquattro Avvocati e tutto il Consiglio generale del popolo, e
oltracciò pubblicò l'interdetto su tutta la città. D'onde il popolo in
furore elesse altri venticinque popolani, tra' quali sette Giudici (e
ne' predetti ventiquattro, ce n'erano già quattro di Giudici) e presero
gravissime deliberazioni contro il clero: 1º che nessuno dovesse
pagare decima di sorta nè dare consiglio, aiuto o favore ai preti, nè
con loro trovarsi commensali, nè prendere servigio in casa loro, nè
abitare in loro appartamenti, nè prendere da loro mezzadrie, nè dar
loro da bere nè da mangiare (e molte altre pene ognuna delle quali
per sè gravissima), nè macinare, nè cuocer pane nel forno per loro, nè
radere la barba, nè prestare a loro ministero di sorta; arrogando a sè
stessi, i preaccennati sapienti, autorità di dire, stabilire, ordinare
a loro talento ed arbitrio checchè loro piacesse riguardo al clero.
La quale autorità fu poi loro confermata dal Consiglio generale del
popolo; e tutte le suddette ordinanze furono approvate ed osservate
tanto dal popolo in ogni singolo individuo, quanto dal corpo della
milizia e da tutti i buoni uomini. E in quell'occasione molti mugnai
furono condannati a pagare cinquanta lire reggiane a testa, perchè
contro le dette ordinanze macinarono al di là del termine fissato in
mulini di chierici, e molte altre persone toccarono multe. Nello stesso
anno, cioè 1280, Tebaldello, verso la festa del beato Martino Vescovo,
a tradimento pose Faenza in mano a quelli che erano del partito della
Chiesa, cioè in mano ai Bolognesi e ai Manfredi di Faenza, ed espulse
i suoi; e colse il momento, in cui la massima parte de' suoi erano
all'assedio di un castello. Lo stesso anno i Parmigiani restituirono ai
Cremonesi il carroccio, che tolsero loro quando fugarono da Vittoria
l'Imperatore Federico II; ed i Cremonesi ne ricambiarono i Parmigiani
restituendo il carroccio, che avevano loro tolto in altra occasione;
e questi scambi furono eseguiti con reciproche onorificenze, in mezzo
all'allegria, ed all'esultanza d'ambe le parti, la vigilia della
natività della beata Vergine Maria, che era una Domenica. E le due
città accorsero in aiuto di Lodi con fanteria e cavalleria contro i
Milanesi e il Marchese di Monferrato, che per distruggerla s'era mosso
con tutti gli altri Lombardi. Fu anche allora che nel mese di Novembre
Faenza fu presa dai Ravennati e da venticinque soldati Reggiani, che
erano ad Imola pel Comune di Reggio a servigio de' Bolognesi, e da
alcuni militi del Conte, e dai Bolognesi stessi, che dopo accorsero
colà, e dopo loro tutta la milizia de' Parmigiani e de' Reggiani, che
corse sino ad Imola. E molti Bolognesi furon morti, molti prigionieri,
tra' quali se ne contarono quarantacinque che erano dei più valenti.
E fu uno de' grandi e potenti di Faenza che pose la sua città in mano
ai Bolognesi, e si chiamava Tebaldello de' Zambrasi. Questi, ch'io ho
veduto e conosciuto, e fu un guerriero valoroso come un secondo Jefte,
non era un figlio legittimo; pure un fratello di lui, frate Zambrasino
dell'Ordine de' Gaudenti, gli assegnò mezza l'eredità paterna, perchè
riconosceva in lui un uomo intraprendente, e perchè dei Zambrasi
nessuno più sopravviveva tranne loro due; e giacchè c'era da esserne
ricchi ambedue, divise in parti eguali il patrimonio del padre, e
innalzò il fratello a grandezza di stato. E quando i Bolognesi della
città, quelli cioè che si dicevano partigiani della Chiesa, fecero il
loro ingresso in Faenza, mezza Faenza era all'assedio di un castello
coi Bolognesi fuorusciti; e Tebaldello aveva spiato tempo opportuno a
fare sua ribalderia. In quell'anno il ponte di Brazzolo, fatto fare
dai Mantovani, fu distrutto dalla violenza delle correnti d'acque
diluviali, che furono tali da asportare inferiormente, come dicevasi,
quel ponte. Allora fu anche conchiusa una concordia tra il Vescovo di
Reggio e i suoi preti da una parte, e il Capitano del popolo, il popolo
stesso, ed il Comune di Reggio dall'altra, riguardo alle decime, nel
senso che nessuno dovesse essere costretto a pagarle, se non secondo
la propria coscienza; e molti altri patti furono convenuti in quella
concordia. L'anno stesso Sinigallia fu a tradimento data in Signoria al
Conte Guido di Montefeltro, il quale, come ne correva voce, condannò a
morte, e fece uccidere in quella città 1500 persone.


a. 1281

L'anno 1281, indizione 9.ª, Cassone della Torre di Milano fu morto
in battaglia con molti altri Lodigiani dai Milanesi, come anche restò
morto sul campo il Podestà di Lodi nello stesso combattimento, ed era
Scurtapelliccia de' Porta, Parmigiano e consanguineo di Obizzo Vescovo
di Parma. Nello stesso millesimo ed anno fu eletto Papa Martino IV
d'origine francese. Fu eletto alla cattedra di S. Pietro in Febbraio,
e preso dal Collegio de' Cardinali: prima si chiamava Simone. Era stato
Tesoriere della chiesa di S. Martino di Tours, amico de' frati Minori,
de' quali teneva sempre alcuni alla sua Corte, e da loro si confessava.
A questi frati diede anche un ampio privilegio di confessare e
predicare, e promise di fare loro ancora più ampie concessioni. Questi
spedì più volte forze armate contro Forlì, ma il partito della Chiesa
si ebbe la peggio, restandone i militi debellati, fugati, prigioni e
morti, tra' quali cadde anche Tebaldello, due volte traditore della sua
patria, e restò sommerso insieme al suo cavallo nella fossa della città
di Forlì. Morì allora di parte della Chiesa anche il Conte Taddeo e
Comacio fratello di Anselmo de' Corradini di Ravenna, e morirono molti
altri. Della parte contraria vi lasciarono la vita Guido degli Acarisii
di Faenza, e molti altri sì di Bologna che d'altronde, ben degni
d'essere ricordati.


a. 1282

L'anno 1282, indizione 10ª, si sviluppò una sì folta quantità di
bruchi da frutti, che a' giorni nostri nessuno ne ricorda l'eguale,
e sbrucarono tutti i frutteti, fiori e fronde, e le piante parevano
come sogliono essere d'inverno, mentre a primavera erano fronzute
e fiorite benissimo; e quando que' bruchi non trovarono più di che
pascersi sulle piante fruttifere, fecero passaggio a quelle dei
salici, e anche quelle rodevano; risparmiarono soltanto le fronde de'
noci, e credo fosse per la loro amarezza. In seguito cominciarono a
cadere a terra grossi e grassi, e strisciavano pe' campi e per le
strade, e finalmente morivano; nè quelli erano bruchi da orto, ma
d'altra specie. Lo stesso anno infierì gran carestia di biade, cioè di
frumento, di spelta, di melica, di fava, di legumi d'ogni specie. Lo
stesso anno fu anche levato, nel giorno de' beati apostoli Filippo e
Giacomo, l'interdetto ai Parmigiani, loro imposto per cagione de' frati
Predicatori, che avevano fatto bruciare per eretica una donna di nome
Alina. E spontaneamente erano usciti tutti i frati Predicatori da Parma
colla croce e in processione, perchè alcuni stolti s'erano avventati
fin dentro il loro convento, e ne avevano ferito alcuni; ma quei
mascalzoni, che avevano portato offesa ai frati Predicatori, furono
gravemente puniti dai Parmigiani. Quell'anno molte persone fecero
tra loro concordia nella città di Reggio; i Parmigiani e i Cremonesi
con loro compagnie andarono a devastare le biade di quei di Soncino,
perchè Boso di Dovaria aveva in quel castello la sua residenza, e
sperava di entrare in Cremona, se l'avesse potuto; ma non gli fu
permesso. Quell'anno il Marchese di Monferrato andò e si mise a campo
nella diocesi di Lodi ad una coi Milanesi, Pavesi e loro carroccio,
e per dir breve e sbrigarmi presto, con tutte le città di parte sua,
cioè Vercellesi, Novaresi, Alessandrini, Comaschi e con tutti gli
altri suoi amici, e andava dicendo che voleva ridonare la pace alla
Lombardia. Ma quelli che parteggiavano per la Chiesa non gli prestarono
fede, e unanimi gli si opposero, e si prepararono a resistenza e a
guerra contro di lui. E subito in prima linea i Cremonesi uscirono
contro tanta oste, e mandarono pregando i Parmigiani che senza indugio
accorressero col loro carroccio a difendere Cremona; e subito andarono.
E quando si sperò che la battaglia fosse vicina, Parmigiani e Cremonesi
chiamarono ad accorrere i loro amici, cioè Ferraresi, Bolognesi,
Modenesi, Reggiani, Bresciani e Piacentini, i quali prontissimi
volarono al campo. E Capitano e condottiero di tutti questi fu Lodovico
Conte di S. Bonifacio di Verona, che allora era Podestà di Parma.
Ma il Marchese prenominato sentissi il tremore in corpo sul punto
d'azzuffarsi con loro, e di soppiatto si allontanò, e ritornarono tutti
dell'una e dell'altra parte alle loro città senza essersi misurati
coll'armi. E mentre erano ancora tutti in Cremona, prima di separarsi,
tutti quelli del partito della Chiesa fecero magnifiche onoranze ai
Parmigiani, e sopratutti i Bolognesi, che sono sempre nobili cavalieri
e gentiluomini, fecero un torneo attorno al Carroccio de' Parmigiani
per ingraziarseli e mostrarsi loro amici. Perocchè i Parmigiani erano
ben voluti da Papa Martino IV, che un tempo aveva studiato leggi in
Parma, alla scuola di Uberto da Bobbio, ed erano nelle buone grazie
della Corte Romana e di Re Carlo, perchè erano sempre pronti a correre
in aiuto della Chiesa. Oltracciò avevano alla Corte un Cardinale
oriondo di Parma, ossia di una villa della diocesi di Parma, che
si chiama Gainago[41]. (In questa villa io frate Salimbene ho avuto
molti possedimenti). Questi aveva attinenze di parentela con maestro
Alberto da Parma, che fu sant'uomo, ed uno dei sette Notai della Corte,
in grazia del quale, e inoltre per ragione dalla sua abilità nelle
lettere, della sua bontà, onestà e intraprendenza, Papa Nicolò III
lo fece Cardinale, e si chiamava Gerardo _Albo_.[42] Papa Martino IV
mandò costui in Sicilia a richiamare i Siciliani all'obbedienza della
Chiesa quando si ribellarono a Re Carlo, e a Palermo uccisero tutti
i Francesi, uomini e donne, e i bambini li battevano a morte contro
le pietre, e alle gravide apersero il ventre. Ed un certo Giudice
francese, nell'atto di uscire di casa per sedare il popolo tumultuante,
fu pregato da un savio cittadino di non immischiarsi fra il popolo, ma
anzi se la svignasse per una finestra appartata, e salvasse sua vita.
S'appigliò al consiglio, e andò ad un certo castello per mettersi
al sicuro. Ma scorto, lo inseguirono i Palermitani, s'impossessarono
del castello, e tratto il Giudice sulla piazza di Palermo lo fecero
a brani. I Messinesi però non incrudelirono tanto contro i francesi,
ma li spogliarono dell'armi e dell'avere, e li inviarono a Carlo loro
Signore, che in quei giorni era tornato indietro per non perdere
Napoli, e perchè Pietro d'Aragona aveva invaso da quella parte la
Sicilia, e aveva per alleati il Re di Castiglia e il Paleologo. Questo
Pietro Re d'Aragona aveva moglie una figlia del Principe Manfredi; e
il Principe Manfredi, cui Carlo aveva tolta la vita, era figlio del
fu Imperatore Federico 2.º. Il Paleologo poi era un tale che teneva
a Costantinopoli la Signoria dei Greci dopo aver ucciso il figlio di
Vattaccio, precedente Signore de' Greci stessi, per potere su loro
signoreggiare; e temeva che Re Carlo e Papa Martino IV volessero
invadere Costantinopoli. Ma papa Martino IV voleva prima sbrigarsi
di Forlì, che teneva occupata tutto la Romagna. E la Romagna era una
piccola Provincia, ma ricca, fertile e popolosa, tra la Marca d'Ancona
e la città di Bologna. E la Chiesa Romana la ebbe in dono da Rodolfo
eletto Imperatore a' tempi di Gregorio X; stantechè spesso, i Romani
Pontefici, quando si fanno le elezioni degli Imperatori, procurano
di raspar qualche lembo di territorio da aggregare al loro dominio
temporale. Nè agli Imperatori di recente eletti conviene negare quello
che loro è domandato: sia per ragione di cortesia e liberalità, che
in sul principio dell'impero vogliono mostrare verso la Chiesa; sia
perchè considerano come un dono loro fatto tutto quello che acquistano
diventando Imperatori; e poi perchè ripugna loro mostrarsi meno che
liberali prima di aver in capo la corona; finalmente per non esporsi
al danno e alla vergogna d'una ripulsa. Ora per una parte Rodolfo,
eletto Imperatore in Allemagna, è in pace; e per l'altra la Chiesa
pare non curarsi di coronarlo. Perciò il Papa inviò il prenominato
Cardinale ai Siciliani; i quali risposero che di buon grado volevano
obbedire ai comandi della Chiesa, ma che respingevano come esorbitante
la dominazione Francese. Per questa cagione i Francesi erano sulle
mosse coll'armata e coll'esercito numerosissimo per soccorrere Re
Carlo. Quello che ne nascerà, lo vedranno i superstiti. In quell'anno
Papa Martino abitò in Orvieto; poscia passò a Montefiascone. Parimente
nel medesimo anno, in concistoro, alla presenza del Papa e de'
Cardinali, furono letti dispacci che annunziavano come il Paleologo
in Costantinopoli avesse creato un Papa Greco e Cardinali Greci. I
Perugini l'anno stesso si posero sull'armi per correre a devastare
Foligno; ma il Papa mandò loro intimando che desistessero, altrimenti
li scomunicherebbe: (sappi che Foligno era dell'orto di S. Pietro). I
Perugini però non se ne trattennero; corsero e devastarono tutta quella
Diocesi sino alle fossa della città, e furono scomunicati. Ma perciò
sdegnati fecero fantocci di paglia rappresentanti Papa e Cardinali,
li trascinarono ad ignominia per le strade della città, e poi sino
ad un certo monte, sulla vetta del quale fecero del Papa vestito di
rosso un falò, ed altrettanto de' Cardinali, battezzando i fantocci
per rappresentanti quale dell'uno, quale dell'altro Cardinale. E noto
che i Perugini credevano in buona fede d'aver ragione di battere i
Folignati e sterminarli, perchè essendosi una volta battuti gli uni
contro gli altri, Perugini e Folignati, questi scatenarono contro
quelli tanta furia di strage, e tanta vergogna e avvilimento inflisse
Iddio in quella battaglia ai Perugini, che una vecchietta di Foligno
con un bastoncello di cannuccia bastò a far andare in carcere dieci de'
Perugini; e altrettanto poterono fare altre donne, senza che a quei
di Perugia restasse tanto di ardire nel cuore da tener testa neppure
a singole donniciuole. Nel sussegnato millesimo, verso S. Martino, un
certo uomo di Soncino, che si chiamava Rossi degli Infonditi, diede a
tradimento quella terra ai Cremonesi, che ora sono dentro la città,
cioè al partito della Chiesa, e, per tale tradigione del castello
di Soncino, si ebbe premio quattrocento lire imperiali. Parimente
lo stesso anno, a fin di maggio, per quattro o cinque giorni si ebbe
tanto caldo che sarebbe parso eccessivo anche pel Luglio; e i contadini
dicevano che nocque assai al frumento; poichè è detto nel libro di
Giobbe 37.º: _Il frumento desidera le nubi_: massimamente quando è in
fiore e in granitura. E non vi fu invero piena annata di raccolta di
frumento; ma di quelle biade, che i contadini chiamano minute, l'anno
fu ubertosissimo, cioè di panico, di miglio, di melica, di fagiuoli
e di rape; anche la vendemmia fu abbondante; ma la grandine devastò
le vigne in più luoghi. Così nella state dello stesso anno si udirono
terribili e orribili tuoni, che parevano quasi visibili e palpabili,
così che molti un giorno, verso sera, per terrore caddero a terra, e
nella notte seguente i tuoni si rinnovarono spaventevoli. Nel predetto
millesimo fu anche celebrato un Capitolo generale de' frati dell'ordine
dei Minori in Allemagna a Strasbourg, sotto il ministro Generale frate
Buonagrazia. Allora il Conte Lodovico di S. Bonifazio di Verona fu
Podestà di Reggio dal 1.º Luglio al 1.º di Gennaio. E in Parma, nel
dì dell'Assunzione della Beata Maria Vergine, fu fatta una nobilissima
corte, che durò quasi un mese, e furono creati due cavalieri del casato
dei Rossi, cioè Guglielmino e Ugolino, fratelli germani, figli del fu
Giacomo di Bernardo di Rolando Rossi. E nella festa del Beato Michele
e del beato Francesco, in Ferrara fu fatta altra nobilissima corte,
perchè Azzone figlio del Marchese d'Este fu fatto cavaliere, e prese
per moglie una figlia di Gentile, figlio di Bertoldo Orsini, e fratello
del fu Papa Nicolò III romano. Nello stesso anno e nella stessa
stagione, anno 2.º del pontificato di Papa Martino, arrivò Pietro,
fratello del Re di Francia e Conte d'Artois, con grosso esercito di
Francesi, che andavano a soccorso di Carlo Re di Sicilia contro Pietro
Re d'Aragona; e il giorno di S. Ilarione Abbate creò a Reggio tre
cavalieri, due de' Fogliani, cioè Bartolino e Simone, e Rondanello
de' Taccoli; e subito ripartì lo stesso giorno, perchè s'affrettava
a soccorrere Carlo, e prima voleva anche fare visita a Papa Martino.
Nella seguente Domenica poi, 25 ottobre, si rappacificarono quelli
degli Strufi cogli Orsi e Salustri, nel convento de' frati Minori di
Reggio, per interposizione di frate Giovannino de' Lupicini, lettore
de' frati Minori a Reggio; ed erano presenti molti uomini e donne,
giovanetti e donzelle, vecchi e ragazzi. In questi tempi viveva
a Parma un pover uomo, che faceva il ciabattino, puro, semplice,
timorato di Dio, cortese, cioè di urbane maniere, ed illetterato;
ma aveva un intelletto tanto illuminato da intendere le scritture
di quelli, che predissero il futuro, cioè dell'Abbate Gioachimo, di
Merlino, di Metodio, della Sibilla, di Isaia, Geremia, Osea, Daniele,
dell'Apocalisse, non che di Michele Scoto, che fu astrologo di Federico
II. Imperatore. E molte cose ho udito da lui, che poscia avvennero;
p. e. che Papa Nicolò III doveva morire in Agosto, e che il successore
sarebbe stato Papa Martino, e molte altre cose, che stiamo aspettando
che accadano, se vivremo, giacchè:

        Ratio praeteriti scire futura focit.

    Quel che già fu, ciò che avverrà ne insegna.

Quest'uomo, oltre al nome proprio, che è maestro Benvenuto, comunemente
si chiama Asdente, cioè, per ironia, senza denti, perchè anzi ha
denti grossi, e non allineati regolarmente, e la favella ha intricata;
tuttavia intende e si fa intendere bene. Sta in Co' di Ponte a Parma,
presso la fossa della città, e presso il pozzo, lungo la strada che
va a Borgo 8. Donnino. Parimente nell'anno sussegnato, cioè 1282,
Papa Martino IV spedì un esercito in Romagna, composto di Francesi,
Lombardi, Toscani, e Romagnoli, e fece cingere d'assedio più mesi
Meldola, che non si potè prendere, ma però vi forono molte vittime
dell'una e dell'altra parte; e Papa Martino vi spese molte migliaia di
fiorini d'oro. Così pure nel millesimo suddetto fu stabilito il duello
che doveva farsi a Bordeaux tra Re Carlo e Re Pietro d'Aragona, come
diremo più innanzi.


a. 1283

L'anno del Signore 1283, Lodovico Conte di S. Bonifacio di Verona,
scaduto della Podesteria di Reggio, fermò sua stanza nella medesima
città, vicino alla chiesa di S. Giacomo e al convento dei frati Minori,
in casa di Bernardo da Gesso. E lo stesso anno 1283, da Lendinara[43]
venne a Reggio presso di lui sua figlia Mabilia, bellissima donzella, e
nella stessa casa di Bernardo da Gesso[44] ove abitava il detto Conte,
e nello stesso giorno che arrivò presso il padre, ella si maritò con
Savino Torriani Milanese, ricchissimo e potentissimo; e subito dopo
gli sponsali assistette alla messa della beata Vergine nel convento
de' frati Minori; ed, oltre i Reggiani, vi aveva un corteo di molti
cavalieri di Parma e di Modena, e il fior delle donne di Reggio; e,
subito dopo la messa ebbero imbandita una refezione. E l'imbandigione
in quella casa e nel convento di S. Giacomo non fu parca. Questo
avvenne nel suddetto millesimo ed anno, il venerdì precedente la
Domenica di Settuagesima, ai 12 di Febbraio; e il sabato successivo,
la mattina per tempissimo, si posero in viaggio per Parma; ed ivi lo
sposo e la sposa abitano presso il Battistero. Il sunnominato Conte era
figlio di Rizzardo, uomo saggio, prode cavaliere, valoroso in armi,
e dotto nell'arte della guerra. E quando Parma si ribellò a Federico
II, l'anno 1247, fa il primo ad accorrere in aiuto de' Parmigiani,
e, passando pel territorio di Guastalla, entrò in Parma con molti
armati. Il resto come abbiamo detto più sopra. Questo Conte Lodovico
ebbe moglie una tedesca, d'onde gli nacque la figlia prenominata, e
tre figli, che sono giovanetti bellissimi, cortesi ed istruiti, il
primo de' quali si chiama Vinciguerra. E nello stesso anno e millesimo,
l'ottava di Pasqua, che cadde nel giorno di S. Marco Evangelista, il
suddetto Conte, la sera, era agli estremi della vita; e in morte e
nel testamento affidò e raccomandò i suoi figli alle cure di Obizzo
Marchese d'Este, che li accolse affettuosamente e li trattò come figli
suoi, sebbene prima il Marchese non si trovasse in buoni accordi col
Conte. (E la cagione della discordia tra loro era stata la città di
Mantova, di cui ciascuno di loro ambiva la Signoria; ma sfuggì di mano
all'uno e all'altro, e la ebbe Pinamonte). E il predetto Marchese
rimise i figli del detto Conte in possesso di tutti i beni, che il
padre loro aveva in Lendinara. E la notte seguente al dì di S. Marco
morì, assistito dai frati Minori, dai quali si era confessato, e regolò
ottimamente le cose dell'anima sua. E la cittadinanza di Reggio pensò
ad onorare degnamente la salma di lui; e fece a larga mano le spese
del funerale, come a nobile personaggio conveniva, che era stato loro
Podestà e che si trovava espulso da' suoi possedimenti come partigiano
della Chiesa. Alle sue esequie intervennero tutti i Religiosi di Reggio
e molte Religiose, tutta la cittadinanza Reggiana, e molti foresi; e
i più nobili Reggiani ne portarono il feretro al convento de' frati
Minori, ove fu sepolto. Il suo corpo era vestito di scarlatto, con una
bella pelliccia di vaio e un bel manto, e così adorno fu deposto, il
lunedì successivo alla festa di S. Marco, in un magnifico Mausoleo,
che il Comune di Reggio a proprie spese gli fece erigere; ed ebbe la
spada cinta a' fianchi, al tallone gli speroni d'oro, una gran borsa
appesa alla cintura di seta, alle mani i guanti, al capo una bellissima
cappellina scarlatta, orlata di pelle di vaio, ed una clamide pure
scarlatta e ornata di pelliccio di vaio. Il detto Conte lasciò al
convento de' frati Minori il suo destriero e le sue armi. Sulla tomba
sta quest'epitafio:

              Cum tua maiestas Lodoyce quae clara potestas
                Urbis Veronae comes inclyte sub regione
                 Hac fait inclusa Libitine morsibus usa
                  Aprilis quina restabat lux peregrina
                  Ast octogeni tres anni mille duceni

                              Requietorio
                  Di Lodovico inclito Conte di Verona
                  Che compiuta la Podesteria di Reggio
                          Il primo di Gennaio
                               E la vita
                        Il cinque d'Aprile 1283
                             In quest'urna
                        Se ne chiusero le ceneri
                    E gli splendori della grandezza

Fu pure questo Conte uomo onesto e santo; e d'onestà n'aveva tanta
che, passeggiando per città, non alzava mai gli occhi verso alcuna
donna, sicchè le donne, ed anche le bellissime signore ne facevano
le meraviglie .... E il Conte d'Artois, Pietro, fratello del Re di
Francia, passando da Reggio, e avendo udito che era un sant'uomo,
e che aveva il nome del padre suo, cioè Lodovico, e che si trovava
fuori de' suoi possedimenti a cagione del parteggiare per la Chiesa,
gli volle fare visita, lo abbracciò e lo baciò. Quel Pietro fratello
del Re di Francia si compiaceva di fare visita a tutti que' santi
uomini, di cui aveva udito parlare, onde mandò anche cercando, per
vederlo, frate Giovanni da Carpinete dell'Ordine de frati Minori.
(Questi era entrato nell'Ordine prima del gran terremoto del 1222).
Nell'anniversario poi della morte del Conte Lodovico la moglie di
lui mandò a Reggio pel convento de' frati Minori, ove era sepolto suo
marito, un bel paliotto da altare di sciamito e porpora. E l'anima di
lui per la misericordia di Dio riposi in pace, e così sia. In questo
1283 si deplorò una grandissima morìa di bovini in tutta la Lombardia,
Romagna e Italia, e nell'anno successivo grande mortalità d'uomini.
E di fatto presso Salins[45] in Borgogna, in un convento di frati
Minori vi erano ventidue frati, veduti da un certo frate Francese che
dimorava in Grecia e passava per andare a Parigi; d'onde ritornando
poi indietro lo stesso anno, nè trovò morti undici, cioè la metà di
quanti erano. Udii questo dalle labbra di lui a Reggio. Anche in altre
parti del mondo dominò in quell'anno grande mortalità; e in breve
questa è regola generale, che ogni volta che accade morìa di bovini,
subito l'anno dopo sussegue mortalità d'uomini. L'anno già detto 1283
Bernardo Lanfredo di Lucca fu Podestà di Reggio per sei mesi, dal
1.º Luglio sino al 1.º Gennaio; al tempo del quale, perchè era troppo
debole, si commisero molti omicidi ed altri delitti nella città e nel
territorio di Reggio, tanto che i nemici di un tale in città con una
scala entrarono nella casa per una finestra, e lo uccisero in letto.
Così questo Podestà, a cagione della sua non curanza e debolezza
nell'applicazione delle leggi, fu del numero di quelli, di cui il
Signore dice per bocca d'Isaia 3.º _Io farò che de' giovinetti saranno
lor principi_. Alla lettera costui non era giovinetto d'età, ma di
negligenza nel far giustizia. A lui successe Barnaba Pallastrelli di
Piacenza, che non la perdonò a nessuno, e tolse di mezzo molti ladri
e malfattori. Molti ne condannò a morte, e se ne eseguì la sentenza,
durante la sua Podesteria, sicchè i Reggiani per la severa applicazione
della giustizia dissero che era un distruttore della loro città. Ma
molto maggior danno apportò il suo antecessore colla sua negligenza
e rilassatezza, per la quale nella città di Reggio si accesero molte
nimistà e guerre, che durano tuttora e saranno cause della ruina di
Reggio, se Dio non provvede altrimenti.... Tuttavia il primo, che era
Lucchese e rilassato, se lo vollero i Parmigiani per loro Capitano; e
il secondo, di Piacenza, che era stato severo e rigido, se lo presero
i Modenesi; e a tempo della sua Podesteria Modena fu ruinata, come
diremo sotto la rubrica dell'anno 1284. Nell'anno 1283 il Numero
d'oro e l'indizione coincidevano nel numero 11; e ai due d'Aprile, che
era luna piena, la stella lucidissima, che si chiama Venere, pareva
entrata nel cerchio della luna nuova; e di notte, dopo mattutino,
un'altra splendissima stella, che si chiama Giove, pareva, verso il
sud, occupare la branca superiore dello Scorpione. Così, nello stesso
anno, Forlì ritornò all'obbedienza della chiesa, la qual città da molti
anni le era ribelle, e Papa Martino IV ogni anno le mandava contro
un grosso esercito di Francesi, e di diverse altre genti. (E davano
il guasto alle vigne, alle biade, alle piante pomifere, agli oliveti,
ai fichi, ai mandorli, alle melagrane, alle case, agli animali, alle
botti, ai dolii, e ad ogni cosa nata ne' campi. Questa città avrebbe
francata dai Bolognesi, che l'avevano occupata, tutta la Romagna, se
non vi si fosse intromessa la Chiesa, che prese le armi contro Forlì.
La causa poi, per cui la Chiesa vi si intromise, fu che il Papa aveva
domandata in dono la Romagna a Rodolfo quando fu eletto Imperatore,
e Rodolfo gli aveva concesso di occuparla) E, in più anni, vi spese
per insignorirsene molte migliaia di fiorini d'oro, anzi molte some di
monete d'oro. Stantechè Papa Martino s'aveva fatto pertinace proposito
d'averla di violenza, se non poteva di accordo. E così avvenne, perchè,
come suol dirsi, _il lavoro costante vince tutto_. E venuta che fu
quella città all'obbedienza della Chiesa, ne furono spianate le fosse,
smantellate le porte, atterrate case e palazzi, e rasi al suolo i più
cospicui edifici. I principali cittadini di quella città ne uscirono,
e andarono a ricoverarsi in nascosi ricettacoli per lasciar sbollire
gli sdegni. Ma il Conte Guido di Montefeltro, che era Capitano e
condottiero de' Forlivesi e del partito imperiale, venne ad accordi
colla Chiesa, e andò a confino per alcun tempo a Chioggia. Poscia fu
mandato in Lombardia, ed abitò ad Asti distintamente ricolmo d'onori,
perchè era ben voluto da tutti per la sua precedente probità, per le
molte vittorie riportate, e per la saviezza e sottomissione, colla
quale ora obbediva alla Chiesa. Inoltre egli era uomo nobile, sensato,
prudente, costumato, liberale, cortese, largo, cavaliere valoroso e
prode nell'armi, e dotto nell'arte militare. Prediligeva l'Ordine de'
frati Minori, non solo perchè vi aveva alcuni parenti, ma anche perchè
il beato Francesco lo aveva salvato miracolosamente da molti pericoli,
e liberato da' ceppi e dal carcere del Malatesta. Nulla ostante da
alcuni sciocchi di frati Minori ebbe più volte a soffrire gravissime
ingiurie. Egli in Asti ebbe una conveniente compagnia e famiglia,
e molte persone non cessavano di darsi premura di offrigli aiuto e
servigio. Queste cose accaddero tra il tempo in cui i Re sogliono
cominciare le guerre, e la festa del beato Giovanni Battista; ed ivi
era Legato del Papa Bernardo di Provenza Cardinale della Corte romana.
Lo stesso anno Re Carlo da Napoli recossi a Bordeaux, credendo di
scontrarsi in duello con Pietro Re d'Aragona. Questi due Re dovevano
aver secoloro soli cento cavallieri per ciascuno, come avevano
convenuto con giuramento. Ma quella prova d'armi non ebbe luogo, perchè
il Re d'Aragona la declinò. E quello scontro si doveva fare per cagione
della Sicilia, in cui Pietro Re d'Aragona aveva posto piede, e l'aveva
occupata con un esercito; poichè Papa Nicolò III gliel'aveva data, in
odio di Re Carlo, coll'assenso di alcuni Cardinali, che allora erano
alla Corte, e d'altronde lo stesso Pietro Re d'Aragona credeva d'avervi
diritto, come genero del Principe Manfredi. Ma Carlo, fratello del Re
di Francia, avevala avuta prima da Papa Urbano IV per aver soccorsa la
Chiesa contro Manfredi, figlio di Federico Imperatore deposto. Nello
stesso millesimo morì Guglielmo Fogliani Vescovo di Reggio, e provvide
male all'anima sua, essendochè fu uomo avaro, illetterato e quasi un
laico: fu _pastore ed idolo_ come dice Zaccaria 11.º ecc. Voleva vivere
splendidamente, cioè avere ciascun giorno per sè tavola lautissima;
e spesso imbandiva sontuosi banchetti ai ricchi ed ai parenti; ma per
i poveri ebbe insensibili le viscere della pietà, nè collocò a marito
le zitelle povere; fu uomo grossolano, cioè ebete e rude; trovò pochi
che parlassero bene di lui. Meglio per lui se fosse stato porcaio,
o se avesse avuta la lebbra, che fare il Vescovo. Nulla diede mai
ai religiosi, nè ai frati Minori, nè ai Predicatori, nè ad altri
poveri; e i poveri Religiosi, che assistettero alle sue esequie, non
ebbero nemmeno di che mangiare per quel giorno a spese prelevate dal
patrimonio di lui o dalla mensa vescovile. Io fui presente al funerale
e alla sepoltura, e so che un cane cacò sulla tomba di lui tosto che
egli fu sepolto. Fu collocato nella parte inferiore della chiesa
maggiore, ove si mettono quelli del popolo (ma veramente meritava
d'esser sepolto in una fogna). Egli in vita conturbò molte persone che
godevano la loro pace. Fu Vescovo di Reggio quarant'anni, meno un mese,
morì in Agosto il giorno di S. Agostino, e fu sepolto la Domenica dopo,
giorno della decollazione di S. Giovanni Battista. Parimente nel detto
millesimo quelli di Bibbiano, che è una villa della diocesi di Reggio
a case sparse, accordatisi insieme fecero nella villa stessa un borgo;
e i frati Minori di Parma fabbricarono un bel refettorio nel prato
di S. Ercolano, ove si trova il loro convento, e dove anticamente i
Parmigiani facevano il mercato, e poi dopo, verso quaresima, correvano
torneamenti. Nello stesso anno i Parmigiani fecero un ponte di pietre
sul torrente Parma, a capo della contrada che si chiama Galera[46],
dalla casa degli Umiliati alla casa dei Predicatori, e murarono la
città dalla parte de' monti, vicino al torrente Parma e all'Ospedale
di S. Francesco[47]. Così negli anni precedenti i Parmigiani avevano
fatto molti miglioramenti alla città loro; avevano compiuto il
Battistero in tutta la parte superiore, tirandolo su sino al comignolo;
e sarebbe stato terminato molto tempo prima se Ezzelino da Romano, che
signoreggiava a Verona, non avesse frapposto ostacoli[48]; poichè quel
Battistero si costruiva tutto di marmi di Verona; fecero scolpire i
colossali leoni e le colonne, a ornamento della porta principale del
duomo, sulla piazza del Battistero e dell'episcopio; fecero anche tre
ampie, belle e magnifiche vie; una, dalla chiesa di S. Cristina sino
al palazzo del Comune; una seconda, dalla piazza nuova, ove il Podestà
tiene a concione il popolo, sino alla chiesa di S Tommaso Apostolo; la
terza, dalla piazza del Comune sino alla chiesa di S. Paolo; e su tutte
queste vie a destra e a sinistra sorsero belle case e palazzi. Fecero
anche il palazzo del Capitano, assai bello, presso il palazzo vecchio,
che era stato fatto da Torello da Strada, Pavese e Podestà di Parma;
sotto la cui Podesteria fu anche cominciato il castello di Torello
sulla strada che va a Borgo S. Donnino. Ma siccome quelli di Borgo S.
Donnino si sottomisero all'obbedienza del Comune di Parma, i Parmigiani
desistettero dall'opera intrapresa e non compirono il castello, che
avevano progettato di costruire. Così nell'anno sussegnato ampliarono
la piazza nuova del Comune comprando tutte le case attorno alla piazza;
e si proponevano di erigere un altro palazzo con botteghe a comodo del
pubblico sull'area, ove in antico sorgeva il bellissimo palazzo dei
Pagani, ch'io ho visto co' miei occhi, e poi fu palazzo di Manfredo da
Scipione[49], più bello ancora; e finalmente vi si costruì il macello
de' beccai; poi il Comune lo comprò per sè colle casamenta che vi erano
attigue[50] e colla torre di Rufino Vernazzi, che era dalla parte di S.
Pietro. Avevano anche aperto negli anni anteriori un canale naviglio,
ma poco utile. Discendeva giù per un vecchio alveo sino alla Villa del
Cardinale Gerardo Albo, che fu anche una volta Villa mia, perchè io
vi aveva estesi possedimenti, e che si chiama Gainago; e nella parte
inferiore di detta Villa svoltava, perchè non andasse come prima a
Colorno, ma portasse le barche a Frassinara[51]; ma sia che andasse a
Colorno, sia che a Frassinara, era sempre un naviglio di poco conto.
E certamente saprei cavarlo meglio io un naviglio utile ai Parmigiani
se avessi pieno e libero potere. Nello stesso anno scavarono un lungo
fossato lungo la strada che va a Brescello, dall'ospedale sino a
Sorbolo[52], nel quale immisero il Gambalone, perchè colle sue acque
inondava tutti i campi al di sotto della strada, sicchè non potevano
servire nè all'agricoltura, nè agli agricoltori. Quell'anno morì frate
Bonagrazia, Ministro Generale dell'Ordine de' Minori, in Provenza ad
Avignone, la vigilia del beato Francesco, giorno di Domenica, e fu
sepolto nella chiesa de' frati Minori, davanti all'altare maggiore,
e alla sua morte si trovò presente frate Vitale, Ministro Provinciale
di Bologna, che ricevette incarico di benedire, da parte del morente,
tutti i frati della Provincia di Bologna, e di assolverli da tutti
i loro peccati. E fu fatto. Fu Ministro Generale quattr'anni, e si
differì la convocazione del Capitolo generale sino alla Pentecoste
del 1285 perchè, come era stato deliberato nel Capitolo generale
precedente, si doveva celebrare a Milano. Nel 1283 si trovò il corpo
della beata Maria Maddalena tutto intero, tranne una gamba, in Provenza
nel castello di S. Massimino (S. Massimino fu uno dei settantadue
discepoli, de' quali si parla in Luca 10.º; e fu Arcivescovo di Aix,
che è la città in cui è il sepolcro di quel Conte, la cui figlia fu
moglie del Re di Francia S. Lodovico, che andò oltremare in soccorso
di Terra Santa l'anno 1248; la qual città è distante quindici miglia
da Marsiglia, ed io vi soggiornai l'anno che il Re andò oltre mare,
perchè io era addetto a quel convento). E, quando fu trovato il corpo
della beata Maria Maddalena, a stento si poteva leggere l'iscrizione
con una lente, stante l'antichità della scrittura. E piacque a Re Carlo
(che era Conte di Provenza e quell'anno andava a Bordeaux per quel
duello, che era stato convenuto ed ordinato con Pietro Re d'Aragona)
che il corpo della beata Maria Maddalena fosse esposto al pubblico,
e fosse esaltato ed onorato, e se ne celebrasse una festa solenne.
Così si fece. Da allora in poi cessarono le contese, le opposizioni,
i cavilli, gli abusi e gli inganni che avevano luogo per cagione
del corpo della beata Maria Maddalena. Perocchè quelli di Sinigaglia
dicono di possederlo essi, e que' di Vezelay anch'eglino pretendono
di possederlo, e ne avevano una leggenda che ne parlava. Ma è chiaro
che in tre luoghi non può essere il corpo di una donna. (Per causa
congenere ardenti contese vi sono anche a Ravenna per il corpo di S.
Apollinare, perchè quei di Chiassi, che fu una volta città, sostengono
di possederlo, quei di Ravenna parimente pretendono di averlo, stando
di fatto che un Arcivescovo di Ravenna trasportò il corpo di S.
Appollinare da Chiassi a Ravenna, per timore che gli Agareni[53] lo
involassero, come ho letto più volte nel pontificale di Ravenna, e
reverentemente lo collocò nella chiesa di S. Martino, presso la chiesa
di S. Salvatore, che una volta fu chiesa dei Greci; ma che da Ravenna
sia poi stato di nuovo asportato non si trova scritto in nessun luogo).
Il corpo dunque della Beata Maria Maddalena è veramente nel castello
di S. Massimino, come quello di S. Marta sua sorella è a Tarascon. Il
fratello poi di loro, Lazzaro, fu Vescovo di Marsiglia. E la spelonca
di S. Maria Maddalena, nella quale essa fece penitenza trent'anni,
dista da Marsiglia quindici miglia, e vi ho dormito dentro una notte,
immediatamente dopo la sua festa; ed è al fianco di un monte altissimo,
roccioso, e tanto vasta è quella spelonca, che a mio avviso, se ricordo
bene, possono starvi dentro mille persone. Vi sono tre altari, ed un
zampillo d'acqua come quello della fontana di Siloe, e una bellissima
strada vi conduce; e fuori e vicino all'ingresso della spelonca
vi è una chiesa, alla quale è addetto un sacerdote. Al di sopra di
quello speco l'altezza del monte è ancora tanta, quanta è quella del
Battistero di Parma; e lo speco è tanto elevato sulla pianura di quel
territorio che tre volte la torre degli Asinelli di Bologna, a mio
avviso e se ricordo bene, non potrebbe arrivarvi, sicchè gli alberi di
alto fusto che sono al piano, guardati da quel punto sembrano ortiche,
o salvia del Caspio. E siccome quella regione, o contrada, è ancora al
tutto disabitata e deserta, le donne e le nobili signore di Marsiglia,
quando per divozione si recano colà, fanno condurre dietro sè asini
carichi di pane, di vino, di torte, di pesci e di quali altre vivande
desiderano. Sulla strada però, a cinque miglia dalla spelonca, vi è
un monastero delle Albe, che hanno molte deferenze pei frati Minori,
e di buon grado li veggono, li accolgono, servono loro con ogni
attenzione il bisognevole, ed offrono un'agiata ospitalità. A riprova
poi dell'invenzione del vero corpo della Maddalena concorre un miracolo
che a que' giorni fece il Signore mercè di lei, a dimostrare che quello
ne era il vero corpo. Ed eccolo. Camminando in quel tempo un giovane
beccaio per una strada, incontrò un suo conoscente, che gli domandò
d'onde venisse. Ed egli rispose: Torno dal castello di S. Massimino,
ove di recente è stato scoperto il corpo della beata Maria Maddalena,
della quale ho baciato una tibia. A cui disse. No, non avrai baciato
una tibia di lei, ma quella di un'asina, o di un asino, che i chierici
a guadagno mostreranno ai semplici. Ed essendosi perciò acceso alterco
acre tra loro, l'incredulo non divoto della Maddalena appioppò diversi
colpi di spada al divoto, nè, la mercè di Maddalena, gli produsse
ferita di sorta. Il divoto della Maddalena, a sua volta aggiustò un sol
fendente al non devoto, e non bisognò il secondo, chè subito perdette
la vita e ritrovò la morte. Dolentissimo poi il difensore della
Maddalena d'aver ucciso un uomo (e l'aveva fatto a propria difesa,
e malgrado, e fortuitamente) e temendo di essere preso dai parenti
dell'ucciso, si ricoverò ad Arles, e poscia a S. Egidio, per essere
quivi sicuro e lasciar sbollire gli sdegni. Ma il padre dell'ucciso
spillando dieci lire ad un traditore, fece imprigionare l'uccisore del
figlio, già condannato nel capo. Ma la notte precedente il giorno, in
cui doveva essere impiccato, a lui che vegliava apparve in carcere la
Maddalena, e gli disse: Non temere, o divoto mio, e difensore zelante
della mia gloria, che non morirai. Io ti assisterò al momento opportuno
in modo che tutti quelli che vedranno, ne rimarrano esterrefatti, e
scioglieranno inni di grazie al Signore, che opera miracoli, e a me di
lui serva. Ma quando sarai liberato, riconosci da me questo beneficio a
te conferito, ed a vantaggio dell'anima tua, abbine gratitudini a Dio
tuo liberatore. Ciò detto, la Maddalena sparve lasciandolo consolato.
L'indomani fu appeso alla forca senza riportarne nè guasti al corpo,
nè dolore all'anima. Ma poscia a poco, ecco d'improvviso, a vista di
tutti gli spettatori calare dal cielo a rattissimo volo una colomba
candida come la neve, e posare sul patibolo, sciogliere il capestro
dal collo dell'impiccato devoto alla Maddalena, e deporlo in terra
illeso. Ma gli ufficiali pubblici e i giustizieri, per insistenza de'
parenti dell'ucciso, volendolo di nuovo appendere, per opera de' beccai
si evase, de' quali era ivi adunata gran caterva armata di spade e di
bastoni. (Tanto s'adoperavano perchè era stato collega ed amico, ed
anche perchè avevano ammirato il prodigio chiaro e stupendo). Avendo
poi raccontato a tutti che aveva commesso quell'omicidio suo malgrado,
e per ragione di difesa sua e dell'onore della Maddalena, e che essa
gli aveva già promesso in carcere che al momento opportuno lo avrebbe
liberato, ne ebbero consolazione e cantarono lodi a Dio e alla beata
Maria Maddalena liberatrice del devoto di lei. Il Conte di Provenza,
udito parlare di questi fatti, volle vedere quell'uomo, e udirseli
raccontare dalla bocca di lui, e tenerlo in Corte finchè campasse; ma
egli rispose che se vi fosse chi lo facesse anche padrone di tutto il
mondo, non vorrebbe finir la sua vita altrove che in servizio della
Maddalena, nel castello di S. Massimino, ove il corpo di lei era stato
di recente scoperto, cioè nel 1283. E così fece. E nello stesso anno,
nel mese di Giugno, dovevano battersi a duello Re Carlo, e Pietro Re
d'Aragona. Titoli di Re Carlo, che fu Re di Gerusalemme e Sicilia,
Duca di Puglia, Principe di Capua, Senatore dell'Alma Città, Principe
dell'Acaia, d'Anjou[54], di Provenza, Conte di Forcalquier[55] e
di Tonnerre[56]. Avendo Pietro Re d'Aragona inviato con sue lettere
credenziali il Prefetto di Marsiglia a Re Carlo, allo scopo di trattare
e concludere un matrimonio tra un figlio di detto Pietro e una figlia
d'un figlio del predetto Re Carlo; pochi giorni dopo quelle trattative
di matrimonio, del quale lo stesso Pietro si diceva desiderosissimo,
secondo che ne assicurava quel prefetto, e secondo che egli stesso
esprimeva nelle sue lettere credenziali, e dopo molte altre amichevoli
dimostrazioni da parte di Pietro stesso fatte allo stesso Re Carlo
per mezzo del preaccennato Prefetto, Pietro Re d'Aragona spogliò
Re Carlo del Regno di Sicilia con una frode, che si copriva sotto
le apparenze di trattative di pace e parentela tra loro. E avendo
Pietro Re d'Aragona già allestito navi e quanto occorre a guerra per
navigare alla volta della Sicilia, il Re di Francia mandò a lui una
straordinaria ambasciata e messi speciali, a significargli che non
andasse punto contro suo figlio Re Carlo, nè ponesse piede sul regno
di lui, perchè se mai facesse ingiuria a Re Carlo, o all'erede di Re
Carlo, la reputerebbe fatta alla propria persona. E Pietro con cortesia
e benignità rispose agli ambasciatori che egli non aveva per nulla
intenzione di fare ingiuria a Re Carlo, nè all'erede di Re Carlo; ma
desiderava di andar oltremare contro gli infedeli Saraceni, e che tutto
quel di territorio potesse conquistare, lo assegnerebbe a quel proprio
figlio che prendesse moglie la figlia del figlio di Re Carlo. Ricercò
per di più al Sommo Pontefice la decima delle terre dello Stato della
Chiesa in aiuto di quell'impresa, che voleva compiere oltremare contro
i Saraceni, ad esaltazione e gloria della fede cristiana; e pregollo
altresì di voler prendere sotto la propria custodia e tutela il suo
regno di Aragona. Quando poi Re Carlo ebbe notizie che Pietro con quel
tessuto di menzogna era riuscito a por piede in Sicilia, per mezzo di
messi speciali e per lettere gli impose di ritirarsi dal suo regno,
e per nessun pretesto lo occupasse. Ma Pietro, fidente nelle proprie
forze e nelle popolazioni della Sicilia, rispose che non sgombrerebbe
mai dal Regno di Sicilia, finchè potesse tenerlo in suo dominio. Udita
tale risposta, Re Carlo, che allora era in Puglia, adunò un esercito
innumerevole di fanti e di cavalli, e per mare con immenso naviglio
mosse contro di lui. Ma i Cavalieri più saggi, che accompagnavano
l'uno e l'altro Re, ad evitare che tanta moltitudine d'uomini fosse
condotta a strage, proposero che tra Re Pietro e Re Carlo si facesse
un duello. E furono eletti sei probi e prudenti Cavalieri dall'una e
dall'altra parte, che dovevano ordinare e disporre in che luogo, in
che modo, con quali formalità, in che tempo e come s'avesse a fare il
duello. I quali tutti concordemente deliberarono e statuirono per lo
meglio che si dovesse fare a Bordeaux, città della Guascogna, sotto la
Podestà e il dominio del Re d'Inghilterra, e definitivamente fissarono
che l'uno e l'altro, Re Carlo e Re Pietro d'Aragona eleggessero
que' cento de' loro migliori Cavalieri che volessero, e con loro i
Re medesimi in persona si dovessero trovare al 1.º di Giugno 1283
indizione 11ª nel luogo prestabilito; e che nel medesimo luogo e
città si dovesse preparare un campo tutt'intorno chiuso, sicchè
nessuno potesse entrare, tranne i detti Re e loro Cavalieri. Le quali
cose tutte Re Carlo e Re Pietro giurarono sul santo Vangelo di Dio
di osservare appuntino e che al dì prefisso, nel preindicato luogo
anderebbero coi duecento cavalieri, salvo impedimento di salute, e
che tra loro personalmente si batterebbero. Così pure sul Vangelo di
Dio giurarono che chi non si trovasse al convegno nel giorno e nel
luogo prestabilito, si dovesse per tutta la di lui vita chiamare non
Re, ma mentitore, traditore, e mancatore della fede data, e che del
resto non potesse avere nè conseguire onore alcuno al mondo; e se da
persona ne fosse interrogato, non lo dovesse negare, ma dappertutto
e a tutti e singoli l'avesse da confessare. Il serenissimo Re Carlo,
illustre protettore e scudo della sacrosanta madre Chiesa romana e
della fede cristiana, secondo le convenzioni e i patti preaccennati,
al tempo prefisso, presente Giovanni di Grillo Cavaliere siniscalco
dell'illustre Re d'Inghilterra, e presenti moltissimi altri Giudici e
Ufficiali del detto Re d'Inghilterra, di lui Luogotenenti in Guascogna,
e specialmente nella città di Bordeaux, si presentò in questa città al
giorno prefisso, con i suoi cento Cavalieri per battersi personalmente
in duello, e aspettò Re Pietro da mattina a sera. Ma Re Pietro,
quantunque da più persone degne di fede fosse stato veduto sano di
corpo il giorno precedente, e tanto vicino alla città di Bordeaux,
che, se avesse voluto, avrebbe potuto trovarvisi, tuttavia non vi
andò, non comparve; nè esso, nè altri per lui ne fece scuse di nessuna
sorta. Dovendo dunque il detto Pietro d'Aragona, giusta le ragioni e
le convenzioni sopra allegate, essere spogliato e privato d'ogni onore
reale, e passar sempre la vita sua nell'ignominia, il Legato, per
mandato del Sommo Pontefice, conferì il Regno d'Aragona all'illustre Re
di Francia pel figlio di lui. Il Re di Francia lo accettò, e inviò sua
gente ad occuparlo dalla parte della Navarra, e ordinò di fare subito
una leva generale nella Catalogna. Il Re Carlo va in Francia, e deve
trovarsi ad un abboccamento col Re d'Allemagna. Il Re di Francia e il
Re d'Inghilterra inviano loro gente in aiuto del Re di Castiglia contro
i di lui figli ribelli; in aiuto del quale andò Boise Re de' Mori con
10000 soldati, e ricuperò già molte terre; e si è fatto accordo che i
nepoti del Re di Francia abbiano da avere il regno dopo la morte dello
stesso Re di Castiglia. Il Re di Portogallo e dell'Algarvia scrisse
al Re di Francia e al Re d'Inghilterra, e inviò a loro messi speciali
per significare che era dolente della fatuità di Pietro suo cognato,
e che era pronto a fare ciò che volessero. Il Re d'Inghilterra negò al
figlio del detto Pietro la sua figlia che gli aveva promessa moglie; e
il Re di Maiorica mandò una solenne ambasciata e lettere per avvisare
che non voleva immischiarsi negli affari di suo fratello. E si crede
per fermo che si firmassero patti secreti tra lui e il Re di Francia a
Moissac[57], ai 27 di Giugno, indizione 11.ª. E nota che quando i due
detti Re giurarono di fare quel duello, Papa Martino IV s'interpose
per consiglio e assenso de' suoi Cardinali, e proibì che si facesse;
ma la sua opposizione non approdò a distorne l'ostinato animo di
Carlo, se pure Pietro d'Aragona si fosse prestato a farlo. Tuttavia
non mancano coloro che scusano Pietro Re d'Aragona d'essersi sottratto
al convenuto duello, e sostengono che non presentossi, perchè il Re di
Francia stava pronto con un esercito vicino al luogo del combattimento
per soccorrere al bisogno suo zio Re Carlo. E vi fu chi disse che Re
Pietro sotto mentite spoglie di mercante andò fino presso al luogo
fissato pel combattimento per non infrangere il giuramento, e ne fece
rogare atto pubblico: e che poi se ne sottrasse per timore che il Re di
Francia accorresse in aiuto di Carlo. Nell'anno sussegnato s'incendiò
il convento dei frati Predicatori in Verona, e ne furono danneggiati
assai, essendone bruciati i libri, e fusi i calici. Lo stesso
infortunio toccò ai frati Minori presso Lione, dopo Natale, la sera di
S. Stefano, quando colà risedeva Papa Innocenzo IV co' suoi Cardinali.
In quell'ora frate Pietro di Belleville, un vecchietto, studiava la
predica che doveva fare l'indomani; ed essendosi addormentato, s'accese
il fuoco; e se, svegliatosi, avesse gridato, avrebbe avuto soccorso,
ma invece s'affrettò alla cucina per una secchia d'acqua, volendo
all'insaputa di tutti estinguerlo; ma quando tornò, il fuoco era tanto
dilatato, che ne bruciò il dormitorio e tutti i libri. Ed in quell'anno
io mi trovai là con frate Giovanni da Parma Ministro Generale, cui il
Papa voleva mandare in Grecia. E nel detto millesimo 1283, abitando io
nel convento di Seggio, il dì d'Ognissanti, dopo mattutino, uscendo
di chiesa entrai nel chiostro, ed ivi stetti all'aperto sul prato;
e pioveva dall'alto una pioggia copiosa, e più alto ancora io vedeva
contemporaneamente un cielo sereno, lucidissimo e trapunto di stelle.
Questa cosa l'ho vista anche un'altra volta l'anno dopo, ma di giorno,
e non potei vedere le stelle.


a. 1284

L'anno 1284, indizione 12., il 27 di Febbraio, si udirono terribili
tuoni, quali sogliono udirsi il giorno di S. Gervaso e Protaso,
e Giovanni e Paolo piovve e grandinò. L'anno stesso i Parmigiani
costruirono un bel ponte di pietra sul torrente Parma, dove era ab
antico un ponte di legname, che si diceva di donna Egidia[58]. E fu
donna Egidia da Palù, che aveva anticamente fatto costruire quel
ponte di legno, quando il Comune di Parma assegnò a Bonacorso da
Palù una porta della città, da difendere, ed era allora vassallo del
Comune di Parma, perchè occupava quella porta, e dal Comune avevala
avuta. Ma in seguito per le accese ire dei partiti, e per rottura
tra la Chiesa e l'Impero, i Parmigiani in odio al partito imperiale
ruinarono quella porta sino alle fondamenta. Parimente in quest'anno
si cominciò in Parma un nuovo e bel campanile tra la Chiesa maggiore e
la canonica[59], dove prima era il vecchio. In detto anno vi fu anche
abbondanza di frumento; di vino se n'ebbe poco a confronto dell'anno
anteriore, ma buono; d'ogni sorta frutti ve ne fu gran copia... fu
misericordia di Dio, giacchè gli anni precedenti, a cagione de' bruchi
da frutti, le piante non ne portarono a maturità.... Nello stesso
millesimo molti fatti accaddero non veramente degni di storia, ma che
però non debbono passare al tutto sotto silenzio. In assenza di Re
Carlo, il figlio di lui, al quale aveva affidato il Regno di Puglia,
andò e commise battaglia navale coll'armata di Pietro d'Aragona, e la
sua armata fu rotta, ed egli stesso prigioniero; nè vi era presente
il Re d'Aragona, ma l'Ammiraglio di lui colle sue navi. Arrivato poi
Re Carlo a Napoli, pochi giorni dopo la cattura del figlio, convocata
un'adunanza, proclamò suo figlio uno stolto, pazzo, insensato, e
che aveva operato senza senno, commettendo battaglia senza il suo
consiglio, e perciò non voleva prendersi pensiero di lui, come non
fosse mai nato. E lo diseredò, gli tolse il Principato e lo assegnò
al figlio del figlio prigioniero. E a dimostrare allegrezza, e far
scomparire ogni segno di lutto, ed esaltare la promozione del nipote,
fece in città co' suoi cavalieri un torneo; e così si finse sereno e
senza rabbia. Tuttavia in processo di tempo si trovò in brutte acque,
a tale che, quanto a denari, ne cercò a' suoi amici per le città
Lombarde; ed anche i Parmigiani per amichevole soccorso gli diedero
due migliaia di fiorini d'oro, cioè mille lire imperiali. E credo che
anche altre città gli stendessero la mano soccorrevole. Questi due Re,
cioè Carlo e Pietro d'Aragona, gravi e reciproche insidie si tramavano
a cagione del possesso del Regno di Sicilia; ma la loro fine sta ancora
sepolta nell'avvenire. Ora, che scriviamo queste cose volge l'anno
1284, settembre, giorno dell'esaltazione della santa Croce; e chi ama
il Re d'Aragona dice di lui ogni bene; e chi ama Re Carlo dice ogni
bene di Re Carlo. In questo stesso anno, la città di Modena si divise
in due fazioni; e cagione di tale scissura furono alcuni omicidii
commessi maliziosamente, turpemente e vergognosamente senza che i loro
autori ne toccassero la dovuta pena, cioè senza applicazione della
legge. E quelli da Rosa, ossia di Sassuolo andarono fuori di città
con quelli di Savignano e co' Grassoni e loro aderenti, tanto popolani
che militari; ed occuparono Sassuolo, Savignano[60], Monbaranzone[61],
e in breve, occuparono tutta la zona di territorio al di sopra della
strada Emilia. Fortificarono Sassuolo, inchiudendo nella cerchia dei
fortilizii tutte le case del paese, e cavarono fosse d'ogni intorno;
e scorrazzavano per la diocesi di Modena, devastando, incendiando e
rapinando, perchè quelli della città non li volevano lasciar rientrare.
E mandaron dicendo ai Parmigiani che accettassero le chiavi de' loro
castelli e delle fortezze che avevano, e fossero loro Signori. Quelli
poi che erano in città licenziarono il loro Podestà, Pallastrelli di
Piacenza, pagandogliene il salario, e crearono Podestà un Pistoiese,
e posero a ruina le case e i palazzi dei fuorusciti. E quando i
Parmigiani mandarono i loro ambasciatori a Modena per rappacificare
tra loro i due partiti, mentre gli ambasciatori andavano per la città
pregando di fare quanto era necessario per la pacificazione, i Modenesi
stavano per le vie sull'armi alle porte delle case loro, e digrignavano
i denti contro gli ambasciatori Parmigiani, e andavano ripetendo:
Che si fa? Gettiamoci sopra di loro, dilaceriamoli, perchè son essi
che ruinano la città nostra. E così calunniavano chi non aveva colpa;
stantechè per contrario i Parmigiani molte volte hanno sguainate le
spade a favore di Modena contro i Bolognesi. Gli ambasciatori inviati
dai Parmigiani a Modena erano: Il Capitano del popolo Egidio Milleduci,
che è maestro di leggi, ed altri non pochi, che riferirono al ritorno
queste scene ai Parmigiani nel palazzo, in pieno Consiglio generale.
Ed i Parmigiani ridevano all'udir queste cose, nè vi fu persona che
proferisse sinistre parole contro i Modenesi. Poichè sapevano tutti
di non aver inferto alcun danno a Modena, e sapevano anche che la
causa della ruina di Modena era il tizzone della discordia ardente
tra i Boschetti e quelli di Savignano. E i maggiorenti che erano in
Modena, e che furono e ne sono i capitani, erano i Rangoni, i Boschetti
e i Guidi. E al principio di questo dissidio i Modenesi di dentro
la città fecero grande allestimento d'armi e di tutte le cose che a
guerra sono necessarie; e approntarono carri carichi di vettovaglie,
di baliste e d'armi, e condussero numerose squadre contro i Modenesi
fuorusciti, sperando di avvilupparli; e con questo apparato corsero
sopra Sassuolo, e cominciò un combattimento con quelli di Sassuolo.
(Sassuolo è un castello a dieci miglia da Modena sulla Secchia). Ma i
Modenesi fuorusciti si trovavano a Savignano. Tostochè Manfredino di
Sassuolo seppe che i suoi erano alle prese coi nemici, e che virilmente
si battevano aspettando soccorso, coll'eccitamento nell'animo disse
a quelli di sua parte: Se vi è chi sia mio amico, si unisca a me, ed
ora ne faccia prova, e combattiamo oggi per noi e pei nostri amici.
Lo seguirono allora tutti quelli che erano atti a portare le armi,
giovani e vecchi, eccetto quelli che erano necessari a tenere guardia
a Savignano; ed irruppero poderosamente contro i Modenesi di dentro
la città, e li sconfissero, molti ne passarono a fil di spada, e molti
ne fecero prigionieri, e fecero bottino di tutte le vettovaglie e del
materiale da guerra. È vero però che i vinti, quand'ebbero veduto
la fierezza dell'assalto e l'audacia de' loro nemici concittadini,
si diedero a fuggire gettando via le armi e i vestiari e quanto
portarono, pensando solo a salvarsi. Sapute i Parmigiani queste cose,
mandarono con grande apparato ai Reggiani otto ambasciatori, persone
che tutte erano state più volte insignite dell'ufficio di Podestà di
città cospicue, a pregarli di non far pazzie, come i Modenesi, e non
rovinare la patria; e si fermarono a Reggio non pochi giorni, ed io
li ho veduti, ed ho loro fatto visita, perchè in quel tempo io era
addetto al convento di Reggio. (Gli ambasciatori Parmigiani erano:
Matteo da Correggio, Bonacorso di Montecchio, Rolando Putagio, Rolando
degli Adegherii, Ugolino Rossi, Egidiolo di Marano, e due popolani,
i cui nomi non ricordo). Ai quali i Reggiani risposero che avessero
pur eglino cura e sollecitudine di custodire la loro Parma, ch'essi
s'adoprerebbero a custodire la città propria, a ciò non cadesse a
ruina. E i Reggiani diedero risposta di questo tenore, perchè tanto
in Parma che in Reggio regnava una certa ambizione e gelosia, quasi
volessero dire: _O medico, cura te stesso_. In Reggio, oltre il partito
imperiale, già da lungo tempo espulso, vagante ed errante in esilio,
s'erano formati due partiti tra quelli che tenevano per la Chiesa,
dei quali uno si diceva il superiore, e l'altro l'inferiore. Del
partito superiore della città di Reggio erano principali personaggi
e Capitani: Azzone Manfredi, Antonio Roberti, Tomasino suo figlio, e
Matteo Fogliani co' suoi seguaci. Del partito inferiore erano capi:
Rolandino di Canossa, Francesco Fogliani, il suo fratello Prevosto di
Carpineti co' suoi aderenti, Guido da Albareto, Ezzelino suo figlio,
ed un altro Rolando, Abbate di Canossa, Scarabello, Manfredino di
Guercio, Ugo di Corrado, Corradino suo figlio, Giacomino de' Panzeri,
Tomasino suo figlio, Bartolomeo dei Panzeri, Zaccaria suo figlio,
Guglielmo de' Lupicini Abbate di S. Prospero (che fece pace coi Bajardi
e si rimase nel suo monastero) e Garsendonio de Lupicini (costui poi
disertò, abbandonando il partito, e fece adesione a Matteo Fogliani,
e s'imparentò con lui, accettando una figlia per moglie al proprio
figliuolo Ugolino), finalmente Guido de' Lupicini, e più altri. In
Parma poi vi era questa divisione: Obizzo Sanvitali Vescovo di Parma
coi di lui seguaci era capo dell'una parte; dell'altra parte era Ugo
Sossi germano consanguineo di lui, essendo figli di due sorelle,
ed ambidue nipoti di Papa Innocenzo IV. Per Ugo Rossi tenevano
quelli da Correggio e molti altri notabili Parmigiani. Queste sono
pompe ed ambizioni da lasciarsi in disparte e degne dello sprezzo
degli uomini sennati, perchè l'Apostolo dice... Frattanto accortisi
i Reggiani d'aver data risposta di poco garbo agli ambasciatori
Parmigiani, pentiti, e costretti da necessità, elessero alcuni proprii
ambasciatori, li inviarono ai Parmigiani e dai Parmigiani ottennero
tutto quello che vollero, e li fecero giurare sull'anima propria di non
venir meno a quello che domandavano, cioè se l'un partito di Reggio
malignamente espellesse l'altro, i Parmigiani aiuterebbero sempre
chi fosse stato iniquamente espulso, e molte altre cose si pattuirono
utili a mantenere in città la concordia. Gli ambasciatori mandati dai
Reggiani ai Parmigiani erano: Rolandino di Canossa, Guido da Tripoli,
ed un Giudice, Pietro di Albinea, che fu l'oratore dell'ambasciata.
Questi avendo, nel loro albergo in borgo di S. Cristina, udito
parlare di Asdente, profeta de' Parmigiani, lo mandarono a chiamare
per consultarlo intorno alle sorti della loro città; e gli imposero
sulla sua coscienza di non tacer nulla di quello che Dio stava loro
preparando per l'avvenire. Ed egli rispose che se si conservassero
in pace sino a Natale, sfuggirebbero all'ira di Dio; diversamente
berrebbero tutto il calice dell'ira divina, come l'avevano ingollato i
Modenesi. Essi risposero che si sarebbero mantenuti in pace; che anzi,
per raffermare la pace e l'amicizia, si disponevano a stringere tra
loro vincoli di parentela per mezzo di matrimonii. Ai quali egli di
ripiglio soggiunse che queste cose si facevano da loro con mala fede, e
che sotto il velo della pace si nascondeva il veleno. Se ne ritornarono
pertanto gli ambasciatori, e non si parlò più in seguito di matrimonii;
studiarono vieppiù a fabbricare materiale da guerra, che a mantenere
una scambievole amicizia; e si verificò di loro quello che Michele
Scoto disse in que' suoi versi, ne' quali vaticinava il futuro:

    Et Regii partes insimul mala verba tenebunt.

      In Reggio ogni fazion rotta ha la fede,
      Le lingue arrota, si dilania e fiede.

In questi giorni si strinsero con vincoli di amore e di amicizia
in una forte alleanza le città di Piacenza, Parma, Cremona, Reggio,
Modena, Bologna, Ferrara e Brescia, che tutte parteggiavano per la
Chiesa. I partigiani dell'Impero già da lungo tempo esulavano dalle
loro città, e andavan vagando pel mondo senza speranza di rimpatriare,
per quanto dipendeva dal partito della Chiesa; Mantova poi era della
fazione contraria per impulso di Pinamonte, che la signoreggiava. Le
suddette città adunque conoscendo tutti i danni, che avevano incolto
i Modenesi, elessero dal proprio seno un certo numero di cospicui
ambasciatori, e li mandarono a Reggio, perchè ivi convocassero una
grande assemblea allo scopo di ripristinare in Modena la pace, se
ve ne fosse modo. Ma non lo poterono, quantunque vi si adoprassero
attorno molti giorni, e vi fossero convenuti i rappresentanti delle
due parti di Modena, cioè quei di dentro, e quei di fuori. Finalmente
gli ambasciatori con chiusero, deliberarono e decretarono che non si
recherebbe a nessuna delle due parti nè consiglio, nè soccorso, nè
aiuto, nè favore, sia perchè non vollero per loro bene e per la pace
consentire alle proposte fatte, sia perchè non si poteva far danno
a nessuna delle due parti dei Modenesi senza offendere il partito
degli alleati, sendochè tutti stavano per la Chiesa, ed anche per non
alimentare in quei di Reggio e d'altre città la speranza di ricevere
aiuti, se talora in eguale maniera folleggiassero. Allora i Modenesi
vedendosi abbandonati a se stessi da tutti quegli amici loro, in cui
confidavano, mandarono a Firenze e alle altre città della Toscana per
indurle a raccorre soldati, e a formare e mandare un esercito potente
a farla finita, e che l'una parte l'altra esterminasse e disperdesse.
Così stanno le cose oggi, ottava della Natività della beata Vergine.
Come finirà, sallo Iddio; se camperemo, vedremo. Allora i Reggiani
licenziarono il loro Podestà Tobia Rangoni di Modena, che andasse
pe' fatti suoi, e se ne tornasse a Modena sua città, datogli prima
quel salario che ad onore e decoro gli era dovuto. E per tre motivi
ebbero a licenziarlo: Perchè era nuovo nel ministero dell'amministrare
(non aveva mai avuto altra Podesteria che questa) e contro alcuni
procedeva con acrimonia e ingiustizia; e per lievissimo fallo multava,
o cacciava in carcere; la qual cosa spiacque ai Reggiani.... Perchè
era balbuziente, tanto che provocava a riso chi l'ascoltava, e quando
in consiglio voleva dire: Avete udito (_propositam_) la proposta?
Diceva: _audivistis propoltam?_ E lo deridevano come scilinguato; ma
invece era balbuziente. Però meritano più di essere derisi quelli, che
eleggono alle magistrature uomini di quella fatta, i quali non hanno
valore di sorta: il che è segno che i simili godono che vi siano dei
loro simili, lasciandosi guidare dall'interesse privato più che dal
bene pubblico.... Finalmente perchè poneva in opera ogni mezzo per
provocare discordie in Reggio e trascinare i Reggiani a parteggiare
per la sua fazione, cioè quella dei Modenesi, che erano dentro Modena.
Le quali cose considerando, i Reggiani lo deposero dall'ufficio,
lasciandogli facoltà di tornare tra' suoi, ed elessero Podestà quello
che era lor Capitano, aumentadogli il salario, per avere in avvenire
un uomo che fosse saggio ed intraprendente, dal cui diritto operare
e dalla cui fedeltà si crede salvata la città di Reggio.... Egli
era oriondo di Città di Castello. In questi giorni Obizzo Vescovo di
Parma convitò in casa sua il profeta de' Parmigiani, che si chiamava
Asdente, e lo interrogò minutamente intorno a cose che stavano ancora
nascoste nel fitto velo del futuro. Il quale rispose, a udita di molte
persone, che fra breve i Reggiani e i Parmigiani soffrirebbero molte
tribolazioni; e parimente vaticinò intorno alla morte di Martino 4.º
Sommo Pontefice, delle quali cose determinò e specificò i tempi, ch'io
non voglio riportare; e che a Martino dovevano succedere tre Papi tra
loro divisi e nemici, de' quali uno sarebbe stato legittimo, gli altri
eletti illegittimamente; predisse anche la ruina di Modena prima che
avvenisse. E questo profeta altro non è che un uomo che ha l'intelletto
illuminato ad intendere i detti di Merlino, della Sibilla, dell'Abbate
Gioachimo e di tutti quelli che lessero nel futuro; ed è uomo cortese,
umile, famigliare, senza sussiego, senza superbia, nè annunzia mai
cosa con affermazione assoluta; ma dice sempre: Così pare a me; così
intendo io il tal libro. E quando taluno leggendo in sua presenza,
salta qualche tratto, subito se ne accorge, e dice: Tu mi fai inganno,
tu hai ommesso qualche cosa. E molti da diverse parti del mondo vanno
ad interrogarlo. Egli aveva predetto ben tre mesi prima dell'evento
il disastro de' Pisani; e un certo Pisano venne da Pisa a Parma per
un suo scopo ad interrogarlo, dopo due battaglie già combattute coi
Genovesi. Perocchè i Pisani e i Genovesi tre volte si sono battuti
in battaglia navale; la prima nel 1283, e due volte nel 1284, e ne'
primi due combattimenti, tra morti e prigionieri si calcolano messi
fuori di linea 6000, tra' quali il Conte Facio fu condotto prigione
a Genova, e molti altri notabili. E, mentre tra loro in mare ferveva
ancora la battaglia, un tal Genovese montò su una nave Pisana e si
caricò di lastre d'argento; ma avendo l'armatura di ferro, ed essendo
carico di lastre e volendo di nuovo risalire sulla sua nave non potè
raggiungerla e cadde e colò a fondo, come una pietra, col ferro e
coll'argento, e fors'anche colle sue scelleratezze. Tutti questi
particolari li ho uditi dal lettore di Ravenna che era un Genovese,
e veniva allora allora di Genova. E nota miracolo, e pensa: I Pisani
sono stati sbaragliati e fatti prigionieri dai Genovesi nel tempo, nel
luogo, nel mese, nel giorno, in cui essi avevano catturato i Prelati
a' tempi di Papa Gregorio IX di buona memoria; e giudica se è vero ciò
che il signore disse in Zaccaria 2.º: _Chi tocca voi, tocca la pupilla
dell'occhio mio._ Nota che i Parmigiani, uno de' quali mi son io,
dicono che la vendetta sino a trent'anni è ancora in tempo. E dicono
vero. Ve ne ha un esempio lampante in S. Brizio, a cui dopo trent'anni
di episcopato toccò la pena vindice delle moltiplici afflizioni inferte
a S. Martino, per cui ne soffrì moltiplici tormenti. Leggi la vita di
S. Brizio, e vedrai se non è come ti dico. Così l'anno 1284 ripensando
i Pisani al danno inferto loro dai Genovesi, e volendosene vendicare,
costruirono sull'Arno molte navi e galee e attrezzi di marina; e,
allestita la squadra, deliberarono e pubblicarono ordinanza che dei
Pisani dai venti a' sessant'anni nessuno vi fosse esente dal servire in
guerra. E corsero tutta la marina Genovese distruggendo, incendiando,
uccidendo, catturando, e rapinando: e devastarono tutto quel tratto di
litorale che da Genova si stende sino alla Provenza, passando davanti a
tutte le città marittime, cioè Noli, Albenga, Savona, e Ventimiglia in
cerca de' Genovesi per dar loro battaglia. I Genovesi anch'essi avevan
fatta ordinanza che nessuno dei loro dai diciotto ai settant'anni
rimanesse a casa, ma dovesse co' suoi concittadini impugnare la
spada; e così correvano il mare dando la caccia ai Pisani. Finalmente
s'incontrarono fra il Capo Corso e la Gorgona[62], legarono insieme
colle catene le galee, come è loro costume nelle battaglie navali, ed
ivi si batterono con tanta strage d'ambe le parti, che pareva averne
compassione anche il cielo e conturbarsene. Molti dell'una parte e
dell'altra eran morti e molte navi colate a fondo. E già i Pisani
avevano avuto il sopravvento, quando giunse ai Genovesi un rinforzo di
galee, e di nuovo si lanciarono sui Pisani già stanchi; ma pur tuttavia
gli uni e gli altri continuarono la zuffa con accanimento. Finalmente i
Pisani, riconoscendosi vinti, si arresero ai Genovesi, i quali uccisero
i feriti, e mandarono gli altri alle prigioni. Ma anche chi vinse
non potè menarne gran vanto, poichè la battaglia fu deplorevolmente
sanguinosa pei vinti e pei vincitori. E furono tante le lagrime ed
i sospiri in Genova e in Pisa, che mai non ne furono altrettanti in
quelle città dalla loro fondazione sino a noi. E chi senza piangere
e senza contristarsi può narrare il furore, con cui quelle due
nobilissime città, d'onde veniva agli Italiani ogni sorta di ben di
Dio, si laceravano per sola vanità, e ambizione, e vana gloria di
supremazia, come, se il mare non fosse ampio abbastanza ai naviganti?
Quindi invalse l'usanza di dire:

    Iniuriam latam sibi nunquam vindicat apte,
      Qui ruit in peius, quo dedecoratur aperte.

      Male al danno appien provvede
          Chi da folle se lo incoglie;
          Ma se al peggio volge il piede
          Danno ed onta ne raccoglie.

