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Title: Ricordanze
Author: Rapisardi, Mario
Language: Italian
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                               RICORDANZE


                                 VERSI

                                   DI

                            MARIO RAPISARDI



                                 PISA
                       TIPOGRAFIA FRATELLI NISTRI
                                 1872.



DEDICA


    Pallidi fiori e ciocche di capelli
      Stretti in corone e in lievi nastri avvolti,
      Cari ricordi dei miei dì più belli,
      Io vo' guardarvi, io vo' baciarvi ancor!
        Dai chiusi fogli ove voi siete accolti
      Un'eterea fragranza si diffonde,
      Ed ogni ciocca a un palpito risponde,
      E un affetto gentil chiude ogni fior.

    Ahi! di tanti sospir, d'ebbrezze tante
      Che fûr de l'alma mia parte sì viva,
      Di tante fibre del mio core infrante,
      Fuor di questi ricordi altro io non ho?
        Cari pegni d'amor, se avvien ch'io scriva,
      Ch'io pensi o canti, ch'io sorrida o gema,
      Sento che nel mio cor qualcosa trema,
      Arde qualcosa che morir non può.

    Siccome onda di rio querulo e lasso,
      Sento ch'io corro, e dove corra, ignoro;
      Ma sovra al capo mio, mentre ch'io passo.
      Qualche foglia di fior gitta l'april.
        Gitta april qualche foglia, o mirto o alloro,
      O rosa o giglio al capo mio d'intorno,
      E a sognar tosto e a vaneggiar ritorno,
      E un caro ad invocar nome gentil.



PARTE PRIMA.

(1863-69.)

                     _Brevi vivens tempore._


PARTENZA.

      Tu parti, ed io vorrei
    Essere un'aura lieve
    Ed alïarti intorno.
    Quanti profumi ha il rinascente giorno
    A te, dolce fanciulla, io recherei;
    Quanti tepori ha il maggio
    De la materna sponda
    Ti recherei su l'onda
    A far più mite il verno al tuo vïaggio.

      Allor che attinto il disïato lare,
    Ti ridurrai ne la gelosa stanza
    A rïandar le care
    Tue gioie di fanciulla
    E la dorata culla
    E gli amplessi materni e la speranza
    Che fida il cor t'inonda,
    Rondine vagabonda
    Io diventar vorrei,
    E sotto a la tua gronda
    Il nido appenderei.

      Quando ne le tacenti
    Rigide notti un timoroso affetto,
    Come a trepida lampa aura che fugge,
    Ad agitar ti vien l'anima in petto,
    E tutta päurosa
    Ne le custodi coltrici ti stringi,
    E al vigile pensier schermo non trovi,
    Io sonno esser vorrei:
    Come farfalla in giglio
    Io l'ala poserei
    Sovra il tuo roseo ciglio.

      Auretta vagabonda,
    Potrei baciarti almen la chioma bionda;
      Rondine, al primo albore
    Sul tuo balcon pispiglierei d'amore;
      Sonno, te almen potrei
    Stringer co' lacci miei.


A TE SOLA.

      Te, se fra gli splendori
    Del circo e il molle plauso
    Degli armonici cori
    Volgi, o fra le vertigini
    De l'incitata danza
    E le dolci vigilie
    E il tepor de le feste e l'esultanza.

      Te fra l'elette e belle,
    Che i tuoi fianchi incoronano
    Gareggianti donzelle,
    Come sugli astri il tremulo
    Espro o su' fior la rosa,
    Te di tutte vaghissima
    Lieta la mia saluta arpa amorosa.

      Ed esaltar vorrìa
    Il lieve fronte e il mobile
    Guardo e la melodia
    D'ogni movenza e l'ebano
    De le flüenti anella
    E il sorriso ineffabile
    E la mestizia che ti fa più bella.

      Ma dentro al cor s'intrica
    La nota, e a l'alma estatica
    Non corrisponde amica;
    Chè fra' procaci e indocili
    Labbri e l'insano ardore
    Dei guardi altrui le armoniche
    Fila son mute, e sta confuso amore.

      Ma se a l'ostel fiorito
    Riedi e al natio silenzio
    Del tuo balcon romito,
    Come da pinto calice
    Volano olezzi a mille,
    Varie da l'alma scoppiano
    Irrequïete armoniche faville.

      E tu allor mi consenti
    Un tuo sorriso a' timidi
    Del cor veleggiamenti;
    Dammi un tuo guardo, un'aura
      De l'amor tuo mi dona,
    Dammi un sol raggio etereo,
    Dammi un sol fiore de la tua corona.

      Ch'io men vo' fare un serto.
    Io men vo' fare un'òasi
    Che allieti il mio deserto;
    Men vo' tesser lievissimo
    D'auree fantasme un velo,
    E un avvenire e un gaudio
    E un altro mondo che si perda in cielo.


IL MANDORLO.

      E tu mettesti i fiori,
    mandorlo precoce,
    E tutta intorno la campagna odori.
    Qual giovinetto che ascolti la voce
    Di fanciulla che l'ami,
    Così, fido a' richiami
    De l'amica stagion che s'avvicina,
    Tu di candidi fior vesti i tuoi rami.

      Sott'esso a la pruìna
    Lenta, vedova ancor geme la valle,
    Nè sorride, per quanto occhio si stende
    Sotto al raggio del sol, fronda nè fiore.
    Tu sol, tu primo il calle
    De le deserte mie montagne allieti;
    Come a core dolente,
    A cui sorrida breve tratto amore,
    Così per lo squallore
    Dei circostanti campi,
    Al profumo innocente
    Che tu commetti a l'aura disïosa.
    Una dolcezza ascosa
    Del passegger ne l'anima discende.

      Quand'io movo pensoso
    Sotto il peso dei miei lunghi dolori
    A ricercar nei fiori
    Questa mia giovinezza che mi fugge,
    E l'anima si strugge
    A ripensar le inquiete e senza arrivo
    Agonie de la mia bruna giornata,
    E la mente affannata
    Nel sereno del ciel cerca riposo
    E nel sorriso di natura Iddio,
    Se la mite fragranza ed il festivo
    Biancheggiar di tue cime a te mi volge,
    O mandorlo innocente,
    Solitario e piangente
    Al tuo piede m'assido,
    E a quella solitudine fedele,
    Ov'è Dio che m'ascolta, il pianto affido.

      Ah! tu i fiori rimetti,
    O mandorlo precoce,
    E primavera affretti!
    Io come te solea,
    Impazïente de la tarda bruma
    Accender l'amoroso estro veloce,
    E i canti precorrea
    Degli augelli felici, e di speranza
    Vestivo il core giovinetto e il fronte,
    Pria che di fiori si vestisse il monte.

      Or mi ritorna invano
    Primavera, e su me vano s'accende
    Questo sole d'amore e questo cielo;
    Chè derelitto a stento
    Porto di questo ingombro egro il fardello,
    Cui nullo in terra a sostener m'ajuta,
    E desolato il lento
    Fianco trascino e di soffrir son stanco.
    Deh! chi l'ardor mi rende
    Dei miei vent'anni e la speranza e i sogni?
    Dio mio, Dio mio, più mai
    Dunque per me non tornerà l'aprile?
    Dunque di questa giovinezza al fiore
    Più rugiade dal ciel non manderai,
    Nè più bella e gioconda
    Verrà salute a rifiorirmi il core?
    Dio mio, tu che ridoni
    La fronda ai campi ed agli uccelli il canto,
    A questo inverno mio
    Altro conforto non darai che il pianto?
    Ahi! se così pur sempre
    Contar dovrò ne l'amarezza i giorni,
    Donami almen, mio Dio,
    Virtù, che su quest'onda
    Tempestosa che io corro,
    Mai la tua luce al guardo mio s'asconda!


A MARIA

(Nel mandarle alcuni versi.)

      Se ancor ti suona cara
    La rimembranza de l'età fuggita,
    Se ancor dolce ti suona il nome mio,
    O fanciulla romita,
    Un pensieroso fior pongo su l'ara
    Di quella illusïon prima che fugge:
    Me lo porgeva Iddio!

      E tu solinga e muta,
    Ne l'ora del crepuscolo fuggente,
    Deh! vi posa lo sguardo e pensa e prega.
    Pensierosa fanciulla,
    La mia vita è deserta, e i sogni miei
    Spariscono nel nulla!
    Nè v'è pallido fiore,
    Che m'odori la via,
    Dove come fantasima trapasso
    Con le memorie e con la croce mia,
    Nè su l'aride arene un'orma lasso.

      Tu pensa e prega! Più tu non udrai
    Del vespro ne la muta ora pensosa,
    O de la luna a' rai,
    Lontano per l'azzurro aere, gemente
    La mia nota solinga, ultimo e solo
    Conforto di mia vita!
    O fanciulla romita,
    Tu pensa e prega; quel conforto ancora
    M'è tolto, e su l'aurora!

      Tu pensa e prega! Oh! se ne' lievi aprili
    De la tua vita il pallido ricordo
    Di quell'ora innocente,
    Con cui tutte vanîr le mie speranze,
    Qual solitario fiore
    Al cor ti manderà le sue fragranze,
    O fanciulla pensosa,
    Non negarmi, sollievo ultimo a' mesti,
    Non negarmi, il tuo pianto!

      Chè se de' miei sospiri
    Uno avrà l'ala da levarsi a Dio,
    Io pregherò che di perpetue aurore
    Ridan le plaghe che il tuo cor vïaggia,
    Io pregherò che un'iri
    Di speranze incoroni il tuo sentiero,
    Io pregherò che d'ogni stilla amara
    Che versa il ciglio mio,
    Spunti una rosa che t'adombri il vero!


A GENTILE OPERAIA.

      Al sottil refe intenta,
    Passi, ingegnosa giovinetta, i giorni
    De la tua nova vita,
    Nè april coi fior t'invita,
    Nè il brumoso dicembre ti sgomenta;
    Pari ad industre formichetta, a cui
    Da l'ardente stagion non vien paura,
    E provvida e contenta
    De l'avvenir si cura.

      Assisa al limitare
    Del polito tugurio, a cui giammai
    Non volse aurea fortuna i passi infidi,
    Canti, lavori e ridi,
    E tua bellezza e il mondo e altrui non sai.
    Io, quando al tuo pudico
    Sguardo, lo sguardo mio pensoso intendo,
    A te mi volgo e dico:
      Tienti, fanciulla, i giorni
    Di tua contenta poverezza onesta,
    Tienti l'ago veloce e il fil sottile,
    Tienti il povero sajo e la modesta
    Casa, ov'han pace ed innocenza albergo!
    Chè ben provvide il ciel, s'altro tesoro,
    Fuor che di gemme e d'oro,
    Non diede a cui felici il volgo appella,
    E la soave e bella
    Serenità del cor diede al lavoro.

      A me, più che le folte
    D'eletta gioventù sale festanti,
    Ove sacre al piacere ardon le danze,
    Cara è la pace del tuo tetto umìle;
    Più che tazze spumanti
    Di splendidi banchetti
    M'è dolce il pan che su povero desco
    Divide in sulla sera
    Il pio lavoratore ai figlioletti;
    Più che beltade altera
    Di cocchi aurati e d'opulente vesti,
    M'è sacra al cor l'intera
    Laborïosa tua vita gentile;
    Più che gemma orgogliosa
    Amo l'ingenua rosa.
      Al par di te son'io
    Operaio, o fanciulla; a me le fila
    De l'inconcussa cetra,
    Come a te l'ago e il fil, permise Iddio.
    Sovr'essa io l'ingegnosa
    Tela distendo degli affetti miei,
    E il sottile dei carmi arduo lavoro
    A le sue corde affido.
    Ma come l'onda che si rompe al lido,
    S'agita nel mio cor l'anima inquieta,
    Chè di serena e lieta
    Tranquillità non diemmi il ciel tesoro,
    E fo molle di pianto il mio lavoro.
      O gentile operaia, a te di lunghe
    Albe si vesta il cielo,
    E a lunga giovinezza Iddio ti serbi!
    Negl'ignorati, acerbi
    Casi, onde afflitta è ognor la vita mia,
    Te chiamerò soventi
    Ad allegrar miei solitari giorni;
    Nè di pallido volto o di languenti
    Occhi, o di piè leggero
    A' vorticosi balli
    Te loderò, ma d'almo e di sincero
    Volto e di core allegro,
    D'umile stato e di solerzia onesta,
    Onde la madre e il genitor cadenti
    Paga di tue modeste opre sostenti.


ADDIO.

      Addio, placidi campi,
    Asil nel mio dolore;
    Dove che il passo io stampi,
    La vostra cara immagine
    Mi porterò nel core.
    A l'aere suo ridente
    Torna co 'l maggio il pellegrino uccel;
    Ritorno anch'io, benchè solo e dolente,
    Al dolce riso del mio patrio ciel.
      Addio, bruna e secreta
    Valle ove il sol si perde,
    Ove tranquilla e cheta
    Spiccia dal masso, e mormora
    L'onda fra 'l tuo bel verde;
    A l'ombra tua serena
    Stanco s'asside il povero pastor,
    E al noto suon de la silvestre avena
    Pasce la greggia, e posa il cacciator.
      Valli ridenti e clivi,
    Floridi colli, addio,
    Ove d'argentei ulivi
    File ondeggianti al zefiro
    Ombreggiano il pendio;
    Io vi saluto, o care
    Piagge, confine del fiorito pian;
    Crespo da l'aure vi careggia il mare,
    Il mar natio che ò sospirato invan.
      Da le selvose vette,
    Dal piano e da le valli
    Venite, o forosette,
    La provvida vendemmia
    A festeggiar co' balli;
    Danziam, colmiamo i nappi,
    Orniam le chiome d'ellera e di fior;
    Al dolce odor degli spremuti grappi
    Men triste il vostro addio suoni al mio cor.
      Addio; qual foglia al vento,
    Come alcïon su lago,
    Va l'infedel contento,
    E dietro a lui dileguasi
    Ogni più cara immago.
    Addio; l'ape smarrita
    Cerca tra' fiori il timo e il gelsomin;
    Io fra voi cerco la gentil mia Ghita,
    Ghita, che bruni ha gli occhi e nero il crin.
      Ah! qui non è! Dai cheti
    Colmi di sua casetta
    Fuggiro i giorni lieti,
    Qual lieto stuol di tortori
    Da la montana vetta.
    Su la finestra bruna
    Venne a posarsi, ingrato ospite, il duol;
    Siede al suo capezzal la ria Fortuna
    E giace a canto a lei sotto a un lenzuol.
      O poveretta, or dove,
    Ditelo, or dove è ita?
    Corre co 'l verno altrove,
    E va piangendo a l'aure
    La rondine romita.
    Forse ella pur solinga
    Cerca sott'altro ciel pane ed asil,
    Forse in cerca di fiori ella raminga,
    Ma più per lei non fiorirà l'april.
      O nugoletta bianca,
    Che vai pe 'l ciel turchino,
    Se mai soletta e stanca
    L'incontrerai fra' triboli
    Del suo lungo cammino,
    O nugoletta lieve,
    Sovra il capo di lei rattieni il vol;
    Chè quella fronte candida qual neve
    Non tocchi e offenda nel meriggio il sol.
      O tiepide e leggiere
    Aure di fior nutrici,
    Se a quelle trecce nere
    Non val recar le splendide
    Corone dei felici,
    Deh! le recate almeno
    Un semprevivo che non può morir,
    Le susurrate, aure pietose, in seno
    La speranza del cielo e il mio sospir.


