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Title: La leggenda di Saladino
Author: Paris, Gaston Bruno Paulin
Language: Italian
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*** Start of this LibraryBlog Digital Book "La leggenda di Saladino" ***


                              GASTON PARIS


                        LA LEGGENDA DI SALADINO


                               TRADUZIONE

                                   DI

                             MARIO MENGHINI



                               IN FIRENZE
                         G. C. SANSONI, EDITORE
                                  1896



                          PROPRIETÀ LETTERARIA

                 Firenze — Tip. G. Carnesecchi e Figli.



LA LEGGENDA DI SALADINO


Il giovine erudito italiano, che ha pubblicato il breve studio del
quale abbiamo letto il titolo,[1] non considera il suo se non come un
saggio provvisorio e preparatorio; avrebbe in animo di riprenderlo piú
tardi per allargarlo e domanda che sia aiutato per compierlo e renderlo
piú esatto. Corrispondo a questo suo desiderio comunicando qui alcune
note prese, almeno in parte, da molto tempo, su quella che si è potuta
chiamare la leggenda di Saladino, occupandomi specialmente della parte
francese del soggetto, sul quale il Fioravanti confessa di avere in
ispecial modo poche notizie.[2]

Sono ben lieto di venire in aiuto, per parte mia, ad un lavoratore
coscienzioso e modesto; d'altronde, l'oggetto delle sue ricerche
è per sé stesso, se non di capitale importanza, almeno abbastanza
curioso, perché piaccia di contribuire a farlo conoscer bene; infine,
facendo ciò, si toccano punti ancora poco chiari della nostra antica
storia letteraria, sui quali esso fornisce l'occasione di spendere
un po' di tempo. Presenterò queste note nell'ordine col quale
le avevo altra volta classificate, e che non è sempre quello del
Fioravanti; mi riferirò al suo lavoro per tutto ciò che vi si trova già
sufficientemente chiarito.



I


I racconti dei cristiani su quello, che fu il piú terribile loro
avversario e il distruttore del regno di Gerusalemme, gli sono, in
generale, in tutto favorevoli; dirò piú tardi qualcosa intorno alle
cause di questo fenomeno, in apparenza abbastanza sorprendente. Però
bisogna notare che alcuni di questi racconti, e precisamente il piú
antico, hanno al contrario uno spiccato carattere di malevolenza
che apparisce, in modo naturalissimo, dal dispetto e la umiliazione
che le strepitose vittorie del sultano kurdo cagionarono ai vinti, e
soprattutto ai cristiani stabiliti in Siria, e da lui cacciati dai loro
possessi. Infatti, presso di loro si formò indubbiamente una leggenda
ostile, relativa ai suoi primi anni, che noi vediamo diffondersi in
Occidente al momento stesso dei suoi piú splendidi successi. Dapprima
essa, sotto la forma piú virulenta, ci appare in un curioso poema
latino, sin qui inedito e appena segnalato,[3] che non è giunto intero
sino a noi, e che deve essere stato composto nel 1187, poco prima della
presa di Gerusalemme.

Saladino, di condizione servile, s'introduce nella corte di Norandino,
diviene l'amante della moglie, per mezzo della quale ottiene il favore
del sultano. A Babilonia (cioè al Cairo) uccide perfidamente un giudice
integerrimo alla stessa tavola alla quale colui l'aveva ammesso;
penetra con l'astuzia, non potendo entrare con la forza, nella città
dove risiede l'_amulanus_,[4] l'assassina, e s'impadronisce dei suoi
tesori che distribuisce tra i complici. In seguito, fa avvelenare
Norandino e pone a morte l'unico suo figlio, dopo di che sposa la
vedova, riuscendo cosí a diventar padrone di sette reami: è allora
che ha l'audacia di combattere i cristiani. Questo quadro con tinte
cosí fosche è stato tracciato in Occidente sopra racconti venuti
dall'Oriente; le linee vi sono singolarmente esagerate. L'assassinio
del giudice del Cairo e quello dell'_amulanus_ corrispondono
all'esecuzione del vizir Chaver e all'omicidio del califfo d'Egitto
El-Aded, che non senza ragione sembra imputato a Saladino.[5] Il
matrimonio di Saladino con la vedova di Norandino è narrato da storici
serî, ma il nostro poema è il solo a dire che anteriormente esistessero
tra loro relazioni di adulterio. Saladino spodestò il figlio di
Norandino, ma non lo mise a morte, e non è mai stato accusato d'avere
avvelenato il sultano stesso. Egli non era di condizione servile,
dacché era nipote di Siracon o Chirkon, generalissimo di Norandino, e
suo padre Ayoub occupava presso quest'ultimo un alto posto.

Minori infrazioni alla verità troviamo nel passo, senza dubbio
d'origine palestiniana, che Riccardo, canonico della Santa Trinità di
Londra, inserí, circa l'anno 1200, nell'introduzione aggiunta alla sua
traduzione del poema francese d'Ambrogio sulla terza crociata.[6] Qui
Saladino è di nascita equivoca, ma ha per zio Siracon, il comandante
dell'armata che s'impadronisce dell'Egitto per conto di Norandino:
uccide a tradimento _Savarius_ (Chaver) e il _mulanus_, poi, essendo
morto Norandino, ne sposa la vedova e caccia via i figli. La favola
non si riannoda qui che ai primi atti del futuro sultano, il quale,
innalzato ad alte cariche da Norandino, non avrebbe tuttavia esercitate
prima altre funzioni da quelle di padrone delle cortigiane di Damasco;
distribuisce agli «istrioni» il danaro che ricava da loro, rendendosi
cosí popolare, ciò che dà occasione a Riccardo di abbandonarsi ad
enfatiche proteste contro i capricci della fortuna, la quale mette un
_leno_ sul trono dei re.[7]

A fronte di questi riassunti trova posto un racconto piú
particolareggiato, che risale certamente anche ai detti dei cristiani
di Siria, e che si trova tanto nell'ultimo rifacimento della canzone di
_Jérusalem_, (ms. B. N. fr. 12659) quanto nella compilazione conosciuta
col nome di _Chronique d'Ernoul_, della quale però una piccola parte
può risalire a Ernoul, scudiere di Balian d'Ibelin. Il Pigeonneau[8]
crede che questo racconto sia passato al poema dalla cronaca, ma
esso varia troppo dall'una all'altra, perché si possa ammettere
questa opinione. Nella cronaca (p. 35 e seg.), Saladino è il nipote
di un ricco _prevosto_ di Damasco (evidentemente Chirkou); avendo
guerreggiato in Egitto contro _la mulaine_ e il suo alleato, il re
Amauri di Gerusalemme, è stato fatto prigioniero; suo zio, il sapiente
«largo e cortese», lo riscatta dopo la morte d'Amauri, e lo conduce
in Egitto, dove riprende la guerra contro _la mulaine_, che ben presto
assediano al Cairo. Lo zio muore e Saladino rimane capo dell'esercito;
disperando di prendere la città con la forza, ricorre all'astuzia:
fa dire a _la mulaine_ che verrà a chiedergli pace «comme asnes, la
somme sor le dos, por torser et por chargier sor lui quankes il lui
plairoit». Si presenta infatti e s'avanza su quattro zampe, un basto
sul dorso, sino al trono di _la mulaine_; però quando deve baciargli
il piede, cava fuori un coltello, che teneva nascosto, e colpisce _la
mulaine_ al cuore; la gente che l'accompagna fa altrettanto attorno a
sé e Saladino è padrone del castello. Alla porta di questo castello
c'erano sempre due cavalli sellati e brigliati che attendevano un
cavaliere; secondo un'antica profezia, doveva un giorno venire un
uomo «qui avroit nom Ali, et monteroit sor ces chevaus, et seroit
sire de tote paienie et d'une partie de crestienté»; Saladino «monta
sor les chevaus qui atendoient Ali, et aloit criant par la cité qu'il
estoit Ali, qui venus estoit a cheval». In tal modo s'impadronisce
dell'Egitto. Più tardi, essendo morto Norandino, Saladino ne sposa
la vedova e diventa padrone del suo impero.[9] La stessa storia
si rinviene, però con differenze abbastanza grandi, nel poema: qui
Saladino è l'erede legittimo del re d'Alessandria Eufradin; è stato
spogliato e bandito da suo zio Alfadin, ma piú tardi, con l'aiuto di
suo fratello Safadin, ricupera il reame e uccide lo zio. In seguito
uccide _la mulaine_ d'Egitto, presso a poco come nella cronaca, e monta
sul cavallo predestinato (qui non ve n'è che un solo), dopo averlo
stordito gridando _Alis_ (il rimatore non sembra comprendere il senso
di questo grido); in seguito conquista parecchi reami; di Norandino non
v'è cenno (ms. 12159, fol. 357).

Questo travestimento degli esordi del glorioso sultano, ricomparisce in
un'opera assai posteriore e della quale bisogna dire qualche parola,
perché nella storia letteraria non è stato ad essa dato il posto che
deve avere. Si tratta del romanzo di _Jean d'Avesnes_, che ci hanno
conservato due manoscritti, uno dell'Arsenale, scritto verso il 1460,
e di cui lo Chabaille ha pubblicato un'analisi e numerosi estratti
(Abbeville, verso il 1845, picc. in-8º), l'altro della Biblioteca
Nazionale (fr. 12572,) sino ad ora non indicato. Quest'opera si compone
di tre parti ben distinte. La prima parte (Chabaille, p. 17-46) è un
piccolo romanzo, che sembra appartenere tutto intero al secolo XV e
che a noi non interessa. La seconda (p. 46-63) è la storia piú antica
della figlia del conte di Pontieu, di cui parleremo piú tardi. La
terza (p. 63-89) è semplicemente il rifacimento in prosa di una parte,
perduta nella sua forma originale, d'un immenso poema del quale non si
sono conservati in versi che due frammenti, se tali possono chiamarsi
due brani, di cui il primo conta piú di 35,000 versi e il secondo piú
di 34,000. Questo poema, composto nel nord-est della Francia, senza
dubbio poco dopo il 1350,[10] doveva comprendere un'intera storia
delle crociate (in gran parte, ben inteso, romanzesca), cui sembra
essersi riannodato, bene o male, un racconto delle guerre di Filippo
il Bello contro i Fiamminghi. La prima parte è stata pubblicata dal
Reiffenberg e dal Borgnet, sotto il titolo di _Le chevalier au Cygne
et Godefroid de Bouillon_; s'arresta al punto in cui Baldovino di
Gerusalemme, fratello e successore di Goffredo, parte per una favolosa
spedizione contro la Mecca. Dopo una lacuna, della quale non conosciamo
l'estensione, comincia la seconda parte conservata, pubblicata dal
Boca e dallo Scheler sotto il titolo di _Baudouin de Sebourc_ e di
_Bastart de Bouillon_. Un altro «ramo» forma il terzo libro di _Jean
d'Avesnes_; un altro ancora costituisce il fondo del romanzo di
_Baudouin de Flandres_; essi non esistono che in prosa, salvo alcuni
versi dell'ultima, che per caso ci sono stati conservati.[11]

Ad un poema del secolo XIV dobbiamo dunque riferirci per il racconto
che _Jean d'Avesnes_ ci dà dei primi successi di Saladino. Questo
racconto è stato completamente omesso dallo Chabaille; si legge nei
fogli 164 e seguenti del ms. 12572; diciamo solamente che si riannoda
tanto a quello della _Chronique d'Ernoul_ quanto a quello della
_chanson_.[12] Vi si aggiunge un passo che io non ho rinvenuto altrove:
davanti la porta del palazzo di _la mulaine_ si trovava una «scalinata»
fatta d'un solo smeraldo; Saladino la fece fare in pezzi e distribuire
ai suoi compagni, e di là provengono tutti gli smeraldi oggidí sparsi
nel mondo.



II


Eccezion fatta di questi, la cui tendenza è visibilmente ostile,
tutti gli altri racconti leggendarî su Saladino gli sono favorevoli.
Alcuni si contentano di celebrare le sue virtú, altri si sforzano di
ravvicinarlo ai Cristiani, attribuendogli una disposizione, piú o meno
seguita in pratica, a riconoscere e a professare la fede de' Cristiani.
Questi due generi di racconti si trovano naturalmente assai spesso
mescolati, e noi parleremo ad un tempo tanto degli uni quanto degli
altri.

Dapprima si volle che Saladino, ammirando l'istituzione cristiana
della cavalleria, si fosse fatto egli stesso armare cavaliere. Già
Riccardo della Santa Trinità, in mezzo al racconto cosí poco benevolo
che ho riassunto piú innanzi, nota incidentalmente (I, 31): _Processu
temporis, cum jam aetas robustior officium militare deposceret,
ad Enfridum de Turone, illustrem Palaestinae principem, paludandus
accessit et Francorum ritu cingulum militare ab ipso suscepit._ Onofrio
di Toron, conestabile dei regno di Gerusalemme, era infatti uno dei
piú rinomati principi del suo tempo. Fu signore di Crac di Montréal
dal 1169 al 1172, ed è assai probabile che anche a lui si riferisca
il racconto della _Chronique d'Ernoul_, secondo il quale Saladino,
prigioniero in quel castello e riscattato da suo zio (v. piú sopra),
domandò «an seigneur dou castel que il le fesist chevalier a la
françoise, et il si fist» (_Chr. d'Ernoul_, p. 36). Questa coincidenza
dei due racconti, d'altra parte indipendenti, non ci esime dal farci
credere che possano contenere qualche fondo di verità, e che Saladino
si facesse, se non armare cavaliere, almeno istruire nelle cerimonie
e negli obblighi della cavalleria da Onofrio di Toron. Tuttavia non
ad Onofrio di Toron, ma ad Ugo di Tabaria, principe di Galilea, la
tradizione volgare attribuí piú tardi l'onore di aver conferito la
cavalleria a Saladino, non quando egli era appena un oscuro emiro, ma
quando si trovava all'apogeo della potenza e della gloria.[13] Ugo di
Tabarie, uno dei primi personaggi del regno di Gerusalemme, fu fatto
prigioniero nel 1178 da Saladino, e piú tardi posto in libertà;[14]
nel 1187, la disastrosa battaglia di Hattin o di Tabarie ebbe luogo
quasi sul suo territorio, ma egli fuggí insieme con i tre suoi
fratelli; si segnalò piú d'una volta nelle guerre degli anni seguenti,
e morí dopo il 1204. Alla battaglia del 1178, in cui era stato fatto
prigioniero, si riannoda la leggenda che gli diè la parte da prima
attribuita ad Onofrio di Toron. Questa leggenda cosí fissata sul suo
nome ci è pervenuta: 1º in un piccolo poema del XIII secolo piú volte
pubblicato;[15] 2º in una redazione in prosa che offre qualche variante
e che è stampata incompletamente;[16] 3º da questa redazione in
prosa, nella terza parte di _Jean d'Avesnes_;[17] 4º in una redazione
italiana che fa parte delle _Cento novelle antiche_;[18] 5º in una
versione neerlandese;[19] 6º in una imitazione inserita nel secolo
XIV da Bosone da Gubbio nel suo romanzo _l'Avventuroso Ciciliano_, in
cui la storiella è attribuita a un soldano di Babilonia anonimo e a un
cavaliere chiamato messer Ulivo di Fontana.[20] Nel poema si è voluto
vedere, in modo assai strano, l'opera dello stesso Ugo di Tabaria:[21]
è detto sin dal principio che si tratta di un re saraceno che viveva
«jadis». L'_Ordre de chevalerie_ ha del resto per iscopo principale di
esaltare la cavalleria e di insegnare le virtú che devono segnalarla;
l'aneddoto dell'armar cavaliere Saladino non serve che di pretesto
per la narrazione dell'autore. Costui aveva attinto a una tradizione
popolare preesistente,[22] da cui ha altresí tolto a prestito il
racconto della generosità di Saladino verso lo stesso Ugo di Tabaria:
gli accorda la libertà di dieci prigionieri cristiani a sua scelta,
ma gl'impone una tassa di centomila bisanti, obbligandolo a fare,
per riunire questa somma enorme, una colletta tra i «prud'hommes»,
lasciandogli, sulla parola, un anno di libertà condizionale. Ugo non
ne ha bisogno: prende il sultano in parola, e ne ottiene cinquantamila
bisanti, e gli emiri, ai quali si rivolge in seguito, glie ne
promettono tredicimila piú di quanti gli bisognano. Saladino gli
anticipa questi tredicimila bisanti, dando cosí una prova meravigliosa
della sua «largesse».

La generosità era, come è noto, considerata nel Medio Evo, almeno
tra i poeti e per motivi facili a comprendersi, come la virtú per
eccellenza dei principi,[23] infatti, quella che si attribuisce, e non
senza ragione, a Saladino, lo rese celebre quasi come, per la stessa
ragione, era Alessandro.[24] Dante esclama nel _Convivio_ (IV, 11): «E
chi non ha ancora nel cuore Alessandro per li suoi reali beneficii? Chi
non ha ancora il buon re di Castella, o il Saladino...?». Ed è assai
probabile che per questa considerazione, egli, nel Limbo, in mezzo agli
eroi dell'antichità risparmiati dal vero inferno, abbia dato posto a
Saladino, il solo dei mussulmani.

    E _solo_ in parte vidi il Saladino.
                                   (_Inf._, IV, 129).