Questa battaglia fu combattuta ai 13 d'Agosto, Domenica, festa dei
SS. Ippolito e Cassiano[63]. Io non ho voluto segnare quì il numero
dei morti e dei prigionieri dell'una e dell'altra parte, perchè si
racconta in diverse maniere. Però l'Arcivescovo di Pisa ne fissava
un numero preciso in una lettera all'Arcivescovo di Bologna, numero
ch'io non voglio notare, perchè aspetto da Pisa alcuni frati Minori,
che me ne daranno la cifra accertata. E nota che questa battaglia
tra Pisani e Genovesi fu pronosticata e segnalata molto prima che
si combattesse, giacchè nella villa di S. Ruffino[64] della diocesi
di Parma, alcune donne, che di notte purgavano il lino, videro due
grandi astri in cielo, che andavano l'uno contro l'altro all'assalto,
e più volte si ritirarono, e più volte di nuovo ritornarono al cozzo.
Nell'anno sussegnato, dopo la battaglia tra Pisani e Genovesi, molte
donne Pisane, belle, nobili, ricche e di potenti famiglie, unite ora a
trenta, ora a quaranta insieme, da Pisa a piedi si recavano a Genova
per cercare e fare visita ai prigionieri di loro famiglie; tra quali
chi vi aveva il marito, chi il figlio, il fratello, il consanguineo,
cui _Iddio non aveva balzati nel seno della misericordia di coloro
che li avevano fatti prigionieri_ (Salmo 105.º). E quando quelle donne
domandavano ai custodi delle carceri di vedere i proprii parenti, si
sentivano rispondere: Ieri ne sono morti trenta, oggi quaranta, e li
abbiamo gettati in mare, e di questo ne tocca ogni giorno ai Pisani.
E quelle donne udendosi dire tali cose de' loro cari, e non potendoli
rivedere, angustiate dalle strette del cuore cadevano a terra, e per
la piena dell'affanno e del dolore appena potevano respirare; e poi,
ripreso fiato, colle unghie si laceravano la faccia, si scarmigliavano
i capelli, e ad alte e gemebonde grida piangevano fino a che loro
restavano lagrime da versare. Imperocchè i Pisani morivano in carcere
d'inedia, di fame, di penuria, di miseria, di dolore e di tristezza,
poichè: _Ebbero dominio su di loro quelli che li odiavano, i loro
nemici eran quelli che li tormentavano, ed erano caduti sotto le loro
mani._ (Salmo 105º). Nè i Pisani erano giudicati degni de' sepolcri
de' padri loro, e perciò li privavano di sepoltura.... E quando le
dette donne Pisane arrivavano di ritorno a casa, trovavano morti
altri, che alla partenza avevano lasciati sani. Iddio in quell'anno
percosse la città di Pisa con una pestilenza, che trasse assai di
cittadini al sepolcro... nè vi era casa, in cui non si trovasse un
morto.... Toccò Iddio i Pisani colla spada del suo furore perchè da
lungo tempo erano diventati ribelli alla Chiesa, e perchè avevano
catturato in mare i prelati che andavano al concilio convocato da
Papa Gregorio IX di buona memoria.... Quattr'anni io ho abitato nel
convento di Pisa dell'Ordine de' frati Minori, ben quarant'anni fa, e
perciò mi contristano le sventure de' Pisani, e ne ho compassione: e
Dio me lo vede nel cuore. E, quando io abitava colà, fu per tre anni
loro Podestà Bonacorso da Palù, cui i Pisani fecero loro Ammiraglio,
e lo misero alla testa di quella loro armata, che condussero sulle
loro galee sino alle bocche del porto di Genova. (Ed i Pisani oltre
le galee vecchie che possedevano, ne costruirono cento di nuove per
trasportare quell'esercito, e l'Imperatore in servizio e aiuto dei
Pisani, ne mandò di sue cinquanta in completo assetto di guerra, le
quali, trovandomi io sul porto di Pisa, ho vedute io arrivare dal
Regno.) Ed i Pisani, giunti colla loro armata vicino al porto di Genova
lanciarono contro la città per millanteria, per fasto ed a sempiterna
memoria, un nembo di saette che portavano l'acuta punta non di ferro,
ma d'argento. Essi per tanto vedendo che i Genovesi non uscivano a
battaglia, risolcarono il mare devastando e incendiando tutto quanto si
parava loro innanzi lungo il litorale de' Genovesi. E nota che come è
naturale l'odio tra l'uomo e il serpente, il cane e il lupo, il cavallo
e il grifone, così cova un lungo odio tra Pisani e Genovesi, Pisani e
Lucchesi, Pisani e Fiorentini. Tra Pisani e Genovesi per cagione della
supremazia sul mare, volendo per una certa ambizione, ciascuno parere
da più dell'altro; e allora i monti si innalzano, ma le pianure non si
abbassano.... Tra Lucchesi e Pisani cova odio, discordia e malevolenza,
non solo perchè quelle due città sono di territorio confinanti,
ma anche perchè i Pisani appresero dieci castelli del Vescovo di
Lucca, e li tennero lungo tempo, per cui furono anche scomunicati, e
persistettero lungo tempo nella loro pertinacia (quelle castella erano
sui monti). Tra Fiorentini poi e Pisani cova odio, perchè quando i
Fiorentini andavano a Pisa per comperare merci, i Pisani facevano loro
pagare troppo grave dazio d'uscita alle porte. Avuta dunque notizia
i Fiorentini e i Lucchesi, che erano legati tra loro d'interessi e di
amicizia, del gran colpo inferto dai Genovesi ai Pisani, giudicarono
quello un momento favorevole, e ordinarono un esercito contro i Pisani
nell'anno preindicato, in Dicembre, poco prima di Natale, e con loro
dovevano trovarsi quei di Prato e di Corneto per avviluppare i restanti
Pisani, e se fosse possibile, ridurli a completa ruina, e farli sparire
dalla faccia della terra. La qual cosa risaputasi dai Pisani, se ne
impensierirono altamente, riconoscendo che su di loro si adempieva
quel detto del Deuteronomio 28.º: _E voi resterete poca gente, là dove
per addietro sarete stati come le stelle del cielo in moltitudine._
Onde i Pisani atterriti si volsero a pregare Iddio.... Avendo dunque
sciolte al cielo le preghiere, s'avverò la scrittura che dice: _È
necessario che intervenga l'aiuto di Dio quando manca quello degli
uomini._ E sorse loro in mente il buon consiglio di mandare le chiavi
della loro Pisa a Papa Martino perchè li difendesse dai loro nemici; il
quale di buon grado li accolse tra le sue braccia, e represse i nemici
insorgenti.... Isaia 60º: _Ed i figliuoli di quelli che ti affliggevano
verranno a te inchinandosi; e tutti quelli che ti dispettavano si
prostreranno alle piante de' tuoi piedi._ Ciò che ho udito, ho scritto;
oggi le cose sono così; non si sa come anderà poi a finire; chi camperà
vedrà l'esito degli eventi. Tutto il mondo è in perturbazione e volto
al sinistro; siamo sulla fine del 1284. Nel millesimo suindicato corse
voce che Federico 2º, già Imperatore, vivesse ancora in Allemagna; e
che avesse sèguito di una immensa moltitudine di Tedeschi, ai quali
largamente faceva le spese. E acquistò tanta consistenza e diffusione
questa voce che molte città Lombarde spedirono messi speciali a vedere
e constatare, se effettivamente ancora vivesse, o se fosse una fiaba.
Anche il Marchese d'Este ne mandò uno per conto proprio. Anche alcuni
Gioachimiti prestarono qualche fede alla voce corsa e credettero non
impossibile la sopravvivenza di Federico, perchè la Sibilla dice:
«Essa chiuderà gli occhi di morte ascosa, cioè la gallina gallicana,
e sorviverà e suonerà fama a dire in mezzo ai popoli, vive e non
vive, essendo superstite uno dei polli, o uno de' polli dei polli.»
Anche Merlino dice di lui: «Due volte quinquagennario sarà trattato
blandamente.» Il qual passo i Gioachimiti lo interpretavano così: Due
volte cinquanta fanno cento; quasi sostenendo che avesse cent'anni.
Ma non ne fu nulla. Col tempo si provò che era un ciurmadore, un
gabbamondo, che tali cose fingeva a guadagno; e così tanto egli che i
suoi seguaci sfumarono. Parimente nello stesso anno suonò altra fama.
Dissero testimoni veridici, cioè frati Minori e Predicatori che da
poco erano arrivati d'oltremare, che tra Tartari e Saraceni era per
avvenire una gran novità. Dicevano dunque che il figlio del defunto Re
dei Tartari era insorto a combattere lo zio regnante, che aveva fatta
adesione ai Saraceni; e l'aveva ucciso, e con lui aveva fatta strage
di una grande moltitudine di Saraceni. Inoltre mandò comando al Soldano
di Babilonia di fuggire in Egitto; altrimenti se l'avrà tra le mani, lo
ucciderà, quando arriverà ai paese di lui, ove si è proposto di andare
sollecitamente; perocchè, come si dice, vuol essere in Gerusalemme il
Sabato Santo; e se vedrà discendere fuoco dal cielo, come asseriscono i
cristiani, minaccia di uccidere tutti gli Agareni che potrà incontrare.
E già prima di cominciare la predetta guerra alleato coi Georgiani e
cogli altri cristiani, a cui aveva fatta adesione, fece coniare moneta,
sovra un lato della quale vedevasi il Sepolcro, e sull'altro stava
scritto: In nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo. Pose
anche sulle armi e sugli stendardi la croce, e nel nome del Crocifisso
menò duplice strage, cioè dei Saraceni e dei Tartari avversi a lui.
Giunto ciò a conoscenza del Soldano di Babilonia e degli Agareni
di lui sudditi, che si affrettavano a portare soccorso ai Tartari,
si ritirarono, velocemente fuggendo, per non perire anch'essi coi
cristiani nemici. E qui finisce l'istoria. In questo stesso millesimo,
i Modenesi di dentro la città, presso Montale[65], il giorno 19
Settembre, il Martedì prima delle Tempora, di nuovo si azzuffarono
coi Modenesi fuorusciti, che abitavano a Sassuolo, e si battagliò
aspramente dall'una e dall'altra parte con grande strage. Però i
Modenesi, che abitavano in Sassuolo furono vittoriosi anche in questo
combattimento, che accadde in Martedì, presso Montale, come li erano
stati nel primo, che avvenne un lunedì, al principio delle ostilità; e
in questi due scontri tra morti sul campo e prigionieri ve ne furono
ben cinquecento; e parte caddero di spada, altri furon tradotti ai
ceppi in carcere, ed ivi trattenuti. In quel tempo i Modenesi di dentro
la città ebbero un tale che si spacciava per astrologo ed indovino,
a cui davano dieci denari grossi d'argento al giorno, e ogni notte
tre grosse candele Genovesi di purgatissima cera, e, interrogando il
futuro, prometteva ai Modenesi che, se una terza volta si cimentassero
a combattimento, ne riporterebbero vittoria. A cui i Modenesi
risposero: Noi non vogliamo misurarci coi nostri nemici nè in Lunedì,
nè in Martedì, perchè in questi due giorni siamo stati vinti: designane
un giorno diverso per combattere, e sappi che se questa volta non
riporteremo la vittoria, che ne prometti, ti caveremo l'altro occhio
che ti resta. (Giacchè era guercio, e un barattiere, un gabbamondo,
come provò l'evento). Temendo egli dunque di non indovinare, se ne
portò via tutto quello che s'era guadagnato, e all'insaputa di tutti...
se la svignò per la sua strada. Allora quei di Sassuolo cominciarono
a far loro le beffe, come a gente che: _Ha sacrificato ai demonii,
e non a Dio; a Dii, i quali essi non avevano conosciuto, Dii nuovi,
venuti di prossimo e a cui i loro padri non avevano prestato culto._
(Deuteronomio 32º). E i Parmigiani, udendo quanti disastri avevano
colpito i Modenesi, mandarono dodici ambasciatori, per desiderio di
ricomporli a concordia. Ma fu opera vana. Non prestarono fede a loro e
non vollero ascoltarli.... Ma tutto questo accadde perchè si avverasse
la profezia di Merlino profeta Inglese. Perocchè Merlino compose
versi, ne' quali presagiva con verità l'avvenire delle città Lombarde,
Toscane, Romagnole e della Marca, versi ch'io credo degni d'essere qui
riportati, e che cominciano così:

Incominciano i versi di Merlino

    Venient in mundo —
      — et duo erunt sine fine utundo.
    Gravia tum dura —
      — multa sunt inde futura.
    In Lombardia —
      — tunc errabit phylosophia.
    Superbia regnabit —
      — cum ventis tota volabit.
    Ipsa Toscana —
      — dicetur a gentibus vana.
    Peregrinando ibit —
      — diffusa, peccando peribit.
    Romandiola —
      — sub iugo teneatur a stola,
    Quæ in perpensum —
      — tallionem reddet immensum.
    Marchia anchonitana —
      — sub Ecclesia stabit romana,
    Quæ semper lanam —
      — evellet sibi cotidianam.
    Apulia vero —
      — tota erit plena veneno.
    Multi morientur —
      — et Reges pro auro delentur.
    Marchia delusa —
      — plorabit in sanguine fusa;
    Et diu plorabit —
      — sub dura potestate durabit.
    Francia durabit —
      — et pluribus praeponderabit;
    Et cum defecerit —
      — effusio sanguinis erit.
    Alamannia imperabit —
      — zizaniam mundi fugabit,
    Qui retinet gentes —
      — Imperium non diligentes.
    Provincia sola —
      — diu stabit sub arida stola,
    Quæ revelata —
      — dicetur et accumulata.
    Ab Hispanianis multus —
      — erit sanguis in terra diffusus
    Lombardos natos —
      — volens sibi fore ligatos.
    Ecclesia plorabit —
      — cum superbia tanta regnabit;
    Et non providebit, —
      — in dura servitute manebit.
    Florentia florebit —
      — immundo tota lucebit
    Lilium depictum —
      — in campis erit a Senis devictum;
    Sed convalescet —
      — Lilii cum victoria crescet.
    Inepte peccando —
      — semper vivet dissimulando.
    Mediolanum —
      — sibi turrim firmabit in vanum;
    Aquila videbit —
      — turrim ipsam totam delebit.
    Adducet gentes —
      — de longe et sunt venientes,
    Quæ dabunt duram —
      — delinquentibus in vano iacturam.
    Parma patietur —
      — multo languore repletur;
    In malum recidet —
      — quam medicus sanare non valet;
    Sed relevatur —
      — unguento coronae sanatur.
    Quod erit antiquum —
      — per exemplum præbet iniquum.
    Mutina perversa —
      — tota erit in fine demersa.
    Volens dominari —
      — potentioribus æquiparari.
    Regium, regina —
      — civitas, erit ipsa supina,
    Et non providebit —
      — in dissensione multa manebit.
    In ipsa Cremona —
      — sibi nidum aquiret corona,
    E tamdiu stabit —
      — ut aquila ipsa volabit
    Pace decepta, —
      — a sponso accepta,
    Et re pensata, —
      — Lombardia erit cremata.
    Ferraria testatur —
      — quod mala subire paratur
    Propter peccata,
      — quæ diu erunt in ea patrata:
    In servitute stabit, —
      — donec peccare cessabit,
    Et ejiciat illum —
      — qui peccatum committit indignum.
    Mantua pugnabit, —
      — in fine terga Veronæ dabit;
    Fugabit serpentes —
      — eam sub cauda tenentes.
    Bononia regnabit —
      — cum integra longe durabit,
    Fjiciet unam —
      — ad mane partem ituram.
    In brevi veniendo —
      — per intrinsecam ejiciendo,
    Quae non revertetur, —
      — donec tota sordibus lavetur.
    Faventia oppressa —
      — multotiens erit obsessa;
    Indicat scriptura —
      — quod mala sunt in ea futura,
    Et tamen favet, —
      — quod in ea pars Bononiæ cadet;
    Quæ dabit dorsum, —
      — semper eundo deorsum.
    Gravia quam plura —
      — sustinebit Imola dura,
    Quæ re pensata —
      — cito erit a languore sanata.

    Verranno e due saran che in infinito
      Il mondo emungeran di lito in lito.
    Duri travagli e piaghe e un mar di mali
      Scosso allor pioverà sovra i mortali.
    Sillogizzando allor filosofia
      Errante annebbierà la Lombardia.
    Regnerà la superbia, e in suo talento,
      Sull'ale, vuota, volerà del vento.
    Anche sull'Arno la gentil Toscana
      Dalle genti sarà chiamata vana;
    Pellegrinando affogherà dispersa
      Nel vano mar del suo peccato immersa.
    Sulla Romagna regneran le stole,
      Che taglia le imporran d'immensa mole.
    La Chiesa avrà la Marca Anconitana,
      Qual pecora, da cui trarre la lana.
    Dal monte al mar l'Apula terra eletta
      Tutta sarà d'atro veleno infetta.
    Molti dì morte assaggieran lo strale;
      Farà sfumare i re compro pugnale.
    La Marca illusa, ogni speranza persa,
      Cadrà nel pianto e nel suo sangue immersa.
    E lungo il pianto fia, lungo il lamento
      Sotto un Signor ch'ogni pietade ha spento.
    Salda colonna erta starà la Francia:
      Sul capo a molti agiterà la lancia;
    Ma, se la destra un dì stanca le langue,
      Suoi fiumi e mari avrà tinti di sangue.
    La gran Lamagna imperierà superba,
      Disvellerà dal mondo ogni mal erba;
    Dal mondo ove s'annida e si nutrica
      Gente all'Impero asprissima nemica.
    Sulla Provenza segregata e sola
      Suo regno a lungo avrà l'arida stola;
    Che sotto d'ogni ciel sarà chiamata
      Insiem la rivelata e accumulata.
    Di sangue esausta a pien la Spagna fia
      Per conquistare a sè la Lombardia.
    Lungo la Chiesa emetterà lamento
      Perchè superbia alza tant'ala al vento;
    Ma provvedere al mal non sa, non cura:
      E geme in servitù spietata e dura.
    Fiorenza in fiore a tutto il mondo splende.
      Siena sul campo il giglio a terra stende;
    Ma il giglio poi risorgerà fiorente
      Quando vittoria avrà piena e ridente.
    E in ogni inettudine peccando
      Viverà sempre mai dissimulando.
    Alza Milano invan torre superba;
      L'aquila viene e la pareggia all'erba.
    Viene, e da lunge folte schiere adduce;
      Fa de' ribelli aspra vendetta e truce.
    Parma patisce e langue; e poi nel male
      Ricade e niuno a risanarla vale;
    Ma si rileva, e a lei vigore dona
      L'unguento sanator della corona.
    Quei che valean per i vetusti tempi
      Innanzi or reca disadatti esempi.
    Modena fatta in sua ragion perversa
      In un mare di guai sarà sommersa.
    Gonfiando il core a dominare aspira
      Ed a salir tra que' che in alto mira.
    Reggio cadrà, cadrà pur essa a terra
      E senza freno avrà continua guerra.
    Sull'argine del Po dentro Cremona
      Suo nido comporrà l'alta Corona,
    E a lungo in sen l'avrà l'ospite suolo.
      Sinchè i vanni aprirà l'aquila al volo.
    Rotta la data fè, rotta la tregua
      Ferma da giuro che 'l dubbiar dilegua,
    Lo sposo, a studio frodolento, insano,
      A foco e fiamma osa mandar Milano.
    Ferrara a sopportar s'appresta il lutto,
      Di lunghe colpe sue condegno frutto.
    Serva sarà fin che il peccare dura
      E scacci il peccator dalle sue mura.
    Mantova pugnerà d'ardore piena
      Ed a Verona in fin mostra la schiena.
    Costringerà la serpe a via fuggire,
      La serpe che la stringe tra le spire.
    Bologna in auge avrà sua signoria
      Finchè concorde ed incorrotta sia;
    Ma caccierà gran schiera di sua gente,
      Errante in pianto e duol verso l'oriente;
    Che presto tornerà coll'ira in petto,
      A sbandeggiar chi resta al patrio tetto,
    E più non torneran senza paura,
      Se mondi non saran di lor sozzura.
    Faenza oppressa e d'ogni parte vinta
      Molte fiate sarà d'assedio cinta.
    Indica la scrittura e chiaro rende
      Che futuro di guai nembo l'attende.
    Pur favoreggia in un'iniqua guerra
      Chi i fuorusciti Bolognesi atterra,
    Che fuggiranno in duol cupo profondo,
      Precipitando sempre in sino al fondo,
    Imola colpirà lunga sventura;
      E il ripensarvi sol l'assenna e cura.

Vi fu anche nello stesso millesimo un Notaio Reggiano, di nome Giovanni
Malvezzo, cioè avente un brutto vezzo, il quale volendo consigliare
i suoi concittadini di non folleggiare come i Modenesi, compose i
seguenti versi:

    Mutina, quid speras —
      — dum tecum jurgia quæras?
    Nil, nisi te superas. —
      — Vis mala ferre? Feras.
    Tu te persequeris, —
      — quasi desperata teneris
    Te furiosa feris; —
      — digna perire, peris
    Cur, rea, te prodis, —
      — cur destruis, uris et odis?
    Cur tua, totque fodis —
      — viscera rupta modis?
    Hic satis, ac alibi, —
      — poteris quasi mortua scribi.
    Gens inimica sibi, —
      — Mutina, parce tibi.
    Cerne tuas aedes, —
      — incendia, bellaque, cædes,
    Tu, milesque pedes —
      — tristis ubique sedes.
    Mutina, te recole, —
      — nimia iam languida mole,
    Et te cum prole —
      — flente perire dole.
    Sit tibi, sit sedis —
      — paritas laris, urbis et æedis
    Sit tibi; si credis, —
      — ad bona prima redis.
    Desinat armorum —
      — furor et discursus equorum,
    Sub strepitu quorum
      — fit sine pace forum.
    Suscipe doctrinas, —
      — et quas tibi do medicinas;
    Et quas pono minas, —
      — me posuisse sinas.
    Si prece, sive minis, —
      — non flecteris, aut medicinis,
    Ecce tuus finis, —
      — præda, ruina, cinis.
    Gens regina lege —
      — qua vivit Mutina lege;
    Te cum pace tege; —
      — te sine parte rege.
    Hæc aliena vide, —
      — discrimina, schisma recide:
    De te confide —
      — non trepidanda fide
    Proxima es: harum —
      — rerum sit cura tuarum,
    Exemplum quarum —
      — non tibi credo parum.

    Modena cieca, fra torbid'ire
      Speri tu forse di rifiorire?
      Speranze vane. Tu cerchi guai.
                            Cerca ed avrai.
    Te stessa struggi; morta è la speme:
      Un furibondo destin ti preme.
      Perir sei degna. Sentenza data.
                            Tu se' spacciata.
    Contro te stessa perchè t'affanni?
      Perchè ti struggi? Perchè t'inganni?
      Perchè le carni tanto ti sbrani
                            In modi strani?
    Modena folle! basti: Deh! cessa.
      L'albo de' morti tra' suoi t'ha messa.
      Di te, che d'astio su te ribocchi,
                            Pietà ti tocchi.
    Ve' quanti incendi! Che guerre e stragi!
      Ve' la ruina de' tuoi palagi.
      Vedi dispersi fanti e cavalli,
                            Armi e timballi.
    Modena, pensa. Lasciar tuoi nati
      Sotto la mole de' tuoi peccati
      Teco perire, non ti rampogna?
                            Non hai vergogna?
    Cittade e tetto, l'ara e la mensa
      Vi sia comune. Modena, pensa.
      E, se la prisca gloria ti piace,
                            Componti in pace.
    Cessin dell'armi lampi e furori
      E scalpitio di corridori;
      brilli la gioia, regni l'amore
                            In ogni cuore.
    Ascolta il verbo, fa tuo 'l consiglio
      Di chi vuol trarti da reo periglio;
      E, se talora minaccia suona,
                            Me lo perdona.
    Se chi minaccia, se chi ti prega,
      Favella a rupe che non si piega,
      Ecco il destino, che a te si serba:
                            Ruina acerba.
    Reggio gentile, guarda l'esempio.
      Modena scissa di sè fa scempio.
      Pace fraterna ti sia muraglia,
                            Scudo e zagaglia.
    Quest'è l'esempio. Pensa, fa senno,
      Guerre intestine troncar si denno;
      E poi confida. Vivi secura
                            Fra le tue mura.
    Sei sulla china: ferma, t'arretra.
      Pensa a te stessa; la scena è tetra,
      E fosca luce d'intorno spande.
                            L'esempio è grande.

Si noti che il senso di questi versi s'incontra anche nelle parole
di Salomone. Proverbii 24.º: _Io passai presso al campo del pigro,
e presso alla vigna dell'uomo scemo di senno_ ecc. Lo stesso anno
Guglielmo Marchese di Monferrato maritò sua figlia col figlio del
Paleologo defunto, che risiede nella città di Costantinopoli, Signore
dei Greci; e le assegnò in dote il Regno di Tessalonica, cui la
famiglia del Marchese di Monferrato aveva ricevuto ab antico, cioè
ai tempi dell'Imperatore Federico I., quando Manuele Imperatore
Costantinopolitano fece invito al Marchese stesso di mandargli uno
dei suoi figli, al quale voleva impalmare una propria figlia; e così
fu fatto e gli diede in moglie donna Maria, e in dote il Regno di
Tessalonica che da quel tempo e per tal modo passò ai Marchesi di
Monferrato. Ma il detto Marchese, causa la dominazione dei Greci, non
ritraendo alcun utile da quel Regno lo assegnò in dote a quella sua
figlia che maritò l'anno 1284 col figlio del Paleologo. E il figlio
del Paleologo diede allo suocero molte migliaia di bizantini[66].
Inoltre gli promise che in tutta sua vita gli speserebbe in Lombardia
cinquecento soldati per la guerra. Allora il Marchese, fidente in tale
aiuto, andò e prese Tortona, e molti uccise, molti incarcerò cittadini
e soldati che eran venuti d'altronde. Al Vescovo poi, che era nativo di
quella città, il Marchese disse: Ditemi, o Vescovo, questi Tortonesi
sono vostri sudditi, e sotto la vostra Signoria? No, Signore, rispose
il Vescovo. E allora il Marchese ripigliò: Perchè dunque vi cuoce
tanto l'animo che si diano a me? Perchè, rispose il Vescovo, io sono
stato eletto pastore, rettore e custode del popolo di questa città, e
voi combattete in un campo nemico al partito della Chiesa. Allora il
Marchese soggiunse: Se vorrete essere amico mio, io sarò amico vostro;
altrimenti scatenerò le fiamme del mio furore sopra di voi. Manderò
dunque un esercito con tre Capitani a' vostri castelli, e voi anderete
seco loro, e v'adoprerete in modo che i Castellani consegnino a me la
signoria de' castelli, che hanno in custodia. E il Vescovo di rimando:
Signore, curerò fedelmente che le castella vi siano consegnate.
Giunti ai castelli, il Vescovo chiamò i Castellani, e con premura li
sollecitò a porre le loro castella sotto la Signoria del Marchese. Ma
i Castellani, quasi tutti per una bocca, risposero al Vescovo a udita
dei Capitani: O Vescovo, sappiate che le castella, che difendiamo ad
onore della santa Chiesa romana, noi non le daremo no in mano di chi
non cessa mai di opprimere il partito della Chiesa, nè le consegneremo
neppure a voi, sino a tanto che voi non sarete libero padrone di
voi stesso. Così risposero tutti i Castellani dei castelli, ai quali
fu condotto il Vescovo. Il che udendo i Capitani presero la via per
ricondurre il Vescovo al Marchese. Ma a mezzo della strada, lasciato in
disparte il Vescovo, buccinavano tra loro di ucciderlo. La qual cosa
il Vescovo per conghiettura indovinando, disse loro: _quant'è a me,
eccomi nelle vostre mani: fatemi secondo che vi parrà buono e diritto.
Ma pur sappiate per certo, che se voi mi fate morire, voi mettete del
sangue innocente addosso a voi, ed a questa città ed a' suoi abitanti_.
Geremia 26.º. E aggiunse, parlando con uno de' Capitani, che era suo
consanguineo: Sappi che una volta fosti mio soggetto ed io ti poteva
far danno, ma l'occhio mio ti perdonò. Ciò udito, quell'insano subito
con un coltello, o con un'alabarda, trapassò d'un colpo il corpo del
Vescovo, dicendo: Del resto non sarò più sotto la tua Signoria. Il
secondo Capitano perforò il cranio del Vescovo colla spada. Il terzo
Capitano lo ferì pure di spada all'omero; e così il Vescovo morì per
le spade degli iniqui. Il Marchese udendo che il Vescovo era stato
morto, mandonne a raccogliere la salma, e invitando tutti i Religiosi
e i Chierici, che erano in Tortona, gli fece dare onorifica sepoltura;
ed egli stesso in persona, ad onoranza del Vescovo, volle essere uno di
quelli che portavano il feretro, per argomento che il Vescovo non era
stato ucciso per ordine suo. I Castellani poi preaccennati fecero buona
difesa ai castelli consegnati alla loro fede, nè li posero mai nelle
mani del Marchese; il quale abitava in Tortona, e allestiva un esercito
per muovere a tempo opportuno guerra ai Milanesi. La qual cosa risaputa
dalle milizie che erano in Sassuolo, corsero al Marchese, a cui si può
applicare quello che per comando del Signore disse Elia ad Acab. 3.
dei Re 21.º. _Uccideste per soprappiù e v'impadroniste_ ecc. Le cose
oggi stanno così; nessuno può indovinarne la fine: chi camperà, vedrà
lo scioglimento del nodo. Lo stesso anno i Parmigiani facevano venire
del sale da Cervia, ossia dalla Romagna, per loro uso; e i Modenesi
che erano dentro la città, irruppero sopra i bifolchi presso Bazzano,
e tolsero loro e carri, e sale e buoi in odio ai Parmigiani,[67]
perchè pareva a que' Modenesi che prima che si scatenasse quella
guerra e distruzione della città per la malizia de' loro concittadini
fuorusciti, i Parmigiani avrebbero potuto impedire che tanti mali
piombassero poi a loro sul capo. Ed attribuivano questo principalmente
a Matteo da Correggio e a Guido di lui fratello, che nella Podesteria
erano succeduti a Giacomo da Enzola, morto prima della scadenza del
proprio ufficio. Ed usarono i Modenesi quella soperchieria anche perchè
quel carico di sale deviava dalla strada sua diritta e naturale, ove
si pagava il pedaggio; finalmente operarono quella cattura in odio
di quelli di Sassuolo, che avevano permesso ai Parmigiani di passare
per le terre da loro occupate senza pagamento di pedaggio, come lo
avrebbero pagato, se il messo si fosse presentato a loro quando i
bifolchi erano arrivati col sale a Bazzano; ma per una certa stolidità
andando tra nemici, e sviando dagli amici entrò nella città di Modena.
Onde il savio ne' proverbii 26.º dice: _Chi si taglia i piedi ne
bee l'ingiuria; così avviene a chi manda a far de' messaggi per uno
stolto_... ne hai esempio in Gerardo dei Rozzi di Parma, che spacciava
se stesso per astrologo e indovino. Quando i Parmigiani fuorusciti, che
parteggiavano per l'Impero, presero Colorno, e vi entrarono il giorno
di S. Domenico, e gli ebbero domandato se l'anderebbe bene per loro,
egli rispose che ottimamente, perchè vi erano entrati sotto il segno
dello scorpione. Eppure pochi giorni dopo sopravvennero i Parmigiani
del partito della Chiesa, e li espulsero tutti, e alcuni ne uccisero,
e Colorno riconquistarono; e lo scorpione non salvò punto quelli che vi
erano entrati prima. Nello stesso anno mangiai per la prima volta, nel
giorno di S. Chiara, i ravioli senza involucro di pasta; e questo lo
dico per mostrare quanto s'è raffinata la ghiottoneria degli uomini per
i commestibili, a confronto di quella degli uomini primitivi, i quali
erano contenti de' cibi semplici, che loro imbandiva la madre natura,
de' quali dice Ovidio nel 1.º libro delle Metamorfosi:

    Contentique cibis, nullo cogente, creatis,
    Arbuteos foetus, montanaque fraga legebant,
    Cornaque, et in duris haerentia mora rubetis
    Et quae deciderant patula Iovis arbore glandes.

      E contento del cibo che s'avea,
      Senza sudarlo, da natura amica,
      Corniòle, corbezzole cogliea
      Fragole ognor dalla pendice aprica,
      E l'atra mora che tra spin pendea
      Dell'aspra rosa nella selva antica,
      E quella che dall'albero di Giove
      Edula ghianda maturando piove.

Nella state dello stesso anno molti farfalloni svolazzavano per gli
orti, e deposero loro uova sulle foglie de' cavoli, d'onde poi si
schiusero bruchi, che rosero le ortaglie. E specialmente i cavoli si
chiamano _olera_. _Olus ab alendo_ fu detto, perchè l'uomo si alimentò
_ex oleribus _ (erbaggi mangerecci) prima di cominciar a mangiare
biade e carni. Così dice Isidoro (Etimologie 12.º). Si ebbero anche in
alcune parti del mondo forti terremoti; sicchè quando frate Roglerio
dell'Ordine de' frati Minori, Lodigiano, che era stato compagno del
Visitatore della Provincia di Bologna, ritornava dalla Corte, dove
era stato con un Cardinale, e passava per Taurenno ove s'era proposto
di albergare, gli abitanti di quel luogo gli dissero: Padre Santo, in
questo paese si fa sentire sovente il terremoto; e in quell'istante,
eccoti subito una violentissima scossa. E il frate sclamò: _Colui
che guarda la terra e la fa traballare, che tocca i monti e fumano_.
Salmo 103.º. Detto ciò il frate si guardò indietro e vide una casa
coperta di paglia, e disse che la notte voleva dormire in quella,
perchè, soggiunse, se vado a dormire in altra, forse gli embrici, o
le tegole cadranno sopra di me, se la casa ruina, e vi morrò. La qual
cosa udendo e vedendo alcune donne del paese, portarono i loro letti
in quella capanna per dormire con sicurezza accanto ai frati. Il che
avendo scorto un certo vecchio, disse ai frati; Avete fatto cosa, che
non dovevate fare, perchè dovete sempre essere preparati alla morte...
a cui di rimando il frate: Il beato Girolamo dice: _È prudenza temere
di tutto ciò che può sopravvenirne_, e l'Ecclesiastico 18.º: _Il saggio
teme di tutto_. Questo l'ho udito io da frate Roglerio, che fu compagno
di frate Benvenuto, nostro Visitatore della Provincia di Bologna.
Così nel millesimo sussegnato, nel giorno di S. Tomaso Apostolo, che
fu in Giovedì, e la notte successiva, verso l'ora di mattutino, si
videro lampeggiamenti e si udirono tuoni fragorosissimi, cose insolite
a vedersi e a udirsi in quella stagione. E allora a Venezia le acque
montarono ad allagare la città, tanto che, come dicono i più vecchi,
eguale allagamento non fu mai visto dalla fondazione della città
ai giorni nostri; poichè quella città è fondata nelle acque, e si
sommersero barche e perirono persone; e le mercerie, che non erano nei
solai delle case, s'avariarono. Eguale disastro soffrì Chioggia, che
anch'essa è nelle lagune, ove si fa il sale. E Bernardo, Cardinale
Legato della Chiesa romana, che abitava a Bologna, diceva che tale
infortunio aveva incolto i Veneziani, perchè non volevano soccorrere Re
Carlo contro Pietro Re d'Aragona, quantunque fosse desiderio di Papa
Martino. Parimente in que' due giorni, cioè il Venerdì e il Sabato,
si verificò quel detto profetico di Zaccaria 14º: _In quel giorno non
vi sarà luce, ma freddo e gelo;_ cosa che spesso verso Natale avviene.
Così pure la vigilia di Natale, che fu in Domenica, mentre recitavamo
mattutino, la luna si ecclissò totalmente; come disse il Signore in
Matteo 24º. _Il sole scurerà,_ (il che si rinnoverà l'anno venturo,
come alcuni asseriscono) _la luna non darà il suo splendore._ La qual
cosa ho veduto più volte dopo che sono entrato nell'Ordine de' frati
Minori.... Quindi ho avuto campo a moltiplicare queste osservazioni,
perchè talvolta scura il sole, tal altra la luna, e poi accadono
terremoti; e alcuni che debbono predicare non hanno così alla mano le
cognizioni intorno a questa materia; e restano confusi. Ricordo che
io abitava nel convento di Pisa, sono bene quarant'anni e più, che
si sentì terremoto nel giorno successivo a quel di Natale, cioè la
notte di S. Stefano, e frate Chiaro di Fiorenza dell'Ordine de' frati
Minori, uno de' più celebrati chierici del mondo, predicò due volte al
popolo nella chiesa arcivescovile; e la prima piacque, la seconda non
piacque. E non per altro spiacque, se non perchè prese un argomento
stesso per tuttadue le prediche. Nella qual cosa, da parte sua, mostrò
abilità straordinaria, perchè disse cose sempre nuove; ma il volgo
maligno e semplicione, che non sa regole, pensò che avesse ridetto il
discorso della prima volta, perchè versava su lo stesso tema; sicchè
il predicatore mietè vergogna da cosa onde gliene doveva venire onore.
Or ecco il tema che s'era proposto, Aggeo 2º: _Fra poco io scrollerò il
cielo, e la terra, e il mare e l'asciutto._ Nota che il terremoto suol
formarsi nei monti cavernosi, ne' quali è imprigionato un vento, che
volendo sprigionarsi, e non avendo spiraglio all'uscita, squarcia la
terra, che trema, e quindi si sente il terremoto. Ne abbiamo immagine
in una castagna non castrata, che salta via violentemente dal fuoco
e detona, e mette spavento a chi è seduto attorno al focolare.... Nel
sussegnato millesimo, cioè 1284, il giorno di Natale e di S. Stefano,
tutta la giornata e tutta la notte si rovesciò un subisso di neve,
la quale pel troppo peso atterrò o franse le piante da frutta, come
mandorli e melogranati; e si ebbe anche uno smisurato freddo.... Lo
stesso anno Giacomo Colonna, Cardinale della Chiesa romana, e nipote di
Papa Nicolò 3º, mandò cercando frate Giovanni da Parma, che era stato
Generale, e spontaneamente e con grande sua consolazione dimorava nel
romitaggio di Grecio (dove il beato Francesco talvolta nel giorno di
Natale raffigurò il presepio di Betlemme col Bambino) volendolo vedere
e parlare seco in famigliarità, come intimo suo amico; e si videro,
e n'ebbero molta consolazione ambidue, e parlarono alla dimestica di
cose divine.... Ora è tempo di continuare il resto. Lo stesso anno morì
frate Marco, che fu compagno di frate Giovanni da Parma, quand'era
Ministro Generale, e di altri Ministri, come di frate Crescenzio,
e di frate Bonaventura; del quale Marco mi pare non doversene più
parlare, avendone detto abbastanza più indietro. Altro compagno di
frate Giovanni da Parma, quand'era Ministro Generale, fu frate Andrea
di Bologna, uomo onesto, mite, grazioso, famigliare, religioso, e
divoto a Dio. Era anche buono scrittore, e nel Capitolo di Siena
dettò quella lettera, che S. Lodovico ricevette a tempo della prima
crociata, lettera che gli piacque moltissimo, per la liberalità e la
cortesia di frate Giovanni da Parma Ministro Generale. Fu anche frate
Andrea Ministro della provincia d'oltremare, cioè di Terra Santa, o
Terra di promissione (... Si vergogni adunque Federico 2º, il quale,
sia che volesse scherzare, sia che volesse dire da senno, insultando
a Dio diceva che se Iddio avesse veduto il Regno ch'esso aveva in
Sicilia in Calabria e in Puglia, non avrebbe tanto lodato la Terra di
promissione). Pertanto frate Andrea morì lodatamente in pace, quand'era
Penitenziere alla Corte del Papa. Terzo compagno di frate Giovanni
da Parma fu frate Gualterio, oriondo d'Inghilterra, e vero Inglese;
buon cantore, gracile, alto di statura, bello, di santa e onesta vita,
di buoni costumi e letterato; era stato scolare di frate Giovanni
da Parma quando, prima di diventare Ministro Generale, era lettore a
Napoli. Così frate Gualterio fu mandato addetto alla Corte, ma pose
ogni opera sua per essere liberato da quel servigio, amando meglio
di essere afflitto col popolo di Dio che godere la giocondità del
peccato temporale, e reputando maggior ricchezza l'umiltà di Cristo,
che il tesoro degli Egiziani.... Tuttavia ho udito che questo frate
Gualterio fu poi suo malgrado fatto Vescovo, non so dove. Fu mio amico.
E nota che tutti i compagni di frate Giovanni da Parma sono stati miei
intimi amici e famigliari. Quarto compagno di frate Giovanni da Parma
fu frate Bonagiunta della Marca d'Ancona, di Fabriano, buon Custode
e uomo di lettere, buon cantore, predicatore, scrittore, calvo, di
statura mezzana e di faccia somigliante a S. Paolo. Quando era novizzo
del convento di Fano, l'anno 1238, giovanetto ancora, abitava meco.
Fu il primo e l'ultimo Vescovo di Recanati. Quinto compagno di frate
Giovanni da Parma fu frate Giovanni di Ravenna, grosso, corpulento e
bruno, buon uomo e di vita onesta. Non ho mai veduto uomo che più di
lui mangiasse avidamente le lasagne condite col formaggio. Fu Guardiano
del convento di Napoli, quando frate Giovanni da Parma vi fu lettore,
prima d'essere Ministro Generale. Sesto compagno di frate Giovanni
da Parma fu frate Anselmo Rabuino Lombardo, d'Asti, grosso, bruno, e
aveva l'aria da Prelato, di vita onesta e santa; nel secolo era stato
Giudice; fu Ministro della provincia di Terra di Lavoro e poi della
Marca Trivigiana. Amò molto frate Giovanni da Parma, ed accogliendo
favorevolmente i voti dei Ministri Lombardi e dei Custodi a Lione,
pose opera e fece sì che frate Giovanni da Parma fosse eletto Ministro
Generale. Frate Anselmo Rabuino era conosciuto dal sommo Pontefice
Innocenzo IV. Io abitava nel convento di Pisa, e frate Anselmo, che
era Ministro della provincia di Terra di Lavoro, mi scrisse di andare
con mio fratello Guido di Adamo ad abitare nella sua provincia; ma
non ci fu permesso dai frati del convento di Pisa, perchè ci vedevano
volentieri con loro. Settimo compagno di frate Giovanni da Parma fu
frate Bartolomeo Guiscolo di Parma, illustre oratore e passionatissimo
Gioachimita, cortese uomo e liberale, nel secolo maestro di grammatica,
e nell'Ordine uomo onesto e santo. Sapeva scrivere, miniare e
predicare, come ne ho detto abbastanza più addietro. Ottavo compagno
di frate Giovanni da Parma fu frate Guidolino Gennari di Parma, che fu
uomo di lettere e buon cantore; cantava benissimo nel canto melodico,
cioè nel canto rotto, e nel canto fermo aveva più arte che voce, la
quale aveva debole; fu buon compositore, buono e bello scrittore, e
buon correttore alla mensa nel convento di Bologna. Conosceva benissimo
la Bibbia, e fu di vita onesta e santa, sicchè era ben voluto dai
frati. Morì a Bologna e fu sepolto nel convento dei frati Minori,
e riposi in pace. Nono compagno di frate Giovanni da Parma fu frate
Giacomino da Berceto, di vita onesta e santa, valente predicatore,
e di gran forza di voce; fu Guardiano del convento di Rimini. Decimo
compagno di frate Giovanni da Parma fu frate Giacomo degli Assandri
di Mantova, uomo onesto e santo, ottimo consigliere e interprete
delle Decretali. Fu qualche tempo Ministro in Schiavonia, regione
che si chiama anche Dalmazia. Undecimo compagno di frate Giovanni da
Parma fu frate Drudo, Ministro della provincia di Borgogna, lettore
di teologia, che ogni giorno voleva predicare ai frati intorno alle
influenze divine, come ho udito, quando mi trovai seco in Borgogna.
Questi fu nobil uomo e bello, di vita onesta e santissima oltre
ogni credere, e fu divoto a Dio in modo meraviglioso, e al disopra
dell'umano giudizio. Frate Giovanni da Parma se lo condusse seco,
quando Papa Innocenzo IV di buona memoria lo inviò ai Greci per
indurli ad unità di fede colla Chiesa romana. Duodecimo compagno di
frate Giovanni da Parma fu frate Bonaventura da Iseo, e lo fu quando
frate Giovanni andò mandato dal Papa ai Greci. Era frate Bonaventura
vecchio di convento e di età, saggio, intraprendente, sagacissimo,
di onesta e santa vita, e ben voluto da Ezzelino da Romano; tuttavia
si dava oltremisura l'aria da barone, quantunque, secondo la fama,
fosse figlio di un'ostessa. Era stato anche Ministro di vecchia data
nell'Ordine; poichè fu Ministro nella provincia di Provenza; Ministro
nella provincia di Genova, in quella di Bologna, e in quella della
Marca Trivigiana. Compose un volume di Sermoni intorno alle feste, e
alle Tempora; condusse vita laudabile, e l'anima sua riposi in pace.
Sappi però che frate Giovanni da Parma, quand'era Ministro Generale,
non li ebbe tutti contemporaneamente questi compagni; e li conduceva
seco or gli uni, ora gli altri, quando voleva andare attorno per
visitare l'Ordine, perchè non potendo que' suoi compagni reggere alla
fatica ch'egli durava, gli fu giocoforza averne molti. E molte altre
virtù ebbero in sè i suddetti dodici compagni, che per brevità io
tacqui. Ora parliamo di frate Ugo Provenzale, grande ed intimo amico
di frate Giovanni da Parma. Egli fu uno dei più illustri chierici del
mondo, e tenacissimo Gioachimita, e di vita onesta e santissima oltre
al credibile, come ho veduto io co' miei occhi; ma siccome di lui ho
già parlato più sopra abbastanza, mi pare che qui si debba tacerne.
Egli, quando a Dio piacque, morì a Marsiglia, dopo aver compiuta una
lunga serie di opere buone; e fu sepolto in un'arca di pietra nella
chiesa dei Prati Minori di Marsiglia stessa; e Iddio lo illustrò con
miracoli. E accanto a lui, in un'altra urna di pietra, è sepolta sua
sorella Donolina, cui parimente Iddio fece per miracoli insigne. Costei
non entrò mai in alcuna Religione, ma visse sempre in mezzo al secolo
castamente e religiosamente. Elesse suo sposo il figlio di Dio, ed
ebbe speciale devozione al beato Francesco, del cui cordone andava
cinta, per segno dell'acceso amore che aveva a lui; e quasi tutto il
giorno lo passava in preghiere nella chiesa dei frati minori. Nessuno
sparlava di lei; nessuno sospettava d'alcuna opera sua cattiva; tutti
la tenevano in reverenza, uomini, donne, Religiosi, secolari, per la
sua segnalata santità. Ottenne da Dio la grazia peculiare di essere
rapita in estasi, come i frati Minori videro le mille volte nella loro
chiesa; e, se le alzavano un braccio, lo teneva irrigidito in quella
posizione da mattina a sera perchè era tutta assorta in Dio. La qual
cosa tutta Marsiglia sapeva, e s'era divulgata anche per altre città.
Si erano fatte di lei seguaci ottanta nobili donne di Marsiglia, di
condizione, quali mediocre, quali illustre, per salvare col suo esempio
l'anima loro, delle quali ella era maestra e donna. E giacchè dalla mia
penna è caduto il nome di Marsiglia e della Provenza, non credo fuor di
luogo scriverne quello che me ne ricorda, degno di essere saputo. In
Marsiglia nacque un fanciullo il giorno di San Benedetto, e Benedetto
fu chiamato, il quale, slattato che fu, fu poi mandato un giorno di S.
Benedetto a imparar lettere; dopo che fu grandicello, e che sapea di
lettere, nel giorno di San Benedetto entrò nell'Ordine dei monaci neri;
e in processo di tempo, il giorno di San Benedetto fu fatto sacrista;
poscia, con intervallo di più anni, nel giorno di San Benedetto, i
monaci, per bontà della vita e dei costumi di lui, lo elessero Abbate;
e così di grado in grado elevandosi, i canonici di Marsiglia nel
giorno di S. Benedetto lo crearono loro Vescovo, e ne tenne la dignità
laudabilmente; poscia nel giorno di San Benedetto entrò nell'Ordine del
beato Francesco, nel quale umilmente e lodevolmente passò dieci anni;
e nel giorno di San Benedetto vide l'ultimo suo giorno, e fu sepolto
nella Chiesa dei frati Minori di Marsiglia in un'arca di pietra, e
Iddio lo illustrò con miracoli. Questi fu veramente uomo venerabile,
benedetto di grazia e di nome. Sia benedetto un tal Vescovo, che bene
cominciò e terminò bene; e per opera sua i frati Minori di Marsiglia
ebbero molti buoni libri, perchè volle piuttosto _umiliarsi coi miti di
cuore, che dividere le spoglie coi superbi,_ Proverbi 16.º. Parliamo
ora di frate Rolando Pavese. Costui, benchè da molti sprezzato, fu
uomo santo ed umile sacerdote, predicatore, di molte preghiere, e di
molto merito presso Dio; la qual cosa che già bene conoscevano, in
più maniere la riconobbero i frati; ma basterà dirne una. Un secolare
si accostò una sera al Guardiano del convento dei Frati Minori, in
cui abitava questo frate Rolando, e gli disse: Padre, mi raccomando
a Dio, e a voi; e vi prego di raccomandarmi alle orazioni dei vostri
frati, che mi liberino _dagli importuni e perversi uomini_ 2.ª ai
Tessalonicesi; 3º; perchè ho nimicizie capitali, e nimici pieni di
veleno, i quali, mi si dice che stanotte vogliano entrare di forza
in casa mia, e ammazzarmi. Il Guardiano premurosamente lo raccomandò
ai frati, pregandoli di fare per amor di Dio un'opera di pietà, ed
essi con premura la fecero. All'indomani tornò quel secolare, e in
Capitolo riferì al solo Guardiano le cose, che nella notte gli erano
accadute, e disse: Sia ringraziato Cristo, sia ringraziato l'amico. E
aggiunse: Sappiate, Reverendo Padre, che que' nemici, che cercavano
la vita mia, con spade e con bastoni la notte passata irruppero in
casa mia per uccidermi; ma ivi comparve un certo frate Minore ch'io
riconoscerei benissimo, se il vedessi, che ne li scacciò, come si
scacciano le mosche e le zanzare col ventaglio, quando si vogliono far
fuggire. Udite queste cose, il Guardiano fu preso da meraviglia e in
una da allegrezza, e gli rispose: Sta quì meco alla porta del Capitolo,
e quando quel tal frate passerà, indicamelo ma in modo che nessuno
scorga. E già era suonato il primo segnale del vespro; ed ecco che
al secondo tocco della campana, il Guardiano domandava al secolare: È
questi? No rispondeva; e questa domanda fu ripetuta per ciascuno che
passava. Finalmente al passare di frate Rolando, a cui quel secolare
non aveva mai parlato, disse al Guardiano: Questi è quel frate, per
cui buona opera e aiuto, Iddio stanotte mi ha liberato. Il Ministro
Generale, credendo di fargli cosa piacevole e grata, mandò questo frate
Rolando al convento di Alverno, e stettevi in gran consolazione finchè
gli piacque. Il convento di Alverno poi è nella provincia di Toscana,
nella diocesi d'Arezzo, sull'Apennino, dove il Serafino apparve al
beato Francesco, e a similitudine di quelle di nostro Signor Gesù
Cristo, gli impresse le stimmate. Passai una volta da questo convento,
reduce da Assisi, dove io era andato per divozione; e il sacrista mi
fece vedere un grosso pezzo del legno della croce del Signore, che
frate Mansueto aveva ricevuto dal Re di Francia S. Lodovico di buona
memoria, quando fu inviato a lui come nunzio da papa Alessandro IV.
Trovandomi poi nel convento di Alverne, visitai tutti i luoghi di
divozione che vi sono, e nella Domenica celebrai la messa conventuale,
e, dopo il vangelo, predicai al popolo, che vi era adunato, uomini
donne, e dopo pranzo andai a Santa Maria di Bagno ove il mio compagno
frate Giacomino Savini di Piacenza aveva predicato; poscia andammo
a Meldola, poi a Forlì, d'onde a Faenza, dove abitavamo. E nota che
quando fui ad Alverno, frate Lotario, che molto tempo prima era stato
mio Custode a Pisa, viveva ancora, ed abitava colà vecchio e malato.
Credo che quel convento sarebbe stato abbandonato, come mi disse, se
non fosse stato per riguardo di lui. Osservai che quando quei frati
fanno la commemorazione del beato Francesco nel mattutino dicono
sempre quell'antifona, che incomincia: _O Martyr desiderio: O Martire
di desiderio_; e ne' vespri: _Coelorum candor: O candore de' cieli_.
In queste due antifone si fa menzione dell'apparizione serafica, e
sempre nel cominciarle a dire, i frati curvano le ginocchia. Passiamo
ora a discorrere qualche cosa di frate Nicola da Montefeltro, che fu
molti anni Ministro in Ungheria, poscia in Schiavonia, ossia Dalmazia,
e abitò anche molti anni, sino alla sua morte, come semplice frate,
nel convento di Bologna. Egli fu uomo umile più che qualunque altro
io abbia veduto al mondo... reputava se stesso una nullità, e una
nullità voleva essere tenuto dagli altri... sicchè se taluno gli faceva
segno di riverenza, tosto prostrato a terra baciavagli i piedi, se
poteva... Egli quando suonava la campanella del refettorio, era il
primo ad arrivare a versar l'acqua del lavacro alle mani dei frati.
Quando arrivavano frati forestieri era il primo che si presentava
a lavar loro i piedi: e quantunque all'apparenza fosse poco atto a
tali uffici, perchè era corpulento e vecchio, la carità, l'umiltà,
la santità, la cortesia, la liberalità e l'alacrità lo rendevano
destro, piacente e adatto.... Morì, e fu sepolto onorificamente nella
chiesa dei frati Minori di Bologna. Nessuno miracolo fece Iddio per
lui dopo la sua morte, perchè pregò Iddio di non farne; come anche il
santissimo frate Egidio di Perugia pregò Iddio che dopo la sua morte
non facesse miracoli per lui... (Frate Egidio sepolto in un'arca di
pietra nella Chiesa de' frati Minori a Perugia fu... computandovi
il beato Francesco, la cui vita scrisse frate Leone, che fu uno dei
tre speciali compagni del beato Francesco). Ma frate Nicola operò
tre miracoli in vita sua, cioè li operò Iddio a gloria di lui, ben
degni di ricordo. Il primo fu che avendo il Guardiano di un convento
comandato ad un frate giovane chierico suddiacono, di far di cucina
per amore di Dio, cioè la minestra pei frati, fino a che ritornasse
il cuciniere, che era assente, ed avendo egli umilmente obbedito,
ebbe la disgrazia che gli cadde il breviario nel paiuolo, e s'inzuppò
tutto. Ed essendo il libro perciò sformato, e il frate piangendone
e gridando e dicendo d'avere avuto quel libro a prestito, per cui
ne provava maggiore angoscia, frate Nicola, udito di questo fatto e
volendolo consolare, gli disse: Vedi, o figlio, non piangere; dammi il
libro in prestito, che ne ho bisogno un momento per recitare le Ore.
Appartatosi poscia frate Nicola e sciolta una preghiera a Dio, Iddio
ritornò il libro alla primiera nitidezza, tanto che nessun guasto ne
appariva. La qual cosa considerando quel frate, che prima piangeva
per il guasto del libro, consolatosene, restò altamente meravigliato,
e benedisse Iddio. Altra volta per mezzo di frate Nicola fece Iddio
il seguente miracolo. Una certa donna di Bologna, che aveva un figlio
coperto di fistole, sognò che se frate Nicola facesse il segno della
croce sul figlio di lei, all'istante ne sarebbe liberato. Quella donna
essendo molto divota ai frati Minori andò col figlio al Guardiano, e
gli raccontò il sogno. Era allora Guardiano frate Andrea da Bologna,
(che fu il secondo compagno di frate Giovanni da Parma, quand'era
Ministro Generale, e di cui ho già fatto menzione) il quale adunati
tutti i sacerdoti del convento di Bologna tranne frate Nicola, raccontò
loro quello che la donna aveva veduto in sogno, e che stava tuttora
alla porta del convento in aspettazione della grazia. E frate Andrea
disse a que' sacerdoti: Ma noi non potremo indurre frate Nicola a far
questa cosa, se non lo inganniamo con uno stratagemma. Laonde andate
voi tutti a quella donna, e conducete vosco anche frate Nicola, ed io
arriverò ultimo; e al mio arrivo mi direte che quella donna vuole una
grazia dai frati, cioè che ciascun sacerdote faccia il segno della
croce sopra il figlio di lei; ed io subito la contenterò; e dopo di
me, direte a frate Nicola che faccia altrettanto. Fece adunque frate
Andrea il segno della croce sul fanciullo; ma non se ne vide effetto,
perchè la grazia era ad altri riservata. La madre del fanciullo allora,
e tutti gli altri sacerdoti pregarono frate Nicola che per amor di
Dio facesse il segno della croce su quel fanciullo; ma egli si rifiutò
ricisamente e disse: lo faccia la Marchesina di lui madre, che io ne
sono affatto indegno. Ma frate Andrea, Guardiano, gli comandò in virtù
di salutare obbedienza, che messa da banda ogni scusa, senza indugio
segnasse colla forma della croce il fanciullo. E dopo averlo fatto,
tosto il fanciullo fu sanato, e subito la madre, a vista dei frati, ne
tolse le fasciature e le pezzuole. I frati poi ne ringraziarono Dio, e
ne tennero scolpito nell'animo loro la memoria. Altra volta fece Iddio
per mezzo di frate Nicola uno strepitoso miracolo. Era un giovane nel
convento di Bologna, che si chiamava frate Guido figlio di Massaria.
Costui quando dormiva, russava sì forte, che nessuno poteva aver quiete
in una casa dove egli fosse: e, quel che sorpassava tutto, non solo
disturbava orribilmente chi dormiva, ma anche chi vegliava. Perciò i
frati lo mandarono a dormire in un angolo del convento destinato per
le legne e per la paglia; ma neppur così poterono i frati impedire
che non risuonasse per tutto il convento quel maledetto russare.
Allora si convocò un'adunanza di tutti i sacerdoti e dei discreti
del convento di Bologna in camera di frate Giovanni da Parma, che era
Ministro Generale, e gli dissero che quel giovane, a cagione di grave
vizio organico che aveva, doveva essere mandato fuori dall'Ordine;
ed io pure era presente. E fu giudizio e deliberazione comune che si
dovesse ritornare alla madre di lui, perchè essa, che conosceva il
difetto di suo figlio, aveva ingannato l'Ordine. Ma per disposizione
divina non fu rimandato immediatamente, poichè Iddio voleva fare un
miracolo per frate Nicola. Considerando pertanto frate Nicola che
quel giovane doveva essere mandato fuori dell'Ordine per un difetto di
natura, non per sua colpa, ogni giorno chiamavalo sull'alba a servirgli
messa; e, dopo la messa, il giovine di dietro all'altare, per ordine
di frate Nicola, s'inginocchiava sperandone qualche grazia. Frate
Nicola poi colle mani ne toccava la faccia e il naso, volendogli,
la Dio mercè, restituire il dono della salute, e gli ordinava di non
rivelare quel segreto a persona. Ed ecco che subito fu quel giovine
guarito benissimo, e, dopo, dormiva quieto e pacifico come un ghiro,
senza disturbo alcuno dei frati. Si trasferì poscia nella provincia
romana; diventò sacerdote, confessore, predicatore, ossequiente e utile
ai frati e riconoscente dei beneficî che Dio aveva a lui conferiti
mercè dei meriti e delle preghiere di frate Nicola, che sia benedetto
ne' secoli de' secoli, e così sia. Ora passiamo a frate Bertoldo di
Lamagna. Costui fu sacerdote e predicatore dell'Ordine dei Minori, di
onesta e santa vita, come a religioso si addice; fece l'esposizione
dell'Apocalisse, della quale non ho copiato che la parte che riguarda
i sette Vescovi dell'Asia, i quali sul principio dell'Apocalissi sono
raffigurati sotto il nome di Angeli, e lo feci allo scopo di accertarmi
che quelli non erano stati Angeli, e perchè io aveva l'esposizione
dell'Apocalissi dell'Abbate Gioachimo, la quale io pregiava sopra tutte
le altre. Compose anche un grosso volume di sermoni per le feste di
tutto l'anno e per le domeniche; de' quali copiai due soli, perchè vi
si parlava dell'Anticristo con molta aggiustatezza. Il primo cominciava
così: _Ecce positus est hic in ruinam_; cioè: _Ecco che questi è
posto per ruina_. L'altro: _Ascendente Jesu in naviculam, secuti
sunt eum discipuli eius_; cioè: _Ascendendo Gesù sulla navicella,
i discepoli di lui lo seguirono_, ne' quali è trattato ampiamente
dell'Anticristo, e del tremendo giudizio. E avverti che frate Bertoldo
ricevette da Dio il dono speciale della predicazione; e tutti quelli
che lo ascoltarono, dicono che dagli Apostoli a noi non fu mai uno
pari a lui, che predicasse in lingua tedesca. Una gran moltitudine
d'uomini e donne lo seguiva, talora sessanta o cento mila; e talora
una gran moltitudine di gente da molte città convenuta per ascoltare
le salutifere e melliflue parole che suonavano dalle labbra di lui....
Quando egli voleva predicare montava su di un palco a mo' di battifredo
(cioè una torre di legno a foggia di campanile, di cui si serviva come
di pulpito, all'aperto nelle campagne) sulla punta alta del quale,
coloro che ne congegnavano insieme le parti, collocavano una banderuola
perchè dalla direzione del vento che spirava, il popolo conoscesse da
che parte dovesse mettersi per udir meglio. E, maraviglia! si udiva ed
intendeva tanto da chi era vicino, come da chi era lontano a lui; nè,
quand'egli predicava, vi era alcuno che s'alzasse e partisse se prima
la predica non fosse finita. E quando parlava del giudizio tremendo,
tremavano tutti, come giunchi nell'acqua, e lo pregavano per amor
di Dio di non parlare di quell'argomento, perchè a udirlo atterriva
e faceva inorridire. Dovendo un dì frate Bertoldo predicare in un
certo luogo, avvenne che un bifolco pregò il padrone di permettergli
di andare ad ascoltarlo. A cui il padrone rispose: anderò io alla
predica, e tu anderai ai campi co' buoi ad arare.... Ma avendo il
bifolco un altro giorno cominciato ad arare la mattina per tempissimo
nel campo, maraviglia! ecco che subito udì la voce di frate Bertoldo
che predicava, sebbene in quel giorno fosse lontano ben trenta
miglia. Allora il bifolco tolse di sul collo il giogo a' buoi, perchè
pascolassero, ed egli standosene seduto ascoltava la predica. E quì
furono operati tre miracoli in uno: Primo, perchè udì la predica e la
intese, quantunque fosse distante ben di trenta miglia al predicatore;
secondo, perchè imparò tutta la predica, e se la suggellò ben salda
nella memoria; terzo, perchè, finita la predica, arò tanta terra quanto
ne soleva arare in giornate, in cui non sospendeva mai il lavoro.
Avendo poi il bifolco interrogato il padrone intorno alla predica, ed
esso non sapendola ripetere, gliela ripetè egli tutta per filo e per
segno aggiungendo che l'aveva udita e imparata di sul campo. Perciò il
padrone, riconosciutavi l'opera di un miracolo, diede piena facoltà
al bifolco di andare liberamente, ogni volta che lo desiderasse,
alla predica di frate Bertoldo, per quanto urgente fosse il lavoro
che avesse da fare. Era poi consuetudine di questo frate, che andava
predicando ora in una, ora in altra città, di prestabilire il tempo
e il luogo delle sue prediche, affinchè il popolo che vi affluiva
potesse trovare sufficienza di vettovaglie. Una volta, certa nobil
donna accesa d'ardente desiderio di udire frate Bertoldo a predicare,
sei anni continui, per città e castella, con alcune sue compagne...
seco lui potè avere un colloquio secreto e famigliare. Finiti i sei
anni e i denari che aveva, la vigilia dell'Assunzione della beata
Vergine non avendo di che mangiare nè essa, nè le sue compagne, andò
da frate Bertoldo, e gli espose schietto e netto lo stato di miseria
in cui versava. Frate Bertoldo, udito tutto, la mandò a nome suo da un
banchiere a dirgli che le desse pel vitto ed altre spese tanto denaro,
quanto ne poteva meritare un giorno di Indulgenza, per ottenere la
quale ella aveva seguito sei anni frate Bertoldo. Il banchiere sorrise
e disse: Come posso io calcolare il valore di un giorno di indulgenza
meritata da voi seguendo le peregrinazioni di frate Bertoldo? A
cui essa rispose; Mi ha detto che da una parte mettiate denari
nel piattello della bilancia, ed io soffierò sull'altro piattello;
l'equilibrio vi darà, la misura del valore dell'indulgenza da me
acquistata. Pose dunque il banchiere monete a larga mano, e ne empì il
piattello della bilancia; essa soffiò sull'altro, e subito quel soffio
mostrossi preponderante, e le monete furono sollevate come si fossero
cambiate in lievi piume. La qual cosa considerando, il banchiere ne fu
pieno di meraviglia; e più e più volte rimise monete sulla bilancia; ma
il soffio della donna non potè essere mai vinto dal peso loro, perchè
lo Spirito Santo per mezzo di lei spirava sì forte che il piattello, su
cui soffiava la donna, non potè mai essere equilibrato dall'altro delle
monete. La qual cosa vedendo sì il banchiere che la nobil donna e le
altre di lei compagne, meravigliati volarono difilato a frate Bertoldo
e gli raccontarono per punto le cose accadute; e il banchiere aggiunse:
Io sono pronto a restituire l'altrui, e per amor di Dio a distribuire
il mio ai poveri, e a diventare, come desidero, un buon uomo, perchè
oggi ho veramente veduto miracoli. Perciò frate Bertoldo gli impose
di dare a larga mano vettovaglie a quella donna e alle compagne di
lei, per cagione di cui tanto prodigio aveva veduto. Il che subito e
di buonissimo grado fece a lode di nostro Signor Gesù Cristo, a cui è
onore e gloria ne' secoli de' secoli, e così sia. Una volta, passando
frate Bertoldo verso sera col suo compagno laico per una strada,
incappò nei bravi di un Castellano, che lo presero, lo condussero al
castello, lo incatenarono, e quella notte lo tennero con siffatta
ospitalità. Ma quel Castellano aveva tanto gravemente angariati i
suoi concittadini, che nel palazzo del Comune avevano già dipinto il
modo di punizione che gli si doveva infliggere, se mai avvenisse che
potessero ghermirlo, cioè la forca. All'indomani per tempissimo si
presentò il carnefice al Castellano suo signore, e gli disse: Che vuole
si faccia la signoria vostra di quei frati, che ieri sera sono stati
condotti qui? A cui il Castellano rispose: Spicciali; che era come
dire: Impiccali.... Tale era quel Castellano, tali i suoi bravi, che
alcuni svaligiavano, altri ammazzavano, altri menavano al castello e
incarceravano, e teneanli sinchè per denaro si riscattassero, altri li
uccidevano issofatto. Ora frate Bertoldo dormiva, e il suo compagno, un
frate laico, vegliava recitando il mattutino, e aveva udita la sentenza
di morte dal Castellano lanciata sul loro capo, giacchè tra lui e loro
non era che una semplice parete. Allora il laico cominciò a chiamare,
più volte gridando, frate Bertoldo. E il Castellano udendo pronunciare
il nome di frate Bertoldo, si diede a pensare se mai per caso fosse
quel famoso predicatore, di cui si dicevano mirabilia; e incontanente
richiamato il carnefice, gli comandò di non toccar que' frati, anzi
di condurli al suo cospetto. Condotti alla presenza del signore del
castello, furono domandati di lor nome. E il laico rispose: Il mio
nome è questo, e lo disse. Il mio compagno si chiama frate Bertoldo,
quel famoso, graziosissimo predicatore, per cui mezzo Iddio opera tanti
miracoli. Udito ciò, il Castellano si prostrò subito a' piedi di frate
Bertoldo, lo abbracciò e lo baciò. Inoltre lo pregò per amor di Dio
di fare una predica per udirla, poichè da tanto tempo aveva desiderio
di ascoltare da lui la parola della salute. E frate Bertoldo annuì a
patto che in una col signore del castello si adunassero ad ascoltare
la predica tutti que' bravi che vi avevano. E il Castellano promise
di farlo volentieri. Mentre dunque egli faceva chiamare i suoi bravi,
e frate Bertoldo s'era messo in disparte a pregare, si avvicinò a
lui il compagno e gli disse: Sappiate, frate Bertoldo, che da questo
signore è stata posta sulla nostra testa sentenza di morte. Laonde se
mai inspiratamente avete predicato altre volte delle pene dell'inferno
e della gloria del paradiso, or qui risurga la vostra valentia, che
ora ne fa vieppiù bisogno. Udendo frate Bertoldo questa cosa, si
diede tutto a pregare Iddio; e poi presentatosi a quell'uditorio,
parlò così infiammatamente, e così spiegò la parola della salute, che
tutti ne furono commossi al pianto. E prima di partire li confessò
tutti, ordinò a tutti di abbandonare quel castello, di restituire il
mal tolto, e di perseverare in far penitenza per tutta loro vita, se
volevano acquistarsi il gaudio eterno. Il Castellano poi, prostrato a'
piedi di frate Bertoldo, piangendo dirottamente, lo pregò di riceverlo
per amor di Dio nell'ordine del beato Francesco; e lo accolse colla
speranza di ottenerne poi grazia dal Ministro. Voleva anche seguire
subito frate Bertoldo, ma questi glielo proibì, temendo del furore
del popolo, che era stato tormentato, e nulla sapeva della conversione
di lui. Arrivato frate Bertoldo alla città, il popolo volle udirlo a
predicare, e tutti si adunarono nel greto di un fiume, ove dalla parte
del pulpito pendevano dalla forca alcuni ladroni. (Tu che leggi queste
cose, mettiti davanti agli occhi, come tipo, la ghiaia del fiume Reno
presso Bologna). Ma il Castellano suaccennato, dopo la partenza di
frate Bertoldo, infiammato d'amor di Dio, e vinto dal desiderio di
riudirlo dimenticò tutte le soperchierie inferte alla città, e andato
da solo al luogo, in cui si predicava, fu subito riconosciuto e preso
e condotto alla forca; giacchè fu da tutti rincorso e tutti gridavan
alto: s'impicchi, s'impicchi, e turpemente muoia questo pessimo nostro
nemico.... Frate Bertoldo, che vide il popolo correre e lasciare la
predica, fu preso da meraviglia e disse: Non mi avvenne mai che nessuno
partisse dalla mia predica, se non dopo finita, e dopo ricevutane
la benedizione. Allora una delle persone che erano ancora sedute
al posto rispose: Padre, non ve ne maravigliate, perchè fu preso il
tale Castellano, che era pessimo nostro nemico, e lo trascinano alla
forca. Udendo questo, frate Bertoldo fu preso da tremore, e disse:
Sappiate ch'io ho confessato lui e tutti i suoi satelliti, e che li
ho assolti e mandati a far penitenza, ed io aveva anche ammesso il
Castellano all'Ordine del beato Francesco, ed ora veniva qui per udire
la predica; corriamo dunque tutti e liberiamolo. Si diedero tutti a
correre velocemente, ma arrivati sol luogo del patibolo, eravi già
su penzolone e spirante. Ad un cenno di frate Bertoldo fu deposto, e
trovarongli attorno al collo una carta scritta a caratteri d'oro che
diceva: Sapienza 4.º: _Maturato egli in breve tempo compiè una lunga
carriera: conciossiachè era cara a Dio l'anima di lui; per questo egli
si affrettò di trarlo di messo all'iniquità._ Allora frate Bertoldo
mandò chiamando i frati Minori del convento della città, pregandoli
di portare una croce, un feretro, e un abito da frate e accorressero a
vedere e udire le mirabili opere del Signore. Così fu fatto; e riferì
loro tutto intero il caso. Trasportarono il corpo di lui, e gli diedero
onorifica sepoltura nel convento de' frati Minori, lodando il Signore
che opera tali miracoli.... L'anno 1284, indizione 12.ª, millesimo
che abbiamo già più sopra cominciato, settantadue di quelli che si
chiamano apostoli, e non li sono, tra' quali ve n'erano di giovani
e di vecchi, viaggiavano per la publica strada, passando per Modena
e per Reggio, diretti a Parma per vedere frate Gherardino Segalello,
che era stato il loro istitutore, mettere nelle mani di lui ogni loro
avere, essere da lui benedetti, e con licenza di lui viaggiare pel
mondo. Ed egli condusseli entro una chiesa vicino a Parma, li spogliò
tutti, li rivestì, li ammise all'Ordine degli apostoli, li benedisse,
e poi li lasciò liberi dì andare dove volessero. Papa Gregorio X da
Piacenza, in pieno Concilio a Lione, interdisse loro di aggregarsi
nuovi proseliti e di moltiplicarsi; pure vestono ancora quel loro abito
e vanno girovagando e folleggiando pel mondo; nè hanno il timore di
Dio, nè reverenza per l'uomo, cioè pel Sommo Vicario di Gesù Cristo,
e credono di essere in istato di salvezza, mentre non obbediscono alla
Chiesa romana. Parimente lo stesso anno, pochi giorni dopo le predette
cose, arrivarono per la stessa strada pubblica, dodici donzelle
avvolte in mantelli attorno alle scapole, che dicevano di essere
sorelle apostolesse degli uomini preaccennati, e andavano a Parma a
visitare Gherardino Segalello per lo stesso preindicato scopo. Questi
uomini, che dicono di essere, ma non sono apostoli, e sono invece
ribaldi e uomini grossolani e bestiali, conducendo secoloro queste
donne, credevano di fare ciò che l'Apostolo disse ai Corinzi 9.º:
_Non abbiamo noi podestà di menare attorno una donna sorella_? Nello
stesso millesimo Papa Martino IV mandò lettere di comando di predicare
la crociata contro Pietro d'Aragona, che aveva occupato la Sicilia; e
metteva innanzi quattro ragioni, per le quali voleva che si predicasse
una crociata contro di lui. La prima, perchè aveva occupata una Terra
della Chiesa, e contro la volontà della Chiesa tenevala, nè s'induceva
ad abbandonarla. La seconda, per aiutare e favorire Re Carlo, a cui la
Chiesa aveva data quella Terra. La terza, perchè colà si moltiplicavano
gli eretici, nè gli inquisitori dell'eresia potevano andarvi, a cagione
degli ufficiali che vi teneva Pietro d'Aragona. La quarta, perchè
l'esercito di Pietro d'Aragona che stanziava in Sicilia, impediva
di soccorrere Terra Santa, che di là ab antico traeva abbondanza di
vettovaglie e d'armi e d'armati. Ma la crociata non si predicò, perchè
dopo breve tempo avvenne la morte di Re Carlo e del Sommo Pontefice
romano.


a. 1285

Di fatto l'anno seguente, cioè 1285, indizione 13.º il giorno subito
dopo l'Epifania, ed era Domenica, Re Carlo morì presso Foggia, fu
portato a Napoli, ed ivi sepolto[68]. E noto che, dopo parecchi
anni di regno, morì il giorno compleanno della sua incoronazione.
Egli fu ottimo guerriero, e lavò l'onta di que' Francesi, che erano
andati oltremare con Re Lodovico il Santo. Lasciò dopo sè molti eredi
legittimi, figli e nipoti, e della sua morte una santa donna n'aveva
avuta chiara visione. Una donna di Barletta, nello stesso anno 1285,
ebbe una visione mostratale da Dio, della quale parlandone ai frati
Minori, di cui era dovota, disse: Ho veduto in una visione notturna
uno che stava davanti a me e diceva: Prima che avvenga, sappi sin
d'ora che, entro un anno, per volere di Dio, quattro notabilissimi
personaggi entreranno nel regno della morte, _ove è la sede assegnata
ad ogni vivente_ Giobbe 3.º: E il primo sarà Re Carlo; il secondo, Papa
Martino; il terzo, Filippo Re di Francia; il quarto, Pietro d'Aragona.
E gli eventi s'argomentarono di provarlo; conciossiachè ogni cosa
succedette giusta la predizione. Questa donna, quando morì Re Carlo,
ebbe un'altra visione, e raccontandola ai frati Minori, disse: Parevami
d'essere in un ampio e bellissimo giardino, ove vidi un gigantesco e
terribile drago, dal cui cospetto io spaventata fuggiva con quanta lena
di correre io aveva. Ma il drago di corsa velocissima m'inseguiva,
gridando e pregandomi con voce umana di aspettarlo, chè mi voleva
parlare. Avendo io udito quella voce che suonava umana, mi soffermai,
volendo udire che cosa dicesse; e voltami a lui, gli dico: Chi siete
voi, e che volete dirmi? E in risposta disse: Io sono Re Carlo, che
abitava in questo bellissimo Giardino, d'onde Pietro d'Aragona con
un frusto di carne ora mi scaccia. E alludeva alla moglie di Pietro
d'Aragona, per cagion della quale occupò contro Re Carlo il Regno di
Sicilia. E che la moglie venga significata col nome di Carne, si ha in
Giobbe 1º.... Dopo poi che i frati Minori ebbero saputo della morte di
Re Carlo, riconobbero che quella donna aveva veduta una visione vera.
Nello stesso millesimo, dopo la morte di Re Carlo, si vide un'ecclisse
di luna, ai 4 di Marzo, nell'ora in cui cantavamo il mattutino, cioè
nella Domenica di _lætare Jerusalem_ (_allegrati, Gerusalemme_); nella
quale Domenica il Sommo Pontefice dà la Rosa. Questa Rosa è d'oro e
contiene entro di se musco e balsamo; in che si rappresenta la Trinità
delle sostanze di Cristo.... Il musco, che trasuda dal liocorno, e
colla sua essenza aromatica conforta lo spirito, significa il corpo
di Cristo...... Il balsamo, che è caldo e odorifero, denota l'anima
di Cristo..... L'oro...... raffigura la divinità..... Il Papa dona
questa Rosa al Prefetto di Roma. Il Papa dunque dando la Rosa viene
a significare le accennate sostanze e spiega il mistero. Parimente
il Doge di Venezia co' suoi Veneziani, nel giorno dell'Ascensione del
Signore, sposa il mare coll'anello d'oro; parte per festa ed allegria;
parte mosso da una specie di antica idolatria, per la quale i Veneziani
sacrificano a Nettuno; parte, per indicare che i Veneziani hanno il
dominio del mare. Poi i pescatori, a cui piace, chè d'altronde non
vi sono forzati, si cavan nudi, e colla bocca piena di olio, che poi
mandan fuori, si buttano nel profondo del mare a ripescare l'anello;
e chi lo può trovare, senza contrasto, è suo.... Nel millesimo
stesso sussegnato, la Pasqua cadde ai 25 di Marzo, cioè il giorno
dell'Annunciazione della Beata Vergine, la qual coincidenza alcuni
credevano infausta; il che si aspetta che accada di nuovo fra dieci
anni, cioè nel 1295. E nello stesso anno, il giorno della Pasqua di
Risurrezione, Papa Martino IV fece un solenne pontificale; e poi nel
Mercordì fra l'ottava, nel qual giorno si cantò alla messa l'introito
_Venite, benedicti_ (_Venite, o Benedetti_), chiuse la sua carriera
mortale; e volle essere sepolto ad Assisi nella chiesa del beato
Francesco, perchè era amico intimo dell'Ordine de' frati Minori. E
immediatamente, dopo l'ottava di Pasqua, ai 2 d'Aprile, ebbe successore
Giacomo Savelli Romano, che era del novero del Collegio de' Cardinali,
anzi ne era l'anziano, vecchio, carico d'anni, malazzato, affetto di
podagra e di chiragra; e prese nome Onorio IV. Dopo che fu fatto Papa,
andò subito a Roma, e richiamò i Cardinali, sparsi in Legazioni per le
varie provincie, a fine di trattare con loro della pacificazione del
mondo. Era stato lasciato esecutore del testamento di Papa Martino IV;
e mandò al figlio di Re Carlo, che era in Sicilia prigioniero di Pietro
d'Aragona, un ingente tesoro in grazia di amicizia; e incoronò Carlo,
nipote di Re Carlo; e si spera che farà molto bene, come si dice, e
come pare che egli stesso assicuri....

