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Title: Ricordanze Author: Rapisardi, Mario Language: Italian As this book started as an ASCII text book there are no pictures available. *** Start of this LibraryBlog Digital Book "Ricordanze" *** http://dp-test.dm.unipi.it (This file was produced from RICORDANZE VERSI DI MARIO RAPISARDI PISA TIPOGRAFIA FRATELLI NISTRI 1872. DEDICA Pallidi fiori e ciocche di capelli Stretti in corone e in lievi nastri avvolti, Cari ricordi dei miei dì più belli, Io vo' guardarvi, io vo' baciarvi ancor! Dai chiusi fogli ove voi siete accolti Un'eterea fragranza si diffonde, Ed ogni ciocca a un palpito risponde, E un affetto gentil chiude ogni fior. Ahi! di tanti sospir, d'ebbrezze tante Che fûr de l'alma mia parte sì viva, Di tante fibre del mio core infrante, Fuor di questi ricordi altro io non ho? Cari pegni d'amor, se avvien ch'io scriva, Ch'io pensi o canti, ch'io sorrida o gema, Sento che nel mio cor qualcosa trema, Arde qualcosa che morir non può. Siccome onda di rio querulo e lasso, Sento ch'io corro, e dove corra, ignoro; Ma sovra al capo mio, mentre ch'io passo. Qualche foglia di fior gitta l'april. Gitta april qualche foglia, o mirto o alloro, O rosa o giglio al capo mio d'intorno, E a sognar tosto e a vaneggiar ritorno, E un caro ad invocar nome gentil. PARTE PRIMA. (1863-69.) _Brevi vivens tempore._ PARTENZA. Tu parti, ed io vorrei Essere un'aura lieve Ed alïarti intorno. Quanti profumi ha il rinascente giorno A te, dolce fanciulla, io recherei; Quanti tepori ha il maggio De la materna sponda Ti recherei su l'onda A far più mite il verno al tuo vïaggio. Allor che attinto il disïato lare, Ti ridurrai ne la gelosa stanza A rïandar le care Tue gioie di fanciulla E la dorata culla E gli amplessi materni e la speranza Che fida il cor t'inonda, Rondine vagabonda Io diventar vorrei, E sotto a la tua gronda Il nido appenderei. Quando ne le tacenti Rigide notti un timoroso affetto, Come a trepida lampa aura che fugge, Ad agitar ti vien l'anima in petto, E tutta päurosa Ne le custodi coltrici ti stringi, E al vigile pensier schermo non trovi, Io sonno esser vorrei: Come farfalla in giglio Io l'ala poserei Sovra il tuo roseo ciglio. Auretta vagabonda, Potrei baciarti almen la chioma bionda; Rondine, al primo albore Sul tuo balcon pispiglierei d'amore; Sonno, te almen potrei Stringer co' lacci miei. A TE SOLA. Te, se fra gli splendori Del circo e il molle plauso Degli armonici cori Volgi, o fra le vertigini De l'incitata danza E le dolci vigilie E il tepor de le feste e l'esultanza. Te fra l'elette e belle, Che i tuoi fianchi incoronano Gareggianti donzelle, Come sugli astri il tremulo Espro o su' fior la rosa, Te di tutte vaghissima Lieta la mia saluta arpa amorosa. Ed esaltar vorrìa Il lieve fronte e il mobile Guardo e la melodia D'ogni movenza e l'ebano De le flüenti anella E il sorriso ineffabile E la mestizia che ti fa più bella. Ma dentro al cor s'intrica La nota, e a l'alma estatica Non corrisponde amica; Chè fra' procaci e indocili Labbri e l'insano ardore Dei guardi altrui le armoniche Fila son mute, e sta confuso amore. Ma se a l'ostel fiorito Riedi e al natio silenzio Del tuo balcon romito, Come da pinto calice Volano olezzi a mille, Varie da l'alma scoppiano Irrequïete armoniche faville. E tu allor mi consenti Un tuo sorriso a' timidi Del cor veleggiamenti; Dammi un tuo guardo, un'aura De l'amor tuo mi dona, Dammi un sol raggio etereo, Dammi un sol fiore de la tua corona. Ch'io men vo' fare un serto. Io men vo' fare un'òasi Che allieti il mio deserto; Men vo' tesser lievissimo D'auree fantasme un velo, E un avvenire e un gaudio E un altro mondo che si perda in cielo. IL MANDORLO. E tu mettesti i fiori, mandorlo precoce, E tutta intorno la campagna odori. Qual giovinetto che ascolti la voce Di fanciulla che l'ami, Così, fido a' richiami De l'amica stagion che s'avvicina, Tu di candidi fior vesti i tuoi rami. Sott'esso a la pruìna Lenta, vedova ancor geme la valle, Nè sorride, per quanto occhio si stende Sotto al raggio del sol, fronda nè fiore. Tu sol, tu primo il calle De le deserte mie montagne allieti; Come a core dolente, A cui sorrida breve tratto amore, Così per lo squallore Dei circostanti campi, Al profumo innocente Che tu commetti a l'aura disïosa. Una dolcezza ascosa Del passegger ne l'anima discende. Quand'io movo pensoso Sotto il peso dei miei lunghi dolori A ricercar nei fiori Questa mia giovinezza che mi fugge, E l'anima si strugge A ripensar le inquiete e senza arrivo Agonie de la mia bruna giornata, E la mente affannata Nel sereno del ciel cerca riposo E nel sorriso di natura Iddio, Se la mite fragranza ed il festivo Biancheggiar di tue cime a te mi volge, O mandorlo innocente, Solitario e piangente Al tuo piede m'assido, E a quella solitudine fedele, Ov'è Dio che m'ascolta, il pianto affido. Ah! tu i fiori rimetti, O mandorlo precoce, E primavera affretti! Io come te solea, Impazïente de la tarda bruma Accender l'amoroso estro veloce, E i canti precorrea Degli augelli felici, e di speranza Vestivo il core giovinetto e il fronte, Pria che di fiori si vestisse il monte. Or mi ritorna invano Primavera, e su me vano s'accende Questo sole d'amore e questo cielo; Chè derelitto a stento Porto di questo ingombro egro il fardello, Cui nullo in terra a sostener m'ajuta, E desolato il lento Fianco trascino e di soffrir son stanco. Deh! chi l'ardor mi rende Dei miei vent'anni e la speranza e i sogni? Dio mio, Dio mio, più mai Dunque per me non tornerà l'aprile? Dunque di questa giovinezza al fiore Più rugiade dal ciel non manderai, Nè più bella e gioconda Verrà salute a rifiorirmi il core? Dio mio, tu che ridoni La fronda ai campi ed agli uccelli il canto, A questo inverno mio Altro conforto non darai che il pianto? Ahi! se così pur sempre Contar dovrò ne l'amarezza i giorni, Donami almen, mio Dio, Virtù, che su quest'onda Tempestosa che io corro, Mai la tua luce al guardo mio s'asconda! A MARIA (Nel mandarle alcuni versi.) Se ancor ti suona cara La rimembranza de l'età fuggita, Se ancor dolce ti suona il nome mio, O fanciulla romita, Un pensieroso fior pongo su l'ara Di quella illusïon prima che fugge: Me lo porgeva Iddio! E tu solinga e muta, Ne l'ora del crepuscolo fuggente, Deh! vi posa lo sguardo e pensa e prega. Pensierosa fanciulla, La mia vita è deserta, e i sogni miei Spariscono nel nulla! Nè v'è pallido fiore, Che m'odori la via, Dove come fantasima trapasso Con le memorie e con la croce mia, Nè su l'aride arene un'orma lasso. Tu pensa e prega! Più tu non udrai Del vespro ne la muta ora pensosa, O de la luna a' rai, Lontano per l'azzurro aere, gemente La mia nota solinga, ultimo e solo Conforto di mia vita! O fanciulla romita, Tu pensa e prega; quel conforto ancora M'è tolto, e su l'aurora! Tu pensa e prega! Oh! se ne' lievi aprili De la tua vita il pallido ricordo Di quell'ora innocente, Con cui tutte vanîr le mie speranze, Qual solitario fiore Al cor ti manderà le sue fragranze, O fanciulla pensosa, Non negarmi, sollievo ultimo a' mesti, Non negarmi, il tuo pianto! Chè se de' miei sospiri Uno avrà l'ala da levarsi a Dio, Io pregherò che di perpetue aurore Ridan le plaghe che il tuo cor vïaggia, Io pregherò che un'iri Di speranze incoroni il tuo sentiero, Io pregherò che d'ogni stilla amara Che versa il ciglio mio, Spunti una rosa che t'adombri il vero! A GENTILE OPERAIA. Al sottil refe intenta, Passi, ingegnosa giovinetta, i giorni De la tua nova vita, Nè april coi fior t'invita, Nè il brumoso dicembre ti sgomenta; Pari ad industre formichetta, a cui Da l'ardente stagion non vien paura, E provvida e contenta De l'avvenir si cura. Assisa al limitare Del polito tugurio, a cui giammai Non volse aurea fortuna i passi infidi, Canti, lavori e ridi, E tua bellezza e il mondo e altrui non sai. Io, quando al tuo pudico Sguardo, lo sguardo mio pensoso intendo, A te mi volgo e dico: Tienti, fanciulla, i giorni Di tua contenta poverezza onesta, Tienti l'ago veloce e il fil sottile, Tienti il povero sajo e la modesta Casa, ov'han pace ed innocenza albergo! Chè ben provvide il ciel, s'altro tesoro, Fuor che di gemme e d'oro, Non diede a cui felici il volgo appella, E la soave e bella Serenità del cor diede al lavoro. A me, più che le folte D'eletta gioventù sale festanti, Ove sacre al piacere ardon le danze, Cara è la pace del tuo tetto umìle; Più che tazze spumanti Di splendidi banchetti M'è dolce il pan che su povero desco Divide in sulla sera Il pio lavoratore ai figlioletti; Più che beltade altera Di cocchi aurati e d'opulente vesti, M'è sacra al cor l'intera Laborïosa tua vita gentile; Più che gemma orgogliosa Amo l'ingenua rosa. Al par di te son'io Operaio, o fanciulla; a me le fila De l'inconcussa cetra, Come a te l'ago e il fil, permise Iddio. Sovr'essa io l'ingegnosa Tela distendo degli affetti miei, E il sottile dei carmi arduo lavoro A le sue corde affido. Ma come l'onda che si rompe al lido, S'agita nel mio cor l'anima inquieta, Chè di serena e lieta Tranquillità non diemmi il ciel tesoro, E fo molle di pianto il mio lavoro. O gentile operaia, a te di lunghe Albe si vesta il cielo, E a lunga giovinezza Iddio ti serbi! Negl'ignorati, acerbi Casi, onde afflitta è ognor la vita mia, Te chiamerò soventi Ad allegrar miei solitari giorni; Nè di pallido volto o di languenti Occhi, o di piè leggero A' vorticosi balli Te loderò, ma d'almo e di sincero Volto e di core allegro, D'umile stato e di solerzia onesta, Onde la madre e il genitor cadenti Paga di tue modeste opre sostenti. ADDIO. Addio, placidi campi, Asil nel mio dolore; Dove che il passo io stampi, La vostra cara immagine Mi porterò nel core. A l'aere suo ridente Torna co 'l maggio il pellegrino uccel; Ritorno anch'io, benchè solo e dolente, Al dolce riso del mio patrio ciel. Addio, bruna e secreta Valle ove il sol si perde, Ove tranquilla e cheta Spiccia dal masso, e mormora L'onda fra 'l tuo bel verde; A l'ombra tua serena Stanco s'asside il povero pastor, E al noto suon de la silvestre avena Pasce la greggia, e posa il cacciator. Valli ridenti e clivi, Floridi colli, addio, Ove d'argentei ulivi File ondeggianti al zefiro Ombreggiano il pendio; Io vi saluto, o care Piagge, confine del fiorito pian; Crespo da l'aure vi careggia il mare, Il mar natio che ò sospirato invan. Da le selvose vette, Dal piano e da le valli Venite, o forosette, La provvida vendemmia A festeggiar co' balli; Danziam, colmiamo i nappi, Orniam le chiome d'ellera e di fior; Al dolce odor degli spremuti grappi Men triste il vostro addio suoni al mio cor. Addio; qual foglia al vento, Come alcïon su lago, Va l'infedel contento, E dietro a lui dileguasi Ogni più cara immago. Addio; l'ape smarrita Cerca tra' fiori il timo e il gelsomin; Io fra voi cerco la gentil mia Ghita, Ghita, che bruni ha gli occhi e nero il crin. Ah! qui non è! Dai cheti Colmi di sua casetta Fuggiro i giorni lieti, Qual lieto stuol di tortori Da la montana vetta. Su la finestra bruna Venne a posarsi, ingrato ospite, il duol; Siede al suo capezzal la ria Fortuna E giace a canto a lei sotto a un lenzuol. O poveretta, or