Questa «largesse» di Saladino è argomento di piú d'un racconto.
Abbiamo già veduta la storia del «perron» di smeraldo e quella
del riscatto di Ugo di Tabaria; ve ne sono anche altre. Secondo il
_Ménestrel de Reims_, egli rimanda assai liberalmente il re Guido di
Lusignano, fatto prigioniero in quella grande battaglia di Tabaria,
da cui fu prodotta la rovina del regno di Gerusalemme.[25] A un
altro prigioniero francese, cui aveva posto affezione e che vedeva
rimpiangere la sua famiglia e il suo paese, aveva accordato, secondo
una delle _Novelle antiche_,[26] un dono di 200 marchi. Il tesoriere
incaricato di stendere l'ordine di pagamento scrisse per errore 300;
volle correggere, ma Saladino guardandolo: «Metti 400, gli disse, non
sarà detto che la tua penna sarà stata piú liberale di me».[27] Un
aneddoto simile è riferito, come si sa, a un signore d'Anglure. Secondo
Jean le Long, cronista del sec. XIV, il sultano vicino a morire fece
venire questo signore, che era suo prigioniero, e gli chiese come un
onore di portare le sue armi (_insignia_) e di adottare il suo grido
di guerra (_Damasc!_), mediante le quali cose lo libererebbe con altri
prigionieri; il cavaliere accettò, ricevette la libertà, e mantenne la
parola.[28] Secondo un altro racconto, il signore d'Anglure, posto in
libertà provvisoria per raccogliere il prezzo del suo riscatto, sarebbe
ritornato a costituirsi prigioniero, non avendo potuto riuscirvi, e
Saladino, commosso per la sua magnanimità, l'avrebbe reso libero alle
stesse condizioni; è perciò che i signori d'Anglure si chiamarono piú
tardi _Saladin_, e adottarono il grido e le armi del sultano.[29]
Questa generosità spicca altresí in un grazioso aneddoto che il
_Ménestrel de Reims_ pone in bocca ad un prigioniero saraceno che
sarebbe stato lo stesso zio del sultano. Saladino aveva inteso vantare
assai la carità dell'ospedale di S. Giovanni d'Acri. Giammai si diceva,
un malato si è visto rifiutare ciò che desiderava. Per assicurarsene
si travestí da pellegrino e si fece ricevere come malato nel celebre
ospedale. Per tre giorni rifiuta ogni nutrimento; per le preghiere
del «maître des malades», dapprima dichiara che non mangerà a meno
che possa ottenere una cosa che non può avere, «que ce est forsenerie
a penser et a vouloir». Infine, dopo che gli è stato assicurato che
«onques malades qui çaienz fu ne failli a son désir, se on le pot avoir
pour or ne pour argent», egli confessa la sua cupidigia: «Je demant le
pié destre devant de Morel le bon cheval au grant maistre de çaienz, et
vuel que je li voie couper devant moi presentment, ou se ce non ja mais
ne mangerai». Il «grand maître», saputa questa fantasia, ne è assai
turbato, ma del resto: «Mieuz vaut, dice, que mes chevaus muire que
uns hons, et d'autre part il nous seroit reprouvé a touz jourz mais».
Si conduce quindi il cavallo davanti al pellegrino: vien legato, e
già un valletto alza l'ascia per tagliargli il piede, quando Saladino
esclama: «Tien coi! ma voulentez est assevie, et mes desiriers tornez
en autre viande: je vueil mangier char de mouton». In ricompensa, manda
piú tardi all'ospedale d'Acri una carta nella quale fa dono di mille
bisanti l'anno tolti sulle sue «rentes de Babiloine», e «d'enqui en
avant furent paié le mil besant chascun an au jour de la Saint Jehan».
Qui la munificenza saracena è vinta dalla carità cristiana.[30]

Questa storiella ci indica una di quelle visite presso i Cristiani che
si attribuirono assai per tempo a Saladino e che sono specialmente
destinate a mettere in confronto le due religioni. Se ne trova un
esempio piú antico in uno dei rifacimenti del poema di _Jérusalem_.[31]
Durante una tregua con i Cristiani, Saladino viene a Gerusalemme,
ancora posseduta da costoro, e assiste alle cerimonie del loro culto:
le giudica tutte molto belle, salvo una, che gli sembra abusiva e
ridicola, il costume dell'offerta fatta dai fedeli al clero. Qui
non vi è se non una malizia abbastanza inoffensiva, ma sembra che si
sia divulgata assai per tempo una storiella di carattere piú grave,
secondo la quale Saladino, disposto ad abbracciare la vera religione,
ne sarebbe stato distolto dallo spettacolo dei costumi dei preti,
e particolarmente dei prelati, quando gli fosse stato prescritto di
osservarli. Lo racconta almeno Gilles de Corbeil nel suo poema ancora
inedito e intitolato _Jerapigra ad purgandos prelatos_, composto verso
l'anno 1215.

Ecco l'intero passo che V. Le Clerc ha in parte citato secondo il
manoscritto:[32]

    Catholice fidei leges et dogmata Christi
      Legit et audivit Saladinus, rex Orientis,
      Doctoresque suos, quos lex gentilis habebat
      Precipuos, tante jus[s]it decreta sophie
      Chaldeis mandare notis, ut pabula sancta
      Crebra recenseret illi recitatio vite.
      Sed fidei celebris adeo reverentia movit
      Concussitque virum, tanta admiratio mentem
      Impulit, ut nostre se vellet subdere legi.
      Seque catholicis cuperet nodare cathenis.
      Rex ergo cepit studio explorare fideli
      Que prelatorum foret observatio morum,
      Qualis religio populi, que vita ministros
      Ecclesie regeret; que postquam singula novit.
      Spurcitiam, mores pravos, vitam[que] palustrem,
      Luxuriam, fraudem, invidiam, scelus atque rapinam,
      Et fraternum odium, cupidi quoque pectoris estum,
      Membrorum et capitis tantum discrimen haberi,
      Flexit in oppositam mentis vestigia partem,
      Et profugus retro vertit iter; cultum reprobavit
      Et meritum fidei vitio cultoris iniqui.
        Proh! summum facinus, quod, tanto rege repulso
      Labe sacerdotii nequam populique maligni.
      Artatum Christi imperium, quod crescere supra
      Posset in immensum dilatarique valeret
      Ex tanti virtute viri! Sed prava malorum
      Vita ministrorum summe perterruit illum,
      Extinxitque bone conceptum mentis in ipso. (fol. 39 v).

Conforme a questo tipo, ma generalmente con minore asprezza, i racconti
delle visite di Saladino ai Cristiani divengono cosí una specie di
«lettres persanes», in cui, anche esaltando la religione cristiana, si
fanno criticare da Saladino alcuni abusi cui essa dà luogo o alcune
negligenze cagionate da coloro, che dovrebbero praticarla meglio
di tutti. Talvolta la critica sembra andare anche piú in là, sino
agl'insegnamenti della religione stessa. Nel poema indicato poco fa,
il quale ha servito di base alla terza parte di _Jean d'Avesnes,_ la
confessione e l'adorazione del papa per opera dei cavalieri cristiani,
di cui è stato testimonio a Roma, fanno sdegnare l'orgoglioso soldano.
«Vouz aourez, dice, un homme comme moy ou un aultre; qu'il ait
puissance de pardonner ce que avés meffet a aultruy, ce ne croiray
je de ma vie; et par la foy que je doy a tous les dieux que homme
puisse aourer,[33] se ore le tenoye en Surie, je le feroye detraire a
chevaux».[34] Qui la satira sembra mettersi al di sopra degli elementi
stessi della fede cristiana, ma essa non ha alcun risultato, trovandosi
in un'opera in cui regna da un capo all'altro, a fianco della piú
credula devozione, un brio borghese e grossolano, che si ride di tutto
e che non dà nessuna importanza alle barzellette che prodiga.

Spesso è anche il modo di comportarsi dei Cristiani che distoglie
Saladino dall'abbracciare la loro religione, per quanto egli sembri
preferirla alle altre. Una celebre storia che gli si attribuisce,[35]
è in realtà molto anteriore a lui: Pier Damiano, nel sec. XI, la
riferisce a un re pagano contemporaneo di Carlo Magno, il falso Turpino
al re saraceno Agolante, l'autore d'_Anseïs de Carthage_ a Marsilio,
quello delle _Enfances Godefroi_ al re di Gerusalemme Cornumarant:
tutti questi infedeli, per quanto disposti a convertirsi, sono sdegnati
a vedere che i Cristiani, i quali dichiarano che i poveri sono «les
messagers de Dieu»,[36] li trattano in modo cosí poco onorevole che
ai banchetti, cui li ammettono, li fanno sedere in terra e non dànno
loro che i rifiuti del pasto.[37] Una storiella narrata nelle _Cento
novelle antiche_ è piú puerile: Saladino, durante una tregua, invita a
un pasto i Cristiani, e dà loro, per sedersi, dei magnifici tappeti,
sui quali ha fatto ricamare ovunque croci d'oro; i Cristiani, senza
porvi attenzione, calpestano le croci coi piedi e vi sputano sopra,
donde Saladino conclude che solo a parole amano la loro religione.[38]
Piú imprudenti sono i monaci, i quali, venuti per convertir Saladino,
si lasciano ubriacare e indurre a un peccato piú grave ancora,
abbandonando cosí la loro religione e le loro persone al disprezzo del
sultano.[39]

Piú interessanti sono quei racconti, che fanno vedere il gran sultano
titubante fra le tre religioni che si dividevano il mondo allora
conosciuto. Il piú celebre e il piú bello è quello in cui un ebreo, che
egli vuol confondere domandandogli qual sia la migliore religione, gli
narra la parabola dei tre anelli;[40] tuttavia Saladino vi rappresenta
una parte passiva che in origine non gli era stata attribuita. Una
novella che nel secolo XIII raccolse il rimatore austriaco Jans Enenkel
o Enikel mette il sultano piú direttamente in scena: «Quando fu vicino
a morte, chiese lungamente a se stesso a qual Dio rimettere la sorte
dell'anima sua, a quello dei giudei, dei mussulmani o dei cristiani:
quale era il piú potente? Nel dubbio, volle conciliarseli tutti e tre.
Possedendo egli una tavola fatta d'un enorme zaffiro, la fece spezzare
in tre pezzi,[41] e ne fece portare uno alla principale sinagoga, uno
alla chiesa e uno alla moschea di Gerusalemme, dopo di che morí».[42]
Tutto compreso, noi abbiamo qui una speculazione abbastanza grossolana,
come se ne attribuiscono a piú d'un sedicente barbaro convertito al
cristianesimo;[43] però la novella è ancora imparziale, come quella
dei tre anelli nella sua forma primitiva. I narratori cristiani non
dovevano naturalmente limitarsi a ciò; già nella _Chronique d'outre
mer_, compilazione del sec. XIII, della quale indicherò piú in là i
diversi elementi, la bilancia pende dal lato della religione cristiana:
«Ançois que il morust, manda il le califfe de Baudas et le patriarche
de Jerusalem et des plus sages juïs c'om pot trover en la tiere de
Jerusalem; car il voloit savoir por voir la quele lois estoit la
meillors. Assés desputerent ensamble, et soustenoit cascuns la soie
loi por la meillor. Li juï disoient qu'il ne pooit estre que Diex
nasquist sans conception de pere et de mere et sans engendrement, et
tout autretel dist li califfes; encontre tout çou fu li patriarces, et
moult monstra de biaus examples et de bieles paroles. Quant Salehadins
ot oïes les paroles de cascun, il dist que il ne se savoit a la quele
tenir; dont fist trois parties de l'avoir que il avoit conquesté, si
dona as crestiiens la meillour, et l'autre as Sarrasins et la tierce
as jüïs, et si delivra tous ceus qu'il avoit en ses prisons».[44]
Ma la forma di questo aneddoto, ad un tempo il piú ingegnoso e il
piú favorevole al cristianesimo, si trova in una raccolta latina del
secolo XIII, che ci è stata conservata in un prezioso manoscritto
di Tours, e di cui noi dobbiamo la conoscenza a Leopoldo Delisle. Vi
si racconta, come nelle precedenti versioni, che Saladino, prima di
morire, fece venire l'ebreo, il cristiano e il saraceno, reputati tra
i piú saggi di Gerusalemme, e domandò a ciascuno di essi qual'era la
miglior _loi_: «La mia, disse l'ebreo, e se l'abbandonassi abbraccerei
la legge cristiana, che ne discende. — La mia, disse il saraceno, e
se l'abbandonassi abbraccerei la legge cristiana, da cui discende.
— La mia, disse il cristiano, e a nessun costo l'abbandonerei per
un'altra». Allora egli disse: «Quei due, abbandonando la loro legge,
s'accorderebbero ad accettar questa; costui non accetterebbe altro che
la sua: io la giudico la migliore e la scelgo».[45]

Le due tendenze che abbiamo osservate, una che fa di Saladino il
portavoce di alcune satire contro la Chiesa, l'altra che lo mostra
inclinato verso il cristianesimo, si riuniscono in un racconto di
Bosone da Gubbio, che si riferisce ai viaggi del sultano in Europa:
vedendo la cupidigia dei preti, specialmente del papa e dei cardinali,
esclama che la religione cristiana è visibilmente la migliore di tutte,
dacché il Signore dei Cristiani è abbastanza paziente e misericordioso
per sopportare simili offese, ciò che non farebbe certamente il Signore
delle altre leggi.[46] Qui abbiamo il primo abbozzo, assai goffamente
tracciato, dell'ammirabile e mordace novella del giudeo Abramo nel
Boccaccio, e della sua impreveduta conversione dopo il viaggio di
Roma.[47]

Sia come si voglia, per un motivo o per l'altro, si credette
volentieri che Saladino fosse stato internamente persuaso della
verità del cristianesimo e che avesse altresí ricevuto il battesimo.
Il manoscritto latino che è stato citato poco fa, lo riferisce,
aggiungendo _ut dicitur_, come conclusione del suo consulto _in
extremis_.[48] D'altronde bastò immaginare che avesse dovuto, per la
presenza dei suoi, limitarsi ad una specie di simulacro, la cui virtú
non sarebbe forse sembrata sufficiente a un teologo: «Une chose fist
a la mort, dice il preteso zio di Saladino nei _Récits du ménestrel
de Reims_, qui mout nous ennuia; car quant il fu si apressez qu'il
vit bien que mourir le convenoit, si demanda plein bacin d'iaue. Et
maintenant li courut uns varlez aporter en un bacin d'argent, et li
mist a la main senestre. Et Salehadins se fist drecier en son seant, et
fist de sa main destre croiz par deseure l'iaue, et toucha en quatre
lieus sour le bacin, et dist: _Autant a de ci jusques ci comme de ci
jusques ci_. Ce dist il pour qu'on ne se perceüst. Et puis reversa
l'iaue sour son chief et sour son cors, et dist entre denz trois moz en
françois que nous n'entendimes pas, mais bien sembla, autant comme j'en
vi, qu'il se bautizast.[49]



III


L'ingegno di Saladino, i suoi successi, le sue grandi qualità
personali ispirarono una naturale ammirazione ai crociati di Francia
e d'Inghilterra, i quali, al seguito di Filippo e di Riccardo, erano
andati a combatterlo in Siria; la tolleranza di cui, in generale, fece
prova verso i Cristiani sottomessi al suo potere, l'umanità che spesso
mostrò verso coloro che avea vinti,[50] ispirarono nei suoi avversari
un rispetto ed anche una simpatia involontari. Per giustificare questi
sentimenti s'era pensato di attribuirgli per la religione cristiana
una inclinazione che era ben lungi dall'animo suo, ardentemente ed
esclusivamente mussulmano. La stessa tendenza ha fatto nascere una
favola piú singolare, secondo la quale il figlio d'Ayoub sarebbe stato,
almeno in parte, di razza cristiana e francese: ciò spiega la sua
pretesa simpatia per il cristianesimo e i suoi riguardi per i Franchi,
oltre di che ciò permetteva a costoro di rivendicare una certa parte
delle sue imprese e delle sue virtú. Questa favola sembra aver esistito
sotto due forme differenti, entrambe fantastiche, e che s'incontrano
solo nelle opere d'un carattere affatto romanzesco e popolare. Hanno
di comune questo, che riavvicinano l'illustre sultano alla famiglia
dei conti di Pontieu, intermediaria una donna, trasportata quasi
miracolosamente in un paese saraceno e data in moglie ad un saraceno;
differiscono in tutto il rimanente, ciò che ci fa credere ch'esse
sieno sorte indipendentemente su questo semplice indizio, del quale è
impossibile determinare l'origine. La meno conosciuta e la piú recente
si trova in quel gran poema del sec. XIV, del quale è stato parlato piú
innanzi. Secondo questo poema, una «dame de Pontieu», al momento in cui
andava sposa a un favoloso Esmeré, cugino di Goffredo di Bouillon, è
messa in mare in seguito ad una impresa disgraziata e trasportata dai
venti da _Nimaye_ (Nimègue) a Babilonia(!), dove il sultano Saladino
la accoglie, la sposa, e ne ha un figlio chiamato come lui, che è il
celebre conquistatore.[51] Piú tardi Giovanni di Pontieu, fratello
della sultana, essendo caduto nelle mani di Saladino, costui che sa
d'essere suo nipote, lo tratta con grandi riguardi, facendoselo amico;
nel corso del poema, la parentela di Saladino col conte di Pontieu è
spesso rammentata, e quando egli fa un viaggio in Francia, del quale
riparleremo, dà occasione a parecchi incidenti.[52] Il cronista Jean
le Long o Jean d'Ypres, abate di Saint-Bertin, il quale scriveva circa
il 1370, non teme d'aggiungere agl'indizi che raccolse pro e contro
Saladino questa singolare introduzione, tolta sia al nostro poema, sia
al racconto che gli aveva servito di fonte: _Saladinus Turchus, sed de
matre Gallica Pontiva_.[53]

In un'altra maniera, e molto piú lontana, l'origine francese di
Saladino è presentata nel piccolo romanzo in prosa del secolo XIII
conosciuto col titolo di _Voyage outre mer du comte de Pontieu_,
o, meno esattamente, di _La Comtesse de Pontieu_. Questo romanzo è
certamente esistito a parte, e ne abbiamo almeno una copia isolata;[54]
ma è stato assai presto interpolato in una composizione piú estesa,
che ho avuto già occasione di ricordare piú d'una volta, e che è
chiamata col nome di _Chronique d'outre mer_. È una compilazione
che non può farsi risalire oltre la metà del sec. XIII. Ci è stata
conservata in tre manoscritti della nostra grande biblioteca, i nn.
770 (ant. 7185^{3·3}), 12203 (ant. suppl. fr. 445) e 24210 (ant. Sorb.
397) dei manoscritti francesi.[55] Il fondo di questa compilazione è
formata dall'opera anteriore che si designa, secondo l'edizione che ne
ha data il de Mas Latrie, sotto il nome di _La Chronique d'Ernoul_,
e della quale sarebbe troppo lungo studiare qui gli elementi e le
relazioni con la grande opera composita, volgarmente considerata come
la continuazione di Guglielmo di Tiro, la quale occupa il secondo
volume della raccolta degli _Historiens occidentaux des croisades_.
La _Chronique d'outre mer_ dei nostri tre manoscritti riproduce
dapprima il testo d'«Ernoul» senza offrire molte piú varianti di
quelle dei manoscritti ordinari. A poco a poco la fedeltà nel testo
d'Ernoul diventa meno grande, senza cessare d'essere reale; ma ben
presto s'intercala una narrazione estranea, la cui fonte è difficile
a indovinare e il cui interesse è dei piú minimi, e che continua per
lungo tempo a intromettersi nella narrazione presa a Ernoul. Si tratta
d'una pretesa guerra di Saladino contro Galacienne «dame de Turquie»,
suo fratello Ranieri di Coine e i suoi alleati, il «calife de Baudas»
e il re Corlin di Nubia; in questa lunga narrazione di intonazione
storica, la quale non ha l'attrattiva del romanzo né il merito d'una
autenticità qualsiasi, noi vediamo figurare i due figli di Saladino e
alla loro testa Lycoredis, del quale l'autore ci dice espressamente:
«Che fu chil Lycoredis dont on parla tant au siecle, mais li crestien
l'apieloient Coradin».[56] Si tratta dunque di Malek-Moadam o Coradin
(Cheryf-Eddin), figlio di Malek-Adel o Saphadin, per conseguenza nipote
e non figlio di Saladino, e che certamente non era nato all'epoca in
cui il nostro autore gli attribuisce favolose imprese.[57] A partire da
questo momento però la _Chronique d'outre_ _mer_ s'allontana parecchio
dal testo d'Ernoul, di cui sembra un riassunto fatto a memoria;[58]
essa imbroglia nel modo piú inestricabile i fatti storici, soprattutto
quelli che si riferiscono all'Occidente, già assai sfigurati nel suo
modello, e ricorda all'incirca il tono del Ménestrel de Reims molto
piú di quello d'un cronista serio. Quantunque essa non termini alla
morte di Saladino, e prosegua sin verso l'anno 1228 il suo racconto
incoerente e talvolta incomprensibile, tuttavia è la storia di
Saladino quella che costituisce il pernio di tutta l'opera, come mostra
l'_explicit_ di due dei tre manoscritti (12203 e 24210): _Salhadins
fine chi_. Però non bisogna sperare di trovarvi utili contributi
per il soggetto che ora trattiamo: salvo la storia degli esordi del
sultano, tolta a Ernoul, e i due aneddoti, raccontati del resto assai
trivialmente, relativi alla sua morte, che abbiamo precedentemente
indicati,[59] in quest'opera non v'è nulla che possa interessare né
la storia reale, né la storia leggendaria o romanzesca. La versione
in prosa dell'_Ordre de chevalerie_, che uno dei manoscritti della
Cronaca (770) ha il merito di averci conservata, in origine non ne
faceva parte. La stessa cosa può dirsi del romanzo del _Voyage du comte
de Pontieu_, che si trova in due manoscritti (770 e 12203), ma che
manca nel terzo (24210), il piú recente, sebbene il piú fedele dei tre.
Degli amatori hanno inserito tardivamente nelle copie della _Chronique
d'outre mer_ tanto questo racconto quanto il romanzo.

