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Title: L'innesto - Commedia in tre atti
Author: Pirandello, Luigi
Language: Italian
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*** Start of this LibraryBlog Digital Book "L'innesto - Commedia in tre atti" ***

MASCHERE NUDE. IV.

                            LUIGI PIRANDELLO

                             MASCHERE NUDE


                               L’INNESTO

                          COMMEDIA IN TRE ATTI


                         LA RAGIONE DEGLI ALTRI

                           (_ex_ SE NON COSÌ)

                          COMMEDIA IN TRE ATTI

                  _Con una lettera alla protagonista._



                                 MILANO
                        Fratelli Treves, Editori
                                  1921
                          =Secondo migliaio.=



                         PROPRIETÀ LETTERARIA.

     _I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati per
      tutti i paesi, compresi la Svezia, la Norvegia e l’Olanda._

                  Copyright by Luigi Pirandello, 1920.

       È assolutamente proibito di rappresentare queste commedie
         senza il consenso della Società Italiana degli Autori
          (_Articolo 14 del Testo unico, 17 settembre 1882_).

     Si riterrà contraffatto qualunque esemplare di quest’opera che
    non porti il timbro a secco della Società Italiana degli Autori.

                          Milano, Tip. Treves.



L’INNESTO

COMMEDIA IN TRE ATTI.



PERSONAGGI.


  LAURA BANTI, moglie di GIORGIO BANTI.
  LA SIGNORA FRANCESCA BETTI, madre di LAURA e di GIULIETTA.
  L’AVVOCATO ARTURO NELLI.
  LA SIGNORA NELLI.
  IL DOTTOR ROMERI.
  IL DELEGATO.
  LA ZENA, contadina.
  FILIPPO, vecchio giardiniere.
  Un Cameriere.
  Una Cameriera.
  Il Portiere.
  Due Guardie, che non parlano.

_Il primo atto a Roma. Il secondo e il terzo in una villa, a
Monteporzio. — Oggi._



ATTO PRIMO.

    Salotto elegantemente mobiliato in casa Banti. Uscio comune in
  fondo, e laterali a destra e a sinistra (dell’attore).


SCENA PRIMA.

LA SIGNORA NELLI, LA SIGNORA FRANCESCA, GIULIETTA.


                                Al levarsi della tela la signora
                              Nelli, in visita, attende, sfogliando
                              in piedi presso un tavolinetto una
                              rivista illustrata. Entrano poco dopo
                              dall’uscio a sinistra, anch’esse col
                              cappello in capo, la signora Francesca
                              e Giulietta.

FRANCESCA

                                vecchia provinciale arricchita,
                              troppo stretta in un abito troppo
                              elegante, che contrasta con l’aria un
                              po’ goffa e il modo di parlare. Non è
                              sciocca; piuttosto un po’ sguajata.

Cara signora mia!

SIGNORA NELLI

                                elegante, ma già sciupata, con
                              qualche velleità di tenersi ancor su,
                              in un mondo che non è più per lei.

Oh! la signora Francesca! Giulietta!

                                Scambio di saluti.

FRANCESCA.

Vede? Qua anche noi, ad aspettare.

SIGNORA NELLI.

Già; ho saputo.

FRANCESCA.

Sarà un’ora. No, più, più, che dico? Saranno almeno due ore!

GIULIETTA

                                molto fine, atteggiamento stanco, con
                              qualche affettazione di superiorità.

È veramente strano, creda. Sto in pensiero.

SIGNORA NELLI.

Perchè? Manca forse da troppo tempo?

GIULIETTA.

Ma sì! Da questa mattina, alle sei; si figuri!

SIGNORA NELLI.

Uh! Alle sei? Laura è uscita di casa alle sei?

FRANCESCA

                                a Giulietta, risentita.

Se dici così “alle sei„, chi sa che cosa puoi far credere, Dio mio!
Bisogna dire che è uscita con la co.... con la cosa....

GIULIETTA

                                piano, seccata, suggerendo.

Con la scatola.

FRANCESCA.

Ecco, già! con la scatola dei colori.

SIGNORA NELLI.

Ah, bravo! Ha ripreso dunque a dipingere, Laura?

FRANCESCA.

Sissignora. Già, il terzo giorno. Va in campagna — cioè, non so, in un
bosco....

GIULIETTA.

Ma che bosco! A Villa Giulia, mamma!

FRANCESCA.

Non è bosco? E che ne so, io? Sempre a Napoli ho vissuto, io, signora
mia. Di queste ville di qua, poco m’intendo.

GIULIETTA.

Già! Ma jeri e l’altro jeri, capisce? alle undici al massimo è stata di
ritorno. Ora, a momenti è sera, e....

SIGNORA NELLI.

Avrà voluto forse finire il suo bozzetto!

FRANCESCA.

Ecco, benissimo!

                                A Giulietta.

Vedi? quello che penso io!

SIGNORA NELLI.

Ma sarà certo così! Se è uscita con la scatola dei colori, non c’è da
stare in pensiero. Si spiega.

GIULIETTA.

No, ecco, per questo non si spiegherebbe, scusi. Chi esce da tre giorni
quasi all’alba, vuol dire che s’è proposto di ritrarre.... non so,
certi effetti di prima luce che, avanzando il giorno, non si possono
più avere.

SIGNORA NELLI.

Ah, è pittrice anche la Giulietta?

GIULIETTA.

Ma no, che pittrice, per carità!

FRANCESCA.

Non dia retta; se n’intende anche lei. Ah, quella che è istruzione,
signora mia, m’è piaciuta assai, a me, sempre! Non l’ho potuta avere
io; ma le mie figliuole, per grazia di Dio, i meglio professori!
Francese, inglese, la musica.... E Laura, che ci aveva la disposizione,
anche la pittura, col professor Dalbuono, che lei lo sa, rinomatissimo!
Giulietta non la volle studiare, ma....

SIGNORA NELLI

                                compiendo la frase.

Stando accanto alla sorella....

FRANCESCA.

Ecco, già!

                                A Giulietta, che s’allontana,
                              scrollando le spalle urtata:

Che cos’è?

SIGNORA NELLI

                                fingendo di non capire la
                              mortificazione della ragazza per la
                              goffaggine della mamma.

Via, signorina, non stia così in pensiero! Lei dice bene; ma scusi, non
potrebbe esser venuto in mente a Laura di cominciare lì per lì qualche
altro studio?

GIULIETTA

                                freddamente, concedendo per cortesia.

Questo.... sì, potrebbe darsi.

SIGNORA NELLI.

Se ha ripreso a dipingere coll’antico fervore....

GIULIETTA.

No, che! Non ha più nessun fervore, Laura.

FRANCESCA.

Ma quando si prende marito, sfido! Queste sono cose, come si dice?
adorni ecco, adorni, signora mia, per le ragazze. Non le pare? Però mio
genero li vuole, sa! Bisogna dire la verità! La spinge lui, mio genero.

SIGNORA NELLI.

E fa bene! Ah, certo. Fa benissimo. Sarebbe un vero peccato che Laura,
dopo tante belle prove....

GIULIETTA.

Non lo fa mica per questo, mio cognato. Forse, se Laura vedesse in suo
marito una certa passione per la sua arte.... Ma sa che la spinge a
riprendere la tavolozza, come la spingerebbe.... che so? a qualunque
altra occupazione....

FRANCESCA.

E che fa, male? Si sa che bisogna occuparsi! Signora mia, quando si è
cresciute, come le mie due figliuole, negli agi.... Sa qual è il vero
guajo, qua? Che mancano i figliuoli!

SIGNORA NELLI.

Ah! per carità, signora, non li chiami! Se sapesse quanto invidio
Laura, io! Ha sposato due anni prima di me, Laura: sono già sette anni,
è vero? E io, in cinque, già tre....

FRANCESCA.

Eh! ma scusi! ma perchè lei, volendola dire, si vede che ci s’è buttata
proprio a corpo perduto!

SIGNORA NELLI

                                ridendo, con finto orrore.

No! Che! Povera me! Sono venuti....

FRANCESCA.

Io dico uno! Uno, almeno, creda, ci vuole!

SIGNORA NELLI.

Mi sembra che vivano così bene d’accordo Laura e suo marito....

FRANCESCA.

Uh! per questo....

                                Si china verso la signora Nelli e le
                              confida piano all’orecchio.

Troppo, signora mia! troppo! troppo!

SIGNORA NELLI

                                piano, restando, ma un po’ anche
                              sorridendo.

Come, troppo?

FRANCESCA.

Ma sì, perchè.... sa com’è? nei primi tempi, quando marito e moglie,
giovani, si vogliono bene, se s’affaccia il pensiero d’un figliuolo,
l’uomo specialmente si.... si....

                                Fa un gesto espressivo con le mani,
                              contraendo le dita davanti al petto e
                              tirandosi indietro col busto, come per
                              dire: si arruffa.

mi spiego? perchè teme di non poter più avere tutta per sè la
mogliettina.

SIGNORA NELLI.

Eh! lo so.... Poi passa un anno, ne passano due, tre.... Lo desidera
dunque il signor Banti, il figliuolo?

FRANCESCA.

No, Laura! Lo desidera Laura! Tanto! Giorgio dice che lo desidera per
lei.

GIULIETTA.

E naturalmente, allora, Laura, lo desidera per sè!

FRANCESCA.

Ma che dici? Perchè dici così? Vuoi far credere alla signora qua, che
Laura non sia contenta di suo marito?