dove, Ditelo, or dove è ita? Corre co 'l verno altrove, E va piangendo a l'aure La rondine romita. Forse ella pur solinga Cerca sott'altro ciel pane ed asil, Forse in cerca di fiori ella raminga, Ma più per lei non fiorirà l'april. O nugoletta bianca, Che vai pe 'l ciel turchino, Se mai soletta e stanca L'incontrerai fra' triboli Del suo lungo cammino, O nugoletta lieve, Sovra il capo di lei rattieni il vol; Chè quella fronte candida qual neve Non tocchi e offenda nel meriggio il sol. O tiepide e leggiere Aure di fior nutrici, Se a quelle trecce nere Non val recar le splendide Corone dei felici, Deh! le recate almeno Un semprevivo che non può morir, Le susurrate, aure pietose, in seno La speranza del cielo e il mio sospir. UNICA MEA! Sovra un bocciòl di rosa Vidi un'aurea farfalla in su 'l mattino Posar l'ala amorosa, Libando i primi e più soavi odori; Poi su mill'altri fiori Del tacito giardino Alïando cogliea La dolce stilla iblea. Farfalla, le diss'io, Su cento fiori al dì tu posi il volo, Ma su la terra è solo Il fior de l'amor mio! Una raminga stella Apparir vidi al pallido occidente, E tremolante e bella Spargea di raggi nostra ombra terrena; Poi, come pria serena, Volgea tacitamente A illuminar lontane Sfere, al nostr'occhio arcane. O stella, le diss'io, Tu splendi in mille sfere, e volgi al polo, Ma splende per me solo La stella del cor mio! Per la campagna aprica Vidi un colombo candido e pietoso Con la sua dolce amica Gioir la più ridente ora del giorno. A lor fec'io ritorno Co 'l verno tempestoso, E morti in un amplesso Eran nel nido istesso. Colombo, io dissi allora, Una è come la tua chi m'innamora, E come te vogl'io Morir con l'amor mio! A FANCIULLA INFERMA. Sotto a la bianca coltrice Del tuo polito letticiuol ti vidi, sofferente giovinetta, e quanta Pietà mi vinse da quell'ora il petto Del tuo stato infelice, Mortal labbro non dice. Era il tramonto E pe 'l cheto villaggio Incoronato del novello aprile, Spargean l'imbalsamata aura gli aranci. Cinte di fior la testa Reddian le allegre villanelle a schiere Da la vicina festa, Ricordando il furtivo Guardo d'amore e il tenero saluto E lo splendor de' ceri e degli arredi De la parata pieve E il patetico accento Del pio predicatore. In abito festivo Torna anch'esso l'assiduo zappatore, A cui non lieve ingombro è per la via L'insolito calzare; Su la tarda asinella Sen va cheto e satollo il buon pievano, Mentre scalzo ed ansante Da presso il siegue il suo fedel garzone, Con la verga pungente e con la voce L'asin sollecitando al suo padrone. In quell'ora di festa al tuo romito Casolare venn'io: dolce ai soffrenti Dei soffrenti è il ritrovo. Al limitare Corsemi incontro il povero mastino Adulandomi intorno E ai piedi miei sdraiandosi supino. Deserto era il cortile, E su l'incolta ajuola, Già dolce cura di tua man gentile, Morian le frondi e i fiori; Solo su l'infrequente uscio, ondeggiando Al dolcissimo orezzo vespertino, Qualche pallido fior piovea da' rami Il lento gelsomino. Pensosa e taciturna Al tuo vegliato capezzal sedea L'addolorata madre, Spesso volgendo il ciglio A una pietosa immagin di Maria, Che ha tra le braccia il figlio. Lesta intorno venia L'affettuosa tua sorella intesa Ai pietosi servigi; in su la porta Siede il buon genitore e sottovoce Ripiglia il fratellino, Che corre dietro all'infedel micino. De la lucerna al tremolante raggio Vidi il bianco tuo fronte e il fuggitivo Lume degli occhi tuoi E le diffuse chiome E l'aereo sorriso. Oh! dimmi, a quali Fantasime di ciel guardi e sorridi, Candida giovinetta? Qual ti lusinga mai viso e splendore Di sempiterni lidi, Che ad occhio di felici Iddio contende? Qual su le tacit'ali Invisibile a noi spirto d'amore Per le sedi degli astri amor t'insegna? Dunque di questa nova Primavera terrena, Ove più agli occhi tuoi vita non splende, Ne fuggirai per sempre? Dunque sol dura prova D'infinito dolore Degni del ciel ne rende? Deh! se per lunga passïon si trova Oltre i lacci del fango amore e luce, Al luminoso e santo Volo, o fanciulla mia, tu mi sia duce, Chè amore io cerco, e lungamente ho pianto! A GHITA. Fior d'albicocco, mandorla non colta, Grappolo d'uva che s'indora al sole, Spiga di grano tra le foglie accolta, Mazzo di gelsomini e di vïole, Gelso che mette il fior la prima volta, Cestolin di ciregie e d'azzaruole, Mela appiòla, dattero sul ramo, Ghita gentil, cor del mio core, io t'amo! Dal muricciol de l'orto abbandonato Sente il rovo l'aprile e mette il fiore; Così dal gelo del dolor serrato L'aura de l'amor tuo sente il mio core. Rondinella che torna al nido amato, Posa in sul ramo e pispiglia d'amore; Quand'io specchio nei tuoi quest'occhi in pianto, Ghita gentil, dal cor mi sgorga il canto. Canto, ma dentro al cor lunga e secreta M'arde un'ansia, un desio che il cor mi sugge; Come vana di sogno immagin lieta, Ogni più cara illusïon mi fugge; La giovinezza mia mesta ed inquieta Pe 'l deserto del mondo erra e si strugge; Arido è il labbro mio, trepida è l'alma, Dolce mia Ghita, garzuolin di palma. Pur, finchè te vedrò, dolce e sereno Del mio nebbioso giorno unico raggio, Il desiderio del mio cor fia pieno, Sarà sparso d'un fiore il mio vïaggio. Ha le perle e i coralli il mar nel seno, Le notti han gli astri, ha le rugiade il maggio; Senza il tuo sguardo e il tuo sorriso, o pia, Non avria stella o fior la vita mia. E quando lungi dal tuo niveo fronte Lungi mi sbalzeran mie sorti avare, Uccellin diverrò che passa il monte, Pesce diventerò che passa il mare; Verrò a cercarti appo il lucido fonte, Girerò di tua porta al limitare; Muoia con gli astri, o co 'l sol nasca il giorno, Gentil mia Ghita, io ti verrò d'intorno. E se stanca una volta e infastidita Del vegliante amor mio ch'arde e non spera, Negli occhi io ti vedrò, dolce mia Ghita, E trar debbo in dolor la vita intera; Farfalla io diverrò lieve e romita, Che cerca i fiori al dì, la morte a sera, Farfalletta gentil, ch'à per costume Di morire girando attorno al lume. A UN SEGATORE DI PIETRE. Con l'ostinato filo Del tuo pigro strumento Il duro sasso esercitando vai, assiduo segatore, Nè per sole o per vento Da la lunga, penosa opra ristai, A cui tua sorte misera ti danna, Ma l'egro petto e il dorso Sopra la sega stridula affatichi; Solo di quando in quando, A l'ardua lama agevolando il corso, Versi nel sasso con la bugia canna, Sciolta ne l'acqua la mordente arena, Malinconicamente mormorando La nota cantilena. Al monotono suono Di tua lenta fatica, Che la tarda del tempo opra somiglia, Da le mie ciglia si dilegua il miele Del dolcissimo sonno mattutino Di rosee larve apportator fedele. Su le tiepide piume Snodo le membra non ben deste ancora, Guizza il notturno lume Morente a la parete, Già tremano le liete Rose de l'alba a lo spiraglio incerto; Odo il festante grido De le rideste vie E il rumor lieto dei carri balzanti, Sento gli allegri canti De l'amorosa rondine che suole Sotto la gronda mia pendere il nido; A la nota bottega, Cantando una canzone, Il garzoncel s'avvia; Per la frequente via Passan belando sotto al mio balcone Le capre mattutine, E con assidua ressa La stridula campana de la pieve Chiama i fedeli a messa. Quindi sorgo, e tergendo In schietta onda la faccia, Schiudo i vetri custodi, e anch'io cantando Il nuovo aprile e il fresco aer saluto. Ma se da tanta immagine di cielo, Ove cerco di mia vita la luce, Pallido segatore, a te mi giro, Di repentino gelo Pensierosa tristezza il sen mi vince, E ne l'intimo cor gemo e sospiro: Quale colpa o fortuna A sì diverso fato obliga e preme Nostra dolente umanità raminga, Ch'altri scarno e cencioso Sul duro solco si travagli e sudi, E altri, d'ozio fastoso E d'opulenza e di splendor si cinga? Dunque è destin, che a' faticosi studi Più vil mercé si renda? E che tanta di noi parte migliore D'inedia eterna e di dolor languisca, E altri del suo soffrir gioco si prenda? Povero segatore, a noi non lice Investigar la sacra ombra che chiude Tanto nume di Dio. Forse la prova Di cotanto dolore E de l'onesta poverezza i pianti L'occulta stancheranno ira del cielo; Chè ormai splendida e nova Di santa civiltà stagion migliore Ne impromettono i fati. A più sublime Vol, non più visto altrove, Poggia l'umano ingegno; uguale e piana Da la superba cattedra discende A popolar convegno L'agevole Scïenza, e a tutti è schiusa, Quanta concessa è in terra, Felicità. Su la contesa soglia Più non mendica il provvido lavoro Di ricche orgie i rifiuti, Ma a sè stesso è tesoro. Ecco, vegg'io Co 'l vetusto patrizio il fabbro umìle Confondere la destra, E civiltà di miti usi maestra Chiama fra tutte genti arbitro il merto. Sorge dal fango, in nome Di Lui, che l'onorate opre fè sante, La derelitta povertade, e come Pioggia che le morenti erbe rinnova, Sugli adusti mortali Uguaglianza ed amor distendon l'ali. DUE FIORI. Gittai due fiori al vento Due piccioletti fior da un gambo uniti; Girâr, girâr sui zeffiri un momento, Caduti son, ma non si son partiti. Sovra lo stesso stelo, Sovra la stessa zolla, a la stess'ora, Bevvero insiem le miti aure del cielo, Tremâro al nembo e salutâr l'aurora. Poi tolti a la serena Terra e dal vivo cespite recisi, Vissero insiem l'estrema ora terrena, Son morti entrambi e non si son divisi. E vuoi tu mai, fanciulla, Che lontano da te vivere io possa? Il destin presso a te mi diè la culla, Vuo' che amor presso a te mi dia la fossa. LUNA SULLE NEVI. Batte il notturno vento a la campagna L'ondeggiante oliveto, e su le prime Nevi de la montagna Passa la fredda luna. Da le materne cime Cade la foglia inaridita e smorta, E de la corta vigna Su 'l gelido vïal saltan le lepri. Fra gl'ispidi ginepri de la siepe S'acquatta il cacciatore, Mentre con l'importuno Raglio il disturba dal vicin presepe Il povero asinel freddo e digiuno. Là su 'l romito calle, Dove s'incrocia la petrosa via, Splende la lampa tremula Su 'l povero altarino di Maria. Passa tremante e mesto il contadino Su 'l nodoso baston curvo le spalle; Dal chiuso pecorile Lo provoca uggiolando a la lontana L'indocile mastino; Egli guardingo passa, E mormora una prece e fa un inchino. Vede intanto da l'erta L'accesa fenestrella De la capanna misera e deserta, E pe 'l noto vïale allunga il passo; Ode il murmure incerto e la faccenda De la sua famigliola, E sente al petto lasso Un secreto piacer che lo consola. Così verso un'ignota iri di pace Tende l'umana vita, Chè sulla terra squallida e fugace Fiore non porta aprile Di salde foglie e di profumo eterno. Pari a larva sottile Di sogno mattutino Fugge il piacer di nostra istabil sorte, E perpetua ne incombe ala di verno; Ma da la cieca fronte Il mensognero vel scioglie la Morte, Ed al redento spirito Schiude del vero il libero orizzonte. Ah! tu dillo, o secreta Visitatrice del mio cor dolente, Dolce fanciulla aerea, Tu lo ridici al povero poeta! Che ti valse il clemente Riso del nostro cielo E il lampo degli azzurri occhi sereni Ed il trapunto velo Ed il voto d'amore, ond'eri avvinta, Or tu lo sai, che cinta Di sempiterni raggi, Qual fior su lago tremulo, L'onda d'eternità vedi e vïaggi. Pria che degli anni il gelo T'inaridisse il core, o pia fanciulla, a