Il quale ultimo è interessante in se stesso, ma non ha con Saladino se
non una lontanissima relazione. Un cavaliere di nome Tibaldo, signore
di Domart in Pontieu e nipote di Saint-Pol, ha sposato la figlia del
conte di Pontieu (né il padre, né la figlia sono nominati). Dopo cinque
anni trascorsi in una unione felice, ma sterile, i due sposi risolvono
di andare in pellegrinaggio a San Iacopo per ottenere la posterità,
che essi bramano. Traversando una foresta dove si trovano separati
dal loro seguito, sono aggrediti da briganti che li depredano, legano
Tibaldo e violano la moglie sotto i suoi occhi. Partiti i briganti,
egli chiama la moglie per esser liberato. «La dame ala cele part ou
mesire Thiebaus gisoit, et vit une espee gesir ariere, qui fu a un des
larons qui ocis fu. Ele la prist, et vint envers son seigneur, plaine
de grant ire et de mauvaise voulenté qui li iert venne, car ele doutoit
mout qu'il ne l'en seüst mal gré de chou que il l'a voit ensi veüe,
et qu'il ne li reprouvast en aucun tans et li mesist devant chou que
avenu li estoit; si dist: _Sire, je vous deliverrai ja._ Lors haucha
l'espee et vint vers son seigneur et le cuida ferir par mi le cors;
et quant il vit le coup venir, si le douta mout.... si tressailli si
durement que les mains et li doi li furent desserré, et ele le feri
si que ele le blecha un poi et coupa les coroies de coi il estoit
loiiés. Et quant il senti les loiiens laskier, il sacha a lui et rompi
les coroies, et sailli sus en piés, et dist: _Dame, se Diu plaist,
vous ne m'ochirés meshui_! Et ele dist: _Chertes, sire, che poise
moi_!» Il conte compie il suo pellegrinaggio senza riparlar con sua
moglie di questa strana avventura, «et l'en mena en son païs a ausi
grant joie et a ausi grant honnour comme il l'en avoit amenee, fors
de gesir o li». Però si trova obbligato, malgrado la sua resistenza,
a raccontare l'accaduto al suocero, il conte di Pontieu, e la giovine
donna, interrogata, non solamente riconosce la verità tutta intera
del racconto, ma ripete: _«Encore me poise il que je ne l'ochis»_. Il
conte, meno indulgente di suo genero, infligge a sua figlia un crudele
castigo. Trovandosi un giorno a Rue, la conduce in mare, con suo
marito, in un battello, in cui egli ha fatto portare una botte, fuoco
e pece. In alto mare la fa entrare nella botte, la quale vien turata
e accuratamente spalmata di loto e la getta nel mare gridando: _«Je te
commant au vent et as ondes!»_ Alcuni mercanti fiamminghi che andavano
nel paese dei Saraceni, pescano la botte e non sono poco sorpresi nel
trovarvi una bella e giovine donna vicina a morire; la conducono a
Aumarie[60] e la regalano al soldano del luogo. Costui la sospetta di
alto lignaggio, quantunque essa nasconda ostinatamente il nome e la sua
origine, s'innamora di lei, le domanda di rinnegare il cristianesimo
e di divenire sua sposa. «Ele vit bien ke mius li venoit a faire par
amours ke par forche, si li manda ke ele le feroit voulentiers». Ella
dunque lo sposa, ne ha ben presto una figlia e piú tardi un figlio.
Intanto il conte di Pontieu, suo figlio e suo genero vivevano nel
dolore, e il primo si pentiva della sua crudeltà. Tutti e tre si fanno
crociati, e al ritorno della Terra Santa un naufragio li getta ad
Aumarie. Il soldano li fa mettere in prigione, e perché, in un giorno
di festa, i suoi arcieri, secondo l'uso, gli domandano un cristiano per
servir loro di bersaglio, egli fa estrarre dalla prigione il conte di
Pontieu. La moglie del soldano, quando lo vede, si sente commossa, e
altrettanto fa per il suo primo marito e per suo fratello. Un giorno li
scongiura di dire tutta la verità, e domanda loro che cosa è avvenuto
di colei ch'essi han detto essere stata la moglie dell'uno, la figlia
e la sorella degli altri. Il conte di Pontieu le narra tutta la storia
negli stessi termini coi quali l'autore l'ha già detta. Quando essa
ascolta la narrazione del delitto che ha voluto commettere la moglie
di Tibaldo, esclama, come se il suo sentimento di pudore femminile
bastasse a farle comprendere l'azione ispirata a un'altra donna da
questo sentimento: _«Ha! sire, bien sai por coi ele le vaut faire. —
Dame, por coi? — Chertes,_ fait ele, _por la grant honte que il avoit
veü que ele avait soferte et receüe devant lui._ Quant mesires Thiebaus
l'oï, si commenche a plourer mout tenrement et dit: _Halas! quel coupe
i avoit ele? Ja por chou piour semblant ne l'en eüsse fait, car che fu
mal gré sien. — Sire,_ fait la dame, _che ne cuidoit ele pas»_.[61]
D'altronde il conte di Pontieu e Tibaldo non dubitano che la loro
figlia e moglie non sia morta. «Ma, dice la sultana, sareste contenti
di sapere che vive ancora?» Entrambi assicurano che nulla potrebbe
recar loro gioia piú grande. «Quant la dame ot oïes lor paroles, si li
atendri li cuers, si loa Diu et en rendi graces a lui, et lor dist:
_Or gardés k'il n'i ait feintise en vos paroles._ Et il respondirent
et dirent: Dame, non a il. La dame commencha mout tenrement a
plourer, et lor dist: _Sire, or poés vous bien dire ke vous estes mes
peres, et je sui vostre fille, ichele dont vous presistes si cruel
justiche; et vous, messires Thiebaus, estes mes sires et mes barons;
et vous, sire vallès, estes mes freres»_. Questa scena non manca
certamente di patetico nell'estrema semplicità della forma; richiama
involontariamente il dialogo di Giuseppe con i fratelli in Egitto, e ha
valso in gran parte al nostro racconto l'interesse, che non ha cessato
di esercitare sin da quando è stato posto nuovamente in luce. — Qualche
tempo dopo, la donna trova il modo di evadere con i suoi conducendo
con sé il figlio che ha avuto dal sultano; si fa assolvere a Roma,
dove ritorna alla fede cristiana e rinnova il suo matrimonio, e tutti
ritornano nel Pontieu. Piú tardi il figlio del soldano d'Aumarie, che
è stato battezzato col nome di Guglielmo, sposa la figlia di Raul di
Préaux, potente barone normanno, e diventa signore di Préaux; il figlio
del conte di Pontieu muore giovane, e i due figli che Tibaldo ha avuto
da sua moglie dopo la loro riunione ereditano per conseguenza uno la
contea di Pontieu, l'altro quella di Saint-Pol. Intanto la figlia del
soldano era rimasta presso suo padre: «Elle crut en grant biauté et
mout devint sage, et fut apielee la Bele Caitive, por chou que sa mere
l'avoit laissiee ensi comme vous avès oï». Ella sposa «un Turc mout
vaillant», chiamato Malakin di Baudas, che la conduce nel suo paese e
«de chele dame ki fu apielee Bele Caitive fu nee la mere au courtois
Turc Salehadin, qui tant fu preus et sages et conquerans».[62]

La storia straordinaria della figlia del conte di Pontieu è uno dei
racconti medievali che sono stati piú presto esumati e ringiovaniti.
Nel 1679, il Citri de la Guette pubblicava sotto il titolo d'_Histoire
de la conquête du royaume de Jérusalem sur les chrétiens par Saladin_,
una traduzione in francese moderno, generalmente assai esatta, della
_Chronique d'outre mer_, con le due interpolazioni dell'_Ordre de
chevalerie_ e del nostro romanzo.[63] Da questo libro, con molta
probabilità, il comandante di Vignacourt prese l'idea almeno di una
parte importante dell'opera che pubblicò nel 1723 in due volumi: _Edèle
de Ponthieu, nouvelle historique._ Tuttavia egli conservò ben poca
cosa del vecchio racconto, e soppresse, per dire il vero, tutto ciò
che ne costituiva l'originalità e anche l'interesse.[64] La signora de
Gomez fu meglio ispirata nella sua _Princesse de Ponthieu_, che inserí
nelle due _Journées amusantes_:[65] salvo qualche lieve modificazione,
essa seguí l'antico racconto, che conosceva certamente per il libro
del Citri de la Guette. Non ne resta, al contrario, quasi nulla
nella tragedia del La Place, _Adèle, comtesse de Ponthieu_, debole
imitazione della _Zaïre_, rappresentata nel 1757;[66] quanto all'opera
del Saint-Marc, _Adèle de Ponthieu_, data nel 1776 e due volte posta
in musica, non ha assolutamente di comune con le due opere precedenti
altro che il nome dell'eroina.

Questo nome merita di fermarci un istante, perché ha indotto a
singolari conclusioni sul romanzo che esaminiamo. L'eroina del romanzo
è anonima nell'opera originale; tale è rimasta nel Citri de la Guette
e nella signora de Gomez, che ne ha fatto solamente una principessa.
A quanto pare, il comandante di Vignacourt ebbe per primo l'idea di
darle il nome di _Èdèle_, che il La Place ha imitato cangiandolo in
_Adèle_: questi due nomi non sono che la variante uno dell'altro,
ed entrambi erano poco in uso durante il sec. XVIII. Si trova nella
famiglia di Pontieu una _Adela_, figlia di Giovanni II e moglie di
Tommaso di Saint-Valeri alla fine del secolo XII: percorrendo qualche
genealogia, il Vignacourt avrà messo gli occhi sopra questo nome,
l'avrà trovato di suo gusto e l'avrà dato alla sua eroina, lasciando al
marito il cognome di Saint-Valeri, ma sostituendo al nome di Tommaso
quello piú decoroso d'Enguerrand. La tragedia del La Place, che ebbe
qualche successo, consacrò il nome d'_Adèle_ di Pontieu (sostituito da
lui a _Édèle_), e quando si riscontrò che effettivamente vi era stata
una Adela nella famiglia di Pontieu, si credette d'aver trovato la
prova che il vecchio romanzo non fosse senza fondamento storico, e,
seguendo il processo abituale in simili casi, si cercò di rinvenire
questo fondamento, eliminando dalla narrazione ciò che era troppo
evidentemente meraviglioso ed inverosimile. Il Louandre, nella sua
_Histoire d'Abbeville,_ dopo d'aver menzionato Adele, figlia di
Giovanni II di Pontieu e sposa di Tommaso di Saint-Valeri, aggiunge:
«Fu questa giovane e bella principessa che i briganti oltraggiarono
e che Giovanni fece precipitar nei flutti, credendo di cancellare in
questo modo l'affronto fatto al suo sangue.[67] Questa avventura,
cosí come la conosciamo, si è senza dubbio alterata e la finzione,
come nella tragica storia della dama di Coucy,[68] vi tiene posto piú
della realtà. Sia come si vuole, Adele è restata nel Ponthieu l'eroina
d'una tradizione celebre.[69] Il ricordo della sua sciagura, dopo aver
ispirato i trovieri del Medio Evo,[70] ha fornito il soggetto ad opere
in musica, a tragedie e a poemi per i verseggiatori moderni».[71] Il
Louandre avrebbe dovuto rammentarsi che il romanzo fa della figlia
del conte di Pontieu la bisavola di Saladino: essa avrebbe dovuto
dunque nascere verso il 1070,[72] mentre che Ale (è la vera forma
francese di _Adela_) di Pontieu nacque verso il 1160; del resto,
non si trova, beninteso nella: storia, alcuna traccia della tragica
avventura attribuita qui alla moglie di Tommaso di Saint-Valeri. Ciò
non ha impedito agli ultimi editori del romanzo del secolo XIII di
dire, citando il Louandre, che «nelle avventure della nostra eroina
non è tutto fittizio», e che essa ha esistito «sotto il nome di Adele
di Ponthieu, moglie di Tommaso di Saint-Valery e figlia di Giovanni I
di Ponthieu, durante la seconda metà del secolo XII».[73] Ahimè! anche
la sua esistenza, in quanto figlia unica d'un conte di Pontieu[74]
maritata a un Tibaldo di Domart,[75] non è reale piú delle sue
disgrazie, o dell'introduzione di tre figli nelle liste genealogiche
delle case di Pontieu, di Saint-Pol, e di Préaux: i valorosi Guglielmo,
Giovanni e Pietro di Préaux, questi fedeli compagni di Riccardo, che
combatterono cosí valorosamente contro Saladino, non sospettavano
affatto d'esser suoi cugini e d'avere avuto per avolo il figlio del
soldano d'Almeria!

Il nostro romanzo ci presenta probabilmente, seguendo un fenomeno
assai conosciuto, l'applicazione d'una novella popolare a un dato
leggendario, da cui era del resto indipendente. Si credeva, senza
che noi sappiamo come questa credenza nascesse, che la figlia d'un
conte di Pontieu avesse sposato uno degli avoli di Saladino: si cercò
d'immaginare per quali avventure essa avesse potuto essere trasportata
in _paienie_ e risolversi a sposare un saraceno. Si fece uso di un
racconto assai commovente, che apparteneva a un gruppo di narrazioni
molto sparse nel Medio Evo, le quali hanno per iscopo di dimostrare che
gli uomini s'arrogano a torto il diritto di giudicare e di condannare
le colpe dei loro simili, e che la misericordia divina confonde
spesso con dei prodigi la pretesa giustizia umana. Noi possediamo una
variante abbastanza bella, quantunque tarda (secolo XIV), del tema cui
sembra appartenere la novella della bisavola di Saladino: il _Dit des
annelets._ La colpa della moglie qui è diversa, piú grave in realtà,
quantunque non sia se non intenzionale: partita con suo marito dal
Boulonnais, come la nostra eroina dal Pontieu, per il pellegrinaggio
di San Iacopo, essa si lascia trascinare, quasi contro sua voglia,
a seguire in un castello solitario un cavaliere, che ha incontrato i
viaggiatori e che s'è unito ad essi; quando il marito li sorprende,
ella sostiene l'audace menzogna del suo complice (che non è ancora tale
di fatto) assicurando esser questi il marito e l'altro un intruso. Un
dibattito giudiziario ha luogo tra i due rivali, e già il pentimento
piú sincero e piú profondo s'è impadronito del cuore della povera
donna, la quale non trema che per il suo sposo. Vincitore, questi
la conduce nel loro paese, e là, convocando tutti i suoi parenti ed
amici, racconta l'avventura senza nominarne i personaggi, e domanda
qual giudizio si darebbe della colpevole, che non solamente ha voluto
tradire, ma ha rinnegato suo marito. Il padre della dama dice che,
se avesse potere sopra una donna simile, la condannerebbe, e tutti
sono del suo parere. Il marito allora, dichiara che si tratta di sua
moglie, ma che la punirà in modo da non disonorare la famiglia. La
conduce a Wissant,[76] e l'abbandona sul mare in un battello senza
ormeggi.[77] Prima di abbandonarla, le fa mettere nelle dita dieci
anelletti di ferro, che le entrano nella carne, e getta nell'acqua
l'anello d'oro che ella gli aveva dato in altri tempi, dichiarando
che si riconcilierà con lei sol quando Dio glielo renda. Trasportata
dai flutti in un'isola deserta, vi è raccolta da un conte spagnuolo
che ha pietà di lei, la trova bella, le offre invano di sposarla, e,
dietro sua domanda, la fa entrare, insieme con dodici beghine, in
una casa lungo la strada di San Iacopo, dove essa pratica opere di
misericordia verso i pellegrini. S'indovina che dopo qualche tempo si
rinvenga nel corpo d'un pesce l'anello gettato nel mare, che il marito
ritorni in Galizia per implorare da San Iacopo di riunirlo con sua
moglie, che egli la ritrovi, e che, quando le ha perdonato, gli anelli
di ferro che avevano quasi marcito le dita e che essa non aveva mai
voluto far togliere cadano da sé, per un miracolo di Dio. Si ponga a
confronto la prima parte di questa leggenda, alquanto modificata, con
una delle scene di riconoscimento che sono frequenti nelle novelle e
specialmente in quelle del ciclo cosí ricco e cosí vario della «moglie
innocente e perseguitata», e si avrà all'incirca il nostro romanzo,
meno gl'incidenti e i particolari che ha saputo aggiungervi, con
discreta felicità d'invenzione, colui che l'ha redatto. Gli è stato
sufficiente dare all'eroina un conte di Pontieu per padre, maritarla
temporaneamente a un soldano saraceno e fare della nipote la madre del
gran Saladino, per dare al suo romanzo un interesse maggiore, molto
gustato, e riannodarlo con una leggenda che si conosceva vagamente
senza sapere su quale fondamento s'appoggiasse.