UNICA MEA!

      Sovra un bocciòl di rosa
    Vidi un'aurea farfalla in su 'l mattino
    Posar l'ala amorosa,
    Libando i primi e più soavi odori;
    Poi su mill'altri fiori
    Del tacito giardino
    Alïando cogliea
    La dolce stilla iblea.

      Farfalla, le diss'io,
    Su cento fiori al dì tu posi il volo,
    Ma su la terra è solo
    Il fior de l'amor mio!

      Una raminga stella
    Apparir vidi al pallido occidente,
    E tremolante e bella
    Spargea di raggi nostra ombra terrena;
    Poi, come pria serena,
    Volgea tacitamente
    A illuminar lontane
    Sfere, al nostr'occhio arcane.

      O stella, le diss'io,
    Tu splendi in mille sfere, e volgi al polo,
    Ma splende per me solo
    La stella del cor mio!

      Per la campagna aprica
    Vidi un colombo candido e pietoso
    Con la sua dolce amica
    Gioir la più ridente ora del giorno.
    A lor fec'io ritorno
    Co 'l verno tempestoso,
    E morti in un amplesso
    Eran nel nido istesso.

      Colombo, io dissi allora,
    Una è come la tua chi m'innamora,
    E come te vogl'io
    Morir con l'amor mio!


A FANCIULLA INFERMA.

      Sotto a la bianca coltrice
    Del tuo polito letticiuol ti vidi,
    sofferente giovinetta, e quanta
    Pietà mi vinse da quell'ora il petto
    Del tuo stato infelice,
    Mortal labbro non dice. Era il tramonto
    E pe 'l cheto villaggio
    Incoronato del novello aprile,
    Spargean l'imbalsamata aura gli aranci.
    Cinte di fior la testa
    Reddian le allegre villanelle a schiere
    Da la vicina festa,
    Ricordando il furtivo
    Guardo d'amore e il tenero saluto
    E lo splendor de' ceri e degli arredi
    De la parata pieve
    E il patetico accento
    Del pio predicatore.
    In abito festivo
    Torna anch'esso l'assiduo zappatore,
    A cui non lieve ingombro è per la via
    L'insolito calzare;
    Su la tarda asinella
    Sen va cheto e satollo il buon pievano,
    Mentre scalzo ed ansante
    Da presso il siegue il suo fedel garzone,
    Con la verga pungente e con la voce
    L'asin sollecitando al suo padrone.

      In quell'ora di festa al tuo romito
    Casolare venn'io: dolce ai soffrenti
    Dei soffrenti è il ritrovo. Al limitare
    Corsemi incontro il povero mastino
    Adulandomi intorno
    E ai piedi miei sdraiandosi supino.
    Deserto era il cortile,
    E su l'incolta ajuola,
    Già dolce cura di tua man gentile,
    Morian le frondi e i fiori;
    Solo su l'infrequente uscio, ondeggiando
    Al dolcissimo orezzo vespertino,
    Qualche pallido fior piovea da' rami
    Il lento gelsomino.
    Pensosa e taciturna
    Al tuo vegliato capezzal sedea
    L'addolorata madre,
    Spesso volgendo il ciglio
    A una pietosa immagin di Maria,
    Che ha tra le braccia il figlio.
    Lesta intorno venia
    L'affettuosa tua sorella intesa
    Ai pietosi servigi; in su la porta
    Siede il buon genitore e sottovoce
    Ripiglia il fratellino,
    Che corre dietro all'infedel micino.

      De la lucerna al tremolante raggio
    Vidi il bianco tuo fronte e il fuggitivo
    Lume degli occhi tuoi
    E le diffuse chiome
    E l'aereo sorriso. Oh! dimmi, a quali
    Fantasime di ciel guardi e sorridi,
    Candida giovinetta?
    Qual ti lusinga mai viso e splendore
    Di sempiterni lidi,
    Che ad occhio di felici Iddio contende?
    Qual su le tacit'ali
    Invisibile a noi spirto d'amore
    Per le sedi degli astri amor t'insegna?
    Dunque di questa nova
    Primavera terrena,
    Ove più agli occhi tuoi vita non splende,
    Ne fuggirai per sempre?
    Dunque sol dura prova
    D'infinito dolore
    Degni del ciel ne rende?
    Deh! se per lunga passïon si trova
    Oltre i lacci del fango amore e luce,
    Al luminoso e santo
    Volo, o fanciulla mia, tu mi sia duce,
    Chè amore io cerco, e lungamente ho pianto!


A GHITA.

      Fior d'albicocco, mandorla non colta,
    Grappolo d'uva che s'indora al sole,
    Spiga di grano tra le foglie accolta,
    Mazzo di gelsomini e di vïole,
    Gelso che mette il fior la prima volta,
    Cestolin di ciregie e d'azzaruole,
    Mela appiòla, dattero sul ramo,
    Ghita gentil, cor del mio core, io t'amo!

      Dal muricciol de l'orto abbandonato
    Sente il rovo l'aprile e mette il fiore;
    Così dal gelo del dolor serrato
    L'aura de l'amor tuo sente il mio core.
    Rondinella che torna al nido amato,
    Posa in sul ramo e pispiglia d'amore;
    Quand'io specchio nei tuoi quest'occhi in pianto,
    Ghita gentil, dal cor mi sgorga il canto.

      Canto, ma dentro al cor lunga e secreta
    M'arde un'ansia, un desio che il cor mi sugge;
    Come vana di sogno immagin lieta,
    Ogni più cara illusïon mi fugge;
    La giovinezza mia mesta ed inquieta
    Pe 'l deserto del mondo erra e si strugge;
    Arido è il labbro mio, trepida è l'alma,
    Dolce mia Ghita, garzuolin di palma.

      Pur, finchè te vedrò, dolce e sereno
    Del mio nebbioso giorno unico raggio,
    Il desiderio del mio cor fia pieno,
    Sarà sparso d'un fiore il mio vïaggio.
    Ha le perle e i coralli il mar nel seno,
    Le notti han gli astri, ha le rugiade il maggio;
    Senza il tuo sguardo e il tuo sorriso, o pia,
    Non avria stella o fior la vita mia.

      E quando lungi dal tuo niveo fronte
    Lungi mi sbalzeran mie sorti avare,
    Uccellin diverrò che passa il monte,
    Pesce diventerò che passa il mare;
    Verrò a cercarti appo il lucido fonte,
    Girerò di tua porta al limitare;
    Muoia con gli astri, o co 'l sol nasca il giorno,
    Gentil mia Ghita, io ti verrò d'intorno.

      E se stanca una volta e infastidita
    Del vegliante amor mio ch'arde e non spera,
    Negli occhi io ti vedrò, dolce mia Ghita,
    E trar debbo in dolor la vita intera;
    Farfalla io diverrò lieve e romita,
    Che cerca i fiori al dì, la morte a sera,
    Farfalletta gentil, ch'à per costume
    Di morire girando attorno al lume.


A UN SEGATORE DI PIETRE.

      Con l'ostinato filo
    Del tuo pigro strumento
    Il duro sasso esercitando vai,
    assiduo segatore,
    Nè per sole o per vento
    Da la lunga, penosa opra ristai,
    A cui tua sorte misera ti danna,
    Ma l'egro petto e il dorso
    Sopra la sega stridula affatichi;
    Solo di quando in quando,
    A l'ardua lama agevolando il corso,
    Versi nel sasso con la bugia canna,
    Sciolta ne l'acqua la mordente arena,
    Malinconicamente mormorando
    La nota cantilena.

      Al monotono suono
    Di tua lenta fatica,
    Che la tarda del tempo opra somiglia,
    Da le mie ciglia si dilegua il miele
    Del dolcissimo sonno mattutino
    Di rosee larve apportator fedele.
    Su le tiepide piume
    Snodo le membra non ben deste ancora,
    Guizza il notturno lume
    Morente a la parete,
    Già tremano le liete
    Rose de l'alba a lo spiraglio incerto;
    Odo il festante grido
    De le rideste vie
    E il rumor lieto dei carri balzanti,
    Sento gli allegri canti
    De l'amorosa rondine che suole
    Sotto la gronda mia pendere il nido;
    A la nota bottega,
    Cantando una canzone,
    Il garzoncel s'avvia;
    Per la frequente via
    Passan belando sotto al mio balcone
    Le capre mattutine,
    E con assidua ressa
    La stridula campana de la pieve
    Chiama i fedeli a messa.

      Quindi sorgo, e tergendo
    In schietta onda la faccia,
    Schiudo i vetri custodi, e anch'io cantando
    Il nuovo aprile e il fresco aer saluto.
    Ma se da tanta immagine di cielo,
    Ove cerco di mia vita la luce,
    Pallido segatore, a te mi giro,
    Di repentino gelo
    Pensierosa tristezza il sen mi vince,
    E ne l'intimo cor gemo e sospiro:

      Quale colpa o fortuna
    A sì diverso fato obliga e preme
    Nostra dolente umanità raminga,
    Ch'altri scarno e cencioso
    Sul duro solco si travagli e sudi,
    E altri, d'ozio fastoso
    E d'opulenza e di splendor si cinga?
    Dunque è destin, che a' faticosi studi
    Più vil mercé si renda?
    E che tanta di noi parte migliore
    D'inedia eterna e di dolor languisca,
    E altri del suo soffrir gioco si prenda?

      Povero segatore, a noi non lice
    Investigar la sacra ombra che chiude
    Tanto nume di Dio. Forse la prova
    Di cotanto dolore
    E de l'onesta poverezza i pianti
    L'occulta stancheranno ira del cielo;
    Chè ormai splendida e nova
    Di santa civiltà stagion migliore
    Ne impromettono i fati. A più sublime
    Vol, non più visto altrove,
    Poggia l'umano ingegno; uguale e piana
    Da la superba cattedra discende
    A popolar convegno
    L'agevole Scïenza, e a tutti è schiusa,
    Quanta concessa è in terra,
    Felicità. Su la contesa soglia
    Più non mendica il provvido lavoro
    Di ricche orgie i rifiuti,
    Ma a sè stesso è tesoro. Ecco, vegg'io
    Co 'l vetusto patrizio il fabbro umìle
    Confondere la destra,
    E civiltà di miti usi maestra
    Chiama fra tutte genti arbitro il merto.
    Sorge dal fango, in nome
    Di Lui, che l'onorate opre fè sante,
    La derelitta povertade, e come
    Pioggia che le morenti erbe rinnova,
    Sugli adusti mortali
    Uguaglianza ed amor distendon l'ali.


DUE FIORI.

      Gittai due fiori al vento
    Due piccioletti fior da un gambo uniti;
    Girâr, girâr sui zeffiri un momento,
    Caduti son, ma non si son partiti.

      Sovra lo stesso stelo,
    Sovra la stessa zolla, a la stess'ora,
    Bevvero insiem le miti aure del cielo,
    Tremâro al nembo e salutâr l'aurora.

      Poi tolti a la serena
    Terra e dal vivo cespite recisi,
    Vissero insiem l'estrema ora terrena,
    Son morti entrambi e non si son divisi.

      E vuoi tu mai, fanciulla,
    Che lontano da te vivere io possa?
    Il destin presso a te mi diè la culla,
    Vuo' che amor presso a te mi dia la fossa.


LUNA SULLE NEVI.

      Batte il notturno vento a la campagna
    L'ondeggiante oliveto, e su le prime
    Nevi de la montagna
    Passa la fredda luna.
    Da le materne cime
    Cade la foglia inaridita e smorta,
    E de la corta vigna
    Su 'l gelido vïal saltan le lepri.
    Fra gl'ispidi ginepri de la siepe
    S'acquatta il cacciatore,
    Mentre con l'importuno
    Raglio il disturba dal vicin presepe
    Il povero asinel freddo e digiuno.

      Là su 'l romito calle,
    Dove s'incrocia la petrosa via,
    Splende la lampa tremula
    Su 'l povero altarino di Maria.
    Passa tremante e mesto il contadino
    Su 'l nodoso baston curvo le spalle;
    Dal chiuso pecorile
    Lo provoca uggiolando a la lontana
    L'indocile mastino;
    Egli guardingo passa,
    E mormora una prece e fa un inchino.

      Vede intanto da l'erta
    L'accesa fenestrella
    De la capanna misera e deserta,
    E pe 'l noto vïale allunga il passo;
    Ode il murmure incerto e la faccenda
    De la sua famigliola,
    E sente al petto lasso
    Un secreto piacer che lo consola.

      Così verso un'ignota iri di pace
    Tende l'umana vita,
    Chè sulla terra squallida e fugace
    Fiore non porta aprile
    Di salde foglie e di profumo eterno.
    Pari a larva sottile
    Di sogno mattutino
    Fugge il piacer di nostra istabil sorte,
    E perpetua ne incombe ala di verno;
    Ma da la cieca fronte
    Il mensognero vel scioglie la Morte,
    Ed al redento spirito
    Schiude del vero il libero orizzonte.

      Ah! tu dillo, o secreta
    Visitatrice del mio cor dolente,
    Dolce fanciulla aerea,
    Tu lo ridici al povero poeta!
    Che ti valse il clemente
    Riso del nostro cielo
    E il lampo degli azzurri occhi sereni
    Ed il trapunto velo
    Ed il voto d'amore, ond'eri avvinta,
    Or tu lo sai, che cinta
    Di sempiterni raggi,
    Qual fior su lago tremulo,
    L'onda d'eternità vedi e vïaggi.

      Pria che degli anni il gelo
    T'inaridisse il core,
    o pia fanciulla, a te fu caro il cielo.
    Così esotico fiore,
    Chiuso in vetro geloso, a l'aere immite
    Sporge la cima tenera,
    Cerca il suo cielo, e muore;
    Uccello doloroso
    Pellegrinante per stranio paese
    Cerca così il cortese
    Nido del suo riposo;
    Così striscia lucente
    Di fuggitiva stella
    Guizza e dilegua a la pupilla intenta;
    Oh! non dite ch'è spenta,
    Non dite ch'è per lei l'ultima sera,
    Dite che viva e bella
    Corre ad illuminar più lieta sfera.