te fu caro il cielo. Così esotico fiore, Chiuso in vetro geloso, a l'aere immite Sporge la cima tenera, Cerca il suo cielo, e muore; Uccello doloroso Pellegrinante per stranio paese Cerca così il cortese Nido del suo riposo; Così striscia lucente Di fuggitiva stella Guizza e dilegua a la pupilla intenta; Oh! non dite ch'è spenta, Non dite ch'è per lei l'ultima sera, Dite che viva e bella Corre ad illuminar più lieta sfera. Io doloroso e solo De la memoria tua ravvivo il canto, E di celesti immagini Il mio lungo aspettar queto e consolo. Oh! dimmi, o pia, quanti di questi ancora Sono serbati a me giorni di pianto? Quanto per questa tenebra Affaticando andrò gli occhi miei lassi Desiderosi de l'eterna aurora? Ah! tu mi guardi e passi, Mi guardi e passi, e la serena fronte Al pianto mio s'imbruna . . . . E fischia il vento intanto, e dietro al monte Cade la fredda luna. AD A. SALVINI nel regalargli un esemplare della Palingenesi. A te che sai le amare. Gioie de l'Arte e i trepidi Sogni, a cui l'ardua fida ala il pensier, A te non fian discare Queste vegliate pagine, Che la sacra spirommi aura del Ver. Se da la mesta e bruna Vita, a più belle e vivide Sfere poggiare il vol seppi talor, È pregio e non fortuna, Che su 'l mio fronte pallido Segga una fronda di sudato allor. Su quelle sfere, dove Spiran del bello i liberi Entusiasmi ed è perpetuo april, Ivi di grazie nuove Talìa sorride, e d'attici Fiori diffonde il suo peplo gentil. Scherzano a lei d'intorno La gioia alata e il florido Riso d'alme serene unico re; A l'immortal soggiorno, Sacro a le Grazie ingenue, L'empio livor mai non appressa il piè. Ma la suave e mesta Malinconia, che l'anime Tempra ne l'onda d'un etereo duol, Cinta di bianca vesta Ivi s'aggira, e a l'aure Geme siccome vedovo usignuol. Ivi te vidi, o altero Spirto che il dotto interpreti Dei figli di Talìa riso immortal; E teco era il severo Genio, cui di Melpomene Sovra l'itale scene arma il pugnal. Di lieti plausi un suono, Dolce compenso al vigile Culto de l'Arte, intorno a te volò, E su l'etereo trono La sacra musa italica Nuova luce da' bruni occhi raggiò! Or m'odi. E s'io libai Unqua de l'alme Càriti Al negato a' profani inclito altar, Son degno, e lo mertai, Che tra il fragor dei plausi Oda tu pur ne l'alma il mio pregar. Lascia a le franche scene Le vôte larve e gli orridi Mostri che infame vita hanno quaggiù; A noi l'aure serene, Gli astri ed i fior consigliano Arte più mite e men facil virtù. Di fole e di chimere Regno non han le italiche Muse, d'almo pudor cinte e di vel; Nè soffron, che a le nere Trame del mondo l'improbe Scuse sian manto di pietà crudel. Osa! Ed allor che al santo Aere ritorni e a' limpidi Regni de l'Arte, unico mio sospir, Di' ch'io deserto in pianto Vivo; ma intatta e vergine Serbo la cetra, e m'è grato il morir. SOLE D'INVERNO. A C. REINA. Cari mi siete, o colli, Quando nel verno vi saluta il sole, Quando con l'alba tremano L'argentee brine su l'erbette molli, E su le siepi imbrunano Il ridestato calice Le tenere vïole. Sul tortüoso calle, Dove il cardo le foglie ispide muta, Va saltellando il passere, E fra il timo s'inseguon le farfalle; Dal povero tugurio Il legnajuolo affacciasi E il caro sol saluta. A la cadente porta, Col suo grembial più bianco de le nevi, Siede co 'l mento tremulo La vecchiarella derelitta e smorta, E da la ròcca tenue Traendo il sottil canape, Fila i suoi giorni brevi. O tu che solo allegri Il silenzio di mia casa infrequente, E d'amicizia il balsamo Spargi su' giorni miei dolenti ed egri, Godiam tra il verno gelido La dolce ora fuggevole Di questo ciel ridente. Forse, o chi sa? ne l'ombra Che lungamente mi ravvolge il core, Forse tra l'ansia e il dubbio, Che i propositi tuoi tarda ed ingombra, Come a quest'erbe tremule, Un raggio di letizia Ne manderà il Signore. E allor che queta è l'onda, E più belli i suoi fiori april dipinge, Noi lascerem quest'Etna E il biondo golfo e la petrosa sponda; E andrem sicuri e unanimi, Ove de l'arte il fervido Sogno gentil ne spinge. Noi cercherem la riva Dove più specchia il ciel l'onda tirrena, Dove armonia son l'aure, E di voci d'amor l'aura è più viva; Dove vestita d'iridi S'asside l'incantevole Partenopèa sirena. A l'inconteso corso Di nostra prora ardente Fuori de l'acqua emergono Gli amorosi delfin l'argenteo dorso; Fuggono l'onde; suonano L'aure, le piagge olezzano De l'appennin ridente. A te daran colori Il cielo azzurro e la flegrea marina, Le nubi del Vesuvio, Di Capri i lidi e di Sorrento i fiori; A me la fredda cetera Avviveran le tiepide Aure di Mergellina; E canterò. Ma dove Spingi il tuo volo, o instabile speranza? Il pianto mio dimentichi E i lunghi affanni e le durate prove? Ahi! ne la solitudine Di questo umano esilio Solo il dolore ha stanza. Signor, che a queste brume Doni del sole il provvido sorriso, Toglimi al dubbio gelido, Che a l'ingenua mia fede ammorza il lume! Deh! ch'io non più ne l'orrida Nebbia, che il cor m'intenebra, Gema da te diviso! Io rapirò l'incenso Di queste fragolette mattutine, La mite ala del zeffiro Che il mar cheto sorvola e il cielo immenso; Rapirò un raggio a l'iride E la sottile, argentea Falda di queste brine. E come fior che a sera Con le fragranze al ciel s'apre la via, Eterno, istabil atomo, Cercherò la mia sede e la mia sfera; Chè in mezzo a questa tenebra, Il veggio, il sento, o spirito, Non è la sede mia! ULTIMO AUTUNNO. Passa il ramingo augello Su l'umil vigna allor che muore il giorno, E posa il volo a un tremulo arbuscello; Ma poi che mira intorno La campagna deserta E più incerta la luce a l'occidente, Mestamente guardando, il vol dispiega, E con pietoso grido Miglior campo procaccia e miglior nido. Così, già presso al fine Del mio fatal pellegrinaggio in terra, In voi fermo un istante il fianco lasso, Dolci colli materni, Di cui l'imbalsamata aura più volte Nel cor la fuggitiva alma contenne. Ma vano or tornerà vostro sorriso A questa vita stanca, E allor che al soffio de l'estremo autunno Cadran le foglie dal materno stelo, E col manto di gelo Si calerà da l'Etna il verno rio, Cadrò, cadrò pur'io, E calerà su me gelo di morte; O verdi colli, addio! Pur grato al cor mi scende Vostro tacito aspetto e la notturna Aura e il sorriso de le stelle incerto. Spesso muto e deserto, allor che trema Su per le argentee ulive Il verecondo albore De la luna imminente, erro il viale Del contiguo giardino, O là m'assido a canto D'un piccioletto fonte, arido come Questi occhi miei cui pur negato è il pianto. Quindi a la lunga io sento Dal vecchio campanile Russar querulo il gufo Ed ondeggiare al vento Del mesto legnajuol la cantilena. Brillano a la serena Le sparse lucciolette, Ed aggrappato al suo materno tufo, Il monotono trillo Siegue con ressa il solitario grillo. Allor questa noiosa Creta e mia vita dolorosa oblio; E già mi par che sciolta D'ogni colpa mortal la disïosa Ala spinga pe 'l ciel l'anima mia, Chiara qual sole e libera qual vento. Ma qual voce e lamento Da questa nova, luminosa via Chiamarmi a nome e richiamarmi io sento? Maria, dolce Maria, Non turbarmi quest'ora! Ah! ch'io non vegga Quei pensosi occhi tuoi, che fur già tanto Universo per me, ch'io non li vegga Per mia cagione in pianto! Ahi! de la vita lieta, Breve pur troppo e pur suave e cara, L'ora passò, passò qual fuggitivo Sonno di cacciatore; Lunga stagion di pianto e di dolore Per me seguì, per te gioia e festivo Fulgor di tede e amore. Vedi, sul labbro mio più non s'accende Giovin raggio di gioia, entro a la stanca Alma più non esulta La bella giovinezza, Ed anzi tempo la mia chioma imbianca. Da l'affannato petto Fuggì l'alma salute, e la vitale Aere sin la vitale aere sì cara Nel travagliato cor tarda discende. Funesta ala di notte D'intorno a la mia dolce arpa si stende, E l'auree corde son disperse e rotte. Sol'una ancor sol'una Corda rimane a la dolce arpa mia; E allor che ne la bruna Fossa cadrà quest'egra argilla oppressa; Si spezzerà pur essa, E flebilmente suonerà Maria. Or mi lascia, in pietà. Come a ritrovo Di libertà e di pace a morte, io corro; Nè già son'io sdegnoso Di mia sorte immatura, Nè a te, cieca Natura, Qual suole ignobil volgo, Le mie vane querele E il pianto mio rivolgo! Ben tu su noi crudele Sempre fosti, o Natura; e un fiore un solo Fior sul tramite mio mai non scordâro Le primavere tue vane e fugaci, E con sorriso amaro Ai lunghi affanni e a mia virtù schernisti. Ma se a quest'occhi miei la luce or neghi, Pianger debbo i tuoi soli e la tua possa? Forse, se omai quest'ossa Con muta e disperata ira calpesti, Speri, che intero io resti Nel guancial freddo de l'oscura fossa? A inesorate, uguali Leggi tu servi, e in tuoi chiusi destini Quel che rovini e te stessa non sai. Con perenne, monotona vicenda, Macchina cieca, per l'ombre cammini, E qual fosti, sarai. Ma l'immortale Spirto, che è raggio de l'eterna Idea, Libero sorge e l'infinito abbraccia, E in luminosa traccia Tutto muta e feconda e strugge e crea; Senza principio e fine Egli è tutto nel tutto e al tutto impera, E' prima, ei luce vera Che la tarda materia informa e accende Di senso e di pensiero, E da l'esilio de la terra intende L'occhio irrequeto al sempiterno vero. Ma tu, Natura, un giorno Tu, superba, cadrai, pari a codesta Scorza di fango che mi pesa intorno. Più non verran gli aprili Ad infiorarti la superba vesta, Nè la chiomata cresta Ergeran da l'immense acque i tuoi monti. Ecco, al ciel si confondono Gli sconfinati mari; orbo di rai Precipita dal ciel vedovo il sole; Schiudon le mille gole I terrestri vulcani; si dissolve A l'urto dei cadenti astri la terra; Fra la scomposta polve Distruzïon la negra ala disserra, E ne l'eterna notte Tutto ravvolve e inghiotte. Allor congiunto A l'universo spirito, Sul nulla vagherà lo spirto mio, Ch'è di Dio parte anch'esso, anch'esso è Dio! INTERMEZZO. _Omnia vincit amor._ FRANCESCA DA RIMINI FANTASIA DRAMMATICA. INTERLOCUTORI FRANCESCA PAOLO LANCIOTTO UN ANGELO Coro d'angeli, di demoni, di beati ec. _La scena è nell'Inferno._ ATTO PRIMO. SCENA I. CORO DI DEMONI. I. In quest'oscuro bàratro, Che il vento orrido introna. L'eterna ira imprigiona L'alme, che rupper fede a l'amor primo. L'urta da l'alto a l'imo Il turbine veloce, e avvolve e caccia Contro a le punte, ond'è funesto il loco; Ma non avvien che il foco Spenga giammai che la lussuria accese. Sorge acerbo e più fiero entro al lor petto L'insazïato istinto, E, dal dolor non vinto, Ei cresce più quanto più il corpo è inetto. _(Si ode il mugghio della bufera e i gemiti dei dannati)_ Urlate, urlate, urlate, Voi che d'adultero Foco d'amor bruciate! Noi per quest'aria nera Tessiam la ridda agli orridi Fischi de la bufera! _(Parte del coro incomincia una tregenda)_ II. Stolti! di tempra eterna Credon lor menti! Al Nume, Che a noi, siccome a loro, usurpa il cielo, Pari tengonsi in volto e in forza uguali! Con superbo costume Spronan l'anime inferme oltre i mortali Segni a strappar d'ogni scïenza il velo; Di nuove stelle in traccia Erran fra l'ombre ardimentosi, e quando Sol del momento han regno, L'eternità sognando, Per l'ignoto avvenir spingon la faccia! III. Ciechi! D'amore al laccio Dopo tanto volar porgon la vita, E nel par d'occhi d'una figlia d'Eva Chiudon tanta di ciel brama infinita! Come farfalle improvvide Ardon girando intorno A la face d'amor sempre funesta, E cui picciol soggiorno Parve la terra e l'universo un gioco, A un mal vegliato talamo Legan lor fato; e la condanna è questa. _(Parte del coro come sopra)_ Urlate, urlate, urlate. Voi che d'adultero Foco d'amor bruciate! Noi per quest'aria nera Tessiam la ridda agli orridi Fischi de la bufera. _(S'allontanano fragorosamente mentre il turbine va poco a poco cessando.)