GIULIETTA.

Ma no, mamma! Io non ho detto questo. Quando passano, non tre, ma
cinque, ma sette anni!

FRANCESCA.

Tu non capisci niente! La donna, signora mia, dopo tanti anni, se non
si hanno figliuoli, sa che cosa fa? Si guasta. Glielo dico io! E anche
l’uomo si guasta. Si guastano tutti e due. Per forza!

                                Accenna a Giulietta.

Non posso parlare. Ma è proprio tutto il contrario di quello che
immagina questa ragazza. Perchè l’uomo perde l’idea di vedere domani
nella propria moglie la madre, e.... e.... e.... con lei mi sono
spiegata, è vero?

SIGNORA NELLI.

Sì, capisco, capisco....

FRANCESCA.

Queste benedette ragazze! Chi sa come sognano la vita!

GIULIETTA.

Oh! Dio mio, mamma! Sai bene che non sogno affatto, io!

FRANCESCA.

Già, non sogna, lei! E credi che sia bello non sognare? Non le posso
soffrire, signora mia, queste ragazze d’oggi, con tutta quest’aria
così.... così....

SIGNORA NELLI

                                suggerendo con un sorriso.

_Fanée._

FRANCESCA.

Come ha detto?

SIGNORA NELLI.

_Fanée._

FRANCESCA.

Già, così!

GIULIETTA

                                con dispetto.

È la moda.

FRANCESCA.

Io non so il francese, ma so che codesta moda non mi piace per
nientissimo affatto.


SCENA II.

DETTE e CAMERIERA.


CAMERIERA

                                accorrendo in grande agitazione
                              dall’uscio comune.

Signora! Signora!

FRANCESCA.

Che cosa è?

CAMERIERA.

Oh Dio! La signora Laura! Venga! venga!

FRANCESCA.

Mia figlia?

                                Balza in piedi.

SIGNORA NELLI

                                alzandosi anche lei.

Oh Dio, che è stato?

CAMERIERA.

La portano su, ferita!

FRANCESCA.

Ferita? Come! Laura?

GIULIETTA

                                con un grido, accorrendo per l’uscio
                              in fondo.

Lo dicevo io!

FRANCESCA

                                accorrendo anche lei.

Figlia mia! Figlia!


SCENA III.

DETTE, LAURA, IL DELEGATO, IL CAMERIERE, IL PORTIERE, DUE GUARDIE.


                                Laura, sostenuta dal delegato e dal
                              cameriere, si presenta sulla soglia,
                              cascante, come disfatta, con gli abiti
                              e i capelli in disordine. Nel pallore
                              cadaverico, le fa sangue il labbro.
                              Ha, lungo il collo, aspri, sanguinosi
                              strappi. Il portiere reca in mano il
                              cappello della signora, la scatola
                              dei colori. Le due guardie si tengono
                              presso l’uscio.

FRANCESCA

                                che s’è lanciata per accorrere
                              con le altre, dapprima indietreggia
                              spaventata, all’apparizione della
                              figlia in quello stato; poi con un
                              grido, andandole incontro.

Ah! Laura! Che t’hanno fatto? Laura mia!

LAURA

                                buttandosi al collo della madre,
                              in preda a un convulso crescente, di
                              ribbrezzo e di disperazione.

Mamma.... mamma.... mamma....

FRANCESCA.

Sei ferita? Dove? Dove?

GIULIETTA

                                cercando d’abbracciare anche lei la
                              sorella.

Laura! Laura mia! Che hai? che hai?

SIGNORA NELLI.

Ma come è stato? chi è stato?

FRANCESCA.

Chi t’ha ferita? Figlia! figlia mia! Dove sei ferita?

GIULIETTA

                                portando una seggiola e gridando.

Qua, mamma....

FRANCESCA.

Dove? dove?

GIULIETTA.

No, dico, falla sedere! Vedi? non si regge.

FRANCESCA.

Ah sì, siedi, figlia, siedi.... Ma chi è stato l’assassino? Chi....

                                Non può seguitare a parlare,
                              perchè Laura, cascando a sedere senza
                              staccarsi dal collo di lei, la obbliga
                              a piegarsi.

GIULIETTA.

Chi è stato?

                                Al delegato, forte:

Lo dica lei, chi è stato?

IL DELEGATO

                                con imbarazzo, guardando la signora
                              Nelli, come per farsi intendere.

La.... la signora è stata vittima d’una.... di una.... aggressione,
ecco....

SIGNORA NELLI

                                con un grido soffocato.

Ah!

GIULIETTA

                                inginocchiandosi e facendo per
                              cingere con le braccia la sorella.

Oh, Laura.... dì, dì.... come?

LAURA

                                staccando le braccia dal collo
                              della madre e respingendo per impulso
                              istintivo, ma pur con angoscioso
                              affetto la sorella.

No.... tu no, Giulietta.... Va’, tu.... va’.... va’....

GIULIETTA

                                a sedere sui ginocchi, tirandosi
                              indietro, smarrita.

Perchè?

FRANCESCA

                                intuendo, alzando le mani e sbarrando
                              gli occhi:

Questo?... Ah Dio mio!... Questo?...

                                Alla signora Nelli, facendole cenno
                              di condurre di là Giulietta.

Signora....

                                Poi, chinandosi su Laura:

Ma come? Figlia mia....

                                Di nuovo, alla signora Nelli.

Signora, per carità....

SIGNORA NELLI

                                a Giulietta.

Venga.... venga, cara.... Andiamo di là....

GIULIETTA.

Ma perchè?

                                Poi guarda il delegato; capisce che
                              deve andare; scoppia in singhiozzi su
                              la spalla della signora Nelli che la
                              conduce via per l’uscio in fondo.

LAURA

                                mostrando il collo alla madre.

Guarda.... guarda....

FRANCESCA.

Ma chi è stato? Chi?

LAURA

                                non può parlare; il convulso è
                              giunto al colmo; tre volte, fra il
                              tremore spaventoso di tutto il corpo,
                              storcendosi le mani per l’onta, per lo
                              schifo, grida quasi a scatti:

Un bruto.... un bruto.... un bruto....

                                E rompe in un pianto che pare
                              un nitrito, balzante dalle viscere
                              contratte.

FRANCESCA.

Figlia mia!

                                Si precipita su lei, e sentendola
                              mancare, la solleva con l’ajuto della
                              cameriera.

Portiamola di là!

                                Poi, conducendola verso l’uscio a
                              sinistra.

Un medico, presto! Il dottor Romeri!

IL CAMERIERE.

È già avvertito, signora....

IL PORTIERE.

L’ho chiamato al telefono....

                                Francesca, Laura, la Cameriera via
                              per l’uscio a sinistra.


SCENA IV.

DETTI, IL DOTTOR ROMERI, poi GIORGIO BANTI, ARTURO NELLI, LA SIGNORA
NELLI.


IL CAMERIERE

                                al delegato.

L’hanno preso?

                                Il delegato non risponde; apre le
                              braccia.

IL PORTIERE.

Ma dove è stato?

                                Entra dall’uscio in fondo in fretta
                              il dottor Romeri.

IL CAMERIERE.

Ah, ecco qua il signor dottore!

ROMERI.

Dov’è? dov’è?

IL CAMERIERE.

Ecco, di qua, signor dottore; venga!

                                Indica l’uscio a sinistra. Si
                              odono intanto dall’interno le voci di
                              Giorgio Banti e di Arturo Nelli che
                              chiamano: — _Dottore!... Dottore!_...
                              — Il dottor Romeri si ferma; si volta.
                              Sopraggiungono Giorgio Banti, pallido,
                              scontraffatto; l’avvocato Nelli, la
                              signora Nelli.

GIORGIO.

È ferita? È ferita?

ROMERI.

Sto arrivando adesso io....

GIORGIO.

Venga, venga!

                                Corre per l’uscio a sinistra, seguito
                              dal dottor Romeri.


SCENA V.

DETTI, meno GIORGIO e ROMERI.


SIGNORA NELLI

                                al delegato.

Ma com’è stato?

NELLI

                                al cameriere, al portiere.

Andate, andate di là, voi! Signor delegato, queste guardie....

IL DELEGATO

                                alle guardie.

Potete ritirarvi....

                                Le due guardie salutano e vanno via
                              col cameriere e col portiere.


SCENA VI.

NELLI, LA SIGNORA NELLI, IL DELEGATO.


NELLI.

Un’aggressione?

IL DELEGATO.

Già. A Villa Giulia, pare.

SIGNORA NELLI.

Vi s’era recata a dipingere....

IL DELEGATO.

Io non so bene ancora. Sono stato incaricato delle prime indagini.

SIGNORA NELLI.

Vi andava da tre giorni....

NELLI.

Sempre allo stesso posto?

SIGNORA NELLI.

Pare! L’ha detto Giulietta. Ogni mattina, alle sei.

NELLI.

Ma come mai? sola?

IL DELEGATO.

Un guardiano della villa la trovò per terra....

SIGNORA NELLI.

Svenuta?

IL DELEGATO.

Dice che non dava segni di vita. Pare che abbia sentito prima i gridi
della signora.

SIGNORA NELLI.

Ma come? E non è accorso?

IL DELEGATO.

Dice ch’era troppo lontano. La villa è sempre deserta.

NELLI.

Ma che pazzia! Andar così sola!

SIGNORA NELLI.

Ecco là la scatola dei colori....