Non è dunque sorprendente che questo romanzo abbia avuto successo.
È passato in _Jean d'Avesnes_, ma il redattore del secolo XV non
si è limitato a ringiovanire la lingua del romanzo del Dugento:
anche seguendo assai da presso gli avvenimenti,[78] ha completamente
rinnovato lo stile sul gusto del suo tempo e alla semplicità un po'
secca del racconto antico ha sostituito una rettorica che, pur non
essendo, qua e là, priva di merito,[79] non pecca meno in generale per
l'enfasi[80] e la prolissità. Come si è già veduto, ringiovanito nel
Seicento, il nostro romanzo ebbe nel secolo XVIII una voga letteraria
da compararsi a quella del _Châtelain de Couci_; doveva però questa
voga al suo interesse intrinseco, e non alle origini di Saladino, che i
rifacitori avevano persino creduto di dover sopprimere.[81]



IV


Al contrario, si tratta proprio di Saladino in un gruppo di novelle,
le quali si riferiscono ai viaggi che in incognito avrebbe compiuti
in Occidente. Questi pretesi viaggi sono stati oggetto di parecchi
racconti che noi troviamo in Francia, in Italia, e in Ispagna. In
Francia non ci se ne presentano in epoca assai remota, ma è assai
probabile, come vedremo, che le narrazioni italiane abbiano avuto
fonti francesi ora perdute. Attualmente noi non ritroviamo una
storiella di questo gruppo che nel poema (scritto dopo il 1350) del
quale _Baudouin de Sebourc_ e il _Bastart de Bouillon_ sono due rame;
essa non ci è neanche pervenuta nelle redazioni versificate, bensí in
_Jean d'Avesnes_ ne abbiamo una in prosa, evidentemente fedele, e i
riferimenti ripetuti e precisi che ne son fatti nel _Baudouin_ e nel
_Bastart_ non permettono di dubitare che abbia figurato nel poema.[82]
Questa storia, tal quale viene presentata qui, è, almeno nella
prima sua parte, la semplice imitazione d'una finzione piú antica,
appartenente al ciclo della prima crociata e riferita a tutt'altro
personaggio che Saladino. Il poema delle _Enfances Godefroi_, il
quale, nella sua forma attuale,[83] è stato redatto circa il 1160,
contiene un lungo episodio che è unito al rimanente con un legame assai
debole, e che ha dovuto formare in origine un poema isolato, alquanto
anteriore a questa data: è il «voyage de Cornumarant». Cornumarant, re
di Gerusalemme (personaggio importante degli antichi poemi sulla prima
crociata), avendo avuto sentore di una predizione, secondo la quale il
duca Goffredo di Bouillon deve togliere la città santa ai Saraceni,
va in Francia con un interprete, con l'intenzione di conoscere
la potenza del duca e di ucciderlo, se può: come sia riconosciuto
dall'abate di Saint-Tron, come riveli l'esser suo a Goffredo, come
rinunzi al progetto di omicidio, non è quello che devo raccontare qui.
Quanto a Saladino, non è una profezia che lo conduce in Occidente, è
semplicemente il desiderio di «veoir la noblesse et le maintien des
chrestiens».[84] Si fa accompagnare da suo zio Giovanni di Pontieu (v.
addietro p. 27) e da Huon Dodekin, divenuto Huon di Tabarie, cui deve
l'ordine di cavalleria (v. addietro p. 11, n. 2). Sbarcano a Brindisi,
passano per Roma, traversano la Lombardia e arrivano a Parigi: «Deux ou
trois jours furent les barons a Paris pour eulx donner joye, et jamais
ne leur eust illec anuyé, pour ce que c'est ung droit monde».[85] Il re
Filippo non c'era, ma sono ricevuti dalla regina (che non è nominata),
alla quale Saladino fa una viva impressione. I viaggiatori vanno a
Saint-Omer, dove risiede il re, e Saladino difende vittoriosamente in
singolar tenzone l'innocenza ingiustamente accusata di una fanciulla
della famiglia dei conti di Pontieu. A Cambrai si combatte un magnifico
torneo, nel quale Saladino ottiene il premio, rovesciando lo stesso
re Riccardo d'Inghilterra. La «largesse» e la «courtoisie» dello
sconosciuto eguagliano la sua valentia, e la regina ne è sempre piú
invaghita. Glie lo dichiara senza ambage e si dà intieramente a lui;
anch'egli finisce per confessarle l'esser suo, ma ciò non toglie che
ella seguiti ad amarlo.[86] Finalmente egli se ne va in Siria. Però ben
presto ne ritorna in tutt'altre condizioni, con una flotta immensa e
col proposito di conquistare la Francia: Huon di Tabarie e Giovanni di
Pontieu riescono a stornare sull'Inghilterra l'invasione minacciante,
e l'Inghilterra stessa è salvata, grazie soprattutto al valore dei
cavalieri francesi, in un episodio (il _Pas Salehadin_) sul quale
ritorneremo piú tardi. Ben presto, ritornando in Siria, Saladino viene
a sua volta assalito colà dai re di Francia e d'Inghilterra. Questa
seconda parte del racconto non è, come si scorge, affatto in relazione
con la prima, nella quale vediamo il soldano visitare la Francia per
semplice curiosità.

Non unicamente per questo sentimento, ma anche in previsione di una
crociata imminente e per il desiderio di informarsi delle forze dei
Cristiani,[87] Saladino si risolve a percorrere il mondo nella maggior
parte dei racconti italiani. Il piú antico sembra esser quello di
Bosone da Gubbio (v. piú addietro, p. 11), del resto assai confuso.[88]
Il re di Francia, secondo Bosone, era stato fatto prigioniero
da Saladino con molti altri suoi baroni, tra i quali il _conte
Artese_;[89] Saladino usa molte cortesie a quest'ultimo, lo mette in
libertà, e gli annunzia che gli farà una visita in Francia. Infatti,
travestito da eremita, gli si presenta qualche tempo dopo; quindi,
sotto le spoglie d'un mercante, visita col conte l'Europa e critica
la prodigalità del re in relazione coll'avarizia del papa.[90] In
seguito, nel romanzo di Bosone, accade un'altra avventura la cui scena
è in Ispagna: un cavaliere, Ugo _di Moncaro_, è di un'estrema cortesia
verso Saladino, senza riconoscerlo, e di ciò il soldano lo ricompensa
piú tardi, quando Ugo è caduto nelle sue mani dopo una disfatta dei
Cristiani, rinviandolo libero in patria con altri dieci prigionieri e
un presente di dieci mila pezze d'oro.[91]

Secondo il Rajna, queste novelle sono d'origine francese, e niente è
piú probabile, sebbene siano singolarmente alterate dalla trasmissione
orale. I commentatori di Dante, citati dal Rajna e dal Fioravanti,
ci mostrano che durante il secolo XIV questa idea dei viaggi di
Saladino era molto sparsa in Italia: «Questi, dice Iacopo della Lana,
fue soldano di Babilonia, lo quale fue sagacissima e savia persona,
sapeva tutte le lingue,[92] e sapeva molto bene trasformarsi di sua
persona; cercava tutte le provincie e tutte le terre sí de' Cristiani
come de' Saracini, e sapeva andare sí segretamente che nulla sua gente
né altri lo sapea». Il Boccaccio, nel suo commento, ci attesta anche
la diffusione di questa tradizione: «_Credesi_ che, trasformatosi,
gran parte del mondo personalmente cercasse, e massimamente intra'
Cristiani, li quali, per la Terra Santa da lui occupata, gli erano
capitali nemici». Sembra evidente, come è stato notato,[93] che
quest'ultima parte della frase indichi che Saladino esplorasse i
paesi dei Cristiani allo scopo d'informarsi delle forze delle quali
avrebbero potuto disporre contro di lui. Lo stesso Boccaccio lo dice
espressamente nella bella storia di Messer Torello (_Decam._, X, 9), il
quale, come Ugo di Moncaro, si mostra, a Pavia, d'una cortesia squisita
verso Saladino vestito da mercante, e piú tardi riceve da lui una
meravigliosa ricompensa:[94] Saladino aveva intrapreso il suo viaggio
in «Ponente» per vedere da se stesso i preparativi della crociata, a
tempo di Federico I. Era insomma uno spionaggio, e se il sultano fosse
stato riconosciuto, rischiava di pagar molto cara la sua temerità.

Tuttavia ciò accadde una volta,[95] ma impunemente, se si deve
credere a un altro novellista, questa volta spagnolo, D. Juan Manuel,
che scriveva alla metà del secolo XIV. Nella novella L del _Conde
Lucanor_, Patronio narra al suo padrone che in Egitto Saladino s'era
invaghito d'una dama bella e virtuosa, sposa d'uno de' suoi principali
cavalieri. Costei gli promette d'esaudirlo quando avrà risposto
alla seguente questione: «Quale è la miglior cosa che possa essere
nell'uomo e diventare la fonte di tutte le virtù?» Il soldano ha un bel
riflettere e cercare, non trova nulla; invano interroga tutti quelli
che ravvicinano. Allora, travestito da giullare, in compagnia di due
altri giullari, percorre il mondo, l'Italia, la Francia, domandando
ovunque una risposta che non ottiene mai. Finalmente in Ispagna
incontra un cavaliere che lo porta da suo padre, vegliardo assai
saggio; costui un tempo era stato prigioniero di Saladino, il quale
lo aveva trattato molto bene; dapprima lo riconosce, ma non se ne fa
accorgere pubblicamente. Egli risponde alla questione: la miglior cosa
che possa essere nell'uomo è la vergogna (_vergüenza_); poi chiama a
parte il soldano, e gli dice che lo riconosce, ma che non lo tradirà.
Saladino ritornato in Egitto va a trovare la dama e le dà la risposta
del vegliardo; essa gli dice che è buona, ma gli fa un'altra questione:
«Non si considera egli come il miglior uomo che viva?» Egli confessa
di sí; allora l'esorta a riunire la miglior cosa del mondo col miglior
uomo del mondo, e Saladino commosso cambia in rispettosa amicizia la
passione che aveva per lei.[96]



V


Questo racconto, il quale per il suo spirito e per il modo onde
procede, sembra esser venuto in Ispagna dalla Provenza, ci conduce
a parlare degli amori di Saladino: non era possibile che un modello
cosí completo di tutte le virtù cavalleresche, rimanesse estraneo
all'amore. Lo nota espressamente l'autore della prima delle _Cento
novelle antiche_: «El Saladino fo sí valoroso, largo, cortese signore
e d'anemo gentile, che ciascuno ch'al mondo era en el suo tempo dicea
che senza alcun difetto era onne bontà in lui compiutamente». Ma gli
mancava l'amore: Bertran de Born (in qual modo si trovava in relazione
con lui?) volle dargli questa suprema perfezione, e gl'indicò una dama
che era la migliore che esistesse, spronandolo ad amarla «per amore».
Saladino rispose che aveva quante donne volesse e che le amava tutte.
Però il trovatore gli mostrò che ciò non aveva niente di comune con
l'amore vero, l'amore cortese, delicato e raffinato, e glie ne diè la
spiegazione. Subito il sultano, esaltato da questi discorsi, si porta
con un esercito nel paese dove abita la dama, paese che gli è ostile,
l'assedia nel suo castello e sta per impadronirsene, quando ella lo
fa chiamare e gli dice che non sono questi i segni dell'amore che si
è soliti dare. Udite le sue proteste, ella gli ordina di ricondurre
il suo esercito: «_E per accordo a me lasci el cor tuo e 'l mio ne
porti, e siano sempre uno in tutta simillianza_. E cosí fu el comiato».
Saladino aveva preso una lezione completa d'amor cortese, ma doveva
trovarlo un po' arido.

Era predestinato, sembra, ad ascoltar da donne amate da lui risposte
nobilissime e savissime, ma poco incoraggianti, e delle quali voleva
non di meno soddisfarsi. Si legge in _Jean d'Avesnes_ che, essendosi
impadronito d'un castello, in cui si erano rinchiuse duecento dame con
la principessa d'Antiochia, trattò quest'ultima assai cortesemente,
e non poté impedirsi d'essere sensibile alla beltà di lei e alle
attrattive della sua conversazione, tanto che egli «la requist d'estre
sa dame et sa maistresse, ce que par adventure elle eust voulentiers
fait s'il eust esté crestien et s'elle eust esté impourveue de mary....
Si respondy le plus doulcement qu'elle peut a Salhadin, soy reputant de
mendre estat qu'a si grant prince appartenoit, et disant, qu'il devoit
premierement amer Dieu [plus] que aultre chose avant qu'il requist dame
crestienne d'amours, metant en sex excusacions que sans icelluy rien
ne peut estre mené a bonne fin. De laquelle responce Salhadin fut assez
contempt».[97]

Il sultano non si trovò tuttavia sempre ridotto in amore a
un'ammirazione cosí platonica. Noi non conosciamo diversamente la
storia cui fa allusione il commento di Dante che va sotto il nome
dell'_Ottimo_: «E amò per amore la reina di Cipri».[98] Però si è già
visto piú avanti ciò che racconta _Jean d'Avesnes_, secondo il poema
spesso citato del secolo XIV, circa i suoi amori con la regina di
Francia, moglie di Filippo II. Cominciati in Francia, questi amori,
nel seguito del romanzo sono continuati in Siria, quando la regina,
avendo accompagnato lo sposo, si trova con lui in Acri assediata da
Saladino. Dall'alto dei bastioni essa ammira le prodezze del soldano,
e avendo costui abbandonato l'assedio per rientrare in Gerusalemme,
essa per rivederlo concepisce un piano ingegnoso. Persuade il re,
«qui pour sa grant beaulté estoit d'elle comme tout affollé» che ha
ricevuto in sogno da Dio la missione di convertire il soldano. «Le
roy, doubtant de couroucher Dieu, et pensant que les menchonges de sa
femme fussent véritables, conclud entre ses hommes qu'il la lairroit
ceste chose esprouver, moiennant bon et seur sauf conduit, avoec
certaine guide de quelqu'un des plus vaillans de sa compagnie».[99]
Saladino accorda volentieri il salvacondotto e si stabilisce che
Chauvigni (cioè Andrea di Chauvigni, uno dei principali eroi della
terza crociata) l'accompagni, «ce dont la royne fu moult desplaisante,
car elle sçavoit bien que Chauvigni de sa nature douteus estoit». Non
s'ingannava, perché il bravo Chauvigni, vedendo la maniera con la quale
Saladino accoglieva la bella visitatrice, risolse di non lasciarla
sola con lui; dopo qualche tempo d'una penosa sorveglianza, di cui
Saladino si sarebbe sbarazzato con la forza se non avesse rispettato
il salvacondotto da lui rilasciato, Chauvigni esortò la regina a porre
termine prontamente al suo negozio e a ritornare in Acri con lui; però
essa lo ricevette malissimo: _«Vous perdez vostre langage, Chauvigny;
car cy m'avez amenee a vostre adventure, laquelle vous vaille s'elle
vous peut valoir... Je suy venue pour besongnier avoec Saladin... si
ne me partiray d'icy tant que ma voulenté auray acomplie, deusse je
perdre vostre compaignie, de laquelle je suis trop mal contempte»_.
Chauvigni prende allora questa risoluzioni: fa abbandonare Gerusalemme
da tutti i suoi, e ritorna solo, armato della sua spada e montato sul
suo cavallo, davanti al palazzo di Saladino. Il soldano e la regina
conversano in questo momento a una finestra; Chauvigni s'avvicina e
chiede alla regina se può dirle qualche parola in secreto, perché sta
per partire e desidera trasmettere al re le parole stesse della dama
che devono servirgli di giustificazione, se si vuol punirlo d'aver male
eseguito la consegna. Ella discende: Chauvigni finge di volerle parlare
all'orecchio, e, impadronendosi di lei vigorosamente, «il la troussa
devant luy et picqua le bon cheval atout la dame, qui si hault s'escria
que bien l'entendy Salhadin, si s'advisa Chauvigny en courant de tirer
son espee, et ad ce que la dame ne soy remuast trop fort tellement
luy feit paour qu'elle se laissa manier et emporter comme ung bouchier
emporte davant soy une brebis». Saladino si pone ad inseguirlo, ma non
può raggiungerlo, e rientra afflittissimo in Gerusalemme. Chauvigni
ritorna in Acri e ripone la regina nelle mani di Filippo, «soy
deschargeant d'elle, et racomptant ses fais et son adventure, et comme
elle avoit voulu demourer avec Salhadin. Dont le roy fu moult marry sur
la royne, mais il ne la voult pugnir de son meffait, ançois la renvoya
au roy d'Arragon son pere, renonçant a la compaignie d'icelle par
les excusacions de sa vie oultrageuse et de la male voulenté qu'elle
avoit eue de vouloir converser avec les Turcs. Si fut d'elle tant mal
contempt le roy son pere que, comme dit l'istoire, il en feit justice,
et contempta le roy Philippe et les nobles barons de France par la
pugnicion qu'il feit d'elle... Si se taist atant le compte de la fin de
la royne». Il romanzo non ci dice dunque in qual modo il re d'Aragona
fece giustizia della colpevole figlia sua; esso ha qui attenuato il
racconto dell'antico poema: nel quale, dopo uno di quegli esordi che ci
permettono di ricostituire in parte le rame che non ci sono pervenute,
era indicato esplicitamente il supplizio della regina, la quale fu
bruciata: io vi parlerò, dice il poeta, di Salehadin,

    Qu'au tournoi a Chambrai enama la roïne
    Qu'en Arragone fu arse en un fu d'espine:
    Par le bon Chauveigni en sot on la couvine.[100]

Questa singolare storia non è che il rinnovamento amplificato d'un
racconto piú antico, che si trova tra quelli del «Ménestrel de Reims»;
solamente in questo si tratta non della moglie di Filippo II, ma di
quella di Luigi VII, che è esattamente chiamata col suo nome Aliénor o
Éliénor. Secondo il narratore del secolo XIII, Luigi era con sua moglie
a Sur, la sola fortezza che i cristiani possedessero allora in Siria,
dove non faceva che «le sien despendre», non osando dar battaglia a
Saladino. La regina prende a disprezzare suo marito, «et ele oï parler
de la bonté et de la prouece et du sens et de la largece Salehadin, si
l'enama durement en son cuer». Trova il mezzo d'intendersela con lui,
il quale le manda una galea che deve condurla via. Una notte, discende
da una postierla, portando con sé due scrigni pieni d'oro e d'argento,
allorché una delle sue damigelle va a trovare il re, che dormiva, e
lo sveglia dicendogli: _«Sire, malement est; ma deme s'en vuet aler en
Escaloigne a Salehadin, et la galee est au port qui l'atent. Pour Dieu,
Sire, hastez vous!»_ Il re si veste in fretta e discende al porto: «Il
trouva la roïne qui estoit ja d'un pié en la galee, et la prent par
la main et la ramainne arriere en sa chambre....». Le domanda allora
perché ha concepito un tal disegno: _«En nom Dieu_, dist la roïne,
_pour vostre mauvestié, car vous ne valez pas une pomme pourrie. Et
j'ai tant de bien oï dire de Salehadin que je l'aim mieuz que vous»_.
Il re la fa sorvegliare, e, ritornato in Francia, si contenta di
ripudiarla; ma, nota assai giudiziosamente il narratore, «si fist que
fous: mieuz venist l'avoir emmuree, si li demourast sa grant terre,
et ne fussent pas avenu li mal qui en avinrent».[101] Si sa che la
condotta di Aliénor in Terra Santa fu infatti uno dei principali
motivi, i quali furon causa del suo divorzio con Luigi VII; però è
certo che, se essa peccò, non fu, anche d'intenzione, con Saladino,
che era allora un fanciullo. Si può vedere abbastanza bene come si sia
formata la leggenda. Si sa che in realtà Luigi VII e sua moglie, dopo
il disastro sofferto dai crociati nell'Asia Minore, si stabilirono non
a Sur, ma ad Antiochia. Aliénor, che si lamentava d'aver per marito un
monaco e non un re, fu durante questo soggiorno estremamente leggera,
per non dire di piú, specialmente col principe d'Antiochia, Raimondo,
quantunque fosse suo zio paterno. Essa lo preferiva grandemente a
suo marito, e sembrava avesse concepito il disegno di restare sempre
con lui, tanto che il re fu obbligato di menarla via di nottetempo
sopra un vascello fino ad Acri; rientrato in Francia, egli divorziò
sotto pretesto di parentela. Tutto ciò si trasformò a poco a poco
nell'imaginazione popolare. Anche al principe d'Antiochia si riferisce,
in una versione che ci ha conservato una cronaca spesso citata per gli
elementi romanzeschi che ha ammessi,[102] il tentativo di evasione
d'Aliénor; però esso è già raccontato quasi come dal Ménestrel: «La
royne Alienor, qui estoit femme, moult diverse, fiere et haultaine, ot
grant desdaing que le roy ne faisoit la requeste du prince.[103] Et
mist le prince en tel point la royne qu'elle volt laisser le roy, et
se cuida embler de luy, et fist secretement trousser ses besoignes et
cuida entrer en mer sans le seu du roy; mais elle fut prinse et amenee
au roy, qui lui demanda ou elle vouloit aller[104] et pour quoy elle
part sans son sceu. Et quand elle vit que il failloit que aucune chose
respondist.... fierement respondy et par grant orgueil que voirement le
voulloit laisser pour sa grande lascheté et couardie».[105] Ciò però
non doveva bastare. Essa aveva voluto restare con un uomo del paese:
la colpa si rese piú grave supponendo che fosse un infedele quegli
che aveva amato. Una cronaca latina del secolo XIII aveva già detto:
«Praefata regina regem in pluribus graviter offendit, in hoc vero
gravissime quod regem clam relinquere machinans cuidam Turco adhaerere
voluit».[106] Nelle _Chroniques de Flandres_, redatte nel secolo XIV,
questo Turco, diventa il soldano di Babilonia, e tutta la località è
cambiata: «Pendant le temps de celluy siege (di Escalona) advint une
trop grant merveille. Car la royne de France, qui avoit séjourné a
Triple ung espace tandis que le roy avoit esté devant Damas, avoit tant
fait devers le souldan de Babiloine qu'elle devoit aler aveuc luy; mais
le roy en fut adverty, luy estant au siege devant Escaloine. Lors s'en
party le roy moult hastivement, et chevaucha toute la nuyt tant qu'il
vint a Triple, si trouva la royne qui estoit ja venue jusques a la
gallee pour entrer ens. Adont il prist la royne et l'en ramena».[107]
Era naturale che questo Turco, che questo «souldan» divenisse Saladino,
perché nel secolo XIII la gloria di Saladino era sí grande, che,
dal momento che si trattava di un Saraceno ragguardevole per qualche
cosa di straordinario, si pensasse a lui. Cosí si formò il racconto,
che il Ménestrel de Reims ci offre con la sua ingenuità e la sua
vivacità ordinarie,[108] del quale però non ha inventato alcun tratto
essenziale.[109] Quanto al poeta del secolo XIV, non è certamente per
un debito d'esattezza storica che ha fatto della regina di Francia
innamorata di Saladino, la moglie di Filippo II e non di Luigi VII;
infatti egli non evita l'anacronismo se non per cadere in un errore
non meno grave, dacché Filippo era vedovo a tempo della crociata.
Ha fatto semplicemente rientrare l'aneddoto che voleva adoperare nel
quadro generale del suo poema, in cui Filippo di Francia e Riccardo
d'Inghilterra sono, come nella storia, gli avversari di Saladino.
Inoltre egli ha dato al racconto della mancata fuga della regina,
che imitava, trasformandolo, da una novella relativa ad Aliénor, un
prologo, il quale ci fa assistere in Francia all'esordio dei suoi
amori con Saladino, e che è tutto intero di sua invenzione. Ciò era
assai naturale; quello che sorprende di piú è di vedere sino ai nostri
giorni degli storici seri parlare degli amori d'Aliénor con «un giovane
Saraceno», con «un Turco battezzato col nome di Saladino», con «un
buffone chiamato Saladino», ecc.[110] Quanto tempo è stato necessario
perché la critica entrasse, nella storia, in pieno possesso dei suoi
diritti!