_ SCENA II. FRANCESCA, PAOLO. FRANCESCA O supplizio, o tormento, o interminato Amor! _(Silenzio)_ Tu sei muto così! Non hai Più parole per me! Quanto aspettammo Questo istante di tregua! Ecco, già tace Il turbine infernal. Traggo dal petto A fatica il respir! Dio dei soffrenti Abbi di noi pietà! PAOLO Dio? non intende La nostra voce: il dolor nostro è eterno, Siccome eterno è il nostro amore! FRANCESCA Oh! taci, Non parlarmi così! Morta al cor mio La speranza non è. Dio non potrebbe Eternamente condannare al pianto Chi tanto amò sopra la terra. Oh! lascia Che il suo perdon, che la sua grazia implori! PAOLO Se giusto ei fosse, ai prieghi tuoi, già tempo, Piegata avria la sua pietà! Chiamata A le sedi del cielo, a le lucenti Glorie del paradiso avria te sola, Amatissima donna; e il soffrir mio Fatto avria ben dei nostri falli ammenda. Dei nostri falli! e che diss'io? Qual lieve Nube di colpa a l'alma tua fè velo Nei bei giorni terreni? Io solo, io solo Rovesciai la fraterna ira sul tuo Capo infelice, io ne la mia sciagura, Nel mio morir, nel mio supplizio eterno Crudelmente t'avvolsi, e questa è pena, Che la mia disperata anima addenta Così, che nulla in paragon può darmi Pena maggior l'inferno tutto e il cielo. FRANCESCA Crudel mi sei! Pari a la tua non m'arse Lunga, ostinata, immensa fiamma il petto? Del mio pensier, dei sogni miei, dei miei Fati, del viver mio tutto il governo Amor non ebbe, amor secreto e grande Come Iddio, che ai mortali occhi si cela E tutto regge e ad ogni cosa impera? A l'amor tuo tutto io non diedi? Ah! indarno T'illude il core, o invan me illuder tenti! Se colpa è amore, ambi siam rei. Ma il petto Chiuder non posso a la speranza, sai; Fiamma d'amor, quantunque iniqua, eterna Pena non porta da quel Dio, che tanto Per nostro amor sofferse in terra! PAOLO Iniqua La nostra fiamma? Ahi no! Del fratel mio Prima io ti vidi, e pria di lui t'amai. Primo, possente, unico amor gran tempo Mi regnavi ne l'alma; arbitra sola Dei giorni miei, del mio destin compagna Mi venia nei cimenti e nei trionfi La bellissima tua virginea forma, E di valore, di pietà, di tutte Virtudi adorno, invidïato esemplo Agl'italici prenci e al popol caro Mi rese ella, ella sola! FRANCESCA O rimembranze De la terra, o dolore! PAOLO Era il tramonto, Ti sovvien di quel giorno, era il tramonto; Terso era il ciel, chete eran l'aure. Un'onda D'armonie, di fragranze era d'intorno Ai lucidi giardini. Ai consueti Raccoglimenti.... FRANCESCA Ai miei sogni d'amore.... PAOLO Chiusa nel tuo modesto abito bruno Bellissima venivi. Io muto, ansante, Fra' rami occulto dei furtivi aranci, Seguia col guardo i tuoi passi.... FRANCESCA I miei passi. PAOLO Là, presso al tiglio t'assidesti, e.... FRANCESCA Un libro.... PAOLO Traendo, tutta nei pietosi scritti Gli occhi e l'alma intendevi. Io m'appressai, Furtivamente m'appressai: non visto Mi t'assisi da presso, e l'aria bevvi Del tuo respiro, e i tuoi palpiti intesi La prima volta..... FRANCESCA Oh! dolce istante! PAOLO Amore Mi diè coraggio; mi svelai; sul ciglio Ti spuntava una lagrima. Co 'l guardo, Con l'anima cercai quella pietosa Storia d'amor.... Su la parola istessa S'incontrâr gli occhi nostri, in un sospiro Si confuser le nostre anime; il libro... FRANCESCA Di man mi cadde.... PAOLO Io lo raccolsi; e chiusa Qui fra le braccia mie.... FRANCESCA Fra le tue braccia.... PAOLO «La bocca ti baciai tutto tremante!» FRANCESCA O disperato amor! PAOLO Chi, chi ti tolse Ai baci miei, chi ti rapì? La gioia, La speme, il mondo, l'avvenir, la vita Tutto, colui che ti fu sposo, in terra Ne tolse. FRANCESCA E tutto co 'l morir ne diede! _(Voci di demoni, e gemiti di dannati)._ SCENA III. CORO DI DEMONI, LANCIOTTO, _precedenti._ CORO Spingi, caccia, urta, arrovella L'alma rubella, Che, testè fra noi caduta, Andrà per queste eterne ombre perduta. Bieca, iraconda in vista Ecco ella vien. D'intorno Gli balla, e più l'attrista De l'oscuro soggiorno, La ricordanza de la vita orrenda. Muta, vigil, tremenda, Con la tagliente force Siegue Giustizia; al corso La sprona, e con mortifere Spire l'avvinghia e attorce, Siccome angue, il Rimorso. Spingi, caccia, urta, arrovella L'alma rubella, Che dal vizio sedotta, Viene al giudicio di Minòs tradotta. FRANCESCA Un'altra sciagurata anima piomba In quest'oscuro baratro di morte Fieramente ululando. LANCIOTTO Ella?.... Fia vero?.... _(Resta immobile)._ CORO Come avare formiche Lungo il tramite, quando Più al sole ardon le lor chete fatiche, S'annusano passando Scevre di preda, e invidiano Le piccolette miche, Ch'altri a lor tolse, e adduce Per opposto sentier con lieta pena, Così, cadute appena Da la superna luce Si scontran l'ombre e piangono La rapita a' lor guardi aria terrena. De la soave e cara Speme, dei dolci inganni Cresce vieppiù la rimembranza amara Quest'immortali affanni. Cinta di liete immagini Ride la terra avara, E il ricordo infedele Muta in dolci venture i casi acerbi. Quindi restiam: si serbi A lo strazio crudele Costui che a quella coppia Mira i silenzïosi occhi superbi. _(L'ombra di Lanciotto per avvicinarsi a Francesca)._ FRANCESCA Lanciotto!... o ciel! no, non m'inganno... PAOLO O fiera Vista! _(Coprendosi la faccia)._ FRANCESCA Fuggiam! LANCIOTTO _(Fra sè)._ Quanto mutata! FRANCESCA Il guardo Pietosamente in me figge, e parole Mormora di pietà. PAOLO Lascialo! LANCIOTTO _(Accorgendosi del fratello)._ Insieme Ancor! FRANCESCA _(Muovendogli incontro)._ No, non partir; parlami, ascolta La prece mia, non mi fuggir! men rea Son che tu credi; dei miei falli ammenda, Più che il tuo ferro, il cielo ha fatto! ah! dimmi: Placato sei? n'hai perdonato?... CORO Ei muto Resta qual sasso, e gli balenan gli occhi Cupi lampi di sdegno e di vendetta. Spingi, caccia, urta, arrovella L'alma rubella, Che dal vizio sedotta, Viene al giudizio di Minòs tradotta. FRANCESCA Deh! fermativi ancor; pietà! Ch'io senta La voce sua! N'hai perdonato? LANCIOTTO A Dio Il perdono domanda: il mio perdono Con l'amor mio morì! FRANCESCA Miseri! eterne Dunque ne l'alma tua fiamme ha lo sdegno? Eterna ruggirà sui nostri capi L'ira che bevve il sangue nostro? LANCIOTTO Eterna? E pena ha tal l'eternità che possa Al delitto adeguarsi? Ove, ove sei Tu che al mio cor tutto rapisti? Il fronte Leva, sostieni il guardo mio; di Cristo Il giudicio io precorro: io sono il vero Giudice vostro! PAOLO Il tuo brando già fece Di noi giudicio! E inulto ancor ti chiami? La tua vendetta è nel mio cor! Costei Che prima, eterna, unica amai, che fatta Felice avrei, che nata era ad amarmi, Nata a intrecciar coi miei giorni i suoi giorni Felicissimi in terra, ecco tu vedi Per tua cagion, più che per mia, travolta Nel fato mio: consorte al dolor solo A la colpa non già, costei tu vedi... E altra pena a me cerchi? Oh! ma a te noto Amor non è; non ti fu mai! LANCIOTTO Gli audaci Sensi e gli accenti e il millantar superbo Ascoltar deggio ancor? Perfidi! io sento Così de la mortale ira avvamparsi Le furie in me; così mi avventa al petto Fiamme gelose il furor mio, che mille Ben mille volte io ti vorrei ridesto A la vita mortal, perch'io potessi Mille volte sfamar dentro il tuo sangue Quest'acre, ardente, insazïata, immensa Vendetta mia, che a la mia vita insieme Spenta non s'è, ma al par s'è fatta eterna! FRANCESCA Deh! vi placate, alme infelici! Abbiamo Tanto sofferto, e soffrirem pur tanto! Abbiamo noi, più che non abbia il cielo, Di noi pietà! del suo perdon la via Forse il nostro perdon fia che ne schiuda. LANCIOTTO Perdon dal Cielo io non imploro, e questi Vili dèmoni io spregio.... CORO O abbominoso Sopra a tutti i mortali! LANCIOTTO Il ciel l'ho perso In te, perfida donna, e d'ogni pena, D'ogni supplizio è l'odio mio maggiore! _(Via tra i demoni)._ CORO Tanto dunque profonde, immortali Mette l'odio radici nel petto Di voi tristi, protervi mortali? Maledetto, maledetto, Maledetto l'amor, che è la fonte D'ogni turpe, malefico affetto! Con le rose, con gli astri a la fronte Passa il ciel, varca il mare, e sorride Ora al cielo, ora al mare, ora al monte; Or tra' sogni, or tra gli odî s'asside, Fiero e saldo, volubile e fiacco, Belve ed uomini e numi conquide; Ed incerto fra l'angelo e il ciacco, Or nel bacio di sozze megère L'orgie canta di Cipri e di Bacco, Or sul dorso di vote chimere. Tramutato in un tisico iddio, Scorda il mondo, ed ambisce alle sfere. Noi felici, cui morbo sì rio Non invade, non agita il petto; Chè alla possa in noi pari è il desio. Maledetto, maledetto, Maledetto l'amor, ch'è la brama D'ogni turpe e malefico obietto; Qui non s'ama, non s'ama, non s'ama! _(Un raggio di luce illumina a poco a poco la scena)._ FRANCESCA Veggio, parmi, un chiaror novo. PAOLO L'offesa Pupilla abbarbagliata il soffre appena. FRANCESCA Ecco, l'aria s'accheta; una tranquilla Serenità spandesi intorno... O raggio Vivissimo del cielo, o luce, o santa Luce, che nei sorgenti astri notturni E ne l'albe adorai, luce, che tutti I miei sogni sapesti e i miei dolori, Luce degli occhi miei, qual mi ti rende Nova grazia quaggiù? PAOLO Raggio di Dio, Ch'io prima vidi ed adorai negli occhi De l'amata mia donna, oh! come allora Vesti siccome allor del tuo sorriso I grandi occhi di lei; dammi ch'io veggia Costei, che al petto amaramente io serro, Chiusa nel vel de la tua luce amica, E in lei quest'infelice alma disseti Che disïosa de la luce è tanto! FRANCESCA Taci! ascolto una voce; un'armonia Non sentita finora al cor mi scende. UNA VOCE DAL CIELO O de l'ira di Dio ministri, udite, Udite e voi spirti infelici. Al fine Del dovuto supplicio oggi s'appressa Un'anima dolente. Al cielo assunta. Per decreto di Dio, sarà tra poco D'Arimino la donna. FRANCESCA Un'alma ha detto Solo un'anima?... E lui?... PAOLO Sparito è il raggio, Muta è la voce; io son felice! FRANCESCA Io tremo. _(Cade il sipario)._ ATTO SECONDO. SCENA I. FRANCESCA, PAOLO. FRANCESCA Ch'io ti lasci così! Che a le beate Sedi, a le gioie de' celesti io corra Senza di te! No, non me 'l dir; crudele Emmi ora il ciel, più che giammai! PAOLO. Felice, S'esser può qui felicità, felice, Credilo, io son. Speranza unica in terra Erami l'amor tuo, sola speranza M'è qui il vederti redimita un giorno De la luce degli angioli. FRANCESCA Lontana Da te! divisi eternamente! PAOLO Oh! acqueta L'anima generosa! Amor, per tanta Diversità di loco e di destino, Non morirà, non muterà! Sereno, Qual raggio di nascente astro, dal cielo Splender vedrò fra queste ombre il tuo fronte; Dolce, siccome balsamo di brina, Scenderà su quest'arsa alma il tuo riso; Sentirò la tua voce, udrò la