                                Gli altri due si voltano e restano
                              con lei a guardare quella scatola con
                              quell’impressione che si prova davanti
                              a un oggetto che è stato testimonio
                              d’un dramma recente.

IL DELEGATO.

Già, e il cappello....

                                Pausa.

Furono trovati dal guardiano a molta distanza dal posto dove la signora
giaceva.

NELLI.

Ah! Ma, dunque....

IL DELEGATO.

Evidentemente la signora avrà tentato di fuggire.

SIGNORA NELLI.

Inseguita?

IL DELEGATO.

Non so! Una cosa incredibile! Fu trovata riversa tra le spine d’una
siepe di rovi.

SIGNORA NELLI

                                stringendosi in sè, per orrore.

Ah! Forse voleva saltare....

IL DELEGATO.

Forse. Ma ghermita lì....

SIGNORA NELLI.

Era tutta strappata! Il collo, la bocca.... Una pietà!

NELLI

                                tentennando il capo, con amara
                              irrisione.

Tra le spine....

IL DELEGATO.

Un villanzone. Pare che lo abbia visto, il guardiano.

NELLI

                                con ansia.

Ah sì?

IL DELEGATO.

Sissignore. Buttarsi di là dalla siepe. Un villanzone, un giovinastro.
Ma invece d’inseguirlo, come avrebbe dovuto, pensò di soccorrere la
signora, e....

                                S’interrompe, voltandosi verso
                              l’uscio a sinistra, donde vengono voci
                              concitate.


SCENA VII.

DETTI, GIORGIO, IL DOTTOR ROMERI, FRANCESCA, poi GIULIETTA.


ROMERI

                                dall’interno.

E io le dico di no! Scusi! La prego....

FRANCESCA

                                dall’interno.

Per carità, Giorgio! per carità!

GIORGIO

                                venendo fuori dall’uscio a sinistra,
                              sconvolto, tra i singhiozzi, ad
                              altissima voce:

Ma io ho pur diritto di sapere! Debbo, voglio sapere!

ROMERI

                                forte anche lui.

Saprà, perdio, ma a suo tempo!

GIORGIO.

No: ora! ora!

ROMERI.

Io le dico che per ora lei non solo non deve farla parlare, ma neppur
farsi vedere!

                                Agli altri.

Lo tengano qua!

                                Ritorna indietro per l’uscio a
                              sinistra.

NELLI.

Vieni, Giorgio....

                                E come Giorgio, convulso, gli
                              appoggia il capo e le mani sul petto,
                              rompendo in pianto.

Povero amico! povero amico mio....

FRANCESCA

                                alla signora Nelli.

La prego, signora, mi faccia la grazia d’accompagnarmi a casa la
Giulietta!

SIGNORA NELLI.

Sì, signora, non dubiti! Vuole subito?

FRANCESCA.

Sì, per carità! Le dirà, così, che io resto ancora qua.... finchè
posso.... Dio mio, è già sera, e bisogna che attenda a quel poverino di
mio marito.... lei sa in quale stato!

SIGNORA NELLI.

Eh, lo so.... Se potessi io....

FRANCESCA.

No, che! La ringrazio. Non si lascia toccare da nessuno.... Ma eccola
là, Giulietta....

                                Giulietta si mostra piangente
                              all’uscio di fondo. Francesca
                              chiamandola con la mano.

Tu andrai via con la signora. Io verrò appena mi sarà possibile.

GIULIETTA.

Ma Laura?

FRANCESCA.

Laura è di là!

GIULIETTA.

E non posso neanche vederla?

FRANCESCA.

Che vuoi vedere! Bisogna che stia tranquilla per ora. Va’, va’ da quel
poverino di tuo padre.... Ma non dirgli nulla, per carità!

GIULIETTA.

Ma.... ma che cos’è, mamma? che cos’è?

FRANCESCA.

Non è niente, non è niente! Signora, se la porti via....

SIGNORA NELLI.

Sì. Andiamo, signorina....

GIULIETTA

                                risolutamente, avvicinandosi al
                              cognato.

Giorgio, me lo dici tu che non è niente?

GIORGIO.

Io?

GIULIETTA.

Lo voglio sapere da te!

GIORGIO.

Io.... che vuoi che ti dica io? Io non so.... non so....

FRANCESCA.

Ma vai, santa figliuola! Mi fai stare qua.... Va’, va’ con la signora!

                                Via per l’uscio a sinistra.

SIGNORA NELLI

                                conducendosi via Giulietta.

Andiamo, cara, andiamo....

                                Via per l’uscio in fondo con
                              Giulietta.


SCENA VIII.

NELLI, GIORGIO, IL DELEGATO.


GIORGIO

                                al delegato, investendolo.

Che sa lei? Mi dica che sa! Bisogna averlo, darlo, darlo a me, subito!
Perchè, per un delitto come questo, se lo prendono....

                                A Nelli.

di’ tu.... quanto?... due, tre anni di carcere, è vero?

                                Al delegato.

Mentre io ho il diritto d’ucciderlo! Lo sa lei?

IL DELEGATO.

Io non so nulla, signore. Sono qua per le indagini.

NELLI.

Ma se non c’è nulla da sapere!

GIORGIO.

Come non c’è nulla da sapere?

NELLI.

Nulla, nulla da sapere! nulla da indagare! Basta così, perdio!

GIORGIO.

Come, basta?

NELLI.

Ma così! Ti dico che basta! La signora ha patito un’aggressione in una
villa; il ladro....

GIORGIO.

Il ladro?

NELLI.

Ma sì, il ladro.... un miserabile qualunque, non s’è potuto
rintracciare: e basta: finisce tutto così! Che c’è da far chiasso
ancora?

GIORGIO.

Ah no, caro mio! T’inganni!

IL DELEGATO.

Io ho avuto un ordine. Il reato è d’ordine pubblico....

NELLI.

E vuol dire che mi recherò io in pretura, o passerò dal commissario.
Lei se ne può andare: dia ascolto a me!

GIORGIO.

No! no! E io? Finisce per gli altri, così! Ma io?

NELLI.

Tu? Scusa, ti figuri che, se pure lo prendono, te lo consegneranno,
perchè tu l’uccida? E allora? L’hai detto tu stesso. Sissignori, per
un delitto che tu, offeso, potresti punire con la morte e non avresti
un giorno di pena, la legge non dà che due o tre anni di carcere!
Vuoi questo? E lo scandalo di un dibattimento? La pubblicazione della
sentenza sui giornali? Ma via!

                                Al delegato.

Vada, vada, signor delegato....

IL DELEGATO.

Io per me, tanto più che il medico ha detto di non farla parlare per
ora, posso ritirarmi.

NELLI.

Sì, sì; non dubiti, passerò io dal commissario.

IL DELEGATO.

Riverisco.

                                Il delegato s’inchina e via per
                              l’uscio in fondo.


SCENA IX.

GIORGIO e NELLI.


NELLI.

È un destino, perdio! A un bisogno, questa gente manca sempre! S’ostina
poi a restarti tra i piedi dove è superflua e non serve ormai che a far
più danno!

GIORGIO.

Ma che m’importa degli altri! Che vuoi che me ne importi?

NELLI.

Oggi; lo so. Ma vedrai che te ne importerà domani.

GIORGIO.

Prima di tutto, è inutile, perchè ormai sanno tutti: qua, là dove
l’hanno vista e raccolta.... Ma quand’anche nessuno sapesse, se lo so
io, non capisci, non capisci che per me è finita?

NELLI.

Io capisco, Giorgio, l’orrore che tu devi provare in questo momento.
Ma bisogna che tu lo vinca. Lo vinca, sì, con la compassione che deve
ispirarti quella poverina!

GIORGIO.

Compassione? Tu parli a me di compassione?

NELLI.

Non vorresti averne?

GIORGIO.

Ma che compassione vuoi che abbia io? Quella che potete aver voialtri,
sì, e chiunque sappia di questo scempio, di quest’infamia! Oh! è
facile! Chi può negargliela? Ma io sono il marito! sono il marito! Sono
io, io solo veramente in presenza dell’orrore di questo scempio, che
non è stato fatto a lei sola, ma anche a me! E in nessun altro, più
che in me — neppure in lei — può essere più vivo e più crudo, questo
orrore!

NELLI.

Sì, sì, t’intendo, Giorgio, t’intendo! È crudele, sì. Ma che vorresti
fare?

GIORGIO.

Non lo so.... non lo so.... Impazzisco.... Compassione, tu dici?
Sai quale sarebbe la compassione vera in questo momento, per me?
Che mi recassi là, sul letto di lei e per questo mio stesso amore la
uccidessi, innocente!

NELLI.

Ma è irragionevole, scusa!

GIORGIO.

Vuoi che ragioni?

NELLI.

Devi pur ragionare!

GIORGIO.

Lo so, lo so: tu devi dirmi così, lo so! Ma se il caso fosse capitato a
te? Ragioneresti tu?

NELLI.

Ma sì che ragionerei! Se qui non c’è colpa, scusa!

GIORGIO.

E appunto questa è per me la crudeltà! Non capisci? Che ci sia l’offesa
più brutale, senza esserci la colpa! Per me è peggio! Sarebbe offeso
il mio onore, se ci fosse la colpa, e potrei vendicarmi! È offeso
l’amore! E non intendi che niente è più crudele per il mio amore, che
quest’obbligo che gli è fatto, di avere pietà?

NELLI.

Ma il tuo amore appunto, scusa, dovrebbe ispirare a te stesso la
compassione!