      Io doloroso e solo
    De la memoria tua ravvivo il canto,
    E di celesti immagini
    Il mio lungo aspettar queto e consolo.
    Oh! dimmi, o pia, quanti di questi ancora
    Sono serbati a me giorni di pianto?
    Quanto per questa tenebra
    Affaticando andrò gli occhi miei lassi
    Desiderosi de l'eterna aurora?
    Ah! tu mi guardi e passi,
    Mi guardi e passi, e la serena fronte
    Al pianto mio s'imbruna . . . .
    E fischia il vento intanto, e dietro al monte
    Cade la fredda luna.


AD A. SALVINI

nel regalargli un esemplare della Palingenesi.

      A te che sai le amare.
    Gioie de l'Arte e i trepidi
    Sogni, a cui l'ardua fida ala il pensier,
      A te non fian discare
    Queste vegliate pagine,
    Che la sacra spirommi aura del Ver.
      Se da la mesta e bruna
    Vita, a più belle e vivide
    Sfere poggiare il vol seppi talor,
      È pregio e non fortuna,
    Che su 'l mio fronte pallido
    Segga una fronda di sudato allor.
      Su quelle sfere, dove
    Spiran del bello i liberi
    Entusiasmi ed è perpetuo april,
      Ivi di grazie nuove
    Talìa sorride, e d'attici
    Fiori diffonde il suo peplo gentil.
      Scherzano a lei d'intorno
    La gioia alata e il florido
    Riso d'alme serene unico re;
      A l'immortal soggiorno,
    Sacro a le Grazie ingenue,
    L'empio livor mai non appressa il piè.
      Ma la suave e mesta
    Malinconia, che l'anime
    Tempra ne l'onda d'un etereo duol,
      Cinta di bianca vesta
    Ivi s'aggira, e a l'aure
    Geme siccome vedovo usignuol.
      Ivi te vidi, o altero
    Spirto che il dotto interpreti
    Dei figli di Talìa riso immortal;
      E teco era il severo
    Genio, cui di Melpomene
    Sovra l'itale scene arma il pugnal.
      Di lieti plausi un suono,
    Dolce compenso al vigile
    Culto de l'Arte, intorno a te volò,
      E su l'etereo trono
    La sacra musa italica
    Nuova luce da' bruni occhi raggiò!
      Or m'odi. E s'io libai
    Unqua de l'alme Càriti
    Al negato a' profani inclito altar,
      Son degno, e lo mertai,
    Che tra il fragor dei plausi
    Oda tu pur ne l'alma il mio pregar.
      Lascia a le franche scene
    Le vôte larve e gli orridi
    Mostri che infame vita hanno quaggiù;
      A noi l'aure serene,
    Gli astri ed i fior consigliano
    Arte più mite e men facil virtù.
      Di fole e di chimere
    Regno non han le italiche
    Muse, d'almo pudor cinte e di vel;
      Nè soffron, che a le nere
    Trame del mondo l'improbe
    Scuse sian manto di pietà crudel.
      Osa! Ed allor che al santo
    Aere ritorni e a' limpidi
    Regni de l'Arte, unico mio sospir,
      Di' ch'io deserto in pianto
    Vivo; ma intatta e vergine
    Serbo la cetra, e m'è grato il morir.


SOLE D'INVERNO.

A C. REINA.

      Cari mi siete, o colli,
    Quando nel verno vi saluta il sole,
    Quando con l'alba tremano
    L'argentee brine su l'erbette molli,
    E su le siepi imbrunano
    Il ridestato calice
    Le tenere vïole.

      Sul tortüoso calle,
    Dove il cardo le foglie ispide muta,
    Va saltellando il passere,
    E fra il timo s'inseguon le farfalle;
    Dal povero tugurio
    Il legnajuolo affacciasi
    E il caro sol saluta.

      A la cadente porta,
    Col suo grembial più bianco de le nevi,
    Siede co 'l mento tremulo
    La vecchiarella derelitta e smorta,
    E da la ròcca tenue
    Traendo il sottil canape,
    Fila i suoi giorni brevi.

      O tu che solo allegri
    Il silenzio di mia casa infrequente,
    E d'amicizia il balsamo
    Spargi su' giorni miei dolenti ed egri,
    Godiam tra il verno gelido
    La dolce ora fuggevole
    Di questo ciel ridente.

      Forse, o chi sa? ne l'ombra
    Che lungamente mi ravvolge il core,
    Forse tra l'ansia e il dubbio,
    Che i propositi tuoi tarda ed ingombra,
    Come a quest'erbe tremule,
    Un raggio di letizia
    Ne manderà il Signore.

      E allor che queta è l'onda,
    E più belli i suoi fiori april dipinge,
    Noi lascerem quest'Etna
    E il biondo golfo e la petrosa sponda;
    E andrem sicuri e unanimi,
    Ove de l'arte il fervido
    Sogno gentil ne spinge.

      Noi cercherem la riva
    Dove più specchia il ciel l'onda tirrena,
    Dove armonia son l'aure,
    E di voci d'amor l'aura è più viva;
    Dove vestita d'iridi
    S'asside l'incantevole
    Partenopèa sirena.

      A l'inconteso corso
    Di nostra prora ardente
    Fuori de l'acqua emergono
    Gli amorosi delfin l'argenteo dorso;
    Fuggono l'onde; suonano
    L'aure, le piagge olezzano
    De l'appennin ridente.

      A te daran colori
    Il cielo azzurro e la flegrea marina,
    Le nubi del Vesuvio,
    Di Capri i lidi e di Sorrento i fiori;
    A me la fredda cetera
    Avviveran le tiepide
    Aure di Mergellina;

      E canterò. Ma dove
    Spingi il tuo volo, o instabile speranza?
    Il pianto mio dimentichi
    E i lunghi affanni e le durate prove?
    Ahi! ne la solitudine
    Di questo umano esilio
    Solo il dolore ha stanza.

      Signor, che a queste brume
    Doni del sole il provvido sorriso,
    Toglimi al dubbio gelido,
    Che a l'ingenua mia fede ammorza il lume!
    Deh! ch'io non più ne l'orrida
    Nebbia, che il cor m'intenebra,
    Gema da te diviso!

      Io rapirò l'incenso
    Di queste fragolette mattutine,
    La mite ala del zeffiro
    Che il mar cheto sorvola e il cielo immenso;
    Rapirò un raggio a l'iride
    E la sottile, argentea
    Falda di queste brine.

      E come fior che a sera
    Con le fragranze al ciel s'apre la via,
    Eterno, istabil atomo,
    Cercherò la mia sede e la mia sfera;
    Chè in mezzo a questa tenebra,
    Il veggio, il sento, o spirito,
    Non è la sede mia!


ULTIMO AUTUNNO.

      Passa il ramingo augello
    Su l'umil vigna allor che muore il giorno,
    E posa il volo a un tremulo arbuscello;
    Ma poi che mira intorno
    La campagna deserta
    E più incerta la luce a l'occidente,
    Mestamente guardando, il vol dispiega,
    E con pietoso grido
    Miglior campo procaccia e miglior nido.

      Così, già presso al fine
    Del mio fatal pellegrinaggio in terra,
    In voi fermo un istante il fianco lasso,
    Dolci colli materni,
    Di cui l'imbalsamata aura più volte
    Nel cor la fuggitiva alma contenne.
    Ma vano or tornerà vostro sorriso
    A questa vita stanca,
    E allor che al soffio de l'estremo autunno
    Cadran le foglie dal materno stelo,
    E col manto di gelo
    Si calerà da l'Etna il verno rio,
    Cadrò, cadrò pur'io,
    E calerà su me gelo di morte;
    O verdi colli, addio!

      Pur grato al cor mi scende
    Vostro tacito aspetto e la notturna
    Aura e il sorriso de le stelle incerto.
    Spesso muto e deserto, allor che trema
    Su per le argentee ulive
    Il verecondo albore
    De la luna imminente, erro il viale
    Del contiguo giardino,
    O là m'assido a canto
    D'un piccioletto fonte, arido come
    Questi occhi miei cui pur negato è il pianto.
    Quindi a la lunga io sento
    Dal vecchio campanile
    Russar querulo il gufo
    Ed ondeggiare al vento
    Del mesto legnajuol la cantilena.
    Brillano a la serena
    Le sparse lucciolette,
    Ed aggrappato al suo materno tufo,
    Il monotono trillo
    Siegue con ressa il solitario grillo.

    Allor questa noiosa
    Creta e mia vita dolorosa oblio;
    E già mi par che sciolta
    D'ogni colpa mortal la disïosa
    Ala spinga pe 'l ciel l'anima mia,
    Chiara qual sole e libera qual vento.
    Ma qual voce e lamento
    Da questa nova, luminosa via
    Chiamarmi a nome e richiamarmi io sento?
    Maria, dolce Maria,
    Non turbarmi quest'ora! Ah! ch'io non vegga
    Quei pensosi occhi tuoi, che fur già tanto
    Universo per me, ch'io non li vegga
    Per mia cagione in pianto!
    Ahi! de la vita lieta,
    Breve pur troppo e pur suave e cara,
    L'ora passò, passò qual fuggitivo
    Sonno di cacciatore;
    Lunga stagion di pianto e di dolore
    Per me seguì, per te gioia e festivo
    Fulgor di tede e amore.

      Vedi, sul labbro mio più non s'accende
    Giovin raggio di gioia, entro a la stanca
    Alma più non esulta
    La bella giovinezza,
    Ed anzi tempo la mia chioma imbianca.
    Da l'affannato petto
    Fuggì l'alma salute, e la vitale
    Aere sin la vitale aere sì cara
    Nel travagliato cor tarda discende.
    Funesta ala di notte
    D'intorno a la mia dolce arpa si stende,
    E l'auree corde son disperse e rotte.
    Sol'una ancor sol'una
    Corda rimane a la dolce arpa mia;
    E allor che ne la bruna
    Fossa cadrà quest'egra argilla oppressa;
    Si spezzerà pur essa,
    E flebilmente suonerà Maria.

      Or mi lascia, in pietà. Come a ritrovo
    Di libertà e di pace a morte, io corro;
    Nè già son'io sdegnoso
    Di mia sorte immatura,
    Nè a te, cieca Natura,
    Qual suole ignobil volgo,
    Le mie vane querele
    E il pianto mio rivolgo!
    Ben tu su noi crudele
    Sempre fosti, o Natura; e un fiore un solo
    Fior sul tramite mio mai non scordâro
    Le primavere tue vane e fugaci,
    E con sorriso amaro
    Ai lunghi affanni e a mia virtù schernisti.
    Ma se a quest'occhi miei la luce or neghi,
    Pianger debbo i tuoi soli e la tua possa?
    Forse, se omai quest'ossa
    Con muta e disperata ira calpesti,
    Speri, che intero io resti
    Nel guancial freddo de l'oscura fossa?

      A inesorate, uguali
    Leggi tu servi, e in tuoi chiusi destini
    Quel che rovini e te stessa non sai.
    Con perenne, monotona vicenda,
    Macchina cieca, per l'ombre cammini,
    E qual fosti, sarai. Ma l'immortale
    Spirto, che è raggio de l'eterna Idea,
    Libero sorge e l'infinito abbraccia,
    E in luminosa traccia
    Tutto muta e feconda e strugge e crea;
    Senza principio e fine
    Egli è tutto nel tutto e al tutto impera,
    E' prima, ei luce vera
    Che la tarda materia informa e accende
    Di senso e di pensiero,
    E da l'esilio de la terra intende
    L'occhio irrequeto al sempiterno vero.

      Ma tu, Natura, un giorno
    Tu, superba, cadrai, pari a codesta
    Scorza di fango che mi pesa intorno.
    Più non verran gli aprili
    Ad infiorarti la superba vesta,
    Nè la chiomata cresta
    Ergeran da l'immense acque i tuoi monti.
    Ecco, al ciel si confondono
    Gli sconfinati mari; orbo di rai
    Precipita dal ciel vedovo il sole;
    Schiudon le mille gole
    I terrestri vulcani; si dissolve
    A l'urto dei cadenti astri la terra;
    Fra la scomposta polve
    Distruzïon la negra ala disserra,
    E ne l'eterna notte
    Tutto ravvolve e inghiotte. Allor congiunto
    A l'universo spirito,
    Sul nulla vagherà lo spirto mio,
    Ch'è di Dio parte anch'esso, anch'esso è Dio!



INTERMEZZO.

                     _Omnia vincit amor._



FRANCESCA DA RIMINI

FANTASIA DRAMMATICA.


INTERLOCUTORI

  FRANCESCA
  PAOLO
  LANCIOTTO
  UN ANGELO

Coro d'angeli, di demoni, di beati ec.

_La scena è nell'Inferno._


ATTO PRIMO.


SCENA I.

CORO DI DEMONI.

I.

    In quest'oscuro bàratro,
      Che il vento orrido introna.
      L'eterna ira imprigiona
      L'alme, che rupper fede a l'amor primo.
      L'urta da l'alto a l'imo
      Il turbine veloce, e avvolve e caccia
      Contro a le punte, ond'è funesto il loco;
      Ma non avvien che il foco
      Spenga giammai che la lussuria accese.
      Sorge acerbo e più fiero entro al lor petto
      L'insazïato istinto,
      E, dal dolor non vinto,
      Ei cresce più quanto più il corpo è inetto.

   _(Si ode il mugghio della bufera e i gemiti dei dannati)_

    Urlate, urlate, urlate,
    Voi che d'adultero
    Foco d'amor bruciate!
    Noi per quest'aria nera
    Tessiam la ridda agli orridi
    Fischi de la bufera!

   _(Parte del coro incomincia una tregenda)_

II.

    Stolti! di tempra eterna
    Credon lor menti! Al Nume,
    Che a noi, siccome a loro, usurpa il cielo,
    Pari tengonsi in volto e in forza uguali!
    Con superbo costume
    Spronan l'anime inferme oltre i mortali
    Segni a strappar d'ogni scïenza il velo;
    Di nuove stelle in traccia
    Erran fra l'ombre ardimentosi, e quando
    Sol del momento han regno,
    L'eternità sognando,
    Per l'ignoto avvenir spingon la faccia!

III.

    Ciechi! D'amore al laccio
    Dopo tanto volar porgon la vita,
    E nel par d'occhi d'una figlia d'Eva
    Chiudon tanta di ciel brama infinita!
    Come farfalle improvvide
    Ardon girando intorno
    A la face d'amor sempre funesta,
    E cui picciol soggiorno
    Parve la terra e l'universo un gioco,
    A un mal vegliato talamo
    Legan lor fato; e la condanna è questa.

   _(Parte del coro come sopra)_

    Urlate, urlate, urlate.
    Voi che d'adultero
    Foco d'amor bruciate!
    Noi per quest'aria nera
    Tessiam la ridda agli orridi
    Fischi de la bufera.