santa Melodia dei celesti; e, allor che mugghia Più la bufera e mi travolve e introna, L'anima tua m'aleggerà d'intorno Qual bellissima cosa; e il dolor mio, Gli eterni affanni e l'abbandono e il cielo, Poichè tutto l'ho in te, di te sognando, Oblierò. Non piangere in tal guisa; Non disperarmi, anima cara! FRANCESCA Invano M'illudi, invan: ti leggo il cor. V'è cosa Negli occhi tuoi che s'assomiglia al pianto; Trema la voce tua, come nell'ora Del nostro ultimo addio! No, non mentirmi Questo, del cielo a me più caro assai, Dolce senso d'amor; no, tu non soffri Penar quaggiù, lungi da me! PAOLO S'io tremo, S'io piango? Di dolor sempre foriere Le lacrime non son! Mai non fui lieto, Com'or, te 'l giuro; mai nel ciel non ebbi Fede sì piena, e desiderio e brama D'adorar Lui che fino ad or sconobbi! Oh! non è ver, che inesorato o ignaro Dei nostri affanni, a sommo gli astri ei segga; Oh! ver non è, che dai superbi mari Di luce, ove l'eterno occhio si spande, Piegar si sdegni al tenebroso e mesto Destin del figlio de la creta! Io sento Tornarmi in cor dei giorni miei più belli La speranza e l'ardir; sento, siccome Nel primo dì ch'amor gli occhi mi aperse Al fulgor dei tuoi grandi occhi, una voce Che del ciel mi favella, e accende il raggio De la speranza entro il cor mio! Deserto, Credi, non resto io più, quando dal cielo Tu mi sorridi, quando in cor mi siede Speme e desio di rivederti! FRANCESCA O giorno, O speranza mia sola! E s'io potessi, Con le preghiere mie, con le cocenti Lagrime del mio core impetrar pace Al tuo capo diletto; aprir la fonte Su te de le pietose acque lustrali De la grazia divina! Appo i beati, Appo Colei che d'ogni donna intende Le pietose querele, e reca il pianto Fino al trono di Dio, piangendo sempre Genuflessa starommi; a l'odorate D'eterni gelsomini ambrosie vesti M'appiglierò; porterò al labbro i santi Lembi, e il tuo nome, l'amor nostro, i tuoi Tutti tormenti io le dirò nel pianto, Finchè a la luce, ov'io t'aspetto e invoco, Ed all'amplesso mio non ti redima! SCENA II. CORO DI DEMONI, _precedenti._ UN DEMONIO Chi prega qui? Chi del ciel parla? È dessa! La sua pena ha fornita, e il nunzio aspetta Che lontan da le nostre ombre la porti. ALTRO DEMONIO Ecco egli vien. _(Un chiarore si diffonde a poco a poco fra l'ombre e una musica dolcissima si ode risuonare in lontananza)._ SCENA III. PAOLO, FRANCESCA, L'ANGELO. FRANCESCA L'angel s'appressa: io sento L'aura celeste che l'annunzia. PAOLO È desso! (O terribile istante! Ella, ella dunque Mi lascerà!) _(Si scosta da lei per nasconderle il suo dolore)._ FRANCESCA Lasciarlo io deggio, a tanto Dolor lasciarlo? Oh! no 'l poss'io! Deserto Fra tanto strazio, al cielo in odio, in ira A sè stesso, qual mai speme e conforto Gli resterà? L'amor, la colpa, il pianto, Il morir, tutto avrà meco diviso Fuor che la gloria dei celesti? Oh! il cielo! Oh! la danza dei chiari astri, e la luce Infinita di Dio! Cinta di raggi Fra ghirlande d'elette anime io veggio La madre mia, ch'ivi m'aspetta e chiama, E di palme e di fior candidi intreccia La corona serbata a le mie chiome, La corona dei miei sogni innocenti... Oh! attendi, o madre, attendi ancor! Ch'io pianga L'ultima volta accanto a lui; ch'io volga L'ultimo addio... L'ultimo!? ah! no! L'ANGELO Di Dio Il perdono io ti reco, al ciel ti guido, E ancor non sorgi? e incerta ondeggi e tremi? _(La musica diviene più distinta e prende un tono malinconicamente celestiale)._ PAOLO Vieni al mio cor l'ultima volta! Ah! vieni Qui sul mio core; e al ciel, da cui ti mosse Carità de la mia vita infelice, Torna, vola, amor mio! Lascia ch'io pianga Per tutti io sol! Colpevol fui! Non era Cosa mortal, terrena cosa, il veggio, Degna de l'amor tuo! Se alcuna io m'ebbi Grazia da te; se ancor su queste ardenti Labbra, qui, vedi? su la bocca mia Vive lo spirto dei tuoi baci, oh! nulla Pietà dal ciel, favor di Dio non merto: Tutto ei mi diè ne l'amor tuo, nè spero Altra grazia giammai! FRANCESCA Ch'io t'abbandoni! L'ANGELO Al ciel rinunzi?... PAOLO Ah! no! siile pietoso Del tuo perdono, Angel di Dio! Non vedi, Che disperatamente ella si serra Su l'anelante mio petto, siccome Chi dà l'ultimo vale? FRANCESCA _(inginocchiandosi)._ O luminoso Abitator del paradiso, o santo Messaggiero di Dio, se mai per prova Sapesti amor, se mai de le terrene Tenebrose venture unqua ti venne Conoscenza e pietà, deh! non lasciarmi Derelitto così questo che tanto Sovra tutte le cose ebbi diletto Amatissimo capo! Amor fu tutta La colpa nostra! Amato abbiamo entrambi, Pianto entrambi abbiam noi! Raggio o sorriso Non sparse mai sul nostro cor la gioia; Ma il dolor con sue negre ali ne aggiunse Fedelissimamente, e il morir tenne Loco di maritaggi, e fu l'inferno Del nostro santo amor talamo e altare! Oh! qual favor, qual grazia oggi m'assume Al cospetto di Dio, che me da tanta Parte de l'esser mio svelle e divide? A dura prova, a strazio orrido il Cielo, Credi, questa tremante anima espone. Deh! non negar che meco ei venga! Assunto Meco al Cielo egli sia! Vedi? Mi manca Tanta virtù, che da costui che piange Eternamente io mi divida! L'ANGELO O cieche Anime! O grazia del Signor, che indarno Come fiume di luce ti diffondi Su questo capo impenitente! Amore Tu invochi? Ascolta: amor cantan le sfere. I. CORO D'ANGELI Qui dove s'incolora D'eterne rose il giorno, Fra novi astri il soggiorno Pose Colui che l'anime innamora. Amor qui regna; al sole Ei dà la luce, ei regge Gli astri nel cielo ad intrecciar carole, E al cielo, al mare, all'universo è legge. I. CORO DI DIAVOLI Liberi come il vento, Senz'amor, senza legge e senza posa, D'ogni creata cosa Noi Siam guerra e spavento. Guerra noi siam, che adduce Per la gora del mondo anima e vita; Ombra noi siam, da cui sorge infinita Brama ed amor de la siderea luce. II. CORO D'ANGELI Qui in armonia perenne Ogni sospir si muta; Qui trova eco solenne Ogni voce che al mondo erra perduta; Qui in dolce ambra odorosa, Che al sol novo scintilla, Vien mutata la lacrima pietosa Che amor da una soffrente alma distilla. II. CORO DI DIAVOLI L'aria, la terra, il mare, Tutto che vive e pensa a noi soggiace. Nostro è l'arbitrio audace Onde sorgon l'imprese inclite e chiare; Per noi servo e conquiso Non giace il vol de le coscienze ardite, Anima nostra è la feconda Lite, Virtù il dispregio, ed arma nostra il riso. III. CORO D'ANGELI Nocchier naufrago, assorto Da negre onde in tempesta, Qui ai tuoi lunghi travagli apresi un porto, Del procelloso mar la riva è questa. Qui, dov'è luce e amore, Trova ogni anima pia l'alma sorella, Ogni affanno terren mutasi in fiore, Ogni anima che amò diventa stella. FRANCESCA O dolcezze ineffabili! o celeste Melodia, che nel cor placida scende Come fioccar di mattutina neve Sovra un povero arbusto! Un dolce io sento Söavissimo spirito di pace Scorrermi per le fibre intime, e come Una memoria lungamente cara D'un ben sempre sognato e mai raggiunto, Come il ricordo d'un april fuggito Sull'ali del più bello angiol d'amore, Malinconicamente in cor mi parla La gioia d'un perduto Èden, da cui Sento che da gran tempo esule io vivo! PAOLO M'abbandona ella già! Mai non la vidi Trasfigurata in simil guisa! Al cielo Tende, a modo di stanche ali, le braccia, E nel fronte e nei cari occhi le splende La presenza del Nume! FRANCESCA Ascolta, ascolta! Odo a nome chiamarmi; il cielo io veggio, Veggio de le beate anime il coro Radïante di luce... PAOLO Ombre di morte Son su 'l mio guardo, e la bestemmia ascolto Degli infelici, a cui negato è il cielo. CORO DI BEATI Oh! venite, venite, o dolorose Anime erranti, cui l'amor flagella; Nostre son queste miti aure odorose, Nostra è la luce, ond'ogni ciel s'abbella; Nostro il tesor de l'armonie nascose, Che tempra ogni astro e ad ogni cor favella; De le plaghe del ciel nostro è ogni fiore, Nostro è il guardo di Dio, nostro è l'amore. Oh! venite, venite! E se di pianto Fu nutrito fin'oggi il vostro affetto, Qui nasce un fior, che s'alza e s'alza tanto, Che ogni astro attinge, e il fior degli astri è detto, E chi ciba di lui, quel nodo infranto Vedrà che il lega ad un terrestre obietto, E ne l' oblio d'ogni beltà finita, Saprà l'amor, la verità, la vita! FRANCESCA Obliare, obliar?... Che intesi? Il cielo Loco non ha per le memorie mie? VOCE DELLA MADRE Sorgi a l'amplesso mio, Vieni, non odi di mia voce il suono? Figlia, senza di te sola son'io; Tutto luce è nel ciel, ma cieca io sono. Piegato ha il mio pregar l'ira di Dio, Co 'l mio pianto cresciuto è il suo perdono; Vieni, diletta mia, vieni e saprai, Che amor qui sorge, e non tramonta mai. FRANCESCA O madre mia! _(All'angelo)._ Partiam, fuggiam da questa Tenebra lungi! Al ciel recami, al cielo Patria degl'infelici! Oh! vedi? Io posso Sostener la tua vista; al fin ti veggio In tutto lo splendor che ti circonda Nel paradiso. PAOLO O mia Francesca! FRANCESCA ... Un serto Di stelle fulgidissime circonda Il tuo fronte, il tuo crin, tutta è di luce La tua pura sostanza. Oh! schiudi il volo, Scoti le penne lampeggianti; mira, Io ti seguo, io m'inalzo! PAOLO O mia Francesca! FRANCESCA Chi piange qui? Chi mi rattien?... Deh! vieni Vieni tu pure, alma infelice! Iddio Ne chiuderà nel suo perdon, siccome Due piccioli, sorgenti astri, che il sole Ne l'oceano dei suoi raggi confonde. Fuggiam, fuggiam da questi lochi. Oh! mira... Ma a che, pietoso messagger, tu il guardo Luminoso da me torci, e le penne Pur dianzi aperte e lampeggianti al volo Mestamente sui lievi òmeri chiudi? Venir sola degg'io? Su questa fronte, Ch'io tanto amai, ch'io tanto amo (oh! perdona, Pietoso angiol di Dio! nel cor mi siede Quella memoria ancor, nè forse il cielo Cancellarla potria) Rispondi: eterna Su questa fronte derelitta e cara Striderà l'ira del Signor? Ch'io sappia Pria di partir... L'ANGELO Sieguimi! FRANCESCA Ah! di'... L'ANGELO Ritorno Far deggio al ciel recando il tuo rifiuto? Breve istante t'assegno. PAOLO Ah! parti, il segui, Lasciami, fuggi... FRANCESCA Oimè! PAOLO Svolgiti; addio... Eternamente! FRANCESCA Addio! PAOLO Pur, là nel cielo, Non obliarmi!... Al nostro amor talora, Al morir nostro il pensier volgi! FRANCESCA O dolci Istanti de la terra, e voi del nostro Tanto soffrir memori luoghi... addio! _(La musica risuona più dolcemente; l'angelo dispiega le ali e cinge Francesca delle sue braccia)._ PAOLO Scatenatevi, o turbini; ululate, Dèmoni e voi, spalancatevi, o abissi, Fulmina, o ciel; tutti or vi spregio e sfido, Che solo al pianto eternamente io resto! _(Mentre i demoni stanno per impadronirsi di Paolo, e Francesca stà per sollevarsi al Cielo, Lanciotto ripassa in fondo in mezzo ai diavoli)._ FRANCESCA Oh! sorreggimi al volo! È tanto grave Quest'aria, e l'ali mie son così stanche! Lascia ch'io posi anco un istante! Intorno Vedi? fiorito è questo loco... L'ANGELO Orrendo Loco di pianto e di supplizio è questo: Vieni, il ciel si dischiude... FRANCESCA Il ciel? Deserto È intorno a me; vasto deserto! Mute Son l'armonie, pallidi gli astri, estinta Ogni luce, ogni raggio... Immoto, in grembo D'una tenebra immensa, Iddio balena Terribile dagli occhi... Oh! non è questo Il ciel, l'amor questo non è! Lasciatemi, Udite? Egli