VI


Accanto a tutte queste narrazioni che fanno di Saladino un cavaliere,
un mezzo cristiano, un mezzo francese, un viaggiatore, un cortese
amante, ossia tutto ciò che non fu, sarebbe inverosimile che non ve
ne fosse qualcuna che ce lo mostrasse almeno approssimativamente,
tal quale fu, il nemico spesso generoso, ma costante, dei Cristiani.
Tuttavia il ricordo leggendario ha conservato poche tracce di ciò
che costituisce il fondo vero della storia del conquistatore di
Gerusalemme, dell'avversario di Filippo e di Riccardo.

Alcune tradizioni, che sono ancora per metà storiche e che del resto lo
concernono indirettamente, ci rappresentano la sua vittoria su Guido
di Lusignano come dovuta al tradimento di parecchi grandi vassalli
di quest'ultimo, e specialmente di Raimondo di Tripoli o Triple. Il
Ménestrel di Reims ci racconta che i principali traditori, insieme
col conte di Triple, erano «le marchis de Montferrat, le seigneur de
Baru, le seigneur de Saiete, le bau (balio, governatore) d'Escaloigne»
(§ 40).[111] Il poema del _Pas Salhadin_, del quale parleremo presto,
trasforma questi nomi, buttati giú un poco a caso, nel modo piú
bizzarro:

    Des traïtres faus losengiers
    Li quens de Tribles fu premiers,
    Et li marcis de Ponferan,
    (Et) D'Escalone Pieres Liban,
    Après li sires de Baru
    Et de Sa[e]te quens Poru.
    Cilz cink firent la traïson
    Et vendirent le roi Guion
    A Salhadin......[112]

Noi abbiamo qui l'eco sfigurata dalla tradizione che si formò tra i
partigiani di Guido di Lusignano.[113] Dopo la sconfitta, quando Guido
prigioniero confessa piangendo a Saladino ch'egli ha ben meritata la
sua sorte, l'altro, secondo il racconto del Ménestrel, gli dichiara che
non è responsabile del disastro, gli rivela il tradimento, e lo rimette
generosamente in libertà.

Nel grande romanzo in versi del secolo XIV del quale abbiamo parlato
tante volte, e che è qui ancora rappresentato dal _Jean d'Avesnes_ in
prosa, la rovina del regno di Gerusalemme è narrata in un modo che non
ha quasi nulla di comune con la storia. Non si tratta piú di Guido di
Lusignano, e neanche dei suoi predecessori immediati. La catastrofe
accade sotto il regno di Baldovino di Sebourc, secondo successore di
Goffredo.[114] Saladino, divenuto padrone di Damasco, dell'Egitto e
poco dopo della Persia, assale i Cristiani di Terra Santa. In una prima
battaglia, sui «plains des fontaines de Saphire»,[115] il re Baldovino
è preso, ma Saladino lo rimette in libertà. Ben presto, il soldano
marcia su Gerusalemme, e davanti alle mura di questa città si dà la
grande e decisiva battaglia: Baldovino di Sebourc è ucciso, e cosí pure
il bastardo di Bouillon, figlio di Baldovino I. Saladino fa dovunque
miracoli di valore: «car il estoit puissant de corps et de si hault
courage que... nul ne l'osoit regarder en fait d'armes, et partout ou
il aloit les chrestiens se coatissoient et l'oeil n'osoient haulcier
devant luy». Non mostra una generosità meno grande; la spinge al punto
da suscitare un giusto scandalo tra i suoi e, a dire la verità, sino
alla stravaganza: avendo preso Giovanni di Pontieu, nel quale riconosce
suo zio, lo autorizza a ritornare a combattere a fianco dei due soli
campioni cristiani sopravvissuti, e a compiere con essi una terribile
carneficina dei Saraceni. Tuttavia finisce col farlo prigioniero sulla
sua parola, allo stesso modo di Huon Dodekin o di Tabarie.

La presa di Gerusalemme, senza colpo ferire, e l'umanità della quale
Saladino fa prova verso gli abitanti non differiscono molto nella
storia e nel nostro romanzo. In questo si passa in seguito all'assedio
di Sur, dove il glorioso nome di Corrado di Monferrato è cambiato
in quello di Bonifazio, conservandosi però, per un singolar caso,
il nome del valente Guglielmo de la Chapelle, che del resto non ci
è stato trasmesso che dal poema contemporaneo d'Ambrogio.[116] Narra
tuttavia che Saladino, dinanzi all'indomabile resistenza del marchese
di Monferrato, sospende l'assedio della città, ma a torto aggiunge
che in un secondo assalto la fortezza fosse obbligata ad arrendersi.
Lascio da parte la menzione delle altre città conquistate allora da
Saladino,[117] il quale, secondo il nostro romanziere, visse in seguito
per dieci anni in una pace profonda, durante la quale preparò il
viaggio che meditava nel paese dei Cristiani.

Si sa che in realtà non accadde tutto in questo modo: che Guido
di Lusignano, appena uscito di cattività, venne con meraviglioso
ardire a porre l'assedio ad Acri, recentemente tolta ai Cristiani,
che ben presto fu raggiunto colà da Filippo di Francia e da Riccardo
d'Inghilterra, i quali presero la città in capo a tre mesi, che Filippo
se ne ritornò allora nei suoi paesi, mentre Riccardo restò ancora un
anno in Siria, facendo a Saladino una guerra in cui rese immortale
il suo valore, sebbene non potesse colà compiere alcuno dei disegni
che aveva formati, e fosse obbligato a terminare con una tregua poco
gloriosa. Fu in quei quindici mesi di contatto quasi quotidiano che
i crociati venuti di Francia e d'Inghilterra poterono ricevere la
piú viva impressione delle qualità brillanti del loro formidabile
avversario. La crociata in se stessa non ha tuttavia lasciato nella
tradizione se non assai poco sicuri ricordi. Il piú esatto sembra
essere una storiella che deve avere un fondo reale, e della quale
è curioso seguire le successive trasformazioni. Originariamente non
riflette Saladino, bensì suo fratello Safadin o Seif-Eddin (piú tardi
suo successore sotto il nome di Malek-Adel). Durante la liberazione di
Jaffé, nell'agosto del 1192, la piú prodigiosa delle geste compiute
dal re «au cœur de lion», Riccardo, giunto in tutta fretta per mare,
aveva appena trovato dei cavalli per lui e per qualcuno dei suoi (v.
piú innanzi), e non avrebbe potuto surrogare il suo quando l'avesse
perduto. Safadin, che da lungo tempo era in amichevoli relazioni con
lui, vedendolo combattere a piedi, gli mandò cortesemente due cavalli:
tale è il racconto d'Ambrogio, che sembra perfettamente autentico,[118]
Le diverse redazioni del _Livre de la Terre-Sainte_[119] ce ne mostrano
i successivi svolgimenti. La prima (H, p. 197) non aggiunge che un
tratto inesatto, cioè che Riccardo avrebbe dato uno dei due cavalli
a Guglielmo di Préaux: Guglielmo era allora prigioniero; inoltre
attribuisce a Saladino l'iniziativa di questa cortesia. La seconda[120]
amplifica ed altera questo semplice racconto: «Seifeddin... demanda
ou estoit le roi; l'on li mostra ou il estoit aveques ses homes sor
un toron. Il s'entremist de bien et d'onor, si li envoia un cheval
tirant,[121] qui estoit moût mesaisiés a la bouche, par un sien
memeloc, et il encharja qu'il deïst au rei que nen esteit mie avenant
chose que rei se combatist... a pié. Le rei, qui fu aparcevans de la
malice des Sarasins, s'aparçut que le cheval estoit mesais[i]é, si
dist au message qu'il galopast le cheval; ensi come il le galopeit, il
le conut qu'il estoit tirant, si li dist: _Mercie ton seignor, et li
meine son cheval, et li di que ce n'est mie l'amor qui entre lui et moi
estoit qu'il me mande cheval tirant por moi prendre_. Le memeloc s'en
torna et mena le a son seignor, et li dist qu'il s'estoit apercells
qu' il estoit tirant. Seifeddin fu hontous, et comanda que l'on li
menast un autre plus aaisié[122] que celui, et celui meismes [mena]
le memeloc qu'i[l] li aveit premierement amené.[123] Le rei comanda
au ferrot[124] que il li traisist les gisans et les eschaillons,[125]
et tantost com il l'ot comandé il fu fait; e com hom li ot trait il
li fist metre un frain et fist monter sus. Le cheval fu alores bien
aaisié; le rei monta sus et fist mout d'armes». Se qui v'è malizia, è
da imputarsi tutta intera al «memeloc».[126] Nella terza versione, che
è quella del manoscritto in cui si trova il nome d'Ernoul, Saladino,
che sostituisce interamente Safadin, può almeno sembrare colpevole
d'aver nascosto un tradimento sotto la sua apparente generosità. «Va,
dist il a un de ses serjanz, _ensele un cheval et si li maine; si li di
que jou li envoi; qu'il n'afiert pas a si haut home come il est qu'il
soit a pié a tel lieu._.. Li serjanz fist le comandement Salehadin et
si mena le cheval au roi d'Engleterre et fist son message. Et li rois
l'en mercia, mais ne monta pas sus, ains fist monter un sien serjant
et fist poindre devant lui. Quant li serjant ot point le cheval et il
cuida retorner, ce ne fust ja mais, ainz l'en porta li chevaus, quel
gré qu'il en eüst, en l'ost as Sarasins. Et Salehadins fu mout honteus
de ce que li chevaus estoit retornés; si en fist un autre apareillier,
et li renvoia».[127] Il tradimento è del tutto sicuro nella LXXVI delle
_Cento novelle antiche_.[128] Il cavallo è inviato per condurre quello
che lo monta nella tenda di Saladino; fortunatamente Riccardo vi fa
montare uno scudiero, e l'astuzia del soldano è in tal modo rivelata
e sventata a sua volta.[129] Nel poema del sec. XIV spesso citato,
questa storia ha un seguito: il buon cavaliere Antonio, che Morello,
il cavallo mandato da Saladino a Riccardo, gli ha ricondotto, acquista
l'amicizia del soldano, è da lui fatto governatore di Saietta e piú
tardi vi sostiene un assedio contro di lui per difendere Chauvigni e
Guglielmo des Barres, da lui perseguitati.[130] — Finalmente nel poema
inglese sopra Riccardo Cuor di Leone, che, almeno per questa parte,
è tradotto dal francese, la storia è del tutto fantastica. Accade
davanti a Babilonia, la quale è assediata da Riccardo. Saladino gli
manda in dono un magnifico cavallo, migliore ancora del famoso Fauvel
di Cipro, cavalcato abitualmente da Riccardo;[131] però è invasato dal
diavolo, e di piú, quando sua madre, cavalcata da Saladino, nitrisce,
esso accorre, le s'inginocchia davanti e la poppa. Un angelo previene
Riccardo del tranello che gli è teso: Riccardo esorcizza dapprima il
cavallo e ne caccia il diavolo, poi gli tura le orecchie con cera, in
modo che nella battaglia, sordo ai nitriti della madre, la abbatte, e i
Saraceni sono completamente sconfitti. Si vede che qui l'immaginazione
dei narratori non ha per lungo tempo ammesso nel nemico giurato dei
Cristiani un atto di cortesia leale e disinteressata.

Il solo fatto d'armi che si riannodi col nome di Saladino e che gli
abbia per lungo tempo conservata una popolarità tuttavia mediocremente
gloriosa, ha nella storia un punto d'appoggio abbastanza incerto.
In molte «salles» di castelli, si dipingeva nel secolo XIII ciò che
si chiamava il _Pas Salhadin_: questa pittura rappresentava dodici,
talvolta tredici cavalieri, sorveglianti una gola di monti, che si
sforzava di passare un immenso esercito saraceno comandato da Saladino;
però di esso non si vedeva certamente che qualche combattente, già
arrestato dai corpi ammucchiati di coloro che l'avevano preceduto. In
qualcuna di queste pitture si vedeva il re Filippo, il quale, senza
prender parte al combattimento, ne dava il segnale, lo dirigeva da
lungi e, dopo il successo, si rallegrava coi vincitori; in altre,
probabilmente in quelle che non erano state eseguite nella Francia
propriamente detta, il re Filippo non era rappresentato in alcun modo.
Tra i combattenti, Riccardo aveva una parte piú o meno preponderante.
In tutte queste pitture, a quanto pare, si vedeva, arrampicato sopra
una roccia che chiudeva la gola, uno spione che osservava i guerrieri
cristiani per riferire i nomi di essi a Saladino, posto dall'altro
lato della montagna: questi nomi, che variavano nelle diverse pitture,
erano però scritti a fianco di ciascuno di essi, e il nome dello
spione, _Tornevent_ o _Espiet_, figurava egualmente vicino alla
sua testa.[132] È probabile che queste pitture avessero un punto
di partenza molto antico e in origine avessero rappresentato, forse
sotto l'ispirazione dello stesso Riccardo, quella stessa giornata,
in cui, dopo d'avere quasi miracolosamente riacquistato Jaffe, era
riuscito, con un piccolissimo numero d'uomini, a far rinculare tutto
l'esercito mussulmano e obbligato Saladino alla ritirata.[133] I nomi
dei dieci compagni di Riccardo, di quei dieci i quali, soli con lui,
avevano potuto procurarsi dei cavalli, erano subito divenuti celebri:
Ambrogio li rammenta nei suoi versi e Riccardo de la Sainte-Trinité
li inserisce nella sua traduzione.[134] Naturalmente, secondo la
formula tradizionale, questi undici compagni si cambiarono abbastanza
presto in dodici o in tredici (dodici piú Riccardo); e i nomi reali
dei combattenti del 5 agosto 1192 furono ben presto sostituiti da
altri piú conosciuti o che introdusse l'amor proprio di famiglia o
del paese. Già le _Chroniques de Flandres_, citate molto a proposito
dall'editore del _Pas Salhadin_,[135] dànno a Riccardo, nella sua
spedizione di Jaffe, undici compagni, uno solo dei quali, Andrea di
Chauvigni, assisteva realmente al combattimento; gli altri dieci sono:
Gauthier (_l._ Gauchier) di Châtillon, il conte di Clèves, Guido di
Montfort, «il conte d'Oste in Germania», il barone d'Estanfort, il
conte di Lembourg, Walleran di Luxembourg, Droon di Merlo, Guglielmo
des Barres e Guglielmo Longue-Épée. La prova che la leggenda del
_Pas Salhadin_ ha per origine l'eroico combattimento di Jaffe, è
che troviamo nelle due versioni di essa che ci sono pervenute il
maggior numero di questi nomi: ambedue citano, come le _Chroniques de
Flandres_, Guglielmo des Barres, Guglielmo Longue-Épée, il duca di
Lembourg, Gauthier de Châtillon, il conte di Montfort e il conte di
Clèves; hanno in comune contro le _Chroniques_ il conte di Fiandra[136]
e Huon de Florines e ignorano in comune il barone d'Estanfort e
Droon di Merlo. La prima, sola, ha in comune con le _Chroniques_ il
conte d'Oste (chiamato d'Ostinale e d'Hostermale), e di suo Jofroi di
Lusignano e Renaud (Renard) di Boulogne; la seconda ha in comune con
le _Chroniques_ Andrea de Chauvigni[137] e il duca di Luxembourg; ha
di suo il conte di Joigni. Di questi personaggi, nessuno, salvo Andrea
di Chauvigni, assisteva Riccardo nel combattimento di Jaffe; parecchi
non presero neanche parte alla crociata, o vissero piú tardi. Si noterà
in queste tre liste il predominio, del tutto contrario alla verità,
dato all'elemento francese e fiammingo: a quanto sembra, la tradizione
s'era sparsa, sotto la sua forma pittorica, soprattutto nel nord-est
della Francia, e l'azione di Riccardo e dei suoi veri compagni vi s'era
sempre piú dimenticata. Quanto alla scena in se stessa, si può supporre
che un particolare di paesaggio[138] facesse credere assai per tempo
che l'impresa dei Crociati fosse consistita nel difendere, dodici
(o tredici) solamente, contro Saladino, un _pas_ o una gola in una
montagna: di qui il nome di _Pas Salhadin_ dato a quest'impresa ed alla
sua rappresentazione.

L'uso di dipingere nei castelli il _Pas Salhadin_ ci è attestato nel
poemetto che porta questo nome, e che deve risalire alla fine del
secolo XIII.[139] Comincia cosí:

    Del recorder est grans solas
    De cheaus qui garderent le pas
    Contre le roy Salehadin,
    Des douze princes palasin
    Qui tant furent de grant renon:
    En mainte sale les point on
    Pour mieus veoir leur contenance;
    Moult est bele la remembrance
    A regarder a maint preudomme.

E ripete terminando:

    Grant honneur firent leur lignage;
    Tous jours en iert la renommee;
    On les point en sale pavee:
    C'est uns tresnobles mireors
    A ceulx qui tendent a honnors
    Et maintiennent chevalerie.