GIORGIO.

Impossibile! L’amore, no!

NELLI.

Ma sarebbe allora più crudele....

GIORGIO

                                interrompendo.

Più crudele, sì!

NELLI

                                seguitando.

di ciò che quella poverina ha patito!

GIORGIO.

Sì, sì! È proprio così! Il non aver compassione sarebbe crudele per
lei; ma averne, è crudele per me! E quanto più tu ragioni, e quanto
più io riconosco che sono giuste le tue ragioni, tanto più cresce la
crudeltà per me! Debbo ragionare, già! Riconoscere che non c’è colpa;
che ella è stata offesa più di me, nel suo stesso corpo, e che è là che
soffre della violenza, dell’onta, del ludibrio.... E io che voglio? Che
pretendo io? Rincarar la dose della crudeltà su lei? lasciarla così in
quest’onta? disprezzarla?

NELLI.

Sarebbe ingeneroso!

GIORGIO.

Sarebbe vile!

NELLI.

Vedi? Lo riconosci!

GIORGIO.

Vile, sì, vile! Ma se si rivela così vile l’amore quando si trova come
mi trovo io adesso, qua, al limite della sua più viva gelosia, che
posso farci io? che posso farci?

                                Rompe in disperati singhiozzi.

NELLI.

Via, via, Giorgio.... Tu ti strazi inutilmente.... È il primo momento,
credi....

GIORGIO.

No! È la selva! È ancora la selva! È sempre la selva originaria!
Ma prima almeno c’era l’orrore sacro di quel mostruoso originario,
nella natura, nel bruto.... Ora, una villa coi suoi viali e le siepi
e i sedili.... Una signora, in cappellino, che vi sta a dipingere,
seduta.... Ed ecco il bruto. Ma vestito, oh! Decente. Mi par di
vederlo! I baffetti pettinati.... Chi sa se non aveva i guanti! Ma no:
l’ha tutta sgraffiata! Non senti quanto è più laido? quanto è più vile?
E io che devo esser generoso; mentre qui il sentimento mi rugge come
una belva.... Generoso.

                                Subito, troncando lo scherno.

No, no. Sento che non posso. Non posso, non posso. Ho bisogno
d’andarmene. Parto. Me ne vado.

NELLI.

Ma come? ma dove? che dici! E vorresti davvero lasciarla così?

GIORGIO.

Sarei più crudele, restando.

NELLI.

Ma che vuoi fare? dove vuoi andare?

GIORGIO.

Ho bisogno di disperdere, fuggendo come un pazzo, quello che ora provo
per questa ignominia!


SCENA X.

DETTI, LA SIGNORA FRANCESCA, IL DOTTOR ROMERI.


FRANCESCA

                                accorrendo ansiosa, seguita dal
                              dottor Romeri, dall’uscio a sinistra.

Giorgio.... Giorgio....

                                Raffrenando a un tratto l’ansia alla
                              vista della sovreccitazione del genero.

Che cos’è?... Ah, figliuolo mio.... sì.... povero figliuolo mio....
sì.... sì....

GIORGIO.

Per carità, non mi s’accosti! non mi dica nulla!

ROMERI.

Signora, dia ascolto a me.... Vede?

GIORGIO.

Lei comprende, dottore?

ROMERI.

Ma sì: comprendo che lei in questo momento....

FRANCESCA.

Ma se lo chiama di là! Se non fa altro che chieder di lui!

GIORGIO

                                con orrore, ritraendosi.

Non posso.... ah, non posso, non posso, non posso.

ROMERI.

Vede? Le farebbe più male, signora: creda a me! Ha bisogno anche lui
d’aspettare un po’....

GIORGIO.

Che vuole che aspetti più, io!

ROMERI.

Eh, un po’ di tempo....

GIORGIO

                                con scherno.

E la rassegnazione?

FRANCESCA.

Ma perchè? Ma dunque, tu....

NELLI.

Lasci, signora! Bisogna considerare anche lui....

FRANCESCA.

Sì, figliuolo mio, io ti considero, e come! Ma l’unico rimedio a quello
che soffrite....

GIORGIO.

La pietà! Anche lei! Ma tutti, si sa! La pietà!

FRANCESCA.

L’uno dell’altra, sì, subito. Così l’intendo io, che sono una povera
ignorante! Non la rassegnazione a un male che non c’è!

GIORGIO.

Come non c’è?

FRANCESCA.

Non c’è! non c’è! E lo deve dire il vostro amore che non c’è! Se tu ami
davvero la mia figliuola! Se no, che ami tu? Che ami? Non è vero? Dica
lei, signor dottore! Dica, avvocato!

GIORGIO

                                prorompendo di nuovo in pianto,
                              stringendosi in sè, colle mani premute
                              sul volto.

Io l’amavo.... io l’amavo.... tanto, tanto.... Ma appunto perchè
l’amavo tanto.... Voi non capite! Può essere per quella che amavo, la
pietà! Ma non più, ora....

FRANCESCA.

Non l’ami più, ora? E perchè?

GIORGIO.

Ma se volete che ne abbia pietà! Quale pietà? Quale? La vostra, la mia,
possono ajutarmi? Io ho bisogno d’esser crudele! Lei crede perchè non
amo sua figlia? No, sa! Appunto perchè la amo!

FRANCESCA.

Non è vero! Non è vero! Tu non ami lei così!

GIORGIO.

Ma vuole che il mio amore sia come il suo? Il fatto è forse per lei
quello stesso che è per me? Quello che sento io non può sentirlo lei!

FRANCESCA.

Va bene! Ma come, come vorresti essere crudele?

GIORGIO.

Come? L’ho detto come! E se lei di là sentisse quello che sento io,
dovrebbe esserne contenta.

FRANCESCA.

Ma lei di là ti chiama! Che pensi di fare?

GIORGIO.

Non penso nulla! Ma bisogna che me ne vada, che me ne vada!

FRANCESCA.

E vuoi abbandonarla così?

ROMERI.

Ma sì, è meglio, signora! Lo lasci andare!

FRANCESCA.

Ma può restar sola, così, di là, se sa che lui se n’è andato?

ROMERI.

Rimanga lei qua.

NELLI.

Ecco.... sarebbe opportuno....

FRANCESCA.

E chi glielo dirà? Tu che hai il cuore di farlo, dovresti anche avere
il cuore di dirglielo!

GIORGIO

                                risolutamente.

Vuole che glielo dica io?

ROMERI.

No, per carità, signora!

FRANCESCA.

Ma dunque lei capisce che può morirne, la mia figliuola, a vedersi
abbandonata così, in questo momento, da colui che dovrebbe starle più
vicino, se avesse un po’ di cuore?

ROMERI.

No, no, non è questo, signora!

NELLI.

Se non riesce a vincere se stesso in questo primo momento....

GIORGIO.

Per me è finita! È finita! Sento che per me è finita! Posso avere la
pietà di restare. Ma come resto? Non lo capite? Per gli altri, ecco!
Resto. Ma sarà peggio.

NELLI.

No, no! Vedrai, Giorgio....

GIORGIO.

Che vuoi che veda!

NELLI.

Vedrai.... Non voglio dirti nulla, perchè capisco che ogni parola è per
te una ferita in questo momento. Senta, signora: lei ha da badare a suo
marito? Vada.

FRANCESCA.

Ma come?

NELLI.

Vada; dia ascolto a me, e stia tranquilla. Giorgio rimane.

GIORGIO.

Per gli altri! per gli altri!

NELLI.

Va bene, sì, per gli altri!

                                Alla signora Francesca, facendole
                              segni e occhiate d’intelligenza per
                              significarle che è meglio che marito e
                              moglie restino soli.

Ora andrà a rivestirsi, e passerà la sera con me.

FRANCESCA.

E Laura?

ROMERI.

La signora ha bisogno di esser lasciata tranquilla. Vada lei a dirle
che ho obbligato io il signor Banti a tenersi lontano.

FRANCESCA.

Ma sola, impazzirà!

ROMERI.

No, signora. Vedrà che riposerà col rimedio che le ho dato per calmare
l’agitazione. Forse a quest’ora riposa. Vada, vada a vedere.

FRANCESCA.

Ecco, sì, vado, vado....

                                Francesca via per l’uscio a sinistra.


SCENA XI.

DETTI, meno FRANCESCA.


ROMERI.

E vado via anch’io.

                                Appressandosi e stringendo le mani a
                              Giorgio.

Mi raccomando. Bisogna sempre esser più forti della sciagura che ci
colpisce.

GIORGIO.

Questa è peggiore per me d’una morte. Ma se l’immagina, dottore, lei
ancora viva, domani, davanti a me?


SCENA XII.

DETTI e FRANCESCA.


FRANCESCA

                                sopravvenendo lieta dall’uscio a
                              sinistra, col cappello di nuovo in
                              capo.

Sì, sì, riposa, riposa veramente.

ROMERI.

Gliel’ho detto io?

FRANCESCA.

E allora vado, sì! Non posso farne a meno. Sarò qui domattina.

                                Si appressa a Giorgio.

Addio, Giorgio. E.... non ti dico.... non ti dico nulla, figliuolo
mio....

GIORGIO.

A rivederla.

NELLI.

Vengo anch’io con lei, signora.

                                A Giorgio.

Vuoi che passi a riprenderti?

GIORGIO.

No, no.... Passerò io, se mai, da te.

NELLI.

Quando vuoi. Sono a casa. A rivederci.