   _(S'allontanano fragorosamente mentre il turbine va poco a poco
   cessando.)_


SCENA II.

FRANCESCA, PAOLO.


FRANCESCA

    O supplizio, o tormento, o interminato
    Amor! _(Silenzio)_
                 Tu sei muto così! Non hai
    Più parole per me! Quanto aspettammo
    Questo istante di tregua! Ecco, già tace
    Il turbine infernal. Traggo dal petto
    A fatica il respir! Dio dei soffrenti
    Abbi di noi pietà!

PAOLO

                      Dio? non intende
    La nostra voce: il dolor nostro è eterno,
    Siccome eterno è il nostro amore!

FRANCESCA

                                     Oh! taci,
    Non parlarmi così! Morta al cor mio
    La speranza non è. Dio non potrebbe
    Eternamente condannare al pianto
    Chi tanto amò sopra la terra. Oh! lascia
    Che il suo perdon, che la sua grazia implori!

PAOLO

    Se giusto ei fosse, ai prieghi tuoi, già tempo,
    Piegata avria la sua pietà! Chiamata
    A le sedi del cielo, a le lucenti
    Glorie del paradiso avria te sola,
    Amatissima donna; e il soffrir mio
    Fatto avria ben dei nostri falli ammenda.
    Dei nostri falli! e che diss'io? Qual lieve
    Nube di colpa a l'alma tua fè velo
    Nei bei giorni terreni? Io solo, io solo
    Rovesciai la fraterna ira sul tuo
    Capo infelice, io ne la mia sciagura,
    Nel mio morir, nel mio supplizio eterno
    Crudelmente t'avvolsi, e questa è pena,
    Che la mia disperata anima addenta
    Così, che nulla in paragon può darmi
    Pena maggior l'inferno tutto e il cielo.

FRANCESCA

    Crudel mi sei! Pari a la tua non m'arse
    Lunga, ostinata, immensa fiamma il petto?
    Del mio pensier, dei sogni miei, dei miei
    Fati, del viver mio tutto il governo
    Amor non ebbe, amor secreto e grande
    Come Iddio, che ai mortali occhi si cela
    E tutto regge e ad ogni cosa impera?
    A l'amor tuo tutto io non diedi? Ah! indarno
    T'illude il core, o invan me illuder tenti!
    Se colpa è amore, ambi siam rei. Ma il petto
    Chiuder non posso a la speranza, sai;
    Fiamma d'amor, quantunque iniqua, eterna
    Pena non porta da quel Dio, che tanto
    Per nostro amor sofferse in terra!

PAOLO

                                     Iniqua
    La nostra fiamma? Ahi no! Del fratel mio
    Prima io ti vidi, e pria di lui t'amai.
    Primo, possente, unico amor gran tempo
    Mi regnavi ne l'alma; arbitra sola
    Dei giorni miei, del mio destin compagna
    Mi venia nei cimenti e nei trionfi
    La bellissima tua virginea forma,
    E di valore, di pietà, di tutte
    Virtudi adorno, invidïato esemplo
    Agl'italici prenci e al popol caro
    Mi rese ella, ella sola!

FRANCESCA

                            O rimembranze
    De la terra, o dolore!

PAOLO

                          Era il tramonto,
    Ti sovvien di quel giorno, era il tramonto;
    Terso era il ciel, chete eran l'aure. Un'onda
    D'armonie, di fragranze era d'intorno
    Ai lucidi giardini. Ai consueti
    Raccoglimenti....

FRANCESCA

    Ai miei sogni d'amore....

PAOLO

    Chiusa nel tuo modesto abito bruno
    Bellissima venivi. Io muto, ansante,
    Fra' rami occulto dei furtivi aranci,
    Seguia col guardo i tuoi passi....

FRANCESCA

    I miei passi.

PAOLO

    Là, presso al tiglio t'assidesti, e....

FRANCESCA

                                         Un libro....

PAOLO

    Traendo, tutta nei pietosi scritti
    Gli occhi e l'alma intendevi. Io m'appressai,
    Furtivamente m'appressai: non visto
    Mi t'assisi da presso, e l'aria bevvi
    Del tuo respiro, e i tuoi palpiti intesi
    La prima volta.....

FRANCESCA

                     Oh! dolce istante!

PAOLO

                                        Amore
    Mi diè coraggio; mi svelai; sul ciglio
    Ti spuntava una lagrima. Co 'l guardo,
    Con l'anima cercai quella pietosa
    Storia d'amor.... Su la parola istessa
    S'incontrâr gli occhi nostri, in un sospiro
    Si confuser le nostre anime; il libro...

FRANCESCA

    Di man mi cadde....

PAOLO

                      Io lo raccolsi; e chiusa
    Qui fra le braccia mie....

FRANCESCA

    Fra le tue braccia....

PAOLO

    «La bocca ti baciai tutto tremante!»

FRANCESCA

    O disperato amor!

PAOLO

                     Chi, chi ti tolse
    Ai baci miei, chi ti rapì? La gioia,
    La speme, il mondo, l'avvenir, la vita
    Tutto, colui che ti fu sposo, in terra
    Ne tolse.

FRANCESCA

    E tutto co 'l morir ne diede!

   _(Voci di demoni, e gemiti di dannati)._


SCENA III.

CORO DI DEMONI, LANCIOTTO, _precedenti._


CORO

          Spingi, caccia, urta, arrovella
          L'alma rubella,
          Che, testè fra noi caduta,
          Andrà per queste eterne ombre perduta.
    Bieca, iraconda in vista
    Ecco ella vien. D'intorno
    Gli balla, e più l'attrista
    De l'oscuro soggiorno,
    La ricordanza de la vita orrenda.
    Muta, vigil, tremenda,
    Con la tagliente force
    Siegue Giustizia; al corso
    La sprona, e con mortifere
    Spire l'avvinghia e attorce,
    Siccome angue, il Rimorso.
    Spingi, caccia, urta, arrovella
    L'alma rubella,
    Che dal vizio sedotta,
    Viene al giudicio di Minòs tradotta.

FRANCESCA

    Un'altra sciagurata anima piomba
    In quest'oscuro baratro di morte
    Fieramente ululando.

LANCIOTTO

    Ella?.... Fia vero?....

   _(Resta immobile)._

CORO

    Come avare formiche
    Lungo il tramite, quando
    Più al sole ardon le lor chete fatiche,
    S'annusano passando
    Scevre di preda, e invidiano
    Le piccolette miche,
    Ch'altri a lor tolse, e adduce
    Per opposto sentier con lieta pena,
    Così, cadute appena
    Da la superna luce
    Si scontran l'ombre e piangono
    La rapita a' lor guardi aria terrena.
      De la soave e cara
    Speme, dei dolci inganni
    Cresce vieppiù la rimembranza amara
    Quest'immortali affanni.
    Cinta di liete immagini
    Ride la terra avara,
    E il ricordo infedele
    Muta in dolci venture i casi acerbi.
    Quindi restiam: si serbi
    A lo strazio crudele
    Costui che a quella coppia
    Mira i silenzïosi occhi superbi.

   _(L'ombra di Lanciotto per avvicinarsi a Francesca)._

FRANCESCA

    Lanciotto!... o ciel! no, non m'inganno...

PAOLO

                                            O fiera
    Vista! _(Coprendosi la faccia)._

FRANCESCA

          Fuggiam!

LANCIOTTO _(Fra sè)._

                   Quanto mutata!

FRANCESCA

                                 Il guardo
    Pietosamente in me figge, e parole
    Mormora di pietà.

PAOLO

    Lascialo!

LANCIOTTO _(Accorgendosi del fratello)._

                               Insieme
    Ancor!

FRANCESCA _(Muovendogli incontro)._

           No, non partir; parlami, ascolta
    La prece mia, non mi fuggir! men rea
    Son che tu credi; dei miei falli ammenda,
    Più che il tuo ferro, il cielo ha fatto! ah! dimmi:
    Placato sei? n'hai perdonato?...

CORO

                                    Ei muto
    Resta qual sasso, e gli balenan gli occhi
    Cupi lampi di sdegno e di vendetta.
          Spingi, caccia, urta, arrovella
          L'alma rubella,
          Che dal vizio sedotta,
          Viene al giudizio di Minòs tradotta.

FRANCESCA

    Deh! fermativi ancor; pietà! Ch'io senta
    La voce sua! N'hai perdonato?

LANCIOTTO

                                  A Dio
    Il perdono domanda: il mio perdono
    Con l'amor mio morì!

FRANCESCA

                         Miseri! eterne
    Dunque ne l'alma tua fiamme ha lo sdegno?
    Eterna ruggirà sui nostri capi
    L'ira che bevve il sangue nostro?

LANCIOTTO

                                    Eterna?
    E pena ha tal l'eternità che possa
    Al delitto adeguarsi?
                         Ove, ove sei
    Tu che al mio cor tutto rapisti? Il fronte
    Leva, sostieni il guardo mio; di Cristo
    Il giudicio io precorro: io sono il vero
    Giudice vostro!

PAOLO

                     Il tuo brando già fece
    Di noi giudicio! E inulto ancor ti chiami?
    La tua vendetta è nel mio cor! Costei
    Che prima, eterna, unica amai, che fatta
    Felice avrei, che nata era ad amarmi,
    Nata a intrecciar coi miei giorni i suoi giorni
    Felicissimi in terra, ecco tu vedi
    Per tua cagion, più che per mia, travolta
    Nel fato mio: consorte al dolor solo
    A la colpa non già, costei tu vedi...
    E altra pena a me cerchi? Oh! ma a te noto
    Amor non è; non ti fu mai!

LANCIOTTO

                                Gli audaci
    Sensi e gli accenti e il millantar superbo
    Ascoltar deggio ancor? Perfidi! io sento
    Così de la mortale ira avvamparsi
    Le furie in me; così mi avventa al petto
    Fiamme gelose il furor mio, che mille
    Ben mille volte io ti vorrei ridesto
    A la vita mortal, perch'io potessi
    Mille volte sfamar dentro il tuo sangue
    Quest'acre, ardente, insazïata, immensa
    Vendetta mia, che a la mia vita insieme
    Spenta non s'è, ma al par s'è fatta eterna!

FRANCESCA

    Deh! vi placate, alme infelici! Abbiamo
    Tanto sofferto, e soffrirem pur tanto!
    Abbiamo noi, più che non abbia il cielo,
    Di noi pietà! del suo perdon la via
    Forse il nostro perdon fia che ne schiuda.

LANCIOTTO

    Perdon dal Cielo io non imploro, e questi
    Vili dèmoni io spregio....

CORO

                              O abbominoso
    Sopra a tutti i mortali!

LANCIOTTO

                             Il ciel l'ho perso
    In te, perfida donna, e d'ogni pena,
    D'ogni supplizio è l'odio mio maggiore!

   _(Via tra i demoni)._

CORO

    Tanto dunque profonde, immortali
    Mette l'odio radici nel petto
    Di voi tristi, protervi mortali?
              Maledetto, maledetto,
          Maledetto l'amor, che è la fonte
          D'ogni turpe, malefico affetto!
    Con le rose, con gli astri a la fronte
      Passa il ciel, varca il mare, e sorride
      Ora al cielo, ora al mare, ora al monte;
    Or tra' sogni, or tra gli odî s'asside,
      Fiero e saldo, volubile e fiacco,
      Belve ed uomini e numi conquide;
    Ed incerto fra l'angelo e il ciacco,
      Or nel bacio di sozze megère
      L'orgie canta di Cipri e di Bacco,
    Or sul dorso di vote chimere.
      Tramutato in un tisico iddio,
      Scorda il mondo, ed ambisce alle sfere.
    Noi felici, cui morbo sì rio
      Non invade, non agita il petto;
      Chè alla possa in noi pari è il desio.
              Maledetto, maledetto,
          Maledetto l'amor, ch'è la brama
          D'ogni turpe e malefico obietto;
    Qui non s'ama, non s'ama, non s'ama!

   _(Un raggio di luce illumina a poco a poco la scena)._

FRANCESCA

    Veggio, parmi, un chiaror novo.

PAOLO

                                  L'offesa
    Pupilla abbarbagliata il soffre appena.

FRANCESCA

    Ecco, l'aria s'accheta; una tranquilla
    Serenità spandesi intorno... O raggio
    Vivissimo del cielo, o luce, o santa
    Luce, che nei sorgenti astri notturni
    E ne l'albe adorai, luce, che tutti
    I miei sogni sapesti e i miei dolori,
    Luce degli occhi miei, qual mi ti rende
    Nova grazia quaggiù?

PAOLO

                         Raggio di Dio,
    Ch'io prima vidi ed adorai negli occhi
    De l'amata mia donna, oh! come allora
    Vesti siccome allor del tuo sorriso
    I grandi occhi di lei; dammi ch'io veggia
    Costei, che al petto amaramente io serro,
    Chiusa nel vel de la tua luce amica,
    E in lei quest'infelice alma disseti
    Che disïosa de la luce è tanto!

FRANCESCA

    Taci! ascolto una voce; un'armonia
    Non sentita finora al cor mi scende.

UNA VOCE DAL CIELO

    O de l'ira di Dio ministri, udite,
    Udite e voi spirti infelici. Al fine
    Del dovuto supplicio oggi s'appressa
    Un'anima dolente. Al cielo assunta.
    Per decreto di Dio, sarà tra poco
    D'Arimino la donna.

FRANCESCA

                       Un'alma ha detto
    Solo un'anima?... E lui?...

PAOLO

                              Sparito è il raggio,
    Muta è la voce; io son felice!

FRANCESCA

                                  Io tremo.

   _(Cade il sipario)._


ATTO SECONDO.


SCENA I.

FRANCESCA, PAOLO.


FRANCESCA

    Ch'io ti lasci così! Che a le beate
    Sedi, a le gioie de' celesti io corra
    Senza di te! No, non me 'l dir; crudele
    Emmi ora il ciel, più che giammai!

PAOLO.

                                     Felice,
    S'esser può qui felicità, felice,
    Credilo, io son. Speranza unica in terra
    Erami l'amor tuo, sola speranza
    M'è qui il vederti redimita un giorno
    De la luce degli angioli.

FRANCESCA

                             Lontana
    Da te! divisi eternamente!

PAOLO

                              Oh! acqueta
    L'anima generosa! Amor, per tanta
    Diversità di loco e di destino,
    Non morirà, non muterà! Sereno,
    Qual raggio di nascente astro, dal cielo
    Splender vedrò fra queste ombre il tuo fronte;
    Dolce, siccome balsamo di brina,
    Scenderà su quest'arsa alma il tuo riso;
    Sentirò la tua voce, udrò la santa
    Melodia dei celesti; e, allor che mugghia
    Più la bufera e mi travolve e introna,
    L'anima tua m'aleggerà d'intorno
    Qual bellissima cosa; e il dolor mio,
    Gli eterni affanni e l'abbandono e il cielo,
    Poichè tutto l'ho in te, di te sognando,
    Oblierò. Non piangere in tal guisa;
    Non disperarmi, anima cara!