  Delle insidie e della callidità del diavolo, che colla sua finezza
  tenta di trarre in inganno i servi di Dio.

Dopo l'assunzione dì Onorio al papato, un certo religioso riconobbe
d'essere stato deluso. Vivente ancora Papa Martino, al religioso
preaccennato frequentemente appariva il diavolo, e gli prometteva il
Papato per subito dopo la morte del Papa d'allora. Ma il frate, come
raccontò ad un suo amico, col quale ebbe un colloquio confidenziale
intorno a questa cosa, pareva che non si curasse del Papato, se non
in quanto desiderava, diventando Papa, di poter rappacificare il
mondo. Ma l'amico tanto intimo, a cui svelava il secreto dell'anima,
gli disse che a lui pareva impossibile, stante che egli non era
persona eminente, nè di gran conto, e perchè i Cardinali, a cui spetta
l'elezione, non avevano di lui nessuna conoscenza; ma egli rispondeva
che quell'elezione non è opera umana.... In seguito morì il Papa, e
fu creato Papa altri, non egli; quindi se ne rimase frustrato nella
ricevuta promessa, ed ingannato.... Il religioso preaccennato, a cui
tali cose accaddero, era un frate Minore, di cui taccio il nome a
fine di bene.... Tutte queste prenarrate cose, quando quarantacinque
anni fa, io abitava nel convento di Pisa, le seppi da frate Riccardo,
il quale, quando avvennero, dimorava nel convento di Pisa, ed
ammaestrano ad aversi buona guardia dalle insidie del diavolo....
Visse un sant'uomo, frate Minore, nativo d'Imola, di nome Benintendi,
sublimato all'Ordine del sacerdozio. Egli aveva abitato meco più
anni nel convento di Ravenna; era gradito confessore, ogni notte
faceva trecento genuflessioni, e digiunò ogni giorno tutto il tempo
di vita sua. Una volta fu condotta a questo frate una donna invasa
dal diavolo..... Ad uno scongiuro il diavolo se ne volò via confuso
e deluso con grida di pianto e di dolore, e la donna, ringraziandone
Iddio, ne fu completamente liberata..... quindi il beato Francesco,
quando il suo compagno fu una notte bastonato dai demonii alla Corte di
un Cardinale, si narra che gli dicesse: I diavoli sono i gastaldi del
nostro Signore, destinati a tenere gli uomini in guardia di sè stessi.
Anzi io penso ch'egli abbia permesso a suoi gastaldi di irrompere sopra
di noi, perchè questa nostra dimora nella Corte de' magnati, non fa
buon esempio al popolo. Nella diocesi di Parma, sul monte Bardone, vi
è un castello, che si chiama Berceto, trenta miglia distante da Parma.
Era di quel paese un certo chierico, di nome Guglielmo, che dimorava a
Parma. E quando una volta la moglie di un tal Ghidini fabbroferraio,
che era figlia di un certo Pieco abitante nel Borgo delle asse, fu
ossessa dal diavolo, quel chierico andò a lei, e cominciò a scongiurare
il diavolo, comandandogli di uscire da quella donna: e il demonio
rispose: Uscirò sì da lei, ma io ti ordirò tale una tela, per la
quale tu non potrai più molestarmi, nè costringermi ad uscire da' miei
abitacoli. Perchè sappi già sin d'ora che io farò che tu sia ucciso tra
breve, e che tu altri ucciderai. E l'evento avverò la minaccia. Pochi
mesi dopo, in Parma stessa, ebbe egli ad altercare in un cortile con
un Arduino di Chiavari, e si accapigliarono; ma un forte urtò contro
un altro forte, ed ambedue soccombettero. Il fatto me l'ha raccontato
chi era presente, e vide quando l'un l'altro si uccisero; e quale
dalle labbra di lui la ho udita, tale fedelmente ve la trascrivo. E fu
frate Giacomino de' Tortelli, che vide e me lo narrò, che ora è frate
Minore; e la donna che prima era ossessa dal demonio, ne fu pienamente
libera, ed è in Parma nel monastero dell'Ordine di S. Chiara. Il
Ghidini suo marito entrò nell'Ordine de' frati Minori; e, convertitosi
a mal in cuore, e datosi a vita non sua, rivolse l'animo al passato, e
uscì dal convento durante il noviziato, e vive nel secolo, acciocchè
_chi è ingiusto sielo ancora più: e chi è contaminato contaminisi
vieppiù_ ecc. Apocalissi 22.º. Del resto Arduino di Chiavari era uomo
di lettere, bello, robusto, battagliero, e aveva fatto quello stesso
giorno suoi bagagli per partire all'indomani da Parma, e ritornare
alla terra nativa. La terra, d'ond'era nativo, si chiama Chiavari, in
riva al mare, nella diocesi di Genova, presso Lavagna, dove abitavano
i frati Minori. Ed io mi vi son trovato più volte. Ed ivi presso si
ha abbondanza di buon vino di vernaccia; e il vino di quella terra è
generoso e delizioso tanto, che possono qui trovar loro luogo i versi
fatti per quel liquore da un certo Trutanno, che disse:

    Vinum de vite —
      — det nobis gaudia vitæ.
    Si duo sunt vina, —
      — mihi de meliore propina.
    Non prosunt vina —
      — nisi fiat repetitio trina.
    Dum quartum poto,
      — succedunt gaudia voto.
    Ad potum quintum, —
      — mens vadit in laberyntum.
    Sexta potationum —
      — me cogit abire supinum

    Se il vin di grappoli — Il sen m'innonda,
      Sento rinascermi — vita gioconda.
    Se hai vin, che è lacrima — D'uve diverse,
      Dei più gradevole — Vo' me ne verse.
    Se non ripetesi — Tre volte a prova,
      Tre volte il bevere, — Il ber non giova.
    Se un quarto calice — Ne bacio e ingollo,
      Mi grilla il giolito — Sin nel midollo.
    Se un'altra ciotola — M'empie i desiri,
      Mi danno il dondolo — I capogiri.
    Se il sesto tónfano — Nel sen n'imbotto,
      Supin mi corico; — Sono arcicotto.

..... Di otto pericoli, che si notano dall'Apostolo, e di esempi di
pericoli..... Hai l'esempio di S.ª Chiara, che in Ispagna liberò i
sommersi in un fiume.... Parimente quello del beato Francesco, tuffato
da' ladroni nelle nevi, una volta che viaggiando per una selva,
cantava in francese lodi a Dio, come accenna il responsorio: _mentre
a corpo seminudo_; e come disse il beato Francesco stesso: Se il
diavolo può avere tra mani un pelo d'un uomo, tosto lo fa crescere in
una trave; e come disse il Ministro Generale frate Bonaventura, una
volta che predicava ai frati in Bologna, ove io mi trovava in persona:
Consentire alle suggestioni e alle tentazioni del demonio, è tanto,
quanto precipitarsi dalla guglia di un'altissima torre, e, giunti a
mezzo, volersi appigliare ad un palo o ad una stanga, per non ruinare
a fondo....... Erano a studio in Bologna tre scolari e amici Toscani,
i quali avevano tra loro stabilito di entrare insieme nell'Ordine
de' frati Minori. E sperando senza dubbio di entrare nell'Ordine del
beato Francesco, come avevano deliberato, convennero nella proposta di
andare uno di loro in Toscana per denari, onde potersi vestire e fare
le altre spese, volute dalla convenienza di chi lascia il mondo, ed
entra novizzo in una Religione... Passato Casalecchio[69] e arrivato
al ponte del Reno sulla via che va a Crespellano[70], il diavolo
gli diede uno spintone, e lo precipitò nel fiume, e ve lo sommerse
e annegò; e dopo tempo ne fu trovato il cadavere nel Polesine, e non
fu creduto degno di sepoltura. (Il Polesine è la terra, in cui frate
Pellegrino di Bologna aveva le sue possessioni. Frate Pellegrino poi
è uomo tutto dato alle cose dello spirito, e letterato, che non beve
mai che acqua, e abborre dal vino; e fu due volte Ministro nell'Ordine
de' frati Minori, cioè nella provincia di Grecia e nella provincia
di Genova). Ma non vedendosi ritornare il primo compagno, perchè nol
poteva, essendo stato annegato dal demonio, piacque ai due rimasti a
Bologna, che l'un di loro andasse in Toscana per il medesimo scopo del
primo, ed anche per far ricerche dell'amico smarrito; ma arrivato al
luogo sopradetto, e proceduto pochi passi avanti, il diavolo lanciò
dal tetto di una piccola chiesa sul capo di questo scolare, una grossa
pietra che gliene franse il cranio, e cadde subito morto, e fu quivi
sepolto presso la stessa chiesa. Ma non ritornando neppure il secondo,
perchè nol poteva, il terzo entrò nell'Ordine senza sapere quale caso
avesse incolto i compagni. Questi è frate Pietro di Cori[71], dalla cui
bocca ho saputo la storia che scrivo; il quale mentre era ancora nel
noviziato di Bologna, fu compagno di un frate sacerdote, che andava a
confessare nel Polesine. E trovandosi quel frate, che era sacerdote,
occupato in chiesa a confessare, ed il novizzo fuori, a chiacchierare
con quelli del contado, sopravvenne un indemoniato, che pareva crudele
e terribile. A cui frate Pietro disse: Io riconoscerò che veramente hai
il demonio in corpo, se saprai parlar meco in latino, e se mi dirai che
avvenne di tre scolari, che erano compagni, e come ordinò ciascun di
loro i fatti suoi. Allora il demonio cominciò a parlare, e parlava un
sì corretto latino, che frate Pietro se ne meravigliò altissimamente,
a udire un uomo rozzo e campagnuolo parlare così, e in quel modo
argomentare. Ed insistendo sul fare inchiesta dei tre compagni,
disse che egli stesso n'aveva uccisi due, come più sopra è detto.
E ricercatolo del terzo compagno, rispose: Non so che sia avvenuto
del terzo perchè fuggì e si allontanò da me; Ma potrà fuggirmi, non
sfuggirmi, poichè io lo circuirò e ridurrò a tale porto, che chiunque
ne abbia udito parlare ne avrà il tintinnio in ambe le orecchie.
Interrogò dunque frate Pietro gli abitanti di quella terra, se il
demonio avesse detto il vero del cadavere dello scolare ivi rinvenuto,
ed attestarono che era vero punto per punto quanto il diavolo esponeva.
Avendo poi fatto cercare accuratamente dell'altro compagno riseppe
essere egualmente vero. E tanto basti. Crebbe costui nell'Ordine
de' frati Minori, diventò uomo di molta letteratura, peritissimo nel
diritto canonico, buono di leggere tutta la Bibbia in lingua francese;
e passando giorno sopra giorno, ed anno sopra anno accumulandosi, fu
eletto Ministro nella provincia di Genova, in Sicilia, e in Toscana
sette anni. Fu uomo sempre pieno di sospetti, che insultava facilmente
e copriva di vituperi le persone per poterle tenere a stecco. Esaltava
cui voleva, cui voleva umiliava; uomo di più faccie, astuto, malizioso,
volpe scaltrita, ipocrita vile ed abbietto; uomo pestifero e maledetto,
odiato terribilmente da Papa Alessandro IV; e detestato a morte.
Era figlio di un Sacerdote della diocesi del predetto Papa, quando
questi era ancora ne' gradi minori della gerarchia. Fu mio Ministro e
Custode, quand'io era in Toscana; e, dopo che ne partii, commise tante
turpitudini ed enormità, che non sono da raccontare, per cui fu dai
frati condegnamente castigato. Più volte uscì dall'Ordine, e terminò
malamente la sua vita, a ragione de' suoi meriti. Quindi si mostrano
vere anche le cose che predisse di lui il demonio... Pertanto tutte
queste cose ho narrato avendone porta occasione quel frate che fu
ingannato dal demonio, a cui compariva e prometteva il papato; cose che
possono tornare utili a conoscere le finezze e le malizie del diavolo.
... Ora ritorniamo alla storia profana, e continuiamo ciò che resta
a dirsi. L'anno 1285, indizione 13.ª, millesimo che incominciammo già
più addietro, tutto il mese di marzo fu tanta la molestia delle pulci,
e ne fu tanta l'abbondanza da parere, ed essere anche troppe per piena
estate. E perciò mi tornano a mente que' versi soliti a dirsi:

    In _x_ finita —
      — tria sunt animalia dira:
    Sunt pulices fortes, —
      — cimices, culicumque cohortes;
    Sed pulices saltu —
      — fugiunt, culicesque volatu;
    Et cimices pravi —
      — nequeunt foetore necari etc.

    Tre v'hanno insetti a nomi in X cadenti:
      Pulci, zanzare e cimici fetenti.
    La pulce fugge a salti e ti canzona;
      Va la zanzara a volo, e 'l flauto suona;
    La cimice se schiacci uggiosa e lenta,
      Col vindice fetor a te s'avventa; ecc.

Nello stesso millesimo ai 7 di Marzo, Sabato, verso sera, si udirono
orribili tuoni e spaventosi, e si videro lampi, quasi incendii del
cielo, e tosto imperversò una grossissima grandine, che distrusse le
ortaglie e gli alberi da frutta, come i mandorli, i melagrani, e i
fichi primaticci, ossia i fioroni.... Così anche a Milano si celebrò
un Capitolo generale dell'Ordine de' frati Minori, nel giorno di
Pentecoste, che fu ai 13 di Maggio. E furono dimessi molti Ministri,
e fu modificato il nostro Statuto, a cui quà fu aggiunto, là tolto; e
frate Pietro, Ministro della Guascogna, che era maestro con cattedra,
fu Vicario in quel Capitolo, come se fosse stato Ministro Generale,
perchè frate Buonagrazia, ultimo Ministro Generale era morto. Per la
elezione del Ministro Generale però ottenne la maggioranza dei voti
e fu creato frate Arlotto da Prato di Toscana, maestro con cattedra,
che faceva lezioni a Parigi. Parimente in quell'anno fu celebrato
un Capitolo generale dell'Ordine de' frati Predicatori a Bologna; e
siccome anch'essi erano acefali, fu eletto frate Munione spagnuolo
Maestro dell'Ordine de' frati Predicatori. E sappi che quelli, che
noi frati Minori chiamiamo Ministri Generali, essi li chiamano Maestri
Maggiori, che comandano agli altri.... E tutto sta bene, perchè vi è
differenza di nomi, ma in sostanza tutto riguarda e converge a Dio....
Sappi anche che i frati Predicatori ebbero più Maestri transalpini che
cisalpini; e la ragione forse è questa che il loro fondatore, cioè San
Domenico, fu un ultramontano. Noi per contrario ne abbiamo avuto più di
Italiani che di transalpini. E questo per tre ragioni: Primo, perchè
il beato Francesco è Italiano; secondo, perchè è sempre maggiore il
numero dei votanti Italiani; terzo perchè sanno più di governo. E gli
Italiani temono che se i francesi avessero il predominio nel governo
dell'Ordine, si rilasserebbe il rigore della Religione. Avverti che
eglino si lamentano se abbiamo maestri di cattedra, dottorati a Parigi.
Noi di rincontro ci adoperiamo ad ogni potere per non aver Ministri
Generali Francesi per le ragioni addotte più sopra.... Nota, che ad un
certo frate de' Predicatori, tutto dedicatosi alle cose dello spirito,
fu rivelato in una visione che i Predicatori avrebbero avuto tanti
Maestri Generali, quante sono lettere in questa parola: _Dirigimur_
(siamo diretti) che sono nove; ed a verificarsi completamente non
restano più che due lettere, cioè u ed r. Poichè prendi la prima
lettera, ed hai Domenico; prendi la seconda, ed avrai _Jordanum_
(Giordano); prendi la terza, ed avrai Raimondo; la quarta, ed hai
Ioannem (Giovanni); la quinta, ed hai Gumberto; la sesta, ed hai di
nuovo _Ioannem_ (Giovanni); prendi la settima, ed hai Munione che ora
governa l'Ordine. Esempio quasi identico reca il beato Gregorio nel
Dialogo libro 3º.... E nota che l'Abbate Gioachimo, a cui Iddio rivelò
il futuro, disse che l'Ordine dei Predicatori doveva patire coll'Ordine
de' Chierici; e che l'Ordine de' Minori doveva durare fino alla fine.
Nello stesso millesimo preindicato, nel quale si sono celebrati que'
due Capitoli generali, il Marchese Guglielmo di Monferrato coll'aiuto
dei Torriani di Milano e con altri amici condusse un grosso esercito
contro i Milanesi che erano dentro la città. Anche i Modenesi avevano
tra loro accesa discordia, e più volte diedero di piglio alle armi. I
Tartari invasero tutta l'Ungheria e devastarono tutto con ogni maniera
di stragi, d'incendi e di rapine; e in quella invasione uccisero tutti
i frati d'un convento di Predicatori, tranne due rannicchiati in un
nascondiglio. Finalmente i Tartari fecero pace col Re d'Ungheria, a cui
il Re dei Tartari mandò una lettera di questo tenore: «Davide Giovanni
Re di Tarso e dell'isola orientale e delle genti, che vi abitano, al
Re degli Ungheri (invia) la sua grazia e quella del suo popolo, grazia
cui il Dio Trino ed Uno ecc. Come piacque al Signore il nostro cuore
si è elevato al di sopra di tutto ciò che si dice uomo terreno, e il
nostro trono si è alzato sopra il collo dei ribelli, sicchè i Re della
terra adorano la cintura de' nostri lombi, tranne il Re di Francia
cui D.... in un dialogo chiama il fedele e il cattolico, e mi disse:
Non stendere la mano sopra di lui; la nostra spada divorerà i nemici
del crocefisso, e i nostri cavalli e li nostri asini manicheranno i
resti di loro; i piedi de' nostri dromedarii e de' nostri camelli
non sono più bifidi per la rigidezza che contrassero; moviamo i
nostri accampamenti in inverno; sia pace a tutti; mandino a noi vino
in ricambio di balsamo, frumento invece di oro puro, poichè stiamo
pellegrinando lungi dalle nostre sedi, chiamati da una stella, che ne
guida. Nostra cura è di riportare alle loro Terre[72] il Signor nostro
Baldassare e i nostri cognati Gaspare e Melchiorre». Mentre si spargeva
sangue in tutte queste battaglie, mi tornavano a mente le parole di
nostro Signor Gesù Cristo ai discepoli, Matteo 23.º.... Così nell'anno
stesso sussegnato, il Re di Francia, dopo la morte di Re Carlo suo zio,
condusse un grosso innumerevole esercito in Ispagna contro Pietro di
Aragona, chè lo voleva annientare. Così sono le cose oggi, giorno di
S. Sisto 1285; se ne ignora la fine perchè gli eventi di una guerra
sono sempre incerti.... Parimenti lo stesso anno i Modenesi fuorusciti
combatterono un'asprissima battaglia contro i Modenesi di dentro la
città, e da ambo le parti si pugnò accanitamente, e molti caddero
feriti sul campo, molti ne furono morti, e molti rimasero prigionieri.
Lo stesso anno tornarono ad azzuffarsi presso Gorzano, e si rinnovò
la strage dell'altra volta, poichè vi fu grande carneficina da ambo
le parti, e molti popolani e cavallieri vi trovarono l'ultimo giorno
di vita. Tuttavia i Modenesi di dentro la città si vantavano d'aver
avuto il sopravvento in tutte e due le battaglie, e quindi dalla
vittoria pigliando audacia, andarono ad incendiare Balugola[73], che
è un borgo del Modenese in montagna. Parimente nello stesso anno di
comune accordo la fanteria e la cavalleria della città di Modena andò
al castello di Rubiera, che è sulla strada publica, nella diocesi di
Reggio, e quelli di Sassuolo fecero altrettanto; però non avvenne tra
loro fusione, se ne stettero a campo separati. E vi andò il Podestà
di Reggio con dodici ambasciatori Reggiani, e vi ritrovarono anche
frati Minori e Predicatori, e si fece lo scambio e il rilascio dei
prigionieri, che in tutto tra l'una e l'altra parte erano 400. E
questo fu fatto la vigilia di S. Pietro in Vincoli, ultimo del mese
di Luglio; ma già sin da molto tempo prima ne erano intervenute
lunghe trattative. Tuttavia perdurò fra loro una guerra vigorosa e
sanguinosa, e de' Modenesi tra della parte di que' di dentro, e di
quella di fuori, che abitavano a Sassuolo, ne furono morti 1500; i
più notabili de' quali sono: Matteo Montecucoli[74], Guglielmino di
Monteveglio[75], Ponzio Provenzale, Capitano delle milizie dei Modenesi
della città, Gherardo Rangone, Gherardino Boschetti, Giovanni da Rosa,
l'Arciprete di Bazoara de' Presuli, Rainiero dei Denti di Balugola,
Raimonduccio Grassoni, Nordulo da Livizzano[76], Nevo da Levizzano,
Gigliolo de' Poltronieri, Bartolomeo di Campiglio[77], Tomaso di
Lovoleto[78], Ardizzone di Lovoleto, Neri di Leccaterra (questi fu
valentissimo nel rotare la spada e vibrare la lancia), Carentano
dei Carentani, il Modenese de' Ricci, Zaccaria di Tripino, Francesco
di Spezzano[79], Tommaso di Spezzano. Qui si chiude il catalogo de'
notabili Modenesi uccisi a tempo di quella accanita guerra che tra
loro stoltamente si fecero. Ci pensino eglino! Ora è a dire alcunchè
de' Genovesi. Tiene la Signorìa di Genova Uberto Spinola, e nel
1285, agli 8 di Giugno, con cento galee filò pel porto di Pisa per
forzarlo, ed impadronirsene; e i Lucchesi colle loro milizie corsero
contro i Pisani a Ripafratta[80], ove è un castello de' Pisani presso
il Serchio, e diedero il guasto all'agro Pisano, mettendo a fuoco le
case, le vigne, le biade. E l'anno precedente Genovesi e Pisani due
volte avevano tra loro cozzato in battaglia navale, ed i Pisani furono
sconfitti, a tale che di Pisani tra morti e prigionieri 10,000 furon
messi fuori di combattimento; di Genovesi solo 200. E nota che il
sunnominato Uberto tenne di forza la Signoria di Genova dodici anni,
e contrastando all'ambizione de' Grimaldi, che parteggiavano per la
Chiesa. Parimente l'anno prenotato, Papa Onorio IV mandò ordinando ai
Lucchesi che avevano stretto d'assedio Ripafratta, castello dei Pisani
sul Serchio, di cessare dalla guerra contro Pisa; e inoltre scomunicò
tutti quelli, che avevano ostilmente impugnate le armi contro i Pisani,
perchè questi ora si sono annidati sotto lo scudo e la protezione della
Chiesa, essendo che dove abbondò il peccato, sovrabbonderà anche la
grazia, dice l'Apostolo ai Romani 5.º. Nello stesso anno cominciarono
le fondamenta della chiesa dei frati Minori di Reggio; e frate Giglino
di Corrado da Reggio ne pose, il venerdì dell'ottava di Pentecoste, 18
di Maggio, la prima pietra nel pilastro anteriore lungo la via, che è
vicina alla casa della Chiesa di S. Giacomo. Quell'anno fu anche molto
piovoso, e non passava giorno senza pioggia, e i contadini n'erano di
mal umore, perchè non potevano fare i loro lavori; e ne accagionavano i
frati Minori, perchè gettando le fondamenta della loro Chiesa, avevano
dissotterrate le ossa dei morti. E quell'anno non portò piena raccolta,
perchè il frumento in qualche luogo fu distrutto parte dalla grandine,
parte da altre calamità. La state poi non fu ristorata da nessuna
pioggia, e s'ebbe grande siccità, anzi aridità; nè vi fu abbondanza
d'ortaglie perchè gli orti non erano irrigui, nè si ottenne dal cielo
beneficio di pioggia. Si ebbe carestia di zucche e di _minuti_[81],
di vino, di olio, di rape, di castagne e di molte altre specie di
frutta. L'anno stesso vi fu un eclisse di sole, verso sera, un lunedì
4 Giugno, ma fu un eclisse parziale, ristretto, e veduto da pochi,
perchè il cielo in quel giorno era nebuloso. Di questi eclissi di sole,
di luna, e di stelle, sappi ch'io ne ho veduto spesse volte, dopo che
sono entrato nell'Ordine dei frati Minori; ed avvengono non solo perchè
Iddio lo predisse, dicendo Luca 23ª.... ma anche perchè portendono,
ossia dimostrano, qualche cosa che ha da accadere. Però tra gli altri
eclissi di sole, che si sono veduti a miei giorni, il più notevole
fu quello del 1239, di cui ho parlato quanto basta più indietro; e
di luna, il più maraviglioso fu quello che si vide il primo anno del
pontificato di Gregorio X, in Maggio, verso l'ora del mattutino, quando
apparve nella luna il segno della Croce, e che in quella notte durò
a lungo, e fu veduto da molti in varie parti del mondo. Questo segno
nella luna poi comparve ancora l'anno 1272, indizione 15ª. Poi tra
gli altri prodigi di stelle, massimo fu quello che si fece vedere a
tutto il mondo ai tempi di Papa Urbano IV. L'anno in cui morì apparve
in cielo una stella cometa, a modo di fiaccola, verso la festa di S.
Apollinare, e continuò a mostrarsi sino alla morte del Papa; della
quale apparizione parimente ho scritto più sopra alla rubrica dell'anno
1264.... Le comete i latini le chiamano con parola che significa
crinite, perchè mandano uno sprazzo di luce, che somiglia ad una chioma
svolazzante; e gli Stoici ne annoverano più di trenta, i cui nomi ed
effetti alcuni astrologi notarono. Dei più cospicui lavori pubblici
compiuti dai Parmigiani par bene parlarne ora. Nel millesimo sussegnato
i Parmigiani cominciarono un grandioso palazzo e bello sulla piazza
nuova, e fecero costruire la porta di S. Benedetto, e cominciarono il
ponte di pietra sull'Enza, torrente che interseca la pubblica strada,
che va da Parma a Reggio, a cinque miglia da Parma; e fecero fare una
grossa campana per la torre del Comune, essendosi rotta quella che
v'era prima; e siccome per mancanza di metallo non si formarono le
anse, od orecchie, e perciò non si poteva legare ed appendere, fu dallo
stesso maestro fusa una seconda volta, ma non era sonora per qualche
difetto, che, pur si crede, debba avere. Onde i Parmigiani mandarono
a Pisa in cerca di un valente maestro, che loro gettasse una buona
campana. E il maestro da Pisa venne a Parma sfarzosamente vestito, come
un gran Barone; ed alloggiò nel convento dei frati Predicatori, ove
fece la campana con quella maggiore e migliore diligenza, che ebbe e
potè, avendo ricevuto metallo nuovo ed in gran quantità, come volle; e
ne disegnò una forma bellissima... inoltre la gettò sulle fondamenta
della chiesa de' Predicatori, che era già fondata, perchè temeva che
il metallo sfuggisse dalla forma per di sotto. Ma nulla giovarono
tante diligenze, e la campana fusa non fu trovata buona, nè quanto
alla forma, nè quanto alla sonorità. E così Iddio punì l'orgoglio de'
Parmigiani, che volevano avere una campana che si udisse sino a Reggio
e a Borgo S. Donnino, ma appena si sentiva per Parma. E i Parmigiani
spesero in quell'anno a fare e rifare una campana mille lire imperiali,
nè poterono averla buona. Nel convento poi dei frati Predicatori in
Parma non abitavano allora che quattro frati per custodire il locale.
Poichè i frati Predicatori fuggirono da Parma per cagione di una donna
che si chiamava Alina, che l'avevano que' frati fatta bruciare viva per
eretica; nè erano ancora ivi tornati ad abitare, stantechè a ritornare
volevano esserne onorificamente pregati; ma i Parmigiani si curavan
poco di loro, perchè riguardo ai Religiosi sono sempre duri e poco
ossequenti. Parimente, nello stesso millesimo, i Parmigiani costruirono
una grossa muraglia lungo il torrente Parma, ad oriente della chiesa
di S. Maria del Tempio[82], a partire dal ponte di donna Egidia verso
il ponte di pietra, sul quale decorre la strada publica, ed ove si
vendono le mercerie. Così in quell'anno eressero due torri in riva al
Taro, l'una sulla destra, l'altra sulla sinistra di quel torrente, là
dove esso mette foce in Po; e stesero una catena di ferro tra l'una
e l'altra torre, acciocchè nessuno potesse in quel luogo entrare nè
uscire per acqua con merci senza il placito dei Parmigiani. Altrettanto
fecero sull'Enza, dove presso Enzano sbocca in Po; altrettanto sulla
Parma, presso Colorno, ovvero Copermio. In quell'anno nella villa
di Poviglio, che è nella diocesi di Parma, nel breve giro di tre
mesi morirono ottanta uomini; e questa è regola generale, ossia una
sperienza provata, che quante volte vi è morìa di bovini, altrettante
l'anno successivo sopravviene mortalità di uomini. Infierì anche
in Roma una micidiale pestilenza, sicchè sotto Papa Onorio IV, di
soli mitrati tra Abbati e Vescovi, dalla Pasqua sino all'Assunzione
della beata Vergine, ne morirono ventiquattro. E nello stesso anno
i Parmigiani deliberarono di fare un ponte di pietra sul Taro, che è
distante da Parma cinque miglia, sulla strada pubblica, che va a Borgo
S. Donnino. Inoltre costruirono una torre nel castello di Grondola[83],
che hanno sull'Apennino a tre miglia da Pontremoli. Ma per isvolgere
meglio questo argomento delle opere fatte dai Parmigiani, è necessario
rifarci indietro, e nominare anche quelle che furono compiute prima che
noi fossimo nati.


a. 1196

L'anno dunque dell'Incarnazione del Signore 1196 fu cominciato il
battistero di Parma; e mio padre, come ho saputo da lui stesso,
collocovvi la pietra fondamentale per memoria e ricordo ai posteri.
Tra il battistero e casa mia non vi era spazio in mezzo. E mio padre si
chiamava Guido di Adamo, ed io figlio suo frate Salimbene dell'Ordine
de' frati Minori.


a. 1199

L'anno 1199 que' di Borgo S. Donnino fecero stormo co' carrocci contro
i Piacentini e i Milanesi e quelli che tenevano da parte loro, e furono
sconfitti i Borghigiani.


a. 1207

L'anno 1207 furono fatte le pile del ponte di pietra sul torrente
Parma, e nevicò strabocchevolmente e si chiama la neve di S. Agata,
perchè fioccò in quel giorno, e i nati dopo d'allora la ricordano e
ne parlano come di cosa straordinaria, chè arrivò all'altezza della
statura d'un uomo. E fu quell'anno stesso che il beato Francesco fondò
l'Ordine de' frati Minori, regnando Papa Innocenzo III, nel decimo anno
del suo pontificato, e visse nell'Ordine stesso venti anni interi.


a. 1210

L'anno 1210 furono scavate le fossa di santa Croce di Parma, e
l'Imperatore Ottone venne a Parma.


a. 1211

L'anno 1211 fu coniata la prima moneta dei piccoli denari di Parma, e
si incominciò la fabbrica della casa della Religion Vecchia di Parma.


a. 1213

L'anno 1213 i Cremonesi, da soli, rapirono il carroccio ai Milanesi.


a. 1215

L'anno 1215 Roberto di Manfredo di Pio, Modenese, fu Podestà di Parma,
e i Parmigiani e i Cremonesi assediarono Castelnovo de' Piacentini.


a. 1216

L'anno 1216 gelò il Po.


a. 1217

L'anno 1217 si raccolse un esercito a Zibello[84].


a. 1221

L'anno 1221 Torello Strada di Pavia fu Podestà di Parma; e allora si
cominciò a fabbricare il palazzo nuovo del Comune di Parma.


a. 1222

L'anno 1222 fu Podestà di Parma Enrico degli Avvocati di Cremona; e
quest'anno sul principio della sua Podesteria si ebbe, per Natale, uno
spaventevole terremoto, che spesso è rammemorato da chi sopravvisse, od
è nato dopo.


a. 1224

L'anno 1224 fu Podestà di Parma Manfredo Cornazzani, e morì Obizzo
Vescovo di Parma, oriondo di Lavagna, e zio di Papa Innocenzo IV.


a. 1226

L'anno 1226 venne a Parma Federico Imperatore.


a. 1227

L'anno 1227 Torello Strada, di Pavia fu di nuovo Podestà di Parma. E
allora si cominciò a costruire il castello così detto di Torello[85]
contro Borgo S. Donnino, perchè i Borghigiani non volevano stare
all'obbedienza de' Parmigiani; ma siccome poi i Borghigiani si
sottomisero al Comune di Parma, perciò i Parmigiani desistettero
dalla costruzione del castello. Questo per ora sia detto de' lavori
pubblici e delle gesta dei Parmigiani. Altrove forse diremo d'altro,
se si presenterà occasione di parlarne, e se mi parrà opportuno. Si
continui dunque il millesimo cominciato. L'anno pertanto suindicato,
cioè 1285, Manfredo Torta degli Alberghetti di Faenza morì nella
villa di Sezaria a cinque miglia da Faenza; e fu ucciso in una con suo
figlio da' suoi consanguinei, mentre reduce da Ravenna era a pranzo
con loro. E lo stesso anno i nipoti del conte Taddeo di Buonconte
insorsero contro Malatesta di Rimini, e lo percossero, e volevano
ucciderlo a Cesena presso la casa degli Eremitani, per aiuto de' quali
potè evadersi, perchè la loro porta era aperta. Così in quell'anno fu
deliberato dai Reggiani, in pieno Consiglio, che i pescivendoli non
potessero vendere pesce a cominciare dal principio di quaresima sin
dopo Pasqua, sotto comminatoria e pena di venticinque lire di bonini;
la quale deliberazione fu appuntino eseguita. La cagione poi di questa
deliberazione fu che quando i cavallieri, o i giudici domandavano
ad un pescivendolo: Quanto vale questo pesce? esso richiestone due o
tre volte, sdegnava di rispondere, anzi si voltava da altra parte, e
chiacchierava col compare dicendogli: Compare, poni quà, spingi là il
cesto, o il cavagno. D'onde quel de' Proverbii XXIX: _Il servo non si
corregge con parole: benchè intenda, però non risponderà_.... Oltre
ciò volevano di una piccola tinca, o anguilla tre o quattro grossi. Ma
i pescatori e i pescivendoli vedendo che quello era stato stabilito
contro loro si eseguiva con fermezza e con rigore, e che ne avevan
danno, poichè tutti i loro pesci furono numerati e posti in vivai da
starvi sino a dopo Pasqua, andarono ai frati Minori scongiurandoli di
supplicare il Podestà, il Capitano e gli Anziani e tutto il Consiglio
di voler ritirare quella legge, e promettevano di vendere il loro
pesce, a chi voleva comprarne, a prezzo ragionevole e discreto, con
cortesia e a buon mercato. Ma non pertanto fu disdetta la deliberazione
presa, secondo la parola detta dall'Apostolo per Esaù nella lettera
agli Ebrei 12.ª _Imperciocchè non trovò luogo di pentimento benchè
richiedesse quello con lagrime_. Ed i Reggiani minacciavano di fare
altrettanto ai beccai, se per Pasqua non vendessero le carni al
macello con cortesia e a prezzo ragionevole. Il che udendo buccinare
i beccai, si regolarono secondo che insegna la Sapienza ne' Proverbii
XIX: _Percuoti lo schernitore, e il semplice ne diventerà avveduto_
ecc. Gherardo Varoli, Giudice, fu il primo a denunziare in Consiglio
la malizia dei pescivendoli, e la sua denunzia fece prendere quella
deliberazione.... Parimente nel millesimo soprassegnato, cioè 1285
quei di Sassuolo catturarono 800 donne di quelli che erano dentro
Modena, uscite alle vigne a vendemmiare, e le condussero a Sassuolo
in prigione. Il che avvenne un martedì, 4 Settembre; ma presto furono
prosciolte, perchè i Modenesi della città ne catturarono similmente
di quelle dei Sassuolesi. Furono anche presi il 21 Settembre, giorno
di S. Matteo Apostolo, ventiquattro di quei di Sassuolo dai Modenesi
della città che erano a Rubiera, e li sorpresero nella villa di
Corticella[86], ad un miglio e mezzo da Rubiera; tra cui furono i
principali: Burigardo, che era maestro della milizia di Sassuolo,
prode dell'armi e dotto nell'arte militare, (questi era di Gap, che
è piccola città della Provenza. Fu questi che aveva consigliato di
catturare le dette donne e mandarle in carcere; e lo stesso mese fu
anch'egli preso e condotto nelle prigioni di Modena). Un altro de' più
cospicui fu il Conte Lesnardo di Crema; tutti gli altri erano Francesi,
meno uno di Modena. E nota che, come dissero poscia i Modenesi di
dentro la città, se Burigardo, quando in principio corse in aiuto
di quei di Sassuolo, avesse fatto un colpo di mano ardito sopra la
città, eglino erano deliberati di svignarsela e abbandonare Modena;
tanto il timore era diventato loro consigliere e padrone. Ma Iddio
meglio dispose ne' suoi decreti; perchè ai 7 di Ottobre fu firmato un
compromesso tra i Modenesi fuorusciti e quelli di dentro la città. E
Guido di Correggio e Matteo suo fratello furono i principali autori di
quella pacificazione, e de' patti convenuti; anche Mastino Sanvitali
di Parma molto s'adoperò a fine che i Modenesi si riamicassero; e
Frate Pietro da Collecchio di Parma, dell'Ordine de' frati Minori e
lettore nel convento di Modena, egualmente e fedelmente se ne curò,
recandosi con insistenza dai sunnominati personaggi, e correndo e
ricorrendo da Modena a Sassuolo e viceversa, rapportando, come loro
nunzio, quanto avevano detto le parti. Però era intendimento tanto
di quei della città di Modena, come di quelli di Sassuolo, che in
ogni modo un componimento si conchiudesse. Perocchè la miseria e la
povertà avevano già vinto gli uni e gli altri ed erano vincolati a
grossi debiti, e le loro casse erano al verde; e le avevano esauste i
Toscani, i Francesi, i Romagnuoli e molte altre genti cogli stipendi
che ricevevano. Anch'io frate Salimbene di Parma dell'Ordine de' frati
Minori, accompagnai in occasione di quelle trattative frate Pietro da
Collecchio, e andai a Sassuolo da Manfredino e pregai lui, non meno che
gli altri maggiorenti de' fuorusciti Modenesi, a non respingere, per
quanto dipendeva da loro, le proposte di pace.... I quali risposero
con cortesia e benignità che in ogni modo volevano la pace co' loro
concittadini, e che erano dell'animo disposti ad accettare le proposte
di coloro che s'erano intromessi in quell'affare, quantunque paressero
loro gravi, e realmente le fossero. A que' giorni andai a Carpi per
festeggiare ivi il giorno del beato Francesco. Arrivando là vi trovai
i messi secreti del Marchese d'Este adunati nella chiesa plebana,
e nell'ora stessa giunsero da Parma Guido da Correggio e Matteo suo
fratello; e tosto tennero tra loro consiglio intorno al trattato di
pace. E perchè i pensieri pigliano forza e maturità dai consigli,
intanto di notte.... interloquirono, e stabilirono un progetto, cui
nessuno a Carpi conobbe, tranne l'Arciprete della Chiesa plebana. E
la mattina per tempissimo i messi del Marchese partirono per Ferrara,
e Guido e Matteo andarono a Modena, e cominciarono a trattare della
pace. Pochi giorni dopo poi, i prenominati due fratelli, si recarono
a Parma, e pregarono il Podestà, il Capitano e tutto il Consiglio
a volersi intromettere in quella pacificazione de' Modenesi, perchè
la volevan pur fare colla loro annuenza; e il Capitano, il Podestà e
tutto il Consiglio acconsentirono. Allora Guido prese a prestito dai
Parmigiani mille lire, ed altrettante ne prese dai Reggiani Matteo, per
pagare lo stipendio ai soldati che erano in Modena e licenziarli, per
trattare la pace con maggiore speranza di riescita. Queste trattative
però si strascicarono per molti giorni, perchè le passioni erano molto
accese e la matassa assai intricata. E mandarono a Reggio Burigardo,
che era in ceppi a Modena, e il Conte Lesnardo con alcuni altri, e
vi furono ritenuti prigioni nel palazzo del Comune. Poscia Guido da
Correggio andò e prese Burigardo e lo condusse a Correggio, che è
una villa nella diocesi di Reggio, ed ivi gli fece gli onori; poi lo
condusse a Castelnuovo[87], nella diocesi di Parma, dove sì egli che
suo fratello Matteo da Correggio hanno loro possedimenti, ed ivi lo
onorò magnificamente banchettando e servendo squisite imbandigioni. E
Burigardo disse a Guido: Se mi ti dessi anche in mano per ischiavo,
io non ricambierei condegnamente la tua gentilezza. E aggiunse: Voi
mi liberaste dal carcere di Modena, o Guido, e mi sottraeste dalle
unghie de' miei nemici, e di quelli che mi tendevano insidie, e
tramavano alla mia vita. Perciò ogni volta che avesse da insorgere
guerra contro di voi, per tutta la mia vita mi troverete sulla breccia
in vostro aiuto, in vostro servizio. Di che Guido gli rese grazie, lo
lasciò andar libero in pace, anzi lo accompagnò sino a luogo sicuro.
E Burigardo andò a Sassuolo, e da quelli di Sassuolo fu accolto e
veduto festosamente e onorificamente, come fosse arrivato un Angelo del
cielo. E nota che Burigardo non mancò di reverenza verso Dio; e fugli
devoto a segno che aveva sempre in sua Corte un proprio cappellano
che ciascun giorno diceva messa e celebrava i divini uffici per lui.
Quando fu a Reggio mandò regalando ai frati Minori un grosso doppiero
da accendersi, in onore del corpo del Signore, al momento della
elevazione nella messa. Ma quando Burigardo fu ritornato a Sassuolo,
allora si disperò della pace; e que' di Sassuolo incominciarono a
rifortificare il loro castello. Però Matteo da Correggio nel Consiglio
de' Modenesi parlò assai caldamente in favore di quei di Sassuolo, e
perorò splendidamente producendo allegazioni in favor loro; e si mostrò
vivamente sdegnato co' Modenesi, perchè non volevano dare l'amplesso
della pace ai loro concittadini fuorusciti, e perchè essi due fratelli
dovettero stare occupati, per le trattative di quella pace, dal
giorno del beato Francesco sino al giorno di Santa Lucia. Inoltre i
Modenesi avevano eletto Guido a loro Podestà per l'anno seguente, il
quale aveva anche ordinato che fossero diroccati tutti i castelli e le
fortezze che erano nella diocesi di Modena, come era stato convenuto
nel trattato di pace. Partissi adunque Matteo da Modena focosamente
sdegnato per le cagioni suesposte, dicendo che porterebbe la sua dimora
tra quelli di Sassuolo, dacchè per loro bene i Modenesi non volevano
ascoltarlo. Anche Guido suo fratello fece altrettanto, minacciando di
associarsi ad Obizzo vescovo di Parma, che teneva le parti di quei di
Sassuolo, e combattere per tutta vita sua contro i Modenesi, finchè
non fosse ristabilita la pace in Modena..... Il che ponderando i
Modenesi, riconobbero d'aver operato male, perchè avevano già seminate
le campagne, e avevano edificate case per la diocesi; ma se perdurava
la guerra non c'era lume di speranza di raccoglierne il frutto;
laonde mandaron dicendo che volevano in ogni modo rappacificarsi
coi loro concittadini..... Così stanno le cose oggi, poco prima di
Natale. Vedremo come va a finire. Però della pace de' Lombardi confido
poco; perchè quando penso alle loro pacificazioni, mi par di vedere
quel gioco che fanno i ragazzi, quando l'uno pone le sue mani sulle
ginocchia, e l'altro vi soprapone le sue, e quando l'uno vuol essere
vincitore trae rapidamente le mani che ha sotto e le porta sopra a
quelle del compagno battendole d'un colpo forte, e così si dà l'aria
del vincitore. Ma spesso di vincitore lo vediamo vinto; donde nacque il
detto:

      Ratio præteriti scire futura facit

    Quello che fu, quel che verrà ne insegna.

È provato ciò che diciamo. Ho visto a' miei giorni che i Parmigiani,
che erano in Borgo S. Donnino, di parte imperiale, pregarono i loro
concittadini, che erano in Parma, di ammetterli al bacio della pace;
e si fece. Ma rientrati in città volevano trattare alla pari con
quelli, che parteggiavano per la Chiesa; e perciò, moltiplicatesi le
discordie dall'una e dall'altra parte, di nuovo furono espulsi....
Altrettanto accadde ai Bolognesi, Modenesi, Reggiani; altrettanto ai
Cremonesi. Quando quelli, che tenevano in Cremona le parti dell'Impero,
ebbero accolto festevolmente ed onorificamente i loro concittadini
fuorusciti, questi dopo un mese, con frode maligna, resero loro male
per bene, onde il partito della Chiesa espulse e cacciò in fuga l'altro
partito..... Dunque l'Imperatore Federico seminò in Italia queste
fazioni, queste divisioni, queste maledizioni, che durano ancora; nè si
possono spegnere gli odii, nè cancellarsi per la pravità degli uomini
e la malizia del diavolo..... Ma Federico è passato di questa vita, e
sebbene avesse in sè qualche seme di buono, ebbe anche assai di pravo e
di perverso, come si palesa dal fatto seguente. Essendo stato un tempo
scomunicato da Papa Gregorio IX, ed essendo arrivato ad una terra nella
quale si trovava il Patriarca di Aquileia (era bell'uomo e zio di Santa
Elisabetta Langravia), Bertoldo, persona ch'io ho veduta e conosciuta,
mandò a dire al Patriarca che andasse a messa coll'Imperatore. Ma
il Patriarca, che sapeva già di questo sin prima di vedere il messo
dell'Imperatore, per dar colore al diniego, aveva fatto chiamare il
barbiere, poi fece imbandire la mensa, si assise e cominciò a pranzare;
e mandò a dire all'Imperatore che non poteva andare a messa, perchè
era languido, ed era a tavola per rifocillarsi. Il quale di nuovo gli
mandò dicendo che, messo da banda ogni pretesto, si recasse a lui.
Ed egli, volendo togliersi d'attorno quella vessazione, umilmente
accondiscese, e andato, assistette alla messa con lui. Quindi si legge
che l'Imperatore Costantino dicesse: «Chi tenta perpetrare ciò che è
male, si studia di cattivarsi i buoni.» Quindi Giovanni e Paolo dissero
di Giuliano apostata: «Dopo che Giuliano è stato ributtato dal cospetto
di Dio, tenta di trarre anche gli altri a morte.» Ciò avvenne nella
Marca Trivigiana a Vicenza, il giorno di Pentecoste. Altre pravità del
fu Imperatore Federico più sopra ho notate. Anche in altra cronaca più
breve ne ho parlato, ma non di tutte, che erano moltissime. Tuttavia
si sappia che non fu tanto crudele, quanto Ezzelino da Romano, che
signoreggiò a lungo la Marca Trivigiana; si sappia anche che fu a
volte uomo sollazzevole, ma ebbe molti detrattori, e insidiatori, che
ne cercavano la vita, e volevano ucciderlo, specialmente in Puglia,
in Sicilia e in tutto il Regno. Inoltre in quell'anno 1285 i Modenesi
fuorusciti cinsero d'assedio il castello di Magreda[88] nella diocesi
di Modena, che essendo debole e mal munito, e difeso da pochi uomini,
fu preso agevolmente. Allora Neri di Leccaterra, di cui ho parlato
più su nel catalogo dei Modenesi, entrato nella chiesa della beata
Vergine, che era nel castello, vi pose fuoco per incendiarla, dicendo:
Ora pensaci tu, o Santa Maria, a difenderti, se il puoi. Ma, appena
profferite queste parole, a malizia ed ingiuria, tosto una lancia da
altri vibrata trapassò la corazza di lui, gli si infisse nel cuore,
e cadde subito morto. E siccome è accertato che non l'avevano vibrata
i suoi, si crede che sia stato colpito da Mercurio; sia perchè questi
fu solito farsi ultore delle ingiurie recate alla beata Vergine; sia
perchè uccise con una lancia anche Giuliano Apostata nella guerra
coi Persiani. E quel Neri era assai lodato vibratore di lancia, e di
lancia avea ucciso molti..... Nello stesso anno la Corte romana, cioè
Papa Onorio IV co' suoi Cardinali, tenne la sua residenza a Tivoli;
ove infierì una peste micidiale tanto che, di soli foresi, ne morirono
2000. Ed i frati Minori spesso avevano nella loro chiesa quattro
funerali al giorno; e vi fu un vecchietto transalpino, eletto Vescovo,
venuto per la sua consacrazione, che morì egli e venticinque della sua
famiglia. Udii dire questo dal Ministro della Touraine, ossia di S.
Martino, che vi era..... E nota, come anche altrove mi ricorda d'aver
detto, che questa è la regola generale e provata che, ogni volta che vi
è morìa di bovini, nell'anno susseguente capita morìa d'uomini. Così
anche dopo una fame avviene similmente che sussegue morìa d'uomini.
Nello stesso anno frate Vitale, Ministro di Bologna, morì in Settembre
presso Bologna, ed era stato Ministro 15 o 16 anni, e fu uomo di
poco valore, in quanto riguarda gli atti esterni. Dopo la cui morte
congregatisi i frati nel convento di Bologna, cioè i Guardiani, i
Custodi, i Lettori ed alcuni Discreti, a cui era devoluta la elezione,
nel mese di Ottobre nominarono Ministro frate Bartolomeo da Bologna,
che era stato conventato maestro a Parigi. E mandarono frate Filippo
Boschetti di Modena a Parigi al Ministro Generale, frate Arlotto, per
la conferma del Provinciale eletto. E così fece. Parimente in questo
stesso anno morì in Ispagna a Girona[89] Filippo Re di Francia, ove
era andato con un grosso esercito contro Pietro Re d'Aragona. (Ne
morirono molti anche dell'esercito del Re, non colpiti dal nemico,
ma dal volere di Dio, al cui cenno ogni cosa nasce e muore. Questi
era figlio di S. Lodovico). La salma di Re Filippo fu trasportata e
sepolta a Parigi; e gli successe Filippo figlio suo. E nota, che ora
i Re di Francia si chiamano tutti o col nome di Lodovico, o col nome
di Filippo. Nota eziandio, che in poco tempo il partito della Chiesa
fu colpito di gravissimi danni ed infortunii durissimi; primo, perchè
in battaglia navale restò prigioniero il figlio di Carlo in mano delle
genti di Pietro d'Aragona, ed è tenuto in carcere in Sicilia; secondo,
perchè Re Carlo morì poco dopo la cattura di suo figlio; terzo, perchè
Papa Martino IV nello stesso anno passò fra il numero dei più; quarto,
perchè lo stesso avvenne del Re di Francia. E tutto questo accadde in
quasi un sol anno, cioè nel 1285; nel quale anno stesso Papa Onorio
IV mandò ordinando di riscuotere le decime di tre anni di tutte
le Chiese, e che si pagassero e dessero al figlio di Re Carlo per
liberare la Sicilia dalla Signoria, dalla podestà e dalla schiavitù
di Pietro d'Aragona, che la occupava contro il beneplacito della
Chiesa. Quest'anno cadde anche la torre del castello di Bibbianello.
È Bibbianello un castello della fu Contessa Matilde, nella diocesi di
Reggio, sulle colline, ove s'innalzano quattro castelli vicini gli
uni agli altri; e l'uno dista dall'altro quanto è la gittata d'una
balista. E il primo si chiama Montevecchio; il secondo Bibbianello,
in cui abita Guido di Canossa con Bonifazio suo fratello; il terzo si
chiama Monte-Luncilo, nel quale non è che la chiesa di S. Leonardo;
il quarto si chiama Mongiovanni, ove abita un sacerdote vecchio,
vecchissimo, carico d'anni che ha nome Gherardo e fa molto di bene;
nessun altro vi è tranne le persone di suo servigio, ed è addetto alla
Chiesa di S. Nicolò. E nota che questi quattro castelli in antico
furono comodamente abitati da cavallieri e donne, e vi ebbero torri
e palazzi, che ora sono diroccati, e i resti dei caseggiati e le
fondamenta sono lasciati in abbandono. Ci pensino i padroni! I quali
si sono assottigliati di famiglia, e sono bersagliati da tribolazioni
e da dolori. Lo stesso anno, verso il giorno di S.ª Lucia, morì di
improvviso, senza precedente malattia, nel suo letto, Barnaba, che si
soprannomava della Regina, oriondo di Reggio. Egli fu mio molto amico,
ed era il divertimento de' chierici, canonici, prelati, cavallieri,
baroni, e di tutti quelli che cercavano di divertirsi in sentirlo
parlare, essendo che parlava benissimo francese, toscano, lombardo e
molte altre lingue, e sapeva contraffare i fanciulli quando parlano
coi fanciulli, le donne quando in famigliare discorso cinguettano
de' fatti loro con altre donne loro comari; e così era destro a
contraffare i predicatori antichi, imitando quelli che predicavano al
tempo dell'allelluia, allorchè si arrogavano di far miracoli, come a
que' giorni ho visto io co' miei occhi. Eglino furono frate Giovanni
da Vicenza dell'Ordine de' Predicatori, che faceva miracoli a Parma;
frate Giacomino da Parma che li faceva a Reggio, e perciò si diceva da
Reggio, ed era dell'Ordine de' Predicatori; frate Ghirardo di Modena,
dell'Ordine de' Minori, che girava quà e là per l'Italia e predicava
benissimo in Milano; e molti altri, ch'io vidi e conobbi, la cui
memoria sia con Dio, e così sia. Così nello stesso anno morì maestro
Rolando da Parma, il cui padre era chiamato maestro Taverna, bell'uomo
e cortese, e bravissimo sartore, che faceva gli abiti dei nobili.
Questo maestro Rolando andò a Parigi assai povero, ove studiò per molti
anni molte scienze e diventò un illustre chierico e letterato, e si
fece denaroso, ricco e rinomatissimo. Quando poi Papa Nicolò III creò
una serie di Cardinali, fra cui c'era anche Gerardo Albo di Gainago
(che è una villa della diocesi di Parma) assunse questo maestro Rolando
al vescovado di Spoleto. Papa Martino IV poi lo tolse da Spoleto e
lo mandò in Francia a raccogliere nota de' Miracoli di S. Lodovico
Re di Francia di buona memoria, che voleva canonizzarlo e ascriverlo
all'albo dei Santi. Al quale ufficio soddisfece ottimamente; e quando,
reduce dalla Francia lo vidi a Reggio, mi disse che portava al Papa
la storia di settantaquattro miracoli, che Dio, per amore del Re suo
servo ed amico, aveva operati sopra diversi malati, miracoli tutti
provati per mezzo di attendibili testimoni, e diligentemente registrati
da notai, e con tutte le più legali forme autenticati. E quando Papa
Martino vide queste cose ne fu lietissimo; poichè egli stesso, prima
di essere Pontefice romano, era stato collettore dei miracoli del Re
di Francia, ma dopo che fu Papa, sostituì a se stesso maestro Rolando.
Perciò il Papa lo retribuì del lavoro fatto, dandogli un Vescovado più
cospicuo in Francia, del quale, prevenuto dalla morte, non ricevette
l'investitura; e morì anche il Papa lo stesso anno, e non potè, come
stava in cima a' suoi desiderii, canonizzare S. Lodovico Re di Francia
di buona memoria. Forse questa canonizzazione è riserbata per altro
Papa. Questo maestro Rolando Vescovo di Spoleto fece in Parma alcune
opere per qualche riguardo degne di ricordo. Nella Chiesa di S.
Sepolcro, dove stanno i frati di S.ª Fenicola, eresse a sue spese una
bellissima cappella sorretta da colonne di marmo, rasente la strada, e
la dotò convenientemente a celebrarvisi, come voleva, ne' tempi e ne'
giorni permessi, una messa da morti per le anime di suo padre, di sua
madre e de' suoi parenti, che ivi sono sepolti. Come pure vicino alla
Chiesa maggiore, che è della Vergine gloriosa, e vicino all'ingresso
di S. Giovanni Evangelista, ove abitano i monaci, comperò le casamenta
del fu Gerardo da Correggio (padre di Guido e di Matteo) e fece alzare
alte muraglie per fabbricarvi un palazzo; e di dietro a queste comperò
le case de' Boveri, e vi fece fare muraglie e pometi, e appartamenti
a diversi piani per abitarvi e riposare quando andasse a Parma. Così
pregato dai frati Umiliati del Paullo[90], che abitano presso a Parma
fuori porta S. Benedetto, volle comprare il convento e le terre, che
essi ivi avevano, come egli ha contato a me, e dar loro mille lire
imperiali, per passarvi la state, e per ritirarvisi quando fosse che
gli piacesse; ma siccome volevano duecento lire imperiali più di quante
egli ne voleva dare, si sciolsero le trattative del contratto, perchè
_chi munge con troppa veemenza ne trae il sangue_, come è detto ne'
Proverbii 10.º. Così presso Gainago comprò ampie possessioni cioè tutta
la villa di Sinzanese[91] (che una volta fu di Tomaso di Ugo Armario, e
poi di Antonino de' Buzzoli, da cui le comprò) e le diede a certi frati
oltramontani, che sono dell'Ordine della Chartreuse, e si assomigliano
ai frati Predicatori nell'abito nero, come ho veduto io co' miei occhi
quando venuti a Parma per prendere possesso personalmente del tenimento
loro donato, nel giorno dell'Assunzione della beata Vergine vennero a
sentir messa alla Chiesa de' Frati Minori. E nota che Rolando Taverna,
di cui abbiamo più sopra parlato, fu sempre duro e burbero, e non
mai famigliare e umano verso i Religiosi di Parma, e nulla loro legò
neppure in morte. E tutti i Parmigiani, chierici, laici, uomini, donne,
nobili e popolani hanno comunemente questa qualità e questa maledizione
nelle ossa, di essere poco devoti, e duri e crudi coi Religiosi e cogli
altri servi di Dio, siano dei loro, siano forestieri. Il che sembra
essere pessimo segno dell'ira di Dio sul loro capo.... Ed in Ezechiele
16.º... che sta bene e si può applicare ai Parmigiani per la durezza
e nessuna loro misericordia verso i poveri servi di Dio... e perciò io
frate Salimbene Parmigiano sono stato già quarantott'anni nell'Ordine
de' frati Minori, ma non volli mai abitare in mezzo ai Parmigiani per
la niuna loro devozione, che in apparenza e di fatto non hanno verso
i servi di Dio. E non si curano di far loro alcun bene, quantunque lo
potrebbero e saprebbero fare benissimo, se n'avessero voglia, perchè
cogli istrioni, co' giullari e coi mimi largheggiano, e ai cavallieri,
che si dicono della Corte, a l'ho visto io co' miei occhi, fecero
talvolta di magnifici regali. Certo è che, se vi fosse in Francia una
Città grande come è Parma in Lombardia, vi potrebbero abitare e vivere
con decoro ben cento frati Minori con abbondanza di tutto quello che
occorre. Però nel sussegnato millesimo Gerardo Albo, Cardinale della
Corte romana, che è di Parma, fece una limosina ai frati Minori di
Parma, regalando al convento venti lire imperiali, e altrettanto ai
frati, che si recarono a lui come nunzii nella Corte, alla quale si
trovava; i quali erano anch'essi Parmigiani, cioè frate Ghirardino
Rangone e frate Francesco Torniglio; ciascuno de' quali ricevette dieci
lire imperiali, e quindici ne mandò a Guglielmo Rangone di Parma, in
grazia di frate Ghirardino, che era figlio di lui. Anzi il Cardinale
mandò invitando Guglielmo Rangone ad andare e star seco in Corte;
e accettò e in quella Corte si elevò a rara grandezza. Il suddetto
Cardinale fece anche fabbricare a sue spese un bello e buono dormitorio
per le donne della Religione Vecchia di Parma, perchè in quel monastero
aveva una sua sorella. Parimente donò cento lire imperiali alla Chiesa
matrice di Parma, che è della beata Vergine gloriosa, perchè vi si
facesse una buona campana, e fu gettata buona, anzi ottima e sonora.
Così ai frati Predicatori largì duecento lire imperiali perchè si
fabbricassero la loro Chiesa; e la fabbricano ora che sono ritornati
dalla loro schiavitù di Babilonia, già riconciliati coi Parmigiani, che
li avevano costretti a fuggire per cagione del rosolamento di donna
Alina; schiavitù di Babilonia che per loro ha durato molti anni. In
questo stesso millesimo, la vigilia di San Martino Pietro d'Aragona
morì di morte naturale, ed il guardiano de' frati Minori lo confessò,
e fu sepolto a Villafranca[92] nel convento de' frati Minori. E furono
inviati messi a Papa Onorio IV supplicandolo di frapporsi e mettere in
concordia i figli di Pietro d'Aragona coi figli del Re di Francia, i
quali si dice che siano consanguinei; e il duca d'Austria, che aveva
moglie una sorella di Pietro d'Aragona vi si pose in mezzo paciere.
Questo Pietro Re d'Aragona fu uomo magnanimo, forte guerriero, e
dotto nell'arte militare, audace e assai intraprendente, come lo
dimostra chiaro l'impresa del Regno di Sicilia, nella quale ardì por
piede contro il volere e le armi di Re Carlo e Papa Martino. La sua
arditezza appare chiaramente anche da altro fatto, che ora narrerò.
Tra la Provenza e la Spagna s'erge un monte altissimo, che dagli
abitanti di quella regione, si chiama monte _Canigoso_, e che in nostra
lingua si chiamerebbe _Caliginoso_. Questo monte è la prima terra che
appare ai naviganti che arrivano, ed è l'ultima a scomparire a quei
che partono; e dopo questa non possono più vederne altra. Su questo
monte non abitò mai uomo; nè figlio d'uomo osò mai salirvi su per la
smisurata altezza e per la fatica e la difficoltà della salita: alle
pendici però del monte vi sono abitanti. Or dunque essendosi proposto
Pietro d'Aragona di salirvi sopra per vedere e toccar con mano che
cosa vi fosse sulla vetta del monte, chiamati due cavalli eri suoi
intimi amici, cui amava intrinsecamente, espose loro ciò che s'avea
proposto di fare; i quali se ne rallegrarono, e promisero che non solo
serberebbero il secreto, ma che inoltre non si dividerebbero mai da
lui. Preso adunque vitto ed armi all'uopo, lasciati i cavalli alle
falde del monte, dove erano abitanti, cominciarono a salire grado grado
a piedi: e montati già molto in alto, cominciarono a udire terribili
e paurosi tuoni, e guizzavano lampi e saette, e imperversava grandine
e bufera. Di che spaventati caddero a terra come esanimi, non tanto
per l'orrore del presente, quanto per il timore del futuro. Ma Pietro,
che era più robusto di corpo e più forte di animo, e che voleva dare
adempimento al desiderio del suo cuore, li confortava a non ismarrirsi
di coraggio tra quelle tempeste e quei dolori, dicendo che alla fin
fine anche quel travaglio frutterebbe loro onore e gloria; e dava loro
mangiare, e mangiava con loro, e dopo la fatica concedeva riposo, e
di nuovo li inanimava a salire da bravi con lui. E questo fu detto e
fatto più volte. Finalmente que' due compagni di Pietro cominciarono
a venir meno, sicchè, per la eccessiva stanchezza, e il cammino e lo
spavento de' tuoni, appena potevano respirare. Allora Pietro li pregò
di fermarsi e aspettarlo sino alla sera del giorno seguente, e se a
quel tempo non fosse di ritorno a loro, scendessero pure, e andassero
dove loro gradisse. Salì dunque Pietro solo con gran fatica, e giunto
alla vetta, vi trovò un lago, nel quale gettando una pietruzza, ne
saltò fuori un drago orribile e gigantesco, che cominciò a svolazzare
per l'aria, e l'aria diventò tenebrosa e scura per l'alito che mandava.
Dopo di che Pietro cominciò la discesa, e ai compagni riferì, espose
e narrò quanto aveva veduto e fatto; e lungo la discesa comandò loro
di ripetere, a chi loro piacesse, queste cose. Mi pare che questo
fatto di Pietro d'Aragona si possa annoverare tra le meraviglie del
genere di quelle d'Alessandro, il quale, per acquistarsi gloria, volle
misurarsi in molte e tremende imprese. Di Re Carlo è da sapere che fu
uomo magnanimo, prode dell'armi e dotto nell'arte militare, e che per
acquistarsi fama si esponeva a molti pericoli, il che si fece palese in
fatti all'evidenza provati. E prima di tutto, quando uccise Manfredi,
Principe del Regno di Sicilia e figlio del fu Imperatore Federico.
Poi quando uccise Corradino, che era figlio del suddetto fu Imperatore
Federico; e parimente si acquistò fama in molti altri combattimenti.
Egli avendo un giorno udito che un certo cavalliere della Campania,
tra Roma e Terra di Lavoro, vinceva tutti in singolare certame, sì
Francesi che Lombardi, comandò al Principe suo figlio di sfidarlo, e
divolgare la fama che un nuovo cavalliere era pronto a misurarsi col
cavalliere della Campania. Il che avendo udito il figlio suo, come
meglio seppe e potè, tentò distorre il padre dal proposito, dicendo che
quel cavalliere era fortissimo, robusto e destro nel combattimento,
e poi perchè _vi è sempre un eccelso al disopra dell'eccelso_, ecc.
Ecclesiaste 5. Il padre non volle piegarsi alla preghiera, nè dare
ascolto al figlio, e fissò il giorno al duello. E nel dì prefisso
trovandosi tutti e due pronti al posto e all'armi, dopo il terzo suonar
della tromba, cominciarono a corrersi incontro ed urtarsi, e l'un
forte contro l'altro forte tanto fortemente cozzò, che tutti ne ebbero
meraviglia, nè caddero di cavallo, e nemmeno si scossero sulla sella
del loro destriero; e l'uno calò al volto dell'altro tale fendente, che
le spade, dell'uno che colpiva e dell'altro che parava, si fransero
dalla punta all'elsa. Volle poi Re Carlo misurarsi colla clava, e a
sua scelta ne sostenne il primo colpo. Ma il cavalliere della Campania
fu sopra lui come nibbio sopra un uccelletto, e come sparviero sopra
un'anitrella, e tenendo la clava a due mani, calò si fiero un colpo
sul capo di lui, che se avesse colto in pieno, senza dubbio ne sarebbe
caduto esanime. Ma il colpo scivolò dal capo all'omero e lungo il
busto, e battè in pieno sulla sella tanto potentemente, che il cavallo
piegò le ginocchia, e Carlo ne restò stordito con due coste rotte. Il
Principe suo figlio lo condusse alla tenda, e gli altri cavallieri,
spogliatolo dell'armi, riconobbero che era Re Carlo, e restarono
meravigliati. La qual cosa risaputasi dal cavalliere della Campania, si
lasciò vincere dal timore, inforcò la sella del suo cavallo, e si diede
alla fuga, e stettesi nascosto per buon tempo nella Marca d'Ancona. E
Carlo, dopo rinvenuto, chè il colpo l'aveva come fatto uscire di sè,
domandò al figlio se quel cavalliere l'aspettasse tuttavia sul terreno,
perchè voleva alla sua volta fare il suo colpo. Ma il figlio rispose:
Statevene pure in tranquillo, chè i medici dicono che avete due costole
rotte. Tanto fece e sostenne Re Carlo per onore della Francia; poichè
non voleva che nessun Lombardo avesse fama di gagliardia maggiore di
quella de' Francesi. E noto che questi quattro, di cui si è parlato,
furono robusti cacciatori al cospetto di Dio.... Papa Martino volle
pertinacemente soggiogare la Romagna, e ottenne il suo intento, e per
acquistarla molti perirono di spada e molti ci spesero tesori. Re Carlo
condusse l'esercito contro il Principe Manfredi e contro Corradino,
e vinse; Pietro Re d'Aragona guerreggiò ed occupò il Regno di Sicilia
contro Carlo, e invase la Puglia. Il Re di Francia poi, per vendicare
lo zio Carlo, gettò in Ispagna un grosso esercito di Francesi contro
Pietro d'Aragona; e tuttavia nel breve giro d'un solo anno passarono
tutti nel novero dei più.... Ma Primasso nel trattato _Della vita del
mondo_, disse benissimo:

    Heu! Heu! mundi vita,
    Quare me delectas ita?
    Cum non possis mecum stare.
    Quid me cogis te amare?

    Ahi vita! Ahi vita! perchè mai cotanto
        Il tuo m'alletta lusinghiero incanto!
    Perchè mi leghi a te d'amor si forte,
        Se teco vien necessità di morte?