è laggiù!... laggiù dal fondo Di quell'abisso piangendo ei mi chiama... Oh! la mia gloria, l'amor mio, la luce, Tutto il mio cielo in quest'abisso è chiuso! _(si stacca dalle braccia dell'Angelo e ripiomba abbandonatamente sul suolo)._ PAOLO Che fai? misera donna! eternamente Tu sei perduta!... FRANCESCA Eternamente io t'amo! _(La musica cessa d'un tratto; la bufera mugola spaventosamente, i demoni intrecciano una tregenda)._ UN DEMONIO Oh! nostra gloria onnipossente! L'ANGELO _(Coprendosi la faccia)._ Oh! amore! FINE PARTE SECONDA. (1869-72.) _Ver novum._ ALLA NATURA. per il congresso dei naturalisti tenuto in Catania. A te, diva Natura, Sorga dal petto il libero Inno più caro al ciel; Sia che remota e scura Volgi pe 'l mar de l'essere, Sia che t'assenti a noi scevra di vel. Di falsi idoli ai piedi Chinar non vuò l'indocile Fronte devota a Te! Tu che su tutto siedi, Una, diversa, onnigena, Inni e culto tu sola avrai da me. Sul tuo carro di stelle Muta procedi, e il pallio Serri al virgineo sen; Danzan leggiadre e snelle L'ore ai tuoi passi, e stendono Per le vuote regioni ampio seren. Sotto al tuo ferreo trono, Come bendate vittime Presso il fumante altar, Servi e costretti sono L'ire dei nembi e i fulmini, E le insidie e i selvaggi odî del mar. Tu parli, e pe' profondi Spazî fecondo s'agita Il tuo soffio vital; Sorgon pianeti e mondi Ad intrecciar le lucide Danze intorno a la tua fronte immortal. Fremi, e dai morti abissi Balzan vulcani, e mugola Il riverso oceàn; Cadon confusi e scissi Mondi e pianeti, e placida Tu sui lampi passeggi e l'uragan. Ma allor che sulla bocca Passa qual raggio d'iride, Un tuo riso gentil, Amor che i dardi scocca, L'alme raccende, e il fremito Sente la terra del fiorito april. Così tu regni. Poco È al tuo possente imperio Il vuoto e l'avvenir; Son tuo trastullo e gioco Gli astri, gli abissi, i secoli, L'albe e i tramonti, il vivere e il morir! Salve! Dal carcer nero Ove, superbi Enceladi, Veniam teco a tenzon, Al tuo nume severo Prostro io la faccia, e trepida Alzo la voce de la mia canzon! Salve! Se lieta e pia Mai concedesti a l'italo Genio un tuo raggio sol, Or da' che questa mia Natante isola il fulgido Serto rinnovi, e levi inclita il vol. Mira! Al tuo culto eletti Qui manda Ausonia i provvidi Figli del suo saper; Da sacro amor costretti, La vasta ombra d'Empedocle Dal fumante li chiama ampio crater. Sorridi a noi, sorridi, O dea, sia che da l'Etna T'amiamo oggi invocar, O dai petrosi lidi, Ove fuggente e pavido Scagliossi il poveretto Aci nel mar. Vedremo ai tuoi benigni Lumi svelar più docili Tesori il Mongibel: Quanti ha zolfi e macigni E immonde scorie e fumide Sabbie e insoluto al sol manto di gel. Dai vorticosi balli Verrà l'onda del Càmmaro Queta a lambirti il piè; Di conche e di coralli Ne verseran le Najadi Dai ricolmi canestri ardua mercè. Allor d'alti portenti Risplenderà più vivido L'invidïato allôr; E a le stupite genti Schiuderà il Genio italico Nuovi Olimpi di gloria e di splendor! A FRANCESCO DALL'ONGARO nel dedicargli una tragedia. EPISTOLA. Se dai lirici voli, a cui seconda Spirò l'itala Musa, or mi raccolgo, E allaccio al piede il Sofoclèo coturno, Tu da' vènia al poeta. Instabil alma Diè natura al mio petto; e s'or m'aggiro Spensierato pe' campi a coglier fiori, Or pensoso d'amor canto a le stelle, M'è pur caro talor spinger fra' nembi La musa, o tra l'impure ansie del mondo Incorrotta portar l'alma e la cetra. Dirai: Perchè de la plaudente scena Paventasti il cimento? Arguto senno D'accigliato Aristarco esalta indarno Opra che pria non allettò gli orecchi (Sien lunghi pur!) di Frine e di Narciso. Ben hai ragion: Melpomene non balla Su polverosi tavolini al lume Di lucignoli incerti, e non si pregia Star tra vecchi scaffali a pigliar mosche Nel regal manto che le tesse Aragne. Ma vuoi tu, d'eleganti attici sali Maestro e caro de le muse alunno, Vuoi che la sacra libertà de' carmi E le leggi, ond'ha vita unica il Bello, Vil strumento sien fatte a l'irrequiete Voglie e al capriccio de l'istabil Moda? O vuoi, che quanto mi mandò da l'alto L'invisibile Genio, e la severa Arte ridusse a non fallibil norma, Come vecchia libbréa scorci e rimendi Perchè s'attagli a le gibbose terga D'un vecchio Davo, o d'un urlante Oreste? Non dissimulo il ver: vanto non cerca Di ritte chiome e di donneschi aborti La mia povera Musa, e la fallace Scena paventa, ove con acre frizzo Di sconce salse e di stranieri aromi Stuzzicar dee lo stomacato senso D'egri mariti e di svagate dame. Ben qui morto non è (volgan la punta Le malediche lingue ad altri obietti) Il gusto almo de l'arte: e se a le stelle Balza Macrino a furia di gazzette, Macrin, che tramutò l'itala scena In orrendo covil d'egizia maga, Direm, che sol di pane e di circensi Uopo han l'itale genti? o che distrutti Sono i tripodi sacri e l'auree bende, Onde culto solenne ebbero un giorno L'arti vaganti dal natio Cefiso? Lascia, che dal polmon fradicio e stucco Tragga il tempo un sospir: vedrai per l'aria Tante aurate scoppiar bolle e vesciche, Ch'astri parvero al vulgo; e a lui, che indarno Del carro de la fama unse le ruote, Restar di tanti plausi e tanti allori, Appena appena un ciondolin sul petto. A sciocca plebe, che s'allegra al lazzo D'osceno Stenterello, e piange agli urli De l'omicida frenesia d'Orlando, Melpomene s'invola; e benchè molti Sdegnosi petti e non corrotti ingegni Al severo suo culto ardan devoti, Qual ne trarrem giammai pregio e decoro, Se qual zingara abietta erra pe 'l mondo L'arte di Roscio, e divien Roscio istesso Mercatante di laudi e di quattrini? Però non slaccerà l'arduo coturno La mia tragica Musa, e tu, cortese, Del favor tuo l'affida. I casi udrai Di Manfredi infelice; e se di sacra Ira, più che di pianto, illustre obietto Ti fia l'alta sua fine, ed all'inulta Ombra tesor darò d'itali sdegni Contro l'invitta tirannia di Roma, Vano non fia che mi si schiuda un giorno L'ambito onor de la redenta scena. Tu, quando a l'ara de le Grazie, intatto Sacerdote, t'appressi, o sia che aspergi Di doriche fragranze il patrio stile, O ver che a le dormenti api di Flora Con astuzia gentil sottraggi i fiori, che le perle de la tua laguna A le propizie Dee volgi in monile, Deh! se mai ti fui caro, al sacro rito Me non ultimo accogli, e men dolente Vita mi prega! Chè se neri e torti Fia che ne mandi il ciel sempre i destini, Miglior senno allor fia frangere a' sassi L'arguta lira e il tragico pugnale, E con la larva di Talìa sul volto Ridere almen degli altri e di me stesso! A MADONINA. Ben sovra i fior d'aprile Care ti son le rose, O fanciulla gentile, Cui de le rose al pari I versi anco son cari. Tra le nitide foglie Le sue perle odorose La mite alba raccoglie; E succhi e miele insieme La parca ape ne spreme. Così, se fra le belle Labbra tu chiudi e suggi Le foglie tenerelle, Tesor d'aërei cibi Ne traggi e ne delibi. E dentro al cor, converso Da un Dio, per cui ti struggi, L'umor succhiato in verso, Dolce e fragrante il detto Sgorga dal vergin petto. Io per la bionda riva D'Arno, pensoso e solo M'aggiro, e al cor m'è viva Qualche memoria e il nero Fiore del mio pensiero. Ma spesso a l'ora bruna Torno furtivo a volo Sovra la tua laguna, E a te chiedo, o pietosa, Qualche foglia di rosa. UN ASTRO. Ella dicea: Da questa ultima e bruna Terra, ov'io traggo i dì sola e dolente, L'astro io ti chiamo della mia fortuna, Pietoso astro nascente. Ed or che lungi dal mio patrio tetto Come rondine io vo' di lido in lido, A te rivolgo il mio segreto affetto, Con te piango, o sorrido. Ai misteri del ciel mi spingo ardita, Erro i campi dell'aria, e mi confondo: Chi sa, se un sol tu sei, luce infinita, Se sei tu solo un mondo! Forse lontane da quest'aure impure Hanno l'anime in te gaudio perenne; Occhio eterno del ciel, potessi io pure A te drizzar le penne; E scosso il peso del natio dolore, Ond'io vivo quaggiù stanca e delusa, Circonfondermi anch'io del tuo splendore, Essere in te confusa! E con l'arcana melodia, che ignora Sol nel mondo l'abietta alma e la rea, Così a la giovinetta anima allora Il bianco astro dicea: Solo, al pari di te, per questa eterna Solitudine io vo' nel ciel disperso, Nè la vita mi giova e la superna Luce che intorno io verso. Ah! non sai tu, ch'ogni creata cosa, Come provvide il ciel, sente e favella? Ch'à linguaggio d'amor l'astro e la rosa, La brina e la procella? Giovinetta, a te caro è in su la sera Questo cielo ov'io splendo, ed io frattanto Lascerei questa luce e questa sfera Sol per venirti accanto; E il mio fato obliando e i raggi miei, Del tuo mondo sfidar gli affanni e l'ire, Solo un giorno per te viver vorrei, Dir: t'amo, e poi morire. CARA SE VUOI SAPER... Cara, se vuoi saper perchè s'apprende Tanta dagli occhi tuoi fiamma al mio core, Dimmi pria, perchè in ciel l'astro risplende, Perchè va l'ape al fiore. Cara, se vuoi saper quanta dolcezza Mi sia l'amor che tu mi dai cotanto, Chiedilo al fior, che a la notturna brezza Leva lo stelo affranto; Chiedilo a l'uccellin che mesto e solo Pellegrinando errò tanto paese, E sul cader del dì raccoglie il volo Nel suo nido cortese. Cara, se vuoi saper quanto sia forte L'amor che lega i nostri dì fugaci, Niun mai dir te 'l potrà fuor che la morte, Niun mai fuor che i miei baci. Oh! che colpa abbiam noi, se ogni soletta Alma amor cerca per gentil costume? Se va l'albe a cercar l'allodoletta, E la farfalla il lume? L' amore, il nostro amor, cara fanciulla, Gioie saprà trovarci anche nel lutto: Ci cullerem, come l'alcion si culla Sul tempestoso flutto. ALLE LUCCIOLE. O mobili e viventi Atomi luminosi, Che pe' cheti riposi De le notti silenti, Muovete in fra le siepi Degli orti e dei presépi; O lucciole errabonde Che mi girate intorno, Da queste, ov'io soggiorno, De l'Arno ospiti sponde, A lei la mente io giro, Che un dì fu il mio sospiro. Con infantil costume Pei taciti vïali Ella seguiavi, e l'ali V'invidiava e il lume, Che non diè il fato rio A noi, simili a Dio. Pe 'l verdeggiante piano Noi vagavam co 'l vento, Angioli d'un momento, Tenendoci per mano; E gl'istanti fugaci Numeravam coi baci. Tutto or passò! Le infide Gioie annerì l'oblio; E forse al nome mio Pensando, ella sorride; Sorride, ed io frattanto Sogno d'un'altra accanto. D'una, che ha neri e belli Tutti amor gli occhi, ed una Sera mi diè la bruna Ciocca dei suoi capelli; D'una che ancor può darmi Le illusïoni e i carmi. Io di lusinghe aurata Non tesserò catena A quella sua serena Anima innamorata, Chè poveretto e lasso Sovra la terra io passo. Che val? Com'ape o uccello Che va di ramo in fiore, Passa su noi l'amore, Che, perchè ha l'ali, è bello; Ha l'ali e il miel raccoglie De le più dolci foglie. Ma questa ora fiorita Che sopra il cor mi vola, Questa ricchezza sola Dar posso a la sua vita: Fulgor d'oro e di tede Altri le dia, se il chiede. Quest'ora è mia; m'accende Amor l'alma e son vivo; Siccome il fuggitivo Foco che in voi risplende, Quest'ora è il mio tesoro, O lucciolette d'oro. Qualor, pensoso, al tardo Raggio degli astri incerti, Fra questi olmi deserti Al vostro lume io guardo, Al buio orrido immenso E a nostra sorte io penso. Chi