                                Alla signora Francesca e al dottore:

Andiamo, andiamo....

                                Via con gli altri due per l’uscio in
                              fondo.


SCENA XIII.

GIORGIO solo, poi IL CAMERIERE, in fine LAURA.


GIORGIO

                                rimane un pezzo assorto nella sua
                              sciagura, esprimendo con la contrazione
                              del volto i sentimenti in contrasto.
                              Poi sorge in piedi, si passa le mani
                              sulla fronte, si volta verso l’uscio a
                              sinistra e ripete:

Non posso.... non posso....

                                Suona il campanello elettrico e
                              compare il cameriere.

Di’ ad Antonio che tenga pronta la macchina. Andremo in villa.

IL CAMERIERE.

Il signore.... solo?

GIORGIO.

Solo, sì, subito. Tu preparami intanto la valigia.

                                Il Cameriere, via. Giorgio fa
                              per ritirarsi, quando Laura appare
                              sull’uscio a sinistra, pallida, in
                              una vestaglia violacea, con un velo
                              nero al collo. Giorgio, appena la
                              vede, leva le mani come a parare la
                              pietà che gli ispira, e ha in gola un
                              lamento, che è come un ruglio breve,
                              cupo d’esasperazione e di spasimo.
                              Laura lo guarda e gli s’appressa,
                              lenta, senza dir nulla, ma esprimendo
                              col volto il bisogno che ha di lui, di
                              stringersi a lui; e nel suo avanzarsi,
                              la certezza che egli non fuggirà.
                              Giorgio, come se la vede vicina, rompe
                              in un pianto convulso e ciecamente, in
                              quel pianto, la abbraccia. Ella non
                              muove un braccio: ma è lì, sua. Solo
                              alza il volto come in uno stiramento
                              di tragica aspettazione, che egli
                              cancelli comunque, con la morte o con
                              l’amore, l’onta che la uccide. E come
                              egli, preso già dall’ebbrezza della
                              persona di lei, sempre singhiozzando,
                              le cerca con la bocca le ferite nel
                              collo ancora proteso, piega la guancia
                              appassionatamente sul capo di lui, con
                              gli occhi chiusi.


  TELA.



ATTO SECONDO.

    Spiazzo innanzi alla villa Banti a Monte Porzio. La villa si erge
  a sinistra, con vestibolo a loggiato. In fondo, e a destra, è tutto
  alberato. Autunno.


SCENA PRIMA.

LAURA e IL GIARDINIERE FILIPPO.


                                Laura è su una sedia a sdrajo,
                              pallida, un po’ molle d’un languore
                              ardente d’inesausta passione; presta
                              ascolto con interesse e, insieme,
                              con un certo turbamento che vorrebbe
                              dissimulare, a ciò che le dice il
                              vecchio giardiniere, il quale le sta
                              presso, in piedi, con un sacchetto a
                              tracolla, un fascetto di ramoscelli
                              sotto il braccio e l’innestatojo in
                              mano.

FILIPPO.

Ma l’arte ci vuole! Se non ci hai l’arte, signora, tu vai per dar vita
a una pianta, e la pianta ti muore.

LAURA.

Perchè può anche morirne, la pianta?

FILIPPO.

E come! Si sa! Tu tagli — a croce, mettiamo — a forca — a zeppa — a
zampogna — c’è tanti modi d’innestare! — applichi la buccia e la gemma,
cacci dentro uno di questi talli qua;

                                Mostra uno dei ramoscelli che tiene
                              sotto il braccio.

leghi bene; impiastri e impeci — a seconda —; credi d’aver fatto
l’innesto; aspetti.... — che aspetti? Hai ucciso la pianta. — Ci
vuol l’arte, ci vuole! Ah, forse perchè è l’opera d’un villano? d’un
villano che, Dio liberi, se con la sua manaccia ti tocca, ti fa male?
Ma questa manaccia.... Ecco qua. Qua c’è una pianta. Tu la guardi:
è bella, sì; te la godi, ma per vista soltanto: frutto non te ne dà!
Vengo io, villano, con le mie manacce; pare che in un momento t’abbia
distrutto la pianta: ho strappato, tagliato, inciso.... — aspetta un
poco — e senza che tu ne sappia niente, ti faccio dare il frutto: — Che
ho fatto? Ho preso una gemma da un’altra pianta e l’ho innestata qua.
— È agosto? — A primavera ventura tu avrai il frutto. — E sai come si
chiama quest’innesto?

LAURA

                                sorride triste.

Non so.

FILIPPO.

A occhio chiuso! Questo è l’innesto a occhio chiuso, che si fa
d’agosto. Perchè c’è poi quello a occhio aperto, che si fa di maggio,
quando la gemma può subito sbocciare.

LAURA

                                con infinita tristezza.

Ma la pianta?

FILIPPO.

Ah, la pianta, per sè, bisogna che sia in succhio, signora! Questo,
sempre. Chè se non è in succhio, l’innesto non lega!

LAURA.

In succhio? Non capisco....

FILIPPO.

Eh, sì, in succhio.... Vuol dire.... come sarebbe?... in amore, ecco!
Che voglia.... che voglia il frutto che per sè non può dare!

LAURA

                                interessandosi vivamente.

L’amore di farlo suo, questo frutto? del suo amore?

FILIPPO.

Delle sue radici che debbono nutrirlo; dei suoi rami che debbono
portarlo....

LAURA.

Del suo amore, del suo amore.... Senza saper più nulla, senza più
nessun ricordo donde quella gemma le sia venuta, la fa sua, la fa del
suo amore?

FILIPPO.

Ecco.... così! così!

                                Si sente da lontano, a destra, la
                              voce di Zena, che chiama: “_Filippo!
                              Filippo!_„

Ah, ecco la Zena col suo figliuolo. Vado ad aprirle!

                                Corre via, tra gli alberi, a destra.

LAURA

                                resta assorta e ripete tra sè,
                              lentamente, con angoscia d’intenso e
                              disperato desiderio:

Del suo amore.... del suo amore....


SCENA II.

DETTI e LA ZENA.


FILIPPO

                                dall’interno.

E vieni avanti! che paura hai?

                                Rientra in iscena per la destra
                              seguito dalla Zena, che veste a modo
                              delle contadine della campagna romana.

Eccola qua. Si vergogna, la sciocca.

ZENA.

No. Che m’ho da vergognare? Buon giorno, signora.

LAURA.

Buon giorno.

                                La guarda, forzandosi a dissimulare
                              la disillusione.

Ah, sei tu la Zena?

ZENA.

Io, signora, sì. Eccomi qua.

FILIPPO.

Vedi come s’è fatta brutta.... vecchia?

LAURA.

No, perchè?

ZENA.

Siamo poveretti, signora.

FILIPPO.

Quanti anni hai? Non devi averne più di venticinque!

ZENA.

Tu mi guardi, signora? Eh, tu che non sai, hai forse ragione di
meravigliarti. Ma tu, brutto vecchiaccio, che fai il signore qua in
villa e sei tutto storto lì, che vuoi mettere? le fatiche tue con le
mie?

FILIPPO.

Oh! oh! Gran fatiche, sì!

ZENA.

E cinque figliuoli, signora, chi li ha fatti? Li ha fatti lui?

FILIPPO

                                accorgendosi soltanto ora.

E come? Sei venuta senza il ragazzo? T’avevo detto di portarlo con te,
chè la signora voleva conoscerlo....

ZENA.

Non l’ho portato, signora.

LAURA.

Perchè non l’hai portato?

ZENA.

Ma.... perchè mi lavora il ragazzo, col padre.

FILIPPO.

E non potevi chiamarlo un momento?

ZENA.

Già, davanti al padre, per dirgli che la signora lo voleva qua....

FILIPPO.

E che c’era di male?

ZENA.

Dopo le chiacchiere che ci sono state?

FILIPPO.

Ma va’! Vuoi che tuo marito pensi ancora a quelle chiacchiere?

ZENA.

Non ci pensa, se qualcuno non ce lo fa pensare! — Ma poi che c’entra
il ragazzo qua? — Tu che volevi dal ragazzo, signora? — Noi non abbiamo
più parlato, da allora.

LAURA.

Lo so, lo so, Zena. T’ho fatto chiamare perchè volevo io, ora, parlare
con te. Da sola.

ZENA.

E di che?

LAURA.

Tu va’, Filippo; va’ per le tue faccende.

FILIPPO.

Vado, sì, signora. Ma la Zena, in coscienza — lasciamelo dire per
il male che le voglio — la Zena.... — io sono vecchio e so tutto, di
quando lei era qua coi padroni antichi, che aveva appena sedici anni e
il signorino non ne aveva neanche venti — non fu mai lei a parlare!

ZENA.

Ecco! La verità, signora!

FILIPPO.

Fu la madre, fu la madre.

ZENA.

Ma nessuno ci pensa più, adesso! Neppure mia madre!

LAURA.

Lo so, ti dico! Non è per questo, Zena. — Vai, vai Filippo.

FILIPPO.

Ecco, ecco, me ne vado, sì. — Scusami, signora, se ho parlato. Me ne
vado.

                                Via per la sinistra.


SCENA III.

LAURA e LA ZENA.


ZENA

                                subito, risentita.

È forse venuto qualcuno a mia insaputa, signora, a parlarti di quel
ragazzo?

LAURA.

No, Zena: nessuno, t’assicuro.

ZENA.