Nel millesimo sopraddetto, cioè nel 1285, gli eredi di Ghiberto da
Gente figli e nepoti, furono dai Parmigiani totalmente espulsi dalla
villa di Campeggine. E causa di questa loro espulsione fu non solo
un vecchio odio contro il padre loro, cioè contro Ghiberto da Gente,
ma un odio recente contro i figli. Perocchè dell'odio paterno si può
dire quel che si legge in Ezechiele 18º. Delle colpe di Ghiberto da
Gente, per le quali i Parmigiani lo presero a odiare, ne fu detto
più sopra abbastanza largamente, ma se ne tacquero alcune, che ora si
debbono trarre in luce. Essendochè quand'egli teneva la signoria di
Parma, avendo Papa Innocenzo IV, che allora aveva residenza a Napoli,
mandato invitando Bertolino Tavernieri di andare da lui, perchè aveva
Elena di lui nipote per moglie, e perchè lo voleva fare Podestà di
Napoli; e Bertolino avendone chiesta licenza a Ghiberto da Gente, e
questi avendogliela concessa, gliela ritolse dopochè con enorme spesa
aveva già fatti gli apprestamenti pel viaggio; e oltracciò lo confinò
a Noceto, dove aveva i suoi possedimenti, e vi passò molti giorni e
molte notti con animo sempre agitato e in timore e in aspettazione
di insidie da parte de' suoi nemici; e massimamente del Pallavicini,
che lo odiava, e teneva allora la Signorìa di Cremona. E quando di
notte udiva romori, e ne udiva di frequente, usciva ai campi col suo
destriero, e tutta notte, in veglia, stava aspettando all'aperto, come
pronto a fuggire. Vedendo poi Bertolino che Ghiberto da Gente non gli
perdonava, nè lo riammetteva in Parma, come gli aveva promesso, ruppe
il confino, e andò a Papa Innocenzo IV, che lo aveva invitato; e lo
fece Podestà di Napoli, e durante la Podesteria di lui, il pontefice
morì, e fu sepolto in Duomo. Ed Alessandro IV fu eletto Papa per arti
del Podestà Bertolino, il quale rattenne i Cardinali dall'uscire dalla
città fino a che non avessero eletto il Papa. E Papa Alessandro non fu
ingrato al ricevuto beneficio, anzi provvide del suo tesoro a Bertolino
finchè visse; e l'anima sua per la misericordia di Dio riposi in pace,
perchè fu uomo cortese, valoroso, potente, ed intimo mio amico. Ma
Ghiberto da Gente fece devastare le possessioni di lui e diroccarne
i palazzi, perchè era uscito di confino, ed era andato al Papa, che
lo aveva invitato. La qual cosa da parte di Ghiberto fu non solo una
bestialità, ma anche una pazzia, perchè quando il superiore comanda, e
l'inferiore contraddice, questi non ha diritto di essere obbedito....
Di Bertolino non rimasero discendenti, nè di Giacomo suo fratello, che
morì dopo lui, e lasciò le sue ricchezze ai Templarii; e così il casato
di Bertolino Tavernieri di Parma, che ai tempi di Federico Imperatore
era stato un nobilissimo barone, si è spento completamente, e a lui
si attaglia a capello quel detto: _Tesoreggia e non sa perchè_....
Quando Ghiberto da Gente dominava in Parma, il Pallavicino dominava
in Cremona. E quando talora parlava in famigliarità col Pallavicino,
questi gli diceva: Ah! Dio, e non avrò io mai la signoria di Parma? e,
in così dire, gettava violentemente contro terra la spada, a dimostrare
che per questa cosa montava in ira. Ma Ghiberto da Gente non gli voleva
cedere la Signoria di Parma, anzi voleva tenersela stretta, perchè
ne traeva non solo onore, ma anche un grosso emolumento. Tuttavia
volle usar grazia al Pallavicino di lasciarlo entrare in Parma con
500 armati, coi quali, quasi pavoneggiandosene, cavalcò più volte per
città, ma i Parmigiani tenevano gli archi tesi, quasi volessero lanciar
saette contro alcuno, e così spaventarli a ciò si partissero da Parma.
E Ghiberto da Gente godeva che se ne partissero, perchè temeva, se
fossero rimasti a lungo in città, che gliene rapissero la Signoria.
Un dì avvenne che dovendo passare il Pallavicino co' suoi armati per
la via di Cò di Ponte, dove abitano i Marchesi Lupi, uno di questi
comandò al suo servo che sotto il portico, che correva lungo la strada,
gli lavasse i piedi in una conca, volendo dimostrare al pubblico
che si curava tanto del Pallavicino, quanto della coda di una capra.
Abitavano una volta tanto i Marchesi Lupi che i Pallavicini in una
villa, che si chiama Soragna, nella diocesi di Parma, a cinque miglia
a settentrione di Borgo S. Donnino; e questa vicinanza d'abitazione
dava origine a molte gare vivacissime. Il Pallavicino pertanto non
potè avere mai, siccome desiderava, la Signoria di Parma, e Ghiberto
da Gente che aveala, col tempo la perdette. Ghiberto da Gente adunque,
oltre le preaccennate colpe, aveva anche queste, onde fu fortemente
in odio ai Parmigiani.... Meglio operò Guido da Polenta, che abitava a
Ravenna, il quale si prese buona vendetta, ma non volle sorpassare la
misura. Di fatto quand'egli era ancor fanciullo, e l'Imperatore teneva
in carcere, come ostaggio, il padre di lui, Guido Malabocca, fratello
del Conte Ruggero di Bagnacavallo, s'adoperò perchè l'Imperatore
gli mozzasse, o facesse mozzare, il capo; ed egli, fatto adulto,
rese la pariglia a Guido Malabocca. Ma andando poi, dopo alcun tempo
a Bagnacavallo con molti armati, ed incontrando lungo la via, in
compagnia di pochi, il Conte Ruggero, e consigliandolo i suoi compagni
di viaggio di sbarazzarsi compiutamente anche del Conte Ruggiero
stesso, per togliersi d'intorno ogni timore, egli rispose: Abbiam fatto
abbastanza; ci basti quanto abbiamo fatto; di male se ne può sempre
fare; ma fatto che sia, non si può più rimediare. E così lo lasciò
andare libero... Del nuovo odio poi degli eredi di Ghiberto da Gente
si può dir questo. È da sapere che ebbe un figlio di nome Pino. Costui
colle sue male opere provocò in mille maniere i Parmigiani contro gli
eredi di suo padre. Anzitutto invase contro i Parmigiani Guastalla e
la prese e volle tenerla occupata; poi prese moglie e la fece poscia
uccidere; d'onde per divina sentenza molti guai piovvero sul suo capo.
Costei voleva sposarla il padre di lui, quando esiliato dai Parmigiani
dimorava in Ancona; ma Pinotto solleticato dalla cupidigia delle
ricchezze, o dall'avvenenza di quella donna, precorrendo al padre,
gliela surrepì, e se la tolse per se. Essa aveva nome Beatrice, era una
Pugliese che abitava in Ancona, aveva tesori, era bellissima, vivace,
sollazzevole, liberale, cortese e molto esperta nel gioco degli scacchi
e dei dadi. Abitava con Pino suo marito a Bibbianello (che una volta
era castello della Contessa Matilde) e di frequente veniva con altre
donne al convento dei frati Minori di Monfalcone per fare una gita, e
per conversare coi frati. Ed io allora appunto ivi abitava; e mi disse
parlando meco confidenzialmente, che la volevano uccidere, e indovinai
chi poteva essere che tramava insidie alla sua vita; e gliene espressi
le mie vivissime doglianze, e le suggerii di confessarsi, e di vivere
sempre in grazia di Dio, per essere ad ogni momento preparata alla
morte.... In quel tempo Pino partì da Bibbianello molto sdegnato contro
Guido suo consanguineo, come ho veduto io coi miei occhi; condusse
seco la moglie sua a Correggio, che è una villa della diocesi di
Reggio, ove da un suo scudiero di nome Martinello, la fece soffocare
con un piumaccio, e fu sepolta nella stessa villa; e di lei rimasero
tre ragazze che sono una bellezza. E, siccome è scritto che _Dio non
permette che resti invendicato_... e perciò sono da dire alcune cose
intorno alle sventure che colpirono il marito di lei. Prima di tutto,
venne in odio non solo ai Parmigiani, ma anche ai consanguinei ed ai
nepoti; in secondo luogo, fu preso dagli assassini di Sassuolo, i quali
per riscatto gli tolsero i cavalli e duecento lire imperiali; terzo,
avendo voluto svaligiare, per una sua vendetta, un tale che viaggiava
per la strada pubblica di Parma, i Parmigiani mandarono alla villa di
Campeggine, ove aveva le sue possessioni, e fecero arare tutti i suoi
seminati, e le già nate seminagioni, e coprirle di terra, e distruggere
14, o 20 sue case che aveva in Campeggine stesso; quarto, dopo la morte
della prima moglie, cui fece uccidere, prese una cert'altra donna, che
per molti impedimenti da ambe le parti, sua moglie non poteva essere
(questa aveva nome Beatrice, come la prima, leggiadrissima, figlia di
Bonacorso da Palli; e la sposò vedova del primo marito Atto da Sesso);
quinto ed ultimo, imprigionò di nuovo alcuni uomini, cui una volta
teneva tra ceppi in carcere, e li aveva prosciolti; nè volle che per
danaro si riscattassero, quantunque non gli avessero mai fatta offesa,
e non avessero verso lui obbligo alcuno non soddisfatto. Essendo stato
dai Parmigiani cacciato in bando, e non desistendo dal mal oprare,
diede ragione ai Parmigiani di espellere dalla villa di Campeggine non
meno lui che tutti gli eredi di Ghiberto da Gente. Questo Pinotto fu
chiamato anche Giacomino, e fu uomo bello e magnanimo, audace, franco,
e a uso dei Parmigiani, superbo. Egli aveva due sorelle, una, moglie a
Gherardo figlio di Bernardo di Rolando Bossi, di nome Aica; l'altra, di
nome Mabilia, che era di natura altiera e disdegnosa, moglie a Guido
di Correggio; e, quando cominciò a malare dell'ultima malattia, di
cui morì, d'improvviso perdette la parola; e di lei rimasero diverse
figlie e due figli. Lombardino poi, fratello di costoro, ebbe moglie
un'avvenentissima Pavese, di nome Aldessona, da cui gli nacquero figli
e figlie; e Lombardino fu il primogenito di Ghiberto da Gente, che a
grande onore lo fece creare cavalliere quando aveva ancora la signoria
di Parma. Chiunque poteva, in quel tempo, lo regalava a larga mano,
e chi regalava credeva d'aver ricevuto grazia singolare, se Ghiberto
non sdegnava di accettare. Altrettanto fu di Giacomo Tavernieri quando
fu fatto cavalliere, al tempo in cui suo padre Bertolo era in fiore
a Parma alla testa del partito imperiale. Nel millesimo sussegnato
vi fu anche estesa malattia e morìa di gatti, i quali colti dal morbo
diventavano come lebbrosi e scabbiosi, e poi morivano. Così pure nello
stesso millesimo, nel mese di Novembre[93], il giorno di San Calisto,
verso oriente, sull'albeggiare, apparvero due stelle come congiunte,
e così ogni notte si mostrarono per molti giorni, sinchè verso il
dì d'Ognissanti cominciarono a disgiungersi ed allontanarsi l'una
dall'altra. E allora si stava appunto trattando per la pacificazione
de' Modenesi, la quale era cosa molto intricata, perchè il progetto
che si presentava non gradiva ai Modenesi della città; e i Modenesi
che erano in Sassuolo ne erano soddisfattissimi, riconoscendo che
i giudici di quel arbitrato erano loro favorevoli. Gli arbitri poi
erano Guido da Correggio e Matteo suo fratello germano. Nello stesso
millesimo Papa Onorio IV, prima del Natale, creò un Cardinale, che
era di sua famiglia, per supplire alla vacanza lasciata dal Cardinale
Vescovo di Frascati, morto in quell'anno. Questo novello Cardinale
era stato Arcivescovo di Monreale in Sicilia. Così in quell'anno
Gherardino da Enzola fu condannato dai Parmigiani a pagare mille
lire parmensi, e le pagò puntualmente; e la cagione della condanna
fu questa. Suo padre Giacomo da Enzola fu Podestà di Modena, ed ivi
malatosi, morto e sepolto nella chiesa maggiore, fu ad onore dipinto
sulla tomba a cavallo, da cavalliere. E siccome fu a tempo della sua
podesteria che avvennero que' misfatti e quegli omicidii, che furono
il principio della successiva discordia e guerra in Modena, quella cioè
che s'accese tra le diverse fazioni Modenesi, e non ne era stata presa
vendetta e giustizia... i Modenesi provocati, sdegnati, turbati, e
accesi d'ira, considerando i guai che loro ne erano derivati, cavarono
gli occhi al ritratto del Podestà, e cacarono sulla tomba di lui; in
seguito poi mandarono a Parma due ambasciatori, uomini del popolo,
uno de' quali nel Consiglio degli anziani di Parma pronunciò molti
oltraggi ed ingiurie contro Giacomo da Enzola, padre dell'or defunto
Gherardino. Provocato adunque Gherardino da Enzola dal linguaggio
di quell'ambasciatore, fece quel che dice la scrittura, Ecclesiaste
I.: _Sino a tempo opportuno porterà pazienza_. Di fatto, quando
quell'ambasciatore, che aveva profferite parole d'oltraggio contro
suo padre, fu in viaggio per ritornare a Modena, Gherardino lo seguì
con alcuni giovani audaci sulla strada, e, in quel della diocesi di
Seggio, lo ferì gravemente e tanto sconciamente che ne restò sformato,
non però ucciso; e quindi i Parmigiani lo condannarono ad una multa
di mille lire parmensi. Ho detto tutte queste cose per dimostrare che
i Parmigiani operarono saviamente a far giustizia, e aveva operato
male chi non l'aveva fatta in Modena. E noto che questo Giacomo da
Enzola prese moglie una vedova di Padova, detta Marchesina, trovatagli
da Matteo da Correggio, quand'era Podestà di Padova. Da questa donna
Giacomo ebbe in dote una somma ingente, cui diede a mutuo, e co'
frutti ne comprò campi, vigne ed estese possessioni nella villa di
Poviglio[94], e diventò ricco e grande assai. In Parma poi comprò la
mia casa, che era presso il battistero[95], e gli fu quasi regalata,
cioè la ebbe per vilissimo prezzo, secondo la stima che ne faceva
mio padre, e che veramente era da farsene. Giacomo fu dappoi fatto
cavalliere sulla porta del battistero che guarda verso la piazza, e
andò a Modena ad assumere la Podesteria, a cui era stato eletto dai
Modenesi; e prima di finire la sua Reggenza, finì la vita, e morì d'una
malattia di gola, che i Greci chiamano apoplessia. Si confessò da frate
Giacomino da Porto di Modena, e con lui aggiustò le cose dell'anima.
Lasciò ai frati Minori di Parma dieci lire imperiali, e altrettante ai
frati Minori di Modena per l'anima sua e per il mal tolto, e l'anima
sua per la misericodia di Dio risposi in pace.... Di lui rimase una
figlia di nome Aica, che ebbe per primo marito Gherardino degli Arcili;
di cui rimasta vedova, sposò Ezzelino figlio del fu Aimerico da Palù;
da cui le nacquero figli e figlie. Il fratello poi della prenominata
Aica, e figlio di Giacomo da Enzola ha nome Gherardino; giovane largo,
liberale, cortese, e che vive onorificamente. L'avolo di Giacomo si
chiamava Guidolino da Enzola, uomo di mezzana statura, ricco, grande
e molto di chiesa, ed io l'ho veduto le mille volte. Egli si divise
dagli altri da Enzola, che abitavano nella strada di S. Cristina, e
venne ad abitare presso il duomo, ove ogni dì assisteva ad una messa
e a tutto l'ufficio diurno e notturno nelle ore in cui si recitava. E
quando non era occupato nell'assistenza dell'ufficio divino, sedeva
co' suoi vicini sotto un portico publico presso il palazzo del
Vescovo, e parlava con loro di Dio, oppure stava ascoltando chi ne
parlava. Non tollerava che alcun ragazzo lanciasse sassi contro il
battistero, o contro il duomo, e portasse guasto alle sculture e alle
pitture. E quando lo vedeva, se ne irritava, gli correva dietro, e
raggiuntolo, lo batteva a colpi di correggiuolo, come se ne fosse ivi
destinato a guardia, mentre lo faceva soltanto per zelo e amore di
Dio, quasi ripetesse quel detto profetico.... E il sunnominato, oltre
al giardino, la torre e il palazzo ove abitava, aveva anche molte
altre case, un forno ed una cantina; e una volta la settimana, sulla
pubblica via, presso casa sua, come ho veduto io più volte co' miei
occhi, faceva una limosina generale a tutti i poveri della città, che
si presentavano, consistente in pane, fave cotte e vino. Egli fu molto
amico e uno dei principali benefattori dell'Ordine de' frati Minori.
Ebbe da sua moglie (che era sorella di Gherardo da Correggio, detto
anche dai Denti, padre di Matteo e di Guido) due figli, cui, come ho
veduto io co' miei occhi, giunti all'età virile, fece cavallieri egli
stesso; e l'uno aveva nome Matteo, e l'altro Ugo, e tuttadue furono
miei speciali amici. Questi due fratelli, allorchè Parma si ribellò
all'Imperatore furono dall'Imperatore presi e tenuti in carcere; e,
in seguito, furono sepolti nel convento de' frati Minori di Parma.
Da Matteo poi, che ebbe moglie Richeldina, sorella di Bernardino
Cornazzani, nacquero tre figli, cioè Bernardo da Enzola, che fu
cavalliere e valoroso personaggio, e Podestà di Perugia quando colà
aveva residenza Papa Clemente IV. (Questi fu mio amico e me lo dimostrò
a fatti, perchè quando io fui a Perugia, ed egli vi era Podestà, mandò
subito cercandomi, e mi affidò una missione alla Corte del Papa. Egli
mori troppo presto, come gli altri suoi fratelli, ma lasciò figli).
Secondogenito di Matteo, figlio di Guidolino da Enzola, fu Giacomo,
Podestà di Modena, di cui s'è parlato abbastanza più su. Il terzogenito
fu Guido, che ebbe moglie una figlia di Albertino dei Turcli di
Ferrara, d'onde gli nacquero più figli, uno de' quali si chiama Turclo,
bandito dai Parmigiani come uomo pestifero e maledetto; sendochè a
molti altri misfatti, di cui era macchiato, aggiunse anche quello
d'aver ucciso crudelissimamente di lancia, mentre sedeva a mensa e
secolui pranzava, l'Abbate del monastero di Brescello senza che questi
alcuna colpa avesse.... Da Ugo poi, figlio di Guidolino da Enzola,
ammogliato con Luchesia del Monastero, cioè di San Marco, discesero due
figli, di cui uno di nome Guglielmo, e l'altro Matteo, e due figlie,
una che diventò moglie di Giacomino dei Panzeri di Reggio, che non ebbe
figli; l'altra si maritò con Bonacorso di Montiglio[96], dalla quale
ebbe molti figli. Dopo queste cose, irritata Luchesia contro i figli,
prese per marito Ghirardino figlio di Lanfranco da Pisa di Modena,
la quale poi gli morì senza aver avuto da essa alcuna prole. Così
Guidolino da Enzola, avolo di tutti i sunnominati, ebbe una figlia,
Richeldina, donna lasciva e mondana, presa per moglie da Giacomino
di Beneceto[97], dalla quale gli nacquero due figli, Arpo e Pietro.
Giacomino degli Arpi fu bel cavalliere e ricchissimo di possessioni,
case e tesori; ma consumò e dissipò tutto in banchetti, istrioni e
cortigianerie, sicchè i figli suoi, come a me lo contava piangendo Arpo
uno di loro, non avevano di che mangiare se non andavano accattandone
dagli altri. Così Arpo di Beneceto, fratello germano del predetto
Giacomino, entrò nell'Ordine de' frati Minori con Bernardo Bafoli,
quasi subito dopo che a Parma si cominciarono a conoscere i detti
frati. Ma Bernardo Bafoli era un cavalliere ricchissimo, famoso e di
gran reputazione in Parma, magnanimo, prode guerriero e dotto nell'arte
militare. Questi sul principio del suo noviziato nell'Ordine dimostrò
un vivissimo fervore nell'adempiere coll'opera il detto apostolico che
sta scritto nella 13ª agli Ebrei: _Usciamo dunque con Gesù fuori della
porta portando il suo vitupero_. Di fatto, all'insaputa de' frati fece
montare su d'un cavallo un suo uomo, e da un altro si fece legare alla
coda del cavallo stesso, e comandò che lo sferzassero camminando per la
pubblica via della città, e a tutta gola gridassero: Dalli al ladro,
dalli al ladro. Ed essendo arrivati al portico di S. Pietro, dove i
militi, secondo l'uso, stanno a sedere in ora di riposo e si divertono,
credendo essi che fosse veramente un ladro, cui bastonassero per i di
lui misfatti, cominciarono anch'essi a gridare: Dalli al ladro, dalli
al ladro. Allora Bernardo, sollevata la faccia, disse loro: In verità,
avete detto bene dalli al ladro, perchè sino ad ora son vissuto come
un ladrone contro Dio altissimo, e contro l'anima mia; e perciò sono
ben degno di essere sferzato. E, ciò detto, comandò a' suoi uomini di
continuare il cammino e le sferzate sino a fuori di porta. Ma quelli
che stavano a sedere sotto il portico quando ebbero conosciuto che
era Bernardo Bafoli, se ne dolsero, e tocchi nel cuore dissero: Oggi
abbiam veduto miracolo; benedetto Dio che umilia e che esalta, e _fa
misericordia a cui egli vuole, ed indura chi egli vuole_ ai Romani 9º.
(Questa fu alla lettera un'ispirazione, un cambiamento operato dalla
destra di Dio, perchè molti animati ed eccitati da questo esempio
abbandonarono il secolo. Allora Bernardo Vizio, associato ad alcuni
altri, fondò la religione de' frati di Martorano. Fu allora che si
istituì in Parma una religione nuova, cioè di quelli che si chiamavano
i militi di Gesù Cristo, nella quale non si ammettevano tranne quelli
che prima fossero stati militari; e que' frati si assomigliavano a
quegli altri, che ora dai contadini si chiamano Gaudenti, salvo che
quelli si chiamavano militi di Gesù Cristo, questi militi di santa
Maria. Quelli erano soltanto in Parma, questi si sono già moltiplicati
in molte città; ma siccome di queste istituzioni ho già parlato più
sopra, non occorre più parlarne. Parimente in quel tempo (cioè quando
Bernardo Bafoli si fece sferzare per la pubblica via in Parma) vi
erano due fratelli germani, che si fecero frati Minori, de' quali
uno aveva nome frate Illuminato, l'altro frate Berardo. Questi due
fratelli, che avevano fatto gli usurai, restituirono le usure ed il
mal tolto, e per amore di Dio fornirono di vestiario duecento poveri,
ed elargirono ai frati Minori duecento lire imperiali, perchè si
fabbricassero il convento[98], che allora si stava già costruendo
di nuovo nel prato del Comune, ove si teneva in antico la fiera, e
dove in quaresima i Parmigiani si esercitavano nell'armi cogli scudi.
Anche frate Illuminato mosso da amore di Dio, ad esempio di frate,
Bernardo Bafoli, si fece sferzare per le strade della città). Di
Bernardo Bafoli poi è da sapere che ebbe una figlia di nome Bernardina,
saggia, prudente, santa e devota a Dio, che è Badessa del monastero
dell'Ordine di santa Chiara in Parma. Così pure è da sapere che
Egidio Bafoli, padre del prenominato Bernardo, quando Costantinopoli
fu presa dai latini, gagliardamente ne abbattè una porta con uno di
quegli spadoni fatti a quest'uso, come io ho saputo da frate Gherardo
Rangone, che era presente e vide. E allora riconobbero i Greci che
s'era adempita quella profezia, che stava sculta sulla porta stessa.
Perocchè molte profezie ivi si trovano scolpite, sia sulle porte,
sia sulle colonne delle porte, le quali non si intendono che quando
si sono avverate. Bernardo Bafoli poi, quand'era frate Minore, e nel
tempo in cui i Parmigiani erano andati coll'Imperatore a campeggiare
contro i Milanesi, accorse un giorno ad un incendio sviluppatosi nel
borgo di santa Cristina, e stando colla scure in mano sul comignolo
di una casa incendiata, divideva e gettava a destra e a sinistra i
legnami per isolare l'incendio. E questo fece a vista di tutti, e tutti
lo commendavano dell'opera sua accorta e vigorosa, e giustamente di
generazione in generazione ne riceverà onore sempiterno, poichè questa
sua buona azione sarà ricordata per molti anni avvenire. Poscia andò
alla Terra Santa, ove terminò lodatamente i suoi giorni nell'Ordine del
beato Francesco, che è l'Ordine dei frati Minori; e l'anima sua per la
misericordia di Dio riposi in pace, chè bene cominciò e bene terminò.
Queste cose dette di sopra ho voluto notare, perchè attinenti a persone
che per la più parte vidi e conobbi, ed, in breve tempo, di questa vita
passarono all'altra....... Se altre più cose avvenissero nel millesimo
sussegnato cioè nel 1285, degne di memoria, non ricordo; di queste ho
parlato con fedeltà e con verità, perchè le ho vedute co' miei occhi.
Basta di quest'anno; or passiamo al successivo.


a. 1286

L'anno del Signore 1286, indizione 14ª avvenne quanto segue. Quest'anno
fece un inverno straordinario, e fallirono tutti i proverbi degli
antichi, meno uno che dice: Febbraio breve è il più greve (sottintendi:
dei mesi dell'anno). Questo proverbio si verificò in quest'anno più
che in ogni altro di vita mia; sendochè in questo Febbraio sette volte
Iddio diede _la neve a misura della lana, e come cenere dissipò la
nebbia_, e si ebbe freddo intensissimo e gelo......... E si formarono
molti semi di ascessi tanto negli uomini che nelle galline, che col
tempo si svilupparono. Di fatto in Cremona, Piacenza, Parma, Reggio e
in molte altre città e diocesi d'Italia vi fu grande morìa d'uomini e
di galline; ed in Cremona ad una sola donna in breve tempo ne morirono
quarantotto. Ed un medico aperse il cadavere di quelle galline e trovò
l'ascesso nel cuore, trovò cioè una certa vescichetta alla punta del
cuore di ciascuna gallina; aperse anche il cadavere d'un uomo, e sul
cuore trovò una simile vescichetta. In quei giorni nel mese di Maggio,
maestro Giovannino fisico, che abitava a stipendio in Venezia, scrisse
ai Reggiani suoi concittadini una lettera, colla quale li consigliava
a non mangiare erbaggi, nè uova, nè carni di galline per tutto Maggio.
D'onde avvenne che una gallina si vendeva a soli cinque piccoli
denari. Tuttavia alcune donne sagaci davano da mangiare alle galline la
marrobia pesta, o triturata e mista ad acqua e farro, o farina, e per
benefico effetto di tale antidoto le galline si liberavano del morbo e
si salvavano. Ritorniamo al principio dell'inverno che fu bello e dolce
sino al giorno della Purificazione; nel qual giorno piovve a dirotto,
e così non potè aver luogo il proverbio degli antichi, nè si potè
ridire quello della Cantica 2º.... E a primavera le piante fiorirono
benissimo, ma sopravenne una brina, che in molti luoghi distrusse in
gran parte i fiori de' mandorli e d'altri frutti, e le gemme delle
viti; e così andò perduta la speranza delle frutta. Tuttavia l'annata
fu ricca di prodotti, e si raccolse molto frumento, vino, olio, e
copia d'ogni cosa, e vi fu piena raccolta, tranne che Iddio pareva
sdegnato cogli ortolani; poichè, per mancanza di pioggia sulla terra,
ebbero scarsezza d'erbaggi; ma dell'asciutto s'allegravano molto i
fabbricatori del sale, e dei mattoni, che servono alle opere murarie.
E nota che non piovve nè in tutto Marzo, nè in Aprile, eccetto che il
giorno di S. Giorgio cadde una pioggerellina simile a rugiada, che
si ripetè poi in Maggio il giorno di S. Michele; poi Iddio si fece
benigno, piovve e la terra portò i suoi frutti. Nell'anno sunnotato
fu ucciso Guido da Bibbianello e Bonifacio suo fratello, sui primi
d'Aprile, ai 5, cioè il Venerdì dopo la Domenica di Passione, (il
qual giorno nel calendario si scrive: ultimo della luna di Pasqua) sul
far della sera. Andava Guido da Reggio a Bibbianello con sua cognata
Giovannina, moglie di suo fratello Bonifacio, che, solo, li seguiva
a tre miglia di distanza, e questi tre senza alcuna compagnia, e
inermi, non avevano seco che alcuni ronzinetti. E gli uccisori loro
furono: Primo, Scarabello di Canossa, che gittò giù da cavallo Guido,
e stesolo a terra, gli assestò un colpo di lancia, nè bisognò il
secondo; il secondo a percuoterlo fu Azzolino fratello dell'Abbate di
Canossa, figlio di Guido da Albareto[99], che gli mozzò il capo. Gli
altri furono Ghibertino da Modolena[100], Guerzo di Cortogno[101],
e parecchi altri a piedi e a cavallo, che gli vibrarono molti colpi
aprendogli piaga sopra piaga. Giovannina la rimisero a cavallo, d'onde
s'era precipitata per stendersi come scudo sopra Guido, colla fede
e colla speranza che in grazia di lei lo risparmierebbero (stantechè
era loro parente); e camminò tutto quel giorno vagando sola e gemendo
nell'amarezza del suo cuore, e giunse a Bibbianello, che era una volta
castello della contessa Matilde, e diffuse sinistre voci e piene di
spavento. E, quanti le udirono, con alte grida piansero finchè vennero
loro meno le lagrime. E le salme dei due fratelli giacquero tutta
la notte in quella vasta solitudine. Ma alcuni dicono che Manfredino
figlio di Guercio da Assaiuto, che dimora nella villa di Coviolo[102],
avendo udite queste cose, mosso a pietà, andò con alcuni uomini e
un carro, raccolse i cadaveri di quei due, li mise l'uno accanto
all'altro, e li depose nella chiesa de' Templarii, che è a mezzo della
via, che va a Bibbianello. All'indomani poi da Bibbianello andarono
uomini e portarono le salme degli uccisi a seppellire colle vesti e
l'armi loro nelle tombe della famiglia, al convento de' frati Minori
di Monfalcone; ed era Sabbato, giorno in cui si cantava alla messa,
in vece dell'epistola, quel di Geremia 18º che dice: _Saranno le
mogli loro senza prole e vedove_ ecc. E siccome Rolandino di Canossa
era fratello consanguineo di Scarabello fu denunziato e accusato al
Podestà; poichè Scarabello era stato altra volta bandito da Reggio, e
quindi se fosse stato citato non sarebbe andato, nè sarebbe comparso.
Il Podestà di Reggio adunque, Bonifacio Marchese Lupi di Parma, mandò
per Rolandino, che si presentò a lui con una caterva d'armati. Ma il
Podestà avendo riconosciuto, in quanto riguardava a questo fatto, la
innocenza di lui, lo lasciò andare in pace senza punizione di sorta.
Poscia fu denunziato ed accusato Guido da Albareto, che comparve, fu
sostenuto in carcere dieci giorni e per una volta solo sottoposto a
miti tormenti, e poi prosciolto. E mentre si sottoponeva a' tormenti
Guido da Albareto, i Reggiani credettero che si sommovesse una guerra
intestina per tre ragioni: 1º per cagione di quei due fratelli uccisi;
2º per cagione del grande personaggio che era sottoposto ai tormenti;
3º per cagione dei partiti che tra loro si rodevano in Reggio. (Due
fazioni erano in Reggio; l'una che si chiamava Superiore, l'altra
Inferiore. Ambedue si professavano, ed erano, partigiane della Chiesa;
poichè il partito imperiale, già da molti anni espulso, andava errando
pel mondo. Col tempo poi questa discordia de' Reggiani, sedò alquanto,
e cominciarono le due parti a coabitare in città senza reciproco
timore). Il Podestà quando si cominciò a sottoporre a tormenti Guido,
lo pregò di sopportarli con pazienza per amor suo e per amore di Dio,
specialmente perchè di mal in cuore lo faceva tormentare; ma gli era
necessità il farlo, sia per ragione d'ufficio da parte sua, sia per
ragione di colpa e di pena imposta a Guido. Il quale riconoscendo che
il Podestà faceva questo per onore dell'uno e dell'altro, sostenne
con pazienza quanto prima gli sarebbe parso acerbo e crudo, e dopo,
riconosciutane la ragione, gli parve mite la pena. E disse al Podestà:
_Se questo calice non può passare da me senza che io beva, si faccia
la tua volontà_. Però vi fu chi disse che il sunnominato Guido, per
denaro sborsato, non fosse sottoposto a' tormenti, giacchè al danaro
tutto cede........ Perocchè Rolando Abbate di Canossa, che è figlio di
lui, spillò cento lire imperiali a Guido di Correggio, e altrettante
al Podestà di Reggio, in grazia de' quali schivò i tormenti. E quando
corse voce che si doveva tormentare, il Podestà non permise che vi
fosse persona presente, tranne egli e Guido da Correggio; e lo fece
sedere sopra un pesatoio da farina per qualche tempo, e intanto parlava
con lui famigliarmente delle cose che erano accadute. E smontato da
tale aculeo, e in una camera messosi a letto, mandò a chiamare Giacomo
da Palù, e gli narrò le sofferenze patite fra tormenti. Dopo, discese
dal palazzo, andò a casa di Rolandino da Canossa, che stava vicino
alla piazza, ed ivi passavasi il tempo sollazzevolmente mangiando e
bevendo, e giocondamente vivendo. Ma quando discese dal palazzo del
Comune si fece sorreggere da due uomini a destra e a sinistra, per
far credere che era stato gravemente offeso dai tormenti del Podestà.
Ma il Signore dice in Luca 12º: _Nulla è così coperto che non si
riveli_..... È da sapere che Guido di Bibbianello fu uomo nobile,
giacchè per linea paterna discendeva da quei di Canossa (laonde quelli
che lo uccisero erano suoi parenti), per linea materna era di Parma,
ed i figli di Ghiberto da Gente erano suoi germani consanguinei. Così
ebbe per moglie Giovanna figlia di Guido di Monte (ed era nipote del fu
Guglielmo Fogliani vescovo di Reggio); e Giovannino da Rodeglia[103]
aveva per moglie una sorella germana di lui, laonde si dicevano,
ed erano cognati, essendo mariti di due sorelle. Questo Guido da
Bibbianello fu inoltre bell'uomo, letterato, di raro ingegno, forte
memoria, fluente facondia, stringente eloquenza, vivace, giocondo,
largo, liberale, molto socievole e sollazzevole, benevolo, e uno de'
precipui benefattori de' frati Minori; sendochè i frati Minori avevano
nel territorio appartenente a lui un convento, nel bosco che è a
piedi di Monfalcone, ove come è detto più sopra, è stato sepolto con
suo fratello nelle tombe de' suoi avi; e l'anima sua, se è possibile,
per la misericordia di Dio riposi in pace, e così sia. In suo vivente
mi si mostrò sempre amico, come anche di mio fratello frate Guido di
Adamo, che morì anche esso nel convento di Monfalcone, e vi fu sepolto.
Tuttavia Guido da Bibbianello da' suoi malevoli era giudicato maligno,
e gli attribuivano molte azioni malvagie, che fosse cioè maldicente
e detrattore dei servi di Dio..... E tale è l'abitudine degli uomini
carnali, di denigrare la fama dei servi di Dio, e credono di trovare
una scusa de' loro peccati col far credere d'aver compagni nel mal fare
anche uomini santi. Così gli si attribuiva d'essere solito dire che
se era destinato alla vita eterna, la avrebbe, per quanto peccasse, e
se fosse destinato alle eterne pene avrebbe dovuto sobbarcarvisi, per
quanto operasse dirittamente. E, a provarlo, adduceva quel passo della
Scrittura di Luca 22º: _Il figlio dell'uomo va dov'è prestabilito_. E
fu una stoltezza, perchè, quantunque io ed altri frati amici suoi gli
dicessimo di guardarsene, tenea poco conto del nostro avviso, e non
voleva udirne, e rispondeva: La Scrittura dice, Ecclesiastico 19º:
_Chi crede subito, è di cuor leggiero, e sarà considerato dappoco_.
A cui, essendo egli dotto della Bibbia, io soggiungeva: È scritto
ne' Proverbii che il Savio dice 28º: _Beato l'uomo, che è sempre in
timore_ ecc. Ma, come ho già detto, non voleva ascoltarne; anzi scoteva
il capo, quasi a disprezzo di ciò che gli si diceva. Al già detto
aggiunsi: È scritto ne' Proverbii 22º: _La via dello stolto è diritta
al suo parere_. Insistendo io pertanto in questi concetti, e dicendo:
Io ti ho espresso il mio pensiero, rispose: Le parole sono molte,
ma molte sono quelle che nelle dispute sono vuote...... che è nella
provincia della Siria; secondo, perchè non gli fu data soddisfazione
nella Corte del Papa nè riguardo alle sue petizioni, nè riguardo al
suo compagno della Provenza; terzo, perchè quand'era in viaggio per
andare al ministro Generale, che era a Parigi, prima di arrivarvi,
per voci che ne correvano e per annunzi ricevutine, seppe della morte
del Generale; quindi ritornò alla Corte, e non sappiamo che cosa abbia
fatto. Avevano inoltre a quel tempo i Cardinali un tal Papa, che era
podagroso, di poca dottrina, un vero romano, avaro e meschino, Giacomo
Savelli, e si chiamava Onorio IV. Egli non solo non fu promotore di
Religioni nuove, ma si studiò in ogni maniera di ridurre al nulla le
già iniziate e prosperanti, poichè per denaro avuto da alcuni prelati
di chiese, s'era fitto nell'animo il pensiero e il proposito di fare
ingiuria e oltraggio ad Ordini illustri, come all'ordine de' frati
Minori e de' Predicatori..... Ma Iddio lo tolse di mezzo, e prevenuto
dalla morte non ebbe tempo di effettuare quanto covava in petto.....
Avrebbe apportato grave impedimento alla salute delle anime questo
Papa Onorio, se avesse potuto condurre ad effetto quello che andava
maturando nella sua mente. Riguardo ai Tartari vedi più sopra. E se
alcuno ricerchi perchè le cose che riguardano i Tartari io non le
abbia aggruppate insieme, rispondo d'aver fatto così perchè accadevano
successivamente, ed io successivamente le registrava ogni qual volta
mi venivano riferite..... Nel millesimo soprannotato, nella diocesi di
Bologna avvenne che un giovane ricco, che aveva ancora superstiti il
padre e la madre, avendo preso moglie, la prima sera del matrimonio,
prima ancora d'aver tocca la moglie, diede ospitalità a tre ribaldi,
di quelli che dicono di essere apostoli e non sono, i quali persuasero
a quel giovane di non accoppiarsi colla moglie..... e questa astinenza
insinuavano per far eglino prima del giovine marito...... Allora il
giovane si riconobbe ingannato da que' ribaldi, li fece prendere e
ne sporse querela al Podestà, che li fece impiccare...... Questa cosa
adunque avendola saputa Obizzo Sanvitali, Vescovo di Parma, che lungo
tempo li aveva favoriti per riguardo di Ghirardino Segalello, loro
istitutore, li espulse da Parma e da tutta la sua diocesi, conoscendo
che sono vili truffatori, ribaldi, gabbamondo e seduttori della peggior
risma...... Quel Ghirardino Segalello, che fu loro istitutore, ora è
ridotto a tanta demenza, che va vestito da istrione, e fattosi giullare
e mimo va facendo pazzie pe' viali e per le piazze; poichè ha il cuore
in vanità...... nè ha timore di Dio...... Di lui e de' suoi seguaci
ho parlato più sopra diffusamente. Nel millesimo sussegnato morì in
Reggio un certo Bresciano, che prima insegnava a leggere ai ragazzi il
salterio, e simulava di esser povero, e andava mendicando, e talvolta
suonando e cantando per avere più larga limosina. A costui il diavolo
aveva messo in testa, che doveva sopravvenire una desolante carestia;
e perciò biscottava i pezzi di pane, che accattava, e li riponeva in
serbo, per provvedere in tempo un rimedio a quella fame, che, com'è
detto, il diavolo gli aveva inchiodato in capo che dovesse arrivare.
Ma come fu detto di quel ricco del Vangelo..... così accadde a questo
infelice. Perocchè una sera malò più gravemente del solito, ed, essendo
solo in casa, aveva chiusa con diligenza la porta con una sbarra, e
quella notte fu strozzato dal diavolo, e malamente e disonestamente
trattato. L'indomani non facendosi vedere, gli uomini del vicinato,
le donne, i ragazzi in folla adunati atterrarono a forza la porta, e
lo videro giacente morto in terra, e vi trovarono farina in sacchi già
fetida dentro una cassa, e due altre casse di tozzi di pane biscottato;
e si constatò che aveva in Reggio due case, in due diverse parrocchie,
di cui andò in possesso il Comune di Reggio; e così si verificò quello
che volgarmente si dice: _Ciò che non riceve Cristo, lo piglia il
fisco_. Perciò i ragazzi lo spogliarono nudo questo infelicissimo,
e gli legarono i piedi con vincigli attorcigliati, e così nudo lo
trascinarono per tutta la città, per le strade e per le piazze, scherno
e ludibrio di tutti. E, quel che è singolare, si fu che non furono
sobillati da nessuno a farlo, e che nessuno li rimproverò, come d'aver
fatta una mala cosa. Ed essendo arrivati all'ospedale di Sant'Antonio
stanchi di tedio e di fatica, vollero legare quello sconciato cadavere
alla coda del carro di un bifolco, che per caso conduceva il carro
co' buoi per quella via; ma il contadino facendo opposizione, ecco
che subito i ragazzi gli si scagliarono addosso, e lo percossero
gravemente. E allora il bifolco lasciò fare ai ragazzi quella
ribalderia. Uscirono pertanto di città per la porta di S. Stefano, e
lo gettarono giù dal ponte nella ghiaia del Crostolo, fiume o torrente
che sia; e scendendo giù nell'alveo attorno al cadavere, gli gettarono
addosso una gran caterva di pietre, sclamando ad alte grida: Scendano
con te nell'inferno la tua fame e la tua avarizia insieme colla tua
miseria, e vi stiano in eterno e più oltre. E nota che i ragazzi sono
generosi ed i vecchi tenaci. Perciò anche Marziale Coco disse:

    Miramur juvenes largos, vetulosque tenaces;
    Illis cum multum, his breve restet iter.

    È un fatto in vero sovra ogni altro strano
      Che scialacqui il garzon lunge da morte,
    E ammassi poi con appetito insano
      Chi già del cimiter bussa alle porte.

Parimente nel detto millesimo avvenne un gran turbamento nel monastero
di S. Prospero di Reggio, in occasione delle guerre. In quel tempo era
diciasettesimo Abbate del monastero Guglielmo de' Lupicini, buon uomo,
per quanto a religione ed onestà, ma per quanto riguarda agli affari
mondani, semplice, rustico ed avaro. Trattava anche male a vitto i suoi
monaci, e perciò li ebbe poi avversi. Perocchè Bonifacio, figlio di
Gherardo di Boiardo da Rubiera, di intesa con alcuni monaci, che non se
la intendevano bene coll'Abbate, perchè li trattava male a vitto, la
prima volta occupò il monastero nel giorno di Pentecoste, all'ora del
pranzo, lo spogliò, portò via quello che volle, e si ritirò. L'Abbate
si diede alla fuga e andò al convento de' frati Minori, ove si fermò
tutto quel giorno e la notte seguente; e poscia passò in casa di un suo
fratello germano, che si chiama Sinibaldo, e vi ospitò alcuni giorni
coll'animo sospeso e il cuor pauroso. La seconda volta il prenominato
Bonifacio, al tempo della mietitura, occupò le cascine del monastero,
cioè la Migliarina[104] ed altre cascine; poi si prese di forza
Fossole[105], assediò, prese e mise a fuoco la Casamatta, ed ivi uccise
un uomo, che difendeva i suoi bovini e non glieli voleva dare; un altro
ne ferirono gravemente, e lasciatolo tutto piaghe, se n'andaron via che
era semivivo. E nota che queste cose erano state predette all'Abbate
prima che avvenissero; ma per quella sua semplicità ed avarizia, non
volle prevenirle e guardarsene, poichè le saette previste feriscono
meno..... Ma gli amici dell'Abbate vedendo che era pigro a premunirsi,
spontanei accorsero, non richiesti da lui, ed erano quaranta buoni
Reggiani, che fecero la guardia al monastero di S. Prospero tutta la
notte precedente il giorno di Pentecoste. Ma arrivata l'ora del pranzo,
non li ringraziò nemmeno della guardia che avevan fatta tutta la notte,
non li invitò a pranzo, e lasciò che andassero a pranzare alle proprie
case. Ed egli andò al suo palazzo con alcuni suoi scudieri e donzelli
per pranzare. Ed ecco che mentre sedeva a mensa, e credeva tutto
tranquillo, d'improvviso udì il rintocco della campana della torre,
che era suonata dai monaci di lui avversarii....... Allora i secolari
nemici dell'Abbate, sbucando prontamente dai nascondigli, irruppero nel
monastero, volendo creare un nuovo Abbate; e l'Abbate, per aiuto della
misericordia di Dio, si precipitò da un'angusto solaio, che chiamavano
ambulatorio, poi traversò le fosse, e arrivò, come s'è già detto,
al convento de' frati Minori, spaventato e tremante come un giunco
nell'acqua corrente. Ivi tutti gli amici, che venivano a visitarlo, lo
rimproveravano acremente, e lo caricavano di oltraggiosi rimbrotti,
rinfacciandogli che tali cose lo avevano incolto a cagione della sua
rusticità ed avarizia. Ed egli tutto sopportava con pazienza, perchè
si riconosceva colpevole. Ma nel mese precedente, cioè nel Maggio,
prima che all'Abbate tali cose avvenissero...... e le persone, che
hanno attinenza col detto Ordine de' Cisterciensi si astengono da ogni
contatto cogli stessi frati Minori, e come fossero scomunicati, non
assistono ai loro divini uffici, nè alle loro predicazioni; e questo è
di scandalo universale, ed una grave jattura per la Chiesa; le quali
cose però da molti savi e prudenti uomini si riconoscono promosse da
fomite d'invidia e di odio[106]. Avendo dunque noi sempre prediletto e
favorito in modo speciale il predetto Ordine Cisterciense, ordiniamo
a tutti voi in generale, e a ciascuno in particolare, sotto stretto
comando, di andare in vece nostra ai singoli conventi e monasteri del
detto Ordine esistenti nel distretto della vostra giurisdizione, e di
avvisare gli Abbati, le abbazie e i conventi loro, e di supplicarli
da parte nostra di revocare provvidamente ed effettivamente entro un
mese, a contare dal giorno in cui riceveranno i presenti ordini, i
loro Statuti così improvvidamente pubblicati e promulgati con iscandalo
della Chiesa..... E, se non obbediscono, abbiamo deliberato e decretato
che nessuno, Duca, Marchese, Conte, Nobiluomo, od altri chichessia,
suddito del nostro Impero possa dare all'Ordine Cisterciense nulla de'
suoi beni, nè mobili, nè immobili, nè trasferire in loro proprietà
gli accennati beni con alcun titolo di alienazione senza il nostro
espresso assenso....... le possessioni, delle quali l'Ordine stesso
abbonda; e se altrimenti sarà fatto..... comandando a tutti voi in
generale, e a ciascuno di voi in particolare di revocarle per autorità
della Maestà imperiale..... La causa poi, onde i frati dell'Ordine
Cisterciense si sollevarono contro i frati Minori, per cui fu emanata
contro di loro una legge sì dura, come poi in seguito ho saputo, fu
questa. Uscì dal nostro Ordine, ed entrò in quello dei Cisterciensi un
frate Minore, il quale si comportò tanto bene che arrivò a diventare
Abbate di un cospicuo monastero. I frati Minori per una certa gara
d'emulazione, che in ordine a questa cosa non era secondo il consiglio
della saggezza, temendo che altri, seguendo l'esempio di quel frate,
abbandonassero il loro Ordine, lo presero e lo ricondussero al loro
convento, e lo nutrirono col pane della tribolazione e coll'acqua del
dolore. La qual cosa risaputa, i Cisterciensi s'irritarono acerbamente
e si sdegnarono contro i frati Minori, e questo per cinque motivi:
primo, perchè punirono chi non meritava di essere punito; secondo,
perchè non dipendeva più dall'Ordine nostro; terzo, perchè lo presero
vestito dell'abito monacale; quarto, perchè nell'Ordine loro era stato
elevato ad un'alta prelatura, quella di Abbate; quinto ed ultimo,
perchè si diportava tanto bene nell'Ordine loro per vita, per saviezza,
e buoni costumi, che era loro ben accetto ed in grazia di tutti. Ma
Rodolfo, che è stato legittimamente eletto Imperatore, e che ama di
cuore, e di fatto promuove l'Ordine de' frati Minori, per amore di Dio
e del beato Francesco, saputo che i Cisterciensi avevano preso contro
loro una deliberazione tanto dura, se ne sdegnò, e scrisse a loro
riguardo la lettera surriportata..... Questo Re Rodolfo fu veramente
quel buon vicino, di cui dice il Savio ne' Proverbii 23º: _Il vicino
di loro è forte_. Ma i Cisterciensi, conosciuta la predetta lettera,
revocarono e annullarono subito la deliberazione presa, e ordinarono
che i frati Minori fossero ricevuti nelle loro case con famigliarità,
amorevolezza, cortesia e benignità, non solo per declinare da se
stessi il danno, a cui potevano andare incontro, come aveva minacciato
chi aveva scritta la lettera, ma eziandio per obbedire a sì potente
Signore, secondo il detto dell'Apostolo ai Romani 13º: _Ogni persona
sia sottoposta alle potestà superiori_. Riguardo poi alla deferenza
dell'Imperatore Rodolfo verso i frati Minori, cerca più indietro, e
troverai che cedette loro il suo palazzo, che aveva nella città di
Reggio, perchè vi edificassero il loro convento, e che promise di far
loro in seguito maggiori elargizioni. Simile controversia incontrò
frate Buonagrazia, quando era ministro provinciale a Bologna, contro
il monastero di Nonantola[107], che è nel territorio di Modena. Un
certo frate Guidolino, Ferrarese, uscì dell'Ordine de' frati Minori, ed
entrò in quello di S. Benedetto dei Monaci Neri, ove nel monastero di
Nonantola si comportò tanto bene e tanto lodatamente, che s'acquistò
la benevolenza di tutti, e lo elessero Abbate del nominato monastero.
Per cagione di che sostennero tra loro i frati Minori e que' monaci
Benedettini una fiammante controversia al cospetto di Giovanni Gaetani
(che allora era governatore de' frati Minori, e poscia fu Papa Nicolò
III) e, dopo vivissimo dibattito, i frati Minori ottennero che non
fosse fatto Abbate. E quei monaci spesero 10000 lire imperiali per
riuscire ed averlo Abbate. Ma non potendo averlo, e vedendo che
s'affannavano invano, non elessero nessun altro Abbate, e lo fecero
lui signore dell'abbazia, come se Abbate fosse canonicamente. Questo
dimostri quanto l'amavano que' monaci. Ma egli fece come l'antico
Giuseppe, che a' suoi fratelli non volle rendere male per male, pur
potendolo e non mancandogliene occasione; che anzi si tolse premura di
far loro del bene, adempiendo quel detto dell'Apostolo ai Romani 13º:
_Non rendere a nessuno male per male_, ed anche: _Non lasciarti vincere
dal male, ma col bene vinci il male_. Suona a proposito anche quello
dell'Ecclesiastico 10º: _Non aver memoria dell'ingiuria, che t'ha
fatto il prossimo_; il che appuntino faceva questo frate Guidolino.
E vedeva tanto volentieri e accoglieva i frati Minori nel monastero
di Nonantola, come fossero angeli di Dio, e pregò i suoi confrati di
averne sempre due nel monastero a spese del monastero stesso, come
scrivani a copiare e moltiplicare gli originali degli scrittori, de'
quali originali colà vi era gran dovizia. Questo frate Guidolino fu
mio intimo amico, quando coabitavamo nel convento di Ravenna. E nota
che i frati Minori da Papa Nicolò IV, che era pur esso dell'Ordine de'
Minori, si ebbero un privilegio, pel quale nessuno che uscisse dal loro
Ordine potesse in perpetuo essere promosso ad alcuna prelatura di altro
Ordine.


a. 1287

L'anno 1287, indizione 15ª, i frati Predicatori ritornarono ad abitare
in Parma, d'onde erano partiti spontanei per cagione di una donna
eretica, di nome Alina, cui essi avevano fatta bruciare. E ritornarono
il giorno della Cattedra di S. Pietro; ed uscirono per andar loro
incontro colle trombe e cogli stendali alcuni Parmigiani ed i
Religiosi, che li accolsero e accompagnarono in città con onorificenza.
Nello stesso millesimo, dopo che i Lupicini ed i Boiardi s'erano già
rappacificati, furono uccisi due monaci del monastero di S. Prospero di
Reggio, e furono que' monaci, che avevano già tempo tradito l'Abbate
e il monastero di S. Prospero. Poscia, a breve distanza di tempo,
a vendetta di que' due monaci, ne fu ucciso un altro del monastero
stesso, che, delegato come suo procuratore dall'Abbate, andava alla
Corte con un cert'altro sacerdote. Questo monaco era figlio di Gifredo
de' Muti di Reggio, frate Gaudente; e disse a chi lo feriva; Chi
siete voi? Ed i feritori risposero: Noi siamo i procuratori di que'
due monaci, che pochi giorni fa sono stati uccisi, ed abbiamo mandato
di rendere pan per focaccia. E feritolo, fuggirono lasciandolo mezzo
morto. Fu portato a casa de' suoi parenti, fece la sua confessione,
e s'addormentò nel Signore; e pochi giorni dopo, la madre di questo
monaco malatasi di tristezza, morì anch'essa. Così nello stesso
millesimo i Reggiani per carnevale non fecero baldoria, secondo il
costume delle altre città cristiane, che in tal tempo folleggiano e
fan pazzie, ma se ne restarono senza chiasso, come se fossero morti
i loro. Ma in quaresima, che è tempo dedicato a Dio, cominciarono a
folleggiare, mentre sarebbe stato tempo prezioso per la salute delle
anime, tempo di fare elemosine, e di attendere alle opere di pietà.....
tempo di confessarsi, di ascoltare le prediche; di visitare le chiese,
di pregare, di digiunare, e di piangere...... In quaresima adunque non
si diedero i Reggiani alle opere di pietà, nè si curarono delle sante
cose preaccennate, ma corsero dietro a vanità, e invanirono..... Di
fatto molti di loro presero a prestito vesti dalle donne, e vestiti,
da donne, cominciarono loro giochi, e andavano per la città attorno
in torneamenti; e per avere vieppiù apparenza di donne, con biacca
imbellettavano le maschere, che si mettevano al volto, non curandosi
delle pene a ciò comminate...... Guai a que' miseri cristiani che
tentano di convertire il tempo consacrato al culto ecclesiastico in
tempo di dissolutezza e vaniloquio...... Certamente Cristo, nostro
Dio, c'insegnò a digiunare in quaresima...... e siccome decretarono i
Venerabili Padri Pontefici romani...... ma alcuni infelici cristiani
nelle città Lombarde nè digiunano, nè si confessano de' loro peccati.
E perchè in tal tempo non possono trovar carni in beccheria, mangiano
in secreto carni di galline e di capponi, e, dopo, tutto il giorno
se ne stanno sdraiati su stuoie, sotto i porticati, e nelle piazze,
giocano a zare, a' dadi, e a trottolino, e bestemmiano il nome del
Signore e della beata Vergine madre di Lui; e que' tali si danno a
credere che possano mutare i tempi e le leggi, e che venga il giorno
di poter vivere in libera libidine. Nota che l'Apostolo specificò
alcuni segni de' malvagi cristiani, che vivranno circa i tempi
dell'Anticristo, i quali segni si riscontrano in quelle persone che
a' dì nostri s'infangano nel peccato senza verecondia...... Ma non
giovò ai Reggiani. Videro sì i guai de' Modenesi loro vicini, ma non
si diedero pensiero di guardarsene; che anzi posero i semi di tutti
que' mali, che poi piombarono su di loro, di cui già parlammo, ed
anche in seguito parleremo. In fatto alcuni anni prima del corrente
millesimo alcuni mugnai di Reggio, con una certa astuzia e malizia
domandarono ed ebbero dai frati Minori alcune tonache usate e vecchie,
che dicevano di voler porre sotto il meccanismo del purgatore per
ridurle all'apparenza e alla mondizie di nuove; ma se ne valsero poi
a vestirsi nel carnevale in abito di frati Minori, e dopo il tramonto
del sole ballarono cantando sulla pubblica strada. E queste pazzie
facevano per suggestione del diavolo, che voleva si calunniassero
gli innocenti, e che, da chi passava, fossero creduti realmente
frati Minori quelli che le dette cose facevano, e così diventasse
uno scandalo e un disonore pe' frati...... Il che di fatto si avverò
poi ne' mugnai, che tali cose facevano. Perocchè il Podestà di Reggio
d'allora, saputo di ciò, irritossi assai per l'amore che nutriva pe'
frati Minori, e, come era suo dovere, li punì severamente, imponendo
loro multe in denaro, e bando perpetuo dalla città, perchè altri non
osasse più in seguito ripetere quelle scene...... Nel detto anno,
cioè 1287, ai tre d'Aprile, Giovedì Santo, morì Papa Onorio IV, e il
giorno dopo, Venerdì Santo, fu sepolto. Egli fu uomo podagroso; prima
si chiamava Giacomo Savelli, romano, eletto dal novero de' Cardinali,
e resse il pontificato due anni. Creò un solo Cardinale, cui mandò
in Germania con missione di condurre di là Rodolfo eletto Imperatore,
volendolo, come comunemente si credeva, incoronare; ma il Papa morì,
e Rodolfo restossi senza la corona dell'Impero. Laonde appare chiaro
che Iddio non voglia che più sorga alcuno a reggere come Imperatore
la pubblica cosa, come è stato detto di Federico II da quelli che con
ispirito profetico predicono il futuro: «In lui morrà anche l'Impero,
perchè sebbene possa avere successori, saranno privi del titolo
d'Imperatori da parte del supremo potere dell'autorità romana». Fuvvi
un'altra cagione ancora della morte di Papa Onorio IV. Perocchè volle
far gravare la sua mano sull'Ordine de' frati Minori e Predicatori,
togliendo loro la facoltà di confessare e di predicare, per eccitamento
di alcuni prelati oltramontani, che spesero a questo scopo 100,000 lire
della moneta di Tours. E Matteo Rossi, che era il Cardinale protettore,
governatore e censore dell'Ordine de' Minori, venne ai frati piangendo
e disse: Frati miei, io ho insistito quanto ho potuto per stornare il
sommo Pontefice da' suoi propositi, ma non ho potuto smoverlo dal malo
divisamento che ha fitto in cuor suo contro di voi...... E siccome è
impossibile che le preghiere dei molti non sieno esaudite...... quando
Papa Onorio l'indomani, Giovedì Santo, avrebbe pronunciata la sentenza,
ecco che Iddio lo colpì la sera innanzi e lo tolse di vita...... Ed
io abitava nel convento de' frati Minori di Montefalcone. Lo stesso
anno Nicolò Fogliani prese Carpineti[108] e Pacilo[109], (due castelli
della diocesi di Reggio), e vi pose di stanza a guardia suoi armati,
in servizio di Monaco di Canossa, i cui fratelli l'anno antecedente
erano stati uccisi, cioè Guido di Bibbianello e Bonifacio di lui
fratello. A vendicare adunque i suoi fratelli, Monaco di Canossa, che
aveva signoria a Bibbianello, con molti uomini d'armi andò, e, facendo
violenza ai custodi delle porte della città, entrò in Reggio. E in quel
giorno ebbe suo principio una sanguinosa zuffa nella città di Reggio,
ed ebbe per effetto che il Podestà che era Cremonese, e il Capitano che
era di Parma, discesero dai loro Palazzi, e il dì seguente, ricevuto
loro salario, partirono ritornando alle loro città. Frattanto Matteo
Fogliani, Guido da Tripoli e Monaco di Bibbianello si spartirono gli
uffici principali della Signoria. E Monaco di Bibbianello andò in
persona ad appiccare il fuoco alla casa di Rolandino da Canossa, e
l'incendiò e la fece smantellare sino alle fondamenta; e mentre queste
devastazioni si compievano, inanimava i suoi armati, dicendo: Venite a
me con sicurezza, e non temete, che io sono fatato ed invulnerabile.
E questo diceva per tenere alto il coraggio de' suoi, e renderli
pronti ad osare. Quivi fu ucciso un popolano, che era bello e buon
uomo, amico mio e dei frati Minori, del partito di Rolandino, ed in
quel giorno era di guardia alla casa di lui. Questi esercitava in
Reggio l'arte del cimatore, e si chiamava Ugolino da Canossa. Questo
accadde il Mercoledì dell'ottava di Pasqua, nel qual giorno cantammo
nella messa _Venite, benedicti: Venite, o benedetti_; ed io abitava
nel convento di Montefalcone; e quel giorno andai a Reggio, entrai in
città, e vidi tutto co' miei occhi, perchè tutta la giornata, mentre
queste cose si facevano, io girai attorno per la città. E le follie,
che i Reggiani fecero nella quaresima, si convertirono in pianti ed
in querimonie, perchè fatte in tal tempo presagivano male...... E
l'Arciprete della chiesa maggiore, che si chiama Enzo Uberto, ed un
certo eremita andavano predicando a pieno uditorio che quelle baldorie,
che si facevano dai Reggiani nella quaresima, erano un buon segno.
Ma frate Benvenuto dell'Ordine dei Minori predicava il contrario,
cioè che presagivano male, come poi provò e dimostrò il fatto. Questo
frate Benvenuto era del Modenese, lettore di teologia, predicatore
buono, ornato e gradito al clero e al popolo; sapeva di greco e di
latino; fu interprete molto abile e sottilissimo del testo bibblico; e
ovunque correva lezione storpia corresse, e diede un testo, che è il
più corretto che oggi si trovi al mondo; fu correttore alla mensa in
Parigi si trovò compagno di molti che diventarono poi sommi Pontefici,
cioè Papa Adriano, Papa Gregorio X oriondo di Piacenza; e tuttavia
amò meglio restare umile cogli umili, che por piede nelle Corti de'
grandi; e tale è tornato al suo Ordine, nel quale talvolta, quando
torna il suo giorno, secondo l'uso dell'Ordine stesso, lava anche
le scodelle. Uomo di molto studio e di acuto ingegno, e dottissimo,
di memoria facilissima, che ha molti e buoni libri, che si procurò
con grande fatica copiandoseli e facendosene copiare, quando era a
studio in Parigi. Umile, socievole, benigno, onesto, di vita santa; di
edificante conversare, e da tutti tenuto in distinta considerazione.
Questi dunque, in quanto all'applicazione che se ne può fare al caso
presente, che riguarda i Reggiani, mi pare prefigurato in Michea, il
quale consigliò il Re Acabbo di non ingaggiare battaglia in Ramoth
di Galaad contro i Siri. E _Sedecia figlio di Canaan_, che _si fece
le corna di ferro_ e disse al Re: _Con queste soffierai sulla Siria,
finchè tu l'abbia annientata_, prefigurò coloro, che adulavano i
Reggiani, quando in quaresima folleggiavano.... Quel giorno dunque,
in cui accaddero le dette cose ai reggiani, incontrai l'Arciprete
della chiesa maggiore della città di Reggio, presso la chiesa di San
Pietro, ove era stato canonico, ed era profondamente melanconico e
quasi inebetito; e presemi per mano, come per dar segno di conoscermi
e d'aver meco dimestichezza, poichè io aveva abitato a Reggio sei
anni. E gli domandai come stesse; e mi rispose che stava come in un
mulino rotto. Allora, siccome costui era stato uno degli adulatori
dei Reggiani quando matteggiavano in quaresima, fui sul punto di
dirgli quello che disse Michea ad un tale nella storia preaccennata:
_Vedrai_ ecc. cioè saprai e conoscerai che cosa sta nella camera del
letto, quando nella camera del letto ti ritirerai. Il profeta volle
significare che colui, al quale parlava, conoscerebbe piena la verità,
quando la tribulazione gli acuisse l'intelletto. Ma stando lì lì
per dirgli questa cosa, il mio animo e la mia lingua gliela vollero
risparmiare, memori di quel che dice la Scrittura: _Non irridere un
uomo che si trova nel dolore_.... Parimente il giorno stesso, in cui
ebbero cominciamento le cose già dette dei Reggiani, Monaco di Canossa,
ossia di Bibbianello, andò in persona alle carceri del Comune, e co'
suoi uomini d'armi ruppe e le aprì, liberando tutti i prigionieri dalla
miseria, e dalle catene, e dalle tenebre, e dall'ombra di morte, e
infrangendo i loro ceppi li lasciò andare in libertà. E vi si trovavano
alcuni condannati a bando perpetuo dal Comune, tra' quali taluno era
già da lungo tempo carcerato, ai quali parve rinascesse una luce nuova,
e ne provarono massimo gaudio e tripudio, ne resero grazie a Monaco,
e si offersero sempre pronti ad amarlo e servirlo in sempiterno. Quel
giorno stesso nella città di Reggio Giacomino dei Panzeri e suo figlio
Tomasino assalirono coraggiosamente la fazione loro avversa, come leoni
che balzano sopra la preda, parati a penetrare anche attraverso un muro
di ferro. Ed a Tomasino fu ucciso sotto il cavallo mentre assaliva i
nemici al trivio de' Roberti. Giacomino poi essendosi recato alla porta
di S. Nazzaro, non per uscire e partirsene ma per comandare che la
porta si abbandonasse aperta, mentre ne ritornava verso casa sua urtò
in una moltitudine di armati, ai quali non potendo tener testa, gli
fu giocoforza uscire di città; sendochè i Lupicini si staccarono dal
partito di Rolandino in occasione di un parentado recente contrattosi
tra lui e Matteo Fogliani, avendo Garsendonio accettata come sposa
una figlia di Matteo per suo figlio Ugolino; ed altri ancora del
partito di Rolandino di Canossa e di Giacomino de' Panzeri non erano
dell'animo inclinati a menar le mani; alcuni altri poi se n'erano
usciti di città, e se ne stavano nelle loro castella. Allora furono
messe a ruba e a sacco le case di alcuni, e ne fu portato via ogni
bene, frumento, vino e tutti i mobili; e i giorni successivi furono
rase al suolo le case di Giacomino, di Bartolomeo e di Buonacorso de'
Panzeri, di Alberto degli Indusiati, di Ugo di Corrado, di Rolandino
di Canossa e di Manfredino del Guercio. Come pure il giorno di quella
sommossa, dopo nona, molti malfattori e ribaldi andarono correndo al
convento de' frati Minori per entrarvi e far bottino degli oggetti che
vi erano stati depositati. Di che accortisi i frati suonarono a stormo
la campana più grossa; e subito, ecco presente Guido da Tripoli, armato
sul destriero, e lo vidi io co' miei occhi, e menò loro colpi di clava,
e li cacciò tutti in fuga. Egli mi guardò e disse: Ohe! frati, e non
avete voi di buoni randelli da bastonar cotestoro, che non vi rubino? A
cui io risposi che a noi non lice bastonare nessuno.... Allora intesi
che aveva detto vero Isaia nel 9º: _Perchè ogni saccheggiamento di
saccheggiatori è con istrepito e tumulto_. In que' giorni Rolandino di
Canossa, Francesco Fogliani, suo fratello il Prevosto di Carpineti,
Giacomino dei Panzeri, suo figlio Tomasino e molti altri con loro
dello stesso partito, andarono a Parma, e fecero apprestare vessilli,
banderuole e macchine da guerra per correre ai castelli che hanno
nella diocesi di Reggio, e battere i loro avversarii, cioè i Reggiani
che stanno dentro la città. E un giorno quei di Gesso fecero una
scorreria contro quelli di Roncolo[110], e rapirono loro dai pascoli
i buoi e le vacche; la qual cosa vedendo quelli di Roncolo portarono
in sicuro su quel della diocesi di Parma le robe loro, e abbandonarono
vuote e deserte le case e la villa.... Quelli poi delle Castella
fabbricarono case e trasportarono ogni lor cosa alle falde del colle
su cui è Bibbianello, e parte anche sulla vetta. Altrettanto fecero
quei di Cauresana[111], di Farneto, di Corniano e di Plazzola intorno
intorno a monte Lucio, nella sua più alta parte; così anche quelli di
Oliveto; e quelli di Bibbiano si munirono di fortilizii per timore
di una vicina guerra. Quelli di Caviano costruirono case intorno
alla chiesa plebana, vi cavarono all'ingiro le fossa e le riempirono
d'acqua per essere al coperto dalla furia del devastatore. Così sono
oggi le cose. La fine sarà quella che sarà, perchè sono sempre incerti
gli eventi delle guerre, e la spada ora atterra l'uno, ora atterra
l'altro. Ma i Modenesi risapendo di tutti questi guai dei Reggiani,
ne furono in forte apprensione e vollero espellere di nuovo que' loro
concittadini, che erano tornati da Sassuolo, e coi quali avevano da
poco tempo fatta pace. I quali risposero di essere disposti ad obbedire
e andare a confino, e piegarsi a' loro comandi, e fare tutto quanto
volessero. Laonde i Modenesi vinti da tanta docilità risparmiarono ai
loro concittadini, che erano tornati da Sassuolo, sì grave danno e non
li costrinsero ad uscire di città; ma raffermarono più saldamente la
pace e la primiera concordia, e si imbandirono scambievoli banchetti,
e si contrassero fra le loro famiglie maritaggi, e consolidarono
i loro rapporti di amicizia coi vincoli delle affinità. Lo stesso
anno un certo maestro Pisano, che era a Parma per fondere campane,
fece anche quella del Comune di Parma, grossa, bella e buona; e deve
farne un'altra pel duomo a spese del Cardinale oriondo di Gainago. E
l'anno antecedente ne aveva fusa un'altra pel Comune, ma, all'atto
del gettarla, per insufficienza di metallo riuscì mancante degli
orecchioni; e quindi non potendo servire a nulla fu ridotta a pezzi.
Un cert'altro maestro Pisano anch'esso ne aveva fatta prima ancora
un'altra, ma non era sonora, e di lontano non si udiva. Questa essendo
stata sospesa alquanto alta da terra ad un castello di legno presso
il palazzo dell'Imperatore, che in Parma è all'Arena, cadde da quella
specie di battifredo a terra, e non offese nessuno, tranne che ad un
giovane portò via la parte anteriore di un piede, col quale aveva dato
un calcio al padre, ma non impunemente, come il giusto giudizio di
Dio lo dimostrò con tale disgrazia.... Dacchè adunque abbiamo fatta
menzione de' lavori pubblici de' Parmigiani, sta bene che ne facciamo
pieno racconto di alcuno per meglio ricordarne le origini; e per farlo
meglio è d'uopo ritornare alquanto indietro (Vedi più su dei lavori
publici dei Parmigiani). Così nel susseguente millesimo, il Mercordì
dell'ottava di Pentecoste, che era ai 28 di Maggio, i Reggiani, fanti
e cavalli, uscirono armati dalla città per battersi con quelli di Gesso
e si misero a campo sul Campora, un torrente che ha le sue scaturigini
presso Canossa, e va a metter foce nel Crostolo. Allora quei di Gesso
uscirono anch'eglino col proponimento di presentare battaglia, e
andavano provocando al combattimento i Reggiani della città. Stavano
l'une squadre di fronte alle altre a mezzo miglio d'intervallo, e
dall'una parte e dall'altra si mandavano avanti quelli che si chiamano
spie od esploratori, per conoscere la moltitudine degli armati, o la
debolezza del nemico; e così durarono tutta la giornata, finchè stanchi
di noia, retrocedettero lo stesso giorno senza essersi scontrati.
Ma nel seguente sabato delle Tempora, cioè l'ultimo di Maggio, festa
di S. Petronilla, que' di Gesso andarono a battere contro la chiesa
plebana di Caviano, attorno alla quale uomini e donne s'erano ritirati
e trincerati. E quel luogo era assai ben munito a cagione della torre,
della chiesa, e della fossa che lo cingevano, e per il numero d'uomini,
di pietre, di baliste ed altre diverse macchine guerresche. Allora
si accostò Guido di Albareto, che era uno dei condottieri di quei di
Gesso, e tenne un'allocuzione a quei della Terra, dicendo: Provegga
ciascuno di voi all'anima propria, e arrendetevi a noi, e andatevene
liberi in pace senza dannaggio di sorta; che se resistete, sappiate
che sarete presi di forza, e senza misericordia appesi alle forche. In
quel punto, irritato da tale linguaggio, uno di quelli che erano sulla
torre, lanciò dall'alto una pietra, che andò a colpire sulla testa il
cavallo di Guido, il quale orribilmente rotando intorno a se stesso,
quasi stramazzò. Allora cominciò l'attacco tra quelli di dentro il
castello, e quei di fuori; e quel giorno dentro il fortilizio della
plebana non erano presenti che quaranta uomini, che ferirono quindici
nemici, de' quali nella ritirata morirono tre e furono sepolti. Ma
quei di fuori riconoscendo che non potevano espugnare le munimenta di
quella Chiesa plebana, si sbandarono per la villa di Caviano a far
bottino di oche, di galline, di capponi, di galli, di porcelli, di
agnelli, e di quanto vi era e loro piacque. Di fatto quella villa era
boscosa e ricca d'ogni ben di Dio, e gli abitanti vivevano quasi a
maniera dei Sidonii, isolati e senza comunione con quelli delle Terre
vicine; nè vi fu chi opponesse resistenza, nè aprisse bocca a gridare.
In quella notte posero a fuoco cinquantatrè case della villa di Caviano
tra buone e in mal essere; e tutte indifferentemente l'avrebbero
bruciate, se non avessero smesso per le istanze e le preghiere dei
frati Minori, che si opposero a quei malandrini. La quale devastazione
scorta quelli di Bibbiano, spillarono cento lire imperiali a quelli
di Gesso, e concordarono seco loro una tregua d'un anno, per poter
lavorare sicuri i loro campi e raccoglierne le messi. Questa tregua si
pattuì mercè di donna Beatrice, vedova, sorella di Guglielmo Rangone
di Parma. Allora Egidiolo di Montecchio cominciò a porsi in mezzo
per concordare una tregua tra quei della villa di Caviano e quelli
di Gesso; e la mediazione di lui era molto promettente, perchè sua
moglie era nata da quei di Canossa, sorella della madre dell'Abbate,
e Monaco di Bibbianello era nipote della moglie di Egidiolo come nato
da un consanguineo di lei. Questo Egidiolo era uomo soave, pacifico e
dolce; e tutto il tempo di queste lotte tra Reggiani e quei di Gesso,
molto si affannò correndo ora a Gesso, ora di là ritornando ai nostri;
ma da questo suo adoperarsi non ne raccolse che calunnie e maldicenze.
A questi giorni era Podestà dei Modenesi Rolando degli Adegherii di
Parma, che chiamò a sè quelli che erano tornati da Sassuolo, e co'
quali i Modenesi della città s'erano pacificati, e con modi cortesi
li persuase di uscire dalla città, perchè non li incogliesse disastro;
specialmente che conosceva addentro l'umore de' Modenesi, e sapeva di
un soccorso, che aspettavano dai Reggiani. E furono in tutto obbedienti
e partirono. Subito dopo arrivarono da Reggio un duecento soldati,
che entrarono tutti in Modena, e fu da loro senza contrasto occupata.
A quei giorni si ripetè molte volte a Reggio la voce che i Parmigiani
erano in discordia tra loro, che tutte le parti eran sull'armi, e si
aveva speranza che Parma fosse dai Parmigiani distrutta. E ognuno
parlava a seconda del proprio desiderio; e molti sembravano godere
della distruzione di Parma, secondo che è scritto nei Treni 1...
perocchè è gran sollievo per gli infelici trovar compagni nella
miseria. Ma la Beata Vergine, che in Parma ha culto e onore, sembra
tenere sotto la sua cura e protezione speciale quella città. In quel
tempo era a Parma Capitano di un partito Obizzo Sanvitali Vescovo
della città, e dell'altro partito Guido da Correggio. Quelli poi, che
erano stati espulsi da Reggio, si chiamavano di Gesso, dal nome di
un castello ove abitavano, il cui Capitano in capo era Rolandino di
Canossa, uomo bello, nobile, cortese, liberale e che aveva avute in
Italia molte Podesterie. Sua madre era una Piemontese, nobil donna e
santissima. E questo Rolandino, di cui parliamo, usò una singolarissima
cortesia, che è ben degna di essere raccontata. Avendo tregua quei di
Gesso con quelli di Albinea, che è una Terra del Vescovo di Reggio, un
certo tale di Albinea si presentò a lui lamentando che uno di quelli
di Gesso gli aveva rapiti i buoi. E subito glieli fece restituire,
dicendo: Vuoi d'altro? E quel tale soggiunse: Vorrei che quell'uomo,
che sta nel vostro paese mi restituisse anche il mio vestito. E
Rolandino invitando quell'uomo a restituire, e non volendovisi esso
prestare, Rolandino stesso si cavò il soprabito, ossia la guarnacca,
gliela diede e disse: Credo che tu sia così ben ripagato del tuo abito;
vattene in pace. La qual cosa avendo veduto quel contadino che aveva
portato via l'abito all'uomo d'Albinea, arrossì e prostrandosi a piedi
di Rolandino, confessò sua colpa e ridiede l'abito all'uomo derubato.
Or sappi che i capi condottieri di quei di Gesso furono: Rolandino di
Canossa, Guido di Albareto co' suoi figli, cioè Azzolino e l'Abbate di
Canossa, che si chiama Rolando; poi Guglielmino Scarabello e Bonifacio,
fratello dell'Abbate di S. Prospero, Reggiano soltanto per madre;
inoltre il Prevosto di Carpineti e suo fratello Francesco Fogliani co'
suoi figli; Giacomino de' Panzeri con Tomasino suo figlio; i quali due
si batterono da leoni nell'occasione della cacciata del loro partito da
Reggio; Bartolomeo dei Panzeri con Zaccaria suo figlio; Ugo di Corrado
con Corradino suo figlio; Manfredino di Guerzo co' suoi figli; Enrico
di Gherro un buon banchiere; e un tal bastardo bell'uomo e valoroso,
che qualche volta fu Podestà di quei di Gesso, (ed anche Enrico fu
loro Podestà); e Ro... poscia Cremona cominciò ad eleggersi Podestà
uno di Cremona. L'altra turba poi che formava le schiere di quei
di Gesso erano, o mercenarii, o assassini, o ribaldi. E si noti che
Corradino, figlio di Ugo di Corrado, fu dai ribaldi fatto Capitano e
Podestà loro. Notisi inoltre che i Lupicini al momento dell'espulsione
od uscita dalla città, abbandonarono il loro partito, e restarono in
città; e si ascrissero al partito di Matteo Fogliani, la cui figlia
la accettò Garsendonio per moglie di Ugolino suo figlio. E sappi che
allora quei di Dallo, in servizio e favore di Matteo Fogliani, stettero
molti giorni a campo intorno a Bismantova, perchè Guido di Albareto
con alcuni altri s'erano ritirati su quella roccia per isfuggire illesi
di fronte al nemico. Dopo, gli assedianti annoiati, levarono il campo,
e quei di Bismantova discesero e partirono. Di Guido d'Albareto poi è
da sapere che, come disse a me suo figlio l'Abbate di Canossa parlando
meco un giorno con famigliarità presso la porta di Gesso cinque anni
prima che gli accadesse quella disgrazia, da cui fu tormentato in
occasione della morte di Guido di Bibianello, interrogò un indovino,
che prediceva il futuro, e sapeva dire quello che accadrebbe a questo
o a quello, affinchè gli predicesse quali eventi aspettavano il
padre di lui; e gli mostrò un libro nel quale stava scritto: «Cadrà
nelle mani d'un giudice.» E così fu di fatto, come abbiam narrato più
sopra. Laonde è chiaro, che non solo i profeti preveggono l'avvenire,
ma lo preveggono talvolta anche i demonii e gli uomini peccatori, e
tanto meglio i giusti, come diremo, se ci basterà la vita a parlare
del seguente millesimo. Nell'anno sussegnato, un Sabato 17 Maggio,
all'ora del pranzo, fu ucciso Pinotto figlio di Ghiberto da Gente,
nella villa di Campegine, da' suoi nipoti, figli di Lombardino da
Gente, de' quali uno aveva nome Ghibertino e l'altro Guglielmino; e
fu ucciso per una contesa che avevano tra loro per un mulino, anzi
per cosa da meno, cioè una pezza o stretta lingua di terra, che era
di dietro ad un molino. Ma già sin da anni addietro aveva avuto a
litigare anche con Lombardino padre di costoro; e per ciò andarono
con alcuni malfattori ed assassini, che gli furon sopra con armi e con
randelli e l'uccisero.... E qui osserva un triplice giudizio di Dio.
Primo, che tutti quelli che sapevano della premeditata uccisione della
moglie di Pinotto, cioè di Beatrice di Puglia, e vi acconsentirono,
in breve giro di tempo furono uccisi anche essi, e primo fu Pinotto;
secondo, Guido di Bibbianello (il quale porse occasione a Pinotto di
farlo uccidere, perchè volle dormire con lei; ma ella si ricusò di
consumare l'adulterio, non solo per non commettere una turpitudine,
ma anche perchè Pinotto e Guido erano fratelli consanguinei). Terzo,
fu un certo Martinello, che una notte la soffocò con un piumino in
Correggio. Il secondo giudizio è che quel Martinello, uccisore della
moglie di Pinotto per mandato avutone da Pinotto stesso, ebbe poi anche
mano nella uccisione di Pinotto; e Martinello poi, ferito all'assedio
di Moncaulo[112], tornato a casa morì per non aver saputo guardarsi
dalla propria moglie. Terzo giudizio di Dio e miracoloso si è che se
per caso gli uccisori di Pinotto fossero state persone estranee alla
famiglia, i nipoti stessi, che lo hanno fatto uccidere, per l'onore
di casa loro e secondo l'uso e la vanità della gloria mondana, lo
avrebbero vendicato. Parimente, nel Venerdì precedente, il Consiglio
Municipale di Parma deliberò di compiere il castello di Navone,
presso Reggio, sulla pubblica strada, vicino alla borgata di Cadèo.
Lo stesso anno, ai 16 di Giugno, quelli di Gesso andarono contro quei
di Querciola[113], coi quali erano federati e avevano fatto tregua,
volendo da loro trarre preda e prigioni, mentre i giorni precedenti ne
avevano ucciso parecchi, e avevano fatto bottino di animali, e condotti
via dei prigionieri. Essendo dunque, dopo aver fatta tregua con loro,
di nuovo contro di loro ritornati, con intenzione di predare, ai 16 di
Giugno, come è detto, arrivarono i militi Reggiani della città con a
capo Pocapenna di Canossa e si accamparono fra Gesso e Querciola, ma
non videro che le spalle de' nemici fuggenti, secondo quel detto....
Poichè i Reggiani stavano in armi contro loro da una parte, e quei
di Querciola dall'altra, e ne fecero centotrè prigionieri; e la più
parte furono condotti a Reggio legati ad una sola fune, e posti a ceppi
sotto buona guardia nelle carceri del Comune. Quei di Querciola però
se ne ritennero alcuni a risarcimento dei danni loro inferti da quei
di Gesso. (Querciola è una villa di Matteo Fogliani). Non vi fecero
però prigionieri che uomini assoldati, mentre i maggiorenti di Gesso
se ne stavano in casa protetti dal castello; i quali poi, udita la
cattura dei loro soldati, gridarono dicendo: _Guai a noi; perocchè non
fu tanta esultanza ieri e ieri l'altro: Guai a noi! chi ne libererà
dalle mani di cotesti sublimi Dei_, (Re 1º). La sera susseguente quelli
di Reggio innalzarono una fiaccola ardente sulla vetta della torre
del Comune a segno di contento e di letizia per allegrare l'animo de'
loro amici, che erano in Bibbianello e ne' castelli vicini; i quali
fecero altrettanto innalzando fiaccole accese, come fanno i contadini
in tempo di quaresima, quando fanno illuminazione alle loro casette e
capanne. Così pure fecero quelli della plebana di Caviano alzando una
fiaccola accesa sulla punta del loro campanile. All'indomani Monaco di
Bibbianello mandò gente d'armi a bruciare le case che erano attorno a
Canossa[114] per vendicare l'incendio della villa di Caviano, operato
da quei di Gesso. Tre giorni dopo, cioè la festa di S. Gervaso e
Protaso, corsero i Reggiani sopra il castello di Mozzadella[115] e
distrussero le case, e tagliarono le vigne, che vi erano attorno; e
con loro vi erano quelli di Bibbianello, delle Quattro Castella, di
Bibbiano e di Caviano, e fu fatto un gran guasto di vigne. Ma quelli
del castello di Gesso ferirono molti degli assalitori cogli archi e
colle saette, e lo stesso giorno i Reggiani se ne tornarono a casa,
a numero completo, intatti; i feriti furono di quelli delle Quattro
Castella e di altre ville. Nel detto anno, l'ultimo di Giugno, que'
di Sassuolo, licenziati da quelli di Modena, che li accompagnarono
sino ai confini, ritornarono alla loro città, e ritornarono in pace e
coll'annuenza dei Modenesi della città; e morì il Vescovo di Modena,
che era di Milano, e si chiamava Ardicione, già vecchio e carico
d'anni; e vi fu in Modena viva agitazione, che durò parecchi giorni
per l'elezione di un nuovo Vescovo. Finalmente fu eletto frate Filippo
Boschetti di Modena, che era de' Minori. Dal partito contrario ne fu
parimente eletto uno, cioè Guido de' Guidi Arciprete di Cittanova,
dotto nel diritto canonico, ma aveva la vista lesa, ed era fratello
di frate Bonifacio de' Guidi, anch'esso frate Minore. Finalmente la
vinse frate Filippo e fu consacrato Vescovo di Modena. E nota che a'
miei tempi molti frati Minori e Predicatori furono insigniti delle
Prelature Vescovili, ma più in grazia de' parentadi e de' consanguinei,
che in grazia dell'Ordine a cui appartenevano. Poichè i Canonici delle
Cattedrali e delle Chiese madri di ciascuna città non amano avere
a loro superiori dei Religiosi, benchè sappiano che splendono per
dottrina e per costumatezza, d'onde avviene che que' canonici temono
di essere rimproverati delle loro lascivie e carnalità..... E de'
frati Minori e Predicatori l'Abbate Gioachimo dice nell'esposizione
di Geremia: «Questi due Ordini semplici ed umili sorgeranno in mezzo
alla Chiesa, e allora aspramente sgrideranno e redarguiranno la
meretrice di Babilonia....» (Nota che per la meretrice di Babilonia
si può intendere ogni anima peccatrice). Di questi due Ordini disse
anche l'Abbate Gioachimo: «Mi pare che uno raccolga indifferentemente
ogni sorta grappoli, incorporando alla Chiesa chierici e laici; e che
l'altro scelga soltanto le primizie dei chierici». Ma di questo basti;
e la penna ripigli la narrazione dei fasti dei Reggiani, a cui ora
è rivolto specialmente il nostro intendimento, almeno per quanto ha
attinenza colla presente guerra, la quale nel sussegnato millesimo e
nel seguente, di molto scosse, turbò e afflisse la città di Reggio.
A questi giorni del sunnotato anno, cioè 1287, in Luglio, evasero
dal carcere del Comune di Reggio ventotto prigionieri; per cui fu
incarcerato Scalfino, figlio di Guido degli Indusiati, e sottoposto
a tormenti, perchè i Reggiani erano persuasi che avesse fatto avere
ai carcerati una lima per aiuto ad evadere. E, dopo altri tormenti,
posero sotto le piante de' piedi di lui un fornello con pruni accesi,
e con un manticello soffiavano perchè i pruni fossero più vivi e
ardenti a tormentare. E mentre stava ivi a sedere co' piedi sopra
il fuoco, fecero venire suo padre, perchè vedesse il figlio tra quel
martirio. Oltracciò Guido fu condannato in trecento lire della moneta
di Bologna, che pagata, lo lasciarono andare in libertà. A questi dì
alcuni ebbero pensiero di fare una tradigione del castello di Reggiolo
a danno della città di Reggio, e a beneficio di quei di Gesso, ma
la frode fu scoperta dai Reggiani la Dio mercè: _Il quale dissipa i
pensieri dei malvagi, che non possan compiere i disegni che avevano
cominciati_; e di quelli che erano alla custodia del castello di
Reggiolo, ne fuggirono dieci, che dovevano esserne i traditori. Però
dai Reggiani fu preso il nipote di Corrado di Canino da Palù, cioè
un figlio d'una sorella di lui, e si chiamava Corradino del Bondeno,
e fu più e più volte sottoposto a gravi tormenti. Poscia fu appeso
per le braccia al palazzo del Comune, poi mozzato del capo, tratto a
coda di cavallo a suggello di derisione, di vergogna e di obbrobrio
sempiterno, e finalmente bruciato. Dopo di che tutti i Canini, che
sono della famiglia dei Palù, furon posti al bando perpetuo del Comune
di Reggio con tutti i loro eredi. E noto che quei di Gesso, se veniva
lor fatto di avere in mano Reggiolo, speravano che Veronesi, Mantovani
e quei di Sesso accorressero, sorprendessero la città di Reggio, e ne
scacciassero l'altro partito che ora ne tiene la Signoria. E Corrado
Canino era designato Podestà di Reggio per tre anni. Ma l'iniquità
ha mentito a sè stessa, come era ben giusto, perchè due mesi prima
Corrado aveva fatto uccidere l'Arciprete Fagioli di Fornovo[116]
Parmense, ed un suo nipote (figlio di Alessandra sorella di Rolandino
di Canossa) che si chiamava Carotto, ed era fratello di Bonifacio, il
quale era balbuziente, che aveva cioè la lingua non sciolta. E mentre
aveva perpetrato tutti questi delitti, i Reggiani, a cui fu ingrato,
tolleravano che abitasse in Reggio nella chiesa di S. Nicolò, che è
del monastero delle Fontanelle[117] nell'agro Parmigiano, quantunque
Guglielmo Fogliani Vescovo di Reggio, e poscia i frati Gaudenti, se
la volessero in seguito appropriare. Si diceva che anche il Vescovo
di Parma avesse dato dugento lire a quei di Gesso, come aiuto ad
impadronirsi di Reggiolo, e che, quando quelli di Sassuolo furono
prosciolti dai Modenesi, mandò dugento uomini di cavalleria, e duecento
di fanteria in loro aiuto (ma siccome i Reggiani corsero prontamente
in aiuto de' Modenesi, quei quattrocento non poterono compiere il
loro disegno, perchè temevano che fosse loro impedita la ritirata
per Reggio) dei quali poi si valsero quelli di Gesso per mettere a
ruba e a fuoco Caviano, come abbiamo più sopra narrato. E sappi che
al principio di questa guerra quelli di Gesso furono audacissimi,
bruciando, distruggendo, catturando quelli del partito avverso. Ma poi
cominciarono ad accasciarsi, perchè i Reggiani ogni momento salivano
a loro con numerosa gente, e ne esportavano le biade, incendiando
le case, tagliando le vigne di Rolandino, che davano il vino della
vernaccia, e disertarono la vigna di Guido d'Albareto, e ne misero
la casa a fuoco. Questa casa aveva molti alloggi e più palchi; vi
era la loggia, la sala del palazzo, molte camere da letto, cucine,
stalle, cantine, forno, quartieri pe' militi di guardia, mulini e
parecchi nascondigli, e, tutto, la fiamma vorace annientò. Lo stesso
anno vi fu un immenso sviluppo di zanzare, al monte, nelle paludi e al
piano, dal principio di Luglio sino al giorno di S. Maria Maddalena;
ed erano molestissime per l'importunità e la punzecchiatura. E noto
che quest'anno ritardò di molto la maturazione delle biade, tanto che
gli agricoltori e i mietitori non si sbrigarono della raccolta che
verso S. Maria Maddalena, e quel che pe' Giudei fu annunziato come una
benedizione, cioè: _La trebbiatura delle messi toccherà la vendemmia, e
la vendemmia si sovrapporrà alla seminagione_, Levitico I, i cristiani
se lo attribuivano a castigo. Parimente nel detto anno il figlio del
Re d'Aragona, che era figlio[118] del fu Imperatore Federico II vinse
i francesi, che sotto Re Carlo avevano fatto le campagne di Puglia
e di Sicilia, e s'impossessò di tutto il Regno. Nello stesso anno
la grossa e bella campana del Comune di Parma si ruppe per imperizia
del campanaro a suonarla. Così pure lo stesso anno ebbero convegno in
Parma gli ambasciatori di Bologna, Modena, Reggio, Brescia, Piacenza
e Cremona per trattare e deliberare intorno ad una concordia e ad
una pace delle città Lombarde, affinchè ognuna potesse godere quiete
sicura e vivere tranquillamente, senza lasciarsi sopraffare da nemici
a cagione delle loro dissensioni.... Nello stesso anno fu celebrato a
Montpellier un Capitolo generale de' frati Minori, e fu creato Ministro
generale Matteo di Acquasparta, Toscano, della valle di Spoleto. Ed in
questo generale Capitolo non furono presi buoni provvedimenti, secondo
il modo di vedere degli Italiani e secondo la consuetudine degli altri
Capitoli generali. Fu ivi Vicario frate Pietro di Fallengaria[119],
che fu poi mandato lettore alla Corte, essendo maestro dottorato.
Similmente a questi giorni sorse un'infocata discordia nella Romagna
per ire di partiti; e nello stesso anno e mese, quattordici di quei
ribaldi che erano in Gesso si proposero di andar a spogliare il
convento dei frati Minori di Montefalcone. Il che saputosi da Giacomino
dei Panzeri e da Bonifacio di Canossa, fratello dell'Abbate di S.
Prospero di Reggio, li minacciarono, e per timore se ne rattennero e
decamparono dalla loro stoltezza. Parimente nello stesso anno, e in
quegli stessi giorni, i popolani di Bologna presero gravi deliberazioni
contro i loro Cavallieri, e contro tutti i nobili della città, cioè
che qualunque Cavalliere o nobile offendesse alcuno appartenente ad
una compagnia d'uomini del popolo, così se ne devastassero le ville,
le case di città e di campagna, i campi e le piante, che de' loro beni
non restasse pietra sopra pietra. Ed in queste punizioni incapparono
per primi i figli di Nicolò dei Bazelerii, che dal popolo furono
completamente in ogni loro cosa devastati. D'onde venne che tutti i
Cavallieri di Bologna, per l'impeto del popolo furente, già temono di
abitare in città; e, a guisa dei Francesi[120], dimorano nelle Ville
sui loro possedimenti; e perciò i popolani, che abitano in città,
a guisa dei Francesi anch'essi, possono chiamarsi borghesi. Ma i
popolani debbono temere che piova su loro l'ira di Dio, perchè operano
contro la divina Scrittura, che dice, Levitico 19.º: _Rendi giusto
giudizio al tuo prossimo ecc. non far vendetta e non serbare odio
a que' del tuo popolo_. Così per opera de' popolani e de' contadini
il mondo si distrugge, e si conserva per opera de' Cavallieri e dei
nobili. E Pateclo nel libro de' Tristi disse: _Et quando de sola fit
tomera ecc. Quando la suola diventa tomaio ecc._ E vuol significare
che ogni cosa diviene grave a sopportarsi, quando chi deve star di
sotto monta sopra. La qual cosa il Signore minaccia di fare anche
per punizione dei peccati, (Deuteronomio 28.º): _Il forestiere che
sarà nel mezzo di te sarà innalzato ben alto sopra di te ecc. e tutte
queste maledizioni verranno sopra di te ecc._ Ma poscia è da temere che
non avvenga il rovescio della medaglia, perchè in giorno di fortuna,
si mutano le corna della luna. Richiàmati a memoria l'esempio de'
beccai di Cremona, de' quali uno aveva un grosso cane, che tollerò
con pazienza molte molestie infertegli da un ringhioso bottolo d'un
altro beccaio; ma siccome quel cagnotto non voleva smettere il solito
disturbare, perciò fu sommerso e annegato in Po. E così sono molti a
questo mondo, che, se vivessero in pace, nessuno li toccherebbe; ma
andando studiatamente in cerca di brighe, le trovano poi... ma di ciò
basti e riparliamo dei Reggiani. A questi giorni dell'anno sunnotato,
cioè 1287, quelli di Gesso stretti da neccessità, perchè incalzati
da' nemici, si serrarono nella rocca, e subito arrivarono i Reggiani
della città coi loro alleati a cingerli d'assedio, e li tennero stretti
quasi quindici giorni. E allora vennero ambasciatori da Bologna e da
Parma per pacificare tra loro quei di Gesso assediati nella rocca, e
quelli di Reggio che li assediavano. E così col pretesto di trattare
la pace fu levato l'assedio e quelli di Gesso uscirono dalla rocca;
ma pace non si fece. Anzi quelli di Gesso operarono peggio di prima,
depredarono, distrussero le ville della diocesi di Reggio, fecero
prigionieri e li sottoposero a studiati e inconsueti tormenti per
indurli a riscattarsene per denaro. E coloro che tali cose facevano
erano assassini di Bergamo, di Milano, della Liguria, che quelli di
Gesso avevano assoldati.... E avendo una volta pigliato un poveretto,
che non aveva loro recato punto offesa, anzi avrebbe loro fatto
servigio, se avesse saputo come, lo legarono, lo trassero a Gesso, e
gli dissero: Imponi a te stesso la taglia: Che era quanto dire: Di'
tu quanto ne puoi dare. Ma avendo risposto che nulla poteva dare, gli
martellarono la bocca con un sasso, e gli caddero sei denti, ed un
settimo crollante stava per cadere. E altrettanto fecero a più altri.
Ad alcuni gettarono al collo una corda a nodo corsoio, e strinsero
tanto che gliene schizzarono fuori gli occhi dalle occhiaie posandosi
sulle guancie; ad altri legavano soltanto il pollice della mano destra,
o della sinistra, e li appendevano in modo che non toccassero terra;
altri ancora sospendevano legati per i testicoli; a chi stringevano
con fune soltanto il mignolo d'un piede, pel quale si sosteneva sospeso
tutto il corpo; a chi legavano le mani a tergo, e li facevano sedere,
e sotto i piedi mettevano un fornello di pruni accesi, che con un
soffietto facevano diventare più vivamente ardenti; a chi legavano
il pollice del piede destro con una funicella legata ad un dente, poi
lo punzecchiavano nella schiena perchè cavasse a se stesso il dente;
uno ne aveva legate le mani colle tibie presso alle calcagna (come
agli agnelli destinati vittime, o al macello) e così un giorno intero
senza mangiare e senza bere lo lasciavano sospeso ad una pertica; un
altro era sfregato con un legno durissimo agli stinchi, finchè se ne
vedevano scoperte le ossa; era insomma a vedere, e anche solo a udire,
una miseria e una pietà indicibile. E quando i maggiorenti di Gesso li
rimproveravano di fare quelle orribili crudeltà su uomini cristiani,
si irritavano quegli assassini, e li invitavano imperativamente a
ritirarsi, se non volevano essi stessi un simile trattamento. Quindi
per necessità, volere o non volere, permettevano quegli orrori. Molte
altre guise di tormenti escogitavano ed applicavano, che per brevità
non descrivo.... Entrarono dunque nella Bocchetta quei di Gesso il
1.º d'Agosto, giorno di S. Pietro in Vincoli, e vi stettero assediati
sino al giorno dei SS. Martiri Ippolito e Cassiano, giorno in cui ne
uscirono. Ed un giovine, che vi si trovava, disse a me che dentro vi
erano 300 uomini e 240 cavalli. Fuori poi all'ingiro per l'assedio
si noveravano 3000 uomini, computandovi i Reggiani e gli amici loro,
che in diversi gruppi erano collocati quà e là pei monti attorno alla
Rocchetta, come riserva. E se i Reggiani li avessero presi per fame
(e prenderli si poteva, se non l'avessero impedito i Parmigiani e
i Bolognesi coll'intromettersi pacieri) senza dubbio la guerra era
finita, perchè i capitali loro nemici erano chiusi nella Bocchetta,
e al di fuori i Reggiani avevano mangani e trabucchi, i cui urti gli
assediati non avrebbero potuto sostenere. La Rocchetta poi è ad un
miglio da Sassuolo, e a dieci miglia da Reggio. Questa è una valle
chiusa attorno da monti, nel cui mezzo sorge un monticolo, sul quale è
costrutta la rocchetta, che si chiama anche con altro nome Tiniberga
per la seguente ragione. Alcuni Bergamaschi dei maggiorenti della
città, per un omicidio da loro perpetrato, furono banditi dalla città
loro e cacciati a perpetuo confino, senza speranza di più rimpatriare.
Ed essendo andati a Reggio, chiesero al Comune di Reggio un luogo in
cui poter abitare sicuri. I Reggiani permisero loro di girare attorno
pel territorio Reggiano, e, ove trovassero un luogo non abitato
da altri e a loro opportuno, ivi erigessero una loro fortezza e vi
abitassero; e così costruirono la Rocchetta, che da loro fu denominata
Tiniberga. Questa ora appartiene a Bernardo da Gesso. In questi giorni
e nel susseguente millesimo i Bolognesi posero a confino molti dei
loro Cavalieri o li mandarono a dimora in varie città. E ciò fecero
i popolani, perchè cominciarono a dominare sopra i Cavallieri. E nota
che la divina Scrittura giudica pessima la signoria di certi ordini di
persone, come sarebbero le donne, i ragazzi, i servi, gli stolti, i
nemici, e le persone di bassa sfera, delle quali dice: _Nulla di più
aspro d'una persona d'umile condizione, quando sale ad alto grado_.
E Pateclo, nel libro dei Tristi, disse: _Et cativo homo podhesta de
terra_ ecc. D'ogni specie di queste Signorie cercane esempi più sopra.
In questi giorni Monaco di Bibbianello, che è di Canossa, catturò
Bernardo di Guglielmo, diacono della Chiesa di S. Antonino delle
Quattro Castella, che spontaneamente e prontamente, senza costrizione
di tormenti, come dicevano coloro che lo catturarono, confessò d'avere
avuto il proposito di tradire Bibbianello e darlo a quelli di Gesso.
E tosto gli segarono le canne della gola, e lo portarono in giro per
il castello, morto... nudo; poscia lo precipitarono giù dal castello
come un vile cadavere, e fu sepolto colla sola camicia nella Chiesa di
S. Antonino. Cantando io messa in Bibbianello il giorno di S. Giovanni
Battista, costui cantò alla messa il Vangelo; e lo stesso anno, il
giorno dopo la Decollazione di S. Giovanni Battista, giorno di Sabato,
fu scannato. Alla sorella di lui, di nome Berta, tagliarono la lingua,
e la espulsero dalle Quattro Castella con comando di non ritornarvi.
Essendochè attribuivano a lei, come anche alla concubina di lui, o
amante o meretrice che fosse, la colpa di rivelare certi colpevoli
segreti tra quelli di Gesso ed alcuni infami traditori delle Quattro
Castella. Questo diacono era vecchio ed aveva la sua concubina...
e finalmente non seppe e non volle confessarsi. Chi lo uccise si
chiama Martinello, un famigerato assassino malfattore, che Monaco di
Bibbianello teneva seco nella rocca. Parimente nell'anno precedente,
dagli assassini di Monaco di Bibbianello fu ucciso Peregrino arciprete
della Chiesa plebana di Caviano, a cui attribuivano la colpa di non
essere sincero partigiano di Monaco, e lo accagionavano di molte altre
cose non meritevoli di essere ricordate. E furono quattro quelli che
l'assassinarono: Raimondello, Giacopello, Acorto e Ferarello. Questi
quattro una sera cenarono con lui, e la notte mentre egli dormiva
nel proprio letto, colle spade l'uccisero, e lo bistrattarono così
brutalmente ed oscenamente che pareva un mostro orribile. Ma non fu
tarda la vendetta di Dio a raggiungere gli assassini di questo prete.
Non passò un anno che Raimondello restò morto da quei di Gesso; anche
Giacopello incappò nelle mani di quelli di Gesso, che gli schiantarono
due denti, e appena se la potè svignare. Acorto e Ferarello li colpì
Iddio ne' loro letti. Parimenti nel millesimo sussegnato, quando il
Podestà di Bologna e i cittadini Bolognesi trassero dalla clausura
quelli della Rocchetta, condussero secoloro a Bologna Rolandino di
Canossa, lo posero tra ceppi e sotto custodia per avere una malleverìa
che si farebbe la pace, e ve lo tennero a lungo; fecero altrettanto a
Bartolomeo dei Panzeri, una volta giudice, cittadino Reggiano, e al
Prevosto di Carpineti, che era figlio d'Alberto Fogliati e fratello
di F.... Così nello stesso anno tutti quelli dell'antico partito di
Federico Imperatore, che tanto tempo erano stati esuli dalle loro
città e girovaganti, mulinarono di impadronirsi di qualche città,
in cui abitare senza vergogna o senza tristezza, pronti a pigliarsi
vendetta de' loro nemici, se non volessero vivere in pace con loro.
Ed a ciò meditare li aveva indotti una necessità durissima, perchè...
cioè quelli che parteggiavano per la Chiesa in niun modo volevano
loro aprire le viscere della misericordia, accoglierli pacificamente
e riammetterli nelle loro città. Perciò macchinarono di tentare ciò
che abbiamo accennato più sopra; e Rolandino di Canossa con quelli
di Gesso aveva giurato a quelli di Sesso che per tutta sua vita
non entrerebbe in Reggio, se non vi entrasse di pieno accordo con
loro, come conveniva. Si adunarono dunque quelli dell'antico partito
imperiale, cioè di Cremona, di Parma, di Reggio, di Modena, di Bologna,
e tirarono seco quei di Gesso e di Sassuolo, e avevano in loro aiuto da
Verona e da Mantova cinquecento cavallieri, e duecento tedeschi. E ai
7 di Settembre, Sabbato, sull'ora del mattutino, Tomasino di Sassuolo,
con alcuni altri, entrò in Modena per l'alveo del canale, e per porta
Bazoaria, e cominciò a scorrazzare qua e là, e a dire gridando che
sua era la città e de' suoi Cavallieri, e vi piantò sue bandiere e sue
insegne: _Ma la iniquità mentì a se stessa_, la Dio mercè, _che dissipa
i propositi dei malvagi, sicchè non possono adempiere le cominciate
imprese_. Giobbe 5.º. Diffatto avevano già posto mano all'uccisione dei
fanciulli, la cui innocenza Iddio immantinente in due maniere vendicò:
primo, aprendo ai fanciulli le porte del paradiso, così che intanto che
da altri ricevevano la morte, da lui erano assunti alla vita del cielo;
secondo, non permettendo loro di impossessarsi della città, la quale
indubbiamente sarebbe stata occupata, se si fosse aperta la porta, non
potutasi così subito aprire, perchè era ferma in alto da una sbarra di
ferro. Non fu dunque abbastanza accorto Tomasino di Sassuolo, gridando
troppo presto: Nostra è la città, prima che fosse aperta la porta.
Così pure non erano ancora arrivati ad aiuto i duecento tedeschi, che
giunsero dopo; e i cinquecento che erano venuti da Verona e da Mantova
con altra moltitudine, aspettavano di fuori, volendo entrare in città
sol quando fosse libero il passo a chi era per entrare. Ma siccome
entrare non potevano, posero fuoco alla porta, affinchè bruciate le
imposte, fosse tolto ogni ostacolo. Ma anche allora incontrarono
due impedimenti: primo, che soffiava un vento gagliardo e loro
contrario, sicchè avventandosi le fiamme verso loro, li costringeva
ad allontanarsi; secondo, perchè la fornace di bragia che era
sull'ingresso dopo bruciate le porte, non permise loro di introdursi.
E gridando alcuni: Al fuoco, al fuoco, svegliarono i cittadini, che
dato di piglio alle armi, e combattendo virilmente, fiaccarono i
nemici, li respinsero, a punta di spada li fugarono, e li inseguirono
sino a Sassuolo... permisero loro di entrare... cominciarono a cercare
studiosamente i traditori. E presero Grassone de' Grassoni... e lo
impiccarono alla porta Bazoaria; e in quei giorni, nella suddetta
occasione, trentanove persone furono appese al patibolo, tra le quali,
come si diceva, alcune erano innocenti. Era allora Podestà di Modena
Bernardino di Ravenna, figlio di Guido da Polenta e di... da Fontana, e
di Samaritana Alberghetti di Faenza. In quel tempo Matteo da Correggio
andò a Modena, e nel palazzo del Comune, in pieno Consiglio, rimproverò
acremente il Podestà, dicendo: Di certo, Voi, o Podestà, addossate una
grave responsabilità a noi e a questa città; responsabilità, per cui ne
bisognerà tremare per tutta nostra vita, a cagione della precipitata
vendetta... che avete fatta.... Detto ciò, ognuno se ne tornò a casa
propria. Parimente nel detto anno, agli 8 di Settembre, giorno della
Natività della Beata vergine, verso l'ora di Vespro, quelli di Gesso,
in tempo di tregua pattuita con quelli di Bibbiano e delle Quattro
Castella, i quali avevano già spillato il denaro convenuto, ripiegarono
indietro e non attennero la fede data, ma s'avventarono sopra questi,
come ho visto io co' miei occhi, e rapirono e condussero via dai
pascoli dieci paia di buoi, una giovenca, quattro ragazzi, ed uccisero
un uomo. Ma quelli dello Quattro Castella, cioè di Bibbianello... A
questi giorni si celebrò un Capitolo provinciale per la provincia di
Bologna presso Ferrara, al quale intervenne anche il Ministro Generale
frate Matteo di Acquasparta. Era allora Ministro provinciale di Bologna
frate Bartolomeo di Bologna, riputatissimo maestro dottorato. E per
celebrare solennemente il detto Capitolo fece le spese il Marchese
d'Este, e ne onorò la mensa a pranzo. E la Marchesa sua moglie, che era
malata, morì; e come essa aveva vivamente desiderato, fu onorificamente
sepolta dai frati del Capitolo nel convento dei frati Minori. La sua
anima per la misericordia di Dio riposi in pace, perchè in vita e in
morte fece molti benefizii ai frati Minori. Parimente nello stesso
anno, in settembre, ai dieci, nell'ottava della Natività della beata
Vergine, morì a Parma Salvino Torriani di Milano, e fu sepolto al
convento de' frati Minori di Parma, nel sepolcreto dei frati. Volle
essere sepolto senza pompe funebri, e così fu fatto. Fu genero del
Conte di S. Bonifacio di Verona, che aveva moglie una figlia di lui.
Era straricco. Si confessò divotamente dai frati Minori. Aveva fatto
un bellissimo testamento, nel quale molto aveva legato per la sua anima
ai poveri di Cristo; specialmente ai frati Minori, ai Predicatori e ad
altri Religiosi sì di Milano che d'altri paesi. Ma Guido da Correggio
l'adulterò con abrasioni e mutamenti, e l'anima sua Iddio la depenni
dal libro della vita, se non restituisce quanto, a frode e a malizia,
ha tolto ai poveri di Cristo, perchè fece graffio alla volontà di
un buon uomo, che aveva steso un testamento bellissimo per la salute
dell'anima sua. E questo Guido da Correggio, cittadino di Parma, non
aveva con lui attinenze di parentela, era a lui estraneo affatto, anzi
nemico. E siccome dice Iddio che, chi si umilia sarà esaltato, perciò
quel Salvino, che si umiliò coi miti di cuore scegliendo... ora presso
la porta... nell'atrio dei Minori è tumulato il suo corpo in un ricco e
bellissimo mausoleo; e la sua anima per la misericordia di Dio riposi
in pace. Nel detto anno, in settembre, i Parmigiani cominciarono a
murare un ponte di pietra detto dei Salarii, sul torrente Parma, sino
alla via, che va a S. Cecilia; e murarono anche la porta di borgo
Sant'Egidio, che conduce a S. Lazzaro, che è sulla strada pubblica.
Similmente la porta del prato di S. Ercolano, per la quale si va al
borgo, che si chiama di Bologna. E a clausura della fossa vi fecero
un muro in testa, presso il naviglio e il molino, perchè le fosse più
a lungo tenessero l'acqua. E a questi giorni vi era in Parma ardente
discordia fra il Vescovo Obizzo Sanvitali e Guido da Correggio. Eglino
erano i due Capitani dei partiti, che erano in quel tempo nella città;
nè erano stati fatti Capitani dai cittadini di Parma, ossia eletti,
ma da sè stessi si erano arrogata la supremazia; e l'uno e l'altro
credeva di operare secondo ragione e a vantaggio della città. E le
persone d'allora, secondochè parteggiavano, parlavano anche, lodavano,
biasimavano chi l'uno, chi l'altro. Ma il beato Agostino dice che
poco è da curarsi dei giudizii degli uomini; e la ragione che ne
dà è questa; non ti può infamare un oltraggio, ne ti può coronare
una adulazione. Parimente nel sunnominato millesimo, la vigilia di
San Giovanni Battista... l'armata di Pietro... Re d'Aragona colò a
fondo, al di là di Napoli,[121] molte navi Francesi. E molti plebei,
ossia popolani, e Cavallieri, e nobili, e baroni, che erano reliquie
dell'esercito di Re Carlo, n'ebbero cavati gli occhi. E fu cosa
veramente degna e giusta... perocchè sono superbissimi stoltissimi, e
uomini quasi... maledetti, che sprezzano tutte le nazioni del mondo, e
specialmente gli Inglesi ed i Lombardi, e per Lombardi intendono tutti
gli Italiani e i Cisalpini, mentre son dessi che veramente meritano
di essere disprezzati, e che realmente li sono da tutti. Ai quali può
applicarsi a capello quel che per canzonatura dicesi di Trutanno:

  Dum Trutannus in _m_ pateram tenet et sedet ad _pir (sic)?_ Regem
  Capadocum — credit habero cocum.

  (Forse vuol dire) Quando Trutanno ha in _mano_ il bicchiere, e sta
  seduto _ad un buon fuoco_ si leva in tanta superbia da credere che
  il Re di Capadocia sia il suo cuoco.

Perocchè dopo aver ben bevuto i Francesi si danno da credere di poter
vincere e balloccarsi tra mano tutto il mondo. Ma s'ingannano....
I Francesi adunque portano altissima la cresta. E affliggevano i
regnicoli, i Toscani, i Lombardi, che dimoravano nel regno di Puglia,
e loro rapivano... gratuitamente, cioè senza pagare... frumento...
e carni, capponi, oche, galline, e quanto può servire a vittovaglia.
E non si limitavano a non pagare le derrate, o le grascie comperate,
ma per sopraccarico percuotevano e ferivano chi loro vendeva. Questo
eccesso si mostrò chiaro nel fatto che sono per narrare. Un Parmigiano
aveva una bellissima moglie, la quale domandando ad un Francese il
prezzo delle oche, che a lui aveva vendute, non solo egli si rifiutò
di dare il danaro patteggiato... ma per giunta la percosse con un
colpo tanto grave che non vi fu bisogno del secondo, e a scherno le
domandò se volesse null'altro da lui. Questa cosa seppe il marito, e
ne fremette sì.... Morì anche nel detto millesimo il Re dei Saraceni
di Tunisi; e, in odio di Re Carlo, elessero loro Re un figlio del
fu Pietro Re d'Aragona. Il quale accettò... ed assunse la Signoria
di loro. E questo Re d'Aragona era figlio d'una figlia di Manfredi,
Principe di Puglia, il quale poi era figlio del fu Federico Imperatore
spodestato...


  FINE DELLA CRONACA.


FRAMMENTI

DI UN LIBRO INTITOLATO _Il Prelato_

SCRITTO DA FRA SALIMBENE

AGGIUNTI ALLA CRONACA DELLO STESSO AUTORE


ALCUNI FRAMMENTI

  =Incomincia il libro, che ha per titolo= _Il Prelato_, =a cui fare
  mi porse occasione frate Elia: e contiene molte buone ed utili
  cose.=

Parimente nel suddetto millesimo, cioè 1238, indizione 11.ª io frate
Salimbene di Adamo, parmigiano, vestii l'abito dell'Ordine de' Minori,
il giorno 4 di Febbraio, festa di S. Gilberto, e fui ammesso la sera
della vigilia di S. Agata dal Ministro Generale frate Elia nel convento
di Parma, d'onde egli stava per muovere alla volta dell'Imperatore
in Cremona, mandatovi da Papa Gregorio IX; essendo che frate Elia era
intimo amico dell'uno e dell'altro, e perciò opportuno mediatore tra
loro. E in vero, secondochè dice il beato Gregorio «quando si manda
come oratore una persona che spiace a chi si manda, si sdegna l'animo
di chi la riceve e si volge al peggio». E, quando fui ricevuto, eravi
presente frate Gherardo da Modena, che pregò perchè fossi accolto,
e fu esaudito. Era allora Podestà di Parma Gherardo da Correggio,
detto dai Denti perchè aveva i denti grossi; e venne in persona al
convento dei frati Minori con alcuni Cavallieri per fare visita a
frate Elia Ministro Generale, il quale aveva stanza in quella parte
del convento ove è il refettorio degli ospiti o forestieri, e lo trovò
seduto accanto a buon fuoco, sopra un sedile coperto con un cuscino di
piume, e teneva in capo un cappello all'armena; e, come ho veduto io
co' miei occhi, quando entrò il podestà e lo salutò, egli nè si alzò
in piedi, nè si mosse punto. La qual cosa fu giudicata una grossolana
villania, poichè Iddio stesso dice nella divina Scrittura, Levitico
19.º: _Lèvati su davanti al canuto, ed onora l'aspetto del vecchio_.
Parimenti dice l'Ecclesiastico 3.º: _Quanto più sei collocato in
alto, tanto più in ogni cosa umiliati, e troverai grazia al cospetto
del Signore_. Anche l'Apostolo ai Romani 13.º dice: _Rendete adunque
a ciascuno il debito... l'onore a chi dovete onore_. E di nuovo
l'Ecclesiastico 41.º. Imperocchè non _è bene di arrossire per qualunque
cosa, e non tutte le cose ben fatte piacciono a tutti... Vergognati
di tacere con quelli che ti salutano_. Frate Elia però adempì un
altro luogo della scrittura, che dice, Proverbi 26.º: _Chi dà gloria
allo stolto fa come chi gittasse una pietra preziosa in una mora di
sassi._ Uno dei genitori di frate Elia, cioè il padre, era di Castello
dei Britti[122] nella diocesi di Bologna, e la madre di Assisi, e nel
secolo questo frate[123] aveva nome Bombarone, faceva il materassaio,
o insegnava in Assisi a leggere il Salterio ai ragazzi. Entrato
nell'Ordine de' Minori, ricevette il nome di Elia e diventò due volte
Ministro Generale. Godeva i favori dell'Imperatore e del Papa, ma
col tempo Iddio lo umiliò a seconda della sentenza: _Questo umilia,
quello esalta..._ non così accadde a frate Elia; anzi siccome non ebbe
riconoscenza pei favori ricevuti, fu destituito in modo che non fu mai
più riammesso nel suo grado; la qual cosa egli non aveva mai potuto
darsi a credere.... Questo poi avvenne nell'anno successivo, come
diremo, quando fu deposto da Papa Gregorio IX in un Capitolo generale;
e bene se lo meritò per le brutte colpe che aveva. E prima di tutto
parliamo della sua villania verso Gherardo da Correggio, che essendo
nobil uomo ed insignito di sublime dignità, poichè era Podestà di
Parma, ed essendosi recato a lui per fargli visita e rendergli onore,
egli avrebbe dovuto alzarsi in piedi per far onore anche a sè stesso.
Imperocchè l'onore non è solamente di colui, a cui si dispensa, ma
eziandio, e più, di colui che lo dispensa. Frate Elia non considerò
l'atto suo sotto questo aspetto, e quindi commise villania. Perciò
Pateclo di tali persone dice nel libro dei Tristi:

    Cativo hom podhesta de terra
    E povero superbo ki vol guerra.
    E senescalco kintrol desco me serra.
    E villan ki fi messo a cavallo.
    Et homo ke zeloso andar a ballo.
    E l'intronar de testa quando fallo.
    E aver hom ki in honor aventura
    E tutti quanti de solazo no cura.

Quel Gherardo da Correggio era alto di statura, di giuste proporzioni
di membra, tenea più del macilento che del pingue, Cavalliere robusto
e dotto nell'arte della guerra. Io lo ho veduto due volte Podestà
di Parma; la prima, quando entrai nell'Ordine; poi, quando la città
di Parma si ribellò al deposto Imperatore Federico II. Egli fu amico
intimo e speciale di mio fratello Guido di Adamo, frate dell'Ordine
de' Minori, ed era padre di Guido e di Matteo da Correggio, che tutti
e due ebbero l'onore di molte podesterie. Uno di loro, cioè Guido,
fu ardente guerriero e dotto nell'armi, ed ebbe moglie Mabilia di
Giberto da Gente, di cui generò figli e figlie. L'altro, cioè Matteo,
fu Cavalliere di senno, nè ebbe figli, tranne uno illeggittimo. Quando
io entrai nell'Ordine dei frati Minori, Tancredi Pallavicino, Abbate
del convento di S. Giovanni di Parma, uomo di cortesia e liberalità
distinta, di onorata fama e di vita onesta e santa, mandò a frate Elia
Ministro Generale, perchè avesse da imbandire la cena per sè e pei
frati, un regalo di capponi, portati da un contadino penzoloni, davanti
e di dietro, da una pertica che aveva sulle spalle. Era un Giovedì,
ed era presente il Podestà ed io pure in abito ancora da secolare,
e vidi tutto questo, e la sera dopo cena fui ammesso all'Ordine. Io
aveva già lautamente pranzato in casa mia; eppure i frati mi condussero
nell'infermeria e mi vollero servire un'ottima cena. Ma in seguito mi
alimentarono di cavoli per tutta vita mia, quantunque da secolare io
non avessi mai mangiato cavoli, anzi mi movevano tanta ripugnanza, che
non avrei nemmeno mangiate carni che fossero state cotte con cavoli; e
in seguito ebbi poi sempre in mente il detto tante volte ripetuto:

    Milvus ait pullo.
    Dum portaretur ab illo:
    Cum pi pi faris,
    Non te tenet ungula talis.

    Ad un pulcin, che seco a voi traea
    Stretto tra l'ugne, uno sparvier dicea:
    Il pipilar che fai spettra ogni cosa,
    Ma l'ugna che ti tien non è pietosa.

E Giobbe 6.º dice: _Le cose che l'anima mia avrebbe ricusato pur di
toccare, sono ora i miei dolorosi cibi_. Inoltre frate Elia aveva
il costume di parlare parabolicamente; ed una volta, interrogato da
Gherardo Podestà di Parma, ove andasse ed a che fare, rispose: Il Papa,
che mi ha incaricato di questa missione, è per me contemporaneamente
una forza di attrazione e di repulsione. Quasi volesse dire che passava
da un amico ad un altro amico, e questa maniera di esprimersi fu
giudicata dagli uditori ingegnosissima.... La seconda colpa di Elia fu
di aver ricevuto nell'Ordine molte persone inutili. Io abitai due anni
nel convento di Siena e vi trovai venticinque frati laici: ne abitai
quattro in quello di Pisa, e ve n'erano trenta. E forse per molte
ragioni Iddio permise queste ammissioni.... La quarta ragione si è
che Dio lo aveva rivelato all'Abbate Gioachino. Onde, parlando egli di
due Ordini futuri, dice: «Parmi vedere che l'Ordine de' Minori accolga
senza distinzione ogni sorta di frutti della terra, e incorporerà nella
Chiesa chierici e laici; e l'altro dia precipuamente la preferenza ai
chierici». Se poi vi sia alcuno che voglia sapere qual colpa vi fu da
parte di frate Elia nel ricevere i laici nell'Ordine, se lo fece perchè
Iddio aveva così decretato, rispondo che:

    Quidquid agant homines, —
    intentio judicat omnes

    Null'opra in colpa all'uom giammai s'appone,
    Se fatta sia con buona intenzione.

La passione di Cristo fu certamente cosa buona, anzi ottima, perchè per
essa noi siamo stati redenti e siamo salvi; ma fu cattiva pei Giudei,
i quali lo fecero patire, e poi non vollero credere in Cristo, che
aveva patito. Così, se frate Elia riceveva nell'Ordine una moltitudine
di laici per poter meglio con loro padroneggiare, o per averne le mani
piene di denaro da loro contribuito, io sostengo che appunto per questo
era veramente meritevole d'essere deposto. Perciò dice la sapienza
nei Proverbi 17.º: _L'empio prende il presente dal seno per pervertire
le vie del giudizio_. Egli se lo saprà. Terza colpa di frate Elia fu
il promuovere uomini indegni alle Prelature dell'Ordine. A Guardiani,
Custodi, Ministri promoveva dei laici, il che era fuor d'ogni ragione,
non mancando nell'Ordine buona messe di chierici. Ed io a' miei giorni
ho avuto per Custode un laico, e laici parecchi Guardiani. Non ho
mai avuto un laico per Ministro, ma ne ho veduto parecchi in altre
provincie. Nè è da meravigliare se li nominava, perchè l'Ecclesiastico
nel 13.º dice: _Tutte le bestie fan società colle loro simili, così
ogni uomo si unirà col suo simile_. Che se alcuno obbietti l'articolo
della nostra Regola che dice: _I Ministri stessi, se sono preti_ ecc.
io gli farò osservare che il citato articolo fu inserito per quel
tempo in cui l'Ordine scarseggiava di Sacerdoti e d'uomini di nome e
di lettere, quali ora abbiamo, e quali vi furono ai tempi di frate
Elia. Quarta colpa di frate Elia fu non aver dato all'Ordine leggi
generali tendenti a conservare la Regola e a servire di norma per il
regime uniforme dell'Ordine stesso. Nè leggi generali di tale natura
furono mai emanate, durante il governo di tre Ministri Generali, cioè
del beato Francesco, di Giovanni Parenti e di Elia, che due volte,
a nostro danno, fu Ministro. Imperocchè sotto il suo governo molti
frati laici in Toscana portavano la chierica, come ho veduto co' miei
occhi, quantunque non conoscessero nemmeno una lettera dell'alfabeto;
alcuni dimoravano in città, accanto alle Chiese dei frati, chiusi in
romitaggi, ma che avevano finestre, per cui mezzo tenevano colloquii
colle donne; e i laici non erano utili nè a confessare, nè a dare
buoni consigli. E questo l'ho veduto a Pistoia ed altrove. Così pure
alcuni se ne stavano soli, cioè senza compagno, negli ospedali; e
questo l'ho veduto a Siena, dove un frate Martino Spagnuolo, laico,
vecchio e di bassa statura, serviva ai malati nell'ospedale, e tutto il
giorno, quando gli piaceva, se ne andava da solo gironi per la città;
ed altri li ho veduti in tal modo girare il mondo. Ho veduto anche
chi portava sempre la barba lunga, a uso degli armeni e dei greci, che
lasciano crescere la barba senza mai raderla, nè avevano il cingolo.
Altri si cingevano di una corda comune, con entro un'anima intorno
alla quale i fili erano in vaghe e varie guise attorcigliati; e beato
chi se la poteva comprare più bella. Sarebbe troppo lungo il noverare
tante altre cose da me osservate, che erano ben lungi dal conferire
onestà al vestiario. I laici erano fin anche mandati ai Capitoli per
rappresentare i voti dei semplici fraticelli; e tanti altri laici, a
cui per grado non spettava, a torme popolavano i Capitoli. Ed io, in un
Capitolo provinciale convocato a Siena, ho visto ben trecento frati, la
più parte laici, che ivi null'altro facevano che mangiare e dormire. E
nella provincia di Toscana, quando io vi dimorava, che di tre provincie
fu unita in una sola, erano tanti i laici, quanti i chierici, anzi di
laici ve ne erano quattro di più. Ah! Elia, Elia! _tu hai moltiplicato
la gente, ma non hai accresciuta l'allegrezza_, Isaia 9.º. Anderei
troppo per le lunghe s'io volessi sciorinare tutte le grossolanità e
gli abusi, che ho veduto, e forse me ne verrebbe meno il tempo e la
carta, e annoierei i lettori senza alcun loro insegnamento. Se qualche
frate laico vedeva od udiva un frate ancor giovinetto parlare latino,
ne lo rimprocciava dicendogli: Ah! meschinello, vuoi tu abbandonare la
santa semplicità per far pompa del tuo sapere? Ai quali di ripicco io
rispondeva: «La santa semplicità giova solo a sè stessa, e quanto per
merito di vita è utile a edificazione della congregazione dei fedeli,
altrettanto è nociva se non sa confutare i nemici della Chiesa».
È vero che chi è asino vorrebbe che ogni cosa fosse dell'asino,
secondo che fu scritto.... A quei tempi si arrivò al punto che i
laici precedevano i sacerdoti; e in qualche romitorio, ove tutti,
tranne un sacerdote e uno scolare, erano laici, volevano che anche
il sacerdote, il giorno che gli toccasse, facesse da cucina. Ed una
volta accadde che il sacerdote fosse cuciniere in giorno di domenica,
ed entrato in cucina e sbarrato bene l'uscio, cominciasse, come meglio
sapeva, a cuocere gli ortaggi. Ma passarono alcuni Francesi secolari,
che con insistenza domandavano una messa, nè vi era chi la dicesse.
Corsero perciò in fretta i laici alla porta della cucina e bussarono
perchè il sacerdote uscisse a dire la messa. Ma egli rispose: Andate,
andate voi a cantare la messa, chè io faccio in cucina quel servizio
che non volete far voi. Di che arrossirono grandemente e riconobbero
la loro nullaggine. Ed era veramente una miseranda stoltezza non
mostrare reverenza a quel sacerdote, che doveva poi essere giudice
delle loro coscienze. Perciò in processo di tempo sono stati ridotti
a pochissimi, ed ora la loro ammissione è quasi al tutto proibita,
perchè non ebbero nessuna riconoscenza per l'onore loro conferito, e
perchè l'Ordine dei Minori non ha bisogno di tanta caterva di laici...
che sempre tendevano insidie a noi. Ed io ricordo che in un Capitolo,
tenutosi nel convento di Pisa, fu proposto di deliberare che quando
si ammetteva un chierico si ammettesse contemporaneamente anche un
laico; ma la proposta nè fu deliberata, nè ammessa alla discussione;
chè sarebbe stata gravissima sconvenienza. Tuttavia quando entrai
nell'Ordine dei Minori vi trovai molti uomini insigni per santità,
per coltura letteraria e per ispirito di preghiera, di devozione e di
contemplazione. E questo soltanto di buono ebbe frate Elia che promosse
nell'Ordine dei Minori gli studi teologici. L'Ordine, quando io vi
entrai, era stato fondato da trent'anni, e vidi il frate, che primo
si era associato al beato Francesco, ed altri di que' primi. A Parma
lasciai lettore di teologia frate Sansone, Inglese; ed a Fano, quando
vi fui novizzo della Provincia d'Ancona, al cui governo sedevano due
Ministri, ebbi lettore frate Umile di Milano. Ora che scrivo corre
l'anno 1283, dopo la Natività della Vergine gloriosa, giorno di San
Gorgone martire, e sta al governo della Chiesa Romana Papa Martino
IV... la qual cosa accadde l'anno seguente quando fu deposto frate
Elia, e fu scritta una lunga serie di costituzioni. Quinta colpa di
frate Elia fu di non aver mai voluto visitare il nostro Ordine; ma
dimorava sempre o ad Assisi, o in un luogo che si era fatto fabbricare
elegantissimo, ameno e deliziosissimo nella diocesi d'Arezzo, luogo
che si chiama anche oggidì Cella di Cortona.... Sesta colpa di frate
Elia fu di tormentare e gettare il vilipendio sui Ministri provinciali
sino a che si riscattassero dalle sue persecuzioni, o spillando a
lui danaro, o inviando regali. E quell'infelice accettava regali
contro quel che dice la Scrittura nel Deuteronomio 16.º: _Non aver
riguardo alla persona, e non prender presenti; perciocchè il presente
accieca gli occhi de' savi, e sovverte le parole de' giusti_. E ne
diede esempio Alberto Balzolano giudice di Faenza, che cambiò la sua
sentenza dopo che ebbe saputo che un contadino gli aveva regalato
un maiale.... Di più il sunnominato Elia teneva tanto a bacchetta
i Ministri provinciali, che tremavano al suo cospetto, come giunchi
scossi dalla corrente, o come allodola inseguita dallo sparviere, che
vola a ghermirla. Nè è da farne le meraviglie; chè egli era figlio
di Belial, e nessuno gli poteva parlare. Infatti nessuno osava dire a
lui la verità, redarguendo i fatti di lui e le male opere, tranne che
frate Agostino di Recanati e frate Bonavventura di Iseo. Con facilità
vilipendeva i Ministri che erano calunniati da suoi cagnotti, certi
frati laici maligni, intrattabili e pieni di veleno, che erano sparsi
per le Provincie dell'Ordine.... Li deponeva dall'ufficio loro anche
innocenti, li privava di libri, li sospendeva dalla predicazione e
dalla confessione e da ogni atto del loro legittimo ministero. Inoltre
dava loro un lungo cappuccio e li mandava dall'oriente all'occidente,
cioè dalla Sicilia o dalla Puglia in Ispagna o in Inghilterra, o
viceversa. Così depose dall'ufficio frate Alberto Parmigiano, Ministro
provinciale di Bologna, uomo santissimo, e per lettera, comandò a
frate Gherardo da Modena di surrogare il Ministro deposto, e condurlo
ad Assisi col cappuccio della probazione. Ma frate Gherardo, che era
uomo mitissimo, nulla disse di tanto a quel Ministro; solamente lo
pregò di seguirlo perchè lo voleva accompagnare a visitar la sede del
beato padre Francesco. Andarono dunque ambedue vestiti ad un modo
sino ad Assisi, e quando frate Gherardo fu all'anticamera di frate
Elia tirò fuori due capparoni di probazione, e ne indossò egli uno, e
l'altro lo diede al predetto Ministro di Bologna e disse: Mettitelo, o
padre, e aspetta qui sino a che io ritorni. Presentatosi intanto frate
Gherardo ad Elia, e prostratosi a piedi di lui, disse: Ho obbedito a
voi, ed ho condotto qui il Ministro di Bologna in capparone; ed è quì
fuori che attende, pronto a fare ciò che a voi piacerà di comandare.
All'udir queste parole, si dissipò ad Elia ogni nebbia di sdegno che
gli ingombrava l'animo, e si calmò quel suo spirito gonfio contro
di lui.... Introdotto poi frate Alberto, gli restituì il grado, di
cui l'aveva spogliato, e per giunta gli fece, mercè frate Gherardo,
molte concessioni a favore della Provincia. Per questa dunque e per
altre simili cose del pessimo che era frate Elia, covavano nell'animo
de' Ministri provinciali molti propositi di vendette. Ma aspettavano
tempo ed opportunità di poter _rispondere allo stesso secondo la sua
follia: chè talora non gli paresse d'esser savio_. Proverbi 26.º....
Era infatti Elia un pessimo, a cui possono benissimo applicarsi le cose
dette da Daniele a proposito di Nabuccodonosor: Egli uccideva chi egli
voleva, ed altresì lasciava in vita chi egli voleva; egli innalzava
chi gli piaceva ed altresì abbassava chi gli piaceva. Come anche paion
fatti a posta per lui que' versi che citai più sopra:

    Asperius nihil est humili, cum surgit in altum

    Nulla di più aspro d'una persona di umile condizione
    quando sale ad alto grado.

Era durissimo il vivere sotto il suo governo.... Le tre mentovate
cose si facevano coi Ministri provinciali ai tempi di frate Elia; si
calunniavano; violenti giudizii sopra di loro cadevano; e si pervertiva
nelle loro Provincie il senso della giustizia... La terza colpa è
manifesta, perchè come ho veduto io co' miei occhi, Elia metteva a
stanza in ogni Provincia un visitatore, che vi rimaneva tutto l'anno,
e girava attorno per la Provincia stessa come ne fosse stato Ministro,
e soggiornava col suo compagno in ogni convento quindici giorni, ed
anche un mese, or più, or meno, a suo grado. E le Provincie erano
meno estese d'oggi; e chiunque aveva il ticchio di accusare il suo
Ministro potevalo fare, chè egli davagli retta; e qual fosse cosa che
un Ministro avesse ordinato nella propria Provincia, il visitatore
potevala abrogare, o mutare, aggiungendovi o sopprimendone a suo
talento. Onde avveniva che _il cuore de' figli degli uomini si empiva
di malizia e di disprezzo in sua vita._ Ecclesiastico 9.º. Tuttavia i
Ministri buoni perseveravano in loro virtù, seguendo il detto.... Ma
Elia mandava visitatori, che erano piuttosto esattori che correttori
dei costumi, e sollecitavano Provincie e Ministri a pagare tributi e
mandare regali e, _se alcuno non dava loro nulla in bocca, bandivano
contro a lui la guerra._ Michea 3.º. Di che avvenne che i Ministri
provinciali del suo tempo fecero gettare a loro spese, in Assisi, per
la chiesa del beato Francesco, una grossa campana, bella e sonora,
da me veduta, ed altre cinque simili a quella, onde tutta la vallata
echeggiava di dilettevolissima armonia. Così anche, quando io, durante
il mio noviziato, dimorava a Fano, arrivarono due frati che portavano a
schiena d'asino un grosso pesce salato avvolto in istuoie, ed io l'ho
veduto, che era un regalo del Ministro d'Ungheria a frate Elia....
Parimente in quel tempo per sollecitazioni del Ministro della stessa
Provincia, il Re d'Ungheria mandò un'ampia tazza d'oro ad Assisi per
teca e ad onore del capo del beato Francesco. Ma lungo il viaggio,
essendo una sera stata deposta a custodirla nella sacristia del
convento di Siena, alcuni frati, per leggerezza d'animo, e per certa
loro vanità, con quella bevettero del più generoso che avevano, per
potersi vantare d'aver bevuto in una coppa del Re d'Ungheria. Ma
il Guardiano del convento di Siena di nome Giovannetto, e di patria
d'Assisi, zelantissimo della giustizia e della onestà, risaputo il
fatto, ordinò al refettoriere, anch'esso di nome Giovannetto, e nativo
di Belfort, di porre, al pranzo del dì seguente, davanti a ciascuno
di quelli, che avevano bevuto con quella coppa, una piccola olla
nera e tinta, di quelle che volgarmente si chiamano pignatte, colla
quale, volere o non volere, furono costretti a bevere, affinchè quando
venisse loro il prurito di vantarsi d'aver bevuto con una tazza del
Re d'Ungheria, tornasse loro a memoria che per quella colpa avevano
poi dovuto bere in una pignatta sporca.... Finalmente l'Ordine de'
frati Minori mosse reclami a Papa Gregorio IX, contro le moltiplici
vessazioni del pessimo Ministro Generale frate Elia; ed il Papa porse
ascolto alle grida dell'Ordine del Beato Francesco, e depose quel
pessimo di Elia.... i Ministri e i Custodi dell'Ordine per ispirazione
divina elessero Ministro Generale dell'Ordine quel buon uomo di Alberto
da Pisa, ed il Papa stesso raffermò la elezione, affinchè la fosse
più presto finita, e tosto s'accordarono secondo la sentenza.......
E avverti che dice: _I figli di Giuda e i figli d'Israele_, perchè
nell'Ordine dei frati Minori si debbino adunare in uno solo e generale
Capitolo i Cisalpini e i Transalpini e nominare senza intrighi, e
senza scissure, uno solo e comune Ministro Generale... Tanto accadde
al pessimo Ministro Elia, cui Papa Gregorio IX depose dall'Ufficio,
come quello che spegneva la vitalità dell'Ordine del beato Francesco, e
voleva tenersene il governo contro il placito de' Ministri provinciali
e dei Custodi, a cui, secondo la Regola, spetta l'elezione. E qui è
da avvisare che il frequente cambiar di Prelati giova per tre ragioni
alla conservazione delle congregazioni religiose. La prima è, perchè
non diventino insolenti, restando a lungo al governo, come si verifica
negli Abbati dell'Ordine di San Benedetto, i quali eleggendosi a
vita, e non essendo mai sostituiti, vilipendono i loro dipendenti e li
stimano quanto la quinta rota del carro» che non esiste; e gli Abbati
coi secolari mangiano buone carni, mentre i monachelli nel refettorio
vivono di legumi; e arrecano ai loro soggetti tanti altri disagi, e
usano tanti sgarbi, che non dovrebbero farsi, mentre essi vogliono
vivere lautamente e colla più ampia libertà........ Di cortesia ne
hai uno splendido esempio in un Re d'Inghilterra, che trovandosi in un
bosco coi suoi soldati accanto ad una sorgente, e, volendo pranzare,
gli fu porto uno di que' vasi da vino che in Toscana si chiamano
fiasconi e in Lombardia bottacci; ed avendo chiesto se vi fosse altro
vino, ed avutone in risposta che no, disse: Ve ne sarà a sufficienza
per tutti; e versò dentro la vasca dell'acqua il vino del fiascone,
dicendo: Questa sarà bevanda comune per noi tutti. E fu giudicata
somma cortesia.... Così non fanno que' Prelati che pranzando alla
mensa comune co' loro dipendenti, sotto i loro occhi mangiano pane
bianchissimo, e bevono vino generoso e squisitissimo senza farne loro
minima parte, la qual cosa è tenuta come assai villana; e così pure
fanno d'ogni altra cosa servita.... E così vi sono Prelati che bevono
vino ottimo sotto gli occhi de' loro soggetti senza loro offrirne; e
sì che ne berrebbero tanto volontieri quanto i superiori loro, giacchè
tutte le gole sono sorelle. Certamente que' cotali non sono Inglesi,
i quali al contrario usano dire: Voi dovete bere tanto, quanto ho
bevuto io...... e gli Inglesi credono usare cortesia, perchè bevono
volontieri, e altrettanto volontieri offrono da bere agli altri. Ma
i Prelati de' nostri tempi, che sono Lombardi, avidamente cercano per
sè quello che la gola appetisce, e agli altri non vogliono darne; la
qual cosa è il colmo della scortesia...... Dunque i Prelati, secondo
l'esempio di Cristo hanno da servire i loro dipendenti. Il che a
ragione si usa nell'Ordine di Pietro il peccatore a Ravenna, nel quale
nei giorni di digiuno i Prelati servono la colazione ai loro soggetti
a imitazione e memoria dell'esempio di Cristo..... Colui che presiede
all'Ordine di Pietro il peccatore sta a Ravenna in S. Maria in Porto;
e allo stesso Ordine appartiene anche Santa Fenicola nella diocesi
di Parma, come pure molti altri conventi in più parti del mondo.....
Secondo, per uso di lingua, come fanno i Pugliesi, i Siciliani ed
i Romani, che danno del Tu all'Imperatore e al Sommo Pontefice, e
tuttavia gli danno anche del signore, e dicono: Tu Messere. Terzo
per ragione di età; poichè può convenire benissimo che si dia del Tu
ad un garzoncello, che è fanciullo ancora giovinetto; ma i Lombardi
danno del Voi non solamente ad un fanciullo solo, ma anche ad una sola
gallina, ad un solo merlo, e fin anche ad un sol pezzo di legno..... Di
S. Nicolò fu detto che in tutto e per tutto serbava sempre la stessa
umiltà e gravità di costumi; il che è veramente singolare, stantechè
gli onori sogliono far mutare tenore di vita. Onde Pateclo nel libro
de' _Tristi_ disse:

    Si me noia homo, ki desdigna
    L'altra gente, per onor ke l'infia

Di S. Tomaso Arcivescovo di Cantorbery sta bene sapere che divenne
tutt'altr'uomo da quel di prima dopochè fu fatto suo malgrado
Arcivescovo; e si macerò le carni con cilicio e digiuni. Difatto
non solo indossava per camicia un cilizio, ma di cilizio vestiva
anche le coscie sino alle ginocchia. Occultava poi la sua santità
tanto studiosamente, che, salve sempre le esigenze della onestà,
sia nel decoro degli abiti, sia in ogni altra cosa che è d'uso
comune della vita, non discordava dalle foggie dell'uso generale.
Ogni giorno ginocchioni faceva l'abluzione ai piedi di tredici
poverelli, serviva loro una refezione, e, date loro quattro monete
d'argento, li licenziava..... Questo si può applicare a Re Artaldo,
che credeva di poter porre limiti alla libertà della Chiesa, come è
detto nella leggenda. Ma il Re tentava di piegarlo al suo volere, a
danno della Chiesa, pretendendo che confermasse le consuetudini de'
suoi predecessori contro la libertà della Chiesa. Ma il beato Tomaso
queste cose non lasciò correre, e perciò n'ebbe il martirio....
Nell'Ordine dei Minori io ho avuto Ministro un frate Aldobrando del
castello di Fiagnano[124] nella diocesi di Imola, del quale, frate
Albertino da Verona (Autore del sermone «Forse la memoria») scherzando
diceva che aveva avuto qualche brutta idea contro Dio. Aveva egli un
capo deforme, fatto a foggia dell'elmo degli antichi, e aveva molti
peli sulla fronte. E quando nell'ottava dell'Epifania gli toccava
d'intonare l'antifona _Caput draconis (la testa del dragone)_ i frati
si mettevano a ridere ed egli se ne conturbava ed arrossiva: A me poi
tornava sempre a mente quel detto di Seneca: _Qual anima pensi tu che
viva dentro di chi ha un faccia tanto brutta?_..... E questo accadde
a Guglielmo Fogliani, che fu eletto Vescovo di Reggio quando in mezzo
alle discordie cittadine fu eletto anche Guizzolo degli Albiconi, e
l'anno 1253 gli fu necessità rifugiarsi a Mantova, a cagione delle
contese tra il partito imperiale e il partito della Chiesa. Altrettanto
capitò a Matteo di Pio Canonico della chiesa di Modena e Prevosto della
chiesa di Ganaceto[125], che tanto armeggiò per diventare Vescovo di
Modena, e vi riuscì; eppure era un gobbo sconciamente curvo. E per
cagione di lui si sollevarono i partiti; e la fazione imperiale, a cui
egli apparteneva, fu espulsa da Modena, e andò esulando, come la ho
veduta io, per le Romagne, a Ravenna, a Faenza, a Forlì, quando ardeva
più infuocata la guerra...... così nel mio Ordine, che è quello del
beato Francesco e de' frati Minori, ho conosciuto alcuni lettori molto
dotti e santi, che pur tuttavia avevano certe debolezze, per cui altri
li giudicavano teste leggere. Imperocchè si balloccavano volontieri
col gatto, o col cagnolino, o con qualche uccelletto; ma non a modo del
beato Francesco che pure si trastullava con un fagiano, o una cicala,
e si dilettava nel Signore..... Sappi che nel pontificale di Ravenna
ho letto molte volte che un Arcivescovo di Ravenna era diventato tanto
vecchio da essere rimbambinito, e parlava come un bimbo. Ed essendo per
arrivare a Ravenna l'Imperatore Carlo Magno, e dovendo l'Arcivescovo
pranzare con lui, i preti della curia lo pregarono che per mostrarsi
ben educato e dare buon concetto di sè si guardasse dal fare e dal dire
insulsaggini. Ed egli rispose: Dite bene, figlioli miei, dite bene; ed
io me ne guarderò. Ma sedendo poi a tavola, a fianco dell'Imperatore,
l'Arcivescovo battè colla mano alla dimestica sulla spalla
dell'Imperatore, dicendogli: Pappa, pappa, Imperatore. E domandando
l'Imperatore ai presenti che cosa dicesse, gli risposero che per
vecchiaia rifatto bambino, lo invitava con quel parlare da fanciullo a
mangiare. Allora l'Imperatore con volto giulivo lo abbracciò, dicendo:
Ecco tu sei un vero Israelita senza malizia.... E noi vediamo che a
nostri giorni in Italia le città, cambiano i Capitani e i Podestà loro
due volte all'anno, e amministrano a rigore la giustizia, e il loro
governo è buono. Essendochè quando li insediano giurano di osservare
gli statuti dettati dai savii della città, a cui arrivano. Inoltre
hanno a fianco giudici e savii, che si regolano a norma de' loro
maggiori e governano a seconda de' loro consigli..... La settima colpa
di frate Elia fu lo scialarsela in una vita sfoggiata di splendore,
di delizie e di fasto. Di rado andava altrove che alla Corte di Papa
Gregorio IX o di Federico II, de quali era amico intimo; o a Santa
Maria della Porzioncella[126], (dove il Beato Francesco fondò l'Ordine
dei frati Minori e dove morì); o al convento d'Assisi, ove si conserva
alla venerazione dei credenti il corpo del beato padre Francesco; o al
convento di Cella di Cortona[127], luogo bellissimo e deliziosissimo,
fatto fabbricare da lui con bell'arte nella diocesi di Arezzo; e di
consueto era o colà, o nel convento d'Assisi. E aveva palafreni grassi
e ben quartati, e andava sempre a cavallo, anche per passare da una
chiesa all'altra sol mezzo miglio distante, contravvenendo alla Regola,
che prescrive ai frati Minori di non servirsi mai di cavalcatura,
tranne che per una ben dimostrata necessità, e per malattia. Così pure
per donzelli, come usano i Vescovi, aveva garzoncelli secolari, vestiti
di indumenti variopinti, che in ogni cosa gli erano pronti a servirlo.
Di rado poi in convento sedeva alla mensa comune cogli altri frati, ma
quasi sempre solo, in disparte, nel suo appartamento..... ed era cosa a
mio parere villanissima avvegnacchè

    Nullius sine sotio —
    jucunda fit possessio.

    Niuna cosa dolce sia
    Senza cara compagnia.

Aveva anche nel convento di Assisi, suo cuoco particolare, frate
Bartolomeo di Padova, ch'io ho veduto e conosciuto, e che faceva
una cucina delicatissima. Costui restò inseparabilmente al servizio
di lui, sin che la morte incolse frate Elia. Altrettanto fecero
gli altri, che componevano la sua famiglia. Ebbe frate Elia una sua
particolare famiglia di dodici o quattordici frati, che teneva sempre
seco nel convento di Cella di Cortona, e non vestirono mai l'abito
regolare; dopo la morte del loro malo pastore, o meglio seduttore,
riconosciutisi delusi nelle loro speranze, ritornarono nell'Ordine.
Tra costoro aveva Elia un certo Giovanni, che dicevano di Lodi, frate
laico, duro, aspro, tormentatore, un vero boia, che a cenni di Elia
disciplinava senza misericordia i frati..... Ottava colpa di frate
Elia fu di voler tenere il Generalato dell'Ordine sino colla violenza,
e per non lasciarselo isfuggire di mano, mise in opera molte astuzie.
La prima era quella di cambiare di frequente i Ministri provinciali,
affinchè, poste salde radici nel loro ufficio, non sorgessero più
arditamente contro di lui; poi nominava Ministri que' frati che aveva
amici; finalmente non convocava mai Capitoli generali, ma solamente
parziali, cioè di soli Ministri cisalpini, e non chiamava i Ministri
transalpini per timore che lo deponessero. Ma quando piacque a Dio,
da cui ogni bene dipende, congregati insieme e questi e quelli, lo
destituirono...... E allo scopo di ottener quell'adunanza di tutti i
Ministri in Capitolo generale a fine di deporre Elia, s'adoperò frate
Arnolfo Inglese, dell'Ordine de' Minori, uomo santo e letterato, acceso
di zelo per l'incremento dell'Ordine; e frate Arnolfo era allora
penitenziere alla Corte di Papa Gregorio IX. Nona colpa di frate
Elia fu che quando seppe di quella convocazione di Ministri contro
di lui, mandò per tutta Italia ordinando a tutti i frati laici più
nerboruti, e creduti suoi fautori, di non mancare di intervenire al
Capitolo generale, sperando che lo avrebbero sostenuto coi randelli.
La qual cosa risaputasi da frate Arnolfo indusse Papa Gregorio IX a
decretare che non fossero ammessi al Capitolo generale che que' frati,
che sono designati dalla Regola co' loro compagni e coi Discreti,
e fece annullare tutte le lettere di obbedienza inviate da Elia ai
laici. E il Papa stesso intervenne al Capitolo, e ascoltò i voti dei
frati, che volevano deposto Elia, ed eletto a successore di lui nel
Generalato frate Alberto da Pisa. In quel Capitolo fu anche deliberata
una moltitudine di ordinanze generali; ma erano slegate, e in processo
di tempo le coordinò poi il Ministro Generale frate Bonaventura,
che poco vi aggiunse di suo, e appena le ritoccò in alcuni punti. In
quell'anno, dopo il Capitolo generale, vi fu un ecclissi di sole, da
me veduto, di cui parlerò più sotto a suo luogo. Frate Elia, quand'era
ancora Ministro Generale, saputo che si stava per convocare un Capitolo
universale contro di sè, mandò ordinando a tutti i conventi che ogni
giorno i frati nella congregazione capitolare, dopo la preghiera
_Pretiosa_ recitassero con lettura chiara, alternandosi fra loro,
come a coro, i versetti del Salmo: _Qui regis Isral, intende_ ecc. _O
pastore d'Israel porgi gli orecchi_ ecc. (salmo 80º); essendo che sotto
l'allegoria della vigna pare voglia indicare l'Ordine..... E in poche
parole pare che tutto il salmo alluda all'Ordine e alla Religione del
Beato Francesco; ed è composto di tanti versetti, quanti sono gli anni
che il beato Francesco visse nell'Ordine, cioè venti. E il versetto che
dice: _Exterminavit eam aper de silva, et singularis ferus depastus
est eam. I cinghiali l'hanno guastata e le fiere detta campagna
l'hanno pascolata_, si riferisce fuor di dubbio ad un cattivo Ministro
Generale dell'Ordine, quale fu Elia, distruttore, esterminatore e
ruina dell'Ordine dei Minori; perchè nessuno, fuorchè Elia è stato
nell'Ordine cattivo Ministro...... ma restò deluso, perchè si diede a
credere di poter tenere sempre in sue mani il governo dei frati, come
fa il Papa di Roma fin che vive. Quell'altro versetto poi dei salmo,
che dice: _Fiat manus tua super virum dexterae tuae, et super filium
hominis, quem confirmasti tibi: Sia la tua mano sopra l'uomo della tua
destra, e sopra il figliuol dell'uomo, che tu ti avevi fortificato,_
allude al buon Generale, quali tutti furono, ad eccezione di Elia.
Recitammo dunque il salmo ogni giorno prima del Capitolo generale
un mese intero, cosa che non ho mai visto fare nè prima, nè dopo. Nè
troverei sconvenienza il farlo prima d'ogni Capitolo generale, massime
dopo la morte di un Ministro Generale.... Decima colpa di frate Elia
fu il non sopportare nè con umiltà, nè rassegnato, la sua deposizione.
Ma fece piena adesione a Federico II Imperatore, già scomunicato da
Papa Gregorio IX, con lui cavalcava, con lui dimorava cogli abiti
dell'Ordine insieme ad alcuni frati suoi domestici. Il che ridondava a
sfregio del Papa, a scandalo della Chiesa e a vergogna del suo Ordine;
specialmente che l'Imperatore era già stato scomunicato, e a quei
giorni stringeva d'assedio Faenza e Ravenna, e quel miserabile era
sempre in mezzo all'esercito dell'Imperatore, e dava a lui consigli,
e prestava favore. Ai contadini specialmente ed agli altri secolari
porse sì cattivo esempio..... E i contadini, i ragazzi e le ragazze di
Toscana ogni volta che incontravano per via frati Minori, e li ho uditi
centinaia di volte, cantavano:

    Hor attorna fratt Helia,
    Ke pres'ha la mala via;

e se ne rattristavano i buoni frati, e se ne sdegnavano a morte a
udir tali cose...... Onde Papa Gregorio, provocato, lo scomunicò.
Undecima colpa di frate Elia fu l'infamia di cui si coperse occupandosi
di Alchimia. Di fatto, quando sapeva che nell'Ordine vi era qualche
frate, che nel secolo aveva studiato di quella scienza, o ciurmeria,
lo mandava a chiamare e tenevaselo presso di sè nel palazzo Gregoriano
(Papa Gregorio IX s'era fatto fabbricare nel convento de' frati Minori
d'Assisi un magnifico alloggio, non meno per lustro della casa del
beato Francesco che per sua abitazione quando andava ad Assisi). In
quell'appartamento adunque vi erano camere e molti luoghi secreti, ne'
quali Elia albergava que' frati e molte altre persone, ove pareva quasi
si andasse _a consultare la Pitonessa_. Incolpi sè stesso: egli ci
pensi. Dodicesima colpa di frate Elia fu che dopo la sua deposizione,
e dopo che si mostrò andare vagando coll'Imperatore, un giorno si
presentò ad un convento di Minori, e, raccoltili in Capitolo, cominciò
a voler provare la sua innocenza, e l'ingiustizia della sua deposizione
da parte dei frati; e cominciò dicendo..... Dopo di che continuò il
suo dire, come volle e piacque a lui, sempre lodando sè e denigrando
l'Ordine. Ma poi trovò chi rispose a quanto aveva detto..... E chi con
tanta franchezza rispose a frate Elia fu frate Bonaventura da Forlì, da
cui io l'ho saputo. Rivoltosi allora frate Elia a lui, disse: Chi ti ha
ammesso all'Ordine? A cui frate Bonaventura di rimando: Non tu, no, che
hai abbandonato l'Ordine, e vai vagando pel mondo, e perciò i contadini
ti cantano sul viso:

    Hor attorna fratt Helia,
    Ke pres'ha la mala via;

Vattene pur dunque, frate mosca.... All'udir queste cose frate Elia
s'ammutolì e partissene confuso. Tredicesima colpa di frate Elia fu
di non aver mai voluto riconciliarsi coll'Ordine, e rimase sino alla
morte nella sua ostinazione. E quando frate Giovanni da Parma Ministro
Generale mandò a lui il suo amico frate Gherardo da Modena, che era
uno de' frati primitivi, a pregarlo che per amore di Dio e del beato
Francesco, pel bene dell'anima propria, e per dare buon esempio,
ritornasse in seno alla Religione, cui era stato addetto, rispose:
Frate Gherardo, ho udito dire tanto bene di quel venerabile frate
Giovanni da Parma che non mi rifiuterei di prostrarmi a suoi piedi e
confessare le mie colpe, fidente nella sua benignità, ma temo assai
che que' Ministri provinciali, che sono stati offesi da me, mi tendano
insidia, mi caccino tra ceppi in carcere, e mi alimentino di poca
acqua e pan muffato. Inoltre, avendo io offeso anche la Corte romana,
so che il Cardinale governatore dell'Ordine vorrebbe intromettersi
nell'affare del castigo da infliggermi; nè io voglio perdere la
protezione che ho dell'Imperatore. Nulla ostante frate Gherardo da
Modena stette tutto un giorno intero nel convento di Cella di Cortona
in colloquio famigliare con frate Elia, e s'adoperò ad ogni potere
per vincerlo e convertire lui e i frati domestici di lui, e indurli
ad essere ossequenti alle discipline dell'Ordine.... Ma si ingegnò
invano, perchè Elia pei detti motivi non volle piegarsi...... Quel
frate Gherardo però passò colà tutta la notte successiva senza poter
dormire, e, come poscia narrò, gli era paruto di aver udito tutta
notte svolazzare demonii per la casa e pel convento come pipistrelli,
e li udiva emettere grida, che gli fecero correr per le ossa tremore
e terrore: _M'è venuto uno spavento ed un tremito, che ha spaventate
tutte le mie ossa, ed uno spirito è passato davanti a me, che mi ha
fatto arricciare i peli della mia carne_, dice Giobbe 4.º. Finalmente,
sorto il sole e dato un saluto, in fretta si partì col suo compagno,
e riferì al suo Generale tutto per ordine, quanto aveva veduto e
udito. In processo di tempo frate Elia morì scomunicato, come già
era, da Papa Gregorio IX; se abbia avuto l'assoluzione e se abbia
provveduto bene all'anima sua, ora se lo saprà. Ei ci pensi......
Dopo tempo, giacchè _a qualsivoglia affare v'è tempo e modo,_ come
dice l'Ecclesiaste 8.º, un Custode fece disseppellire il corpo di
frate Elia e gettare in una fogna..... Se vi è chi desideri sapere a
chi ne' lineamenti del volto si assomigliasse frate Elia, gli dico
che si assomigliava in tutto a frate Ugo di Reggio, cognominato
Pocapaglia, nel secolo, maestro di grammatica; destrissimo a dar la
beffa, parlatore prontissimo, e nell'Ordine ottimo e facondissimo
predicatore, che confutava vittoriosamente i calunniatori dell'Ordine,
e colla parola e coll'esempio li riduceva al silenzio. Ed un maestro
Guido Bonatti di Forlì, che si spacciava per filosofo e astrologo, e
gettava il fango sulle predicazioni dei frati, fu da lui sifattamente
confuso al cospetto di tutta l'Università e del popolo di Forlì, che
per tutto il tempo che frate Ugo soggiornò in quelle parti, non solo
non osò più fiatare, ma nè manco farsi vedere. Quest'Ugo aveva sempre
in pronto tanti adagi, tante sentenze, tante favole, tanto copiosa
messe d'esempi, e stavano sì bene sulle sue labbra, perchè li applicava
sempre a proposito, ed era tanto facondo, colto e graziosissimo
parlatore che tutti con gran diletto pendevano dalle sue labbra. I
Ministri e i Prelati dell'Ordine però non lo vedevano di buon occhio,
perchè parlava sempre allegoricamente, e con proverbii e con esempi
li confondeva. Ma egli non si dava pensiero di loro, protetto che si
credeva dalla santità della sua vita. E basti di frate Elia. Perchè
fu già mio proponimento di favellare di tutti i Ministri Generali
dell'Ordine del beato Francesco quando ne avessi tempo opportuno;
ma di Elia, che fu uno di loro, e quello appunto che mi ricevette
nell'Ordine, e che offre vasto campo all'istoria, ho voluto sbrigarmene
prima d'ogni altro per aver agio di continuare più spigliatamente
l'istoria incominciata, dopo di essermi alleggerito del gran fardello
ch'egli da solo mi dava da portare...... Innocenzo 3.º mandò legati a
Filippo Re di Francia per indurlo ad invadere la Terra degli Albigesi
e distruggerli, il quale li prese tutti e li fece abbruciare. Questo
Papa l'anno 1215, diciottesimo del suo pontificato, convocò un solenne
concilio, a cui concorsero Prelati da tutte le parti del mondo. Ed io
ho letto il discorso, che egli vi pronunciò, e cominciava: _Desiderio
desideravi hoc Pascha_ ecc. ed ho letto anche tutte le deliberazioni,
che vi si presero, tra le quali fu decretato che non si potesse più
fondare alcuna congregazione di frati mendicanti. Ma tale decreto,
per non curanza dei Prelati, non fu osservato, anzi, chi vuole, si
mette il cappuccio, e va mendicando, e si gloria di avere istituita
una nuova Religione. Da ciò nasce confusione nel mondo, e i secolari
ne sono gravati, e le limosine non bastano oramai più nemmeno per
quelli, che operando colla parola e colla dottrina, stabilì il Signore
che avessero a vivere del Vangelo; ed i secolari ignoranti, che non
hanno lume di discernimento, legano nelle loro tavole testamentarie
tanto ad una donnicciuola che vive sola in un romitaggio, quanto ad
una congregazione di trenta sacerdoti, che quasi ogni giorno dicono
messa pe' vivi e pe' morti. Provegga Iddio; e muti in meglio quello
che non va bene. Non parlo di tante altre ordinanze per non seccare
e per schivare le lungherie. Finalmente Innocenzo l'anno 1209 coronò
Ottone IV Imperatore, e lo fece sacramentare di rispettar tutti i
diritti della Chiesa. Ma esso, lo stesso dì, ruppe il giuramento e fece
depredare i romei; onde il Papa lo scomunicò e lo depose dall'Impero.
Deposto Ottone, fu eletto Federico figlio di Enrico, e fu coronato
Imperatore. Egli pubblicò buone leggi contro gli eretici ed a favore
delle libertà della Chiesa. Questi sopra tutti gli altri Imperatori
rifulse per gloria e per ricchezze; ma in sua superbia ne abusò.
Imperocchè tiranneggiò la Chiesa, imprigionò due cardinali, fece
trarre in carcere anche i Prelati, che Gregorio IX aveva convocati a
Concilio, e quindi ne fu scomunicato. Finalmente, morto Gregorio per
abbattimento di tante tribolazioni, Innocenzo IV Genovese, convocato un
Concilio a Lione, lo depose dall'Impero; e la sede dell'Impero, dopo
la deposizione e la morte di lui, rimane tuttora vacante. Si avvisa
che quanto riguarda Federico, Papa Gregorio e Innocenzo IV, è stato
detto qui fuori d'ordine cronologico in riepilogo anticipato......
Uguccione oriondo di Toscana, pisano, fu Vescovo di Ferrara. Compose
un libro _delle Origini_, e compose alcuni altri opuscoli utilissimi,
che corrono per le mani di molti, ed io li ho veduti e letti più volte.
Resse l'episcopato virilmente, degnamente ed onoratamente sino a che
chiuse la sua lodata vita. Volò al cielo l'ultimo giorno d'Aprile
del 1210, dopo 20 anni di episcopato, meno un giorno. Il 1º Giugno
1211 fu insediato nella cattedra Nicolò Vescovo di Reggio. Egli fu
nominato Vescovo e quasi uomo d'armi; godeva dei favori dell'Imperatore
Federico e della Corte romana; era di Padova, della nobile stirpe dei
Maltraversi, bell'uomo, splendido, cortese e fece ampliare l'episcopio
di Reggio, Usò tante deferenze ai frati Minori che volle sin loro dare
per abitazione la canonica della chiesa matrice, sede Vescovile; ed i
canonici di quel tempo l'acconsentirono, e per amore dei frati Minori
s'accontentarono d'andar ad abitare nelle case annesse alle cappelle
della città. Ma i Minori per umiltà non vollero dare tanto disagio
ai canonici, e non accettarono. Il dispensiere di questo Vescovo fu
accusato presso il suo padrone di non dare ai frati Minori la limosina
di pane da lui stabilita. Perciò chiamollo a sè, e lo rimproverò,
dicendogli; Figlio, non dice forse l'Ecclesiastico 4.º: _Non defraudare
la limosina al povero_? Ma sapendo il Vescovo, per sentenza di Salomone
ne' proverbii 29.º che _Il servo non si corregge con parole; benchè
intenda, non però risponderà_, lo cacciò in una angustissima e cieca
prigione, e lo nutrì del pane del dolore e dell'acqua dell'amarezza.
Poscia lo licenziò; e Iddio lo benedica. Giacchè sapeva bene il Vescovo
che la genìa dei servi non si emenda che col supplizio, come disse un
certo tiranno a quelli che erano incaricati di servire gli alimenti a
S. Ippolito. Sia benedetto, dice Pateclo di Monferrato, che perdonò a
tutti tranne che agli scudieri, miserissimi uomini, i quali dopochè
nelle Corti dei Grandi sono stati elevati a nobilissimi uffici,
diventano spilorci per mostrarsi buoni custodi e massai della roba dei
padroni loro, e rubano ai poveri e alla buona gente quanto poi regalano
alle loro puttane: e talora accade che le mogli e le figlie dei padroni
diventano le amanti dei servitori, dei dispensieri e dei fattori,
perchè delle robe di casa non possono mai godere che per mezzo loro.
Miserrimi che sono tali padroni! che custodiscono con più religione i
prodotti delle loro terre che il proprio onore e l'illibatezza delle
mogli e delle figlie loro. Tuttociò ha osservato il mio occhio, e ne
ha avuto le prove. Nicolò adunque Vescovo di Reggio fu uomo valente e
di molte cose esperto, e sapeva essere chierico coi chierici, religioso
coi religiosi, soldato coi soldati e barone coi baroni.