FRANCESCA

                                Invano
    M'illudi, invan: ti leggo il cor. V'è cosa
    Negli occhi tuoi che s'assomiglia al pianto;
    Trema la voce tua, come nell'ora
    Del nostro ultimo addio! No, non mentirmi
    Questo, del cielo a me più caro assai,
    Dolce senso d'amor; no, tu non soffri
    Penar quaggiù, lungi da me!

PAOLO

                                S'io tremo,
    S'io piango? Di dolor sempre foriere
    Le lacrime non son! Mai non fui lieto,
    Com'or, te 'l giuro; mai nel ciel non ebbi
    Fede sì piena, e desiderio e brama
    D'adorar Lui che fino ad or sconobbi!
    Oh! non è ver, che inesorato o ignaro
    Dei nostri affanni, a sommo gli astri ei segga;
    Oh! ver non è, che dai superbi mari
    Di luce, ove l'eterno occhio si spande,
    Piegar si sdegni al tenebroso e mesto
    Destin del figlio de la creta! Io sento
    Tornarmi in cor dei giorni miei più belli
    La speranza e l'ardir; sento, siccome
    Nel primo dì ch'amor gli occhi mi aperse
    Al fulgor dei tuoi grandi occhi, una voce
    Che del ciel mi favella, e accende il raggio
    De la speranza entro il cor mio! Deserto,
    Credi, non resto io più, quando dal cielo
    Tu mi sorridi, quando in cor mi siede
    Speme e desio di rivederti!

FRANCESCA

                                O giorno,
    O speranza mia sola! E s'io potessi,
    Con le preghiere mie, con le cocenti
    Lagrime del mio core impetrar pace
    Al tuo capo diletto; aprir la fonte
    Su te de le pietose acque lustrali
    De la grazia divina! Appo i beati,
    Appo Colei che d'ogni donna intende
    Le pietose querele, e reca il pianto
    Fino al trono di Dio, piangendo sempre
    Genuflessa starommi; a l'odorate
    D'eterni gelsomini ambrosie vesti
    M'appiglierò; porterò al labbro i santi
    Lembi, e il tuo nome, l'amor nostro, i tuoi
    Tutti tormenti io le dirò nel pianto,
    Finchè a la luce, ov'io t'aspetto e invoco,
    Ed all'amplesso mio non ti redima!


SCENA II.

CORO DI DEMONI, _precedenti._


UN DEMONIO

    Chi prega qui? Chi del ciel parla? È dessa!
    La sua pena ha fornita, e il nunzio aspetta
    Che lontan da le nostre ombre la porti.

ALTRO DEMONIO

    Ecco egli vien.

   _(Un chiarore si diffonde a poco a poco fra l'ombre e una musica
   dolcissima si ode risuonare in lontananza)._


SCENA III.

PAOLO, FRANCESCA, L'ANGELO.


FRANCESCA

                 L'angel s'appressa: io sento
    L'aura celeste che l'annunzia.

PAOLO

                                 È desso!
    (O terribile istante! Ella, ella dunque
    Mi lascerà!) _(Si scosta da lei per nasconderle il suo dolore)._

FRANCESCA

                 Lasciarlo io deggio, a tanto
    Dolor lasciarlo? Oh! no 'l poss'io! Deserto
    Fra tanto strazio, al cielo in odio, in ira
    A sè stesso, qual mai speme e conforto
    Gli resterà? L'amor, la colpa, il pianto,
    Il morir, tutto avrà meco diviso
    Fuor che la gloria dei celesti?
                                  Oh! il cielo!
    Oh! la danza dei chiari astri, e la luce
    Infinita di Dio! Cinta di raggi
    Fra ghirlande d'elette anime io veggio
    La madre mia, ch'ivi m'aspetta e chiama,
    E di palme e di fior candidi intreccia
    La corona serbata a le mie chiome,
    La corona dei miei sogni innocenti...
    Oh! attendi, o madre, attendi ancor! Ch'io pianga
    L'ultima volta accanto a lui; ch'io volga
    L'ultimo addio... L'ultimo!? ah! no!

L'ANGELO

                                      Di Dio
    Il perdono io ti reco, al ciel ti guido,
    E ancor non sorgi? e incerta ondeggi e tremi?

   _(La musica diviene più distinta e prende un tono
   malinconicamente celestiale)._

PAOLO

    Vieni al mio cor l'ultima volta! Ah! vieni
    Qui sul mio core; e al ciel, da cui ti mosse
    Carità de la mia vita infelice,
    Torna, vola, amor mio! Lascia ch'io pianga
    Per tutti io sol! Colpevol fui! Non era
    Cosa mortal, terrena cosa, il veggio,
    Degna de l'amor tuo! Se alcuna io m'ebbi
    Grazia da te; se ancor su queste ardenti
    Labbra, qui, vedi? su la bocca mia
    Vive lo spirto dei tuoi baci, oh! nulla
    Pietà dal ciel, favor di Dio non merto:
    Tutto ei mi diè ne l'amor tuo, nè spero
    Altra grazia giammai!

FRANCESCA

    Ch'io t'abbandoni!

L'ANGELO

    Al ciel rinunzi?...

PAOLO

                    Ah! no! siile pietoso
    Del tuo perdono, Angel di Dio! Non vedi,
    Che disperatamente ella si serra
    Su l'anelante mio petto, siccome
    Chi dà l'ultimo vale?

FRANCESCA _(inginocchiandosi)._

                          O luminoso
    Abitator del paradiso, o santo
    Messaggiero di Dio, se mai per prova
    Sapesti amor, se mai de le terrene
    Tenebrose venture unqua ti venne
    Conoscenza e pietà, deh! non lasciarmi
    Derelitto così questo che tanto
    Sovra tutte le cose ebbi diletto
    Amatissimo capo! Amor fu tutta
    La colpa nostra! Amato abbiamo entrambi,
    Pianto entrambi abbiam noi! Raggio o sorriso
    Non sparse mai sul nostro cor la gioia;
    Ma il dolor con sue negre ali ne aggiunse
    Fedelissimamente, e il morir tenne
    Loco di maritaggi, e fu l'inferno
    Del nostro santo amor talamo e altare!
    Oh! qual favor, qual grazia oggi m'assume
    Al cospetto di Dio, che me da tanta
    Parte de l'esser mio svelle e divide?
    A dura prova, a strazio orrido il Cielo,
    Credi, questa tremante anima espone.
    Deh! non negar che meco ei venga! Assunto
    Meco al Cielo egli sia! Vedi? Mi manca
    Tanta virtù, che da costui che piange
    Eternamente io mi divida!

L'ANGELO

                              O cieche
    Anime! O grazia del Signor, che indarno
    Come fiume di luce ti diffondi
    Su questo capo impenitente! Amore
    Tu invochi? Ascolta: amor cantan le sfere.

I.

CORO D'ANGELI

    Qui dove s'incolora
      D'eterne rose il giorno,
      Fra novi astri il soggiorno
      Pose Colui che l'anime innamora.
      Amor qui regna; al sole
      Ei dà la luce, ei regge
      Gli astri nel cielo ad intrecciar carole,
      E al cielo, al mare, all'universo è legge.

I.

CORO DI DIAVOLI

    Liberi come il vento,
      Senz'amor, senza legge e senza posa,
      D'ogni creata cosa
      Noi Siam guerra e spavento.
      Guerra noi siam, che adduce
      Per la gora del mondo anima e vita;
      Ombra noi siam, da cui sorge infinita
      Brama ed amor de la siderea luce.

II.

CORO D'ANGELI

    Qui in armonia perenne
      Ogni sospir si muta;
      Qui trova eco solenne
      Ogni voce che al mondo erra perduta;
      Qui in dolce ambra odorosa,
      Che al sol novo scintilla,
      Vien mutata la lacrima pietosa
      Che amor da una soffrente alma distilla.

II.

CORO DI DIAVOLI

    L'aria, la terra, il mare,
      Tutto che vive e pensa a noi soggiace.
      Nostro è l'arbitrio audace
      Onde sorgon l'imprese inclite e chiare;
      Per noi servo e conquiso
      Non giace il vol de le coscienze ardite,
      Anima nostra è la feconda Lite,
      Virtù il dispregio, ed arma nostra il riso.

III.

CORO D'ANGELI

    Nocchier naufrago, assorto
      Da negre onde in tempesta,
      Qui ai tuoi lunghi travagli apresi un porto,
      Del procelloso mar la riva è questa.
      Qui, dov'è luce e amore,
      Trova ogni anima pia l'alma sorella,
      Ogni affanno terren mutasi in fiore,
      Ogni anima che amò diventa stella.

FRANCESCA

    O dolcezze ineffabili! o celeste
    Melodia, che nel cor placida scende
    Come fioccar di mattutina neve
    Sovra un povero arbusto! Un dolce io sento
    Söavissimo spirito di pace
    Scorrermi per le fibre intime, e come
    Una memoria lungamente cara
    D'un ben sempre sognato e mai raggiunto,
    Come il ricordo d'un april fuggito
    Sull'ali del più bello angiol d'amore,
    Malinconicamente in cor mi parla
    La gioia d'un perduto Èden, da cui
    Sento che da gran tempo esule io vivo!

PAOLO

    M'abbandona ella già! Mai non la vidi
    Trasfigurata in simil guisa! Al cielo
    Tende, a modo di stanche ali, le braccia,
    E nel fronte e nei cari occhi le splende
    La presenza del Nume!

FRANCESCA

                         Ascolta, ascolta!
    Odo a nome chiamarmi; il cielo io veggio,
    Veggio de le beate anime il coro
    Radïante di luce...

PAOLO

                        Ombre di morte
    Son su 'l mio guardo, e la bestemmia ascolto
    Degli infelici, a cui negato è il cielo.

CORO DI BEATI

    Oh! venite, venite, o dolorose
      Anime erranti, cui l'amor flagella;
      Nostre son queste miti aure odorose,
      Nostra è la luce, ond'ogni ciel s'abbella;
      Nostro il tesor de l'armonie nascose,
      Che tempra ogni astro e ad ogni cor favella;
      De le plaghe del ciel nostro è ogni fiore,
      Nostro è il guardo di Dio, nostro è l'amore.
    Oh! venite, venite! E se di pianto
      Fu nutrito fin'oggi il vostro affetto,
      Qui nasce un fior, che s'alza e s'alza tanto,
      Che ogni astro attinge, e il fior degli astri è detto,
      E chi ciba di lui, quel nodo infranto
      Vedrà che il lega ad un terrestre obietto,
      E ne l' oblio d'ogni beltà finita,
      Saprà l'amor, la verità, la vita!

FRANCESCA

    Obliare, obliar?... Che intesi? Il cielo
    Loco non ha per le memorie mie?

VOCE DELLA MADRE

    Sorgi a l'amplesso mio,
      Vieni, non odi di mia voce il suono?
      Figlia, senza di te sola son'io;
      Tutto luce è nel ciel, ma cieca io sono.
      Piegato ha il mio pregar l'ira di Dio,
      Co 'l mio pianto cresciuto è il suo perdono;
      Vieni, diletta mia, vieni e saprai,
      Che amor qui sorge, e non tramonta mai.

FRANCESCA

    O madre mia!
      _(All'angelo)._ Partiam, fuggiam da questa
    Tenebra lungi! Al ciel recami, al cielo
    Patria degl'infelici! Oh! vedi? Io posso
    Sostener la tua vista; al fin ti veggio
    In tutto lo splendor che ti circonda
    Nel paradiso.

PAOLO

                O mia Francesca!

FRANCESCA

                                ... Un serto
    Di stelle fulgidissime circonda
    Il tuo fronte, il tuo crin, tutta è di luce
    La tua pura sostanza. Oh! schiudi il volo,
    Scoti le penne lampeggianti; mira,
    Io ti seguo, io m'inalzo!

PAOLO

    O mia Francesca!

FRANCESCA

    Chi piange qui? Chi mi rattien?...
                                   Deh! vieni
    Vieni tu pure, alma infelice! Iddio
    Ne chiuderà nel suo perdon, siccome
    Due piccioli, sorgenti astri, che il sole
    Ne l'oceano dei suoi raggi confonde.
    Fuggiam, fuggiam da questi lochi. Oh! mira...
    Ma a che, pietoso messagger, tu il guardo
    Luminoso da me torci, e le penne
    Pur dianzi aperte e lampeggianti al volo
    Mestamente sui lievi òmeri chiudi?
    Venir sola degg'io? Su questa fronte,
    Ch'io tanto amai, ch'io tanto amo (oh! perdona,
    Pietoso angiol di Dio! nel cor mi siede
    Quella memoria ancor, nè forse il cielo
    Cancellarla potria) Rispondi: eterna
    Su questa fronte derelitta e cara
    Striderà l'ira del Signor? Ch'io sappia
    Pria di partir...

L'ANGELO

                     Sieguimi!

FRANCESCA

                              Ah! di'...

L'ANGELO

                                       Ritorno
    Far deggio al ciel recando il tuo rifiuto?
    Breve istante t'assegno.

PAOLO

                          Ah! parti, il segui,
    Lasciami, fuggi...

FRANCESCA

                      Oimè!

PAOLO

                          Svolgiti; addio...
    Eternamente!

FRANCESCA

                Addio!

PAOLO

                       Pur, là nel cielo,
    Non obliarmi!... Al nostro amor talora,
    Al morir nostro il pensier volgi!

FRANCESCA

                                      O dolci
    Istanti de la terra, e voi del nostro
    Tanto soffrir memori luoghi... addio!

   _(La musica risuona più dolcemente; l'angelo dispiega le ali e
   cinge Francesca delle sue braccia)._

PAOLO

    Scatenatevi, o turbini; ululate,
    Dèmoni e voi, spalancatevi, o abissi,
    Fulmina, o ciel; tutti or vi spregio e sfido,
    Che solo al pianto eternamente io resto!

   _(Mentre i demoni stanno per impadronirsi di Paolo, e Francesca
   stà per sollevarsi al Cielo, Lanciotto ripassa in fondo in mezzo
   ai diavoli)._

FRANCESCA

    Oh! sorreggimi al volo! È tanto grave
    Quest'aria, e l'ali mie son così stanche!
    Lascia ch'io posi anco un istante! Intorno
    Vedi? fiorito è questo loco...

L'ANGELO

                                  Orrendo
    Loco di pianto e di supplizio è questo:
    Vieni, il ciel si dischiude...