Signora, dimmelo! Perchè una parola ebbi allora, quando avrei potuto
approfittarmene, se non avessi avuto coscienza — io sola, sai? contro
tutti! — e una parola ho anche adesso!

LAURA.

Ma no, no, non è venuto nessuno: stai tranquilla. È venuto in mente a
me. Così. Perchè mi sono ricordata che, prima di sposare, mi fu detto
che mio marito qua, in villa, da giovane....

ZENA.

Ma che vai pensando più, signora!

LAURA.

Aspetta. Io voglio sapere. Voglio parlare con te, Zena. Siedi, qua,
accanto a me....

                                Indica uno sgabello.

ZENA

                                sedendo, impacciata.

Ma sai che mi pare tu voglia parlarmi di un altro mondo, ormai, signora?

LAURA.

Sì, perchè tu eri tanto ragazza, allora.

ZENA.

Oh, una ragazzaccia senza testa! E non ero mica così....

LAURA.

Me l’immagino. Dovevi esser bella....

ZENA.

Bruttaccia non ero.

LAURA.

Ed eri già fidanzata, è vero?

ZENA.

Sissignora. Con questo che ora è mio marito.

LAURA.

Ah!

ZENA

                                con gli occhi bassi, alza un po’ le
                              spalle e sospira.

Eh, signora, che vuoi?

                                Breve pausa.

LAURA

                                quasi con timidezza.

E lui lo sapeva?

ZENA

                                impronta, ma senz’impudicizia.

Chi? Il signorino?

LAURA.

Sì; che eri fidanzata?

ZENA.

Sissignora, come non lo sapeva? Ma era un ragazzo anche lui, il
signorino.

LAURA.

Sì, ma dimmi....

ZENA.

Signora, sono una poveretta; ma credi che se male feci allora, lo feci
soltanto a me, e non volli che ne fosse fatto ad altri senza ragione!

LAURA.

Ti credo, Zena; lo so. Ma dimmi: ecco, io voglio sapere. “Senza
ragione„, hai detto. Ne eri proprio, dunque, così sicura tu?

ZENA.

Di che? Che il ragazzo non era del signorino?

LAURA.

Ecco, sì. Perchè, tu sai, tante volte.... avresti potuto tu stessa
essere in dubbio.

ZENA

                                la guarda, sorpresa, scontrosa; poi
                              si alza.

Perchè mi fai codesto discorso, signora?

LAURA.

No. Perchè ti turbi? Siedi, siedi....

ZENA.

No, non siedo più.

LAURA.

Vorrei saperlo perchè.... perchè sarei.... sarei contenta che tu mi
dicessi....

ZENA

                                la guarda, sorpresa, scontrosa; poi
                              si alza.

Che il ragazzo era del signorino?

LAURA.

Tu non hai nessun dubbio?

ZENA

                                seguita a guardarla male, poi, come
                              per richiamarla a sè:

Signora....

LAURA

                                ansiosa.

Di’ di’....

ZENA.

Tu dovresti esser contenta, mi pare, di quello che ho sempre detto!

LAURA.

Se ne sei proprio certa....

ZENA

                                seguita a guardarla male, poi, come
                              per richiamarla a sè:

Bada, signora, che la povertà è cattiva consigliera.

LAURA.

Ma no: perchè io anzi, ora, alla tua coscienza mi rivolgo, Zena!

ZENA.

La mia coscienza, lasciala stare. Parlò allora, la mia coscienza, e
disse quello che doveva dire.

LAURA.

Proprio la tua coscienza? Ecco, vorrei saper questo! Eri così giovine,
inesperta.... E, forse per timore....

ZENA

                                ride, quasi con ischerno.

Ma sai che tu mi stai parlando adesso, come mi parlò mia madre, allora,
quando s’accorse del signorino? Proprio così mi disse: ragazza....
inesperta.... se non avevo almeno qualche dubbio.... se non negavo per
timore....

LAURA.

Anche tua madre, vedi?

ZENA.

Ma di mia madre lo capisco. Il male me l’ero già fatto, con
quell’altro; se ne voleva approfittare. Ma tu perchè, signora, adesso,
dopo nove anni, mi vieni a riparlare di quel ragazzo?

LAURA.

Perchè.... perchè so, ecco.... so che tuo marito pretese, allora, del
denaro, per sposarti.

ZENA.

Ah, per questo? Ma si sa, signora! Non era povero per niente.... Mia
madre lo mise su, facendo sapere a tutti del signorino. Non mi voleva
più sposare, pur sapendo bene che il figliuolo era suo. C’era da
spillar danaro, qua, dai signori; e se ne volle anche lui approfittare.
E bada che se ora viene a sapere che a te piacerebbe

                                La guarda in un modo ambiguo e
                              provocante.

— chi sa perchè.... — che io avessi ancora qualche dubbio....

LAURA.

Ah! Tu mi fai pentire d’aver voluto parlare con te a cuore aperto, per
uno scrupolo che non puoi neanche intendere!

ZENA.

E chi sa? Forse t’intendo, signora; non ti pentire!

LAURA.

Che cosa intendi?

ZENA.

Eh, siamo furbi noi contadini! Vedo che ti piacerebbe che tuo marito
avesse avuto un figlio con me. Ebbene, io ti dico questo soltanto: che
io, contadina, il figlio lo diedi a chi ne era il padre vero. — Ah,
eccolo qua, il signorino....

                                Si trae indietro, a testa bassa.


SCENA IV.

GIORGIO e DETTE.


                                Laura, appena vede entrare Giorgio,
                              balza in piedi tutta fremente e corre
                              ad aggrapparsi a lui in una crisi di
                              pianto.

LAURA.

Giorgio! Giorgio! Ah Giorgio mio!

GIORGIO

                                soprappreso, premuroso, non badando a
                              Zena.

Ebbene? Che cos’è?

LAURA.

Niente.... niente....

GIORGIO.

Ma tu piangi?

LAURA.

Niente.... no....

GIORGIO.

Come no? Che è stato?

LAURA.

Niente, ti dico.... Così! La sorpresa.... Non t’aspettavo così presto
di ritorno....

ZENA.

Io me ne vado, signora. Addio, eh?

LAURA.

Sì, sì, va’, puoi andare, Zena!

                                Zena, via per la destra.


SCENA V.

LAURA e GIORGIO.


GIORGIO

                                sorpreso, addolorato.

Ma come? tu parlavi con.... Che forse è venuta a dirti qualche cosa?

LAURA

                                subito, negando con forza.

No, no! Ma che! Nulla! Non ci pensa più!

GIORGIO.

E perchè è venuta qua, allora?

LAURA.

No, non è venuta lei; l’ho fatta chiamare io.

GIORGIO.

Tu? E perchè?

LAURA.

Per un capriccio.... per una curiosità....

GIORGIO.

Hai fatto male, Laura! Non dovevi farlo.

LAURA.

Ne parlò Filippo.... così, per caso.... E mi venne desiderio di
conoscerla, ecco. Ma come l’ho veduta....

GIORGIO.

Ti avrà detto però qualche cosa....?

LAURA.

No, niente! Sai pure che negò sempre!

GIORGIO.

Sfido! Volevano fare un ricatto!

LAURA.

Lei, no! La madre. Me lo disse, difatti.

GIORGIO.

Ma tu perchè, allora, hai pianto?

LAURA.

Non per lei! non per lei! È stato.... te l’ho detto.... non so perchè,
appena t’ho visto all’improvviso.... È per quello che io sento,
Giorgio.... E vedi che rido, ora, poichè tu sei qua di nuovo, con
me....

GIORGIO.

Hai pur detto tu stessa che non m’aspettavi così presto di ritorno....

LAURA.

Sì, è vero. Ma ho tanto sofferto, sai? a restar sola! Ho bisogno di te,
tanto! Che tu mi tenga così, stretta così, senza più staccarti da me,
mai, mai!

GIORGIO.

Ma io sono andato per te, Laura mia....

LAURA.

Lo so, sì, è vero!

GIORGIO.

Vedi come sono fredde queste tue manine? T’ho portato da ricoprirti
bene. Siamo scappati qua tutt’a un tratto. È volato più di un mese. È
venuto il freddo....

LAURA.

Ma staremo qua ancora! Sarà più bello, ora, qua, soli soli.... Tu non
hai paura del freddo, è vero?

GIORGIO.

No, cara.

LAURA.

Non devi aver paura con me....

GIORGIO.

Ma io ho avuto paura di te, cara!

LAURA.

Non dirmi “cara„ così!

GIORGIO.

Come vuoi che ti dica?

LAURA.

Laura.... come sai dirlo tu.

GIORGIO.

Ebbene, Laura....

LAURA.

Così! Mi piace guardarti le labbra quando stacchi le sillabe.

GIORGIO.

Perchè? Come le stacco?

LAURA.

Non so.... Così....

GIORGIO.

Laura mia....

LAURA.

Tua, tua, sì! Ah, non puoi immaginarti come, ora! E pure vorrei ancora
di più! Ma non so come!

GIORGIO.

Ancora di più?

LAURA.

Sì, ancora più tua — ma non è possibile! Tu lo sai, è vero? lo sai che
di più non è possibile?

GIORGIO.

Sì, Laura.

LAURA.

Lo sai? Di più, si morirebbe. Eppure ne vorrei morire.

GIORGIO.

No! Che dici?

LAURA.