INDICE GENERALE

DELLE MATERIE CONTENUTE NELLA CRONACA

DI FRA SALIMBENE



Indice Generale


A

  =Abbate= di Bertinoro v. I. 215-216.
  =Abele= di Danimarca v. I. 322.
  =Acaia.= Re Carlo d'Angiò ha titolo di Principe dell'Acaia
      v. II. 72.
  =Accarisio= (degli) Guido. Parteggia per l'Impero v. I. 262.
    » Sua morte v. II. 52.
  =Acerra= (di) Conte Tomaso v. I. 320.
    » Cortigiano di Re Manfredi v. II. 4.
  =Acorto.= Uccide l'Arciprete di Caviano v. II. 216.
  =Acquasparta= (di) Matteo. Eletto Ministro generale dei
      Minori v. II. 210.
  =Adamo= di Marisco. Amico di frate Ugo v. I. 134.
    » Sue qualità v. I. 134.
    » Suoi scritti v. I. 173
  =Adamo= (degli) Famiglia v. I. 14 e seg.
    Adamino v. I. 15 e 33.
    Giovanni v. I. 15.
    Egidia di Guido v. I. 30.
    Agnese. Sua origine v. I. 23
      » Sue qualità v. I. 90.
    Agnese di Guido v. I. 15.
    Aica di Bernardo v. I. 15.
    Alberta di Rolando v. I. 15.
    Bartolomeo di Rolando v. I. 15.
    Bernardo di Oliviero. Sua morte v. I, 13, 15, 31.
    Bonifacio di Bernardo v. I. 15.
    Caracosa di Guido, v. I. 29.
    Caracosa di Oliviero v. I. 31.
    Corrado di Bernardo v. 1. 32.
    Emblavato v. I. 15-33.
    Francesco di Rolando v. I. 15.
    Gisla v. I. 30.
    Guido v. I. 15.
    Guido di Guido. Mandato dai Parmigiani in missione presso
        Innocenzo IV v. I. 31.
    Guido di Giovanni v. I. 15.
    Guido di Rolando v. I. 15.
    Guido fratello del Cronista v. I. 315.
    Guido padre del Cronista v. I. 14-15.
      » Va a Fano per tentare che esca dal convento il figlio
        Salimbene v. 1. 18. 67.
    Giacomo di Oliviero v. I. 31.
    Giovanni maestro v. I. 15. 29
    Leonardo di Bernardo v. I. 15. 32.
    Mabilia. v. I. 15.
    Mabilia di Rolando v. I. 15.
    Maria di Guido v. I. 29.
    Maria v. I. 29. 35.
    Oliviero di Adamo v. I. 15.
    Oliviero di Bernardo v. I. 15.
    Ognibene (il Cronista). Nato v. I. 8. 15.
    Pino di Rolando v. I. 15.
    Rica di Bernardo v. I. 15.
    Rolando di Oliviero v. I. 15. 31. 33.
    Rolandino di Rolando v. I. 15.
    Romagna di Bernardo v. I. 15.
    Villano v. I. 32.
    Salimbene. Nato v. I. 8. 15.
      » Va a Lione v. I. 83. 105.
      » Va in Francia v. I. 118.
      » Commensale di Giovanni da Magione v I. 119.
      » Accenni ad alcune sue opere v. 1. 121. 122. 311.
      » Commensale di S. Lodovico Re di Francia v. I. 129. 130.
  =Adamo= le Rigalde v. I. 315.
  =Adda.= Sconfitta di Ezzelino v. I. 330.
    » Passaggio di Corradino v. II. 8.
  =Adegherii= (degli) Rolando, Ambasciatore a Reggio,
      v. II. 80.
    » Podestà di Modena v. II. 201.
  =Adelardi= (degli) Giuditta. Lamenta che vi siano troppi
      frati v. I. 152.
    Rainiero. v. 1. 61. Frate Gaudente. 344.
  =Adriano V.= Aiuta a spogliar del vescovado Maestro Giovanni
      di donna Rifida v. I. 37.
    » Nipote del Papa defunto v. I. 305.
    » Elezione e morte, v. II. 38.
  =Agareni.= v. II. 69.
  =Agostino= di Recanati. Censore di frate Elia. v. II. 236
  =Aica.= Concubina di Guglielmotto. v. I. 76.
  =Aicardo= di Ugo. v. I. 31.
  =Aigoni=, famiglia, v. II. 5.
  =Aimerico= (degli) Famiglia v. I. 31.
  =Aimono= frate eletto Ministro Generale v. I. 68. 165.
    » Visita conventi v. I. 176.
    » Sua esposizione di Isaia, v. I. 321.
    » Morte v. I. 80.
  =Aix.= Dove è v. I. 171.
    » Vi abita e vi muore il Conte di Provenza v. I. 171.
    » Vi fu Arcivescovo S. Massimino. v. II. 68.
  =Albano= (di) Cardinale. Sua morte, v. II. 18. 19.
  =Albareto= (di) Guido. Sua fazione in Reggio v. II. 81.
    » È accusato, v. II. 179.
    » Assolto per corruzione v. II. 181.
    » Si batte a Cariano, v. II. 200.
    » Grandiosità della sua casa. v. II. 209. 210.
    » Predizione che lo riguarda, v. II. 203.
    » Si brucia la sua casa. v. II. 209.
    Azzolino. Uccide Guido di Bibbianello v. II. 178.
      » Uno de' principali nell'esercito di quei di Gesso
        v. II. 202.
    Ezzelino. Del partito della città di sotto in Reggio v. II. 81.
    Rolando. Del partito della città di sotto in Reggio v. II. 81.
  =Albe= Suore. Loro convento, v. II. 70.
  =Albenga.= Devastata dai Pisani v. II. 86.
  =Alberghetti= (degli) Ugolino. Signoreggia in Faenza
      v. I. 262. 809.
    Manfredo Torta. Morte infertagli da consaguinei v. II. 147.
    Alberico. Frate Gaudente, v. I. 262.
    Samaritana, v. II. 218.
    Famiglia, v. I. 158. Signori di Faenza, v. I. 262.
  =Alberico= da Romano, vedi Romano (da).
  =Albertino= di Verona. Trova modo di dar cibo ad Enzo Re
      prigioniero, v. I. 216.
  =Alberto= Cremonese. Falsi miracoli, v. II. 46.
    Uccellatore. Padre di Giovanni da Parma, v. I. 190.
    Cremonella fisico a Fontevivo. v. I. 335.
    Parmigiano. Notaio della Corte Somana. v. I. 157.
      » Sue qualità e parentela v. II. 54.
    Pisano. Ministro Generale de' Minori, v. I. 25. 67.
      » Sua morte, v. I. 68.
    Della Scala. Succede a Mastino, v. I. 276.
    Malavolta. Podestà di Genova annunzia la cattura di Re Enzo
      v. I. 216.
  =Albi.= Presso Albi si combatte la battaglia detta di
      Tagliacozzo. v. II. 9.
  =Albicani= (degli) Famiglia, v. I. 80.
    Guizzolo eletto Vescovo, v. I. 80. v. II. 245.
  =Albinea= (quei di), v. II. 202.
    (di) Pietro. Ambasciatore a Parma ed oratore dell'ambasceria
      v. II. 82.
  =Albe= Gerardo. Fatto Cardinale, v. II. 34.
    » Mandato a pacificare i Siciliani al tempo del Vespro
      siciliano, v. II. 54. 56.
    » Fa doni ai Minori, v. II. 160.
    » Fa fare il dormitorio delle donne della Religion Vecchia,
      v. II. 160.
    » Fa un'offerta perchè si faccia una campana pel Duomo,
      v. II. 160.
  =Albrighetti.= Vedi Alberghetti.
  =Alcarisii.= Vedi Accarisii. Famiglia, v. I. 309.
  =Alconio.= Chi vi ha signoria v. I. 263.
  =Aldobrando= da Foiano va ad un Concilio a Ravenna
      v. I. 298.
  =Alemagna.= Predizione che la riguarda v. II. 97.
  =Alessandria.= Arrivo di Salimbene v. I. 209.
    » Dominio del Pallavicino v. I. 228.
    » Dominio di Lanzavecchia v. I. 254.
    » Cagione di guerra tra Uberto Pallavicino e il Marchese
      di Monferrato v. I. 272.
  =Alessandrini.= Catturano i Tortonesi v. I. 326.
    » Seguendo il Marchese di Monferrato vanno contro Lodi
      v. II. 93.
  =Alessandro= III. Ha controversie coi Principi
      v. I. 12. 123. IV. Eletto v. I. 346.
    » Ha controversie coi Principi v. I. 12.
    » Riprova un opuscolo di Guglielmo del Santo Amore
      v. I. 28. 179.
    » Unisce i Britti in una sola Congregaz. v. I 151.
    » Osteggia Fra Giovanni da Parma v. I. 180.
    » Canonizza Santa Chiara v. I. 199.
    » Tenta convertire Ezzelino v. I. 285.
  =Alessandro IV.= Convoca un Concilio a Ravenna v. I. 298.
    » Annulla disposizioni di Innocenzo IV v. I. 305.
    » Espelle Guglielmo del Santo Amore v. I. 333.
    » Eletto Papa v. I. 278. 305. 331.
    » Vuole che i frati Minori confessino v. I. 302.
    » Fatto scandaloso da lui narrato v. I. 302.
    » Sua morte v. I. 285. 344.
    Maestro inglese v. I. 23.
  =Alina.= Bruciata. v. II. 48. 160.
  =Alleluia= (tempo dell') Comincia v. I. 43.
  =Alucii= (degli) Giacomo. Guarito per miracolo di San
      Lodovico Re di Francia, v. II. 22.
  =Alvernia= (monte di). S. Francesco vi riceve le stimmate
      v. II. 115.
  =Ambasciatori= Cremonesi. Loro costume, v. I. 235.
  =Ambrogio= Normanno. Monaco v. I. 246.
  =Amici= (degli) Amizzone. Va in Puglia a prender oro
      v. I, 21.
  =Ammanato= Tosco, Castaldo di Filippo Legato. Come punito
      v. I. 293.
  =Anagni.= Patria di Gregorio IX v. I. 11.
    » Vi si canonizza S. Chiara v. I. 332.
  =Anastasio= ravennate. Nemico di Paolo Traversali v. I. 70.
  =Ancona.= Vi è in esilio Ghiberto da Gente v. I. 329.
  =Andalò= (degli) Castellano. Primeggia in Bologna v. I. 264.
    Loterengo. Podestà di Reggio v. I. 339.
      » Priore dei Gaudenti v. I. 344.
  =Andrea= di San Giovanni d'Acri, v. I. 8.
    Di Bologna. Compagno di frate Giovanni da Parma e sue qualità
      v. II. 109.
      » Guardiano v. II. 118.
    Re d'Ungheria v. I. 70. 71.
    Chiesa di S. (Mantova). Vi fu ucciso Guidotto Vescovo di
      Mantova v. I. 61.
    Di Trezzo. Assoggettato a suplizii v. I. 103.
  =Angeli= (degli) Guido. Vicario di Ghiberto da Gente nella
      Podesteria di Reggio v. I. 338.
  =Angere.= Cardinale nipote di Urbano IV v. I. 74.
  =Anjou.= Provincia v. II. 72.
  =Annibale.= Nipote del Cardinale Riccardo. Morte v. II. 8.
  =Anselmo.= Raboino v. I. 198.
  =Anticristo= v. I, 321. 334.
  =Antiochia.= Presa dal Soldano di Babilonia, v. II. 10.
  =Antonio= S. da Padova. Morte v. I. 41.
    Pellegrino. Creduto santo v. II. 47.
    Da Parma. Va ambasciatore ai Tartari v. I. 116:
  =Apollinare= S. Ravenna e Chiassi sostengono averne il
      corpo V. II. 69.
  =Apostoli= e Apostolesse. Congrega v. I. 153. 167.
    » Loro qualità v. I. 153.
    » Non sono in istato di salute v. I. 163.
    » Debolezza dei Vescovi a loro riguardo v. I. 166.
    » Loro soppressione v. I. 153. v. II. 28.
    » Arrivano a Parma v. II. 126.
    » Cacciati da Parma v. II. 183.
  =Aquila.= Primo a fare traduzioni, v. I. 121.
  =Aquileia= (di). Gregorio di Montelungo Arcivescovo,
      v. I. 29.
  =Arcili= (degli) Gherardo e Gherardino. v. I. 91.
    » Allocuzione, v. I. 91. v. II. 172.
  =Ardizzone= Vescovo di Modena, sua morte, v. II. 207.
  =Arduino= di Chiavari. Sua rissa, v. II. 131.
  =Arezzo.= Vi muore Gregorio X. v. II. 31.
  =Argenta.= Il Legato Filippo va ad Argenta, v. I. 293.
    » Suo uso colà. v. I. 311.
  =Arles.= Salimbene vi si trova, v. I. 131. 174.
    » Frate Giovanni da Parma vi si trova, v. I. 174.
  =Arlotto= da Prato. Dottorato a Parigi, v. I. 191.
    » Eletto Ministro Generale dei Minori, v. II. 136.
    » È a Parigi v. II. 155.
  =Armarii= (degli) Tomaso. Un suo figlio uccide un frate,
      v. I. 21.
    Ugo di Tomaso possiede e vende Sinzanese. v. II. 159.
  =Armenia= devastata, v. II. IO.
  =Arno.= Presso la foce i Pisani costruiscono galee,
      v. II. 86.
  =Arnolfo= frate Guardiano. Possiede un certo libello,
      v. 1.337.
  =Arpi= (degli) Giacomino, v. II. 174.
    » Ricco dissipatore finisce col mendicare, v. II 174.
    Arpo. Frate, v. II. 174.
  =Artaldo= Re d'Inghilterra. Espelle S. Tomaso di Cantorbery
      v. I. 123. v. II. 244.
  =Aschieri= (degli) Aschiero. Espulso da Reggio. v. I. 82.
  =Asdente= Benvenuto. Chi era, che faceva e sue qualità
      v. II. 58.
    » Ambasciatori Reggiani lo consultano e sua risposta v. II. 82.
    » Il Vescovo lo invita a pranzo, v. II. 84.
    » Suoi vaticinii, v. II. 85.
    » Sue capacità e sue riserve, v. II. 85.
  =Asinelli= (degli) torre, v. II. 70.
  =Asino= Pietro. Sua morte, v. II. 4.
    Giordano, v. II. 4.
  =Assaiuto= (di) Manfredino. v. II. 179.
    Guercio, v. II. 179.
  =Assandri= (degli) Giacomo. Compagno di frate Giovanni da
      Parma e sue qualità, v. II. 112.
  =Assassini.= Depredano, v. I. 94.
    » Scorazzano il territorio parmigiano, v. I. 94. 102
  =Assisi.= Vi muore maestro Guglielmo di Gattatico
      v. I. 305.
    » Vi è sepolto Martino 4. v. II. 129.
  =Asti.= Guido Conte di Montefeltro vi è confinato,
      v. I. 361.
  =Atanulfo= (di) Raimondo. Il primo dei Saccati, v. I. 152.
  =Attila= Re. v. I. 114.
  =Auduci.= Pretendono la Signoria di Imola, v. I. 276.
  =Austria= (d') Duca. Ucciso, v. II. 9.
    » Paciere tra Pietro d'Aragona e i figli del Re di Francia,
      v. II. 161.
  =Auxerre.= Vi si trova Salimbene, e va a Vezellay a visitare
      il creduto corpo della Maddalena, v. I. 120.
    » Ricca di vigne, v. I. 122. 140.
  =Avanzo.= Frate, v. I. 184.
  =Avignone.= Dov'è. v. I. 205.
    » Vi muore frate Buonagrazia. 176.
  =Avvocati.= Famiglia di Mantova. Espulsi, v. I. 61.
    (degli) Enrico di Cremona. Podestà di Parma, v. II. 146.


B

  =Baffoli= (dei) Egidio. Suo valore, v. II. 176.
    Bernardina. Sue qualità, v. II. 176.
    Bernardo. Frate, sue qualità e stranezze, v. II. 174.
      » Spegne un incendio in strada S. Cristina in Parma
        v. II. 176.
      » Sua morte, v. II. 176.
  =Bagnacavallo.= Salimbene vi dimora, v. I. 96.
    » Il Vescovo di Faenza si nasconde ivi in una torre v. I. 309.
  =Baiso= (di) Guido. Sua morte, v. I. 11.
  =Balbeck.= Costrutta, v. I. 222.
  =Baldacchino.= Nome di una stoffa, v. II. 46.
  =Baldovino.= Conte di Fiandra alle crociate, v. I. 14.
  =Baldovino.= Imperatore ha per moglie una figlia di Re
      Giovanni v. I. 24.
  =Baliano= (di) Saetta, v. I. 8. 16.
  =Balugano= (di) Nicoluzzo. Va contro i Bolognesi fuorusciti
      v. II. 29.
  =Balugola= castello. Incendiato, v. II. 139.
  =Balzolano.= Giudice venale, v. II. 236.
  =Banzola.= Castello, v. II. 43.
  =Baratti= (dei) Adelasia. v. I. 15.
    Gerardo, v. I. 15.
    Fizaimone, Frate Gaudente, v. I. 844.
    Famiglia, v. I. 33.
  =Barbarasi= Cremonesi. Signori in Cremona per l'impero
      v. I. 264.
  =Bareo= (di) Ugo. Sue relazioni con Pasquetta. v. I. 75.
  =Bardello.= Castello. Vi è prigione in gabbia di ferro
      all'esterno di alta torre Napo della Torre v. II. 39.
  =Bardi.= Si arrende ai Piacentini, v. II. 12.
  =Bardone.= Monte su cui è Berceto. v. II. 131.
  =Barisello= Giovanni sartore. Costringe coll'armi i
      Parmigiani imperiali a giurar per la Chiesa, v. I. 266.
    » Ha sèguito d'armati, v. I. 266.
    » Sposa una Cornazzani. v. I. 269.
    » Ritorna al suo mestiere di sarto v. I. 270.
  =Barletta.= Una donna di Barletta predice la morte di più
      Principi, v. II. 127.
  =Barnaba= della Regina da Reggio. Sue qualità e morte,
      v. II. 156.
  =Bartolomeo.= Frate Minore. Compone un libro intorno alla
      natura delle cose. v. 1. 65.
    Da Vicenza, v. I. 48.
      » Istituisce la Regola de' Gaudenti, v. I. 345.
      » Fatto Vescovo, v. I. 345.
    Da Bologna, dottore. Eletto Ministro provinciale, v. II. 155.
    Canale. Cortigiano di Re Manfredi, v. II. 4.
  =Bassetto= Frate, v. I. 206.
  =Bastardi= (dei) famiglia. Due uccisi, v. I. 346.
  =Bazaleri= (dei). Nicolò muore in battaglia, v. II. 30.
    » Devastazione d'ogni cosa de' suoi figli, v. II. 211.
  =Bazzano.= I Bolognesi lo bloccano, v. I. 11.
    » Vi sono sorpresi i carrettieri Parmigiani che portavano sale
      da Cervia, v. II. 105.
    » Assediato dai Bolognesi v. I. 203.
  =Beatrice= di Puglia. Moglie di Pinotto da Gente,
      v. II. 167.
  =Beaucaire=. v. I. 136.
    » Frate Giovanni da Parma invitato dai frati di
      Beaucaire. v. I. 173.
  =Beaune=. Ricca di vigne. v. I. 123.
  =Beccai= di Cremona. Vendetta, v. II. 212.
    » di Parma. Aiutano Ghiberto da Gente ad insignorirsi
      di Parma, v. I. 326.
    » di Reggio. Minacciati se non vendono le carni a
      prezzo di ragione, v. II. 148.
  =Becherio= Pietro. Signore di Vercelli, v. I. 254.
  =Belleville= (di) Pietro. Per suo poco accorgimento si
      sviluppa un incendio, v. II. 76.
  =Bellincioni= (dei) Bonaccorso. Podestà di Reggio, v. II. 6.
    » Cacciato dalla Podesteria, v. II. 6.
  =Belletti= (dei) Ravanino. Podestà di Reggio v. I. 10.
  =Bencivieni= Vescovo di Albano, v. II. 41.
    » Fatto Cardinale v. II. 41.
  =Beneceto= (da) Giacomino, v. II. 174.
  =Benedetto= di Arezzo. Ministro della Provincia di Grecia,
      v. I. 24.
    Di Colle, v. I. 191.
    Di Cornetta, v. I. 44.
      » Fa la devozione dell'allelluia a Parma, v. I. 45.
    Di Faenza. Fisico e dottore a Parigi, v. I. 179.
    Di Marsiglia. Sue qualità e suo caso raro sì che par
      strano, v. II. 114.
  =Benevento=. Manfredi è sepolto a piè del ponte di
      Benevento, v. II. 3.
  =Benintendi= frate e sue qualità, v. II. 130.
  =Benvenuto= frate e sua dottrina v. II. 195.
  =Berceto.= Distrutto, v. I. 84.
    » Assediato v. I. 236.
    » Dove si trovi v. II. 131.
  =Bergamaschi=. All'assedio di Brescia, v. I. 66.
    » Aiutano Federico 2. v. I. 101.
    » Fanno pace coi Bresciani, v. II. 5.
    » Fabbricano Timberga v. II. 214.
    » A stipendio di quei di Gesso. v. II. 212, 213.
  =Bergamo=. Tributaria di Uberto Pallavicino, v. I. 228.
    » Suoi fuorusciti fabbricano Timberga, v. II. 214.
  =Bernardino= di Buzea. A Campeggino presso Ghiberto da
      Gente, v. I. 327.
    » di Ravenna. Podestà di Modena v. II. 218.
  =Bernardo= Cardinale. Esiglia Guido da Montefeltro.
      v. I. 261.
    » Legato v. I. 318.
    » Suo detto. v. II. 108.
    » Manda frate Fatebene a Pinamonte. v. I. 318.
    » di Guglielmo. Imprigionato e ucciso. v. II. 215.
    » A sua sorella fu tagliata la lingua, v. II. 215.
    » di Giacomo. Suo figlio è decapitato. v. I. 263.
    Vizio. Spogliato del vescovato, v. I. 36.
      » Eletto Vescovo. v. I. 42.
  =Bertinoro= o Brettinoro Villa Perchè così detta. v. I. 216.
  =Bertoldo= di Alemagna. Dottrina ed opere. v. II. 120.
    » Conversioni e miracoli. v. II. 121 e seg.
    Patriarca di Aquileia. Invitato da Federico 2. v. II. 153.
  =Bertoldino=. Frate. Ministro v. I. 198.
    » Lettore. v. I. 210.
  =Bertrando= di Manara. Compagno dell'Istitutore dei Saccati.
      v. I. 152.
  =Biacardo= Guglielmo frate. v. I. 209.
  =Bibbianello= castello. I Parmigiani lo ricuperano,
      v. I. 202.
    » Dove è, v. II. 156.
    » Pino parte. v. II. 168.
    » Tentativo di consegnarlo al nemico. v. II. 215.
    » Ruina la torre. v. II. 156
  =Bibbiano=. Dove è. v. I. 84.
    » Se ne fa un Borgo. v. II. 65.
    » Si fortifica. v. II. 198.
    » Fa tregua con quei di Gesso. v. II 201.
  =Beduzzano=. Federico 2. vi impicca Parmigiani. v. I. 102.
  =Binicli= (dei) Uguccione, Signore in Imola per l'Impero.
      v. I. 263.
    » Prigioniero e decapitato. v. I. 263.
    Giovanni v. I. 263.
  =Bismantova=. S'arrende ai Reggiani. v. II. 8.
    » È ripresa. v. II. 43.
    » Assediata. v. II. 40.
  =Bobbio=. Si crede vi sia un'idria delle nozze di Cana
      Gallilea. v. I. 220.
  =Boccabadati=. v. I. 50.
  =Boemia=. Guerra coll'Ungheria. v. I. 344
  =Boezio=. Fatto morire da Teodorico. v. I. 115.
  =Boiardi= (dei) Bonifacio. Manomette il convento di S.
      Prospero in Reggio. v. II. 185, 186.
    Gerardo. v. II. 185.
    Famiglia. Fanno pace coll'abbate di S. Prospero di
      Reggio. v. II. 81.
  =Bologna=. Alcuni della famiglia del Cronista Salimbene
      vi si accasano. v. I. 14.
    » Vi si conducono i prigionieri di Castel Leone. v. I. 65
    » Vi passa Giovanni da Parma. v. I. 185.
    » Vi si trova frate Rainaldo. v. I. 213.
    » C'è Salimbene. v. I. 221.
    » Profezia che riguarda Bologna. v. I. 252.
    » A Bologna non si vuol sentir parlare di S. Antonio.
      v. I. 290.
    » Innocenzo IV a Bologna v. I. 326.
    » Pestilenza a Bologna v. I. 341.
    » Costituzione dell'Ordine dei Gaudenti v. I. 344.
    » Costituzione della Congregazione della Giustizia
      v. II. 21.
    » Muore a Bologna Re Enzo v. II. 23.
    » Bologna incendiata v. II. 28. 48.
    » Quelli del partito dell'impero fuggono v. II. 28.
    » Pacificazione del Cardinale Latino v. II. 44.
    » Cavatrutta è ucciso v. II. 45.
    » Bologna vuole tutta la destra del Panaro v. II. 24. 25.
    » Pacificazione v. II. 43.
    » Guglielmo Putagio Podestà a Bologna v. II. 45.
    » Rientrano i fuorusciti v. II. 48.
    » Bologna fa lega con altre città v. II. 83.
    » Caso di tre toscani scolari a Bologna v. II. 133.
    » Miracoli di fra Giovanni da Vicenza, v. I. 46.
    » Ambasciatori di Bologna a pacificare quei di Gesso
      v. II. 212.
    » Fa prigione Rolandino di Canossa v. II. 216.
  =Bolognesi=. Si obbligano a far guerra ai Modenesi v. I. 4.
    » Assediano S. Cesario v. I. 12. 34.
    » Vanno contro Sant'Arcangelo v. I. 6.
    » Spianano le fossa di Imola v. I. 8.
    » Assediano Bazzano v. I. 11.
    » Combattono con nuove foggie d'armi v. I. 13.
    » Loro armi perdute in battaglia esposte a Parma
      v. I. 34.
    » Prendono Castel Leone v. I. 65.
    » Sconfitti dai Parmigiani v. I. 13.
    » Si trovano a Luzzara v. I. 84.
    » Aiutano i Parmigiani v. I. 94.
    » Assediano Forlì v. I. 96.
    » Assediano Bazzano v. I. 203.
    » Fanno prigioniero Re Enzo v. I. 216.
    » Assediano Modena v. I. 68. 220.
    » Domandano al Papa Medicina v. I. 326.
    » Fanno un castello sul Po di Primaro. v. II. 13.
    » Danneggiati dai Veneziani v. II. 13.
    » Assediano Savignano v. II. 22.
    » Mandano ambascieria a Parma v. II. 24.
    » Vanno a Primaro contro i Veneziani v. II. 13.
    » Cavalcano contro Faenza v. II. 29.
    » I popolani contro i Cavallieri v. II. 211.
    » Fanno una pace v. II. 48.
    » Rottura della pace v. II. 48.
    » Molti fatti prigionieri v. II. 29.
    » Entrano in Faenza v. II. 28.
    » Mandano ambasciatori a Parma per pacificare la
      Lombardia v. II. 210.
  =Bolognini=. Moneta v. II. 147.
  =Bombarone= materassaio, che fa poi il Ministro generale
      frate Elia v. II. 227.
  =Bonaggiunta=, frate compagno di Giovanni da Parma e sue
      qualità v. II. 110.
  =Bonagrazia=. Ministro Generale dei Minori va in visita
      dei conventi v. I. 176.
    » Sua elezione v. I. 196.
    » Sua proibizione ai frati di andare ad un Concilio
      di Ravenna v. I. 298.
    » Non vuol andare ad un Concilio v. I. 298.
    » Tiene Capitolo a Strasbourg v. II. 57.
    » Sua morte v. I. 176. 205. v. II. 68. 136.
  =Bonaventura= di Bagnorea. Eletto Ministro generale dei
      Minori v. I. 189.
    » Maestro all'Università di Parigi v. I. 177.
    » Scrive la vita di S. Francesco v. I. 80.
    » Domanda al Papa se permette che i Minori confessino
      v. I. 302.
    » Interviene al trasporto delle ceneri di S. Antonio
      v. I. 327.
    » Richiama al dovere Frate Girardino di Borgo San
      Donnino v. I. 334.
    Di Forlì v. I. 206.
    Di Iseo. Gran predicatore, a cui un giorno fugge l'uditorio
      v. I. 161.
      » Va in Grecia con frate Giovanni da Parma v. I. 206.
  =Bonaventura= di Iseo. Compagno di frate Giovanni da Parma
      e sue qualità v. II. 112.
  =Boncompagni= Taddeo. Sconsiglia maestro Martino di Fano
      di farsi frate v. I. 22.
    » Signore della Romagna v. I. 263.
    » Contro i Malatesta v. II. 147.
  =Boncompagno= Fiorentino. Maestro di grammatica v. I. 52.
    Da Prato. Frate non vuole che una sola tonaca v. I. 167.
  =Bondeno=. Preso il castello v. I. 8.
  =Bongiorno= Giudeo. Amico di Salimbene v. I. 287.
  =Bonicea=. Castello di Marchesopolo Pallavicino in Grecia
      v. I. 275.
  =Bonicii= (dei) Gregorio. Abbate del Monastero di
      S. Prospero in Reggio v. I. 343.
  =Bonifacio= S. (di) Conte Rizzardo. Conduce aiuti a Parma
      v. I. 98.
    » Esulante v. I. 261.
    Lodovico. Podestà di Reggio vi muore v. II. 60.
    Di Bibbianello v. II 178.
    Minorita. Visitatore di monasteri, v. I. 37.
    Di Giacomo da Canossa v. I. 338-
    Da Foiano. Muore v. II. 18.
  =Bordeaux=. Luogo del duello tra Re Carlo e Re Pietro
      d'Aragona v. II. 75.
    » Re Carlo è presente v. II. 75.
  =Borghetto= di Taro. Battaglia v. I. 91. 92.
  =Borghigiani= Ricevono beneficii dai Parmigiani v. I. 267.
    » Vanno contro i Milanesi e sono sconfitti v. II. 145.
    » Ribelli ai Parmigiani, questi contro loro alzano
      un castello alla Parola v. II. 146.
  =Borgo= di S. Cristina in Parma v. I. 66.
    » Vi sono ad albergo ambasciatori Reggiani v. II. 82.
    » Vi abitano gli Enzola v. II. 172.
    » Incendio v. II. 176.
    » Allargato v. II. 67.
  =Borgo= S. Donnino. Rifugio di fuorusciti v. I. 267.
    » Assedio e devastazione delle campagne v. II. 8.
    » Smantellamento delle sue mura v. II. 12.
    » S'arrende ai Parmigiani v. II. 12.
    S. Pietro di Modena. Incendiato dai Bolognesi, v. I. 68.
  =Borgogna= Vi si trova Salimbene v. I. 118 e seg.
    » Ferace di vini. v. I. 122.
  =Borgondione= Giudice Pisano, traduttore dal greco
      v. I. 134.
  =Boscaioli=. Loro istituzione v. I. 150.
    » Detti anche Saccati v. I. 151.
  =Boschetti= di Reggio. Loro discordia con quelli di
      Savignano v. II 80.
    » Erano capi di una fazione in Modena v. II. 80.
    Gherardino, morto in battaglia v. II. 140.
    Filippo. In missione a Parigi v. II. 155.
    Vescovo di Modena v. II 207.
  =Buoso, o Boso= di Dovara. Podestà di Reggio, v. I. 84.
    » Signore di Cremona v. I. 254.
    » Espulso da Cremona v. I. 317. v. II 7.
    » Smantellata la sua Rocchetta v. II. 11.
  =Botteri= Ugo. Arriva all'accampamento di Grola v. I. 99.
  =Boveri= Giacomo. Sua prodezza v. I. 13.
    » Case dei Boveri comprate da maestro Rolando v. II. 158.
  =Bovi= Rolandino. Minacciato da Barisello. v. I. 268.
  =Brancaleone= di Bologna v. I. 337.
  =Brandola=. È presa v. II. 9.
  =Brazzolo=. Ponte fatto dai Mantovani a Brazzolo v. II. 48.
    » Ponte asportato dalle acque, v. II. 51.
  =Brentori=. Credono santo un Alberto di Cremona v. II. 45.
  =Brescello=. Distrutto v. I. 84.
    » Il castello fabbricato dai Parmigiani v. I. 220.
    » Preso dal Pallavicino v. I. 326.
    » L'abbate del Monastero è ucciso v. II. 173.
  =Brescia=. Gran terremoto v. I. 9.
    » Assediata v. I. 65.
    » Passa il Conte di Fiandra v. I. 349.
    » Si ribella al Pallavicino v. II. 5.
    » Passa Corradino v. II. 8.
    » Fa pace coi Mantovani v. II. 48.
    » Fa una lega v. II. 83.
    » Suoi ambasciatori a Parma v. II. 210.
  =Bresciani=. Aiutano i Cremonesi v. I. 3.
    » Aiutano i Bolognesi v. I. 34.
    » Lottano contro Federico II v. I. 63 e seg.
    » Sono a Luzzara v. I. 84.
    » Corrono contro il Marchese di Monferrato v. II. 53.
  =Brianchon.= Vi si trova Salimbene v. I. 118.
  =Bricci=. Signori di Imola per la Chiesa v. I. 276.
  =Briga= Guido. Sua morte, v. II. 30.
  =Brina= dannosissima, v. I. 60. 330. v. II. 11.
  =Britti= Frati v. I. 151.
  =Britti= (dei) Castello v. II. 227.
  =Brizio= S. Vescovo punito v. II. 86.
  =Broletto= di Milano. Combattimento fra il popolo ed i
      Torriani v. II. 39.
  =Bruchi=. Quantità e guasti fatti v. II. 52.
  =Budelli= (dei) Egidio v. I. 236.
  =Buiolo= frate. Addetto alla Corte d'Innocenzo IV. v. I.
      209. 324.
  =Burigardo= prode maestro di milizia. Fatto Prigioniero
      v. II. 148.
    » Guido da Correggio lo conduce a Correggio ed a
      Castelnuovo di sotto v. II. 150.
    » Torna a Sassuolo, v. II. 151.
  =Busseto= Edificato da Uberto Pallavicino v. I. 229.
    » Distrutto dai Cremonesi v. I. 229.
  =Buzzola= Ugolino v. I. 262.
  =Buzzoli= (dei) Angelica. Terziaria dei Minori v. I. 177.
    Antonino v. II. 159.
    Giacomo. Terziario dei Minori v. I. 177.
    Mabilia. Terziaria dei Minori v. I. 177.


C

  =Cadeo=. I Parmigiani vi fabbricano un castello v. II. 48.
  =Cagli= v. I. 187.
    » Ruina per terremoto v. II. 44.
  =Calabria=. Arrivano di Calabria aiuti a Federico II
      v. I. 101.
    » Sua bellezza e ubertosità v. I. 233.
  =Calareso= Bartolomeo. Suo giudizio intorno a frate Giovanni
      da Parma v. I. 180.
  =Calcinato=. Preso. v. I. 64.
  =Calerno=. Predicazione fattavi. v. I. 47.
  =Callegari= famiglia. È loro bruciata la casa v. I. 82.
  =Camerino=. Subissato in gran parte. v. II. 44.
  =Campagnola=. v. I. 8
    » Prima messa celebrata nella sua chiesa. v. I. 11.
    » Giuliano da Sesso vi fu sepolto in un fosso. v. I. 219.
    » È presa v. I. 223.
  =Campana= del Comune di Parma. Fatta fare. v. II. 143.
    » Fatta rifare. v. II. 143.
    » Si rompe. v. II. 210.
    Della Cattedrale. Il Cardinale Gerardo Albo spende per
      farla fare. v. II. 160.
  =Campanile= del Duomo di Parma. v. II. 77.
  =Campeggine= Villa. Ghiberto da Gente vi fabbrica palazzi.
      v. I. 327.
    » Vi si distruggono le case di Ghiberto da Gente.
      v. II. 168.
    » I Da Gente ne sono espulsi. v. II. 168, 169.
    » Vi si distruggono le case e i seminati dei Da
      Gente. v. II. 168.
    » Pinotto da Gente vi è ucciso, v. II. 204.
  =Campiglio= (da) Bartolomeo. Morto in battaglia, v. II. 140.
  =Campigliola=, v. II. 18.
  =Campogalliano=. (di) Arciprete. Suo incontro con Salimbene
      v. I. 300.
    » Discussione con Salimbene v. I. 300, e seg.
  =Campo= di Mosa. Federico 2. vi fa impiccare militi
      Anconitani. v. I. 104.
  =Campora=. Torrente dov'è. v. II 199.
  =Campo= S. Giorgio in Verona. Ezzelino vi fa bruciare
      11000 Padovani v. I. 100, 260.
  =Canale= (da) Gerardo. Sommerso in mare. v. I. 104.
  =Cancellieri= (dei) Deto. Podestà di Reggio. v. II. 21.
  =Candele= Genovesi v. II. 93.
  =Canapa= (di) seme. Prezzo esorbitante, v. II. 48.
  =Canini= (dei) Corrado, v. II. 208.
    Guidotto. v. I. 275.
    Famiglia espulsa da Reggio. v. I. 82.
  =Canoli= (da) Manfredino. Morto in combattimento a Colorno
      v. I. 269.
  =Castello=. Preso e ricuperato v. I. 347.
  =Canonici= di Lucca v. I. 309.
      Non amano Vescovi che fossero prima frati v. II. 207.
  =Canossa=. Rocca. Da chi fatta costruire v. I. 338.
    (di) Alberto. Capitano v. I. 338.
      » Distrugge Canossa v. I. 388.
    Bonifacio. Tiene il castello di Canossa, v. I. 338.
      » Sua morte v. II. 26. 178.
      » Uno dei capi dell'esercito di quei di Gesso, v. II. 203.
      » Impedisce il saccheggio del convento di Monfalcone
        v. II 211.
    Guido. Ucciso v. II. 178. 204.
      » Suoi antenati v. II. 179.
    Ugolino. Ucciso, v. II. 194.
    Monaco. Apre le carceri di Reggio v. II. 196.
    Rolando. Corrompe Guido di Albareto v. II. 180.
    Alessandra v II. 209.
    Rolandino. Uno di quelli della città di sotto in Reggio
        v. II. 81.
      » Ambasciatore a Parma v. II. 82.
      » Accusato v. II. 179
      » Distruzione della sua casa v. II. 197.
      » Distruzione delle sue vigne v. II. 209.
      » Giura di non por più piede in Reggio v. II. 216.
    Scarabello. Parteggia per quei di sotto in Reggio v. II. 81.
      » Uccide Guido di Bibbianello v. II. 178.
  =Capaccio=. Castello. Assediato, restano prigionieri i
      Baroni Pugliesi ribelli, v. I. 83.
  =Capellini= Cremonesi. Signori in Cremona per la Chiesa
      v. I. 264.
  =Capitolo= generale in Assisi v. I. 41. v. II. 13.
  =Capriolo=. È preso dal Conte di Fiandra e ne uccide gli
      abitanti, v. I. 349.
  =Capua=. Se Carlo la occupa v. II. 3.
  =Carbonisi= (dei) Castellano. Podestà di Parma, v. I. 224.
  =Carentano= dei Carentani. Muore in battaglia v. II. 140.
  =Carestia= v I. 11. v. II. 22. 26. 41. 52.
  =Carlo= Figlio di Pipino v. I. 23. Angioino Re di Napoli.
    » Va col fratello in oriente v. I. 127.
    » Suo imbarco v. I. 131.
    » Sua moglie v. I. 137.
    » Capitano dei crociati di Parma v. I. 270.
    » Venuto in Italia passa il ponte di Ceprano e
      S. Germano v II. 3.
    » Sconfigge Manfredi v. II. 3.
    » Arriva un esercito francese ad aiutarlo v. II. 9.
    » Sua moglie arriva a Reggio d'Emilia v. II. 9.
    » Sua battaglia di Tagliacozzo v. II. 9.
    » Suoi titoli v. II. 72.
    » Re di Sicilia v. II. 10.
    » Si rende tributaria la Tunisia v. II. 20.
    » La Sicilia gli si ribella — Vespro Siciliano v. II. 54.
    » Gli arrivano soccorsi contro Re Pietro d'Aragona
      v. II. 58.
    » Va a Bordeaux pel duello con Re Pietro d'Aragona
      v. II. 64.
    » Sue gesta v. II. 162.
    » Muore a Foggia v. II. 127.
    » Visione d'una donna di Barletta che predice la
      sua morte v. II. 127.
    » Suo figlio prigioniero di Re Pietro d'Aragona
      v. II. 78, 155.
    » Sue qualità v. II. 162.
    Re Nipote di Carlo. Incoronato da Onorio, v. II. 129.
    Conte di Provenza v. I. 346.
  =Carni= porcine v. I. 11.
  =Caro= Alberto. Ucciso v. II. 18.
  =Carotto=. Ucciso v. II. 209.
  =Carpenetolo=. Preso, v. I. 64.
  =Carpi=. Guido e Matteo da Correggio coi messi del Marchese
      d'Este a congresso v. II. 150.
  =Carpigiani=. Non posson saper nulla di un'adunanza politica
      tenuta a Carpi v. II. 150.
  =Carpineti= (di) Prevosto. Uno dei capi di quei di Gesso,
      v. II. 203.
  =Carretto= (del) Marchese v. II. 8.
  =Carroccio= de' Bolognesi. I Modenesi volevano rapirlo
      v. I. 34.
    Dei Cremonesi. I Parmigiani lo prendono v. I. 108, 119.
      » È restituito v. II. 50.
    Dei Parmigiani. Difeso e salvato da un Boveri v. I. 13.
      » È perduto v. I. 223, 224.
      » È restituito v. II. 50.
  =Casa= del Salimbene. Dov'era v. I. 10.
  =Casalecchio= v. II. 133.
  =Casalmaggiore.= Incendiato dai Mantovani v. I. 102.
  =Casaleddo=. Castello v. I. 8.
    » È preso v. I. 64.
  =Casaloddo= (di) Alberto v. I. 8.
  =Casamatta=. Cascina devastata v. II. 186.
  =Caserta= (di) Conte Rizzardo v. I. 320.
    » Tradisce Manfredi v. II. 4.
    Contessa. Rimprovera Federico II. v. I. 181.
  =Cassio= (di) Bernardo di Gerardo v. I. 31.
    Gerardo v. I. 30.
    Gerardo di Gerardo v. I. 31.
    Giacomo di Ugo v. I. 31.
    Famiglia v. I. 31.
  =Cassone= della Torre. Entra in Milano e combattimento
      v. II. 39.
    » Va contro Crema v. II. 39.
    » Ucciso in battaglia v. II. 51.
  =Castello= (città di) Salimbene vi trova chi gli impone il
      nome v. I. 16.
  =Castello=. Di Jeres. Vi si trova Salimbene v. I. 170.
    Dei Britti v. II. 227
    Della Croce. Fabbricato dai Parmigiani v. II. 48.
    Franco. Predicazione che vi si fa v. I. 46.
      » Vi si incanala contro ad arte il Panaro v. I. 63.
    Di Gonzaga. Assediato dai Parmigiani v. I. 8.
      » Distrutto v. II. 42.
    Leone. Vi furono catturati molti Pavesi v. I. 3.
      » Predicazione fattavi v. I. 46.
      » Atterrata la torre, v. I. 65.
    Navone. Terminato dai Parmigiani v. II. 205.
    Nuovo di sotto. Guido da Correggio vi festeggia Burigardo
      v. II. 150.
    Nuovo piacentino. Assediato dai Parmigiani e Cremonesi
      v. II. 145.
    Di Piumazzo. Vi si conduce il carroccio dei Bolognesi
      v. I. 34.
    S. Arcangelo. I Bolognesi l'assediano v. I. 6.
    S. Cesario. Cinto d'assedio v. I. 12, 34.
    S. Felice. Vi è prigioniero Enrico di Federico II. v. I. 60.
    Di Torello. Sua costruzione, v. II. 146.
  =Castellarano.= È preso v. I. 323, 339.
  =Castella= (quattro) Gli abitanti fuggono dalle incursioni
      di quei di Gesso v. II. 198.
  =Catalogna.= Si fa leva di soldati v. II. 75.
  =Cavalcabò= Marchese v. I. 42.
    » Nega ai Reggiani un'indennità promessa v. II. 42.
  =Cavatrutta.= Ucciso, v. II. 45.
  =Cavaza= (da). Decapitato v. I. 327, 328.
  =Cavigliano.= Dov'è v. I. 84.
  =Cavriago.= Ricuperato dai Parmigiani v. I. 202.
  =Cavriana= (di) Famiglie. Fuggono dalle incursioni di quei
      di Sesso v. II. 198.
  =Cazaconte= Aldobrandino. Principe v. I. 320.
  =Cecco= Tosco. Capo di assassini v. II. 45.
  =Cedonico= S. Condotto in Francia da S. Massimino v. I. 171.
  =Celestino= IV Papa. Elezione e morte v. I. 78.
  =Cella= Villa. I Parmigiani vi fabbricano un castello
      v. II. 48.
  =Celle= di Cortona. Frate Elia vi si fabbrica un sontuoso
      alloggio. v. II. 236.
  =Cervia.= Parma si provvede di sale a quelle saline
      v. II. 105.
  =Cesena.= Quei di Cesena liberati dalle carceri v. I. 6.
    » Everardo Vescovo di Cesena, v. I. 294.
    » Vi si vuol uccidere Malatesta di Rimini v. II. 147.
  =Chambery.= Nelle vicinanze di Chambery frana di un monte
      intero v. I. 204.
  =Chiara= S. Sua canonizzazione v. I. 278, 332.
    » La prima volta che fu detta la messa di Santa Chiara
      v. I. 199.
  =Chiassi.= Fu città. Vi era il corpo di S. Apollinare
      v. II. 69.
  =Chiavari= Castello. Miracolo avvenuto a Chiavari, v. I. 39.
    » (di) Arduino v. II. 131.
  =Chierici=. Loro contese coi Regolari. v. I. 298
      sino al 310.
  =Chiesa= di S. Agata in Parma. Sepolcreto della famiglia
      del Salimbene v. I. 13.
    Di S. Alessio di Ferrara. Un canonico soffocato dal
      diavolo v. I. 309.
    Di S. Antonino v. II. 215.
    Di S. Barnaba in Reggio. Esposti i corpi di Rossello
      e Princivallo v. II. 30.
    Di S. Cecilia in Parma. Nelle sue vicinanze abita
      Barisello. v. I. 266.
    Di S. Cristina in Parma v. I. 109. 227.
    Dei Minori in Reggio. Fondata v. II. 141.
    Dei Minori in Parma. A che serve ora v. II. 175.
    Di S. Giorgio in Parma v. I. 31.
    Di S. Giorgio in Reggio. Miracoli di Alberto da Cremona
      v. II. 45.
    Di S. Giorgio di Ferrara v. I. 287.
    Di S. Gervaso in Parma. Nelle sue vicinanze è la
      casa di Guido Bovi v. I. 268.
    Di S. Giacomo in Reggio v. II. 141.
    Del Gesù in Reggio. Fondata v. I. 47.
    Di S. Giovanni Battista in Reggio. Miracoli v. II. 45
    Di S. Lorenzo in Reggio. Vi si conchiuse la pace v. I. 330.
    Di S. Leonardo in Reggio. Vi è sepolto Bonifacio
      di Canossa v. II. 26.
    Di S. Maria dei Templari in Parma v. II. 144.
    S. Maria Maggiore in Roma. Avviene la cattura di
      Gregorio VII. v. I. 237.
    S. Martino in Ravenna. Ov'era il corpo di Sant'Apollinare
      v. II. 69.
    S. Martino in Tours v. II. 52.
    Di S Alessio in Ferrara v. I. 309.
    Di S. Nicolò in Reggio v. II. 209.
    Di S. Paolo in Parma. Nelle vicinanze vi abitano quei
      da Colorno v. I. 274.
    Di S. Pietro in Parma. Si fa la devozione di S.
      Alberto brentore v. II. 45.
    Di S. Pietro Maggiore in Ravenna. Data ai Minori
      v. I. 292.
    Di S. Romano in Ferrara. Chiesa madre della diocesi,
      ma non della città v. I. 287.
    Di S. Salvatore in Ravenna v. II. 69.
    Di S. Sepolcro in Parma. Maestro Rolando Taverna
      vi fabbrica una cappella e il suo sepolcro. v. II. 158.
    Di S. Spirito in Reggio. Vi è sepolto Ugolino Fogliani
      v. II. 40.
    Di S. Tommaso in Parma. Ampliamento della via che
      vi conduce partendo dalla piazza nuova. v. II. 67.
    Di S. Vittorio in Vittoria. v. I. 99.
    Di S. Vitale presso Ravenna. Sepolcro di Paolo Traversari v.
      I. 70.
      » Il sacrista di S. Vitale narra al Salimbene come
        si comportò in Chiesa Pasquetta v. I. 75.
  =Chioggia=. Innondata dall'alta marea v. II. 108.
    » Vi è a confino Guido di Montefeltro v. I. 261.
  =Cingoli=. Ruina per Terremoto v. II. 44.
  =Cistercensi= di Fontevivo v. I. 335.
  =Civita= di Castello v. II. 84.
  =Civitanova=. l'Arciprete di Civitanova s'incontra con
      Salimbene e loro discussione, v. I. 300.
  =Clara= S. Canonizzazione. 278. 332.
    » La prima volta che si recita la messa di lei v. I. 199.
    Dei Conti di Lomello v. I. 271.
  =Claro=. Dottore illustre v. I. 298.
    » Predicatore celebre v. II. 108.
  =Clarello= frate portabandiera nella crociata contro
      Ezzelino v. I. 289.
  =Clemente= Antipapa v. I. 244.
    Papa IV. Visse pacificamente v. I. 12.
      » Eletto Pontefice v. I. 347.
      » Ebbe moglie e figli v. II. 9 10.
      » Sua morte v. II. 9.
      » Sua predizione sulla fine di Corradino v. II. 10.
      » Canonizza S. Edvige, o Edroiga. v. II. 10.
  =Clodoveo=. Visita della tomba di S. Marta a Tarascon.
      v. I. 172.
    » Dotò la chiesa di S. Marta. v. I. 172.
    » Fu Battezzato da S. Remigio. v. I. 172.
  =Clugny=. Magnifico monastero di Benedettini. v. I. 120.
  =Cocca=. famiglia. v. I. 14.
  =Code delle donne= Ordinanza di non portarle v. I. 73, 318.
  =Cò di Ponte= in Parma, alla sinistra del Torrente.
      Vi abitano i Marchesi Lupi. v. II. 166.
  =Collecchio= o Collecchiello. Segalello vi fa stranezze
      v. I. 154.
    » Bernardo di Rolando Rossi vi è ucciso, v. I. 203.
  =Collegio= de' Canonici di Mantova Annunziano al Papa
      l'assassinio del Vescovo. v. I. 61.
  =Colomba= (della) monastero v. I. 4.
  =Colombano= Beato. Sue reliquie v. I. 221.
  =Colonna= Giacomo Cardinale. Parente del Papa. v. I. 72.
    » Invita Giovanni da Parma alla Corte v. II. 109.
  =Colonne= del Duomo di Parma. v. II. 66.
  =Colorno= castello. Federico II medita di prenderlo.
      v. I. 266.
    » Da Colorno si devia il naviglio. v. II. 67.
    » Si fanno torri alla foce della Parma. v. II. 144.
  =Cometa=. Appare. v. I. 346.
    » Maravigliosa. v. II. 142.
    » Portentosi avvenimenti. v. II. 142, 170.
  =Como=. Dominio del Pallavicino. v. I. 228.
    » In un castello vi è prigione in gabbia all'esterno
      dell'alta torre Napo della Torre. v. II. 39.
  =Concilio= di S. Giovanni Laterano. v. I. 4.
    Di Lione. Depone Federico II. v. I. 79.
      » Federico II. vi invia ambasciatori. v. I. 106.
      » Sopprime i Saccati. v. I. 152.
      » Sopprime i così detti Apostoli, v. L. 158.
      » Vi intervengono Greci e Tartari. v II. 27.
      » Proibisce l'istituzione di nuove Religioni. v. II. 28.
      Di Ravenna. Provvede contro i Tartari. v. I. 298.
  =Consorzio= di S. Maria di Parma. Fondazione. v. I. 15, 330.
  =Conte= di Fiandra. Il Pallavicino gli vuol chiudere
      il passo v. I. 348, 349.
    » Arriva a Reggio colla moglie. v. II. 9.
    » Passa per Reggio coll'esercito. v. II. 21.
    Di Provenza. v. I. 136, 307.
      » I frati non ne ricevono il cadavere nella loro
        chiesa. v. I. 172, 307.
      » Dimora ad Aix. v. I. 171.
    Delle Romagne. Parteggia pe' Bolognesi. v. II. 49.
    Riccardo di Langosco. Podestà di Milano. v. II. 40.
  =Conti= Pisani. v. I. 277.
  =Contrada= in Pisa detta fondaco dei mercanti Parmigiani.
      v. I. 27.
  =Conventi= de' Minori. Ad Aix. v. I. 195.
    » a Rimini v. II. 112.
    » a Bologna v. I. 176.
    » a Parma. v. II. 160.
    » a Fano. v. I. 165.
    » a Lione. v. I. 134.
    » a Napoli. v. I. 176.
    » a Provins. v. I. 138.
    » a Siena v. I. 135.
    » a Ferrara. v. I. 274.
    » a Jeres. v. I. 194.
    » a Monfalcone. v. II. 211.
    » a Reggio. v. I. 337.
  =Copermio= Villa. v. II. 144.
  =Coppa= di Legno maravigliosa. v. I. 111.
  =Corona= di Federico II. v. I. 108.
    » Cortopasso la trova v. I. 108.
    » I Parmigiani la comprano.
      v. I. 109.
    » Quanto pagata. v. I. 227.
  =Cornazzani= (dei) Manfredo. v. I. 67.
    » Podestà di Reggio. v. I. 64.
    » Podestà di Lucca. v. I. 67.
    » Podestà di Parma. v. II. 146.
    » Ucciso a Borghetto di Taro in battaglia. v. I. 92.
    Bernardino. v. II. 173.
    Richeldina. v. II. 173.
    Pinchilina. v. II. 174.
    Famiglia. v. I. 269.
  =Cornetani=. Coi Lucchesi contro Pisa. v. II. 90.
  =Corneto=. Coi Fiorentini contro Pisa. v. II. 90.
  =Corniano= (di) Famiglie. Fuggono dalle incursioni di quei
      di Gesso. v. II. 198.
  =Corradini= (dei) Anselmo. v. II. 52.
    Comacio Ucciso. v. II. 52.
    Taddeo. Ucciso. v. II. 52.
  =Corradino=. Tenta di succedere nell'Impero. v. I. 232.
    » Ucciso da Carlo d'Anjou. v. I. 232.
    » Dato bugiardamente per morto. v. I. 332.
    » Arriva in Italia. v. II. 7.
    » Arriva a Roma. v. II. 11
    » Battaglia di Tagliacozzo e sua morte. v. II. 9.
    » Sue qualità. v. II. 7.
    » Prigioniero. v. II. 9.
    Del Bondeno. Martoriato. v. II. 208.
  =Corrado= d'Antiochia. Prigioniero. v. II. 9.
    Di Berceto. Assoggettato a tormenti. v. I. 103.
  =Corrado= (di) Giglino. Pone le fondamenta della chiesa dei
      Minori a Reggio. v. II. 141.
    Corradino. È del partito de' Reggiani di sotto. v. II 81.
      » Capo di ribaldi. v. II. 203.
    Ugo. Partigiano di quei di sotto in Reggio. v. II. 81.
  =Corrado= Re figlio d'una figlia di Re Giovanni. Arriva in
      Italia, v. I. 321
    » Succede a Federico 2. v. I. 232.
    » Distrugge Napoli, v. I. 322.
    » Terrore de' Religiosi in Germania, v. I. 291.
    » Arriva in Puglia, v. I. 321.
    » Si dice avvelenato, v. I. 322.
    » Gettate in mare le sue ceneri, v. I. 322.
  =Correggio= (da). Frigerio. v. I. 61.
    Gerardo. Podestà di Parma v. I. 92. v. II. 228.
      » Abbandona Federico 2. v I. 105.
      » Vende sue case in Parma, v. II. 158.
    Guido. Sposa Mabilia da Gente, v. I. 329.
      » Tenta pacificare Modena con Sassuolo, v. II. 149.
      » Libera Burigardo. v. II. 150.
      » Podestà eletto di Modena, v. II. 151.
      » Altera il testamento di Salvino Torriani. v. II. 219.
    Matteo. Ambasciatore a Reggio, v. II. 80. 81.
      » Portatore di Pace. v. II. 149.
      » Pacifica Modena con Sassuolo, v. II. 149.
      » Podestà di Padova, v. II. 171.
      » Rimprovera il Podestà di Modena, v. II. 218.
  =Corsica= (di) Vescovo. Espulso, v. I. 199.
  =Corte= bandita. In Ferrara, v. II. 57.
    In Parma. Durata quasi un mese. v. II. 57.
  =Cortenova.= Battaglia contro i Milanesi v. I. 66.
  =Cortogno= (di) Guerzo. Uccide Guido da Bibbianello
      v. II. 178.
  =Cortopasso.= Trova la corona di Federico II a Grola.
      v. I. 108.
    » La vende ai Parmigiani, v. I. 109.
  =Costamezzana.= Castello dei Pallavicini, v. I. 276.
    » Bartolo Tavernieri ferito vi si ritira, v. I. 92.
  =Costantino= Imperatore. Suo detto, v. II. 153.
  =Costantinopoli.= È ritolta ai Veneziani, v. I. 340.
  =Costanza.= Coronata Imperatrice, v. I. 7.
  =Costanza.= Si marita attempata, v. I. 22. 247.
    » Paternità e carattere, v. I. 246.
    » Contese col marito v. I. 247.
  =Coviolo.= Dimora di Manfredino di Guerzo. v. II. 179.
  =Crema.= Devastata, v. II. 21.
  =Cremona.= Vi è prigioniero il figlio del Doge di Venezia,
      v. I. 66.
    » Vi si impiccano militi Anconitani, v. I. 103.
    » Federico II da Vittoria fugge a Cremona, v. I. 119
    » Federico II vi abita, v. I. 203.
    » È suo Signore Re Enzo. v. I. 218.
    » Parmigiani tormentati a Cremona v. I. 224.
    » Signoria di Uberto Pallavicino. v. I. 228. 255.
    » Partiti dei Cappelletti e dei Barbarasi. v. I. 262.
    » È Podestà Uberto Pallavicino, v. I. 349.
    » Il Pallavicino ne perde la Signoria, v. II. 7.
    » Miracoli in Cremona, v. II. 45
    » Boso di Dovara spera di entrarvi, v. II. 53.
    » Si fa torneo in onore dei Parmigiani, v. II. 53. 54.
    » Si fa una lega. v. II. 83.
    » Ambasciatori di Cremona a Parma, v. II. 210.
  =Cremonella= frate a Fontevivo. v. I. 335.
    » Sua abilità nell'abradere le pergamene e pulirle, v. I. 336.
  =Cremonesi.= Aiutano i Pavesi, v. I. 3.
    » Vincono i Milanesi, v. I. 4.
    » Aiutati dai Reggiani, v. I. 7.
    » Vanno contro i Bolognesi, v. I. 13. 34.
    » Sono con Re Enzo a Quinzano. v. I. 97.
    » Perdono il carroccio, v. I. 108.
    » Abbandonano il Pallavicino, v. I. 317.
    » Fanno una concordia coi Piacentini, v. I. 323.
    » Prendono Ezzelino da Romano, v. I. 267. 339.
    » Giurano Guerra ad. Ezzelino da Romano, v. I. 339.
    » Non ammettono nel loro territorio i Flagellantisi. v. I. 342.
    » Abbandonano l'assedio della Rocchetta del Dovara. v. II. 7.
    » Devastano il Borghigiano, v. II. 8.
    » Vanno contro Malgrate, v. II. 21.
    » Vanno contro Bologna, v. II. 25
    » Vanno contro Faenza v. IL 28.
    » Impediscono l'interramento della Tagliata. v. II. 41, 42.
    » Sostengono che Alberto fa miracoli, v. II. 47.
    » Restituiscono il carroccio ai Parmigiani, v. II. 50.
    » Accorrono in aiuto di Lodi. v. II. 50.
    » Devastano l'agro di Soncino. v. II. 53.
    » Invocano soccorsi, v. II. 53.
    » Hanno Soncino per tradimento, v. II. 57.
    » Rapiscono il carroccio ai Milanesi, v. II. 145.
  =Crescenzio= frate. Eletto Generale de' Minori, v. I. 80.
  =Crespellano= villa, v. II. 133.
  =Crevalcore.= Assediato e preso da Federico II. v. I. 68.
  =Crostolo.= Fa inondazione v. I. 219.
    » Vi si getta, dai Reggiani un maestro che si fingeva stretto
      dalla fame. v. II. 184.
  =Crovara=, o Corvara, o Crevara. Avuta a patti, v. II. 8.
    » Assediata, v. II. 22.
    » Avuta a patti, v. II. 22.
  =Cuinis-Kan.= Imperatore dei Tartari. Riceve frate Giovanni
      di val di Carpine, v. I. 113.
    » Sua lettera al Papa. v. I. 113.


D

  =Dalla Torre= Cassone armato corre sopra Milano, v. II. 39.
    » Va verso Lodi. v. II. 39.
    Francesco. Ucciso, v. II. 39.
    Napoleone o Napo. _Vedi Napoleone._
  =Dallio.= Buffone della Corte di Federico II e sua risposta
      a Federico. v. I. 236.
  =Dallo= (quei di). Assediano Bismantova. v. II. 203
  =Dalmazia.= v. II. 116.
  =Damiata.= Occupata dai Crociati. v. I. 204.
    » Assediata. v. I. 7.
    » Restituita ai Saraceni. v. I. 222.
  =De-Angeli= Guido. Nipote e vicario di Ghiberto da Gente a
      Reggio. v. I. 338.
    » Spodestato. v. I. 338.
  =Decime.= Quistioni per le decime tra il clero secolare e
      regolare. v. I. 300 e seg.
  =Dego.= Capitano del popolo a Reggio. Sua rottura col clero
      per le decime. v. II. 49.
  =Denti= (dai) Raniero. Morto in battaglia. v. II. 140.
  =Derivazioni= (delle) libro di Uguccione. v. II. 258.
  =Desio.= Vi fu preso Napo della Torre. v. II. 39.
  =Diana= di Pietro Pagani. v. I. 263.
  =Diluvio.= v. II. 37.
  =Diotisalvi= frate. Suo motto. v. I. 54. 55.
  =Divoti= dei Minori. v. I. 177.
  =Divozione= dei flagellatisi. v. I. 169.
  =Doge= di Venezia. Sposa il mare coll'anello. v. II. 128
  =Domatolo= di Miano. Assessore del Podestà di Lucca.
      v. I. 67.
  =Domenico= S. Morte. v. I. 8.
    » Maestro Generale dei Predicatori. v. II. 137.
  =Donne= Parmigiane. Offerta d'una città d'argento alla
      B. Vergine. v. I. 101.
    » Bruciate. v. II. 45.
    » Maritate a Borgo S. Donnino. v. I. 267.
    Pisane. Vanno a Genova a visitare i loro prigionieri.
      v. II. 88.
    (delle) code. v. I. 73.
    (delle) veli. v. I. 73.
  =Donolina=, sorella di frate Ugo di Jeres. Morte, miracoli,
      qualità e catalessi, v. II. 113.
  =Donzella=. Moglie di Re Enzo. v. I. 199.
  =Dovaria= (di) Bosio. Signore di Cremona per l'Impero.
      v. I. 254.
    » Assediato nella sua Rocchetta. v. II. 7.
    » La sua Rocchetta è presa. v. II. 11.
    » Risiede a Soncino. v. II. 53.
  =Drudone= frate. Compagno di fra Giovanni da Parma in
      Grecia e sue qualità, v. I. 206. v. II. 112.
  =Duca d'Austria=. Sua morte. v. II. 9.


E

  =Eboli= (di) Marino. v. I. 320.
  =Ecclissi=. v. I 25. 67.
    Di luna. v. II. 108, 128.
    Di sole. v. II. 142.
      » Appare nella luna il segno della croce. v. II. 142.
  =Edvige= o Edroiga. Canonizzata. v. II. 10.
  =Egidio= Perugino. Suo detto. v. I. 89.
    » Sue qualità e morte. v. II. 117.
  Della Religione della SS. Trinità. Concorda i Roberti
      coi Fogliani. v. I. 330.
  =Eleazari= (degli) Schianca. Frate Gaudente. v. I. 344.
  =Elefante= di Federico II. v. I. 63.
  =Elefanti= d'Etiopia. v. I. 65.
  =Elena=. Nipote d'Innocenzo IV, moglie di Bartolo
      Tavernieri. v. II. 165.
  =Elia=. Ammette all'Ordine dei Minori il Salimbene.
      v. I. 17.
    » Si congratula con Salimbene. v. I. 22.
    » Scomunicato. v. II. 252.
    » Suoi costumi, difetti e colpe, v. II. 230 e seg.
    » Deposto da Ministro Generale. v. I. 67. v. II. 249.
    » Sua morte. v. II. 255.
    » Si fabbrica una sontuosa residenza. v. II. 247, 248.
    » Ha suoi paggi, cuoco e cavalli. v. II. 248.
  =Elisabetta= S.ª Canonizzata. v. I. 12.
    » Non è ricevuto il cadavere alla Chiesa dei Minori.
      v. I. 172, 307.
    Langravia. v. II. 153.
  =Eliseo= Beato. Reliquie portate a Parma da Salimbene.
      v. I. 294.
  =Emondo= S. Canonizzato. v. I. 79.
  =Enrico III= Imperatore. Entra in Roma. v. I. 237.
    » Occupa la Sicilia. v. I. 247.
    » Spoglia la Sicilia. v. I. 247.
    » Sua morte. v. I. 247.
    Fratello del Re di Castiglia. Sua morte. v. II. 9.
    Re di Danimarca. Affogato in mare. v. I. 322
    Da Bobbio. Va a Beaucaire domandando al Generale
      un lettore. v. I. 174.
    Pisano. Sue qualità. v. I. 85, 86.
      » Cantore e miniatore. v. I. 86.
      » Compone la musica per un inno di S. Francesco.
        v. I. 279.
    Figlio di Federico II imprigionato dal padre v. I. 60.
      » Sua morte. 60.
  =Enverardo= di Brescia. Prigioniero di Ezzelino. v. I. 294.
  =Enza= Torrente. v. I. 84.
    » Ponte sull'Enza costrutto dai Parmigiani. v. II. 143.
    » Due torri costrutte alla foce. v. II. 144.
  =Enzano=. Villa. v. II. 144.
  =Enzo= Re. Impedisce al vescovo di Reggio la residenza
      nell'episcopio. v. I. 80.
    » È alla Tagliata dell'Adda. v. I. 83.
    » Prigioniero, è liberato dai Parmigiani. v. I. 83.
    » Lascia Parma e va ad assediare Quinzano. v. I. 28.
    » S'accampa al Taro-morto. v. I. 97.
    » Prigioniero dei Bolognesi. v. I. 216. 228.
    » Re. Sua morte. v. II. 23.
    » Il Comune di Bologna gli fece i funerali. v. II. 23.
    » Fece fare la Scaloppia. v. I. 203.
    » Sue qualità. v. I. 216.
    » Un frate con accorgimento trova modo di cibarlo.
      v. I. 216.
  =Enzola= (degli) Aica. Maritata a Gherardino degli Arcili.
      v. II. 172.
    Bernardino. Fatto Cavalliere. v. II. 173.
      » Podestà di Perugia v. II. 173.
    Ghirardino. Perchè condannato ad una multa. v. II. 171.
      » Sue qualità. v. II. 171.
    Guido. v. II. 173.
    Guidolino. Sue qualità e cura degli ornati del duomo
      e del battistero. v. II. 172.
      » Sue limosine. v. II. 172.
    Guglielmo. v. II. 173.
    Ugo. Fatto Cavalliere. v. II. 173.
    Famiglia. v. II. 172. 173.
    Giacomo. Podestà di Modena. v. II. 103. 170.
      » Fatto Cavalliere sulla porta del battistero.
        v. II. 171.
      » Sua morte. v. II. 105.
    Matteo. Fatto Cavalliere. v. II. 173.
    Richeldina. Sue qualità. v. II. 174.
    Turclo. v. II. 173.
  =Episcopio= di Parma. Vi abitano vicino i Marsilii.
      v. I. 30.
    » Si fabbrica. v. I. 45.
  =Eremitani= frati. Ridotti ad un solo Ordine. v. I. 151.
    Di Cesena. Salvano il Malatesta di Rimini. v. II. 147.
  =Eremiti= Britti. v. I. 151.
    Di Favale. v. I. 151.
    Giambonitani. v. I. 151.
    Di S. Agostino. v. I. 151.
    Di S. Guglielmo v. I. 151.
  =Ermengarda=, Nonna di Salimbene. Sue qualità. v. I. 30.
  =Estensi=. Azzone. Si ribella. v. I. 68.
    » Assedia Ferrara. v. I. 69.
    » Coi Parmigiani fabbrica Brescello. v. I. 220.
    » Signore di Ferrara. v. I. 255.
    » Sposa Mabilia di Marchesopolo Pallavicini. v. I. 274.
    » Fa guerra ad Ezzelino. v. I. 339.
    » Fatto Cavalliere. v. II. 57.
    » Sue qualità. v. I. 274.
    Costanza. Moglie di Guglielmo Pallavicini. v. I. 271.
    Obizzo. Signore di Ferrara. v. I. 71. 255.
      » Suo carattere. v. I. 71. 72.
      » Ostaggio in Puglia muore. v. I. 255.
      » Lodovico di S. Bonifacio conte di Verona morendo
        gli affida i proprii figli. v. II. 60.
    Rainaldo. Ostaggio dell'Imperatore. v. I. 71.
      » Sua morte. v. I. 255.
    Il Marchese di Ferrara. Aiuta il partito della Chiesa
        di Modena. v. I. 346.
      » Manda in Germania per vedere se Federico II
        vive. v. II. 91.
      » S'adopera a pacificare i Modenesi. v. II. 150.
      » Morte di sua moglie. v. II. 219.
  =Ezzelino= da Romano. Fa prigioniero Ugo dei Roberti.
      v. I. 84.
    » Aiuta Federico II contro Parma. v. I. 99.
    » Prende Este. v. I. 220.
    » Sua efferatezza. v. I. 99.
    » Fa bruciare 11,000 Padovani. v. I. 100, 260.
    » Gli succede Mastino dalla Scala. v. I. 261.
    » È prigioniero dei Cremonesi. v. I. 267. 339.
    » Ha un colloquio con Gregorio di Montelungo.
      v. I. 285.
    » Filippo Arcivescovo di Ravenna bandisce contro
      lui una crociata. v. I. 287.
    » Fa prigioniero Filippo Arcivescovo di Ravenna. v. I. 385.
    » Alcuni evadono dalle carceri di Ezzelino. v. I. 293.
    » Non accetta un consiglio de' suoi e gli è fatale.
      v. I. 182.
    » Sua morte. v. I. 285. 339.