sa? Forse de l'erbe, A cui movete in giro, Far credete un empiro, O picciole superbe, Spaziando inclite e belle Ad emular le stelle. Chi sa? Simili a voi Forse non siam? Non siamo Tutti, gorilla o Adamo, Codarde anime o eroi, Fuggevoli scintille, Che morte spegne a mille? Come iridate bolle, Che dal veron sublime Il fanciullino esprime, Tal noi su queste zolle Lancia per suo trastullo Dio, l'eterno fanciullo. Lieti del fatuo raggio Ch'abbiamo entro al pensiero, Pe 'l mare ampio del vero Crediam muover vïaggio, Ma ognun s'agita e culla Nel mar del proprio nulla. O lucciolette, io, quando Siccome gemme alate Pe 'l bruno aer volate, A l'esser mio pensando E al baglior vostro infido, Pianger vorrei; ma rido. A GISELDA. Co 'l raggio dei veglianti astri, co 'l raggio De la candida luna, io ti saluto, Dolce sospiro mio! Veglian le stelle Come l'anima mia; scema è la luna Come la fronte de la mia speranza. Pur benedetto il dì che dentro al core, Palpitommi il tuo sguardo, e benedetta La furtiva parola e il bacio primo, Che di perpetuo amor l'alme ne avvinse, E benedetti ad uno ad un gli affanni, Ch'io per te soffro e soffrirò! Tal cosa, Cara, tal cosa è l'amor mio, che nullo O sgomento o pietà dammi di questa Misera vita, che a tant'ira è segno, Chè anzi maggior di tutte ire mi rende, E miglior di me stesso e più superbo! Ma qualor da lontan miro la stanza, Ove a me nota ed al dolor tu vivi, E rovesciar sul tuo capo infelice Sento il fiel di tant'alme e tanta parte De le tempeste mie, con fiero istinto Guardo al viver mio vano, e spegner tutto, Come vil face, l'esser mio vorrei! Odi, Giselda, e non ti faccia inganno L'amor tuo santo, e la pietà ch'ài molta Pei miei giorni infelici! Una secreta Tenebra di dolor gravita e pende Su 'l capo mio. Qual essa sia, qual fonte Abbia il mio pianto e quali abissi il core, Nè il so, nè il cerco. Una paura io sento Fredda, crudel, ch'esser potria rimorso, Se delitti avess'io! Morta è la fede, Morta è la gioia in me: sorride e spera Altri ove io piango; un'incessante, inqueta Smania mi caccia; dove i passi io volga Non trovo, e ciò che non è tedio o sdegno, Dentro a l'anima mia diventa affanno. Per non segnato ciel, per mondi ignoti, Straniero al mondo, erra il mio spirto in cerca Di non viste fantasme; e aspetto, e impreco, Ed or me stesso, or pazzi gli altri estimo. Solo sull'orlo a questo vuoto immenso Che universo si noma, a cui, se dànno Luce tant'astri è per mirar nostr'ombra, Muto, tremante e derelitto io pendo, O ch'io deggia anzi tempo entro gli abissi Gittar questo d'affanni e di memorie Penosissimo incarco, o ver dal tempo Trascinar là mi lasci ove, se cosa Resta di noi, rider di noi potremo. Sorger vedo a me innanzi un'incompresa Larva di Dio, che di me stesso è l'ombra, E fra un mar d'infecondi atomi e un suono Che dir non so se sia pianto o sorriso, Come fra cielo e mar, veggio una candida Forma nuotar, che pensierosi e mesti Gira gli sguardi, e un'armonia diffonde Che al suon de l'aure e al tuo parlar somiglia. Che vuoi tu, che vuoi tu, candido sogno Del viver mio; speranza ultima e bella Dei giorni miei, qual porto mai, qual riva, Qual riposo avrem noi? Zolle pietose Di quest'isola mia, lidi lontani, Vergini selve, intatti boschi, or date Date ghirlande a me! L'amor che sorge Fra le tenebre mie, l'amor che solo Splende dentro al cor mio, vorria d'un fiato Fare april su la terra, eterno aprile Sugli abissi del mar. D'astri e di fiori Tesser vuo' intorno a lei tessere un velo, Che ravvolga e profumi il paradiso De le nostre speranze; un vel che tutta Chiuda la vita in un sospir, la terra In un sol guardo, in un momento solo L'eternità: tessere un velo, un mondo Popolato di sogni, ove sian l'alme Sensibil cosa, e lingua unica i baci, E Dio la colpa, e voluttà il morire! Ma qual astro e qual fior ride al deserto Tramite mio? Come vestir di rose La tua vita io potrò, dolce ed amaro Strazio e conforto mio? L'anima, il cielo, (Se tal fede ebbi mai) la gloria, il regno De la morte e del nulla, unico asilo Ove riposo a tanti mali io spero, Tutto io darei per te! Se cosa vile Capir l'alma potesse, io fino all'onta Fino al delitto scenderei, pur ch'alto Sopra gli affanni altrui segga il tuo core E il tuo cor presso al mio! Crudel talvolta L'amor mi fa! Se al voler mio conforme Fosse il poter, questo vedresti a un punto Civile ordin distrutto, e l'uomo ignudo Errar nei boschi a disputar la ghianda Ai più forti di lui. Lacci e catene Per fiero istinto di vendetta e d'ira Contro noi stessi ci tessiam; di pazze Larve e d'ombre mendaci e di paure Ingombriam l'alme nostre, e qual più geme E men leva la fronte al reo flagello Quel virtuoso è più! Voto fantasma, Virtù, vana parola, ove altro serto Che di spine non hai, s'altra promessa Dar non sai che del ciel, su questa terra Che l'ossa nostre, e l'alme forse, inghiotte, Nel nome de l'amor, ti maledico! Perdona, anima cara. Empio e crudele Suona il mio dir; ma de le mie sventure Vil lamento io non movo. Ad uno ad uno Vidi cader da la mia fronte i fiori De le speranze mie; morto il sorriso De la rosea salute; e magra e lenta Co' suoi voti bisogni, al fianco mio L'abbominosa povertà s'asside. Divorai muto il pianto, e muto io tolsi Le mie sciagure, e le torrò. Di strane Non comprese speranze il canto aspersi, E plauso ebbi di vate, e alcun non seppe, Che chiusa avea la speme e il doman morto Chi altrui la speme e l'avvenir schiudea. Tal io t'apparvi in pria: l'amor mi rese Debol sì, ma non tal ch'altri conosca Fuor di te il dolor mio: d'invidia degno Esser io vuo', non di pietà. S'io prego, S'io mi querelo e maledico e piango, Egli è solo per te! Povera barca Senza temo, nè vela, a l'onde in preda. Correr meco vuoi tu la fredda, immensa Solitudin dei miei fati infelici? Insanguinar le delicate piante Sovra i triboli miei? Sparger commisto Al mio pianto il tuo pianto, e temprar l'ira Che mi bolle nel cor negra e funesta, Co 'l dir pietoso, ed affrenar co' baci L'empia bestemmia, che dal labbro irrompe Su questa terra senza april, su questi Uomini senza cor, ciel senza Dio? Deh! ascolta anima cara; e se tant'alto Amor ti parla, che dolente e solo L'alma tua rara non sostien ch'io viva, Vieni, ah! vieni al mio cor, tergi il mio pianto, Dolcezza unica mia! Le braccia io tendo A te, come il nocchier le tende al porto; Schiudo io l'anima a te, come a la pioggia S'apre la terra, il fiore a la rugiada. La notte agli astri e il duro verno al sole. Vieni, ah! vieni al mio cor, tergi il mio pianto Speranza unica mia! Finchè a me splende Raggio di sol negli occhi, entro al mio petto Splenderan gli occhi tuoi; stanchi d'amplessi Le mie braccia cadran, quando a l'amplesso S'apriran de la morte, e freddi a un tempo Taceran le mie labbra e i baci miei! Vieni ah! vieni al mio cor, tergi il mio pianto, Compagna unica mia! Da questi lidi Ricchi di fior', ma di bei sensi avari, Muoverem lungi un dì, muoverem soli Coi nostri affanni e il nostro amor! Vedrai Quanto de l'ire altrui, del soffrir mio Dispregio io serbi; e che fra tanti affanni Sol non avrò questa virtù perduta Di portar l'amor mio ne l'urna invitto. UN GIUNCO. Sol soletto a la gioconda Fresca brezza del mattin Trema un giunco in su la sponda D'un argenteo ruscellin. Dentro al suol per via romita Lieto ei sugge il fresco umor, Nè gli cal se la sua vita Non ha fronda e non ha fior. Scherza il rivo a lui d'intorno. Sopra lui sorride il ciel; Guarda ei l'onda e notte e giorno, Ma fin lei non va il suo stel. Fresca, tersa e cristallina L'onda volvesi al suo piè; Lento lento egli si china, E par chiegga a lei mercè. Verso l'onda, verso il rivo Più si china e notte e dì, Già il saetta il raggio estivo, Già il suo verde inaridì; China, china, e dolce invito Nel fuggir l'onda gli fa; Purchè a l'onda ei muoia unito Lascia il suolo e al mar sen va. Su quell'onda a l'aer nero Un pietoso astro brillò; Venne a l'alba un capinero, E così così cantò: Amor mio, dolce amor mio, Come il giunco io vuo' languir, Come il giunco in grembo al rio Vuo' baciarti e poi morir. NEL NATALE. La cornamusa del natal, la mesta Musica dei pastori, Vien sotto al mio balcon, viene, e mi desta Coi mattutini albori. Malinconico, incerto a l'aure vane Nuota quel pio concento; Uggiola per le vie rigide il cane, Fischia ai miei vetri il vento. Care gioie infantili, aurei fantasmi De la mia prima aurora, Ingenue fedi, ardenti entusïasmi, Morti non siete ancora. Veggio al mio freddo letticciol d'intorno Danzar la mia speranza; Torna a le rose ch'io sognava un giorno La giovanil fragranza; Piove un balsamo pio sovra ai mortali Sensi del mio dolore; Sento aleggiar sui tiepidi guanciali Il mio sogno d'amore. Corre un'aura di ciel dentro a l'amato Guardo che il cor mi tocca, E la vaghezza d'un gentil peccato Gli freme in su la bocca. Vieni, oh! vieni, amor mio, lieve siccome Foglia di fior sul rivo; Chiuderò fra le tue nitide chiome Il mio bacio furtivo. Vieni, saprai perchè distrugge il sole Le brume a la foresta, E perchè al suono de le tue parole Arde quest'alma mesta. Ma il suon cessò. Da lo spiraglio incerto Manda l'alba il suo lume; Lascianmi i sogni miei freddo e deserto Su l'incresciose piume. Cessò quel suono. Io derelitto e muto Co 'l mio dolor rimango... Caro amor mio, ti mando il mio saluto, Bacio i tuoi fogli, e piango. TEDIO. Con la foglia che cade Dal derelitto ramo, Coi fiori e le rugiade Cader cader io bramo; Cader rapido o lento Come mi caccia il vento. De le stagioni al volo Muta ogni cosa: or veste April di fiori il suolo, Or di nevi e tempeste Mugghiante, orrida piena Il verno irto scatena; Ma torba, inerte, occulta Qual'onda al sole ignota, Entro al tedio sepulta Sta la mia vita immota, E di fastidio indegno Sento morir l'ingegno. Oh! a questo viver vano Date le stelle e i fiori, L'ali dell'uragano, Dell'iride i colori, La possa al genio mio D'un dèmone o d'un Dio! Del vasto essere in grembo Turbinar voglio un'ora, Co 'l zeffiro o col nembo, Con gli astri o con l'aurora, Di sol cinto di gelo Correr la terra e il cielo. Poi stanco d'odî e d'ire, Di gioie e di tormenti Sognar, cader, sparire Con le stelle cadenti, Sognar, morir sul core Del mio lontano amore. IO LE DICEA TREMANDO... Io le dicea tremando: Altra, già il sai, Ricchezza altra io non ho, fuor che il tuo core, Altra luce non ho fuor che i tuoi rai, Altra fede non ho tranne l'amore. Scrollava ella al mio dir la bionda testa, Qual chi creder vorria nè crede a nulla, E ripetea tra sorridente e mesta: L'abbandonaste voi quella fanciulla? — Che t'importa di lei? L'aura solinga Che susurra al tuo crin, fugge dal fiore, Cade con l'alba la stella raminga, E in un sorgente amor cade un amore. Che t'importa di lei? Rapide e brevi Son tutte cose come il tuo sospiro; Siccome albe e tramonti, aprili e nevi, Pur gli affetti del cor vengono in giro. Oh! non mi dir che son vuote e fallaci Le mie promesse e i sogni miei son vani; Amami fin che puoi, dammi i tuoi baci, E mi sia chiuso il ciel, morto il domani. — Io tacqui. Sui pensosi occhi di lei Brillava il pianto, e pur dicea: son lieta! Porse ardente la bocca ai baci miei, Ma non