FRANCESCA

                                  Il ciel? Deserto
    È intorno a me; vasto deserto! Mute
    Son l'armonie, pallidi gli astri, estinta
    Ogni luce, ogni raggio... Immoto, in grembo
    D'una tenebra immensa, Iddio balena
    Terribile dagli occhi... Oh! non è questo
    Il ciel, l'amor questo non è! Lasciatemi,
    Udite? Egli è laggiù!... laggiù dal fondo
    Di quell'abisso piangendo ei mi chiama...
    Oh! la mia gloria, l'amor mio, la luce,
    Tutto il mio cielo in quest'abisso è chiuso!

   _(si stacca dalle braccia dell'Angelo e ripiomba abbandonatamente
   sul suolo)._

PAOLO

    Che fai? misera donna! eternamente
    Tu sei perduta!...

FRANCESCA

    Eternamente io t'amo!

   _(La musica cessa d'un tratto; la bufera mugola spaventosamente,
   i demoni intrecciano una tregenda)._

UN DEMONIO

    Oh! nostra gloria onnipossente!

L'ANGELO

    _(Coprendosi la faccia)._ Oh! amore!


  FINE



PARTE SECONDA.

(1869-72.)

                      _Ver novum._


ALLA NATURA.

per il congresso dei naturalisti tenuto in Catania.

      A te, diva Natura,
    Sorga dal petto il libero
    Inno più caro al ciel;
      Sia che remota e scura
    Volgi pe 'l mar de l'essere,
    Sia che t'assenti a noi scevra di vel.
      Di falsi idoli ai piedi
    Chinar non vuò l'indocile
    Fronte devota a Te!
      Tu che su tutto siedi,
    Una, diversa, onnigena,
    Inni e culto tu sola avrai da me.
      Sul tuo carro di stelle
    Muta procedi, e il pallio
    Serri al virgineo sen;
      Danzan leggiadre e snelle
    L'ore ai tuoi passi, e stendono
    Per le vuote regioni ampio seren.
      Sotto al tuo ferreo trono,
    Come bendate vittime
    Presso il fumante altar,
      Servi e costretti sono
    L'ire dei nembi e i fulmini,
    E le insidie e i selvaggi odî del mar.
      Tu parli, e pe' profondi
    Spazî fecondo s'agita
    Il tuo soffio vital;
      Sorgon pianeti e mondi
    Ad intrecciar le lucide
    Danze intorno a la tua fronte immortal.
      Fremi, e dai morti abissi
    Balzan vulcani, e mugola
    Il riverso oceàn;
      Cadon confusi e scissi
    Mondi e pianeti, e placida
    Tu sui lampi passeggi e l'uragan.
      Ma allor che sulla bocca
    Passa qual raggio d'iride,
    Un tuo riso gentil,
      Amor che i dardi scocca,
    L'alme raccende, e il fremito
    Sente la terra del fiorito april.
      Così tu regni. Poco
    È al tuo possente imperio
    Il vuoto e l'avvenir;
      Son tuo trastullo e gioco
    Gli astri, gli abissi, i secoli,
    L'albe e i tramonti, il vivere e il morir!
      Salve! Dal carcer nero
    Ove, superbi Enceladi,
    Veniam teco a tenzon,
      Al tuo nume severo
    Prostro io la faccia, e trepida
    Alzo la voce de la mia canzon!
      Salve! Se lieta e pia
    Mai concedesti a l'italo
    Genio un tuo raggio sol,
      Or da' che questa mia
    Natante isola il fulgido
    Serto rinnovi, e levi inclita il vol.
      Mira! Al tuo culto eletti
    Qui manda Ausonia i provvidi
    Figli del suo saper;
      Da sacro amor costretti,
    La vasta ombra d'Empedocle
    Dal fumante li chiama ampio crater.
      Sorridi a noi, sorridi,
    O dea, sia che da l'Etna
    T'amiamo oggi invocar,
      O dai petrosi lidi,
    Ove fuggente e pavido
    Scagliossi il poveretto Aci nel mar.
      Vedremo ai tuoi benigni
    Lumi svelar più docili
    Tesori il Mongibel:
      Quanti ha zolfi e macigni
    E immonde scorie e fumide
    Sabbie e insoluto al sol manto di gel.
      Dai vorticosi balli
    Verrà l'onda del Càmmaro
    Queta a lambirti il piè;
      Di conche e di coralli
    Ne verseran le Najadi
    Dai ricolmi canestri ardua mercè.
      Allor d'alti portenti
    Risplenderà più vivido
    L'invidïato allôr;
      E a le stupite genti
    Schiuderà il Genio italico
    Nuovi Olimpi di gloria e di splendor!


A FRANCESCO DALL'ONGARO

nel dedicargli una tragedia.

EPISTOLA.

    Se dai lirici voli, a cui seconda
      Spirò l'itala Musa, or mi raccolgo,
      E allaccio al piede il Sofoclèo coturno,
      Tu da' vènia al poeta. Instabil alma
      Diè natura al mio petto; e s'or m'aggiro
      Spensierato pe' campi a coglier fiori,
      Or pensoso d'amor canto a le stelle,
      M'è pur caro talor spinger fra' nembi
      La musa, o tra l'impure ansie del mondo
      Incorrotta portar l'alma e la cetra.
      Dirai: Perchè de la plaudente scena
      Paventasti il cimento? Arguto senno
      D'accigliato Aristarco esalta indarno
      Opra che pria non allettò gli orecchi
      (Sien lunghi pur!) di Frine e di Narciso.
      Ben hai ragion: Melpomene non balla
      Su polverosi tavolini al lume
      Di lucignoli incerti, e non si pregia
      Star tra vecchi scaffali a pigliar mosche
      Nel regal manto che le tesse Aragne.
      Ma vuoi tu, d'eleganti attici sali
      Maestro e caro de le muse alunno,
      Vuoi che la sacra libertà de' carmi
      E le leggi, ond'ha vita unica il Bello,
      Vil strumento sien fatte a l'irrequiete
      Voglie e al capriccio de l'istabil Moda?
      O vuoi, che quanto mi mandò da l'alto
      L'invisibile Genio, e la severa
      Arte ridusse a non fallibil norma,
      Come vecchia libbréa scorci e rimendi
      Perchè s'attagli a le gibbose terga
      D'un vecchio Davo, o d'un urlante Oreste?
      Non dissimulo il ver: vanto non cerca
      Di ritte chiome e di donneschi aborti
      La mia povera Musa, e la fallace
      Scena paventa, ove con acre frizzo
      Di sconce salse e di stranieri aromi
      Stuzzicar dee lo stomacato senso
      D'egri mariti e di svagate dame.
    Ben qui morto non è (volgan la punta
      Le malediche lingue ad altri obietti)
      Il gusto almo de l'arte: e se a le stelle
      Balza Macrino a furia di gazzette,
      Macrin, che tramutò l'itala scena
      In orrendo covil d'egizia maga,
      Direm, che sol di pane e di circensi
      Uopo han l'itale genti? o che distrutti
      Sono i tripodi sacri e l'auree bende,
      Onde culto solenne ebbero un giorno
      L'arti vaganti dal natio Cefiso?
      Lascia, che dal polmon fradicio e stucco
      Tragga il tempo un sospir: vedrai per l'aria
      Tante aurate scoppiar bolle e vesciche,
      Ch'astri parvero al vulgo; e a lui, che indarno
      Del carro de la fama unse le ruote,
      Restar di tanti plausi e tanti allori,
      Appena appena un ciondolin sul petto.
    A sciocca plebe, che s'allegra al lazzo
      D'osceno Stenterello, e piange agli urli
      De l'omicida frenesia d'Orlando,
      Melpomene s'invola; e benchè molti
      Sdegnosi petti e non corrotti ingegni
      Al severo suo culto ardan devoti,
      Qual ne trarrem giammai pregio e decoro,
      Se qual zingara abietta erra pe 'l mondo
      L'arte di Roscio, e divien Roscio istesso
      Mercatante di laudi e di quattrini?
    Però non slaccerà l'arduo coturno
      La mia tragica Musa, e tu, cortese,
      Del favor tuo l'affida. I casi udrai
      Di Manfredi infelice; e se di sacra
      Ira, più che di pianto, illustre obietto
      Ti fia l'alta sua fine, ed all'inulta
      Ombra tesor darò d'itali sdegni
      Contro l'invitta tirannia di Roma,
      Vano non fia che mi si schiuda un giorno
      L'ambito onor de la redenta scena.
      Tu, quando a l'ara de le Grazie, intatto
      Sacerdote, t'appressi, o sia che aspergi
      Di doriche fragranze il patrio stile,
      O ver che a le dormenti api di Flora
      Con astuzia gentil sottraggi i fiori,
      che le perle de la tua laguna
      A le propizie Dee volgi in monile,
      Deh! se mai ti fui caro, al sacro rito
      Me non ultimo accogli, e men dolente
      Vita mi prega! Chè se neri e torti
      Fia che ne mandi il ciel sempre i destini,
      Miglior senno allor fia frangere a' sassi
      L'arguta lira e il tragico pugnale,
      E con la larva di Talìa sul volto
      Ridere almen degli altri e di me stesso!


A MADONINA.

      Ben sovra i fior d'aprile
    Care ti son le rose,
    O fanciulla gentile,
    Cui de le rose al pari
    I versi anco son cari.

      Tra le nitide foglie
    Le sue perle odorose
    La mite alba raccoglie;
    E succhi e miele insieme
    La parca ape ne spreme.

      Così, se fra le belle
    Labbra tu chiudi e suggi
    Le foglie tenerelle,
    Tesor d'aërei cibi
    Ne traggi e ne delibi.

      E dentro al cor, converso
    Da un Dio, per cui ti struggi,
    L'umor succhiato in verso,
    Dolce e fragrante il detto
    Sgorga dal vergin petto.

      Io per la bionda riva
    D'Arno, pensoso e solo
    M'aggiro, e al cor m'è viva
    Qualche memoria e il nero
    Fiore del mio pensiero.

      Ma spesso a l'ora bruna
    Torno furtivo a volo
    Sovra la tua laguna,
    E a te chiedo, o pietosa,
    Qualche foglia di rosa.


UN ASTRO.

      Ella dicea: Da questa ultima e bruna
    Terra, ov'io traggo i dì sola e dolente,
    L'astro io ti chiamo della mia fortuna,
                       Pietoso astro nascente.

      Ed or che lungi dal mio patrio tetto
    Come rondine io vo' di lido in lido,
    A te rivolgo il mio segreto affetto,
                       Con te piango, o sorrido.


      Ai misteri del ciel mi spingo ardita,
    Erro i campi dell'aria, e mi confondo:
    Chi sa, se un sol tu sei, luce infinita,
                       Se sei tu solo un mondo!

      Forse lontane da quest'aure impure
    Hanno l'anime in te gaudio perenne;
    Occhio eterno del ciel, potessi io pure
                       A te drizzar le penne;

      E scosso il peso del natio dolore,
    Ond'io vivo quaggiù stanca e delusa,
    Circonfondermi anch'io del tuo splendore,
                       Essere in te confusa!

      E con l'arcana melodia, che ignora
    Sol nel mondo l'abietta alma e la rea,
    Così a la giovinetta anima allora
                       Il bianco astro dicea:

      Solo, al pari di te, per questa eterna
    Solitudine io vo' nel ciel disperso,
    Nè la vita mi giova e la superna
                       Luce che intorno io verso.

      Ah! non sai tu, ch'ogni creata cosa,
    Come provvide il ciel, sente e favella?
    Ch'à linguaggio d'amor l'astro e la rosa,
                       La brina e la procella?

      Giovinetta, a te caro è in su la sera
    Questo cielo ov'io splendo, ed io frattanto
    Lascerei questa luce e questa sfera
                       Sol per venirti accanto;

      E il mio fato obliando e i raggi miei,
    Del tuo mondo sfidar gli affanni e l'ire,
    Solo un giorno per te viver vorrei,
                       Dir: t'amo, e poi morire.


CARA SE VUOI SAPER...

      Cara, se vuoi saper perchè s'apprende
    Tanta dagli occhi tuoi fiamma al mio core,
    Dimmi pria, perchè in ciel l'astro risplende,
                       Perchè va l'ape al fiore.

      Cara, se vuoi saper quanta dolcezza
    Mi sia l'amor che tu mi dai cotanto,
    Chiedilo al fior, che a la notturna brezza
                       Leva lo stelo affranto;

      Chiedilo a l'uccellin che mesto e solo
    Pellegrinando errò tanto paese,
    E sul cader del dì raccoglie il volo
                       Nel suo nido cortese.

      Cara, se vuoi saper quanto sia forte
    L'amor che lega i nostri dì fugaci,
    Niun mai dir te 'l potrà fuor che la morte,
                       Niun mai fuor che i miei baci.

      Oh! che colpa abbiam noi, se ogni soletta
    Alma amor cerca per gentil costume?
    Se va l'albe a cercar l'allodoletta,
                       E la farfalla il lume?

      L' amore, il nostro amor, cara fanciulla,
    Gioie saprà trovarci anche nel lutto:
    Ci cullerem, come l'alcion si culla
                       Sul tempestoso flutto.


ALLE LUCCIOLE.

      O mobili e viventi
    Atomi luminosi,
    Che pe' cheti riposi
    De le notti silenti,
    Muovete in fra le siepi
    Degli orti e dei presépi;
      O lucciole errabonde
    Che mi girate intorno,
    Da queste, ov'io soggiorno,
    De l'Arno ospiti sponde,
    A lei la mente io giro,
    Che un dì fu il mio sospiro.
      Con infantil costume
    Pei taciti vïali
    Ella seguiavi, e l'ali
    V'invidiava e il lume,
    Che non diè il fato rio
    A noi, simili a Dio.
      Pe 'l verdeggiante piano
    Noi vagavam co 'l vento,
    Angioli d'un momento,
    Tenendoci per mano;
    E gl'istanti fugaci
    Numeravam coi baci.
      Tutto or passò! Le infide
    Gioie annerì l'oblio;
    E forse al nome mio
    Pensando, ella sorride;
    Sorride, ed io frattanto
    Sogno d'un'altra accanto.
      D'una, che ha neri e belli
    Tutti amor gli occhi, ed una
    Sera mi diè la bruna
    Ciocca dei suoi capelli;
    D'una che ancor può darmi
    Le illusïoni e i carmi.
      Io di lusinghe aurata
    Non tesserò catena
    A quella sua serena
    Anima innamorata,
    Chè poveretto e lasso
    Sovra la terra io passo.
      Che val? Com'ape o uccello
    Che va di ramo in fiore,
    Passa su noi l'amore,
    Che, perchè ha l'ali, è bello;
    Ha l'ali e il miel raccoglie
    De le più dolci foglie.
      Ma questa ora fiorita
    Che sopra il cor mi vola,
    Questa ricchezza sola
    Dar posso a la sua vita:
    Fulgor d'oro e di tede
    Altri le dia, se il chiede.
      Quest'ora è mia; m'accende
    Amor l'alma e son vivo;
    Siccome il fuggitivo
    Foco che in voi risplende,
    Quest'ora è il mio tesoro,
    O lucciolette d'oro.
      Qualor, pensoso, al tardo
    Raggio degli astri incerti,
    Fra questi olmi deserti
    Al vostro lume io guardo,
    Al buio orrido immenso
    E a nostra sorte io penso.
      Chi sa? Forse de l'erbe,
    A cui movete in giro,
    Far credete un empiro,
    O picciole superbe,
    Spaziando inclite e belle
    Ad emular le stelle.
      Chi sa? Simili a voi
    Forse non siam? Non siamo
    Tutti, gorilla o Adamo,
    Codarde anime o eroi,
    Fuggevoli scintille,
    Che morte spegne a mille?
      Come iridate bolle,
    Che dal veron sublime
    Il fanciullino esprime,
    Tal noi su queste zolle
    Lancia per suo trastullo
    Dio, l'eterno fanciullo.
      Lieti del fatuo raggio
    Ch'abbiamo entro al pensiero,
    Pe 'l mare ampio del vero
    Crediam muover vïaggio,
    Ma ognun s'agita e culla
    Nel mar del proprio nulla.
      O lucciolette, io, quando
    Siccome gemme alate
    Pe 'l bruno aer volate,
    A l'esser mio pensando
    E al baglior vostro infido,
    Pianger vorrei; ma rido.