Dalla pittura, la rappresentazione del _Pas Salhadin_ dovette, come
accadeva ordinariamente, passare alla tappezzeria;[140] passò anche
allo stato di vero spettacolo, eseguito da personaggi viventi. Si
è spesso citato il passo del Froissart (l. IV, cap. I) relativo
all'entrata della regina Isabella di Baviera a Parigi nel 1389:

  Après, dessoubz le moustier de la Trinité, sur la rue avoit ung
  eschafault, et sur l'eschafault ung chastel, et la au long de
  l'eschafault estoit ordonné le pas du roy Salehadin, et tous faiz
  de personnages. des chrestiens d'une part, et les Sarrazins de
  l'autre, et la estoient par personnages tous les seigneurs de
  nom qui jadis au pas Salhadin furent, et armoiez de leurs armes
  ainsi que pour le temps de adonc ilz s'armoient. Et ung petit
  en sus d'eulx estoit par personnage le roy de France, et entour
  luy les douze pers de France, et tous armoiez de leurs armes. Et
  quant la royne de France fut amenee si avant en sa lictiere que
  devant l'eschafault ou ces ordonnances estoient, le roy Richart
  se departit de ses compaignons et s'en vint au roy de France et
  demanda congié pour eller assaillir les Sarazins, et le roy lui
  donna. Ce congié prins, le roy Richart s'en retourna devers ses
  douze compaignons, et alors se mirent en ordonnance, et allerent
  incontinent assaillir le roy Salhadin et ses Sarrazins, et la y eut
  par esbatement grant bataille, et dura une bonne espace. Et tout
  feu veu moult voulentiers.

Lo spettacolo del 1389, per la parte attribuita al re di Francia, si
riannoda al gruppo che ci rappresenta il poemetto del _Pas Salhadin_.
Ecco un riassunto di quest'opera, assai mediocre in se stessa, ma che
ci presenta un qualche interesse per il ricordo che v'è conservato
d'un episodio eroico, il quale ha goduto una sí grande popolarità nel
mondo cavalleresco.[141] Probabilmente è nato dal desiderio di spiegare
una di quelle pitture che indica sin da principio, delle quali non si
conosce precisamente il soggetto: il poeta pretende di farlo conoscere;
però le fonti della sua scienza sono poco sicure.[142] Filippo,
insieme col re Guido, che Saladino ha posto generosamente in libertà,
assedia Sur;[143] è raggiunto da Riccardo. Saladino viene da Acri per
fargli levar l'assedio; per raggiungere i Cristiani, egli deve passare
_le fort passage d'Armonie_,[144] _par mi la roce, mout forte et
perilleus_. Huon de Florines propone al Barrois (Guglielmo des Barres)
di sceglier cinque cavalieri provetti ciascuno, e difendere essi dodici
il _pas_ contro tutti gli sforzi di Saladino. Il Barrois accetta, ed
essi scelgono i loro dieci compagni (il Barrois sceglie Riccardo).[145]
Naturalmente i dodici cavalieri respingono l'assalto dei Saraceni,
condotti dai re Escorfaut et Malaquin, i quali sono uccisi entrambi.
Saladino stupito manda uno spione, Tornevent, il quale conosceva
le armi dei signori cristiani, sulla roccia che domina il _pas_, e
quando costui gli ha riferito i nomi dei dodici campioni, egli giudica
inutile la lotta e si ritira su Damietta. Filippo festeggia Riccardo
e gli altri quando rientrano nell'accampamento dopo la ritirata dei
Saraceni; ben presto prende Sur ed Acri, e lascia Guido di Lusignano
pacifico re del paese. Si vede che in questo racconto, al quale dà il
nome, Saladino rappresenta una parte accessoria e, tutto sommato, poco
brillante.

Anche un dipinto ha certamente suggerito all'autore dell'immenso poema
del secolo XIV, tante volte citato, il bizzarro episodio del _Pas
Salhadin_ (conservato in _Jean d'Avesnes_). Ma questa pittura non
mostrava il re Filippo di Francia, di modo che il poeta ha ricorso ad
un espediente per dare ai Francesi il principale onore dell'impresa
che celebra. Non sapendo nulla di ciò che aveva potuto essere
quest'impresa, la trasporta in Inghilterra. Secondo lui, Saladino, di
ritorno dal suo viaggio in Occidente (v. addietro), vuol conquistare
dapprima la Francia, poi tutti i paesi cristiani. I suoi consiglieri,
Huon Dodekin (o di Tabarie) e Giovanni di Pontieu, dissimulando i loro
veri sentimenti, lo spronano a cominciare dall'Inghilterra e fanno
prender porto all'immensa flotta saracena «tra Escoche e Warwich»,
sopra una spiaggia contornata da montagne insuperabili, e che comunica
col resto del paese solo per un _pas_ assai dirupato e pericolosissimo,
dove quattro uomini possono appena camminare di fronte. Però il re
Riccardo è prevenuto da essi ed ha riunito dall'altra parte del _pas_
considerevoli forze; il re di Francia gli ha mandato dodici cavalieri
scelti, i quali s'incaricano essi soli di difendere il _pas_. Due
attacchi dei Saraceni sono infatti respinti, dopo di che ha luogo
un combattimento di due cavalieri cristiani (Chauvigni e Guglielmo
Longue-Épée) contro due saraceni (Corsuble e Bruyant), i quali essendo
stati vinti, Saladino, secondo le convenzioni, non ha piú che a
rimbarcare, «et depuis son departement fu ce passage qu'il n'avoit
peu conquerir appelé le _Pas Salhadin_».[146] Pure qui, come si vede,
la parte di Saladino non è per sua natura atta ad accrescerne la
rinomanza.

Noi avremo terminato ciò che concerne le guerre di Saladino contro
i Crociati, e nello stesso tempo la sua intera leggenda, riassumendo
brevemente le ultime pagine di _Jean d'Avesnes_ che ci rappresenta il
poema perduto del secolo XIV. I re di Francia e d'Inghilterra avendo
passato il mare, sono ricevuti in Acri da Giovanni di Pontieu, cui
Saladino, suo nipote, aveva dato questa città. Saladino ve li assedia,
e compie dinanzi ad Acri le piú grandi prodezze; però, disperando di
prendere la città, si ritira a Gerusalemme (qui ha luogo l'episodio
della visita che gli fa la regina di Francia). Chauvigni e Guglielmo
des Barres stanno per assalirlo; però, dopo parecchi incidenti,
Chauvigni è fatto prigioniero e affidato da Saladino all'imperatore di
Damasco: guadagna l'amore di Glorianda, moglie dell'imperatore, «et
mesmement engendra en elle ung filz masle qu'elle nomma Polis, et si
secretement userent leur vie ensemble ung tandis que l'empereur onquez
ne s'en aperceut, jusques a ung temps que l'istoire recordera».[147]
Questo tempo arriva quando, assediando i Cristiani Damasco,
Glorianda fa fuggire Chauvigni, la cui bravura procura la vittoria
agli assedianti, nonostante le imprese meravigliose di Saladino.
La regina, accusata di tradimento, getta la colpa sul carceriere; è
discolpata grazie a un combattimento che, sotto le armi del fratello
di lei Chiauvigni[148] sostiene contro il re di Morienne, il quale è
impiccato insieme col carceriere. «De quoy Salhadin se contempta, et
pardonna a la reyne, car plein estoit de misericorde».[149] L'assedio
di Damasco dura due anni con parecchie peripezie. Finalmente «le roy
Richard d'Engleterre, pour aulcunes traysons qu'il avoit voulu faire
au pourfit des païens, fut constraint de soy retourner en Engleterre
avoec ses Englois, ennemis de ceux de France, au lieu du quel vint
Huon Dodequin a grant puissance a la rescousse du roy de France».[150]
Si dà una grande battaglia, e Saladino, vinto, è obbligato a fuggire
verso il mare. Gérard «le Bel Armé», figlio di Huon Dodekin, lo insegue
con accanimento per vendicare su di lui la morte del bastardo di
Bouillon, suo fratello uterino, che Saladino aveva ucciso davanti a
Gerusalemme.[151] Lo raggiunge nel momento in cui pone il piede sulla
sua nave, e lo colpisce con un colpo di lancia. Saladino, trasportato
in Babilonia, non tarda a morire, dopo la scena (riferita piú innanzi)
tra un ebreo, un cristiano e un saraceno, e il simulacro di battesimo
che ne fu il seguito. «Aulcunes istoires et croniques contiennent
que il morut devant Acre a ung siege qu'il avoit illec mis, de
bleceure ou de maladie sourvenant; et que après sa mort son filz nommé
Salfadin[152] parconquesta toute la terre, quy a esté tousjourz depuis
en l'obeïssance des infidelles, et sera tant qu'il plaira a nostre
seigneur Jhesucrist. Et quoy qu'il fust et ou il fina[st], ses fais
monstrent qu'il doibt estre exaucié; car de grant vaillance, largesse
et courtoisie il fut aourné, par quoy il a desservy que de luy soit a
tous jours memoire jusques en la fin du monde».[153]



NOTE:


[1] _Il Saladino nelle leggende francesi e italiane del Medio Evo._
Appunti di A. Fioravanti. — Reggio Calabria, 1891.

[2] Ciò si scorge dall'incertezza delle informazioni dell'autore, su
molti punti che avrebbe dovuto conoscer meglio; si scusa invocando
le condizioni sfavorevolissime, con le quali ha eseguito e pubblicato
il lavoro. Tuttavia avrebbe dovuto sorvegliarne meglio la esecuzione
materiale; gli errori vi abbondano e non sono tutti semplici errori
di stampa. Tutto sommato, però, questo lavoro di principiante merita
stima, e si sente che l'autore è capace di far meglio.

[3] I primi 110 versi (non doveva averne molti di piú) sono scritti
da una mano contemporanea sul foglio di guardia del ms. della
Biblioteca Nazionale lat. 8960. Il _Carmen de Saladino_ è ricordato
nell'_Inventaire des documents relatifs aux croisades_ stampato nel
volume I degli _Archives de l'Orient latin_. Io l'ho pubblicato nella
_Revue de l'Orient latin_ (vol. I).

[4] La parola araba _moulana_ significa «nostro padrone», e sembra
essersi applicata specialmente ai sovrani dell'Egitto; qui si tratta
dell'ultimo califfo fatimita, El-Aded. In francese, per la terminazione
femminile, si è detto ordinariamente _la mulane_ o _la mulaine_, da cui
piú tardi si è fatto naturalmente _l'amulaine_, sotto l'influenza delle
parole provenienti egualmente dall'arabo, o credute provenienti, come
_amiral, amustant, amurafle_, ecc. La forma _amulanus_ del nostro testo
rappresenta già questa trasformazione.

[5] Per questi fatti, e, in generale, per la biografia di Saladino,
vedere il lavoro, cosí utile, del Reinaud, _Extraits des historiens
arabes relatifs aux croisades_ (Paris, 1829).

[6] _L'Histoire de la Guerre sainte_ d'Ambrogio, da tanto tempo sotto
stampa, è in fine comparsa nella collezione dei _Documents inédits_.

[7] _Itinerarium Ricardi_; ediz. Stubbs, l. I, capp. III-IV. Questo
brano, insieme con un estratto del cap. V relativo ad una visione,
è stato aggiunto alla cronaca di Guglielmo di Newburgh, nel ms.
di Trinity College, Dublino, E, 421, da cui l'ha trascritto Paolo
Meyer; la sua copia, da lui comunicata al conte Paolo Riant, figura
nell'inventario dei documenti inediti posseduti da quest'ultimo, che
ha recentemente pubblicato il marchese de Vogüé (_Revue de l'Orient
latin_, I, p. 13: _De principiis Salahadini et de visione camerarii
regis Jerosolimorum_). Un riassunto di questo brano è inoltre stato
interpolato nella cronaca di Guglielmo di Nangis (ved. ediz. Géraud; v.
I, p. 63).

[8] _Le Cycle de la croisade_, p. 210-224. Gli altri argomenti offerti
dal Pigeonneau per stabilire che il poema si serví della cronaca, non
hanno maggior valore. La spiegazione del nome di Giordano (questo
fiume sarebbe formato dalla riunione di due affluenti, il _Jour_ e
il _Dain_) è anche in Guglielmo di Tiro e risale fino all'antichità;
l'interpretazione, tutta francese, che ne dà la canzone gli è propria.
La storia della figlia di Baldovino violata dai Saraceni, ai quali era
stata data in ostaggio, doveva essere egualmente popolare in Siria, e
il modo onde il poeta la riferisce non indica affatto ch'egli abbia
attinto a «Ernoul»; fa della fanciulla una figlia di Baldovino I,
mentre il cronista le assegna per padre Baldovino II (la _Chronique
d'outre mer_, della quale si parlerà piú in là, ha conosciuto
questa storia per mezzo di «Ernoul», ma l'ha mutilata sopprimendo la
violazione e raccontando semplicemente che la figlia di Baldovino II si
fece suora ritornando dai Saraceni: mss. 770, fol. 313; 12203, fol. 1;
24210, fol. 1).

[9] Questa storia è passata tutta intera e tale quale nella _Chronique
d'outre mer._ Inoltre, è stata inserita nel ms. della traduzione di
Guglielmo di Tiro che appartiene al Didot, e P. Paris, che ha seguito
questo manoscritto per la sua edizione, l'ha stampata per questa
ragione, rilevando però che era stata presa dalla _Chronique d'Ernoul_
(vol. II, p. 306-310).

[10] Su questa data, per ciò che concerne la prima parte del poema,
ved. Pigeonneau, _Le Cycle de la Croisade_, p. 225.

[11] Mi prefiggo di dare altrove le prove di ciò che qui non faccio che
indicare; nello stesso tempo esaminerò la questione di sapere se questa
colossale composizione debba essere attribuita a un solo e stesso
autore.

[12] Il capo della spedizione contro l'Egitto, che è il Soldano
stesso di Damasco e il padre (e non lo zio) di Saladino, muore durante
l'assedio del Cairo, come nella cronaca. Invece non vi è che un cavallo
davanti la porta de _l'amulaine_, come nella canzone, e anche il nome
d'_Ali_ è scomparso. Questo racconto, assai troncato, sembra dunque
risalire ad una fonte indipendente dalle altre due; d'altra parte è
scritto con tendenza favorevole a Saladino.

[13] Sia permesso emettere una congettura su questa sostituzione. Una
versione dell'aneddoto ha potuto portare semplicemente le iniziali _H.
de T._; un lettore che conosceva Ugo di Tabaria meglio di Onofrio di
Toron, le ha interpretate male, e cosí la leggenda si è spostata.

[14] V. Du Cange, _Les familles d'outre mer_, ed. Rey, p. 450,455.

[15] _L'Ordene de chavalerie_... pubbl. dal Barbazan, altra ediz.
dovuta al Méon (Paris, 1808). Per i manoscritti di questo poema, v.
P. Meyer, _Romania_ XIII, 530; XV, 346. Alla lista si può aggiungere
il ms. B. N. fr. 24432 (fol. 29). I mas. fr. 1130, 1971 e 19809 non
contengono quest'opera, ma una traduzione francese dell'_Orden de
cavayleria_ di R. Lull, come il ms. _Royal_ 14. E. ii. del British
Museum (_Hist. litt._, XXIX, 618).

[16] Un'altra versione, pur essa incompleta, si legge nel ms. fr. 781;
una versione compendiata nel ms. fr. 17203. La miglior forma della
redazione in prosa è in uno dei mss. della _Chron. d'outre mer_ (ms.
770, f. 325).

[17] Può domandarsi, a cagione di questa circostanza, se l'episodio
si trovasse anche nel poema di cui _Jean d'Avesnes_ ci ha conservata
una traccia. Ciò sembra probabile: in questo poema Ugo di Tabaria
rappresenta una gran parte, ma è bizzarramente identificato con
Dodekin, emiro di Damasco, convertito al cristianesimo da Tancredi al
tempo della prima crociata (v. il poema pubblicato da Beiffenberg e
Borgnet, v. 24106, 26320, ecc.; _Bastart de Bouillon_, pass.; _Jean
d'Avesnes_, 3ª part,, pass.). Sull'episodio di _Jean d'Avesnes_, v.
Chabaille, p. 70; ms. 12762, fol. 197 r.

[18] V. Fioravanti, p. 16.

[19] Sulla versione neerlandese (di Heinrik van Aken) v. Petit,
_Bibliographie der Middélnederlandsche Taal end Letterkunde_, n. 467.
Per errore il D'Ancona indica una versione tedesca: l'opera citata dal
Brunet ai due luoghi cui egli rimanda è il poema neerlandese.

[20] Fioravanti, _ibid_. La versione italiana di Bosone sembra
riattaccarsi alla versione francese in prosa, dacché in lui, come in
questa versione, Ugo dà la «colee» a Saladino, mentre nella versione
in versi (come nella _Novella antica_) dichiara d'astenersene per
rispetto.

[21] È l'opinione del Barbazan e del Méon, adottata da Daunou (_Hist.
litt._, XVI, 220) e che Amaury Duval (_Hist. litt._, XVIII, 752) non
osa del tutto rigettare. A torto dice che «nulla nel poema aiuta a
far riconoscere l'epoca in cui l'autore viveva». Quanto al fatto che
Saladino è armato cavaliere per opera di un cavaliere francese, «lo
trova verosimile, se non è vero».

[22] Questo tradimento si rinviene nel cronista senonese Goffredo di
Courlon (fine del secolo XIII), come rammenta il Fioravanti (v. _Hist
litt._, XXI, 13); l'allusione al _Pas Salehadin_ (v. piú in là) si
riferisce senza dubbio al nostro poema.

[23] V. P. Meyer, _Alexandre le Grand_, vol. II, p. 372.

[24] Del pari va naturalmente la sua ricchezza; essa è ricordata in
un verso conosciuto del _Contrasto_ di Cielo d'Alcamo. — Unicamente
a cagione di ciò nel suo palazzo si pose la scena di un aneddoto
abbastanza insignificante che risale all'antichità. (V. A. d'Ancona,
_Studj di critica e storia letteraria_, p. 350), e che, dopo d'aver
avuto un gran successo nel Medio Evo, adattandosi a diversi personaggi,
è stato altresí inserita dal Machiavelli nella sua _Vita di Castruccio
Castracani_ (v. Fioravanti, p. 29).

[25] Ediz. del Wailly, § 47. — È piuttosto per ischerzo che rimanda un
prigioniero in una storiella narrata da Stefano di Borbone (ediz. Lecoy
de la Marche, p. 65).

[26] _Cento novelle antiche_ (Gualteruzzi), XXVI (v. d'Ancona. _Studj_,
p. 314). Questo aneddoto sembra essere riferito nella cronaca di
Goffredo di Courlon, il quale aggiunge queste parole degne di nota:
_Multa alia de ipso audivi, que scripta non inveni_. (Hist. litt., XXI,
13).

[27] Una volta solamente Saladino peccò, almeno col pensiero, contro la
virtú della liberalità, ma si puní da sé stesso. Aveva dato una terra
a uno dei suoi cavalieri, e percorrendola la vide sí bella e sí ricca,
che rimpianse la sua liberalità e pensò di riprendersi il dono fatto,
cambiandolo con un altro. Ma appena ebbe egli formulato a sé stesso
questo ultimo pensiero, ne concepí un amaro pentimento e per espiarlo
si sottomise a un digiuno cosí crudele, che dovette morirne. (_Conti di
antichi cavalieri_, IV; citati dal Fioravanti, p. 21).