Per me dico; per non esser più io.... non so, una cosa che senta ancora
minimamente di vivere per sè.... ma una cosa tua, che tu possa fare più
tua, tutta del tuo amore, del tuo amore, intendi? tutta in te, così,
del tuo amore, come sono!

GIORGIO.

Sì, sì, come sei! come sei!

LAURA.

Tu lo senti, è vero? lo senti che sono così, tutta del tuo amore? e che
non ho per me più niente, niente, nè un pensiero, nè un ricordo per me,
di nulla più.... tutta, assolutamente tua, per te, del tuo amore?

GIORGIO.

Sì, sì!

                                Laura, che ha proferito le parole
                              precedenti con la più immedesimata
                              intensità, che è quasi il succhio
                              della pianta di cui le ha parlato
                              il giardiniere, si fa pallidissima,
                              sorridendo di un sorriso che vanisce
                              nella beatitudine di un deliquio, e gli
                              appoggia la fronte sul petto.

Laura?

LAURA.

Ah?

GIORGIO.

Oh Dio! Laura! Che hai?

LAURA.

Nulla.... nulla....

                                Sorride, levando il volto.

Vedi? Nulla.

GIORGIO.

Ma ti sei fatta pallida!

LAURA.

No; non è niente.

GIORGIO.

Sei tutta fredda! Siedi, siedi!

LAURA.

Ma no.... Non mi dare ajuto.... Tu non capisci....

GIORGIO.

Che cosa?

LAURA.

Che è così.... che è così....

GIORGIO.

Che cosa è così?

LAURA.

Che io sono tutta del tuo amore — così!

GIORGIO.

Ma sì, siedi.... siedi qua...

LAURA.

L’ho toccata qua sul tuo petto.... per un attimo, congiunta...

GIORGIO.

Che cosa?

LAURA.

Sì, col tuo amore e col mio, congiunta, sul tuo petto per un attimo —
la vita.

GIORGIO.

Ma che dici?

LAURA

                                ha un brivido violento che la scuote
                              tutta e di nuovo la costringe ad
                              aggrapparsi a lui.

Oh Dio!

GIORGIO

                                sorreggendola.

Ma tu ti fai male! Che hai?.... Che hai?....

LAURA.

Niente. Un po’ di freddo. Un po’ di smarrimento.

GIORGIO.

È troppo, vedi! Ti sei troppo....

LAURA

                                subito, con ardore quasi eroico.

Sì, ma voglio così!

GIORGIO.

No, così è male! No.

                                Le prende il volto fra le mani.

Tu sei il mio amore; ma io non voglio, non voglio che tu ne abbia male!

LAURA

                                bevendo la dolcezza delle parole di
                              lui.

No?

GIORGIO.

No, non voglio! Vedi? I tuoi occhi....

                                S’interrompe vedendosi guardato in un
                              modo che gli fa perdere la voce.

LAURA

                                seguitando a guardarlo, quasi
                              provocante.

Di’.... parla, parla....

GIORGIO

                                ebbro.

Dio mio, Laura....

LAURA

                                ridendo, gaja.

I miei occhi? Ma guarda, guarda.... Non vedi che ci sei tu?

GIORGIO.

Lo vedo. Ma tu ridi....

LAURA.

No, no, non rido più!

GIORGIO.

È per te, bada!

LAURA.

Sì. Basta. Siamo buoni, ora! Siedi, siedi qua anche tu: ti faccio posto!

                                Nella sedia a sdrajo.

GIORGIO.

No, siedo qua allora!

                                Indica lo sgabello.

LAURA

                                si alza dalla sedia a sdrajo.

No, qua.... e io, così.

                                Gli siede sulle ginocchia.

GIORGIO.

Sì, sì.

LAURA.

No, buoni! Di’, sei passato dalla mamma?

GIORGIO.

Sì, ma non l’ho trovata.

LAURA.

Non hai veduto neanche Giulietta?

GIORGIO.

Era uscita con la mamma.

LAURA.

E non t’hanno detto nulla a casa?

GIORGIO.

No, nulla. Perchè?

LAURA.

Perchè ho telefonato di qua alla mamma.

GIORGIO.

Tu? Stamattina?

LAURA.

Sì.

GIORGIO.

Per me? Volevi forse qualche cosa?

LAURA.

No. Mi sono sentita un po’ male.

GIORGIO.

Ah sì? Quando?

LAURA.

Poco dopo che sei andato via tu. Quando mi sono levata. Ma nulla, sai?
È passato!

GIORGIO.

Che ti sei sentito?

LAURA.

Nulla, ti dico. Non so. Mi son sentita mancare, appena mi sono alzata.
Un momento, sai? Ecco, come dianzi!

GIORGIO.

E hai telefonato alla mamma per il medico?

LAURA.

No! Che medico! Per te. Per dire a te, che tornassi presto. La mamma mi
rispose, che avrebbe fatto venire il dottor Romeri con te.

GIORGIO.

Ma non m’ha detto niente nessuno!

LAURA.

Meglio così! È stata una pensata della mamma. Io mi sono opposta. Le ho
ripetuto dieci volte che non ce n’era bisogno! Ma sai com’è la mamma?
Ho paura che ce la vedremo spuntare da un momento all’altro, qua, col
dottor Romeri.

GIORGIO.

E sarà bene! così vedrà....

LAURA.

Ma no! Che vuoi che veda! Io avevo bisogno, che tornassi tu, presto!
Sei tornato. Basta.

GIORGIO.

Ma forse il medico....

LAURA.

Che vuoi che mi faccia il medico? Bada: se viene, non mi faccio neanche
vedere!

GIORGIO.

Ma perchè?

LAURA.

Perchè no! Non mi faccio vedere. O se no, guarda: gli parlo così

                                Eseguendo.

con la faccia nascosta sotto la tua giacca. E gli dico....

GIORGIO

                                sorridendo.

Che è per causa mia?

LAURA

                                dopo una pausa, in ascolto sul petto
                              di lui.

Aspetta!

GIORGIO.

Che fai?

LAURA.

Un bàttito forte, lento; un bàttito piccolo piccolo, lesto, èsile....

GIORGIO.

Che dici?

LAURA.

Il cuore e l’orologio!

GIORGIO.

Bella scoperta!

LAURA.

Possibile che misurino lo stesso tempo? Il mio cuore batte certo più
del tuo! Oh! Dio, no! Che brutto cuore!

GIORGIO

                                ridendo.

Brutto? Perchè?

LAURA.

Non te l’avevo mai sentito battere, il cuore! Ma sai come ti batte
placido, forte, lento....

GIORGIO.

E come vuoi che batta?

LAURA.

Come? Se io sapessi che tu ascolti il mio, sarebbe un precipizio!
Mentre il tuo, niente: non si commuove!

GIORGIO.

Sfido! Parli del medico che non vuoi vedere....

LAURA.

No; invece parlavo del medico a cui volevo accusarti!

GIORGIO.

Già! Ma con la faccia nascosta! Perchè tu sai bene che non sono io!

                                Non ha finito di proferir queste
                              parole, che si turba vivamente, come
                              se esse, rispetto al male di cui Laura
                              soffre, d’improvviso abbiano acquistato
                              un valore davanti a lui, altro da
                              quello che egli intendeva dar loro.

LAURA.

Non sei tu? Come non sei tu?

GIORGIO

                                con sempre crescente turbamento.

No, io....

LAURA

                                levandosi dalle ginocchia di lui.

Giorgio, che pensi?

GIORGIO

                                con sempre crescente turbamento,
                              alzandosi.

Oh Dio, nulla....

                                Poi, cupo.

Tu credi che il dottor Romeri debba venire?

LAURA.

Non so.... Ma perchè?...

GIORGIO.

Perchè è bene che venga! Voglio che venga!

LAURA.

Ma, Dio mio, Giorgio, io ho scherzato....

GIORGIO.

Lo so, lo so!

LAURA.

Vuoi che possa accusarti, se non per ischerzo?

GIORGIO.

Ma no, Laura: non è per questo!

LAURA.

E che cosa è allora?

GIORGIO.

Ma.... se tu stai male....

LAURA.

No! no! io non ho niente! io ho te! Ecco: te — e non ho niente altro,
che non mi venga da te! Se godo, se soffro, se muojo — sei tu! Perchè
io sono tutta così, come tu mi vuoi, come io mi voglio, tua. E basta!
Tu lo vedi, tu lo sai!

GIORGIO.

Sì, sì....

LAURA.

E dunque — basta! Che male vuoi che abbia?

                                Si sente di nuovo vacillare.

Dio.... vedi?

GIORGIO.

Di nuovo?

LAURA.

No.... È un po’ di stanchezza.... Sorreggimi....


SCENA VI.

DETTI, FILIPPO, poi LA SIGNORA FRANCESCA, infine GIORGIO e ROMERI.


FILIPPO

                                di corsa, da destra.

Signora! signora! Viene la mamma con un altro signore!

                                Via.

GIORGIO.

Ah! Ecco il medico.

LAURA.

No, no! Giorgio! non voglio vederlo!

GIORGIO.

E io voglio invece che tu lo veda!

                                Si avvia verso il fondo per andare
                              incontro al dottore.

LAURA.

No.... no.... Vai, vai. Portalo su in villa, di là! Io non mi faccio
vedere.

FRANCESCA

                                entrando.

Buon giorno, Giorgio.

GIORGIO

                                per uscire in fretta.

Buon giorno. Il dottore?

FRANCESCA.

Eccolo!

LAURA.

No, per carità! Di là, Giorgio! Portatelo via di là!