mi disse mai: t'amo, o poeta! I TUOI BACI. Su la mia stanca testa Splenda, o s'oscuri il sole, S'incoronino a festa, O si vestan di gel le verdi aiuole, Che importa a me? Più dolci e men fugaci De la luce e dei fior sono i tuoi baci. Di fulvo oro e d'alati Cocchi altri vada altero, Altri incateni i fati Per le vie de la gloria al suo destriero, Che importa a me? Più dolci e men fugaci De la gloria e de l'or sono i tuoi baci. Due ben, caro amor mio, Concesse a noi la sorte: Un bacio ed un addio, Un talamo e una fossa, amore e morte. Vana è la vita, e sono i dì fugaci, E a me dolce è il morir dopo i tuoi baci. PENSO TALOR... Penso talor: Se istabili e fallaci Fosser le tue promesse e i sogni miei, Come le perle tue falsi i tuoi baci, O cara, io riderei! Che mi fa? La cileste onda tranquilla Bacia anch'essa così l'arido lido; Così april bacia il prato, espero brilla Nel sen del flutto infido. Amor cangia e s'immuta, amor rinnova Con gli astri il fronte e con l'april la vesta; Ei nel deserto il fiorellin ritrova, L'iri ne la tempesta; Ed egli, il caro amor, di te non meno, Bello e gentil saprà trovarmi un fiore, Un guancial troverammi, un nido, un seno, Ov'io posi il mio core. E amerò sempre sempre; amerò come Quel primo dì che ti serrai sul petto; Nè morirà per imbiancar di chiome Il mio fervido affetto. Upupa o rosignol, bruco o farfalla, Sento qualcosa in me che canta e gira, Qualcosa che tra' fiori or dorme, or balla, Che ride e che sospira. Oggi re, doman servo; oggi a l'altera Rosa chiudo nel sen l'ali opaline, Doman fra' poveretti ozzimi a sera Aspetterò le brine. Penso talor così. Ma allor che gli occhi Al ciel volgo superbo e rido e canto, Sento, che assisa sovra i miei ginocchi Ella terge il mio pianto. VILLEGGIATURA. Lungi da me ten vai, Spensierata fanciulla, E cerchi i campi e l'aure Profumate d'april lungi da me; Spensierata! non sai, Che nero è il cielo e la campagna è brulla Dove l'amor non è! Sorgi, se vuoi, coi primi Raggi del sol sereno, E agl'indiscreti zeffiri Il tesoro consenti aureo del crin; Di zàgare e di timi Colma il tuo grembiuletto, ed orna il seno Fresco come il mattin. Forse allor che dai fiori Il raggio ultimo invola La sera, e al malinconico Sguardo degli astri luccica il sentier, Stanca dei lunghi errori, Avrai paura di trovarti sola Sola col tuo pensier. Un suon d'ale e di canto Per gli arbori deserti Udrai fra' campi e l'etere Un'ignota armonia d'astri e di fior, E tu soletta intanto Ricche ricche le chiome avrai di serti, Ma vôto vôto il cor. Odi! al gentil richiamo La vispa forosetta Sorge a l'aperto, e trepida Su la siepe de l'orto il suo garzon: — Oh! vieni, io t'amo, io t'amo, Lascia i silenzi de la tua casetta, Odi la mia canzon! — Tu forse allora udrai, Spensierata fanciulla, Correr per l'aure un gemito Che al solingo tuo cor parli di me, E allora, allor saprai, Che nero è il cielo e la campagna è brulla Dove l'amor non è. AUTUNNO. Sento per l'aure molli Una freschezza nova, Erra pe' campi e i colli Il dolce odor de la feconda piova; Di liete orgie e di flauti Suonan le vette amene, E, il crin cinto di grappoli, Il pampinoso autunno ecco sen viene. O fresche aure, o remoti Del caro Etna natio Boschi tranquilli e noti E presenti ogni tempo al pensier mio, Coi muti astri, coi zeffiri, Coi fior novi che io miro, Con la nube fuggevole, Con la foglia che cade io vi sospiro! Qui, dove io son, men bello Forse non ride il suolo, Cantano al dì novello Le spensierate allodolette a stuolo; Suona ogni voce a l'aure Melodïosa e cara; Cinta d'eterne glorie L'Arte qui siede, ed ogni zolla è un'ara. Ma il ciel mite e le spume Del mio lido e i sovrani Campi e il facil costume Dei miei tranquilli e semplici isolani, Ma i monti ove ancor vergine Ferve la vita, e brilla La beltà ingenua, e ingenua A par de la beltà l'Arte zampilla; Ma l'amorosa e pia Canzon cara a me tanto, Ma i miei sogni e la mia Povera mamma che m'aspetta in pianto, La mia mamma, che in vedovi Lutti racchiusa, al petto Stringe una croce, ed ulula Su la tomba del mio padre diletto, Qui, dove io sono, indarno Qual mesto esule invoco Al flutto aureo de l'Arno, A questo amor, cui tutto il ciel par poco. Oh! questo amor! Con l'anima Egli in me nacque, e come Perduta cosa, in lacrime Tanto il cercai, tanto il chiamai per nome! Or lo trovai! Lontano Dai miei lidi, soletto Egli vivea, ma invano Io no 'l chiamai, ch'egli volò al mio petto. Seco or son'io! Lasciatemi, Dolci memorie; o mio Superbo Etna, o mia povera Mamma, o diletta ombra paterna, addio! LONTANANZA. Ultimo amor de la mia vita, or come Volgono i giorni tuoi, poi che ne volle Novamente divisi il fato avverso? Io, quale infermo sognator, che assai Co 'l travolto pensier mari e paesi Visitò sorvolando, e campi lieti D'assidue primavere e monti d'oro Miro stupito, ed allegrossi al bacio Voluttuoso d'un'aërea forma Fuggitiva con gli astri, ove a l'usata Luce si svegli, doloroso intorno Mira il povero letto e qualche pio Volto che piange il dubitante amico, Io deserto così, così dolente Mi travaglio ne l'alma, or, che lontano Dai pietosi occhi tuoi, riveggio il nero Limitar de la mia stanza campestre, E solingo m'aggiro ove altra cosa Che ti guardi non è tranne il cor mio. O mio diserto amor, fu dunque un vôto Sogno la mia felicità? Ben sento Sovra la bocca mia qualcosa io sento Che di te mi favella; odo nei santi Penetrali del cor la tua promessa; Arde, sol ch'io ti nomi, arde il mio sangue Un dolce ed infinito impeto, e come Dolorosa armonia dentro mi piange Tutto l'affanno de l'estremo addio. O mio lontano amor, no, non fu vôto Sogno la mia felicità! Con queste Derelitte mie braccia io tante volte La tua snella persona al cor mi chiusi; Con queste labbra mie bevvi la vita Che spremea da le tue labbra l'amore; E il languir dei tuoi grandi occhi, e i sorgenti Ai sussulti d'amor veli negletti Con questi occhi mirai ch'or apro al pianto. O lontano amor mio, ricordi i giorni Cui diede Amor tant'ale e tante rose? Come colombe ci amavam; quest'egre Giornate mie correan rapide e belle Come raggio di luce! Ai nostri amplessi Breve era il tempo; a le speranze nostre Poca la terra; indifferente e muta Coi suoi stolti tripudi e i suoi dolori A noi dintorno discorrea la vita Senza ieri o domani; e se del cielo Mai ne sorse disio, come smarrite L'alme nostre il cercâr dentro ai nostri occhi. Dove ti cerco io più, dove tu sei, Luce e respir de la mia vita? Io sento Di quest'ultimi fiori, onde s'ingemma Il romito vïal del mio giardino, La modesta fragranza; ad uno ad uno Sorger miro i tremanti astri, ma il dolce Sospir non sento dei tuoi labbri, e in mezzo A tanti astri i tuoi mesti occhi non miro. Dove ti cerco io più, dove tu sei, Luce e respir de la mia vita? Io sorgo Mattutino con l'albe, erro pe' monti Come pazzo fantasma, e le rugiade Scintillanti su l'erbe avido io bevo, Ma dolcezza e virtù pari non hanno A le lacrime tue. Mormora il bosco Secreti inni d'augelli, occulti amori Di zeffiri e di ninfe, io dolorando Chiamo su 'l labbro mio le tue canzoni Dolcissime di tutto, e come avvolta Entro un mar d'armonie l'alma sen fugge Verso quel ciel dove tu aspetti e piangi. Oh! non pianger così! Questa ch'io vivo Da te lontan vita non è; perduta Vela per ampio mare, irto di negre Rupi e di mostri päurosi, in preda Di scatenati demoni, lontana D'ogni luce di faro e d'ogni riva, La mia vita or somiglia; e quando inqueta E tempestosa più l'anima freme, E i cari regni del passato e i neri Profondi abissi del doman vïaggia, Allor tacita più, più inerte e immota Stagna la vita mia. Fulmina il sole I suoi fervidi raggi, ed io per terra Qual vilissima cosa, immobil, muto D'altri ignaro e di me giaccio, ed aspetto Qual mai cosa non so, ch'or mi tien forma D'una candida sposa, or si tramuta In un fosco disìo che par la morte. Lascia talor dai suoi morbidi rami Qualche stella cader nitida e fresca Il mio pietoso gelsomin, l'antico Confidente dei miei sogni, e la posa Con occulta pietà su' miei capelli, Fra cui leggera e trepida intrecciossi Tante volte la tua mano, e su 'l fronte Scivolando freschissima, diffuse Mille brividi ardenti entro al mio sangue. Strani e inqueti così volgono i giorni Ch'io lontano da te vivo tra queste Luttüose pareti, ove non scherza Raggio di luce mai, dove non sorge Spirto alcuno di gioia, e vi si asside Tenebroso il silenzio, o vi si aggira Ululando una bruna ombra, che nulla Di vivente non ha tranne il dolore. Povera madre mia! Di me sol'uno, Dopo il pianto ella vive! Avria già chiusi, Senza l'amor che al viver mio consacra, I suoi vedovi giorni entro a la fossa, E raggiunto anzi tempo il cener santo Del mio padre infelice! Io la lasciai Derelitta e piangente, e a le tue braccia, De l'universo immemore, mi spinse Quell'occulta virtù, che volge al cielo Ogni pallida fiamma e a le nascenti Rose del giorno il pellegrino augello. Povera madre mia! M'aspettò tanto, Tanto pregò propizii al mio ritorno L'amor, l'onde, i celesti! Io la guardai Come straniero, allor che con le aperte Braccia al collo mi corse; ignota al core Mi suonò la sua voce; indifferente Passò sovra le mie guance il suo pianto, E se dolce parola ebbe il mio labbro, S'ebbe lagrima il ciglio, era a te vòlta La mia dolce parola e il pianto mio! Deh! perdonami, o madre! Amor s'è fatto Tal tiranno di me, che a nulla io vivo Fuor ch'ai governi suoi. Splendido e sordo Siccome fiamma voratrice, egli arde Nel petto mio; sugge il mio sangue, avvolge Tutti nel suo furor memorie e cose Ed affetti e speranze, e grande e solo Sopra il fatto deserto ei vive e regna! Pur la vita mi è cara, e nuova attingo Virtù dal pianto. Dal mio pianto io miro Sorger come una dolce iri di pace, E crescer fra le mie lacrime il fiore D'una cara speranza. Oh! tu che sai Tutta l'anima mia, tu che sol vivi De la promessa del mio cor, lontana Gioia e sol'aura che il mio cor respira, Tu quel fior con le pure aure alimenta De la tua fedeltà! Forse, o ch'io sogno Non concesse dolcezze, al nostro amplesso Presiederà quella serena e pia Divinità che da gran tempo invoco A la sorda fortuna, ed ove indegne Fian l'alme nostre del divin suo riso, La pace mia la chiederò a la morte! FINE. INDICE DEDICA _pag. 1_ PARTE PRIMA » 3 _Partenza_ » 5 _A te sola_ » 8 _Il Mandorlo_ » 12 _A Maria_ » 17 _A gentile operaia_ » 21 _Addio_ » 26 _Unica mea_ » 31 _A fanciulla inferma_ » 34 _A Ghita_ » 39 _A un segatore di pietre_ » 43 _Due fiori_ » 49 _Luna sulle nevi_ » 51 _Ad A. Salvini_ » 57 _Sole d'inverno_ » 62 _Ultimo Autunno_ » 69 INTERMEZZO » 79 _Francesca da Rimini_ » 81 PARTE SECONDA » 133 _Alla Natura_ » 135 _A Francesco dall'Ongaro_ » 141 _A Madonina_ » 147 _Un Astro_ » 150 _Cara se vuoi saper..._ » 153 _Alle Lucciole_ » 155 _A Giselda_ » 161 _Un Giunco_ » 171 _Nel Natale_ » 174 _Tedio_ » 177 _Io le dicea tremando..._ » 180 _I tuoi baci_ » 182 _Penso talor..._ » 184 _Villeggiatura_ » 187 _Autunno_ » 191 _Lontananza_ » 195 Nota del Trascrittore Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori tipografici. *** End of this LibraryBlog Digital Book "Ricordanze" *** Copyright 2023 LibraryBlog. All rights reserved.