[28] J. le Long, _Chr. de S. Bertin_, in Pertz., SS., XXV. 821.

[29] Il Marin (_Hist. de Saladin_, vol. II, p. 404) aveva già osservato
che nel secolo XII non vi erano se non questi signori d'Anglure:
Oger I di Saint-Chéron, il cui nipote Oger III portò per il primo
questo titolo, aveva accompagnato il conte Enrico di Sciampagna alla
terza crociata e a lui senza dubbio si riferí piú tardi la leggenda.
V. Bonnardot e Longnon, _Le saint voyage de Jherusalem du seigneur
d'Auglure_ (Paris, 1878, _Soc. des anc. textes_), p. XXXI.

[30] _Récits d'un ménestrel de Reims_, ediz. del Wailly, § 199 e segg.
Una versione alquanto differente di questa novella è scritta, dopo la
_Chronique d'Ernoul_, nel ms. fr. 781. Naturalmente il prodigo Saladino
ha una particolare antipatia per gli avari. Il «marchis de Cesaire»
ammassava il danaro che avrebbe dovuto impiegare a mantenere la sua
guarnigione, e diceva che avrebbe sempre il tempo, se Saladino lo
minacciasse, di «faire sortir mille chevaliers de ses coffres». Però
Saladino s'avvicina segretamente alla città, l'assale all'improvviso
e se ne impadronisce. Si fa condurre davanti a lui il marchese colle
mani legate dietro la schiena e gli dice: «Marchis, marchis, ou sont
li mil chevalier que vous deviez faire saillir de vos coffres? Par
Mahomet, vostre convoitise vous a deceü. Vous ne fustes onques asseviz
d'or ne d'argent; mais je vous en assevirai encore encui». Allora fa
fondere l'oro e l'argento, «et li fist avaler tout bouilant dans la
gorge, et maintenant le convint mourir». Però restituisce la libertà
la marchesa con dieci cavalieri e dieci damigelle (_Mén. de Reims_, §
209 e segg.). Il Wailly ravvicina questa novella a quella che riferisce
lo Joinville per il califfo di Bagdad, il quale «n'avait pu ce décider
à sacrifier ses trésors pour augmenter le nombre de ses gens d'armes;
le roi des Tartares, après l'avoir condamné à jeûner pendant plusieurs
jours, décida qu'on lui servirait, pour assouvir sa faim, un plateau
couvert de pierres précieuses». (V. anche Marco Polo, ediz. Pauthier,
p. 49; la storiella si ritrova anche negli storici persiani citati dal
Pauthier). D'altra parte questo racconto rammenta quello, che si legge
in parecchie versioni del romanzo dei _Sept Sages_, e anche altrove,
secondo il quale si fece morire, versandogli oro fuso nella gola, un
re di Roma la cui cupidigia era stata causa di grandi sciagure per
la città; questo personaggio in qualche versione è chiamato Crasso, e
il modo della sua morte sembra una reminiscenza di quella che Surena
inflisse, dicesi, a Crasso.

[31] Ms. 12659, fol. 360-362.

[32] _Hist. litt. de la France_, vol. XXI, p. 351. Il ms. della
_Jerapigra_ è stato acquistato nel 1859 dalla Biblioteca Nazionale alla
vendita del barone Pichon, e ora porta il n. 138 delle _Nouv. Acq._ del
fondo latino.

[33] Qui si ritrova quella singolare confusione del maomettanismo con
il paganesimo, la quale regna in tutte le nostre canzoni di gesta,
ma che in generale manca ai racconti concernenti Saladino, nati in
un'epoca e in un paese dove si era meglio informati.

[34] Louandre, p. 71; ms. 12672, fol. 202 r.

[35] Nelle _Cento novelle antiche_ e in altri testi italiani (v.
d'Ancona, _Studj_, p. 314), e in _Jean d'Avesnes_ (p. 71, fol. 202 v.).

[36] Questa espressione, che del resto è la riproduzione d'una
idea greca (v. _Odiss_. vi, 208), è usata dai Padri della Chiesa e
s'incontra spesso nel francese antico applicata ai poveri: _li mes
Dieu_ (v. p. es. _Romania_, iv, 390, v. 116).

[37] V. ora l'edizione d'_Anseïs de Carthage_ dell'Alton (Tübingen,
1882), v. 11392-11505.

[38] Un aneddoto narrato in _Jean d'Avesne_s (p. 68) ci mostra un
tranello simile teso allo stesso Saladino; costui però è piú astuto;
avendo ottenuto la capitolazione d'un castello vicino a Sur, dove non
si trovavano altro che donne, vi pranza con le dame del castello in
compagnia d'una giovine damigella, «laquelle cuida convertir Salhadin
par une maniere bien couverte; car elle trencha par deux fois du pain
qu'elle engressa de char de porc et elle le mist devant Salhadin, qui
mie n'en menga et qui ne fist que rire sans dire aultre chose». (ms.
12572, fol. 194 v.).

[39] _Wilhelm Parvi de Neuburgh Historia rer. angl._, ediz. Hamilton
(London, 1856), vol. II, p. 158; _Étienne de Bourbon_, ediz. Lecoy de
la Marche, § 481.

[40] V. G. Paris, _La parabole des trois anneaux_ (Paris, 1885,
estratto dalla _Revue des études juives_, vol. XI). [È stato tradotto
in italiano e stampato nel quinto volumetto di questa _Biblioteca
critica_, pp. 29-55. _N. d. Tr._].

[41] Questo episodio richiama la storia della gradinata di smeraldo
narrata piú avanti secondo _Jean d'Avesnes_.

[42] Von der Hagen, _Gesammtabenteuer_, vol. III.

[43] È cosí che, secondo un racconto, che deve essere autentico,
Rollone morendo fece contemporaneamente dire delle messe e sacrificare
dei cavalli a Thor, per esser ben sicuro di non disubbidire al vero
Dio.

[44] Ms. fr. 770, fol. 262; 12203, fol. 44; 24210 (non numerato), fol.
64.

[45] Ms. di Tours 206, citato dal Lecoy de la Marche (_Ét. de Bourbon_,
p. 64).

[46] Bosone da Gubbio, _L'Avventuroso Ciciliano_, p. 461.

[47] _Decam., Giorn_. I, _nov_. 2.

[48] Secondo il Lecoy de la Marche, questa tradizione sembra fondarsi
sopra un passo della vita di san Francesco d'Assisi: «Questo santo
avrebbe mandato al principe saraceno due religiosi del suo ordine che
l'avrebbero convertito». Ma il fatto si reputa avvenuto nel 1219 e si
tratta del sultano Alkamil, e non di Saladino. È S. Francesco stesso
che va a trovare il sultano nell'_Eracle_, il cui racconto, riferito
a torto a Saladino, è passato in _Bosone da Gubbio_, nei _Fioretti di
S. Francesco_, e nei Conti di antichi cavalieri. Uno di questi _Conti_
(Fioravanti, p. 21) ricorda un esempio della tolleranza e dell'umanità
di Saladino verso alcuni frati, che son venuti a trovarlo per
convertirlo. Secondo Bosone da Gubbio (Fioravanti, p. 27), egli fece
almeno battezzare suo figlio e prese il conte d'Artois per padrino del
fanciullo.

[49] Questo racconto si rinviene in Jean le Long (Pertz, _SS_. XXV,
82), in _Jean d'Avesnes_ (in cui l'atto di Saladino è preceduto dalla
disputa, narrata poco fa, che egli provoca tra il piú saggio ebreo, il
piú saggio cristiano e il piú saggio _païen_ che si poterono trovare),
e in Bosone da Gubbio. La leggenda s'era forse dapprima attaccata a
un sultano d'Iconium, amico dei Cristiani, morto nel 1219, del quale
Iacopo di Vitri dice che si crede che fosse battezzato (v. _AA. SS.,
Oct._, II, 616). — Alla morte di Saladino si riferisce una storia assai
spesso allegata, ma che non ha propriamente un carattere religioso,
quella del lenzuolo che avrebbe fatto girare per le città del suo
impero, portato da un uomo che gridava: «Ecco tutto ciò che il gran
Saladino condurrà con sé delle sue ricchezze!» Si trova specialmente in
Iacopo di Vitri, da cui è passata al manoscritto di Tours e a Stefano
di Borbone (§ 60 e la nota), nel Ménestrel de Reims (§ 198), in un
sermone predicato nel secolo XIII da Enrico di Provins (_Hist. litt.
de la Fr._, XXVI, 421), in due sermoni anonimi del secolo XIII che mi
indica il signor Hauréau (mss. lat. 14693, fol. 69; 14951, fol. 93), in
una compilazione italiana intitolata _Corona de' Monaci_ (Fioravanti,
p. 20), in Bosone da Gubbio (Fioravanti, p. 28). In una variante
segnalatami dal signor Hauréau (ms. lat. 15963, part. II, pl. 43), è il
suo stesso corpo che Saladino fa girare in quel modo dopo morto. Come
l'ha notato l'Hauréau (_Hist. litt. de la Fr._, l. c.), il Voltaire
nell'_Essai sur les moeurs_ ha dato valore storico a questo aneddoto.
Questa proclamazione simbolica della vanità delle cose umane e del
loro annientamento davanti la potenza e l'eternità divine, presenta
d'altronde, a differenza dei racconti riferiti sin qui, un carattere
veramente orientale, e la storiella ha senza dubbio una fonte araba.
— Notiamo infine che in un sermone di Gerardo da Liegi, di cui io
devo ancora l'indicazione all'amicizia dell'Hauréau (ms. lat. 16433,
fol. 31), l'apologo in discorso, di cui il La Fontaine ha fatto _Le
Vieillard et ses Enfants_, è riferito a Saladino morente. D'altra parte
i Tartari lo raccontano del loro Djinghis-Khan (v. La Fontaine, ediz.
E. Régnier, I, 335).

[50] Bisogna soprattutto rammentare la sua condotta a tempo della
presa di Gerusalemme, che tanto maravigliò le coscienze in quanto essa
era contraria ai procedimenti seguiti in simile occorrenza tanto dai
musulmani quanto dai cristiani. In altre circostanze, è vero, si mostrò
crudele e vendicativo come era l'uso del suo tempo.

[51] La cronologia, come si vede, non mette in imbarazzo il nostro
romanziere. Cosí si è visto piú innanzi identificare Ugo di Tabarie con
l'ammiraglio Dodekin, uno degli eroi saraceni della prima crociata.

[52] Il viaggio avventuroso della dama di Pontieu e il suo matrimonio
in Babilonia sono narrati in _Baudouin de Sebourc_ (vol. I, p. 68, 72).
L'incontro di Saladino con Giovanni di Pontieu e le altre circostanze
che si riferiscono alla loro parentela si trovano in _Jean d'Avesnes_
e sono accennate in _Baudouin de Sebourc_ (vol. I, p. 81; vol. II, p.
155).

[53] _Mon. Germ., SS._, vol. XXV, p. 818.

[54] Ms. B. N. fr. 25462 (ant. N. D. 272), fol. 205.

[55] È per errore che l'_Histoire littéraire de la France_ (vol. XXI,
p. 679) indica esser questa cronaca contenuta nei tre manoscritti fr.
770, 781 e 12203. Il ms. 781 (ant. 7188^5) è un semplice testo della
«Chronique d'Ernoul»: è il ms. E del sig. di Mas Latrie (_Ernoul_,
p. XXXIX). La stessa cosa può dirsi del ms. di Berna 340 (indicato
pure nell'_Hist. litt_., p. 683), il B del signor di Mas Latrie. Nel
suo _Essai de classification des continuateurs de Guillaume de Tyr_
(in appendice all'edizione d'Ernoul), il signor di Mas Latrie parla
giudiziosamente (XXXIX, e p. 483) del ms. 770, ma non indica i mss.
12203 e 24210. P. Riant, nel suo _Inventaire sommarie des manuscrits de
l'Eracles_ (_Archives de l'Orient latin_, I, 239-256), ha riunito con
ragione i nostri tre manoscritti in un gruppo a parte. Però il titolo
che dà ad essi, _Estoires d'Oultremer et de la naissance de Salehadin_,
non conviene loro, in quanto la storia della nascita di Saladino è
estranea alla forma primitiva ed è narrata solo nel romanzo _Voyage
du comte de Pontieu_, il quale è semplicemente interpolato nella
_Chronique d'outre mer_ (v. piú innanzi).

[56] Ma. 12203, fol. 24 d.

[57] Impiega, parlando di lui, espressioni realmente adoperate per
Coradin nel testo che egli segue: «Lycoredis fel estoit et de put aire
et mout haoit crestiens» (Ernoul, p. 357); «Cil Lycoredis estoit mout
fel et tant haoit crestienté que a paines pooit il veoir crestiens»
(ms. 12203, fol. 24 d).

[58] Parrebbe talvolta risalire a un manoscritto migliore dei nostri.
Il signor di Mas Latrie non indica varianti per il brano d'Ernoul (p.
114) che fa di Girardo di Ridefort, piú tardi padrone del Tempio, un
_clerc_ di Fiandra; ma bisogna certamente leggere _chevalier_, come dà
la nostra cronaca (v. _Hist. occ. des croisades_, vol. II, p. 50). Qua
e là forse vi sarebbe, ma con una grande prudenza, da spigolare nella
_Chronique d'outre mer_ qualche particolarità autentica, che non si
trova negli altri manoscritti.

[59] Piú innanzi, pp. 21-22.

[60] _Aumarie_ è la forma francese del nome della città d'Almeria
in Spagna, la quale fu per lungo tempo la sede del reame dei Mori.
È probabile che il nostro narratore impieghi qui il nome d'_Aumarie_
senza sapere precisamente ciò che rappresenti, come hanno fatto altri
romanzieri del Medio Evo.

[61] Modifico alquanto il testo dell'edizione Moland e d'Héricault con
l'aiuto di quello del Méon (v. la nota seguente).

[62] Questo romanzo è stato pubblicato due volte: dal Méon, secondo
il ms. fr. 26462, nel vol. I del suo _Nouveau Recueil de fabliaux et
contes_ e dai signori Moland e d'Héricault, nelle loro _Nouvelles
françoises du XIII siècle_ (1866), sui due mss. della _Chronique
d'outre mer_ che lo contengono. Quantunque il ms. 25462 sia fortemente
compendiato, contiene talvolta dei passi che mancano nell'altra
redazione, e una edizione critica dovrebbe tenerne conto.

[63] Il _Journal des Savants_ d'allora sospettò la sincerità del
traduttore (anonimo del resto) e dubitò dell'esistenza del «vieux
manuscrit gaulois», ch'egli allegava. P. Paris ha dimostrato (_Mss.
fr._, VI, 132; _Hist. litt._, XXI, 632) come fossero poco fondati
questi sospetti, spesso ripetuti in seguito.

[64] Édèle, maritata suo malgrado a Enguerrand di Saint-Valery, è
rapita da Tebaldo di Guines (che sostituisce i briganti), ma liberata a
tempo dal fedele Éberard d'Amiens; ella non pensa a uccidere il marito
e lo libera da sotto il cavallo, che cadendo gli aveva impedito di
muoversi. Ma Enguerrand sospetta di lei e suo padre l'abbandona in alto
mare in un battello senza ormeggi. Ella è incontrata da Éberard che
la conduce a terra. Durante questo tempo Enguerrand e Tommaso vengono
a duello, si uccidono a vicenda e Édèle sposa Éberard. Niente di piú
assurdo. Il romanzo del Vignacourt è riassunto nella _Bibliothèque des
romans_ (luglio 1778).

[65] Se ne trova un sunto nella _Bibliothèque des romans_ (dicembre
1776).

[66] Stampato a Parigi nel 1768. Del racconto primitivo è sparito
tutto, salvo l'episodio d'un marito schiavo dei Saraceni, che ritrova
la moglie amata da un sultano. Il La Place ha preso dal Vignacourt
il rapimento dell'eroina per opera di un rivale; costui è quello che
conduce Adele in mare contro sua voglia, ed è quello stesso che la
virtuosa Adele pugnala di sua mano all'ultimo atto.

[67] Il Louandre omette la vera ragione che, per la severità del conte
di Pontieu, dà il romanzo: il tentativo di omicidio della giovine sposa
contro il marito.

[68] Vale a dire la dama di Fayel, creduta amata dal castellano di
Couci, la Gabriella di Vergy del secolo XVIII (v. _Hist. litt. de la
France_, vol. XXIX, pp. 362-390).

[69] Sempre la famosa «tradizione», immaginaria qui come in mille altri
casi.

[70] Non v'è alcuna menzione di questa storia nei «trouvères du
moyen-àge», all'infuori del nostro racconto in prosa.

[71] F.-C. Louandre, _Histoire d'Abbeville_ (1844), vol. I., p.
141. — Non conosco altri poemi su questo soggetto tanto dell'epoca
moderna quanto del Medio Evo. Non v'è, almeno per quanto ne so, che
una tragedia, quella del La Place, che come si è veduto, non ha quasi
niente conservato del racconto, e un'opera in musica, quella del
Saint-Marc, che la ricorda solamente per il nome dato all'eroina.

[72] Il Citri de la Guette aveva giudiziosamente posto in margine del
brano della sua traduzione in cui si narrano le avventure della figlia
del conte di Pontieu: «Sous le règne de Philippes premier».

[73] _Nouvelles françoises du XIIIe siècle_, p. XXXVII.

[74] Giovanni di Pontieu ebbe almeno un'altra figlia e due figli, di
cui il maggiore, Guglielmo, gli successe.

[75] Tommaso di Saint-Valeri era in realtà signore di Domart (e non
_Damart_ come si legge nel _Trésor de chronologie_ del de Mas Latrie,
col. 1663); ciò prova solamente che l'autore del romanzo, il quale
era nativo di Piccardia o dell'Artois, sapeva che un signore di Domart
aveva sposato la figlia del conte di Pontieu.

[76] L'editore capisce a torto Ouessant; si tratta di Wissant, porto
del Boulonnais, altra volta attivissimo e celeberrimo, da molto tempo
arenato.

[77] L'episodio della botte, che si rinviene in molti racconti, sembra
piú primitivo; il battello è una attenuazione.

[78] Salvo che fa sposare la figlia della «Belle Chétive» al soldano di
Damasco, che ne ha Saladino, in modo che un grado è soppresso. Inoltre,
aggiunge in principio la lunga descrizione d'un torneo e nella seconda
parte il racconto delle prodezze compiute da Tibaldo al servizio del
soldano.

[79] Cosí, durante l'atto criminoso della moglie di Tibaldo, l'autore
nota che il marito di lei «la regardoit, excusant son inconvenience,
et l'amant autant qu'oncques avoit fait», e quando essa gli ha dato il
colpo che doveva ucciderlo e lo ha liberato, egli si contenta di dirle
con dolcezza: _«Refrene ta pensee variable, et jamais ne t'aviegne de
procurer la mort de celuy qui t'aime plus que nulle rien du monde»_.
(Louandre, p. 61, 62).

[80] Si vegga, per esempio, l'apostrofe a Febo, Eolo, Morfeo, Oceano,
cui si rimprovera di lasciar commettere l'odioso delitto che si compie
in presenza loro. Il ms. 12572 (fol. 136 V) reca come il testo del
Louandre _Solus per Eolus_ e _Octeanus per Oceanus_, prova cotesta
che i due manoscritti di _Jean d'Avesnes_ risalgono senza dubbio a una
stessa copia.