A GISELDA.

      Co 'l raggio dei veglianti astri, co 'l raggio
    De la candida luna, io ti saluto,
    Dolce sospiro mio! Veglian le stelle
    Come l'anima mia; scema è la luna
    Come la fronte de la mia speranza.
    Pur benedetto il dì che dentro al core,
    Palpitommi il tuo sguardo, e benedetta
    La furtiva parola e il bacio primo,
    Che di perpetuo amor l'alme ne avvinse,
    E benedetti ad uno ad un gli affanni,
    Ch'io per te soffro e soffrirò! Tal cosa,
    Cara, tal cosa è l'amor mio, che nullo
    O sgomento o pietà dammi di questa
    Misera vita, che a tant'ira è segno,
    Chè anzi maggior di tutte ire mi rende,
    E miglior di me stesso e più superbo!
      Ma qualor da lontan miro la stanza,
    Ove a me nota ed al dolor tu vivi,
    E rovesciar sul tuo capo infelice
    Sento il fiel di tant'alme e tanta parte
    De le tempeste mie, con fiero istinto
    Guardo al viver mio vano, e spegner tutto,
    Come vil face, l'esser mio vorrei!
    Odi, Giselda, e non ti faccia inganno
    L'amor tuo santo, e la pietà ch'ài molta
    Pei miei giorni infelici! Una secreta
    Tenebra di dolor gravita e pende
    Su 'l capo mio. Qual essa sia, qual fonte
    Abbia il mio pianto e quali abissi il core,
    Nè il so, nè il cerco. Una paura io sento
    Fredda, crudel, ch'esser potria rimorso,
    Se delitti avess'io! Morta è la fede,
    Morta è la gioia in me: sorride e spera
    Altri ove io piango; un'incessante, inqueta
    Smania mi caccia; dove i passi io volga
    Non trovo, e ciò che non è tedio o sdegno,
    Dentro a l'anima mia diventa affanno.
    Per non segnato ciel, per mondi ignoti,
    Straniero al mondo, erra il mio spirto in cerca
    Di non viste fantasme; e aspetto, e impreco,
    Ed or me stesso, or pazzi gli altri estimo.
      Solo sull'orlo a questo vuoto immenso
    Che universo si noma, a cui, se dànno
    Luce tant'astri è per mirar nostr'ombra,
    Muto, tremante e derelitto io pendo,
    O ch'io deggia anzi tempo entro gli abissi
    Gittar questo d'affanni e di memorie
    Penosissimo incarco, o ver dal tempo
    Trascinar là mi lasci ove, se cosa
    Resta di noi, rider di noi potremo.
    Sorger vedo a me innanzi un'incompresa
    Larva di Dio, che di me stesso è l'ombra,
    E fra un mar d'infecondi atomi e un suono
    Che dir non so se sia pianto o sorriso,
    Come fra cielo e mar, veggio una candida
    Forma nuotar, che pensierosi e mesti
    Gira gli sguardi, e un'armonia diffonde
    Che al suon de l'aure e al tuo parlar somiglia.
    Che vuoi tu, che vuoi tu, candido sogno
    Del viver mio; speranza ultima e bella
    Dei giorni miei, qual porto mai, qual riva,
    Qual riposo avrem noi? Zolle pietose
    Di quest'isola mia, lidi lontani,
    Vergini selve, intatti boschi, or date
    Date ghirlande a me! L'amor che sorge
    Fra le tenebre mie, l'amor che solo
    Splende dentro al cor mio, vorria d'un fiato
    Fare april su la terra, eterno aprile
    Sugli abissi del mar. D'astri e di fiori
    Tesser vuo' intorno a lei tessere un velo,
    Che ravvolga e profumi il paradiso
    De le nostre speranze; un vel che tutta
    Chiuda la vita in un sospir, la terra
    In un sol guardo, in un momento solo
    L'eternità: tessere un velo, un mondo
    Popolato di sogni, ove sian l'alme
    Sensibil cosa, e lingua unica i baci,
    E Dio la colpa, e voluttà il morire!
      Ma qual astro e qual fior ride al deserto
    Tramite mio? Come vestir di rose
    La tua vita io potrò, dolce ed amaro
    Strazio e conforto mio? L'anima, il cielo,
    (Se tal fede ebbi mai) la gloria, il regno
    De la morte e del nulla, unico asilo
    Ove riposo a tanti mali io spero,
    Tutto io darei per te! Se cosa vile
    Capir l'alma potesse, io fino all'onta
    Fino al delitto scenderei, pur ch'alto
    Sopra gli affanni altrui segga il tuo core
    E il tuo cor presso al mio! Crudel talvolta
    L'amor mi fa! Se al voler mio conforme
    Fosse il poter, questo vedresti a un punto
    Civile ordin distrutto, e l'uomo ignudo
    Errar nei boschi a disputar la ghianda
    Ai più forti di lui. Lacci e catene
    Per fiero istinto di vendetta e d'ira
    Contro noi stessi ci tessiam; di pazze
    Larve e d'ombre mendaci e di paure
    Ingombriam l'alme nostre, e qual più geme
    E men leva la fronte al reo flagello
    Quel virtuoso è più! Voto fantasma,
    Virtù, vana parola, ove altro serto
    Che di spine non hai, s'altra promessa
    Dar non sai che del ciel, su questa terra
    Che l'ossa nostre, e l'alme forse, inghiotte,
    Nel nome de l'amor, ti maledico!
      Perdona, anima cara. Empio e crudele
    Suona il mio dir; ma de le mie sventure
    Vil lamento io non movo. Ad uno ad uno
    Vidi cader da la mia fronte i fiori
    De le speranze mie; morto il sorriso
    De la rosea salute; e magra e lenta
    Co' suoi voti bisogni, al fianco mio
    L'abbominosa povertà s'asside.
    Divorai muto il pianto, e muto io tolsi
    Le mie sciagure, e le torrò. Di strane
    Non comprese speranze il canto aspersi,
    E plauso ebbi di vate, e alcun non seppe,
    Che chiusa avea la speme e il doman morto
    Chi altrui la speme e l'avvenir schiudea.
      Tal io t'apparvi in pria: l'amor mi rese
    Debol sì, ma non tal ch'altri conosca
    Fuor di te il dolor mio: d'invidia degno
    Esser io vuo', non di pietà. S'io prego,
    S'io mi querelo e maledico e piango,
    Egli è solo per te! Povera barca
    Senza temo, nè vela, a l'onde in preda.
    Correr meco vuoi tu la fredda, immensa
    Solitudin dei miei fati infelici?
    Insanguinar le delicate piante
    Sovra i triboli miei? Sparger commisto
    Al mio pianto il tuo pianto, e temprar l'ira
    Che mi bolle nel cor negra e funesta,
    Co 'l dir pietoso, ed affrenar co' baci
    L'empia bestemmia, che dal labbro irrompe
    Su questa terra senza april, su questi
    Uomini senza cor, ciel senza Dio?
      Deh! ascolta anima cara; e se tant'alto
    Amor ti parla, che dolente e solo
    L'alma tua rara non sostien ch'io viva,
    Vieni, ah! vieni al mio cor, tergi il mio pianto,
    Dolcezza unica mia! Le braccia io tendo
    A te, come il nocchier le tende al porto;
    Schiudo io l'anima a te, come a la pioggia
    S'apre la terra, il fiore a la rugiada.
    La notte agli astri e il duro verno al sole.
      Vieni, ah! vieni al mio cor, tergi il mio pianto
    Speranza unica mia! Finchè a me splende
    Raggio di sol negli occhi, entro al mio petto
    Splenderan gli occhi tuoi; stanchi d'amplessi
    Le mie braccia cadran, quando a l'amplesso
    S'apriran de la morte, e freddi a un tempo
    Taceran le mie labbra e i baci miei!
      Vieni ah! vieni al mio cor, tergi il mio pianto,
    Compagna unica mia! Da questi lidi
    Ricchi di fior', ma di bei sensi avari,
    Muoverem lungi un dì, muoverem soli
    Coi nostri affanni e il nostro amor! Vedrai
    Quanto de l'ire altrui, del soffrir mio
    Dispregio io serbi; e che fra tanti affanni
    Sol non avrò questa virtù perduta
    Di portar l'amor mio ne l'urna invitto.


UN GIUNCO.

      Sol soletto a la gioconda
    Fresca brezza del mattin
    Trema un giunco in su la sponda
    D'un argenteo ruscellin.

      Dentro al suol per via romita
    Lieto ei sugge il fresco umor,
    Nè gli cal se la sua vita
    Non ha fronda e non ha fior.

      Scherza il rivo a lui d'intorno.
    Sopra lui sorride il ciel;
    Guarda ei l'onda e notte e giorno,
    Ma fin lei non va il suo stel.

      Fresca, tersa e cristallina
    L'onda volvesi al suo piè;
    Lento lento egli si china,
    E par chiegga a lei mercè.

      Verso l'onda, verso il rivo
    Più si china e notte e dì,
    Già il saetta il raggio estivo,
    Già il suo verde inaridì;

      China, china, e dolce invito
    Nel fuggir l'onda gli fa;
    Purchè a l'onda ei muoia unito
    Lascia il suolo e al mar sen va.

      Su quell'onda a l'aer nero
    Un pietoso astro brillò;
    Venne a l'alba un capinero,
    E così così cantò:

      Amor mio, dolce amor mio,
    Come il giunco io vuo' languir,
    Come il giunco in grembo al rio
    Vuo' baciarti e poi morir.


NEL NATALE.

      La cornamusa del natal, la mesta
    Musica dei pastori,
    Vien sotto al mio balcon, viene, e mi desta
    Coi mattutini albori.

      Malinconico, incerto a l'aure vane
    Nuota quel pio concento;
    Uggiola per le vie rigide il cane,
    Fischia ai miei vetri il vento.

      Care gioie infantili, aurei fantasmi
    De la mia prima aurora,
    Ingenue fedi, ardenti entusïasmi,
    Morti non siete ancora.

      Veggio al mio freddo letticciol d'intorno
    Danzar la mia speranza;
    Torna a le rose ch'io sognava un giorno
    La giovanil fragranza;

      Piove un balsamo pio sovra ai mortali
    Sensi del mio dolore;
    Sento aleggiar sui tiepidi guanciali
    Il mio sogno d'amore.

      Corre un'aura di ciel dentro a l'amato
    Guardo che il cor mi tocca,
    E la vaghezza d'un gentil peccato
    Gli freme in su la bocca.

      Vieni, oh! vieni, amor mio, lieve siccome
    Foglia di fior sul rivo;
    Chiuderò fra le tue nitide chiome
    Il mio bacio furtivo.

      Vieni, saprai perchè distrugge il sole
    Le brume a la foresta,
    E perchè al suono de le tue parole
    Arde quest'alma mesta.

      Ma il suon cessò. Da lo spiraglio incerto
    Manda l'alba il suo lume;
    Lascianmi i sogni miei freddo e deserto
    Su l'incresciose piume.

      Cessò quel suono. Io derelitto e muto
    Co 'l mio dolor rimango...
    Caro amor mio, ti mando il mio saluto,
    Bacio i tuoi fogli, e piango.


TEDIO.

      Con la foglia che cade
    Dal derelitto ramo,
    Coi fiori e le rugiade
    Cader cader io bramo;
    Cader rapido o lento
    Come mi caccia il vento.
      De le stagioni al volo
    Muta ogni cosa: or veste
    April di fiori il suolo,
    Or di nevi e tempeste
    Mugghiante, orrida piena
    Il verno irto scatena;
      Ma torba, inerte, occulta
    Qual'onda al sole ignota,
    Entro al tedio sepulta
    Sta la mia vita immota,
    E di fastidio indegno
    Sento morir l'ingegno.
      Oh! a questo viver vano
    Date le stelle e i fiori,
    L'ali dell'uragano,
    Dell'iride i colori,
    La possa al genio mio
    D'un dèmone o d'un Dio!
      Del vasto essere in grembo
    Turbinar voglio un'ora,
    Co 'l zeffiro o col nembo,
    Con gli astri o con l'aurora,
    Di sol cinto di gelo
    Correr la terra e il cielo.
      Poi stanco d'odî e d'ire,
    Di gioie e di tormenti
    Sognar, cader, sparire
    Con le stelle cadenti,
    Sognar, morir sul core
    Del mio lontano amore.


IO LE DICEA TREMANDO...

      Io le dicea tremando: Altra, già il sai,
    Ricchezza altra io non ho, fuor che il tuo core,
    Altra luce non ho fuor che i tuoi rai,
    Altra fede non ho tranne l'amore.

      Scrollava ella al mio dir la bionda testa,
    Qual chi creder vorria nè crede a nulla,
    E ripetea tra sorridente e mesta:
    L'abbandonaste voi quella fanciulla?

      — Che t'importa di lei? L'aura solinga
    Che susurra al tuo crin, fugge dal fiore,
    Cade con l'alba la stella raminga,
    E in un sorgente amor cade un amore.

      Che t'importa di lei? Rapide e brevi
    Son tutte cose come il tuo sospiro;
    Siccome albe e tramonti, aprili e nevi,
    Pur gli affetti del cor vengono in giro.

      Oh! non mi dir che son vuote e fallaci
    Le mie promesse e i sogni miei son vani;
    Amami fin che puoi, dammi i tuoi baci,
    E mi sia chiuso il ciel, morto il domani. —

      Io tacqui. Sui pensosi occhi di lei
    Brillava il pianto, e pur dicea: son lieta!
    Porse ardente la bocca ai baci miei,
    Ma non mi disse mai: t'amo, o poeta!