F

  =Fabbrico= Villa. v. I. 8.
  =Fabriano=. Ruina per terremoto. v. II. 44.
  =Faentini=. Spianano la fossa di Imola. v. I. 8.
    » Resistono a Federico II. v. I. 63.
  =Faenza=. Assediata. v. I. 77. 78.
    » Volpi nel Faentino. v. I. 95.
    » Assediata dai Bolognesi. v. II. 28.
    » I Signori di Faenza. v. I. 262.
    » I Lambertazzi ammessi, poi espulsi. v. I. 264.
    » Filippo Legato va al convento di Santa Chiara. v. I. 296.
    » Passano da Faenza milizie francesi. v. I. 348.
    » Discordie e ruina. v. II. 29.
    » Guido di Montefeltro sbaraglia i Bolognesi. v. II. 29.
    » È presa. v. I. 78.
  =Fagiuoli= di Fornovo. Arciprete ucciso. v. II. 208. 209.
  =Fame=. v. I. 3.
  =Fanano= Villa. Predicazione ivi fatta. v. I. 302.
  =Fano= Reggiano. v. I. 84
  =Fano= Romagnolo. Il padre di Salimbene vuole a casa il
      figlio che è nel convento di Fano. v. I. 17. 18.
  =Farfalloni=. I bruchi nati da loro fanno gran danno
      v. II. 106.
  =Farneto= (di) famiglie v. II. Fuggono per le incursioni di
      quei di Gesso. v. II. 198.
  =Fasanella= Castello. v. I. 320.
  =Fasso= di Parma. Frate. v. I. 67.
  =Fatebene= Frate. Va a Pinamonte di Mantova con gran
      pericolo. v. I. 318.
  =Fave= fresche per Natale. v. I. 205.
  =Fazio= o Facio Conte. Prigioniero de' Genovesi. v. II. 85.
  =Federico I=. Ne parla Merlino. v. I. 146.
    II. Sue qualità. v. I. 231. 5. 105.
      » Predizione di Gioachimo verificatasi in lui. v. I. 5.
      » Incoronazione. v. I. 7.
      » Scrive per far uscire Salimbene di convento. v. I. 17.
      » Nascita. v. I. 22.
      » Parma gli si ribella. v. I. 97.
      » Imprigiona suo figlio Enrico. v. I. 60.
      » Viene in Lombardia. v. I. 63.
      » Prende castella e assedia Brescia, v. I. 63 e seg.
      » Prende il carroccio ai Milanesi. v. I. 66.
      » Lo regala alla città di Roma che lo rifiuta. v. I. 66.
      » È scomunicato. v. I. 67.
      » Assedia Piumazzo e Crevalcore. v. I. 68.
      » Prende Ravenna. v. I. 70.
      » Prende Faenza. v. I. 78.
      » È deposto. v. I. 82.
      » S'avvia a Lione. v. I. 92.
      » Assedia Parma. v. I. 101.
      » Fa impiccare prigionieri di guerra. v. I. 102.
      » Messo in fuga dai Parmigiani perde Vittoria. 108.
      » Torna in Puglia. v. I. 110.
      » Rimproverato dalla Contessa di Caserta. v. I. 181.
      » Sua morte. v. I. 7, 77, 230.
      » Ammoglia Enzo suo figlio. v. I. 199.
      » Suoi infortunii. v. I. 226.
      » Sue stranezze. v. I. 232, 233.
      » Vaticinii di Merlino verificati in lui. v. I. 230.
      » Sua avarizia. v. I. 320.
      » Suoi figli. v. I. 348.
      » Disperde i nobili e Principi della Puglia. v. I. 319. 320.
      » Corre voce che soppraviva. v. I. 77. v. II. 91.
  =Felina=. È presa. v. I. 83.
  =Fenicola= S.ª Terra parmigiana di proprietà dell'Ordine
      di Pietro Peccatore. v. II. 24.
  =Ferrara=. Assediata tre mesi. v. I. 69.
    » Predicazione ivi fatta da Frate Bonaventura. v. I. 101.
    » Salimbene va a Ferrara. v. I. 222.
    » Signoria di Salinguerra. v. I. 255.
    » Bando di guerra ad Ezzelino. v. I. 287.
    » Arriva Innocenzo IV. v. I. 325.
    » Fa una lega. v. I. 339.
  =Ferrarello=. Uccide l'Arciprete di Caviano. v. II. 216.
  =Ferraresi=. Prendono Bondeno. v. I. 8.
    » Si arrendono e consegnano Salinguerra. v. I. 69.
    » Giurano guerra ad Ezzelino. v. I. 339.
    » Aiutano i Bolognesi contro Faenza. v. II. 29.
    » Aiutano i Parmigiani. v. I. 94.
  =Ferri= Villano. Sua beffa a Federico II. v. I. 237.
  =Fieschi= (dei) Guglielmo Cardinale. v. I. 279.
    » Loro Terre. v. II. 8.
  =Filangeri= Rizzardo. v. I. 320.
  =Filippo= Arcivescovo di Ravenna. Legato. v. I. 286.
    » Circoscrizione della sua Legazione. v. I. 286.
    » Aiuta Guglielmotto. v. I. 75.
    » Fa di casa sua Frate Vita. v. I. 89.
    » Bandisce Guerra ad Ezzelino. v. I. 288.
    » Vescovo di Ferrara. v. I. 287.
    » Aduna un Concilio per provveder soccorsi ai cristiani.
      v. I. 298.
    » Prende Padova. v. I. 288.
    » Prigioniero di Ezzelino. v. I. 293. 335.
    » Come evase dal Carcere. V. I. 293.
    » Va in Ispagna a studio di negromanzia. v. I. 286.
    » Studia a Parigi. v. I. 287.
    » Legato in Germania. v. I. 290.
    » Fugge da una città passando per un buco che era sotto
      l'imposta di una porta. v. I. 291.
    » Ha un figlio ed una figlia. v. I. 294.
    » Va ad un convento di suore. v. I. 295.
    Maestro Cancelliere di Parigi. v. I. 321.
    » Frate Enrico compone musica per lui. v. I. 87.
    Di Pistoia. Arcivescovo di Ravenna. v. I. 55.
    Re di Francia l'ardito. Passa per Reggio v. II. 20.
    » Predizione della sua morte v. II. 127.
    » Sua guerra in Ispagna. v. II. 155.
    » La sua salma trasportata a Parigi. v. II. 155.
  =Fior= d'oliva. v I. 40.
  =Fiorenzola.= Presso Fiorenzuola è ucciso il Marchese di
      Monferrato. v. I. 273.
  =Fiorentina= (Torre). Vi muore Federico II. v. I. 7. 230.
  =Fiorentini.= Sono sconfitti. v. I. 340.
    » Loro odii coi Pisani. v. II. 90.
  =Firenze.= Signoria ora di Guelfi, ora di Ghibellini.
      v. I. 277.
  =Fizaimone.= Frate Gaudente. v. I. 344.
  =Flagellantisi.= Principio della loro divozione. v. I. 341.
  =Flora= (di) Ordine. v. I. 138.
  =Foggia.= Vi muore Carlo d'Anjou. v. II. 127.
  =Fogliani= (dei) Bertolino. Fatto Cavalliere dal Conte
      d Artois. v. II. 58.
    Bonifacio. Sua morte. v. II. 18.
    Francesco. Della fazione di quei di sotto in Reggio. v. II. 81.
      » Va a Parma per armi. v. II. 198.
      » Uno de' capi dell'esercito di quei di Gesso. v. II. 203.
    Guglielmo, eletto vescovo. v. I. 80
      » Impedito di risedere nell'episcopio. v. I. 80.
      » Pacifica i Roberti coi Fogliari. v. I. 330.
      » Si rappacifica coi Reggiani. v. I. 330.
      » Vende il palazzo. v. I. 338.
      » Ospita Filippo Re di Francia. v. II. 20.
      » Elegge Rolando Rossi Capitano del popolo di Reggio.
        v. II. 42.
      » Suo accordo coi Reggiani per la quistione delle decime
        v. II. 51.
      » Sua morte e sue qualità. v. II. 65.
    Ugolino. Sua morte v. I. 11. v. II. 40.
    Matteo. Sua eredità. v. I. 70.
      » Del partito della città di sopra in Reggio. v. II. 81.
      » Signore di Reggio. v. II. 194.
    Nicolò. Prende Carpineti e Pacilo. v. II. 194.
    Paolo. v. I. 70.
    Il Prevosto di Carpineti, che è del partito di quei di sotto
        in Reggio v. II. 81.
    Tomaso. Sposa Traversaria Traversari. v. I. 70.
      » Signore di Ravenna. v. I. 262.
    Famiglia. Espulsa da Reggio. v. I. 82.
  =Folignati.= Vittoriosi contro i Perugini. v. II. 56.
  =Foligno.= Guerreggiato dai Perugini v. II. 56.
  =Fontana= (di) Adegherio. Famiglia spogliata. v. I. 72.
    » Espulso da Ferrara. v. I. 255.
    » Aiuta Salimbene nel matrimonio di Matolino. v. I. 310.
  =Fontanellato.= Vi soggiorna Gherardo da Canale. v. I. 105.
  =Fontanelle= (di) Monastero. v. II. 209.
  =Fontevivo.= v. I. 98. 157. 335.
  =Forcalquier= (di) Conti. v. II. 72.
  =Forlì.= Signoria di Guido di Montefeltro v. I. 261.
    » Vi è un vescovo nemico dei frati v. I. 307.
    » Martino IV tenta di prenderlo. v. II. 52.
    » Sottomessa. v. II. 63. 64.
  =Forlivesi.= Contro i Bolognesi. v. II. 29.
  =Fornovo.= Fagioli da Fornovo ucciso. v. II. 208. 209.
    Fornovo Lombardo preso dai Cremonesi. v. II. 43.
  =Fosse= di Parma a Porta S.ª Croce scavate. v. II. 145.
  =Fossola.= Presa di forza. v. II. 186.
  =Francesco= S. Sua morte. v. I. 10.
    » Sua canonizzazione. v. I. 12.
    » Traslazione del suo corpo. v. I. 41.
    » Riceve le stimmate. v. I. 100.
    » Figura il presepio di Betlemme. v. I. 189.
  =Francesi.= Si sollevano contro i Minori. v. I. 323.
    » Arrivano in Italia. v. I. 317.
    » Strage di loro in oriente. v. I. 81.
    » Loro qualità. v. II. 220. 221.
  =Frassinara.= Villa a cui si conduce un canale naviglio.
      v. II. 68.
  =Frati.= Britti. v. I. 151.
    Gaudenti. Loro istituzione. v. I. 344.
    Minori. Loro qualità. v. I. 168 e seg.
      » Loro antagonismo col clero secolare v. I. 298 e seg.
      » Loro questione coi Cistercensi. v. II. 188.
      » Gioachimo abbate allude a loro in una profezia. v. I. 162.
      » Opposizioni alla loro istituzione. v. I. 163.
      » Onorio IV toglie ai Minori la facoltà di confessare e
        predicare. v. II. 193.
      » Privilegio avuto da Gregorio. IX. v. I. 302.
      » Comprano a Reggio un palazzo. v. I. 338.
      » Frate Salimbene li giustifica. v. I. 306. e seg.
      » Fabbricano un refettorio a Parma v. II 66.
    del Martorano v. II. 175.
    di Parma. v. I. 155.
    di Reggio. Comprano case. v. II. 24.
    di Ravenna. v. II. 24.
    Saccati. v. I. 151.
    di S. Fenicola. v. II. 24.
    della Chartreuse. Vengono a Parma. v. II. 159.
  =Frignano.= Quelli del Frignano uccisi. v. I. 339.
    » Fanti e cavalli montanari l'invadono. v. II. 11. 12.
  =Frumento.= Prezzo. v. I. 6. 339. v. II. 42.
  =Fulconi= (dei) Pietro. Concorda i Reggiani tra loro.
      v. I. 348.
    » Allontanato dalla Corte del Papa v. II. 31.


G

  =Gabriele= di Cremona. Egregie sue qualità. v. I. 122.
  =Gainago.= Il Cronista Salimbene vi ha sue possessioni.
      v. II. 54. 67.
  =Gaio= Guido. Sua casa è sede della Capitaneria di Reggio.
      v. II. 43.
  =Galera= (di) Ponte. Costrutto v. II. 66.
  =Galla= Placidia Pagani v. I. 263.
  =Galla= Placidia Imperatrice ha eretto un convento a
      Ravenna. v. I. 315.
  =Galline= (di) morìa. v. II. 177.
  =Galluzzi= (dei) Arriguccio. Muore v. II. 30.
  =Galvano= Conte. Sua morte v. II. 3.
    » Molto influente a Corte. v. II. 4.
  =Gambalone.= Scavato. v. II. 68.
  =Gàmbara= Castello. Preso. v. I. 64.
  =Gap.= Patria di Burigardo. v. II. 148.
  =Garfagnana.= Dov'è, e castelli tolti al Vescovo di Lucca.
      v. I. 193.
  =Garsendino.= Vescovo di Ferrara. v. I. 287.
  =Garsendonio= Lupicini. Dà moglie a suo figlio una Fogliani.
      v. II 81.
  =Gattaiola= (di) Badessa. Provoca Lucca contro i Minori.
      v. I. 40. 41.
  =Gatti= (dei) morìa, v. II. 169.
  =Gennari= Guidolino. Compagno di F. Giovanni da Parma
      e sue qualità. v. II. 111.
  =Genova=. Assalita dai Pisani. v. II 85.
    » Salimbene va a Genova. v. I. 193.
    » Nozze illustri e fastose. v. I. 323.
    » Due volte sconfigge i Pisani. v. II. 140.
  =Gente= (da) Aldessona. Moglie di Lombardino. v. II. 169.
    Aica. Moglie di Gherardo Rossi. v. II. 169.
    Beretta. Sue esimie qualità. v. I. 43.
    Gibertino. Uccide Pinotto da Gente. v. II. 204.
    Giberto. Accusa Obizzo Sanvitali. v. I. 37.
      » Figlio di Gigliolo. v. I. 43.
      » Si batte a Borghetto di Taro. v. I. 92.
      » Signoreggia Parma. v. I. 254.
      » S'atterrano le sue case a Campeggine. v. I. 327.
      » Riceve il Vescovo di Reggio. v. I. 330.
      » Podestà di Reggio. v. I. 338.
      » Spodestato. v. I. 338.
      » È ucciso suo figlio. v. I. 337.
      » I beccai lo fanno signore di Parma. v. I. 328.
      » Falsifica le monete. v. I. 328.
      » Sua morte. v. I. 329.
      » I suoi figli e nipoti sono cacciati da Campeggine.
        v. II. 164.
    Giliolo. Podestà di Reggio. v. I. 43.
      » Suo detto. v. I. 43.
    Guido. Eletto Podestà di Reggio. v. I. 330, 337.
      » Sua morte. v. I. 337.
    Lombardino. Marito d'Aldessona fatto Cavalliere. v.
        II. 169.
    Mabilia. Si marita con Guido da Correggio. v. I. 329.
        v. II. 169.
    Manfredo. Marito d'una sorella di Salimbene. v. I. 43.
    Pino o Pinotto. Fa uccidere la moglie. v. II. 168.
    Pino o Pinotto. Sposa una donna voluta da suo padre.
        v. II. 167.
      » Si atterrano sue case a Campeggine. v. II. 168.
      » È ucciso. v. II. 204.
    Tedaldo. v. I. 48.
    Guglielmino. Uccide Pinotto da Gente. v. II. 204.
    Famiglia, perchè detta da Gente. v. I. 43.
  =Geo=. Castello. Preso. v. I. 64.
  =Gerardino= da S. Giovanni in Persiceto. Suo colloquio con
      Uberto Pallavicini. v. II. 12.
    Da Parma. Consiglia Salimbene a non seguir Gioachimo.
      v. I. 325.
    Da Borgo S. Donnino. Gioachimita. v. I. 138.
      » Va a studio a Parigi. v. I. 140.
      » Pubblica un libello. v. I. 140.
      » Muore scomunicato. v. I. 140.
      » Un suo libro frivolo. v. I. 337.
      » Sue qualità. v. I. 337.
  =Gerardo=. Prete scostumato. v. I. 299.
    Conte di Pisa. Sua morte. v. II. 9.
    Banchiere. Libera di prigione un Legato. v. I. 293.
    Da Prato. Va in Tartaria ambasciatore. v. I. 116. 191.
    Delle Quattro Castella. v. II. 156.
    De' Rozzi. Sua predizione. v I. 165
    Da Modena. Sue imposture di miracoli. v. II. 157.
  =Geremei= di Bologna del partito della Chiesa. v. I. 264.
    » Non vogliono andare a' danni di Modena. v. II. 25.
  =Germano=. S. (di) corpo. v. I. 121.
  =Gerusalemme=. v. I. 3.
  =Gesso=, Castello. v. II. 59.
    (di) Bernardo. In casa sua abita Lodovico conte di
        S. Bonifazio. v. II. 59.
      » Signore di Timberga. v. II. 214.
    (di) quelli. Devastano il territorio reggiano e commettono
        atrocità. v. II. 212. 213.
  =Gherro= (di) Enrico. Uno de' capi di quei di Gesso.
      v. II. 203.
  =Ghiaia= della Parma. Vi si impiccano prigionieri di guerra.
      v. I. 102.
    Del Taro. Vi s'incatenano moltissimi Parmigiani.
      v. I. 224.
  =Ghibellini=, così detti in Toscana. v. I. 277.
    Assediati a Poggibonzi. v. II. 6.
  =Ghiberto= Antipapa. v. I. 237.
  =Ghirardino= di Nazario. Podestà di Reggio. v. I. 40.
    » Sua immagine a basso rilievo. v. I. 40.
  =Ghisalecchio=. Castello. v. I. 273.
  =Giacomino= di Beneceto. v. II. 174.
    Di Berceto. Compagno di Giovanni da Parma e sue
      qualità. v. II. 112.
    Di Cassio. Consanguineo di Salimbene. v. I. 234.
      » Sue imposture di miracoli. v. II. 157.
    Da Porto. Frate, confessa Giacomo Enzola. v. II. 171.
  =Giacomo= di Bernardo. Non vuol moglie una figlia
      dell'Arcivescovo
    di Ravenna. v. I. 294.
    Di Canossa. v. I. 338.
    Boveri. Suo atto di coraggio. v. I. 13.
    Di Iseo. Nega l'assoluzione ad una Badessa. v. I. 41.
      » Guarito per miracolo. v. I. 41.
    Di Maluso. Assessore del Podestà di Lucca. v. I. 67.
    Da Palù. Sua morte. v. I. 10.
    Di Pavia. Frate, è cacciato dal convento di Modena.
      v. I. 218.
    Di Brescello. Frate, è cacciato dal convento di Modena.
      v. I. 218.
  =Giacopello=. Uccide l'Arciprete di Caviano. v. II. 216.
  =Giliolo= da Marano. Podestà di Reggio. v. II. 42.
    Di donna Agnese. Podestà di Reggio. v. I. 43.
  =Gioachimo=. Sua predizione per Federico II. v. I. 5.
    » Predizioni intorno a Pontefici. v. I. 12.
    » Salimbene è seguace di Gioachimo. v. I. 132.
    » Amico di Enrico VI. Imperatore. v. I. 248.
    » Sue profezie. v. I. 321.
    » Sua esposizione dell'Apocalisse. v. I. 321.
    » Predizioni intorno ai Predicatori, Minori, clero
      secolare. v. I. 162.
    » Opuscolo contro Pietro Lombardo. v. I. 141.
    » Sue qualità. v. I. 143. 144.
    » Interpretazioni sugli Evangelisti. v. I. 170.
    » Predice l'istituzione de' Predicatori e Minori.
      v. I. 170.
  =Giovanetto=. Maestro Maggiore de' Predicatori. v. II. 137.
    Frate Minore. v. II. 240.
  =Giovanni= XXI. Invia missione in Tartaria. v. I. 116.
    » Sua dottrina. v. I. 182.
    » Sua elezione. v. II. 38.
    » Muore sotto la ruina d'una volta. v. I. 183. v. II.
      38. 40.
    Re. Rimprovera Federico II. v. I. 23.
      » Si fa frate. v. I. 24.
    di Bibbiano. Frate espulso da Modena. v. I. 218.
    di Bondeno. Canonico scostumato. v. I. 309.
    di Bologna. v. I. 46.
    il Buono. v. I. 151.
    da Procida. Cortigiano di Manfredi. v. II. 4.
      » Avvelena Corrado. v. III. 4.
    di Carpineti. Frate, il conte d'Artois vuol vederlo.
        v. II. 62.
    di Castelvetro. Manda Salimbene a distogliere Giovanni
    da Parma dal seguire i Gioachimiti. v. I. 182.
    di Donna Rifida. Eletto Vescovo. v. I. 42.
      » Spogliato del Vescovado. v. I. 37.
    da Parma. Frate, va al Concilio di Lione. v. I. 81.
      » Eletto Ministro Generale. v. I. 84. 188.
      » Non vuol moltiplicare le leggi, e perchè. v. I. 179.
      » Vuol dar esso licenza ai frati di predicare. v. I. 126.
      » Parla al cospetto del Re di Francia. v. I. 128.
      » Sua umiltà. v. I. 129. 186.
      » Parla al Corpo Universitario di Parigi. v. I. 178.
      » Lettera di ammissione data ai Terziarii. v. I. 177.
      » Amico di frate Ugo di Jeres. v. I. 132.
      » Suo carattere e sua dottrina. v. I. 175.
      » È avversato perchè Gioachimita. v. I. 180.
      » Si dimette da Ministro Generale. v. I. 189.
      » Si ritira a Greccio. v. I. 182.
      » Va in Grecia. v. I. 183.
      » Suoi compagni. v. II. 109 e seg.
      » Ritorna dalla visita di tutti i conventi. v. I. 172.
      » Detto Giovannino da S. Lazzaro. v. I. 175.
      » Si voleva farlo Cardinale. v. I. 183.
      » Il Re di Francia lo venera. v. I. 183.
      » Onorato dal Re d'Inghilterra. v. I. 184.
      » Ha detrattori ed ammiratori. v. I. 180. 183.
      » Designa il suo successore nel Generalato. v. I. 189.
      » Vuol seco a tavola gli umili fraticelli. v. I. 186.
      » Uccelli selvatici che covano sotto il suo tavolo.
        v. I. 189.
  =Giordano= Cardinale. Di poca dottrina. v. I. 73.
    Conte. Sua morte. v. II. 4.
      » Cortigiano di Manfredi. v. II. 4.
    Maestro Generale de' Predicatori. v. II. 137.
  =Giovannino= dalle Olle. Ad Arles domanda al Generale
      l'aureola. v. I. 191.
    » Va in Affrica. v. I. 196.
    » Morte, qualità e miracoli. v. I. 197.
    Pigolino di Parma. v. I. 142.
    Di Reggio. Dottor fisico. v. II. 177.
  =Girona=. Vi muore il Re di Francia. v. II. 155.
  =Giuliano= da Sesso. Maestro in leggi e atroce. v. I. 218.
  =Giaratto=. Fatto prigioniero a Grola. v. I. 224.
  =Giutto=. Frate. v. I. 157.
  =Gogo= Rolandino. Morto in battaglia a Colorno. v. I. 269.
  =Gonzaga=. Assediata dai Reggiani. v. I. 8.
    » Distrutta dai Mantovani. v. II. 42.
  =Gorgona=. Isola o scoglio. v. II. 86.
  =Gorgonzola=. È presa. v. I. 83.
    » Re Enzo restatovi prigioniero è liberato dai Parmigiani.
      v. I. 83.
  =Gorzano=. Castello distrutto. v. I. 347.
  =Gorzano= (di) Tomaso. È ucciso. v. I. 346.
    » Prende Bismantova. v. II. 43.
    Famiglia Cacciata da Modena. v. I. 346.
      » È loro dato Monte Valerio. v. II. 5.
  =Gottolengo=. È preso. v. I. 64.
  =Governolo=. Navi che vi passano sul Po costrette a salire
      il Mincio sino a Mantova. v. II. 17.
  =Gradenigo= Marco. Podestà di Reggio deposto. v. I. 347.
  =Gramignazzo=. Vi si catturano barche mantovane. v. I. 84.
  =Grassoni= (dei) Raimonduccio. Morto in battaglia.
      v. II. 140.
    Grassone. Impiccato. v. II. 218.
    Famiglia. Lascia Modena. v. II. 78.
  =Grazia=. Vescovo. v. I 42.
  =Greccio=. Romitaggio di Giovanni da Parma. v. I. 189.
  =Greci=. Scomunicati per le loro opinioni intorno allo
      Spirito Santo. v. I. 12.
  =Grecia=. Il suo Re invita Giovanni da Parma. v. I. 209.
  =Gregorio= VII. Eletto Papa. v. I. 237.
    » Amico della Contessa Matilde e sue qualità. v. I. 244.
    » IX. Scomunica i Greci. v. I. 12.
    » Eletto Papa. v. I. 11.
    » Dà privilegi ai Minori. v. I. 302.
    » Scomunica Federico II. v. I. 228.
    » Sua morte. v. I. 78.
    » X. Eletto Papa. v. II. 23.
    » Sopprime i Saccati. v. I. 152.
    » Riprova la Congregazione di Segalello. v. I. 154.
    » Sopprime la Congregazione di Segalello. v. I. 153.
    » Uso del denaro raccolto per le Crociate. v. I. 319.
    » Suo concilio a Lione. v. II. 27.
    » Sua morte. v. II. 27. 31.
    » Depone Prelati avari. v. II. 31.
    » Arriva a Reggio. v. II. 26. 31.
    » Fissa norme per l'elezione de' Papi. v. II. 35.
    Di Montelungo. Legato in Lombardia. v. I. 29. 282.
      » Arriva a Parma. v. I. 99.
      » È a Parma per l'assedio di Federico II. v. I. 99.
      » Sue astuzie. v. I. 283.
      » Guida i Parmigiani a battaglia. v. I. 109.
      » Suo corvo parlante dato a pegno. v. I. 284.
      » Patriarca di Aquileia. v. I. 285.
      » Tentato di aderire all'Impero. v. I. 283. 284.
      » Aveva concubine. v. I. 285.
    Romano. Vescovo morto eretico. v. I. 42.
  =Grelone= Giovanni. v. I. 15.
  =Greloni= Famiglia. v. I. 15.
  =Grenoble.= Vi passa Salimbene che visita una gran frana.
      v. I. 204. 207.
  =Grenoni.= Da non confondere coi Greloni. v. I. 15.
  =Grillo= (dei) Giovanni. Siniscalco del Re d'Inghilterra.
      v. II. 75.
  =Grimaldi.= Partigiani della Chiesa, sta contro loro
      Uberto Spinola. v. II. 141.
  =Groia.= Federico II vi fabbrica Vittoria e conia moneta.
      v. I. 99.
  =Grondola= Castello. I Parmigiani vi fanno una torre.
      v. II. 144.
  =Gruamonte.= Frate Gaudente. v. I. 344.
  =Gualengo= Gherardino, frate. v. I. 263.
  =Gualterio.= Conte di Manopello ucciso da Federico II.
      v. I. 320.
    Frate Inglese. Compagno di Giovanni da Parma. Vescovo e sue
      qualità. v. II. 110.
  =Gualterotto.= v. I. 23.
  =Guardasone.= Ricuperato dai Parmigiani. v. I. 202.
  =Guascogna.= Vi sono Luogotenenti Inglesi. v. II. 75.
  =Guastalla.= Bloccata. v. I. 84.
    » Passa Rizzardo di S. Bonifazio conte. v. I. 98.
    » Perduta e ricuperata. v. II. 40.
  =Guazzatola= de' Cavalli in Parma. v. I. 109.
  =Guelfi.= Partigiani della Chiesa. v. I. 277.
  =Guercio= o Guerzo (di) Manfredino. Parteggia per quei di
      sotto in Reggio. v. II. 81.
    » Uno dei Capi di quei di Gesso. v. II. 203.
    » Si ruinano le sue case. v. II. 197.
  =Guglielmino= di Gattatico (maestro). Muore. v. I. 305.
  =Guglielmo= Cardinale. Fa confessione pubblica. v. I. 325.
    » Vescovo di Modena. v. I. 46.
    di Britto. v. I. 134.
    da Buzea. Guardiano parziale co' frati. v. I. 185.
    Biancardo. v. I. 209.
    di Gattatico ostile ai Minori. v. I. 305.
    di Berceto. v. II. 131.
    Frate de' Predicatori. Predica a Vienna e sue qualità.
      v. I. 133. 134.
    di Canossa. v. II. 43.
    Vescovo di Reggio. Contende per le decime. v. II. 49
    Re d'Olanda. Eletto Imperatore. v. I. 232. 233.
    di Piemonte, frate. v. I. 198.
    di Pertuis. Sua morte. v. I. 196.
    Ministro di Borgogna. Interrogato intorno alla frana di
      Grenoble. v. I. 204.
    del Santo Amore. Fa un opuscolo contro i frati questuanti.
      v. I. 178.
      » Provoca l'ira dell'Università di Parigi. v. I. 178.
      » Espulso dalla Francia. v. I. 179.
    Romano. Vescovo di Parma scomunicato. v. I. 42.
    Maestro. Compila una somma. v. I 121.
      » Predica. v. I. 133.
    Marchese di Monferrato. Lotta con Uberto Pallavicino.
        v. I. 272.
      » Sua figlia chiesta per moglie. v. II. 102.
      » Lotta contro il Vescovo di Tortona. v. II. 103.
      » Lotta contro i Milanesi. v. II. 138.
    Re di Sicilia. Padre dell'Imperatrice Costanza. v. I. 237. 246.
      » Morendo comanda ai figli di non maritare Costanza.
        v. I. 246.
  =Guglielmotto.= Arriva a Ravenna. v. I. 75.
    » Spogliato di tutto torna in Puglia. v. I. 76. 262.
  =Guidi= di Reggio. Capifazione in Modena. v. II. 80.
  =Guidi= (dei) Bonifacio. Fratello dell'Arciprete di
      Cittanova. v. I. 300.
  =Guido.= Eletto Vescovo di Modena, ma non confermato.
      v. II. 207.
  =Guidizzolo.= v. I. 64.
  =Guido= di Bibbianello. Ucciso. v. II. 178. 204.
    » Sue qualità. v. II. 181.
    Conte di Montefeltro. Signore di Forlì. v. I. 261.
      » Capitano. v. I. 261.
      » Riceve Sinigallia tradita, e vi fa uccidere 1500 persone.
        v. II. 51.
      » Confinato a Chioggia, poi in Asti e sue qualità. v. II. 64.
    Guido di Reggio. v. I. 7.
    Guido di Massaria. v. II. 118.
  =Guidolino= Ferrarese. Frate che cambia di Ordine.
      v. II. 189.
  =Guidotto.= Vescovo di Mantova ucciso. v. I. 61.
  =Guiscardo= Normanno. Aiuta Gregorio VII. v. I. 237.
    » Ottiene in feudo la Puglia. v. I. 245.
    » Conquista la Sicilia. v. I. 246.
    » Origine della dinastia de' Normanni. v. I. 246.
  =Guiscolo=, frate di Parma. Suo detto. v. I. 125.
  =Guiscolo= Gioachimita e sue qualità. v. I. 138.
    » Va a Sens. v. I. 140.
    » Compagno di Giovanni da Parma. v. II. 111.


I

  =Idria= creduta delle nozze di Cana. v. I. 220.
  =Ilario= S. Paese. v. I. 47.
  =Ildebrando.= Priore del convento di Cluny. v. I. 208.
    » Eletto Papa. v. I. 237.
  =Illuminato.= Segretario di frate Elia. v. I. 17.
    » Si fa flagellare. v. II. 176.
  =Imelda.= Madre di Salimbene. v. I. 31.
  =Imola.= Appianate le fosse. v. I. 8.
    » Fazioni in Imola. v. I. 276.
    » Signoria dei Nurduli e Binicli. v. I. 263.
  =Imperatore= di Costantinopoli. Arriva a Reggio. v. II. 17.
  =Imperatrice= moglie di Federico II incoronata. v. I. 7.
  =Indusiati= (degli) Albertino. Atterrate le sue case.
      v. II. 197.
    Guido. Costretto ad assistere ai tormenti del figlio.
      v. II. 208.
    Scalfino. Messo in prigione e tormentato. v. II. 57.
  =Infonditi= (degli) Rosso. Tradisce Soncino per 400 lire
      imperiali. v. II. 57.
  =Inglesi.= Amanti di ber vino. v. I. 125.
  =Iniquità= (di) Uberto. Signore di Piacenza. v. I. 254.
    » Podestà di Piacenza. v. I. 323.
  =Innocenzo= III. Sua morte. v. I. 4.
    » Depone Ottone. v. I. 5.
    » Esalta Federico II. v. I. 5.
    » Approva l'Ordine minoritico. v. I. 168.
    » Fa preti i dodici compagni di S. Francesco. v. I. 168.
    » IV. Lotta coi Principi. v. I. 12.
    » Canonico di Parma. v. I. 35. 78.
    » Conferma, poi ritira l'elezione a Badessa di una sua nipote.
      v. I. 89.
    » Dichiara Ferrara città della Chiesa. v. I. 69. 325.
    » Predica a Ferrara. v. I. 69.
    » Eletto Papa. v. I. 78.
    » Fugge a Lione. v. I. 79.
    » Depone Federico II. v. I. 82.
    » Riceve i messi di Federico II. v. I. 106.
    » Manda ambasciatori ai Tartari. v. I. 111.
    » Riceve un'ambasciata dei Greci. v. I. 205.
    » Va a Genova. v. I. 323.
    » In morte. v. I. 331.
    » Nozze d'una sua nipote a Genova. v. I. 323.
    » È a Napoli. v. I. 331.
    » Sua morte v. I. 331.
    » Invia emissarii in Puglia per toglierla a Federico II.
      v. I. 201.
    » V. Elezione e morte. v. II. 37.
  =Inverno.= Caldo. v. I. 11. 348.
    » Tanto freddo che gela il Po. v. I. 6.
  =Irtace= Re. Sposa una suora, v. I. 159.
    » Uccide S. Matteo e brucia un convento. v. I. 159.


J

  =Jeres.= Vi si trova Salimbene. v. I. 131. 142.
    » Clima. v. I. 194. 195.
    » Saline. v. I. 137.
  =Jesi.= Vi è nato Federico II. v. I. 22. 247.
  =Jocellino.= Frate Inglese letterato. v. I. 174.
    » Compagno di frate Stefano. v. I. 174.


L

  =Lambertazzi.= Espulsi da Bologna vanno a Faenza. v. I. 264.
    » Espulsi. v. I. 290.
    » Pace fatta col partito della Chiesa. v. II. 45.
    » Espulsi di nuovo. v. II. 28.
    » Bruciate da' nemici le loro case. v. II. 48.
  =Lamberteschi= (dei) Lambertesco. Podestà di Reggio.
      v. I. 78.
  =Lambertini= (dei) Pietro. v. I. 72.
    Guglielmo. v. II. 45.
    Ugolino. Frate Gaudente. v. I. 344.
  =Lancia= Conte. Cortigiano di Re Manfredi. v. II. 4.
    Marchese di Piemonte. v. I. 320.
  =Landasio.= Castello Pallavicini. v. I. 273.
  =Lanerio.= Frate Guardiano. v. I. 209.
  =Lanfredo= Bernardo. Podestà di Reggio. v. II. 62.
    » Sua negligenza. v. II. 62.
    » Capitano del popolo di Parma. v. II. 63.
  =Langosco= (di) Conte Riccardo. Podestà di Milano.
      v. II. 40.
  =Langravio= di Turingia. La sua elezione favorita dal
      Papa. v. I. 79. 232.
    » Eletto Imperatore. v. I. 333.
  =Lanzavecchia.= Signore d'Alessandria. v. I. 254.
  =Latino= Cardinale. v. I. 72.
    » Sua ordinanza per le vesti delle donne. v. I. 73. 318.
    » Pacifica Bolognesi e Romagnoli. v. II. 43.
    » Scomunica i Parmigiani. v. II. 44. 45.
    » Legato. v. I. 317.
  =Lavagna= (di) Guglielmo Cardinale. Fa costruire un
      convento. v. I. 37.
    Obizzo. Vescovo di Parma. v. I. 35.
    Terra. v. I. 37.
  =Lazzaro= S. Condotto in Francia da S. Massimino. v. I. 171.
    » Vescovo di Marsiglia. v. I. 171. v. II. 70.
    Villa del parmigiano. v. I. 175.
  =Leccaterra= (di) Neri. Ucciso in guerra. v. II. 140.
    » Incendia una chiesa. v. II. 154.
  =Leggenda= del B. Francesco. v. I. 80.
  =Lendinara.= v. II. 59.
  =Leone= Frate Minore. v. I. 48.
    » Arcivescovo. v. I. 48.
  =Leoni= del Duomo di Parma. Quando fatti. v. II. 66.
  =Lesnardo= di Crema. Fatto prigioniero. v. II. 148.
  =Lettera= dell'Imperatore dei Tartari. v. I. 113.
    Di ammissione fra i divoti dei Minori. v. I. 177.
  =Lione.= Arriva Salimbene. v. I. 29.
    » Innocenzo IV. fugge a Lione. v. I. 79.
    » Federico II. vuol andare su Lione. v. I. 92.
    » Pier delle Vigne inviato a Lione. v. I. 106.
    » Innocenzo IV. lascia Lione. v. I. 323.
  =Livizzano= (di) Nevo. Morto in battaglia. v. II. 140.
    Nordulo. Morto in battaglia. v. II. 140.
  =Lodi.= Signoria del Pallavicino. v. I. 228.
    » I Milanesi entrano in Lodi. v. I. 326.
    » Cassone della Torre va sopra Lodi e la prende. v. II. 39. 42.
    » Si pacifica coi Milanesi. v. II. 43.
  =Lodigiani.= Aiutati da Parma e Cremona. v. II. 50.
  =Lodovico= S. Re di Francia. Fra Giovanni da Magione
      va da S. Lodovico. v. I. 117.
    » Arriva a Sens. v. I. 126.
    » Ricevimento fattogli. v. I. 126. 127.
    » Gli è offerto un luccio. v. I. 127.
    » Alloggia presso i Minori. v. I. 127. 128.
    » Pranzo del Re. v. I. 130.
    » S'imbarca. v. I. 131.
    » Caccia dalla Francia Guglielmo del Santo Amore. v. I. 179.
    » Venera Fra Giovanni da Parma. v. I. 183.
    » Prende Damiata. v. I. 204.
    » Fatto prigioniero e restituito. v. I. 222.
    » Fabbrica Balbek. v. I. 222.
    » Di nuovo in Oriente. v. II. 18.
    » Assale la Tunisia. v. II. 18.
    » Sua morte. v. II. 19.
    Conte di Verona. v. I. 261.
      » Capitano dei Cremonesi e loro alleati. v. II. 53.
      » Podestà di Parma. v. II. 53.
      » Podestà di Reggio. v. II. 57.
      » Sua morte. v. II. 60.
  =Logoteta.= Pier delle Vigne. v. I. 227.
  =Lombardi.= Impedito loro il commercio colla Romagna.
      v. II. 16.
  =Lombardia.= Tormentata dai Barbarasi. v. I. 264.
    » Cardinale Latino Legato in Lombardia. v. II. 43.
    » Suoi confini. v. I. 98.
    » Manda per constatare se Federico II. vive. v. II. 91.
  =Lomello= (di) Clara. Moglie di Manfredo Pallavicini.
      v. I. 271.
  =Lorenzo.= Frate Arcivescovo d'Antivari. v. I. 325.
  =Lotario.= Frate Custode di Salimbene. v. II. 116.
  =Lovoleto= (di) Tomaso. Morto in battaglia. v. II. 140.
    Ardizzone. Morto in battaglia. v. II. 140.
  =Luca.= Frate Pugliese. Sua orazione funebre per Re Enrico.
      v. I. 60.
    » Sue qualità. v. I. 86.
  =Lucca.=. Corradino leva soldati sul territorio di Lucca.
      v. II. 9. 10.
  =Lucchesi.= Traditi alla battaglia di Montaperti. v. I. 340.
    » Vanno contro Pisa. v. II. 140.
    » Onorio IV. impone loro di non molestare i Pisani. v. II. 141.
  =Lucci.= Abbondanza di lucci nel Taro morto. v. I. 98.
    » Regalo al Re di Francia. v. I. 127.
    » Regalo al Podestà di Bologna. v. I. 65.
  =Lucera= de' Saraceni. Si arrende a Re Carlo. v. II. 11.
  =Luisini= (dei) Guglielmo. Imbandisce un banchetto.
      v. II. 26.
  =Lupi= Marchesi. Bonifacio. Podestà di Reggio. v. II. 179.
    Goffredo. v. I. 223.
    Guido. v. I. 223.
    Ugo. v. I. 223.
    Monte. Valente nell'armi, muore in battaglia. v. I. 223.
    Rolando. v. I. 223.
  =Lupicini= (dei) Garsendonio. Abbandona il partito di quei
      di sotto in Reggio. v. II. 81. 197.
    Sinibaldo. v. II. 186.
    Guido. Parteggia per quei di sotto in Reggio. v. II. 81.
    Guglielmo. Parteggia per quei di sotto in Reggio.
      v. II. 81.
      » Abbate di S. Prospero in Reggio. v. II. 185.
    Ugolino. Sposa una Fogliani. v. II. 81.
    Giovannino. Frate, pacifica tra loro gli Strufi, gli Orsi
      e i Salustri. v. II. 58.
    Famiglia espulsa da Reggio. v. I. 82.
  =Luzzara=. Assediata. v. I. 84.


M

  =Macello= de' beccai di Parma. v. II. 67.
  =Macometto=. Parola segnata sul capo del dragone. v. I. 321.
  =Maddalena= S. Se ne credeva il corpo a Vezellay. v. I. 130.
    » S. Massimino la condusse ad Aix. v. I. 171.
    » Se ne scopre il corpo a S. Massimino. v. II. 68.
    » Leggenda. v. II. 69.
    » In più luoghi si pretende d'averne il corpo. v. II. 69.
  =Maginardo= Conte guerriero. v. II. 12.
  =Magreda=. Castello assediato e preso. v. II. 154.
  =Malabocca= Guido. v. II. 167.
  =Malafucina= (di). Così detti in Parma gli avversarii della
      Chiesa. v. I. 265.
  =Malatesta=. Signore di Rimini. v. I. 261.
    » Minacciato dai nipoti di Buonconte. v. II. 147.
  =Malavolta= (dei) Alberto. Podestà di Genova. v. I. 216.
  =Maletta= Girardo. Sue qualità. v. I. 50.
    » Acclamato Podestà di Parma. v. I. 50.
  =Maletta= Girardo. Predica a Parma e finge miracoli.
      v. I. 51.
  Manfredo. Potente presso Re Manfredi. v. II. 4.
    » Cortigiano di Re Pietro, poeta e musico. v. II. 5.
  =Malgrate=. Preso dai Cremonesi. v. II. 21
  =Malvezzo= Giovanni. Suoi versi. v. II. 99.
  =Mancasale= Villa. Sconfitta del Marchese Cavalcabò.
      v. I. 42.
  =Mandelli= (dei) Rubaconti. Ubertino, Podestà di Reggio.
      v. I. 342.
  =Mandra= (di) Guido. Sua morte. v. II. 12.
  =Manfredi= Re. Paternità e maternità. v. I. 110.
    » Tiene occulta la morte del padre. v. I. 230.
    » Succede a Corrado. v. I. 232.
    » Il Legato lo diffama. v. I. 317.
    » Si finge l'aio di Corradino e assume la corona. v. I. 332.
    » Sconfitto. v. I. 347.
    » I Francesi contro di lui. v. II. 3.
    » Suoi Cortigiani. v. II. 3.
    » Ucciso. v. I. 347. v. II. 4.
    » Uccisore di Corrado. v. I. 348.
    » Sua sepoltura. v. II. 3.
    » Sua moglie e i figli prigionieri. v. II. 4.
    » Alcuni si fingono Manfredi. v. II. 5.
    » Ha costrutto Manfredonia e le ha dato nome. v. II. 4.
  =Manfredi= (dei) Azzone. Podestà di Cremona. v. II. 42.
    di Modena. Sua morte e bellezza. v. I. 269.
    Simone di Giovanni di Bonifazio. v. I. 82.
      » Entra in Novi. v. I. 220.
      » Sua morte. v. I. 344
      » Sue qualità. v. I. 220.
    di Faenza. Tebaldello gli dà in mano Faenza. v. II. 50.
  =Manfredino= di Rosa. Podestà di Parma scioglie la compagnia
      di Barisello. v. I. 269.
  =Manfredo= di Tortona, frate. Va al Concilio di Ravenna.
      v. I. 298.
  =Manfredonia=. Sua fondazione. v. II. 4.
  =Mangani e Manganelle=. Armi nuove. v. II. 13.
    » Esposte nella piazza del Duomo a Parma. v. I. 34.
  =Manopelle= (di) Gualterio. Fatto morire. v. I. 320.
  =Mansueto=, frate. Ha dal Re di Francia un grosso pezzo
      del legno della Croce. v. II. 116.
    di Castiglione Aretino. A Fano parla con Salimbene.
        v. I. 22. 332.
  =Mantova=. Assediata da Federico II. v. I. 63.
    » Pinamonte la signoreggia. v. I. 255.
    » Martino di Parma vi è Vescovo. v. I. 315.
    » Chi porta lettere a Mantova è ucciso. v. I. 318.
    » Innocenzo IV. a Mantova. v. I. 324.
    » Il Conte di Fiandra a Mantova. v. I. 349.
    » Navi sul Po costrette a toccar Mantova. v. II. 17.
  =Mantovani=. Prendono Bondeno. v. I. 8.
    » Intercettano la via che conduce a Reggio. v. I. 10.
    » Prendono Marcaria. v. I. 63.
    » È catturato un loro naviglio a Brescello ed un
      altro a Gramignazzo. v. I. 84.
    » Incendiano Casalmaggiore. v. I. 102.
  =Manuele= Imperatore Greco. S'imparenta col Marchese di
      Monferrato. v. II. 103.
  =Marano= (di) Egidiolo. Podestà di Reggio. v. II. 42.
    » Ambasciatore a Reggio. v. II. 81.
  =Maravone= dei Bonici. v. I. 82.
    » Ostaggio. v. I. 203.
  =Marca= d'Ancona. Ricuperata dalla Chiesa. v. I. 203.
    » Gran terremoto. v. II. 44.
  =Marca= Trivigiana. Crudeltà di Alberico da Romano. v.
      I. 255.
  =Marcamò=. Castello. v. II. 16.
  =Marcaria=. Distrutta. v. I. 63.
  =Marcella=. A Marsiglia con S. Massimino. v. I. 171.
    » Scrive la vita di S. Marta. v. I. 171.
  =Marchesella= (di) Guglielmo signore di Ferrara. v. I. 69.
  =Marchesina=. Moglie di Giacomo d'Enzola v. I. 171.
  =Marchesopolo= Pallavicini. Abita in Soragna. v. I. 278.
    » Va in Romanìa. v. I. 275.
    » Ucciso dai Greci. v. I. 275.
    » Motivo di espatriare. v. I. 275.
  =Marco=, frate. Compagno di frate Giovanni da Parma. v.
      I. 186.
    » Sua morte. v. II. 109.
    » Sue qualità. v. I. 187.
    » Rimbrotta il Ministro Generale Bonaventura. v. I. 187.
    di Michele. v. I. 310.
  =Maria=. Marchesa di Monferrato. v. II. 103.
  =Marino= di Eboli. v. I. 320.
  =Marsigli= (dei) Gisla Madre di Guido fratello di Salimbene.
      v. I. 30.
    Famiglia. v. I. 30.
  =Marsiglia=. Salimbene a Marsiglia. v. I. 131.
    » Caso strano di un fanciullo. v. II. 114.
  =Marta= S.ª Condotta in Provenza da S. Massimino.
      v. I. 171.
    » Sua vita scritta da Marcella sua fantesca. v. I. 171.
    » Suo corpo a Tarascon. v. I. 172.
    » Clodoveo ne visitò la tomba e dotò la chiesa. v. I. 172.
  =Martinello=. Uccisore di Beatrice di Puglia. v. II. 162.
    » Ucciso. v. II. 204.
  =Martino= S. Vescovo. Perseguitato da S. Brizio. v. II. 86.
    IV. Papa. Tenta impadronirsi di Forlì. v. I. 261. v.
        II. 52.
      » Fa raccogliere nota de' miracoli di S. Lodovico.
        v. II. 23.
      » Eletto Papa. v. II. 51.
      » Assedia Meldola. v. I. 319.
      » Studente di leggi a Parma. v. II. 54.
      » Proibisce il duello fra Re Carlo e Re Pietro. v. II. 76.
      » Asdente ne predice la morte. v. II. 85.
      » Indice una crociata contro il Re d'Aragona. v. II. 126.
      » Sua morte. v. II. 129.
    Cantore. v. I. 209.
    di Colorno. Vescovo di Parma. v. I. 42.
    Spagnuolo. v. II. 232.
    di Fano. Dottore in leggi. Ospite di Salimbene. v. I. 21.
    di Parma (maestro). Legato pontificio e sue qualità. v. I. 314.
      » Vescovo di Mantova. v. I. 315.
  =Marziale= Coco. v. I. 201.
  =Marzio=, frate, di Milano. S'adopera a che Giovanni da
      Parma sia fatto Generale. v. I. 198.
  =Massimino= S. Castello. Vi si scopre il corpo della
      Maddalena. v. II. 68.
  =Massimino= il Santo. Arriva ad Aix con Maria Marta e
      Maria Maddalena, e ne fu fatto Vescovo. v. I. 171.
  =Mastino= della Scala succede ad Ezzelino. v. I. 261.
  =Matelica.= Ruina per terremoto. v. II. 44.
  =Matilde= Contessa. È sepolta a Polirone. v. I. 324.
    » Gregorio VII. va da Matilde a Canossa. v. I. 244.
    » Sua Rocca. v. I. 338.
  =Mattelino=, letterato che parla contro i frati. v. I. 306.
    » Soddisfatto della risposta di Salimbene. v. I. 310.
    » Ammogliato. v. I. 310.
  =Matteo= Cremonese, frate. v. I. 198.
    da Modena. Frate. v. I. 151.
    della Marca d'Ancona. I suoi Apostoli si bastonano con quelli
        di Putagio. v. I. 158.
    di Acquasparta. Eletto Ministro Generale de' Minori. v. II. 210.
  =Maurizio.= Frate di Provins letterato. v. I. 139.
  =Mazonzatico.= Innondato. v. II. 38.
  =Medesano= Castello dei Pallavicini. v. I. 276.
  =Medicina=, Terra. I Bolognesi la vogliono dal Papa.
      v. I. 326.
  =Meldola.= Spesa fatta pel suo assedio. v. I. 319.
    » Assediata. v. II. 59.
  =Melica.= Prezzo. v. I. 11. v. II. 42.
    » Abbondanza. v. II. 57.
  =Meloria.= Battaglia in mare. v. II. 86.
  =Memoriale= fatto da Tomaso di Celiano. v. I. 80. 81.
  =Mendoli.= Signori in Imola per l'Impero. v. I. 276.
  =Mercato= in Parma. v. II. 66. 175.
  =Mercerie= avariate a Venezia. v. II. 108.
  =Merlino= (di) notizie. v. I. 146.
    » Sue profezie per Federico II. v. I. 248.
    » Sue profezie sulle città italiane. v. II. 93.
  =Messina.= Si spargono in mare le ossa di Corrado.
      v. I. 322.
    » Re Pietro da Messina inonda la Sicilia. v. II. 5. 55.
    » Non si fa strage di Francesi pel Vespro Siciliano. v. II. 55.
  =Miano.= Castello dei Pallavicini. v. I. 276.
  =Migliarina.= Cascina. v. II. 186.
  =Migliorati.= Viviano espulso da Reggio. v. I. 82.
  =Milanesi.= Lotta coi Cremonesi. v. I. 3.
    » Aiutano i Bolognesi. v. I. 34.
    » Contro Federico II. e sconfitti. v. I. 65. 66.
    » Prendono Re Enzo. v. I. 83.
    » Aiutano Parma contro Federico II. v. I. 94.
    » Prendono Lodi e Tortona. v. I. 326.
    » Fan pace coi Bergamaschi. v. II. 5.
    » Devastano il Cremasco. v. II. 21.
    » Fan pace coi Torriani e con Lodi. v. II. 43.
    » Uccidono Cassone della Torre. v. II. 51.
    » Assaliti dal Marchese di Monferrato. v. II. 138.
  =Milano.= Federico II. sopra Milano. v. I. 82.
    » Nozze fatte dell'Imperatore Enrico. v. I. 147.
    » Signoria del Pallavicino. v. I. 228.
    » Espulsione di Napo della Torre. v. II. 39.
    » Cassone della Torre fa strage in Milano. v. II. 39.
    » Rottura col Marchese di Monferrato. v. II. 138.
  =Militi= di G. C. Loro istituzione. v. I. 344.
    di M. V. Loro istituzione. v. I. 344.
  =Milleduci= (dei) Egidio. Ambasciatore di Parma a Modena.
      v. II. 79.
  =Miniatore= Enrico da Pisa. v. I. 86.
  =Minozzo= (di) Princivallo. Sua morte in battaglia.
      v. II. 30.
  =Modena.= Discordia dei cittadini. v. I. 94.
    » Parmigiani a guardia di Modena. v. I. 103.
    » Signoria di Re Enzo. v. I. 216.
    » Si catturano frati. v. I. 218.
    » Signoria di Giacomo Rangone. v. I. 254.
    » Ghiberto da Gente tenta averne la signoria. v. I. 329.
    » Il Marchese d'Este aiuta Modena. v. I. 346.
    » Devastazione del territorio. v. II. 5.
    » Divisioni cittadine. v. II. 79. 80.
    » Predizione della sua distruzione. v. I. 252.
    » Cattura di Parmigiani passanti con sale. v. II. 105.
    » Trecento donne incarcerate. v. II. 148.
    » Tratta di pace con Sassuolo. v. II. 149.
    » Invasa da Tomasino di Sassuolo. v. II. 217.
  =Modenesi.= Guerreggiati da Reggio e da Bologna. v. I. 4.
    » Prendono Bondeno. v. I. 8.
    » Devastano il Bolognese ed occupano Piumazzo. v. I. 11.
    » Vogliono condurre a Modena il carroccio dei Bolognesi.
      v. I. 34.
    » Loro amicizia coi Parmigiani. v. I. 270.
    » Conducono il Panaro a urtare contro Castelfranco. v. I. 63.
    » Perdono Castel Leone. v. I. 65.
    » Loro alleanza coi Bolognesi. v. I. 220.
    » Fanno due Podestà, uno per parte. v. I. 220.
    » Loro devozione delle flagellazioni. v. I. 341.
    » Assediano Montevallaro. v. II. 5.
    » Assediano Borgo S. Donnino. v. II. 8.
    » Cercano aiuto ai Parmigiani. v. II. 24. 25.
    » Devastano le terre di Forlì e Faenza. v. II. 29.
    » Loro minaccie agli ambasciatori Parmigiani. v. II. 79.
    » Battaglia perduta con quei di Sassuolo. v. II. 80.
    » Battaglia a Montale, e morti in battaglia. v. II. 92. 93.
    » Due battaglie de' forusciti con que' di dentro. v. II. 139.
    » Cattura di Sassolesi. v. II. 148.
    » Non piacciono patti di pace. v. II. 170.
  =Modolena=, Villa. Innondata. v. I. 219. v. II. 38.
    (di) Gibertino. Uccide Guido di Bibbianello. v. II. 178.
  =Moissac.= v. II. 76.
  =Monaldo= da Orvieto. Podestà di Modena. v. I. 346.
  =Monastero= (del) Luchesia. v. II. 173.
    di S. Benedetto di Montecassino. v. I. 120.
    di Leno. Vi è Abbate un Giberto da Gente. v. I. 329.
    di Polirone. v. I. 120.
    di S. Chiara di Imola. v. I. 32.
    di S. Chiara di Parma. Vi muoiono madre e figlia Baratti.
        v. I. 15. 32.
    di Reggio. Vi è badessa una sorella di Salimbene. v. I. 29. 30.
    di Chiavari. Caso strano avvenutovi. v. I. 39.
    de' Cistercensi in Chiaravalle della Colomba. v. I. 4.
    de' Cistercensi a Fontevivo. Vi è chi abrade le pergamene.
        v. I. 335. 336.
    di Cluny. Sua magnificenza. v. I. 120.
    delle Fontanelle sul parmigiano. v. II. 209.
    di S. Gallo. Sua grandiosità. v. I. 120.
    di S. Giovanni Evangelista di Ravenna. Maestro Martino di
        Parma vi dimora. v. I. 315.
    di Nonantola. v. II. 190.
    di Pontigny. Visitato da Salimbene. v. I. 123.
    di S. Prospero in Reggio. v. I. 343. v. II. 25.
      » Vi alloggia Gregorio X. v. II. 26.
      » Vi è gran disordine. v. II. 185.
      » Sono uccisi due frati. v. II. 190.
  =Monete= di Parma. Falsificate, e prima coniazione.
      v. I. 328. v. II. 145.
    di Reggio. Prima coniazione fatta dal Podestà Giliolo
        parmigiano. v. I. 43.
  =Monferrato= (di) Marchese. Signore del Piemonte. v. I. 254.
    » Inganna i Torriani. v. II. 48.
    » Va contro Lodi. v. II. 53.
    » Riceve in dote il Regno di Tessalonica. v. II. 103.
    » Occupa Tortona e le castella del Vescovo. v. II. 103. 104.
    » Sua guerra con Uberto Pallavicini. v. I. 272.
    » Ucciso dai Piacentini. v. I. 273.
    » Va contro Milano. v. II. 138.
  =Monforte= (di) Conte. v. I. 2.
  =Monreale.= Paese. v. I. 96.
  =Montale.= Battaglia tra Modenesi e Sassolesi. v. II. 93.
  =Monte.= Canigoso o calliginoso. v. II. 161.
    Fiascone. Vi abita Martino IV. v. II. 56.
    Chiaro. Assediato e distrutto. v. I. 64. 349.
    Falcone. Vi è un convento di Minori. v. II. 179.
    Gargano. v. II. 4.
    Giovanni. v. II. 196.
    Luncilo. v. II. 156.
    Cenisio. v. I. 98.
    Vecchio o Vedro. v. II. 156.
    Ombraro. Assediato dai Bolognesi. v. II. 22.
  =Montebaranzone.= v. II. 78. 79.
  =Montecassino=. Vi è un monastero grandioso. v. I. 120.
  =Montecuccoli= (dei) Bonaccorso. v. II. 12.
    Guidino. v. II. 12.
    Matteo morto in battaglia. v. II. 140.
  =Montelungo= (di) Gregorio. Vedi Gregorio.
  =Montefeltro= (di) Guido. Capitano dei Faentini e sua
      battaglia. v. II. 29.
  =Montenero= (di) Rizzardo. Ucciso da Federico II.
      v. I. 320.
  =Montevallaro=, o Monte Valerio. Castello. v. II. 5.
  =Montevecchio= (di) Guglielmo. Morto in battaglia.
      v. II. 140.
  =Montecchio= (di) Egidiolo. Suo carattere e mediazioni.
      v. II. 201.
  =Montecchio= (di) Bonaccorso. Ambasciatore a Reggio.
      v. II. 80.
    » Sposa un'Enzola. v. II. 173.
  =Montembraro=. Assediato dai Bolognesi. v. II. 22.
  =Monumenti= Siciliani. v. II. 23.
  =Morando= Maestro. Poeta. v. I. 124.
  =Moría=. v. I. 341.
    » di bestiame. v. II. 31.
    » d'uomini. v. II. 40.
    » di gatti. v. II. 169.
    » di galline. v. II. 177.
    » di bovini e uomini. v. II. 62.
    » in Pisa. v. II. 89.
    » a Tivoli. v. II. 154.
  =Mose=. Castello. v. I. 63. 64.
  =Mozzadella=. I Reggiani l'assalgono. v. II. 206.
  =Mugello= (di) Ubaldino. Legato e sue qualità. v. I. 279.
  =Munione=. Maestro Maggiore de' Predicatori. v. II. 137.
  =Muradal=. Passo della Sierra Morena. v. I. 3.
  =Mura= di cinta a Reggio. Incominciate. v. I. 40.
  =Muraglia= lungo il Parma. v. II. 144.
  =Musica= (di) Compositori. v. I. 86. 87. 88.
  =Musso= (di) Antonio. v. I. 40.
    Enrico. v. I. 40.
  =Muti= (dei) Gifredo. Frate Gaudente. v. II. 191.


N

  =Nantelmo=. Guardiano. Usa riguardi a Salimbene. v. I. 198.
  =Napoleone= della Torre. Signore di Milano. v. I. 254.
    » Rimosso dall'ufficio e messo in prigione. v. II. 39.
  =Napoleone= (di) Giacomo. Libera Corrado di Antiochia.
      v. II. 9.
  =Napoli=. Decapitazione di Corradino e del Duca d'Austria.
      v. II. 9.
    » Vi si trasporta la salma di Re Carlo. v. II. 127.
    » Muore a Napoli Innocenzo IV. v. I. 331.
    » Si fa l'elezione del successore d'Innocenzo IV. v. I. 331.
  =Navi= fabbricate alla foce dell'Arno. v. II. 86.
  =Naviglio= de' Mantovani. Catturato. v. I. 84.
    Canale de' Parmigiani condotto a Frassinara. v. II. 67.
  =Navone=. Castello terminato. v. II. 205.
  =Navarra=. v. II. 75.
  =Neve= straordinaria. v. I. 6. 11. v. II. 109.
    » Alta come un uomo. v. II. 145.
  =Nicola= palombaro. v. I. 233. 234.
    Frate, Vescovo e confessore del Papa. v. I. 324.
  =Nicolò= III. Odia frate Giovanni da Parma. v. I. 180.
    » Fa Legato il Cardinale Latino. v. I. 73. 317.
    » Eletto Papa. v. II. 41.
    » Sua morte. v. II. 49.
    » Fa Cardinale Gerardo Albo di Gainago. v. II. 54.
    » Dà la Sicilia a Pietro d'Aragona. v. II. 65.
    Confessore del Papa. v. I. 324. 325.
    Vescovo di Reggio pone la prima pietra della chiesa
        del Gesù. v. I. 47.
      » Sua morte. v. I. 80.
    di Montefeltro. Sua santità. v. II. 116.
      » Fatti della sua vita. v. II. 116. 117.
  =Nicolò= di Filippo, Vescovo. Giudice morto all'Impresa
      di Faenza. v. II. 30.
  =Nicoluzzo= da Balugano. Podestà di Bologna. v. II. 29.
  =Nizza=. Castello. v. I. 137.
    Città. Frate Ponzio vi è Guardiano. v. I. 195.
      » Salimbene sbarca a Nizza. v. I. 197.
  =Nocera= de' Saraceni. v. I. 7. 101. 230.
    » Re Carlo la prende. v. II. 11.
  =Noceto=. Convegno di fuorusciti Parmigiani. v. I. 91.
    » Vi è confinato Bertolino Tavernieri. v. II. 165.
  =Noli=. Devastata dai Pisani. v. II. 86.
  =Norduli=. Signori in Imola per la Chiesa. v. I. 263. 276.
  =Novara=. Dà soldati al Pallavicino. v. I. 228.
  =Novaresi=. Vanno contro Lodi. v. II. 53.
  =Novi=. Preso dai Reggiani. v. I. 223.
  =Nozze= solenni a Genova. v. I. 323.
  =Nuazil= de' Tartari e de' Greci a Lione. v. II. 27.


O

  =Obizzo=. Vescovo di Parma. v. I. 42.
    » Fa catturare fra Gerardino Segalello. v. I. 160.
    » Sua morte. v. II. 146.
    » Favorisce i Sassolesi. v. II. 152.
  =Oddone= Cardinale. Parla al cospetto del Re di Francia.
      v. I. 128. 184.
  =Odoardo= Re d'Inghilterra. Va in Oriente e al ritorno
      passa da Reggio. v. II. 20. 26.
  =Officio= ecclesiastico. Ha bisogno di riforma. v. I. 4.
  =Olmo= di Giovanni Grelone. v. I. 15.
  =Onorio= III. Eletto incorona Federico II. v. I. 7.
    » Sua morte. v. I. 11.
    IV. Eletto. v. II. 129.
      » Invita Lucca a non far guerra a Pisa. v. II. 141.
  =Onorio= IV. Abita a Tivoli. v. II. 154.
    » impone decime. v. II. 156.
    » È pregato di pacificare i figli del Re di Francia e di Pietro
      d'Aragona. v. II. 161.
    » Ostile ai frati. v. II. 163.
    » Sua morte. v. II. 183. 193.
  =Orsi= (degli) quei. Pacificati cogli Strufi. v. II. 58.
  =Orsini= (degli) Bertoldo. Fratello di Nicolò III.
      v. II. 57.
    Gentile. Marita sua figlia ad Azzone Estense. v. II. 57.
  =Orvieto.= Vi abita Martino IV. v. II. 56.
  =Ospedale= di S. Francesco in Parma. v. II. 66.
    di S. Geminiano in Reggio. v. II. 38.
    di S. Caterina in Reggio. v. II. 38.
    di S. Pietro in Vincoli in Reggio. v. II. 38.
    di Rodolfo Tanzi in Parma. v. II. 66.
    di Fra Barattino in Parma. v. II. 66.
    di S. Bartolomeo di Strada Rotta in Parma. v. II. 66.
    dei Lebbrosi in S. Lazzaro di Parma. v. II. 66.
    della Misericordia, poi Maggiore in Parma. v. II. 66.
    di Reggio. Danneggiato da innondazioni. v. II. 38.
  =Ottaviano= Cardinale. Ricupera le Romagne. v. I. 203.
    » Legato Pontificio. v. I. 279.
    » Sua crociata contro Alberico da Romano. v. I. 258.
    » Si teme che tradisca Parma. v. I. 279.
    » Si crede figlio di Gregorio IX. v. I. 280.
    » Sua figlia vuol amoreggiare con Salimbene. v. I. 280.
    » Partigiano dell'Impero. v. I. 281.
    » Sua morte. v. II. 24.
  =Ottobuono= Cardinale, poi Papa Adriano V. v. I. 305.
  =Ottone= Imperatore. Deposto da Innocenzo III. v. I. 5.
    » Venuto a Parma. v. II. 145.


P

  =Pacile.= Castello. v. II. 194.
  =Padova.= Signoria di Ezzelino. v. I. 288.
    » Filippo Legato l'assale e prende. v. I. 290.
    » Si pacifica con Verona. v. II. 49.
  =Padovani.= Undici mila bruciati vivi in Verona. v. I. 100.
    » Onorano per santo un impostore. v. II. 47.
  =Pagani= (dei) Alberto. Podestà di Modena, fa cavalliere suo
      figlio. v. I. 34.
    Galla Placidia. v. I. 263.
    Gifredo. Guardiano a Bologna. v. II. 45.
    Enrico. Fatto cavalliere. v. I. 34.
    Pagano. v. I. 34.
    Pietro, Signore di Susinana per l'Impero. v. I. 263.
    Egidio. v. I. 34.
    Famiglia spenta. v. I. 34.
  =Paganino= da Ferrara, frate. v. I. 197.
  =Pallastrelli= (dei) Barnaba. Podestà di Reggio. v. II. 62.
    » Spodestato. v. II. 79.
  =Palazzo= del Capitano in Parma. Fabbricato. v. II. 67.
    del Comune di Reggio. Rifabbricato. v. II. 26.
    del Comune di Parma. Si fabbrica in piazza nuova.
        v. II. 143. 146.
    del Vescovo di Ferrara. Innocenzo IV. vi predica dal balcone.
        v. I. 69.
    del Vescovo di Parma. Fabbricato. v. I. 42. 45.
      » Attiguo a casa Marsilii. v. I. 30.
    del Vescovo di Reggio. Re Enzo lo occupa. v. I. 80.
      » Vi alloggia il Re d'Inghilterra. v. II. 26.
    dell'Imperatore a Parma. Alloggio di Rizzardo di S. Bonifacio.
        v. I. 98.
    dell'Imperatore a Reggio. Comprato dai Minori. v. I. 338.
    dei Pagani in Parma. v. I. 271. v. II. 67.
    di Manfredo di Scipione. v. I. 271. v. II. 67.
    del Pallavicino, a Parma. Smantellato. v. I. 229.
    del Pallavicino a Soragna. v. I. 273.
    di Rodolfo Imperatore a Reggio. v. I. 338.
  =Palazzolo.= Il Conte di Fiandra forza il passo dell'Oglio.
      v. I. 349.
  =Paleologo.= Usurpa il trono. v. I. 183. v. II. 55.
    » Crea un Papa Greco. v. II. 56.
    » Ricupera Costantinopoli. v. I. 340.
    » Riceve Tessalonica in dote della nuora. v. II. 103.
  =Palermo.= Non si può portarvi il corpo di Federico II.
      v. I. 230.
    » Vi si vuol portare il corpo di Corrado. v. I. 322. v. II. 23.
    » Vespro Siciliano. v. II. 54.
  =Palestrina.= Corradino nelle prigioni di Palestrina.
      v. II. 9.
  =Pallavicini= (dei) Delfino. Podestà di Reggio. v. I. 276.
    Guidotto. Grande di Spagna. v. I. 273.
    Guglielmo. v. I. 271.
    Mabilia di Rubino. Si marita. v. I. 275.
    Isabella. v. I. 273.
    Mabilia di Marchesopolo. v. I. 273. 274.
      » Sposa Azzone d'Este. v. I. 274.
      » Sua morte e sue qualità. v. I. 274.
      » Venuta in odio ai medici e farmacisti. v. I. 274.
    Enrico. v. I. 272.
      » Sua morte. v. II. 3.
    Marchesopolo. Abita in Soragna. v. I. 273.
      » Va ad abitare in Romanía. v. I. 275.
      » Ucciso dai Greci. v. I. 275.
      » Motivo della partenza da Parma. v. I. 275.
    Rubino. Sposa Ermengarda da Palù. v. I. 275.
      » Sua morte. v. I. 275. 341.
    Di Varano. v. I. 276.
    Uberto di Pellegrino. v. I. 271.
    Uberto detto il Pallavicino. Si batte a Grola. v. I. 223.
      » Si atterra il suo Palazzo in Parma. v. I. 229.
      » Signore di Cremona. v. I. 229. 254
      » i Parmigiani fuorusciti tentano di dargli in mano la
        città. v. I. 265.
      » Occupa Borgo S. Donnino. v. I. 266.
      » Lotta col Marchese di Monferrato. v. I. 272.
      » Si fa Signore delle città lombarde. v. I. 228.
      » Va a Lodi contro i Milanesi. v. I. 324.
      » Prende Brescello. v. I. 326.
      » Tenta impedire il passo al Conte di Fiandra. v. I. 349.
      » Brescia gli si ribella. v. II. 7.
      » Perde la Signoria delle città lombarde. v. I. 229.
      » Si ritira a Gisalecchio e muore. v. II. 7. 12.
      » Alza forche pe' flagellatisi se vanno a Cremona. v. I. 342.
    Manfredo. Abita a Scipione. v. I. 271.
      » Si distrugge il suo palazzo. v. I. 271.
      » Ha molti pozzi salsi a Scipione. v. I. 272.
    Tancredi. Abbate di S. Giovanni in Parma. v. II. 229.
      » Manda un regalo di capponi a frate Elia. v. II. 229.
    Famiglia. v. I. 271.
  =Palù= (da) Egidio, Egidiolo, o Giliolo. Podestà di Reggio.
      v. I. 43.
    Arverio. È ucciso. v. II. 18.
    Corrado. v. II. 208.
    Bonaccorso. Vince il Marchese di Cavalcabò. v. I. 42.
      » È ucciso. v. I. 202. 203.
      » Parma gli dà da difendere una porta della città. v. II. 77.
      » Podestà ed ammiraglio de' Pisani. v. II. 89.
    Egidia. Fa il ponte or detto di Caprazucca. v. I. 43.
        v. II. 77.
    Corradino. v. II. 208.
    Ermengarda. Sposa Rubino Pallavicini. v. I. 275.
      » Si rimarita e muore. v. I. 275. 276.
    Ezzelino. v. II. 172.
    Giacomino. Entra in Bismantova. v. II. 8.
      » Uccide molti di sua famiglia. v. II. 18.
      » Cede Corvara per denaro. v. II. 22.
    Giacomo. Sua morte. v. I. 10.
    Canino. v. II. 208.
    Aimerico. Sua morte. v. II. 43. 172.
    Manfredo. Espulso da Reggio. v. I. 32.
    Famiglia. v. I. 10.
  =Panaro=, fiume. Si vuol far andare contro Castelfranco.
      v. I. 63.
  =Pandolfo= di Fasanella, Principe. Vittima di Federico II.
      v. I. 320.
  =Panizzari= (dei) Avanza. v. I. 32.
    Bernardo v. I. 32.
    Gisa. v. I. 32.
    Gerardo. v. I. 32.
    Giacomo. Frate di esimie doti. v. I. 32.
    Maria. v. I. 32.
    Naimerio. v. I. 31.
  =Paolino.= Vescovo di Nola prigioniero. v. I. 114.
  =Panzeri= (dei) Bartolomeo. Uno de' capi di quei di sotto a
      Reggio. v. II. 81.
    » Sono arse le sue case. v. II. 198.
    » uno de' capi dell'esercito di Gesso. v. II. 203.
    » Catturato. v. II. 216.
    Bonaccorso. Sono arse le sue case. v. II. 197.
    Giacomino. Uno de' capi di quei di sotto in Reggio. v. II. 81.
      » Ha moglie un'Enzola. v. II. 173.
      » Assalta i suoi nemici in Reggio. v. II. 197.
      » Si ardono le sue case. v. II. 197.
      » Va a Parma a ordinare armi. v. II. 198.
    Giacomino. Uno de' capi dell'esercito di Gesso. v. II. 203.
      » Difende i Minori di Monfalcone. v. II. 211.
    Tomasino. Uno de' capi di quei di sotto in Reggio.
        v. II. 81.
      » Assale i suoi nemici in Reggio. v. II. 197.
      » Va a Parma per armi. v. II. 198.
      » Uno de' capi dell'esercito di Gesso. v. II. 203.
    Zaccaria. Parteggia per quei di sotto in Reggio. v. II. 81.
  =Parenti= Giovanni. Ministro Generale dei Minori.
      v. II. 238.
  =Parigi=. Salimbene a Parigi. v. I. 118.
    » Partenza di S. Lodovico per l'oriente. v. I. 126.
    » Giovanni da Parma all'Università di Parigi. v. I. 178.
    » Vi si porta la salma di Re Filippo. v. II. 175.
    » Frate Benvenuto a Parigi. v. II. 195.
    » Maestro Rolando di Parma studia a Parigi. v. II. 157.
  =Parma=, Torrente. Lungh'esso si fa un muro di difesa
      dalle innondazioni. v. II. 144.
    » Costrutte due torri alla foce. v. II. 144.
    Città. Richiesta d'aiuto da Modena. v. I. 65.
      » Vuota d'uomini atti alle armi. v. I. 66.
      » Federico II. ne scaccia i partigiani del Papa. v. I. 82.
      » Si ribella a Federico II. v. I. 29. 83. 98.
      » Vuol battaglia contro Federico II. v. I. 94.
      » Re Enzo s'avvicina a Parma. v. I. 97.
      » Arrivano aiuti. v. I. 98.
      » Federico II. minaccia distruggerla. v. I. 101.
      » Assediata. v. I. 29. 101.
      » Sortita e battaglia a Vittoria o Grola. v. I. 107.
      » Segalello esce di Parma. v. I. 154.
      » I fuorusciti sconfiggono que' di dentro. v. I. 92.
      » Dominano Rossi, Tavernieri, Ghiberto da Gente. v. I. 254.
      » Teme l'arrivo del Pallavicino. v. I. 265.
      » Il popolano Barisello. v. I. 266.
      » Si fa la Società de' Crociati. v. I. 270.
      » I beccai creano Signore di Parma Ghiberto da
    Gente. v. I. 328.
      » Ghiberto da Gente falsifica le monete. v. I. 328.
      » I flagellatisi a Parma. v. I. 341.
      » Parma interdetta. v. II. 44. 45.
      » Devozione per Alberto da Cremona. v. II. 45.
      » Scaccia i Predicatori. v. II. 48. 160.
      » Strade S. Cristina, S. Lucia, de' Genovesi rettilineate
        ed ampliate. v. II. 66. 67.
      » Un'ossessa. v. II. 131.
      » Ponte sull'Enza. v. II. 143.
      » Si coniano monete. v. II:. 145.
      » Si scavano le fossa di S. Croce. v. II. 145.
      » Lavori di Gerardo Albo in Parma. v. II. 160.
      » Si fuse una campana. v. II. 143.
      » Istituzione dei Militi di G. C. v. II. 175.
      » Ambasciatori in Parma. v. II. 210.
  =Parmigiani=. Devastano il Piacentino. v. I. 4.
    » Battaglia a Zibello. v. I. 7. II. 146.
    » Contro i Bolognesi a Bazzano. v. I. 11.
    » Prendono Piumazzo. v. I. 11. 68.
    » Corron pericolo di perdere il carroccio. v. I. 13.
    » Incendiano sobborghi a Reggio. v. I. 219.
    » Con Federico II. contro i Milanesi. v. I. 65. 66.
    » Con Re Enzo prendono Gorgonzola. v. I. 83.
    » Ricevono aiuti. v. I. 98.
    » Vincitori a Vittoria. v. I. 108.
    » Vinti dai fuorusciti a Grola. v. I. 223. 224.
    » Loro contegno col Pallavicino. v. I 265. v. II. 13. 166.
    » Ammissione in città dei fuorusciti. v. I. 265.
    » Vogliono introdurre una devozione in Cremona.
      v. I. 342.
    » Assediano e distruggono B. S. Donnino. v. I. 2.
      v. II. 12.
    » Rifiutano il territorio Reggiano offerto dai
      Bolognesi. v. II. 24.
    » Contro Faenza. v. II. 29.
    » Scacciano i Predicatori. v. II 48.
    » Restituiscono il carroccio ai Cremonesi. v. II. 50
    » Levato l'interdetto. v. II. 52.
    » Devastano l'agro di Soncino. v. II. 53.
    » Onore fatto ai Parmigiani. v. II. 53.
    » Fanno il Ponte Verde. v. II. 66.
    » Ricevono ambasciatori Reggiani. v. II. 82.
    » I fuorusciti col Pallavicino prendono Colorno. v.
      I. 266.
    » I Parmigiani riprendono Colorno. v. I. 268.
    » Fanno il ponte sull'Enza. v. II. 143.
    » Fanno torri alla foce del Taro, Parma, Enza. v. II. 144.
    » Trattano la riammissione de' fuorusciti. v. II. 152.
    » Espellono i da Gente. v. II. 169.
    » Fanno il ponte dei Salarii. v. II. 219.
    » Ricuperano Rivalta, Cavriago, Guardasone. v. I. 202.
  =Passocorto=. Trova e vende la corona di Federico II.
      v. I. 108.
  =Pastori= Francesi. Vogliono vendicare il Re di Francia.
      v. I. 322.
    » Insorgono contro i Minori. v. I. 322.
  =Pavesi=. Assediano Brescia con Federico II. v. I. 66.
  =Pavia=. Signoria del Pallavicino. v. I. 228.
    » Corradino a Pavia. v. II. 8.
  =Pavone=. Castello preso. v. I. 64.
  =Pecorari=. (dei) Guido. v. I. 31.
  =Pellegrino=. Castello dei Pallavicini. v. I. 271.
  =Pellegrino= da Polesine Bolognese. Narra d'una chiesa
      distrutta a Reggio. v. I. 225.
    » Concorda Bolognesi e Veneziani. v. II. 14.
    » Sue qualità. v. II. 133.
    Pisano. Maestro ad Argenta. v. I. 313.
  =Pellegrino= Arciprete ucciso. v. II. 215.
  =Penazzi= (dei) Giacomo. Podestà di Reggio. v. I. 21. 338.
    » Podestà di Genova. v. I. 21.
  =Pentecoste=, frate. v. I. 198.
  =Perugia=. Rainaldo rinuncia il vescovado. v. I. 213.
    » Vi si elegge Clemente IV. v. I. 347.
    » Fa guerra a Foligno. v. II. 56.
    » Brucia fantocci di Papi e Cardinali. v. II. 56.
  =Pesce= prezioso regalato a Frate Elia. v. II. 240.
  =Pescivendoli=. È loro proibito a Reggio vendere pesce in
      quaresima. v. II. 147.
  =Piacentini=. Aiutano i Cremonesi. v. I. 3.
    » Aiutano i Bolognesi. v. I. 34.
    » Aiutano i Parmigiani. v. I. 94. 98.
    » Uccidono il Marchese di Monferrato. v. I. 273.
    » Contro Borgo S. Donnino. v. II. 8.
    » Bardi si arrende a loro. v. II. 12.
    » Loro lega con altre città. v. II. 83.
    » Assedio di Castelnovo piacentino. v. II. 145.
  =Piacenza=. Signoria del Pallavicino. v. I. 228.
    » Signoria di Uberto Iniquità. v. I. 254.
    » Patria di Gregorio X. v. II. 23.
  =Piazza=. Di S. Alessandro in Parma. Vi è il Palazzo
      Pallavicini. v. I. 229.
    Vecchia, in Parma. Vi abitano i Marsili. v. I. 30.
      » Vi sono esposte armi, bottino di guerra. v. I. 34.
    Nuova di Parma, o del Comune. v. I. 271.
      » Sede dei Brentori. v. II. 45.
      » Suo ampliamento. v. II. 67.
      » Vi si fabbrica il palazzo Municipale. v. II. 143.
  =Piemonte= (di) Bartolomeo. Cortigiano di Manfredi.
      v. II. 4.
    Guglielmo. Vescovo di Modena. v. I. 46.
    Giordano. Cortigiano di Re Manfredi. v. II. 4.
  =Pietro= d'Albinea. Ambasciatore di Reggio a Parma.
      v. II. 82.
    di Belleville. Letterato e frate. v. II. 76.
    di Puglia, frate. v. I. 142.
      » Vinto in una disputa da frate Ugo. v. I. 143. e seg.
    di Beneceto. Sua paternità. v. II. 174.
    di Calabria. Principe. v. I. 320.
    di Cori. Provinciale de' Minori. v. I. 192
      » Narra di un indemoniato. v. II. 134.
    di Collecchio. Pacifica Modena con Sassuolo. v. II. 149.
    di Felegara. v. II. 211.
    Conte d'Artois. Arriva in aiuto di Re Carlo. v. II. 58.
      » Fa tre Cavalieri a Reggio. v. II. 58.
      » Vuol vedere Lodovico di S. Bonifazio. v. II. 61.
    Spagnolo (maestro). Molto dotto Gioachimita. v. I. 182.
    Lanerio. Guardiano. v. I. 209.
    Lombardo. Sua opinione sulla Trinità. v. I. 141.
    Re d'Aragona. Sua benevolenza a Maletta. v. II. 4. 5.
      » Invade la Sicilia. v. II. 5. 55.
      » Sua parentela cogli Svevi. v. II. 55.
      » Il Conte d'Artois gli va contro. v. II. 58.
      » Nicolò III. gli aveva data la Sicilia. v. II. 65.
      » Duello con Re Carlo. v. II. 74.
      » Schiva il duello. v. II. 64. 65.
      » Minacciato se fa guerra a Re Carlo. v. II. 73.
      » Giura i patti del duello. v. II. 74.
      » Non si presenta al duello. v. II. 75.
      » Giustificazione dell'assenza dal duello. v. II. 76.
      » Vaticinio della sua morte. v. II. 127.
      » Il figlio di Re Carlo suo prigioniero. v. II. 77. 78.
      » Guerreggiato dal Re di Francia in Ispagna. v. II. 75.
      » Sue qualità e salita del monte Canigoso. v. II. 165.
      » Suo figlio s'impadronisce di tutto il regno di
        Puglia. v. II. 210.
      » Sua morte. v. II. 160.
      » Un suo figlio eletto Re di Tunisia. v. II. 221.
  =Pigolino= Giovannino da Parma. v. I. 142.
  =Pii= (dei). Gherardino signoreggia in Modena. v. I. 254.
    » Lanfranco. v. I. 254.
  =Pinamonte=. Signore di Mantova. v. I. 255. v. II. 83.
    » Sue larghezze ai Minori. v. I. 318.
    » Sue millanterie. v. I. 319.
    » Sue qualità e vanterie insensate. v. I. 318. v. II. 42.
  =Pinchilini=. Nobili di Borgo S. Donnino. v. I. 267.
  =Pio= (di) Matteo. Vescovo di Modena espulso. v. I. 306.
    Manfredo. v. II. 145.
    Roberto. Podestà di Parma. v. II. 145.
  =Pisa=. Tiene per l'Impero. v. I. 277.
    » Corradino a Pisa. v. II. 8.
    » Vaticinio del disastro di Pisa. v. II. 85.
    » Bonaccorso da Palù Podestà di Pisa. v. II. 89.
    » Allestisce molte galee. v. II. 86.
    » Fiorentini e Lucchesi contro Pisa. v. II. 90.
    » Devasta il Genovesato. v. II. 86.
    » Fa prigionieri molti Prelati. v. I. 192. 193.
    (da) Gherardino e Lanfranco. v. II. 173.
  =Pisani=. Guerre contro i Genovesi. v. II. 85.
    » Lanciano contro Genova freccie d'argento. v. II. 89.
    » Cagioni d'odio contro i Pisani. v. II. 90.
    » Danno le chiavi della città al Papa. v. II. 91.
  =Pistoia=. Vi muore Filippo Arcivescovo di Ravenna.
      v. I. 311.
    » Vi è frate Ugo di Jeres. v. I. 135.
  =Piumazzo=. I Parmigiani lo prendono. v. I. 11. 68.
  =Pizegolo=. Distrutto. v. II. 11.
  =Piazzola= (di). Famiglie. v. II. 198.
  =Po=. Gelato. v. I. 6. 61. 69. v. II. 145.
  =Pocapenna= di Canossa. Condottiero di Reggiani contro
      quei di Gesso. v. II. 205.
  =Poggibonzi=. Assediato da Carlo d'Angiò. v. II. 6.
  =Polenta= (da) Bernardino. Podestà di Ravenna. v. II. 218.
    Guido. Savio contegno verso un nemico. v. II. 167.
  =Polesine=. v. II. 133.
  =Poltronieri= (dei) Giliolo. Morto in battaglia. v. II. 140.
  =Ponte= di donna Egidia. v. I. 43.
    » Si fa di Pietra. v. II. 77.
    » È a tergo della chiesa dei Templarii. v. II. 144.
    di Benevento. A pie' d'una pila è sepolto Re Manfredi.
      v. II. 3.
    di S. Germano. Passa Re Carlo. v. II. 3.
    dei Salarii. Fatto in Parma. v. II. 219.
    di S. Procolo. Battaglia di Bolognesi Guelfi contro
      Bolognesi Ghibellini. v. I. 290.
    dell'Enza. Costrutto. v. II. 143.
    di Galera o Ghiaia, or Ponte Verde. Costrutto. v. II. 66.
    del Rodano. Fatto dall'Arcivescovo di Vienna. v. I. 133.
    della Tagliata, fatti da Lambertesco Lamberteschi.
      v. I. 78.
    del Taro. Costrutto. v. II. 144.
    della fossa di Parma. Rotto e conseguenze. v. I. 224.
  =Pontevico=. Vi arriva Federico II. v. I. 64.
  =Pontremolesi=. Accorrono al disalveo del Panaro. v. I. 63.
  =Pontremoli=. Ambito dal Pallavicino. v. I. 275.
  =Ponzio=. Frate Guardiano. v. I. 195.
    Provenzale. Morto in battaglia. v. II. 140.
  =Porta= Scortapelliccia. Ucciso in battaglia. v. II. 51.
    » Podestà di Lodi. v. II. 51.
  =Portico= di S. Pietro in Parma. v. II. 174.
    Pubblico in Parma vicino all'episcopio. v. II. 172.
  =Porto= di S. Maria presso Ravenna. v. II. 16.
  =Portoghesi=. Sconfitti. v. I. 3.
  =Poviglio=, Castello. Moría. v. II. 144.
    » Giacomo Enzola compra molte terre. v. II. 171.
  =Pozzolesi= (de') Andrea. Nipote di Salimbene. v. I. 30.
    Martino, Legato. Allevato in casa Pozzolesi. v. I. 314.
  =Pranzo= di Re Lodovico a Sens. Sua descrizione. v. I. 130.
  =Pratesi=. Contro Pisa. v. II. 90.
  =Prato= di S. Ercolano a Parma. Mercato e piazza de' tornei.
      v. II. 66.
  =Prato=. Città. Coi fiorentini contro Pisa. v. II. 90.
  =Predicatori=. Vantano la loro dottrina. v. I. 148.
    » Espulsi da Parma. v. II. 48.
    » Loro ritorno. v. II. 190.
  =Primaro=. Dov'è e castello dei Bolognesi. v. II. 13. 16.
  =Primasso=. Accusato fa sua scusa in versi.
      v. I. 56. 57. 58.
  =Privilegio= detto _Mare Magno_. v. I. 332.
  =Procida= (da) Giovanni. Cortigiano di Re Manfredi.
      v. II. 4.
  =Provins.= Salimbene vi si trova. v. I. 138.
  =Pucilesio= (da) Francesco. Morto in guerra a Colorno. v.
      I. 268. 269.
  =Puglia=. Papa Innocenzo IV. l'invade. v. I. 79.
    » Data in feudo a Roberto Guiscardo. v. I. 245.
    » Sua bellezza e ubertosità. v. I. 233.
  =Pungilupo= Armanno. Impostore creduto santo. v. II. 47.
  =Pusterla= (da) Guglielmo. Podestà de' mercanti a Milano.
      v. II. 40.
  =Putagio= Guido. Apostolo di Segalello. v. I. 157.
    » Viaggia da Prelato. v. I. 157. 158.
    » Entra nell'Ordine de' Templarii. v. I. 158.
    Guglielmo. Podestà di Bologna. v. II. 45.
    Rolando. Podestà di Bologna. v. I. 158.
      » Ambasciatore a Reggio. v. II. 81.
    Tripia. Prefettessa degli Apostoli. v. I. 164.