[81] Nella narrazione della signora di Gomez, abbandonando il soldano
d'Almeria, la fuggitiva gli lascia il figlio che aveva avuto da lui;
non è detto che questo figlio sia stato l'antenato di Saladino.

[82] V. _Baudouin de Sebourc_, I, 33, 61, 383; II, 155,392; il Bastart,
v. 6636 ss. Il passaggio di _Godefroi de Bouillon_, quantunque
meno esplicito, ci mostra che anche l'autore di questo poema aveva
l'intenzione di narrare il viaggio di Saladino in Francia, dacché
menziona _Chauveigni_ (ms. ediz. _Changevin_) «qui cloche du talou»
(v. 22801), cioè l'eroe di un episodio che è in stretto rapporto col
viaggio: al torneo di Cambrai, del quale sarà parlato in seguito,
Chauvigni ricevette una ferita alla gamba, che lo rese zoppo.

[83] Ne esiste una redazione rimaneggiata posteriore d'una quindicina
d'anni; non ne differisce che per questa parte.

[84] Louandre, p. 70. Seguo per il riassunto l'analisi del Louandre,
raffrontando il testo dei brani citati con quello del ms. 12572.
Saladino ha anche l'intenzione di paragonare la religione cristiana con
la musulmana e di scegliere la migliore.

[85] Qui si pone l'aneddoto dei poveri (cfr. p. 20), che, con lo
stupore che gli ispirano l'adorazione del papa e la confessione (cfr.
pp. 19-20), risolvono Saladino a non abbracciare il cristianesimo.

[86] Piú tardi, parlando degli amori di Saladino, vedremo il seguito di
questo episodio.

[87] Anche la sua peregrinazione somiglia assai da vicino a quella di
Cornumarant. Vi è anche una confusione completa dei due personaggi nel
racconto di Jacopo della Lana, commentatore di Dante (v. P. Rajna,
_Romania_, VI, 364): Saladino, come il re di Gerusalemme, è sotto
l'impressione di una «sort»; gli è stato predetto che Goffredo di
Bouillon l'ucciderebbe (si vegga la confusione); volendo prevenirlo,
giunge a Parigi in abito da pellegrino; cammin facendo è riconosciuto
da un abate, come Cornumarant, e, come costui, vittima d'una specie
di mistificazione che gli fa creder Goffredo invincibile. Ma Jacopo
aggiunge alla storia uno scioglimento che si trova soltanto in lui:
Saladino, quando vuol ritornare in Siria, è arrestato e posto in una
prigione, dove muore.

[88] Può leggersi, insieme con le altre novelle dell'_Avventuroso
Ciciliano_, non solo nell'edizione del Nott (Firenze, 1832), ma
nell'interessante _Libro di novelle antiche tratte da diversi testi_
pubblicato da F. Zambrini (Bologna, 1868).

[89] Cioè il conte d'Artois (si vede piú tardi che Arras è la sua
residenza). Che vi sia qui una vaga reminiscenza della battaglia di
Mansourah, in cui il re di Francia fu fatto prigioniero e suo fratello
il conte d'Artois ucciso?

[90] Qui ha luogo il racconto già riferito (p. 23) della longanimità
del signore dei Cristiani.

[91] Questa circostanza e il nome di Hugues (Ugo) dato all'eroe di
questa storia possono far credere ch'essa ci rappresenti una forma
appena riconoscibile dell'aneddoto relativo a Ugo di Tabarie.

[92] Anche il Boccaccio, nella novella citata piú innanzi, osserva che
parlava perfettamente _latino_, cioè italiano.

[93] Rajna, _l. c._

[94] In se stessa la novella appartiene al ciclo del «Retour du mari».
Il Rajna ha mostrato assai bene che esisteva un rapporto molto stretto
tra la versione del Boccaccio e quella che ci offre un «miracolo» di
Cesario d'Heisterbach. Quanto a Saladino, non ha che un rapporto del
tutto fortuito con la storia, e senza dubbio dovuto al beneplacito del
Boccaccio. Tuttavia l'avervelo introdotto prova come l'idea dei suoi
segreti viaggi nei paesi cristiani fosse familiare a tutti. Devesi
altresì notare come egli abbia a sua disposizione un «nigromante»
che, sotto i suoi ordini, opera dei veri prodigi: il saggio, valente
e magnifico Saladino diviene in tal modo una specie di Salomone con
potere sugli spiriti.

[95] Si è veduto piú innanzi (p. 46, n. 1) in Jacopo della Lana un
altro riconoscimento, il quale ebbe i concatenamenti previsti; però non
è, come ho detto, che un adattamento dell'avventura di Cornumarant.

[96] Un'altra storiella di Saladino costituisce la XXV novella di
Patronio; avrei potuto citarla accennando alla generosità del sultano.
Il conte di Rovena, suo prigioniero, marita sua figlia (su questo
matrimonio è stato consultato in prigione), secondo il suo consiglio;
in seguito a ciò, suo genero riconoscente lo libera, e tutti e due
ritornano nel loro paese, carichi di doni offerti da Saladino.

[97] Ms. 12572, fol. 75 r.º Il riassunto del Louandre (p. 68) è qui
insufficiente.

[98] Questa regina di Cipro non può del resto essere che Isabella,
figlia del re di Gerusalemme Amauri, maritata successivamente ad
Onofrio di Toron, al marchese Corrado di Monferrato, al conte Enrico di
Champagne e in ultimo ad Aimeri o Amauri di Lusignano, re di Cipro alla
morte del fratello Guido. È vero che essa fu regina di Cipro solo alla
morte di Saladino, ma le novelle di questo genere commettono ben altri
traviamenti cronologici.

[99] Louandre, p. 83; ms. 12752, fol. 246.

[100] _Baudouin de Sebourc_, vol. II, p. 392.

[101] _Récits d'un ménestrel de Reims_, § 6-12.

[102] È in questa cronaca (ms. B. N. fr. 5003) che si trova
specialmente una delle redazioni della celebre leggenda di Blondel e
di Riccardo Cuor di Leone. Contiene anche molti estratti di canzoni di
gesta. V. _Romania_, vol VIII, p. 633.

[103] Che gli domandava d'andare ad assediare città saracene; ciò è
preso da Guglielmo di Tiro.

[104] Qui ha luogo il deviamento del fatto storico che s'incammina
verso la sua trasformazione favolosa: Aliénor, secondo Guglielmo di
Tiro, voleva restare con Raimondo e non andare a raggiungerlo; Luigi
non ebbe a ritenerla, ma a rapirla.

[105] Ms. fr. 5003, fol. 180 v.º

[106] D. Bouquet, vol. XII, p. 119.

[107] Ms. fr. 1799, fol. 16 v.º.

[108] Semplicemente secondo il Ménestrel la storia è narrata nel ms.
fr. 9222 (fol. 17), nella Cronaca di cui D. Bouquet dà un estratto
(vol. XII, p. 229), in Giovanni des Preis (vol. IV, p. 396), nella
cronaca di P. Cochon (p. 3), e senza dubbio altrove.

[109] Il Fioravanti (pp. 32, 35) fa le piú singolari riflessioni su
questa storia. Vuole che il soldano del _Voyage du comte de Pontieu_
(che del resto in questo romanzo è il bisavolo di Saladino) sia
in realtà Saladino in persona, e che Aliénor, figlia del conte di
_Poitiers,_ sia in fondo identica alla figlia del conte di _Pontieu_.
Tuttociò non ha il minimo fondamento, e l'autore infiora i suoi
ragionamenti di errori d'ogni genere.

[110] V. l'interessante studio del Tamizey de Larroque sopra Aliénor di
Poitiers nella _Revue d'Aquitaine_, 1864, specialmente a p. 314. Oltre
gli antichi storici, egli cita tra i moderni Michaud e Ang. Thierry; ma
per errore egli vi aggiunge il Michelet, che parla solo di Raimondo.
— Notiamo qui che si è spesso ripetuto che Matteo Paris aveva anche
accusato Aliénor d'aver avuto per amante un figlio del diavolo; ma ciò
è molto probabilmente un errore. Nel testo a stampa (_Chron. majus_,
ediz. Luard, vol. II, p. 186, _s. a._ 1150) si legge: _Diffamata est
de adulterio, etiam cum infideli, et qui genere fuit diaboli_; ma
bisogna senza dubbio leggere _quod_ per _qui_: è Aliénor stessa che
si accusava d'essere di razza diabolica (V. il Ménestrel de Reims e i
curiosi passaggi citati da Paolo Meyer, _Notices et Extraits des mss._,
vol. XXXII, part. 2, pp. 64, 68, 70), e anche là v'era senza dubbio una
confusione col suo secondo sposo: l'origine satanica dei Plantageneti
era leggendaria.

[111] Come fa notare il De Wailly nel suo _Sommaire critique_, non vi
era allora alcun signore di Baru (Beyruth): la tradizione intendeva
certamente Balian d'Ibelin, il cui figlio Giovanni fu sire di Barut,
e che era, come Raimondo, uno dei nemici del re Guido. Il marchese di
Monferrato sarebbe Guglielmo II il vecchio, che fu fatto prigioniero
da Saladino; ma si tratta piuttosto di suo figlio il celebre Corrado,
trasformato in traditore a causa della sua ostilità contro Guido di
Lusignano. Il signore di Sayette è Rinaldo; non si sa chi bisogna
intendere per il _bail_ o _bau_ d'Escalona; Ernoul dice espressamente
(p. 184) che non vi era alcun governatore in questa città.

[112] È facile riconoscere in questi nomi quelli che aveva dati
il Ménestrel; _Liban_ viene da una cattiva lettura di _li baus_,
nominativo di _le bau_; _Pierre e Poru_ sono fantastiche addizioni del
rimatore.

[113] È curiosissimo di ritrovare in parte le stesse cose nella
narrazione della caduta del regno di Gerusalemme che fa Roberto di
Clari, secondo i racconti orali (§ 33).

[114] Questo nome solo e il suo posto nella serie dei re lo
ravvicinano a Baldovino II di Bourg. In un punto, il romanzo dice
che, «selon aulcuns», era colpito dalla lebbra (fol. 167 v.º), ciò che
l'identificherebbe con Baldovino IV.

[115] Vi fu infatti un combattimento assai serio alle fontane di
Saforia (v. Ernoul, p. 97), e, ciò che è veramente curioso, il nostro
romanzo, cosí lontano da una narrazione autentica, racconta qui un
aneddoto sopra l'illuminazione del campo de' Cristiani che sembra
imitato dalla cronaca d'Ernoul (p. 100). Il poeta aveva senza dubbio
gettato qua e là uno sguardo sui testi storici (fol. 169 r.º).

[116] Il romanzo qui narra che Saladino concepí per Guglielmo de la
Chapelle un'ammirazione tale da mandargli in dono uno dei suoi migliori
cavalli (ciò richiama l'aneddoto relativo a Riccardo che sta per essere
narrato) e cercò, ma invano, dì persuaderlo ad entrare al suo servizio,
promettendogli di colmarlo di onori.

[117] Altrove (p. 20, n. 2, e pp. 49-50) ho parlato brevemente del
piccolo episodio relativo all'assedio d'un castello, situato vicino
ad Antiochia, in cui si trovavano sole donne, e della cortesia usata
da Saladino verso di loro. Tutta questa parte del romanzo mostra il
carattere di Saladino sotto la sua piú bella luce.

[118] Cosí pure, naturalmente, nella traduzione latina (_Itin.
Ricardi_, ediz. Stubbs, p. 419).

[119] Sarebbe il vero nome da dare al corpo di cronache d'oltremare
generalmente unite alla traduzione di Guglielmo di Tiro e indicate
assai infelicemente sotto il nome d'_Eracle_. Rimando all'edizione
dell'Accademia.

[120] D. (ms. di Lione), p. 195.

[121] Duro di bocca, pronto a fuggire (v. Godefroy).

[122] Ms. _arassies_, che il glossario traduce per «calmo, tranquillo».

[123] Le parole e le lettere che ho supplito sono indispensabili per il
senso di questa frase.

[124] «Marescalco ferratore» secondo il glossario.

[125] _Eschaillons_ (con questo senso manca nel Godefroy) significa
i denti canini d'un cavallo (v. Cotgrave, s. v. _escaillon_): il
dizionario francese-tedesco del Sachs dà pure _écaillons_ in questo
senso (in it. _scaglioni_); per conseguenza i _gisanz_ designano anche
i denti, come del resto è naturale nella circostanza. Il glossario
dell'edizione traduce a torto _escaillon_ per «la parte del cavallo che
lo rende stallone» (cosa vorrebbe dire allora il plurale?) e _gisanz_
per «testicoli».

[126] Il De Mas Latrie, ingannato dalla lezione oscura del ms. e
dell'edizione, l'attribuisce a Safadin (_Ernoul_, p. 282, n.).

[127] _Ernoul_, p. 281; _Histor. des croisades_, vol. II, p. 182.

[128] V. _Hist. litt. de la Fr._, vol. XXIII, p. 162; A. d'Ancona,
_Studj_, p. 335.

[129] Al contrario, nel III dei _Conti di antichi cavalieri_,
la generosità di Saladino è presentata come perfettamente leale
(Fioravanti, p. 18).

[130] Ms. 12572, fol. 30 v.º, 250 v.º L'analisi dello Chabaille omette
il primo episodio. Qui la scena ha luogo in Inghilterra ed è collegata
col racconto del _Pas Salhadin_ (v. piú sopra).

[131] È curioso incontrare un ricordo cosí preciso in un romanzo tanto
lontano da ogni verità storica; infatti, Ambrogio ci parla spesso
dell'eccellente cavallo Fauvel tolto all'imperatore di Cipro, e montato
di preferenza da Riccardo.

[132] La parte della spione si trova nel _Pas Salhadin_ e in _Jean
d'Avesnes_, che ci rappresentano due derivazioni indipendenti di
pittore che offrivano grandi differenze. Il nome di _Tornevent_ è dato
da Giovanni des Preis (IV, 396) allo spione, il quale, dall'alto delle
mura di Acri assediata, nomina a Saladino i principali combattenti
cristiani; è personaggio imitato dal Ménestrel de Reims (§ 55), se
bene in questo e anonimo. Il nome d'_Espiet_ si trova nel romanzo di
_Maugis_.

[133] _Itin. Ric._, p. 415.

[134] Ciò fa credere che Riccardo avesse egli stesso fatto
rappresentare questa impresa, dacché la troviamo dipinta presso suo
nipote Enrico III (v. Hardy, _A description of the close rolls in the
Tower_, London, 1833).

[135] Il Trébutien ha citato le _Chroniques_ secondo un manoscritto da
lui non indicato, senza dubbio il ms. fr. 1799, di cui mi sono servito
piú innanzi.

[136] Può recar meraviglia che questo nome sia omesso precisamente
nelle _Chroniques de Flandres_: dipende da ciò, che il compilatore
aveva raccontato prima la morte del conte Filippo, avvenuta nel 1191.

[137] Gli dà anche una parte del tutto preponderante, essendo Andrea di
Chauvigni uno degli eroi piú in vista del poema cui appartiene questo
brano.

[138] V. ciò che è detto piú innanzi, in una delle versioni della
storiella del cavallo mandato a Riccardo, del _toron_ (poggio,
eminenza) sul quale il re d'Inghilterra stava coi suoi compagni.

[139] _Le Pas Salhadin_ publié par G. S. Trébutien (Paris, 1836,
in-8º). L'esame delle rime del poema attesta che è stato composto nella
regione del nord-est della Francia. Potrebbe anche essere del secolo
XIV, considerato le stato avanzato della lingua; sembra tuttavia che
l'autore avrebbe menzionato, se avesse scritto dopo il 1297, la perdita
degl'ultimi possedimenti de' Cristiani in Siria. V. Le Clerc (_Hist.
litt._, vol. XXIII, p. 492) dice anche che, secondo il poema, «i
pellegrini potevano ancora liberamente penetrare in Palestina»; ma io
non vi posso trovare niente di simile.

[140] Si rinviene, se non m'inganno, nel testamento del Prince Noir
(non posso verificare questo ricordo), la menzione d'una tappezzeria su
questo soggetto che possedeva l'illustre pronipote di Riccardo.

[141] Froissart, nel suo _Prologue_, a fianco dei nove prodi e dei
dodici pari di Francia che combatterono a Roncisvalle, cita come
modello di prodezza per i valorosi «les douze chevaliers compagnons qui
garderent le pas contre Salehadin».

[142] Noi abbiamo visto piú innanzi che, per la storia della perdita di
Gerusalemme la quale gli serve di preambolo, il poeta ha fatto uso dei
racconti del Ménestrel de Reims; probabilmente non ha avuto altra fonte
propriamente detta.

[143] Filippo non assediò mai Sur, rimasta in potere dei Cristiani.

[144] V. Le Clerc (l. c.) si domanda «se si tratta d'una delle gole
della piccola Armenia». Ciò vuol dire prendere questi racconti troppo
sul serio, e d'altronde la piccola Armenia è lontana da Sur.

[145] Lo sceglie come terzo. La leggenda sviluppata in Francia rimanda
sempre piú indietro Riccardo, come pure introduce Filippo.

[146] Ms. 12572, fol 242 r. Tutto questo episodio è assai accorciato
nel sunto dello Chabaille. L'intera avventura è annunziata secondo
l'uso, in _Baudoin de Sebourc_ (vol. II, p. 155), e il poeta ha cura
di dire, terminando questo riassunto: «Ensi con vous orrés ou livre
retraitier».

[147] Ms. 12572, fol. 252. I principi di questi amori e della nascita
di Polis si trovano in parecchi luoghi delle rame anteriori del poema.
V. p. es. _God. de Bouillon_, v. 22802; _Baud. de Seb._., v. 6543.

[148] Questo particolare non è in _Jean d'Avesnes_, che qui è assai
compendiato; lo prendo dalla fonte che sarà indicata nella nota finale
di questo articolo.

[149] _Jean d'Avesnes_, p. 87.

[150] Questo assedio di Damasco, con questa vaga accusa di tradimento
contro uno dei capi che vi presero parte, potrebbe essere una
reminiscenza assai alterata dell'assedio posto a Damasco, nel 1148, da
Luigi VII e dall'imperatore Corrado, nel quale assedio i Cristiani di
Gerusalemme sembrano aver avuto con gli assediati una intesa segreta
che ebbe per risultato la cattiva riuscita delle operazioni.

[151] V. qui sotto. Questo personaggio è annunziato in _Baudouin de
Sebourc_ (vol. II, p. 263) e nel _Bastart de Bouillon_ (v. 6294).

[152] Confusione evidente: Safadin, o Malek-Adel, che fu soldano dopo
Saladino, era fratello e non figlio suo.

[153] Ms. 12572, fol. 258 v. Avevo appena terminato questo studio
che un lavoro del signor Vallois, inserito nel volume IX (1881) delle
_Mémoires des antiquaires du Centre_, indicatomi dal signor Augusto
Longnon, mi ha fatto conoscere, per ciò che concerne le avventure
di Andrea di Chauvigni, una redazione in prosa dell'antico poema,
indipendente da _Jean d'Avesnes_, e piú fedele, almeno verso la fine.
Io non posso fermarmi qui su questo testo, sul quale ritornerò in altra
occasione; da esso (v. p. 74, n. 1) ho preso un particolare omesso nel
riassunto di _Jean d'Avesnes_.



Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
senza annotazione minimi errori tipografici.





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