I TUOI BACI.

      Su la mia stanca testa
    Splenda, o s'oscuri il sole,
    S'incoronino a festa,
    O si vestan di gel le verdi aiuole,
    Che importa a me? Più dolci e men fugaci
    De la luce e dei fior sono i tuoi baci.

      Di fulvo oro e d'alati
    Cocchi altri vada altero,
    Altri incateni i fati
    Per le vie de la gloria al suo destriero,
    Che importa a me? Più dolci e men fugaci
    De la gloria e de l'or sono i tuoi baci.

      Due ben, caro amor mio,
    Concesse a noi la sorte:
    Un bacio ed un addio,
    Un talamo e una fossa, amore e morte.
    Vana è la vita, e sono i dì fugaci,
    E a me dolce è il morir dopo i tuoi baci.


PENSO TALOR...

    Penso talor: Se istabili e fallaci
      Fosser le tue promesse e i sogni miei,
      Come le perle tue falsi i tuoi baci,
                       O cara, io riderei!

    Che mi fa? La cileste onda tranquilla
      Bacia anch'essa così l'arido lido;
      Così april bacia il prato, espero brilla
                       Nel sen del flutto infido.

    Amor cangia e s'immuta, amor rinnova
      Con gli astri il fronte e con l'april la vesta;
      Ei nel deserto il fiorellin ritrova,
                       L'iri ne la tempesta;

    Ed egli, il caro amor, di te non meno,
      Bello e gentil saprà trovarmi un fiore,
      Un guancial troverammi, un nido, un seno,
                       Ov'io posi il mio core.

    E amerò sempre sempre; amerò come
      Quel primo dì che ti serrai sul petto;
      Nè morirà per imbiancar di chiome
                       Il mio fervido affetto.

    Upupa o rosignol, bruco o farfalla,
      Sento qualcosa in me che canta e gira,
      Qualcosa che tra' fiori or dorme, or balla,
                       Che ride e che sospira.

    Oggi re, doman servo; oggi a l'altera
      Rosa chiudo nel sen l'ali opaline,
      Doman fra' poveretti ozzimi a sera
                       Aspetterò le brine.

    Penso talor così. Ma allor che gli occhi
      Al ciel volgo superbo e rido e canto,
      Sento, che assisa sovra i miei ginocchi
                       Ella terge il mio pianto.


VILLEGGIATURA.

    Lungi da me ten vai,
      Spensierata fanciulla,
      E cerchi i campi e l'aure
      Profumate d'april lungi da me;
      Spensierata! non sai,
      Che nero è il cielo e la campagna è brulla
      Dove l'amor non è!

    Sorgi, se vuoi, coi primi
      Raggi del sol sereno,
      E agl'indiscreti zeffiri
      Il tesoro consenti aureo del crin;
      Di zàgare e di timi
      Colma il tuo grembiuletto, ed orna il seno
      Fresco come il mattin.

    Forse allor che dai fiori
      Il raggio ultimo invola
      La sera, e al malinconico
      Sguardo degli astri luccica il sentier,
      Stanca dei lunghi errori,
      Avrai paura di trovarti sola
      Sola col tuo pensier.

    Un suon d'ale e di canto
      Per gli arbori deserti
      Udrai fra' campi e l'etere
      Un'ignota armonia d'astri e di fior,
      E tu soletta intanto
      Ricche ricche le chiome avrai di serti,
      Ma vôto vôto il cor.

    Odi! al gentil richiamo
      La vispa forosetta
      Sorge a l'aperto, e trepida
      Su la siepe de l'orto il suo garzon:
      — Oh! vieni, io t'amo, io t'amo,
      Lascia i silenzi de la tua casetta,
      Odi la mia canzon! —

    Tu forse allora udrai,
      Spensierata fanciulla,
      Correr per l'aure un gemito
      Che al solingo tuo cor parli di me,
      E allora, allor saprai,
      Che nero è il cielo e la campagna è brulla
      Dove l'amor non è.


AUTUNNO.

    Sento per l'aure molli
    Una freschezza nova,
    Erra pe' campi e i colli
    Il dolce odor de la feconda piova;
    Di liete orgie e di flauti
    Suonan le vette amene,
    E, il crin cinto di grappoli,
    Il pampinoso autunno ecco sen viene.

    O fresche aure, o remoti
    Del caro Etna natio
    Boschi tranquilli e noti
    E presenti ogni tempo al pensier mio,
    Coi muti astri, coi zeffiri,
    Coi fior novi che io miro,
    Con la nube fuggevole,
    Con la foglia che cade io vi sospiro!

    Qui, dove io son, men bello
    Forse non ride il suolo,
    Cantano al dì novello
    Le spensierate allodolette a stuolo;
    Suona ogni voce a l'aure
    Melodïosa e cara;
    Cinta d'eterne glorie
    L'Arte qui siede, ed ogni zolla è un'ara.

    Ma il ciel mite e le spume
    Del mio lido e i sovrani
    Campi e il facil costume
    Dei miei tranquilli e semplici isolani,
    Ma i monti ove ancor vergine
    Ferve la vita, e brilla
    La beltà ingenua, e ingenua
    A par de la beltà l'Arte zampilla;

    Ma l'amorosa e pia
    Canzon cara a me tanto,
    Ma i miei sogni e la mia
    Povera mamma che m'aspetta in pianto,
    La mia mamma, che in vedovi
    Lutti racchiusa, al petto
    Stringe una croce, ed ulula
    Su la tomba del mio padre diletto,

    Qui, dove io sono, indarno
    Qual mesto esule invoco
    Al flutto aureo de l'Arno,
    A questo amor, cui tutto il ciel par poco.
    Oh! questo amor! Con l'anima
    Egli in me nacque, e come
    Perduta cosa, in lacrime
    Tanto il cercai, tanto il chiamai per nome!

    Or lo trovai! Lontano
    Dai miei lidi, soletto
    Egli vivea, ma invano
    Io no 'l chiamai, ch'egli volò al mio petto.
    Seco or son'io! Lasciatemi,
    Dolci memorie; o mio
    Superbo Etna, o mia povera
    Mamma, o diletta ombra paterna, addio!


LONTANANZA.

    Ultimo amor de la mia vita, or come
      Volgono i giorni tuoi, poi che ne volle
      Novamente divisi il fato avverso?
      Io, quale infermo sognator, che assai
      Co 'l travolto pensier mari e paesi
      Visitò sorvolando, e campi lieti
      D'assidue primavere e monti d'oro
      Miro stupito, ed allegrossi al bacio
      Voluttuoso d'un'aërea forma
      Fuggitiva con gli astri, ove a l'usata
      Luce si svegli, doloroso intorno
      Mira il povero letto e qualche pio
      Volto che piange il dubitante amico,
      Io deserto così, così dolente
      Mi travaglio ne l'alma, or, che lontano
      Dai pietosi occhi tuoi, riveggio il nero
      Limitar de la mia stanza campestre,
      E solingo m'aggiro ove altra cosa
      Che ti guardi non è tranne il cor mio.
    O mio diserto amor, fu dunque un vôto
      Sogno la mia felicità? Ben sento
      Sovra la bocca mia qualcosa io sento
      Che di te mi favella; odo nei santi
      Penetrali del cor la tua promessa;
      Arde, sol ch'io ti nomi, arde il mio sangue
      Un dolce ed infinito impeto, e come
      Dolorosa armonia dentro mi piange
      Tutto l'affanno de l'estremo addio.
    O mio lontano amor, no, non fu vôto
      Sogno la mia felicità! Con queste
      Derelitte mie braccia io tante volte
      La tua snella persona al cor mi chiusi;
      Con queste labbra mie bevvi la vita
      Che spremea da le tue labbra l'amore;
      E il languir dei tuoi grandi occhi, e i sorgenti
      Ai sussulti d'amor veli negletti
      Con questi occhi mirai ch'or apro al pianto.
    O lontano amor mio, ricordi i giorni
      Cui diede Amor tant'ale e tante rose?
      Come colombe ci amavam; quest'egre
      Giornate mie correan rapide e belle
      Come raggio di luce! Ai nostri amplessi
      Breve era il tempo; a le speranze nostre
      Poca la terra; indifferente e muta
      Coi suoi stolti tripudi e i suoi dolori
      A noi dintorno discorrea la vita
      Senza ieri o domani; e se del cielo
      Mai ne sorse disio, come smarrite
      L'alme nostre il cercâr dentro ai nostri occhi.
    Dove ti cerco io più, dove tu sei,
      Luce e respir de la mia vita? Io sento
      Di quest'ultimi fiori, onde s'ingemma
      Il romito vïal del mio giardino,
      La modesta fragranza; ad uno ad uno
      Sorger miro i tremanti astri, ma il dolce
      Sospir non sento dei tuoi labbri, e in mezzo
      A tanti astri i tuoi mesti occhi non miro.
    Dove ti cerco io più, dove tu sei,
      Luce e respir de la mia vita? Io sorgo
      Mattutino con l'albe, erro pe' monti
      Come pazzo fantasma, e le rugiade
      Scintillanti su l'erbe avido io bevo,
      Ma dolcezza e virtù pari non hanno
      A le lacrime tue. Mormora il bosco
      Secreti inni d'augelli, occulti amori
      Di zeffiri e di ninfe, io dolorando
      Chiamo su 'l labbro mio le tue canzoni
      Dolcissime di tutto, e come avvolta
      Entro un mar d'armonie l'alma sen fugge
      Verso quel ciel dove tu aspetti e piangi.
    Oh! non pianger così! Questa ch'io vivo
      Da te lontan vita non è; perduta
      Vela per ampio mare, irto di negre
      Rupi e di mostri päurosi, in preda
      Di scatenati demoni, lontana
      D'ogni luce di faro e d'ogni riva,
      La mia vita or somiglia; e quando inqueta
      E tempestosa più l'anima freme,
      E i cari regni del passato e i neri
      Profondi abissi del doman vïaggia,
      Allor tacita più, più inerte e immota
      Stagna la vita mia. Fulmina il sole
      I suoi fervidi raggi, ed io per terra
      Qual vilissima cosa, immobil, muto
      D'altri ignaro e di me giaccio, ed aspetto
      Qual mai cosa non so, ch'or mi tien forma
      D'una candida sposa, or si tramuta
      In un fosco disìo che par la morte.
      Lascia talor dai suoi morbidi rami
      Qualche stella cader nitida e fresca
      Il mio pietoso gelsomin, l'antico
      Confidente dei miei sogni, e la posa
      Con occulta pietà su' miei capelli,
      Fra cui leggera e trepida intrecciossi
      Tante volte la tua mano, e su 'l fronte
      Scivolando freschissima, diffuse
      Mille brividi ardenti entro al mio sangue.
    Strani e inqueti così volgono i giorni
      Ch'io lontano da te vivo tra queste
      Luttüose pareti, ove non scherza
      Raggio di luce mai, dove non sorge
      Spirto alcuno di gioia, e vi si asside
      Tenebroso il silenzio, o vi si aggira
      Ululando una bruna ombra, che nulla
      Di vivente non ha tranne il dolore.
      Povera madre mia! Di me sol'uno,
      Dopo il pianto ella vive! Avria già chiusi,
      Senza l'amor che al viver mio consacra,
      I suoi vedovi giorni entro a la fossa,
      E raggiunto anzi tempo il cener santo
      Del mio padre infelice! Io la lasciai
      Derelitta e piangente, e a le tue braccia,
      De l'universo immemore, mi spinse
      Quell'occulta virtù, che volge al cielo
      Ogni pallida fiamma e a le nascenti
      Rose del giorno il pellegrino augello.
    Povera madre mia! M'aspettò tanto,
      Tanto pregò propizii al mio ritorno
      L'amor, l'onde, i celesti! Io la guardai
      Come straniero, allor che con le aperte
      Braccia al collo mi corse; ignota al core
      Mi suonò la sua voce; indifferente
      Passò sovra le mie guance il suo pianto,
      E se dolce parola ebbe il mio labbro,
      S'ebbe lagrima il ciglio, era a te vòlta
      La mia dolce parola e il pianto mio!
    Deh! perdonami, o madre! Amor s'è fatto
      Tal tiranno di me, che a nulla io vivo
      Fuor ch'ai governi suoi. Splendido e sordo
      Siccome fiamma voratrice, egli arde
      Nel petto mio; sugge il mio sangue, avvolge
      Tutti nel suo furor memorie e cose
      Ed affetti e speranze, e grande e solo
      Sopra il fatto deserto ei vive e regna!
    Pur la vita mi è cara, e nuova attingo
      Virtù dal pianto. Dal mio pianto io miro
      Sorger come una dolce iri di pace,
      E crescer fra le mie lacrime il fiore
      D'una cara speranza. Oh! tu che sai
      Tutta l'anima mia, tu che sol vivi
      De la promessa del mio cor, lontana
      Gioia e sol'aura che il mio cor respira,
      Tu quel fior con le pure aure alimenta
      De la tua fedeltà! Forse, o ch'io sogno
      Non concesse dolcezze, al nostro amplesso
      Presiederà quella serena e pia
      Divinità che da gran tempo invoco
      A la sorda fortuna, ed ove indegne
      Fian l'alme nostre del divin suo riso,
      La pace mia la chiederò a la morte!

  FINE.



INDICE


  DEDICA                                   _pag.   1_

  PARTE PRIMA                                 »    3

  _Partenza_                                  »    5
  _A te sola_                                 »    8
  _Il Mandorlo_                               »   12
  _A Maria_                                   »   17
  _A gentile operaia_                         »   21
  _Addio_                                     »   26
  _Unica mea_                                 »   31
  _A fanciulla inferma_                       »   34
  _A Ghita_                                   »   39
  _A un segatore di pietre_                   »   43
  _Due fiori_                                 »   49
  _Luna sulle nevi_                           »   51
  _Ad A. Salvini_                             »   57
  _Sole d'inverno_                            »   62
  _Ultimo Autunno_                            »   69

  INTERMEZZO                                  »   79

  _Francesca da Rimini_                       »   81

  PARTE SECONDA                               »  133

  _Alla Natura_                               »  135
  _A Francesco dall'Ongaro_                   »  141
  _A Madonina_                                »  147
  _Un Astro_                                  »  150
  _Cara se vuoi saper..._                     »  153
  _Alle Lucciole_                             »  155
  _A Giselda_                                 »  161
  _Un Giunco_                                 »  171
  _Nel Natale_                                »  174
  _Tedio_                                     »  177
  _Io le dicea tremando..._                   »  180
  _I tuoi baci_                               »  182
  _Penso talor..._                            »  184
  _Villeggiatura_                             »  187
  _Autunno_                                   »  191
  _Lontananza_                                »  195



Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
senza annotazione minimi errori tipografici.





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