Q

  =Quaresima=. A Reggio si fa Carnevale in quaresima.
      v. II. 191.
  =Querciola=. Assalita da quei di Gesso. v. II. 205.
  =Quintavalla= (da) Bernardo. Il primo frate Minore ammesso
      da S. Francesco. v. I. 16.
  =Quinzano=. Re Enzo l'assedia. v. I. 92.
    » Re Enzo leva l'assedio. v. I. 97.


R

  =Rabuino= Anselmo. Compagno di Giovanni da Parma e sue
      qualità. v. II. 111.
  =Raimondello=. Uccide l'Arciprete di Caviano. v. II. 215.
  =Raimondo=. Frate, Ministro Provinciale. v. I. 172.
    di Atanulfo. Primo dei Saccati. v. I. 152.
    da Sesso. Podestà di Ferrara. v. I. 69.
    Di Berengario. Conte di Provenza. v. I. 137.
  =Rainaldo= di Arezzo. Non vuol esser Vescovo. v. I. 207.
    » Mortificato da un Vescovo. v. I. 210. 214.
    » Giudica un canonico. v. I. 212.
    » Rinuncia il vescovado. v. I. 213.
    » Sua morte, miracolo e qualità. v. I. 214. 215.
    di Este. v. I. 71.
    Vescovo Ostiense. v. I. 210.
      » Legato. v. I. 278.
       » Eletto Papa, Alessandro IV. v. I. 331.
       » Canonizza S. Chiara. Sue virtù. v. I. 331. 332.
    Di Tocca. Amato da Alessandro IV. v. I. 332.
  =Rainerio= maestro. Dotto, ma umiliato. v. I. 136. 137.
  =Rainieri= (dei) Berta. Ripudiata da Uberto Pallavicini.
      v. I. 229.
  =Ranfreda=. v. I. 10.
  =Rangoni= (dei) Gherardo. Morto in battaglia. v. II. 140.
    » Frate. v. II. 176.
    Tobia. Spodestato dai Reggiani. v. II. 84.
    Gherardo. Spiega l'origine del cognome da Gente e
      sua morte. v. I. 43.
    Gherardino. Frate, si eleva a grandezza v. II. 160.
    Guglielmo riceve un dono. v. II. 160.
    Beatrice, vedova è paciera tra Gesso e Bibbiano. v.
      II. 201.
    Giacomino. Signore di Modena per la Chiesa. v. I. 254.
      » Chiama soccorsi per Modena. v. I. 346.
      » Podestà di Modena. v. I. 254.
      » Podestà di Reggio. v. I. 347.
    Famiglia. È dei maggiorenti di Modena. v. II. 80.
  =Rappresentazione= sacra. v. I. 182.
  =Ravanino= Bellotti. Podestà di Reggio. v. I. 10.
  =Ravenna=. Presa da Federico II. v. I. 70.
    » Guglielmotto. Espulso. v. I. 76.
    » Predica un ragazzo. v. I. 162.
    » Paolo Traversari la signoreggia. v. I. 70. 261. 262.
    » Stefano del Re d'Ungheria espulso. v. I. 71.
    » Guglielmotto signore di Ravenna. v. I. 70.
    » Carlo Svevo nato a Ravenna. v. I. 348.
    » Porto di S. Maria di Ravenna. v. II. 16.
    » Un Commissario di Venezia è a Ravenna. v. II. 16.
    » Abbondanza a Ravenna v. II. 16. 17.
    » Guido da Polenta dimora a Ravenna. v. II. 167.
  =Ravennati=. Prendono Faenza. v. II. 50.
  =Re= d'Alemagna. Rodolfo vince il Re di Boemia. v. II. 44.
    dell'Algarvia. Dolente della fatuità di Pietro d'Aragona.
      v. II. 75.
    d'Inghilterra. Non tollera i motti dei buffoni di Corte.
      v. I. 184.
      » Custode dell'arena del duello tra Re Carlo e Re
        Pietro. v. II. 74. 75.
      » Onora fra Giovanni da Parma. v. I. 184.
    d'Aragona. Alla battaglia di Muradal. v. I. 3.
      » suo figlio conquista la Sicilia. v. II. 210.
    Artaldo. Tende a limitare le libertà della Chiesa. v.
        II. 244.
    di Boemia. Sconfigge gli Ungheri. v. I. 343.
      » Vinto e morto in battaglia da Rodolfo Imperatore.
        v. II. 44.
    di Castiglia. Alla battaglia di Muradal. v. I. 3.
      » Eletto Imperatore da un partito. v. I. 333.
      » Creduto l'Anticristo. v. I. 334.
      » Aiutato contro i figli ribelli. v. II. 75.
    di Francia. Alla battaglia di Muradal. v. I. 2.
      » Parte per l'Oriente. v. I. 130. 203.
      » Fa uffici con Pietro d'Aragona per indurlo a lasciare
        la Sicilia. v. II. 73.
      » Marcia contro Pietro d'Aragona. v. II. 75. 139.
      » Sua morte. v. II. 155.
    d'Ungheria. Vinto dal Re di Boemia. v. I. 343.
      » Manda una tazza d'oro ad Assisi. v. II. 240.
    Giovanni. Sua valentia nell'armi. v. I. 23.
      » Dice Federico II. figlio d'un beccaio. v. I. 23.
      » Sua figlia moglie dell'Imperatore Greco. v. I. 23.
    di Maiorica. Non s'impegna pel fratello Re d'Aragona.
        v. II. 75.
    di Navarra. Alla battaglia di Muradal. v. I. 3.
      » Va in Oriente. v. II. 18.
      » Muore in Sicilia. v. II. 20.
    di Portogallo. Gli duole della fatuità di Pietro d'Aragona.
        v. II. 75.
    dei Tartari. Suo figlio fa credere di farsi cristiano. v.
        II. 92.
    di Tarso. Scrive al Re d'Ungheria. v. II. 138.
    di Tunisi. Vinto si rende tributario del Re di Sicilia.
        v. II. 20.
  =Recanati=. Buonaggiunta ne fu primo ed ultimo Vescovo.
      v. II. 110.
  =Rechelda=. Concubina del padre di Salimbene. v. I. 29.
  =Redendesco=. Castello preso. v. I. 64
  =Regaldo= di Rouen. Riceve il Re di Francia a Sens.
      v. I. 126.
    » Pranza col Re di Francia. v. I. 129.
    » È a Mantova. v. I. 314.
    » Arcivescovo di Rouen in grazia del Re. v. I. 315.
    » Sua qualità. v. I. 314. 315.
  =Reggiani=. Aiutano i Parmigiani ed i Cremonesi v. I. 4. 7.
    » Assediano Gonzaga. v. I. 8.
    » Loro Podestà Ravanino Bellotti e tregua coi Mantovani.
      v. I. 10.
    » Loro Podestà Manfredo Cornazzani. v. I. 64.
    » Assediano Piumazzo. v. I. 68.
    » All'assedio di Brescia con Federico II. v. I. 66.
    » Loro Podestà Lambertesco Lamberteschi. v. I. 78.
    » Loro Podestà Uberto Pallavicino. v. I. 83.
    » Podestà Boso di Dovara, assediano Guastalla. v. I. 84. 92.
    » Loro Podestà Bonaccorso Bellincioni. v. II. 6.
    » Pace tra i Roberti e quei di Gesso. v. II. 6.
    » Ricuperano Corvara, Bismantova, Reggiolo. v. II. 8.
    » Prendono Brandola. v. II. 9.
    » Distruggono Pizzegolo e Toano. v. II. 11.
    » Deto loro Podestà prende Corvara. v. II. 21.
    » Aiutano Bologna contro Faenza. v. II. 28.
    » Eleggono Ugolino Rossi Capitano. v. II. 43.
    » Loro quistioni col clero per le decime. v. II. 49.
    » Loro Podestà Lodovico di S. Bonifacio. v. II. 60.
    » Podestà Bernardo Lanfredo. v. II. 62.
    » Podestà Barnaba Pallastrelli. v. II. 62.
    » Fanno scuse co' Parmigiani. v. II. 82.
    » Consultano Asdente. v. II. 82.
    » Fuorusciti ammessi e ricacciati. v. II. 152.
    » Fanno carnevale in quaresima. v. II. 191.
    » Combattimento in Reggio. v. II. 194.
    » Licenziano Podestà e Capitano. v. II. 194
  =Reggio=. Tiene per l'Impero. v. I. 64. 66.
    » Conia moneta. v. I. 43.
    » Ghiberto da Gente Podestà. v. I. 338.
    » Giacomo Penazzi Podestà. v. I. 338.
    » Tregua tra i fuorusciti e quei di dentro. v. I. 348.
    » È a Reggio la moglie di Re Carlo. v. II. 9.
    » È a Reggio l'Imperatore Greco. v. II. 17.
    » Vi arriva Filippo di Francia colla salma di S.
      Lodovico. v. II. 20.
    » Arriva Gregorio X. v. II. 26.
    » Si accorda col Vescovo per le decime. v. II. 51.
    » Muore Guglielmo Fogliani Vescovo. v. II. 65.
    » Consigli de' Parmigiani alla città di Reggio. v. II. 80.
    » Fa alleanza colle città Lombarde. v. II. 83.
    » Si proibisce la vendita del pesce in quaresima.
      v. II. 147.
    » Un bresciano maestro, è morto e straziato. v. II. 184.
    » Permette la costruzione di Timberga. v. II. 214.
    » Combattimento in Reggio. v. II. 194.
    » S'intromette tra quei di Querciolo, Gesso, Canossa.
      v. II. 205.
  =Reggiolo=. Vi si fanno le fosse. v. I. 78
    » Continua la costruzione della torre. v. I. 78.
    » È ricuperato dai Reggiani. v. II. 8.
    » Principio della costruzione della torre. v. I. 343.
  =Religione= vecchia di Parma. Istituita. v. II. 145.
    » Ampliato il convento. v. II. 160.
  =Reliquia= notevole della Croce di G. C. v. II. 115. 116.
  =Remigio= S. Battezzò Clodoveo. v. I. 172.
  =Reno= (il piccolo). Predicazione nella sua ghiaia.
      v. I. 52.
  =Riccardo= (di S. Vittore). Maestro di musica. v. I. 87.
    Cardinale. Difende gli eremitani. v. I. 152.
    Frate. v. II. 130.
    Conte di Cornovaglia. Eletto Imperatore. v. I. 333.
  =Ricci= (dei), Modenese. Morto in battaglia. v. II. 140.
  =Rifida= (di donna) Giovanni, Vescovo di Parma. v. I. 42.
  =Riminesi=. Assaliti dai Bolognesi. v. I. 6.
  =Rimini=. Signoria di Malatesta. v. I. 261.
  =Rinoceronte=. v. I. 196.
  =Ripafratta=. Scontro tra Lucchesi e Pisani. v. II. 140.
  =Rivalta=. Ricuperata dai Parmigiani. v. I. 202.
  =Rizzardo= Conte di Caserta. Vittima di Federico II.
      v. I. 320.
  =Rizzardo= Conte di Verona. Va a soccorso di Parma.
      v. I. 98. v. II. 60.
    » Sue qualità. v. II. 59. 60.
    Di Montenegro. Vittima di Federico II. v. I. 320.
  =Rizzuti= (dei) Guido. Cosa che avviene a sua moglie.
      v. I. 162.
  =Roberti= (dei) Antonio. Parteggia per que' di sopra in
      Reggio. v. II. 81.
    » Contrae parentela coi Fogliani. v. II. 43.
    Guido Gaio. Sua morte. v. II. 26.
    Ugo. Prigioniero di Ezzelino. v. I. 84.
      » Signore di Reggio per la Chiesa. v. I. 254.
    Il Vescovo di Tripoli. Sua morte in Parma. v. I. 203.
    Giovanni Rossello. Sua morte. v. II. 30.
    Manfredo. Vescovo di Verona, muore. v. II. 10.
    Tomasino. Di quelli della città di sopra in Reggio.
      v. II. 81.
    Il Patriarca di Antiochia. Muore a Lione e sue qualità.
      v. I. 85.
    Famiglia. Stormo alle case. v. I. 82.
      » Espulsa da Reggio. v. I. 82.
      » Fa Podestà di Reggio Giacomino Rangone. v. I. 347.
  =Roberto=. Fratello del Re di Francia. v. I. 127.
    » Compagno del fratello Re alla crociata. v. I. 203.
    » Ucciso. v. I. 204.
    Normanno. v. I. 246.
    Grossatesta. Arcivescovo di Lincoln. v. I. 134.
    Patriarca di Gerusalemme. Scrive di stragi di cristiani.
      v. I. 81.
    di Tripoli. Podestà di Milano. v. II. 21.
    Servitore de' Minori e sue qualità. v. I. 155. 156.
  =Rocchetta= di Boso di Dovara. Assediata. v. II. 7.
    » Vi passa Corradino. v. II. 8.
    » Assediata e smantellata. v. II. 11.
    Di Tiniberga o Timberga. v. II. 214.
  =Rochelle=. Vi è abbondanza di vigne. v. I. 123.
  =Rodiglia= (di) Giacomo. Fatto Cavalliere. v. II. 17.
    » S'imparenta con Guido di Tripoli. v. II. 43.
    Giovannino. v. II. 181.
  =Rodolfo= d'Alemagna. Eletto Imperatore per volontà del
      Papa. v. I. 232.
    » Dà ai Minori il suo palazzo in Reggio. v. I. 339.
    » Fatto Imperatore dagli Elettori legali. v. II. 27.
    di Sassonia. Frate dotto. v. I. 138.
    Re dei Romani. In guerra col Re di Boemia. v. II. 44.
      » Dà la Romagnola al Papa. v. II. 55. 63.
      » Non fu incoronato. v. II. 193.
      » Emette un'ordinanza a favore dei Minori. v. II. 187.
  =Roglerio=[128] di Bagnacavallo. Signore di Ravenna.
      v. II. 15.
    » Per generosità d'un nemico ha salva la vita v. II. 167.
    Di Lodi. Suo fatto. v. II. 107.
  =Rolandino= di Canossa. Abbruciata la sua casa. v. II. 194.
  =Rolando= di Pavia. Frate, sue qualità e miracolo.
      v. II. 114.
    Maestro di Parma. Opere sue degne di memoria. v.
      II. 158.
      » Sartore, dottore, vescovo, letterato. v. II. 157. 158.
      » In sua morte. v. II. 159.
  =Rolo=. Vi furono fatti molti prigionieri v. I. 217.
    » Occupato. v. I. 220.
  =Roma=. Predizione su Roma. v. I. 253.
    » Carlo d'Angiò a Roma. v. I. 347.
    » Corradino s'accosta a Roma. v. II. 8.
  =Romagnola=. Combatte a favore de' Bolognesi. v. I. 34.
    » La Chiesa ricupera la Romagnola. v. I. 203.
    » Guerre in Romagnola. v. I. 96.
    » Signorìa di Taddeo Buoncompagni. v. I. 263.
    » È impedita l'esportazione de' prodotti. v. II. 15.
    » Gran terremoto. v. II. 44.
    » Gli imperiali fuggono da molte città. v. II. 49.
    » Donata al Papa da Rodolfo Imperatore. v. II. 55. 63.
    » Vinta da Martino IV. con molto spendio. v. II. 63.
  =Romagnoli=. Devastano l'agro Reggiano. v. I. 219.
    » Assediano Modena. v. I. 220.
    » Fan pace coi Bolognesi. v. II. 44.
  =Romano= (da) Alberico. Signore di Treviso. v. I. 255.
    » Sue atrocità e sue qualità. v. I. 255. 256.
    » Sbranato. v. I. 251. 259.
    » Pentito. v. I. 261.
    Ezzelino. (Vedi alla lettera E).
  =Roncolo=. Assalito da quei di Gesso. v. II. 198.
  =Rosa=. Dono del Papa al Prefetto di Roma. Che cosa
      significhi. v. II. 128.
  =Rosa= (di) Giovanni. Morto in battaglia. v. II. 140.
    Manfredo. Signore di Modena. v. I. 254.
      » Chiama Toscani in aiuto di Modena. v. I. 346.
    Manfredino. Podestà di Parma. v. I. 269.
    Famiglia espulsa da Modena. v. II. 78.
  =Rossena=. Presa. v. I. 83.
  =Rossi=. Bernardo di Rolando. Viene in soccorso di Parma.
      v. I. 94. 99.
    » Intende un'allegoria di Federico II. v. I. 105.
    » Sue qualità e famiglia. v. I. 223.
    » Crede gli sia stata fatta ingiustizia. v. I. 50.
    » Ucciso presso Collecchio. v. I. 203.
    » Signore di Parma per la Chiesa. v. I. 254.
    Gherardo. v. II. 169.
    Guglielmo. Fatto Cavalliere. v. II. 57.
    Ugolino. Capitano del popolo a Reggio. v. II. 42.
      » Fatto Cavalliere. v. II. 57.
      » Va ambasciatore a Reggio. v. II. 81.
    Ugo. Capo di fazione in Parma. v. II. 81.
    Giacomo. v. II. 42. 57.
    Matteo Cardinale. Protettore dei Minori. v. I. 72. v.
        II. 193.
    Matteo. Cardinale e Vescovo. v. II. 41.
    Rolando. v. I. 99.
  =Rozzi= (dei) Gherardo. Predice prospera fortuna a chi
      occupò Colorno. v. I. 165. v. II. 106.
    » Una sua profezia smentita dal fatto. v. I. 165.
        v. II. 106.
  =Rubaconti= Ubaldino de' Mandelli. Podestà di Reggio.
      v. I. 342.
  =Rubiera=. Prigionieri di guerra scambiati. v. II. 139.
  =Rufino= d'Alessandria. v. I. 209.
    Provinciale di Bologna. Chiama Salimbene a Bologna.
      v. I. 207.
  =Rufino= S. Villa. Cosa meravigliosa osservata. v. II. 88.
    Gorgone di Piacenza. Istituisce i militi della B. V.
      v. I. 344.
  =Ruggiero= o
  =Rogierio= di Bagnacavallo. Signore di Ravenna
      per gli Imperiali. v. I. 263. v. II. 167.
  =Rustici= (dei) Triverio. Podestà di Reggio. v. II. 25.
  =Ruzinento=. Ostaggio. v. I. 203.


S

  =Saba=. Regina. v. I. 324.
  =Saccati= (dei) Ordine. Istituiti a Jeres. v. I. 150.
    » Soppressi. v. I. 152. v. II. 27.
    » Ubbidiscono al Papa. v. I. 163.
  =Sacerdoti=. Loro antagonismo coi frati. v. I. 300 e seg.
  =Sacristia= del Duomo di Parma. Vi è custodita la corona
      di Federico II. v. I. 108.
  =Saladino=. Parola segnata sul capo del dragone. v. I. 321.
  =Salinguerra=. Fa pace con Federico II. v. I. 63.
    » Mandato prigione a Venezia. v. I. 69.
    » Signore di Ferrara. v. I. 69. 255.
  =Salins=. Morìa. v. II. 62.
  =Samaritani= (dei) Lambertino. Podestà di Faenza. v. I. 296.
  =S. Bonifacio= (di) Conte. Lodovico esule. v. I. 261.
  =S. Bonifacio= (di) Conte marita la figlia con Savino della
      Torre. v. II. 59.
    » Contro il Marchese di Monferrato e i Milanesi. v. II. 53.
    » Podestà di Reggio. v. II. 59.
    » Sua morte e funerali. v. II. 60. 61.
    Mabilia. Maritata con Savino Torriani. v. II. 59.
    Rizzardo. Soccorre i Parmigiani contro Federico II.
      v. I. 94.
      » Alloggia in Parma all'Arena. v. I. 98.
    Vinciguerra. Figlio di Lodovico. v. II. 60.
  =S. Ruffino=. Villa. Vedute due stelle che si davano
      l'assalto. v. II. 88.
  =Sansone=, frate inglese. v. II. 235.
  =S. Salvatore=. Villa. Muore Bonifazio da Foiano. v. II. 18.
  =S. Severino=. Ruina per terremoto. v. II. 44.
  =Santa= Maria in Monte. I Bolognesi vi si affollano per
      vedere maestro Boncompagni che aveva detto di volare.
      v. I. 53.
    Di Bagno. v. II. 116.
    In strada. Combattimenti avvenuti. v. I. 11. 13. 35.
  =Santo= Amore (del) Guglielmo. Pubblica un libello.
      v. I. 333.
    » Espulso dalla Francia. v. I. 333.
  =Santo= Stefano. Terra occupata. v. I. 220.
  =Sanvitali= (dei) Alberto. Canonico in Parma. v. I. 35.
    » Vescovo eletto. v. I. 35.
    » Il vescovado si toglie a Bernardo Vizio per conferirlo
      ad Alberto Sanvitali. v. I. 36. 80.
    Anselmo. v. I. 36.
      » Canonico e Vicario del Vescovo. v. II. 47.
    Azzone Prende moglie una sorella di Salimbene. v. I. 35.
    Cecilia. v. I. 37.
    Guarino. Morto in battaglia. v. I. 35.
    Guglielmo. v. I. 36.
    Ugo. Capitano de' fuorusciti. v. I. 91.
      » Tenta rientrare in Parma. v. I. 92.
    Giacomo. Perseguitato da Ghiberto da Gente. v. I. 328.
    Mastino. S'adopera a concordare i Modenesi v. II. 149.
    Obizzo. Vescovo di Parma. v. I. 36.
      » Difende i frati contro il clero secolare. v. I. 299.
      » Sue qualità e severità col clero. v. I. 36. 37. 311.
      » Tenuto in reverenza. v. I. 343.
      » Imprigiona Segalello. v. I. 160.
      » È alla testa d'una fazione. v. II. 81. 202.
      » Convita Asdente. v. II. 84.
      » Espelle i così detti Apostoli. v. II. 183.
      » Sua discordia con Guido da Correggio. v. II. 220.
    Tedisio. Sue qualità. v. I. 37.
    Zangaro. Morto in battaglia. v. I. 35.
  =Saraceni=. A servizio di Federico II. v. I. 64.
    Di Lucera. v. I. 101.
    Passano in Ispagna. v. II. 6.
    Guerra con loro in Tunisia. v. II. 18. 19.
      » Muore il loro Re. v. II. 221.
  =Sassuolo= (di) Manfredo. Signore di Modena per l'Impero.
      v. I. 254.
    Tomasino coi fuorusciti Ghibellini entra in Modena. v. II. 217.
  =Sassuolo=, Terra. Salimbene vi è chiamato a predicare.
      v. I. 342.
    » Assalito dai Modenesi. v. II. 80.
    » Trattative di pace coi Modenesi. v. II. 149.
    » Pietro da Collecchio tenta di pacificare Modenesi
      e Sassolesi. v. II. 149.
    » Guido e Matteo da Correggio tentano accordi fra
      Modena e Sassuolo. v. II. 149.
    » I Sassolesi sono ricacciati da Modena. v. II. 198.
  =Savelli= (dei) Giacomo. Eletto Papa Onorio IV. v. II. 129.
    » Suoi atti. v. II. 129.
  =Savignano=. Assediato. v. II. 22.
    » Famiglie di fuorusciti vi abitano. v. II. 78. 79.
  =Savini= Giacomino. Frate compagno di Salimbene. v. II. 116.
  =Savoia=. Ove comincia dalla parte d'Italia la Signoria del
      Conte. v. I. 98.
  =Savona=. Devastata dai Pisani. v. II. 86.
  =Scala= (della) Alberto. Signore di Verona. v. I. 276.
    » Sue qualità. v. I. 276.
    » Vendica Mastino. v. II. 40.
    Mastino. Succede ad Ezzelino da Romano. v. I. 276.
      » Ucciso da assassini. v. I. 276. v. II. 40.
  =Scalopia=. Fatta da Re Enzo. v. I. 203.
  =Scarabello= Guglielmino. Uno de' Capi di quei di Gesso.
      v. II. 202. 203.
  =Scardove=. Abbondanti nel Taro morto. v. I. 98.
  =Scarpa=. Famiglia. v. I. 199.
  =Scazano=. Stormo intorno alla casa di. v. I. 82.
  =Schiavonia=. v. II. 112. 116.
  =Scipione=. Castello dei Pallavicini. v. I. 271.
  =Scoltenna=, Scotenna, o Panaro. Si vuol condurre contro
      Castelfranco. v. I. 63.
  =Scorza= Egidio. Sposa Ermengarda da Palù. v. I. 275. 276.
  =Scoto= Michele. Astrologo interrogato da Federico II. v.
      I. 235.
    » Sue predizioni ridotte in versi. v. I. 249.
  =Scotti= Armanno. In missione a Reggio. v. I. 92.
  =Secchia=, Torrente. Proposta ai Parmigiani per confine del
      loro territorio. v. II. 24.
  =Segalello= Gherardino. Istituisce la Congregazione degli
      Apostoli. v. I. 153. 155.
    » Sue qualità. v. I. 153. 154. 160.
    » Suo vestiario. v. I. 153.
    » Sua stranezza a Collecchio. v. I. 154.
    » Ammirato da' suoi seguaci. v. I. 154.
    » Gregorio X. Sopprime la Congregazione di lui. v. I. 154.
    » Riceve a Parma 72 Apostoli e 12 giovinette Apostolesse.
      v. II. 126.
    » Fa pazzie. v. I. 160.
  =Sens=. Passaggio di S. Lodovico. v. I. 126 e seg.
  =Senzenese= (di) Gherardo. v. I. 21.
      Villa comprata da maestro Rolando. v. II. 159.
  =Sepolcro= della Contessa Matilde a Polirone. v. I. 324.
  =Serafinelli= (dei). v. II. 12.
  =Serchio= fiume. v. II. 140.
  =Sermione=. Nido di eretici. v. I. 318.
  =Sessa=. Castello. v. I. 820.
  =Sesso= (di) Egidio. Frate Gaudente. v. I. 344.
    Bernardo. Frate Gaudente. v. I. 344.
    Atto. v. II. 169.
    Giliolo. v. I. 338.
    Guido. Muore affogato. v. I. 217.
      » Signore di Reggio per l'Impero. v. I. 254.
    Giuliano. Uno spurio della famiglia. v. I. 219.
      » Giudice condanna a morte alcuni di que' da Foliano.
          v. I. 218.
      » Sua morte. v. I. 219.
    Raimondo. Podestà di Ferrara. v. I. 69.
    (quelli di). Sconfiggono il Marchese Cavalcabò. v. I. 42.
      » Sono confinati. v. I. 347.
      » Pacificazione tra i fuorusciti e que' di dentro v. II. 6.
      » Danno Reggiolo ai Cremonesi. v. II. 8.
      » Ventiquattro mandati a confino. v. II. 18.
      » Si smantellano le loro castella. v. II. 18.
  =Sibille=. Eritrea e Tiburtina. v. I. 232.
  =Sicilia=. Aiuta Federico II. v. I. 101.
    » Quanto bella. v. I. 233.
    » Data in feudo a Roberto Guiscardo. v. I. 245.
    » Data a Carlo d'Anjou. v. I. 346.
    » Vespro Siciliano. v. II. 54.
    » Occupata da Pietro Re d'Aragona. v. II. 126.
  =Sienesi=. Vittoriosi a Montaperti. v. I. 340.
  =Sile=. Fiume. v. I. 257.
  =Simmaco=. Condannato a morte. v. I. 115.
  =Simone=. Capitano di Milano. v. II. 39.
    Della Contessa. Ministro dei Minori. v. I. 202.
    di Montesarchio. Procuratore dei Minori alla Corte del
      Papa. v. I. 197.
      » Va in Puglia a ribellarla a Federico II. v. I. 201.
      » Sue doti. v. I. 202.
      » Torturato. v. I. 202.
      » Fa miracoli. v. I. 202.
  =Sinigallia.= Per tradimento data a Guido di Montefeltro.
      v. II. 51.
    » Sostiene d'avere il corpo della Maddalena.
      v. II. 69.
  =Siponto=. Rifabbricato da Manfredi prende nome di
      Manfredonia. v. II. 4.
  =Siria=. v. II. 182.
  =Società= dei Crociati in Parma. v. I. 270.
    tra Reggio e Parma. v. I. 7.
    della Giustizia a Bologna. v. II. 21.
    dei cinquecento. v. I. 328.
  =Soldano= di Babilonia. Prende Antiochia. v. II. 10.
    » Minacciato perchè vuol farsi cristiano. v. II. 92.
  =Sommo= (dei). Famiglia annientata. v. I. 229.
  =Soncino=. Vi è sepolto Ezzelino da Romano. v. I. 285. 339.
    » Dato per tradigione ai Cremonesi. v. II. 57.
  =Soragna=. Mabilia Pallavicini lascia le sue terre di
      Soragna ai poveri. v. I. 274.
    » Vi abitano i Pallavicino. v. I. 275.
    » Pallavicino e Lupi in Soragna. v. II. 166.
  =Sorbolo=. Si scava il Gambalone sino a Sorbolo. v. II. 68.
  =Sosonana=. Castello di Pietro Pagani. v. I. 263.
  =Speciale= Ugo. v. II. 26.
  =Spello=. Ruina per terremoto. v. I. 44.
  =Spelonca= di S. Maria Maddalena. v. II. 70.
  =Spelta=. Prezzo. v. I. 11. v. II. 42.
  =Spezzano= (di) Francesco. Morto in battaglia. v. II. 140.
    Tomaso. Morto in battaglia. v. II. 140.
  =Spinola= Uberto. Signore di Genova va contro Pisa.
      v. II. 140.
  =Spoleto.= v. II. 210.
  =Staio.= Parmigiano e Ferrarese. v. I. 226.
  =Stanislao= S. Canonizzato in Assisi. v. I. 79.
  =Statuti= dei Reggiani contro il clero. v. II. 49. 50. 51.
  =Stefani= (degli) Grisopola. v. I. 30.
    Martino. v. I. 30.
    Villana. v. I. 30.
    Famiglia splendida. v. I. 34.
  =Stefano=. Inglese. È a Beaucaire. v. I. 173.
    » È a Genova. v. I. 174. 209.
    » Fa onore a Genova. v. I. 200.
    » Predica a confusione d'un Vescovo. v. I. 200. 210.
    » Va a Roma. v. I. 198.
    Cardinale. Sua morte. v. I. 331.
    d'Ungheria. Sposa Traversaria di Ravenna. v. I. 70. 262.
      » Signore di Ravenna. v. I. 262.
      » Sue disgrazie. v. I. 70. e seg.
      » Fratello di S. Elisabetta. v. I. 70. 71.
    Lettore. Sue qualità. v. I. 173.
  =Stelle=. Due unite. v. II. 170.
  =Sterilità= delle terre. v. I. 94
  =Stormo=. In Reggio intorno alla casa di Scazano. v. I. 82.
  =Stranezze= di Federico II. v. I. 232. e seg.
  =Strasburgo=. Capitolo generale de' Minori. v. I. 182. 197.
      v. II. 57.
  =Strufi= (degli). Pacificati cogli Orsi e Salustri.
      v. II. 58.
  =Suore= di S. Chiara. Vendono un vecchio convento.
      v. I. 338.


T

  =Taccoli= (dei) Arduino. v. II. 24.
    Rondanello. Fatto Cavalliere del Conte d'Artois. v. II. 58.
  =Taddeo= Romano. Tenuto per santo. v. I. 198.
    di Sessa Principe. v. I. 320.
  =Tagliacozzo=. Battaglia. v. II. 9.
  =Tagliata=. Si fa il cavo. v. I. 8.
    » Coll'assenso dei Cremonesi s'interra la Tagliata
      dai Reggiani. v. II. 41.
    » I Cremonesi impediscono l'Otturamento della Tagliata.
      v. II. 41.
    » Vi si fanno i ponti. v. I. 78.
  =Tarasconi= Giberto. Espulso da Reggio. v. I. 82.
  =Tarascon=. Castello. Predicazione. v. I. 136.
    » Frate Giovanni da Parma a Tarascon. v. I. 172.
    » Vi è il corpo di S. Marta. v. I. 172. v. II. 69.
    » Clodoveo a Tarascon. v. I. 172.
  =Taro=, Torrente. Combattimento dei Parmigiani nella ghiaia
      del Taro. v. I. 93.
    » Re Enzo s'accampa al Taro morto. v. I. 97.
    » Torri costrutte alla foce del Taro. v. II. 144.
    » Ponte costrutto sul Taro. v. II. 144.
  =Tartarìa=. Fra Giovanni di Magione ritorna dalla Tartarìa.
      v. I. 111.
    » Lettera dell'imperatore dei Tartari. v. I. 113.
    » Invadono l'Ungheria. v. II. 138.
  =Taverna= Rolando. Scrive de' miracoli di S. Lodovico.
      v. II. 23.
    » Sartore, dottore, vescovo e sue opere. v. II. 157. 158.
  =Tavernieri= (dei) Maria. Si marita. v. I. 93.
    Giacomo. Fatto Cavalliere. v. II. 169.
    Bertolino. Bandito da Parma. v. I. 329.
      » Rompe il confino. v. II. 165.
      » Podestà di Napoli. v. I. 331.
      » Costringe i Cardinali ad eleggere il Papa in Napoli.
          v. I. 331.
    Bartolo. Signore in Parma pel partito imperiale. v.
          I. 254.
      » Ferito si ritira a Costamezzana. v. I. 92.
    Auda. v. I. 67.
    Paolo. Capitano del partito dell'Impero. v. I. 94.
  =Tebaldello=. Ridà Faenza alla Chiesa. v. I. 262. v. II. 50.
    » Traditore del suo partito. v. I. 262.
    » Sue qualità. v. II. 50. 51.
    » Sua morte. v. II. 52.
  =Tebaldi= Francesco. Si ribella a Federico II. v. I. 83.
    » Ucciso. v. I. 227. 320.
    Famiglia. Ha per mezzadro Giovanni Barisello. v. I. 266.
  =Tedeschi=. Assediano Brescia. v. I. 66.
    » A Verona con Corradino. v. II. 7.
  =Templarii=. Eredi di Bertolino Tavernieri. v. II. 166.
    » Loro convento a Monfalcone. v. II. 179.
    » Loro convento in Parma a capo del Ponte Caprazucca,
      sinistra del torrente. v. II. 144.
  =Tempo= dell'allelluia. v. I. 60. 345.
  =Teodorico=. Arcivescovo di Ravenna. v. I. 55.
    Re. Fabbrica chiese. v. I. 115.
      » Suo sepolcro. v. I. 115.
      » Sue ceneri disperse da Papa Gregorio. v. I. 115.
  =Terra= di Lavoro. Aiuta Federico II. v. I. 101.
    » Sua bellezza. v. I. 233.
    Santa. Il padre di Salimbene vi è andato. v. I. 14.
      » S. Lodovico Re va per liberarla. v. I. 128.
      » Federico II. s'acconcia coi Saraceni. v. I. 228.
      » Seconda crociata di S. Lodovico. v. II. 18.
  =Terremoto=. Di Brescia, v. I. 9.
    » Altri terremoti. v. I. 220. v. II. 44. 107. 146.
    » Spiegazione che si dà del fenomeno. v. II. 109.
  =Tesoro= di Vittoria. v. I. 108.
  =Tessalonica=. Regno dato in dote al marchese di Monferrato.
      v. II. 103.
  =Testa= Enrico. Podestà di Parma ucciso a Borghetto.
      v. I. 92.
    » Sue qualità. v. I. 94.
  =Thaday-Kan.= v. I. 114.
  =Ticino= v. II. 8.
  =Timberga=, o =Tiniberga=. Etimologia. v. II. 214.
  =Tinche=. v. I. 98.
  =Toano=. Castello distrutto. v. II. 11.
  =Tomaso= di Cantorbery. Suo martirio. v. I. 62.
    » Espulso d'Inghilterra. v. I. 123.
    Cardinale. Vicelegato. v. I. 88. 278.
      » Letterato. v. I. 278.
      » Scrive a Federico II. v. I. 278.
    di Cellano. Scrive la vita di S. Francesco. v. I. 80.
    di Pavia. Sue qualità. v. I. 311.
    Greco. Compagno di Giovanni da Parma in Grecia.
      v. I. 206.
  =Tonnere= (di) Conte. Carlo d'Angiò. v. II. 72.
  =Torello= Giacomo. Figlio di Salinguerra. v. I. 69.
    Di Strada. Fabbrica il palazzo comunale a Parma.
        v. II. 67.
      » Fabbrica il castello di Torello. v. II. 67. 146.
      » Podestà di Parma. v. II. 146.
  =Torino=. Vi è Federico II. v. I. 28. 98.
    » Suore (di). v. I. 38.
  =Tormenti= crudeli e nuovi. v. II. 212. 213.
  =Torniglio= Francesco. v. II. 160.
  =Torre= di Gherardo del Canale. v. I. 104.
    » Detto ironico di Federico II. per Gherardo. v. I. 104.
    Di Governolo. v. II. 17.
    di Reggiolo. Si fabbrica. v. I. 343.
    di Rufino Vernazzi. v. II. 67.
    Degli Asinelli. v. II. 70.
  =Torri= alla foce del Taro, dell'Enza, della Parma.
      v. II. 144.
  =Torriani= (dei) Cassone. Entra in Milano. v. II. 39.
    » Prende Lodi. v. II. 42.
    » Ucciso in battaglia. v. II. 51.
    Francesco. È ucciso. v. II. 39.
    Napo, o Napoleone. Signore di Milano. v. I. 254.
      » Rimosso dall'anzianato e prigioniero in una gabbia.
        v. II. 39.
    Savino o Salvino. S'ammoglia e prende stanza a
        Parma. v. II. 59.
      » Sua morte. v. II. 219.
    Tassone. Signore di Milano. v. I. 254.
    Famiglia. Tradita. v. II. 48.
  =Torricella=. Messa a fuoco dai Mantovani. v. I. 84.
    » Arriva Federico II. v. I. 117.
  =Tortelli= (dei) Giacomino frate. v. II. 131.
  =Tortigliano.= Dov'è. v. I. 84.
  =Tortona=. Vi passa Salimbene. v. I. 209.
    » Vi domina il Pallavicino. v. I. 228.
    » Guerra pel possesso di Tortona. v. I. 272.
    » Confino di 24 di quei di Sesso. v. II. 18.
    » Il Marchese di Monferrato la occupa. v. II. 103. 104.
    » Il Vescovo è ucciso. v. II. 104.
  =Tortonesi= prigionieri. v. I. 326.
    » Non cedono le castella del Vescovo. v. II. 104.
  =Toscani=. Devastano S. Vito. v. I. 222.
    » Accordi perchè vengano a Bologna. v. II. 25.
  =Trabucchi=. v. I. 237.
  =Traversarii= (dei) Aica. Ostaggio di Federico II. v. I. 74.
    » Fatta bruciare. v. I. 74.
    Paolo. Sue qualità. v. I. 70.
      » Aica sua figlia. v. I. 74.
      » Suo sepolcro. v. I. 75.
      » Signore di Ravenna per la Chiesa. v. I. 70. 262.
  =Trebbio= (di) Arciprete. Sua discussione con Salimbene.
      v. I. 300. e seg.
  =Trevigiani=. In ribellione. v. I. 68.
    » Sbranano Alberico da Romano. v. I. 255.
  =Treviso=. v. I. 255.
  =Tripla=. Prefettessa degli Apostoli. v. I. 164.
  =Tripino= (di) Zaccaria. Morto in battaglia. v. II. 140.
  =Tripoli= (di) Gerardo. Sua morte. v. II. 25.
    Guido. Sua parentela con Giacomino di Rodiglia v. II. 43.
      » Ambasciatore dei Reggiani a Parma. v. II. 82.
      » Signore di Reggio. v. II. 194.
      » Difende i Minori. v. II. 197.
      » Roberto Podestà di Milano. v. II. 21.
  =Trisendo=. Depreda lungo la strada da Reggio a Canossa.
      v. I. 338.
  =Tristano=. Figlio di Lodovico Re di Francia morto in
      Tunisia. v. II. 20.
  =Trutanno=. Versi fatti da lui. v. II 132.
  =Tujuk-Kan=. v. I. 114.
  =Tunisi=. Occupata da S. Lodovico. v. II. 18.
  =Tunisia=. Occupata e fatta tributaria del Re di Napoli.
      v. II. 20.
  =Turchi= (dei) Albertino. v. II. 173.
  =Turco= da Bismantova. Ucciso. v. II. 8.


U

  =Ubaldino= di Mugello. v. I. 279.
  =Uberto= di Bobbio. Maestro di leggi in Parma v. II. 54.
  =Uberto= Iniquità. Signore di Piacenza. v. I. 254.
  =Uccelli=. Gran moltitudine. v. I. 95. v. II. 14.
  =Ufficio= ecclesiastico. Suo bisogno di riforme. v. I. 4.
  =Ugo=. Frate Minore dimora a Jeres. v. I. 131.
    » Invitato in Ispagna. v. I. 194.
    » Sue qualità. v. I. 132. 135.
    » Tiene conferenze a Jeres. v. I. 137.
    » Disputa con frate Pietro Predicatore. v. I. 142. e seg.
    » Ha nemici. v. I. 150.
    » Sua morte a Marsiglia. v. II. 113.
    Cardinale. Sue qualità. v. I. 79.
  =Ugolino=. Arciprete di Trebbio. v. I. 300.
    Cardinale. v. I. 11.
      » Legato. v. I. 11. 278.
      » Eletto Papa Gregorio IX. v. I. 278.
    Di Gavassa Frate. Cosa che gli accade alle porte di
        Reggio. v. I. 218.
  =Uguccione= Vescovo di Ferrara. v. II. 258.
  =Umborgo= Bertoldo. v. I. 320.
  =Umile=. Frate di Milano. v. I. 22. v. II. 235.
    » Maestro di teologia di Salimbene. v. I. 165.
    » Scolaro di Aimone. v. I. 165.
    » Suo racconto. v. I. 302. 303.
  =Umiliati= (degli) casa. v. II. 66.
    » Loro convento al Paullo. v. II. 158.
  =Ungheria=. Invasa dai Tartari. v. I. 12.
    » In guerra col Re di Boemia. v. I. 344.
  =Unicorno=. v. I. 196.
  =Università= di Parigi. Si leva contro i Minori. v. I. 178.
  =Urbano IV=. Crea Cardinale un nipote. v. I. 74.
    » Oriondo di Troises. v. I. 74.
    » Eletto Papa. v. I. 201. 346.
    » Dà la Sicilia a Carlo d'Anjou. v. I. 346.
    » Sua lettera al Vescovo di Ferrara. v. I. 201.
    » Sua morte. v. I. 296. 313. 346.
  =Urbino=. Dov'è. v. I. 187.


V

  =Valerio= (monte). Occupato dai Modenesi fuorusciti.
      v. II. 5.
    » S'arrende ai Modenesi della città. v. II. 6.
  =Valle= di S. Giovanni di Moriana. Grande frana. v. I. 204.
  =Valle= Spoletina. v. I. 202. v. II. 210.
  =Varano=. Castello dei Pallavicini. v. I. 276.
  =Varoli= Gherardo. Denunzia i pescivendoli di Reggio. v.
      II. 148.
  =Vatacio= Imperatore Greco. Domanda al Papa fra Giovanni
      da Parma. v. I. 188.
    » Fa regali a Giovanni da Parma. v. I. 183.
    » Si spera induca i Greci alla dottrina della Chiesa
      romana. v. I. 205.
  =Vegezio.= Suoi libri sull'arte della guerra. v. I. 282.
  =Venditori= di pesce a Reggio. Si proibisce loro di venderne
      in quaresima. v. II. 147.
  =Venezia= (di) Doge. Gli è consegnato Salinguerra. v. I. 69.
    Città innondata dal mare. v. II. 107.
  =Veneziani=. Presso Luzzara. v. I. 84.
    » Battono un castello de' Bolognesi. v. II. 14.
    » Loro crociata contro Alberico da Romano. v. I. 258. 259.
    » Loro qualità. v. II. 14.
  =Venti= furiosi. v. II. 11.
  =Ventimiglia.= Devastata dai Pisani. v. II. 86.
  =Vercelli=. Riconquistato da Federico II. v. I. 202.
    » Tributaria del Pallavicino. v. I. 228.
    » Signoria di Pietro Becherio. v. I. 254.
  =Vernaccia= di Chiavari. Ottima. v. II. 132.
  =Vernazzi= (dei) Rufino. Sua torre presso San Pietro in
      Parma. v. II. 67.
  =Verona=. Bruciati 11000 Padovani. v. I. 100. 260.
    » Signorìa di Ezzelino. v. I. 260.
    » Signorìa di Mastin della Scala. v. I. 61. 276.
    » Re Corradino a Verona. v. II. 7.
    » Mastin della Scala ucciso. v. I. 276. v. II. 40.
    » Signorìa d'Alberto della Scala. v. I. 276.
    » Fa pace con Padova. v. II. 49.
    » Nega marmi pel battistero di Parma. v. II. 66.
    » Brucia il convento dei Domenicani. v. II. 76.
  =Veronesi=. Prendono Bondeno. v. I. 8.
    » Quei di Gesso sperano il loro aiuto. v. II. 208.
  =Verzoli=. Borghigiani nobili. v. I. 267.
  =Vescovado= di Auxerre. v. I. 122.
    di Arezzo. v. II. 115.
    di Brescia. v. I. 8.
    di Modena devastato. v. II. 79.
  =Vescovo= di Bologna. Sa dei morti alla Meloria. v. II. 88.
    Di Corsica. Fa prete Salimbene. v. I. 199.
      » Espulso dalla diocesi. v. I. 199.
    di Faenza. Sue qualità. v. I. 309.
    di Ferrara. Avaro. v. I. 201.
    di Pisa. Scrive del numero dei morti alla Meloria.
        v. II. 88.
    di Genova. Avaro e sospetto di eterodossia. v. I. 200.
    di Tortona. Fatto uccidere. v. II. 103.
    di Tripoli. Muore in Parma. v. I. 203.
  =Vespro= Siciliano. v. II. 54.
  =Vettovaglia=. Abbondanza. v. II. 16. 17.
  =Vezelay.= Si crede abbia il corpo della Maddalena.
      v. I. 130.
  =Viceconti= a Pisa. v. I. 277.
  =Vicentini.= Contro Federico II. v. I. 63.
  =Vicenza=. Signorìa di Ezzelino. v. I. 260.
    » Presa e distrutta da Federico. II. v. I. 63.
  =Vico= (di) Pietro. Sua morte. v. II. 10.
  =Vie= di Parma. S. Michele, S. Lucia, dei Genovesi ampliate.
      v. II. 67.
  =Vienna= di Provenza. S.ª Marcella morta a Vienna. v. I.
      171. 207.
    » Salimbene a Vienna. v. I. 133.
  =Vigna= del balsamo. v. I. 196.
  =Vigne= distrutte. v. I. 6. 60. 61. v. II. 11.
  =Vigne= (delle) Pietro. Calunniato. v. I. 106.
    » Favorito di Federico II. v. I. 106. 320.
    » Ucciso. v. I. 106. 227. 320.
  =Vignola.= Bolognesi sconfitti dai Parmigiani ecc. v. I. 68.
  =Villafranca= de Panades. Morte di Pietro d'Aragona.
      v. II. 160.
  =Villano= Ferri. Prende a gioco Federico II. v. I. 236. 237.
  =Vinciguerra.= v. I. 261.
    » Figlio di Lodovico conte di S. Bonifacio. v. II. 60.
  =Vino= di Francia. Quantità e qualità. v. I. 123.
  =Vinzolo= Mantovano. Preso. v. I. 64.
  =Visconti= (dei) Tedaldo. Diventato Papa. v. II. 23.
  =Visdomini= (di) Ugo di Magnarotto. Morto in battaglia.
      v. I. 92.
  =Visioni= di Salimbene. v. I. 20. 25.
    D'una donna di Barletta. v. II. 127.
  =Vita=. Frate e Cantore celebre. v. I. 87. 88.
    » Una suora saltò giù da una finestra per seguirlo.
      v. I. 89.
    » Sua morte. v. I. 89.
    » Musicò l'inno di S. Francesco. v. I. 279.
  =Vitale=. Provinciale di Bologna. v. I. 199.
    » È ad Avignone quando muore Buonagrazia. v. II. 68.
    » Sua morte. v. II. 155.
    » Di Volterra. v. I. 22.
  =Vitelia=. v. I. 31.
  =Vito= S. Devastato da Bolognesi ecc. v. I. 222.
  =Vittoria=. Città fondata da Federico II. v. I. 99.
    » Federico II. vi fu rotto e fugato. v. I. 99.
    » Ricco bottino fatto a Vittoria. v. I. 108.
    » Presa e distrutta. v. I. 108.
  =Vittorini=. Monete coniate a Vittoria. v. I. 99.
  =Vizio= Bernardo degli Scotti. Spogliato del vescovado. v.
      I. 36. 80.
    » Istituisce la Religione di Martorano. v. II. 175.


Z

  =Zambrasi= (dei) Tebaldello, uno spurio della famiglia. v.
      I. 262.
    » Tradisce Faenza. v. I. 262.
    » Muore affogato. v. II. 52.
    Famiglia. v. I. 263.
  =Zambrasino=. Frate Gaudente assume coerede un fratello
      spurio. v. I. 262. v. II. 50. 51.
  =Zampironi= (dei) Caracosa. v. I. 32.
  =Zampoldo= Ugo piacentino. Frate, assume missione presso
      il Papa per controversie fra preti e frati. v. I. 304.
  =Zanzare=. Grande quantità. v. II. 210.
  =Zibello=. Esercito a Zibello contro i Milanesi.
      v. I. 7. v. II. 146.


FINE DEL SECONDO ED ULTIMO VOLUME.



ERRATA-CORRIGE


            Errori                Correzioni

  Pag.  12  Mangiardo             Maginardo
   »    23  Tebaldo               Tedaldo
   »    66  S. Stefano            S. Ercolano
   »    77  nebbe                 n'ebbe
   »    78  ragona                Aragona
   »    81  Baiardi               Boiardi
   »   131  Piero                 Pieco
   »   140  Liccaterra            Leccaterra
   »   148  Leonardo              Lesnardo
   »   169  reliata               altiera
   »   210  Reggio, Piacenza      Reggio, Brescia, Piacenza
   »   308  sesta linea v. I. 43  v. II. 204.



NOTE:


[1] Sul Liri a cento ventidue chilometri da Roma sulla ferrovia
Roma-Napoli.

[2] Sul Rapido a 150 chilometri da Roma stilla ferrovia Roma-Napoli, a
piedi di Montecassino.

[3] La battaglia fu combattuta sul fiume Calore nei pressi di
Benevento, quasi sullo stesso campo, ove i Romani ed Annibale ebbero ad
incontrarsi a battaglia.

[4] Sul Panaro a monte dell'Emilia.

[5] A 26 chilometri da Siena sulla ferrovia Empoli-Siena.

[6] Era sulla destra dell'Oglio a poche miglia da Piadena a Sud di
Canneto.

[7] Crevara, Corvara, o Crovara a venti miglia Sud di Reggio sulla
destra dell'Enza.

[8] Quindici miglia al Sud di Modena presso Paullo.

[9] Il fiume di quella Marca o circoscrizione territoriale è il Salto,
che entra nel Velino a Rieti; col Velino e col Turano nella Nera presso
Terni, e tutti nel Tevere presso Orte.

[10] Villaggio distante tre miglia al Fùcino, ventuno ad Aquila, otto a
Tagliacozzo.

[11] Città capoluogo del dipartimento dell'Alta Loira.

[12] Tra l'Appennino a circa venti miglia al Sud di Reggio. Non ne
resta più segno.

[13] Tra l'Appennino a circa venti miglia Sud di Reggio; esso era
vicino al non più esistente Pizegolo.

[14] Il Frignano era un territorio sull'Appennino alla sinistra del
Panaro, di cui il capoluogo ora è Pavullo.

[15] Sull'alto dell'Appennino, a sinistra del Ceno e Sud-Est di
Piacenza.

[16] A Sud-Est di Mantova presso lo sbocco del Mincio in Po; sicchè lo
barche dal Po doveano salire il Mincio sino a Mantova.

[17] Siede alla sinistra del Po detto di Primaro, a due miglia
dall'Adriatico.

[18] Sulla sinistra della Secchia a circa trenta chilometri Sud-Sud-Est
di Reggio.

[19] Di rimpetto a Lecco sulla sponda opposta del lago.

[20] Alla destra del Panaro, 12 miglia circa Sud-Est di Modena.

[21] Sull'Appennino non lungo alle scaturigini della Camoggia, a venti
miglia Sud-Est di Modena.

[22] Sull'Appennino, alla sinistra del Tevere e a Nord-Est di Perugia.

[23] _Giezitae:_ Giezi era un servo del Profeta Eliseo, che si fece
pagare pel miracolo che il Profeta operò ridonando salute al Re Naaman,
del quale il Profeta stesso aveva rifiutate le offerte. Perciò Giezi è
ritenuto dagli espositori della Bibbia come persona che faceva mercato
delle cose sacre; mercanti che ebbero poi nome da Simon mago.

[24] A tre miglia Sud di Reggio.

[25] Sette miglia circa Nord-Est di Reggio.

[26] Villa sull'Emilia a pochi chilometri Ovest di Reggio.

[27] Torrentello che scende dall'Appennino ad Ovest di Reggio.

[28] Villa di Crostolo: pochi chilometri a Nord di Reggio; così detta
perchè posta a cavaliere dell'antico alveo, che aveva il Crostolo
quando attraversava la città di Reggio.

[29] Tra la punta Nord del lago di Varese e il lago Maggiore.

[30] Due chilometri circa Nord-Ovest di Monza.

[31] Sulla sinistra del Sesia a Sud-Est a pochi chilometri da Vercelli.

[32] A venti miglia Sud di Reggio. Era fortissimo castello sulla vetta
isolata d'un monte. Non resta più vestigio di castello, ma solo un nudo
smisurato sasso chiamato Pietra Bismantova.

[33] A Sud di Mantova alla destra del Po.

[34] Sulla strada Bergamo Crema alla destra del Serio, diciasette
miglia da Bergamo.

[35] Il testo dice lupus muzus: Ma non mi è venuto fatto di poter
rinvenire se per quel muzus si voglia indicare una specie particolare
di lupi, o una qualità speciale di quell'individuo.

[36] Camerino, Fabriano, Matelica, Cagli, S. Severino, Cingoli ad
Ovest di Ancona nelle vallate del Metauro, dell'Esino, del Chienti, del
Potenza.

[37] Spello a due miglia Nord di Foligno.

[38] Il baldacchino era una stoffa operaia che si confezionava a
Babilonia, ora Bagdad, e che nel medio evo si chiamava Baldacco. Come
da Arras è venuto arazzo, da Reims la renza, da Dovay il doagio ecc.

[39] Sull'Emilia tra Parma e Reggio a sette circa chilometri alla
destra dell'Enza.

[40] A sei miglia Nord-Est di Cremona.

[41] Al Nord di Parma, distante circa 10 chilometri dalla città.

[42] Questo Cardinale Gerardo che il Salimbene chiama Albo, gli
scrittori posteriori di storie parmensi lo chiamano Gerardo Bianchi. Ma
non parrebbe che la significazione identica delle due parole dovesse
essere, trattandosi di nome proprio, ragion sufficiente a commutare
l'uno nell'altro. Tuttavia si possono scusare per ciò, che questi ne
avranno probabilmente preso il cognome da un marmo del Battistero di
Parma, dova il padre di lui è detto Albertus Blanchus. Questo marmo
per quanto si può arguire dalle foggie architettoniche e figurative
di cui è ornato il nicchione in cui è murato, sarebbe stato scritto e
posto un secolo dopo il Salimbene. E quindi è facile a credersi che la
commutazione dell'Albus in Blanchus sia stata opera del tempo, in cui
la lingua non aveva ancora norme base.

[43] Lendinara: Ad Ovest e vicin di Rovigo sull'Adigetto.

[44] Gesso: Era castello al Sud di Reggio e alla sinistra del
Tresinaro, appiè dell'Appennino.

[45] Salins: Ad Ovest di Neufchatel, sulla strada Ginevra-Besançon.

[46] Galera; Nome del dialetto di que' tempi, che è stato formato da
alterazioni subite dal latino _glarea_, ghiaia. Diffatti quel ponte
è anch'oggi in capo a piazza, detta della Ghiaia; ma ha cambiato nome
prendendo quello di Ponte Verde dal colore de' parapetti.

[47] Da un rogito in originale di Gerardo Alberto Notaio imperiale,
pubblicato il 15 Febbraio 1238, si apprende che presso Parma e presso
il canale Naviglio Taro sorgeva una casa e una chiesa di S. Francesco,
i cui amministratorì vendettero terre e case poste in Basilicanova
a certo Sopramoggio. Questa casa Salimbene la chiama Ospedale di
S. Francesco. Ora non esiste più nulla. Ma l'Ospedale sarà stato
sicuramente fuso coll'Ospedale detto allora della Misericordia, e
poscia Ospedale maggiore, che aveva sede in Borgo Taschieri. E tale
fusione sarà stata fatta, quando la Città volle fusi in uno solo, cioè
in quello fondato da Rodolfo Tanzi, tutti gli altri ospizi, sia della
città, che della campagna; e vi era l'Ospedale di F. Barattino; di S.
Bartolomeo di Strada Botta, fuori porta Stradella; di S. Lazzaro de'
Lebbrosi, in S. Lazzaro; di S. Francesco, tra Fragnano e la città di
Parma, circa nelle vicinanze dell'attuale Porta V. Emanuele.

[48] Proibì di trarre i marmi dalle cave veronesi.

[49] Pochi chilometri al Sud di Borgo S. Donnino.

[50] Ed ora, parte è piazza della Steccata, parte area su cui s'innalza
il magnifico tempio omonimo della detta piazza.

[51] A 9 circa chilometri Nord-Est di Parma.

[52] A dodici circa chilometri Nord-Est di Parma sulla sinistra
dell'Enza.

[53] Agareni: Popolo dell'Arabia. Alcuni credono che siano discendenti
da Ismaele figlio di Agar. Altri li crede così detti da Agarena loro
città, posta nell'Arabia Felice, memorabile per un lungo e vano
assedio, di cui la strinse l'Imperatore Traiano. Con questo nome
si chiamò pure una setta di cristiani, che nella metà del secolo 7.
abbracciarono l'Islamismo. Onde Agareni, e Saraceni suonava in quel
tempo una stessa gente.

[54] Anjou: Antica provincia della Francia formata dai moderni
dipartimenti Maina e Loira, Sarta, Mayenna, Indra e Loira.

[55] Forcalquier; è nel dipartimento Basse Alpi alla destra della
Duranza.

[56] Tonnerre; è sulla destra dell'Armançon nel dipartimento Yonne.

[57] Moissac: Giace sul Tarn, dipartimento Tarn e Garonna.

[58] Ora si chiama ponte Caprazucca.

[59] La canonica, o residenza dei canonici, era sull'area dell'attuale
seminario.

[60] Sulla destra del Panaro a monte dell'Emilia 18 chilometri da
Modena.

[61] A sud di Sassuolo su un colle distante circe 10 chilometri da
Sassuolo stesso.

[62] Questa battaglia segna il principio della decadenza di Pisa, o
si chiama della Meloria, da uno scoglio piuttosto che isolotto dello
stesso nome, si trovarono di fronte l'Ammiraglio Pisano Benedetto
Buzzaccherini, dice G. Villani, e l'ammiraglio Genovese Uberto Doria;
(Il Roncioni nelle sue Istorie Pisane dice invece che l'Ammiraglio de'
primi fosse Ugolino Gherardeschi, quel de' secondi Roberto Doria.)
Settanta galee Pisane dice G. Villani, ottantacinque dice Roncioni;
cento trenta galee Genovesi secondo Villani, cento quarantaquattro,
secondo Rondoni. Il Cronista Firentino dice, che morti, che
prigionieri, sedicimila uomini perduti dai Pisani e quaranta galee loro
prese, oltre le andate a picco; l'Istorico Pisano unisce le perdite
d'uomini di questa battaglia con quelle d'altre battaglie, e in tutto
fa somma di novemila; e di galee scrive di ventotto catturate e ventuna
colate a fondo; d'onde si scorge che cerca di attenuare il disastro di
Pisa.

[63] Il Roncioni nelle sue Storie Pisane dice che la battaglia fa
combattuta il 6 Agosto, giorno di S. Sisto.

[64] S. Ruffino: Giace sulla destra della Baganza a dieci chilom. Sud
di Parma.

[65] Ad Ovest di Modena, e a pochi chilometri dalla città.

[66] Bizantini: Moneta dell'Impero Greco di que' tempi, così dette da
Bisanzio.

[67] Si noti che, per una convenzione tra Parma e Modena, il sale
che proveniva dalla Romagnola per uso de' Parmigiani, passando per il
territorio di Modena, doveva essere esente dal pagamento del pedaggio o
dazio di transito.

[68] Giovanni Villani dice: «Passò di questa vita il dì 7 Gennaio 1284;
e fu recato il suo corpo a Napoli, ove, dopo il grande lamento fatto
di sua morte, fu seppellito all'Arcivescovado di Napoli con grande
onore». Tuttavia deve essere più attendibile la testimonianza del
Salimbene, scrittore contemporaneo al fatto, e che anzi aveva tra mani
la compilazione di questa Cronaca l'anno stesso in cui la detta morte
avvenne.

[69] Sud-ovest di Bologna, pochi chilometri distante dalla città.

[70] Ovest di Bologna a pochi chilometri distante.

[71] A Sud-Est di Velletri e distante circa quindici chilometri.

[72] Forse, _tombe_ degli avi loro, a cui voleva trasportare le
salme delle persone nominate, morte in battaglia, dicendo il testo;
_deportare ad propria_.

[73] Di poco più in su di Vignola, alla sinistra del Panaro. Era un
castello, di cui resta qualche vestigio in alcune case che ne ritengono
ancora il nome.

[74] Villaggio al Sud di Modena sull'Apennino a cavaliere della strada
che per Paullo va in Toscana.

[75] A monte dell'Emilia e destra del Panaro, che una volta apparteneva
a Modena.

[76] Pieno sud di Modena e pieno Ovest di Vignola.

[77] Vicinissimo a Vignola a sud.

[78] La famiglia Lovoleto prese nome dal bosco omonimo (Lupoletum)
stanza di lupi, che ora chiamasi della Saliceta, o di S. Felice, a nord
di Modena, sinistra del Panaro, vicino al Finale.

[79] Al sud di Modena e di poco sopra Sassuolo.

[80] Ripafratta: Castello sul tronco di ferrovia Lucca-Pisa.

[81] Minuti dice il testo latino. Minuto, parola antiquata, anzi ora
fuor d'uso, presso gli scrittori italiani del secolo decimoquarto,
è usata a significare una minestra composta di varie specie d'erbe
mangereccie, ossia ortaggi. A' tempi del Salimbene, anteriore d'un
secolo ai preaccennati scrittori, in quel suo latino medioevale,
si usava invece a significare le stesse varie specie d'ortaglie, di
cui si componeva quella minestra. Di questa parola, ora fuor d'uso,
resta tuttavia nella lingua parlata di qualche parte d'Italia un suo
derivato, che non ha perduto il senso antico, cioè, minutina che serve
ad indicare un'insalata di varie specie d'erbucce.

[82] S. Maria del Tempio, ovvero Chiesa dei Templarii, era quella che,
sino alla recente soppressione delle Corporazioni religiose, è stata
chiesa dei Cappuccini.

[83] Grondola: Castello tra il Verde e la Magriola, o piccola Magra,
poco dopo la cresta dell'Apennino per chi corre lo stradale Parma —
Spezia.

[84] Il 13 d'ottobre 1217 i Milanesi cavalcarono sul Parmigiano,
e accostandosi a Zibello per urtare contro Cremona, i Parmigiani
capitanati da Zangaro Sanvitali corsero anch'essi su Zibello e vi fu
combattuta un'aspra e sanguinosa battaglia, che non ebbe successo
decisivo. Nell'anno 1218 di nuovo i Parmigiani coi Cremonesi
si scontrarono sullo stesso campo di battaglia. Se però questo
combattimento del 1218 non sia quello stesso del 1217, perchè dovendo
essere accaduto sulla fine dell'anno, o sul principio dell'altro,
chi lo riferisce al primo, chi al secondo. L'anno 1219 nuovo scontro
e sanguinoso combattimento tra Milanesi, Parmigiani e Cremonesi ne'
pressi del ridetto Castello. L'anno 1221 cozzarono ancora gli uni
contro gli altri, Milanesi, Parmigiani e Cremonesi a Zibello: ma in
questa giornata i Milanesi e loro alleati rotti, lasciarono molti
morti sul campo, e molti prigionieri nelle mani de' Parmigiani e loro
confederati.

[85] Castel Torello si costruì sul torrente Parola presso Borgo S.
Donnino, e si comandò di andarlo ad abitare a coloro, che abitavano
dove fu già il castello di Rivo Sanguinaro. L'uno e l'altro de'
castelli sorgevano sull'Emilia alla sinistra del Taro, sulle via
maestra che va a Borgo S. Donnino.

[86] Corticella è al sud-ovest di Rubiera.

[87] Ora conosciuto col nome di Castelnovo di Sotto a Nord di Reggio ed
a distanza di 15 chilometri.

[88] A sud-ovest di Modena poco distante a Sassuolo.

[89] Alcuni dicono che questo Filippo chiamato l'ardito morisse a
Perpignano; ma io tengo a credere al Cronista Salimbene, il quale
col mezzo de' frati del suo Ordine, che erano su tutti i punti della
Spagna, poteva avere sicura contezza del fatto.

[90] È un piccolissimo tratto di terreno una volta paludoso, che ora da
palude per alterazione di parola si dice Paullo, ed è subito fuori di
Porta San Michele della città di Parma, a sinistra di chi esce.

[91] Villa a nord di Parma alla destra del torrente Parma a distanza di
circa dieci chilometri dalla città.

[92] Villafranca de Panades, già Villanova, sul mare a mezza via circa
tra Barcellona e Tarragona.

[93] Il testo dice Novembre: ma deve essere errore di autografo o di
copista, che l'ha scritto invece di ottobre; 1. perchè S. Calisto è in
ottobre: 2. perchè il dì d'Ognissanti è il primo di Novembre, quindi se
San Calisto volesse porsi in Novembre, tra S. Calisto e Ognissanti, si
dovrebbe andare indietro e non avanti.

[94] Distante 18 chilometri da Reggio a Nord.

[95] In altro luogo dice che casa sua toccava il battistero, e
più avanti nota che suo padre, dalla finestra di casa propria,
faceva conversazione col Vescovo, che pure stava ad una finestra
dell'Episcopio; quindi la casa di Salimbene si trovava sull'area
dell'attuale palazzo dei Marchesi Rosa.

[96] Dista 12 miglia al sud-ovest da Casale.

[97] Dista quattro chilometri ad oriente di Parma.

[98] Ora quel convento e quella chiesa è ridotto ad uso di carceri,
dette di S. Francesco.

[99] Villa distante circa 5 chilometri a Nord di Modena.

[100] Al sud di Reggio in quel di Castelnovo de' monti vicino all'Enza.

[101] Villa a pochi chilometri da Reggio sull'Emilia ad ovest della
città.

[102] Villa distante 8 chilometri circa al Sud di Reggio, e alla
sinistra del Crostolo.

[103] Dista circa 24 chilometri al Sud di Reggio sulla sinistra della
Secchia.

[104] Dista 16 miglia circa al Nord di Modena, poco al di sotto di
Carpi.

[105] Dista 13 miglia circa al Nord di Modena, tre miglia al di sotto
di Carpi.

[106] Quì s'intende che il testo manca di qualche cosa, senza che
l'editore ne abbia dato avviso colla solita punteggiatura sulla linea.

[107] Dista 5 miglia a Nord-Est da Modena alla destra del Panaro.

[108] A Sud di Reggio sulla destra delle scaturigini del Tresinaro.

[109] Ora non ne resta che il nome nella Cronaca, nè si conosce ove
sorgesse quest'antico castello.

[110] Giace in colle a 15 chilometri circa al Sud di Reggio.

[111] Cauresana, Farneto, Corniano, Piazzola erano nei dintorni di
Bibbianello.

[112] Al Sud di Reggio, appartiene a quel groppo di colli, tra cui
scaturisce il Crostolo.

[113] Sui colli a circa 30 chilometri a pieno sud di Reggio presso le
scaturigini del Tresinaro.

[114] Questa celebre Rocca, che sorgeva, e di cui restano ancora
pochi avanzi, sui colli reggiani, distante circa venti chilometri
al sud-ovest di Reggio, fu eretta, secondo il Luchino, l'anno 931 da
Atto, Azzo o Azzone, detto anche Alberto e Albertazzo, che la munì di
triplice muraglia, contro cui hanno urtato più volte invano poderose
forze, tra le quali anche quelle di Berengario II Re d'Italia. Ma la
celebrità di Canossa è principalmente dovuta alla gloriosa figlia di
Beatrice di Lorena e di Bonifacio, Duca, o Marchese di Toscana, che
era figlio di un figlio del fondatore della rocca stessa, è dovuta cioè
alla Contessa Matilde; la quale con più che principesca magnificenza vi
ospitò il trionfante frate Gregorio VII, l'umiliato Imperatore Enrico,
Adelaide marchesana di Susa, il Marchese Azzone fondatore della casa
d'Este e di quella di Brunswich e molti altri Principi e Prelati.
E grandi cose videro quelle mura, alti consigli s'agitarono in quel
recinto; sicchè Donizone, monaco che a quei tempi viveva nel convento
colà esistente, e scrittore delle gesta di Matilde, maravigliato, non
potè rattenersi dall'esclamare che la sua Canossa era diventata una
nuova Reina.

[115] Sul Crostolo al sud di Reggio e circa dieci chilometri distante.

[116] A Sud-Ovest di Parma a piedi dell'Appennino sulla destra del Taro.

[117] A Nord-Ovest di Parma sulla destra dello Stirone e presso la sua
foce in Taro.

[118] _Figlio dell'Imperatore Federico II_. Quì la parola figlio è da
intendere nel senso di discendente. Questo figlio di Pietro d'Aragona
era Giacomo, secondogenito, nato dalla moglie di Pietro, Costanza, la
quale era figlia di Manfredi, figlio di Federico II; e quindi Giacomo
non era figlio, ma pronipote di Federico II. Le vittorie sui Francesi
riportate da Giacomo d'Aragona, furono merito di Ruggeri di Loria,
e Lauria, così detto dalla sua città nativa in Basilicata, che fa il
più grande ammiraglio del secolo XIII, e più valente che tanti d'altri
tempi.

[119] Probabilmente Fallegaria, ora Fallegara al sud di Reggio, in quel
di Scandiano.

[120] Usava in Francia che i patrizii, i Baroni, i nobili vivevano
nelle loro castella di campagna; ed i commercianti, gli artigiani ed
altri professionisti dimoravano nei Borghi o città, e perciò erano
chiamati i Borghesi, e costituivano quello stato, classe di cittadini
che si diceva la Borghesia.

[121] Nelle acque di Castellamare di Stabia.

[122] Castel de' Britti, a monte dell'Emilia, distante, circa, 10
chilometri e ad oriente di Bologna, sulla destra dell'Idice. Questo
Castello ha avuto qualche parte nella storia bolognese del Medio Evo.

[123] Frate Elia nacque a Beviglio, sobborgo di Assisi; e nella lunetta
posta sopra l'architrave del refettorio maggiore del convento di
Assisi vi è un'antichissima pittura, ove egli è rappresentato con altri
compagni in atto di venerare il P. S. Francesco, e sotto la figura di
frate Elia è scritto in antico gotico: _F. Elias a Bevilio_.

[124] Sui colli alla destra del Sillaro che va al Po di Primaro.

[125] A circa 10 chilometri al Nord di Modena.

[126] Distante circa tre miglia da Assisi sulla ferrovia
Perugia-Foligno; chiamata Porzioncella perchè era una piccola porzione
dei beni di un convento di frati Benedettini, su cui sorgeva la chiesa
di S. Maria degli Angeli.

[127] Il convento denominato Le Celle, abitato nel secolo 13º da frati
dell'Ordine de' Minori, ed ove il Ministro Generale frate Elia s'era
fabbricata una magnifica residenza, esiste tuttora in vicinanza di
Cortona. Prima della soppressione delle Corporazioni religiose era
convento di Cappuccini, ed è oggi proprietà privata venduta dal Demanio
ad uno de' frati soppressi, e molti ex frati vi coabitano sotto la
tutela della legge di libera associazione.

[128] Si noti che nel testo latino ora è scritto _Roglerius_, ora
_Rogerius_.



Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
senza annotazione minimi errori tipografici.

Le correzioni indicate a fine volume (Errata Corrige) sono state
riportate nel testo.





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