                                Giorgio via.


SCENA VII.

LAURA e FRANCESCA.


FRANCESCA

                                stordita.

Ma che cos’è?

LAURA

                                eccitata.

Ah! non dovevi, mamma, non dovevi!

FRANCESCA.

Che cosa?

LAURA.

Portare quel medico! Hai fatto male, male! Un male incalcolabile, mamma!

FRANCESCA.

Ma perchè? Mi hai telefonato, che t’eri sentita male....

LAURA.

Io non ho nulla! non ho nulla!

FRANCESCA.

Bene! tanto meglio!

LAURA.

Ma che meglio! Che vuoi che intenda, che sappia, che rimedio vuoi che
abbia, un medico, per quello che io sento, per quello che io soffro,
e che non voglio, non voglio, capisci? che sia un male, e che con la
presenza di quel medico che hai portato acquisti per lui un’immagine di
male! Ancora di quel male, che mi fu fatto!

FRANCESCA.

Non vuoi? Ma che forse...? Che dici, Laura? Oh Dio.... Che forse, tu?

LAURA

                                convulsa, afferrando la madre.

Sì, sì, mamma! Sì!

FRANCESCA.

Ah, Dio! E lui? tuo marito? lo sa?

LAURA.

Ma è appunto questo il male che tu hai fatto, mamma!

FRANCESCA.

Io?

LAURA.

Sì! Ch’egli lo sappia, che egli lo pensi ora, come un male a cui si
possa portar rimedio: un rimedio più odioso del male.

FRANCESCA.

Ma se dici che è....

LAURA.

Non è! non è! E io lo so bene che non è! Lo sento!

FRANCESCA.

Come? Che senti? Io ho paura che tu, figliuola mia, sii troppo esaltata
e che....

LAURA.

Ti pare che vaneggi? No! Non posso spiegartelo con la ragione, ma l’ho
saputo, qua, ora, mamma, che è così! E non può essere che così!

FRANCESCA.

Che cosa, figlia mia? Io non ti capisco!

LAURA.

Questo! Questo ch’io sento. La ragione non lo sa; forse non può
ammetterlo. Ma lo sa la natura, che è così! Il corpo, lo sa! Una pianta
— qua, una di queste piante! Sa che non potrebbe essere senza che ci
sia amore! Me lo hanno spiegato or ora. Neanche una pianta potrebbe,
se non è in amore; se non vuole il frutto che per sè non può dare! Vedi
com’è? Non sono esaltata! No, mamma. Io so questo: che in me, in questo
mio povero corpo — quando fu — in questa mia povera carne straziata,
mamma, doveva esserci amore. E per chi? Se amore c’era, non poteva
esserci che per lui, per mio marito.

                                Con gesto di vittoria, quasi allegra.

E allora!

FRANCESCA.

Che dici? Ah, questo è un nuovo martirio, figliuola mia! Ne sei certa?
proprio certa?

LAURA.

Sì. Ma è così! è così! È per forza così! Frutto dell’amore ch’era in
me; nel mio corpo!

FRANCESCA.

Ma lui, dimmi un po’, tuo marito, lo sa?

LAURA.

Credo che già lo sappia. Ma ora, là, con quel medico.... Ah! proprio
questo, vedi, non doveva avvenire! Che egli lo sapesse così!

FRANCESCA.

Ma se già lo sa, figlia mia!

LAURA.

Volevo che sentisse anche lui, naturalmente, quello che io sento! E che
s’unisse a me, s’immedesimasse in me, fino a sentirlo, ecco, e volerlo
in me, con me, quello che io sento e voglio!

FRANCESCA.

Oh Dio! Ho paura, figliuola mia, che....

LAURA

                                subito, interrompendo.

Zitta!... Eccoli.... Andiamo, andiamo su!

                                Si trascina via la madre.

Non voglio farmi vedere, non voglio farmi vedere!

GIORGIO

                                chiamando dal fondo.

Laura.... Laura....

LAURA.

No, Giorgio! T’ho detto no! Vieni, mamma!

                                Via con la madre.


SCENA VIII.

GIORGIO e IL DOTTOR ROMERI.


GIORGIO.

Venga, dottore.

ROMERI.

Eccomi, eccomi.

GIORGIO

                                seguitando con calma grave e
                              contenuta il suo discorso col dottore.

Mi piegai allora; mi vinsi, come dovevo. Era una sciagura! Forse anche
a lei, dottore, la mia violenza....

ROMERI

                                interrompendo.

No; io per me....

GIORGIO.

Se non a lei, potè parer troppa ad altri, che non erano in grado di
sentire in quel punto come me....

ROMERI.

Ciascuno sente a suo modo!

GIORGIO.

Ma fu, del resto, in quello stesso primo momento una violenza anche
per me. Tanto vero, che appena la vidi, dottore, appena ella mi venne
innanzi, la mia violenza cadde di colpo, e io la raccolsi tra le
braccia, non per dovere di pietà, no, ma perchè dovevo, dovevo per
il mio stesso amore fare così. E le giuro che non ci ho più pensato,
nemmeno una volta. Siamo stati un mese qua, insieme, come due nuovi
sposi.

                                Cambiando tono ed espressione.

Ma ora, ora, dottore, se è vero questo....

ROMERI.

Eh, comprendo....

GIORGIO.

Passar sopra a una sciagura, sì, l’ho fatto. Ma oltre, no!

ROMERI.

Speriamo ancora che non sia!

GIORGIO.

Non lo so. Ma lo temo! Se fosse.... lei mi comprende?

ROMERI.

Comprendo, comprendo!

GIORGIO.

E allora vada, la prego. E glielo dica, se mai:

                                Lento, spiccato, quasi sillabando.

io non potrei transigere. Vada. Aspetto qua.


  TELA.



ATTO TERZO.

    Una sala della villa. Uscio in fondo. Uscio laterale a destra.
  Finestra a sinistra. Immediatamente dopo il secondo atto.


SCENA PRIMA.

IL DOTTOR ROMERI, LA SIGNORA FRANCESCA.


                                Al levarsi della tela il dottor
                              Romeri è solo, presso l’uscio a destra
                              in attesa. Poco dopo, l’uscio s’apre ed
                              entra la signora Francesca.

FRANCESCA.

Non vuole; dice che non vuole, dottore: assolutamente!

ROMERI.

Ma sa che il marito lo desidera?

FRANCESCA.

Gliel’ho detto. Se n’è irritata di più.

ROMERI.

Ma perchè?

FRANCESCA.

Anche con me stamattina, del resto, quando le dissi per telefono che
avrei portato lei qua in villa.

ROMERI.

È curioso!

FRANCESCA.

Dice che non ce n’è bisogno.

ROMERI

                                con lieta sorpresa, come alleggerito
                              da un gran peso.

Ah! Non ce n’è bisogno?

FRANCESCA.

E pare che lo abbia detto già anche a Giorgio....

ROMERI

                                con lieta sorpresa, come alleggerito
                              da un gran peso.

Ma tanto meglio, allora! Avvertiamone subito suo genero, che sta in
pensiero!

                                Fa per avviarsi.

FRANCESCA.

Aspetti, dottore! Sta in pensiero Giorgio? Di che?

ROMERI.

Ma.... Lei lo comprende, signora!

FRANCESCA.

Eh, se è per questo, temo purtroppo che non ci possa esser dubbio.

ROMERI

                                stordito, senza più raccapezzarsi.

Ah sì? E come?

FRANCESCA.

Sì, dottore.

ROMERI.

Ma allora?

FRANCESCA.

S’è dunque affacciato a Giorgio il sospetto che...?

ROMERI.

Dio mio, sì, signora!

FRANCESCA.

Ma perchè?

ROMERI.

Perchè.... perchè, signora mia, può affacciarsi anche a lei.... anche a
me.... a tutti....

FRANCESCA.

Ma no, scusi: non c’è poi mica da stabilire una certezza!

ROMERI.

Basta il dubbio, signora!

FRANCESCA.

E se mia figlia non ne avesse?

ROVERI.

Dica che non vorrebbe averne!

FRANCESCA.

Precisamente. Non vuole, non vuole averne!

ROVERI.

Eh! se si trattasse soltanto di volontà....

FRANCESCA.

Ma dunque anche lei crede, dottore...?

ROVERI.

Lasci star me. La signora dovrebbe ispirare a suo marito la sua stessa
certezza. Pare non ci sia riuscita. Il solo fatto, scusi, che gli ha
nascosto sinora il suo stato, dimostra, del resto — mi sembra — che
quel sospetto si sia affacciato anche a lei.

FRANCESCA.

No! Non ha nascosto niente! Il dubbio sul suo stato data da questa
mattina soltanto!

ROMERI.

E perchè s’oppone allora, così, al desiderio del marito?

FRANCESCA.

Ma perchè per lei è naturale!

ROMERI.

E vorrebbe che apparisse naturale anche a lui?

FRANCESCA.

Ecco: proprio così!

ROMERI.

Temo, signora, che la sua figliuola pretenda troppo.

FRANCESCA.

No, non pretende, non pretende! È che non può ammettere....

ROMERI.

Dica piuttosto che non vuole.

FRANCESCA.

E non le sembra naturale che non voglia? Le ripugna ammetterlo!

ROMERI.

Comprendo. Ma comprenda anche lei, signora, che allo stesso modo
ripugna al marito il dubbio, anche il più lontano. Tanto più che, lei
lo sa, è avvalorato, questo dubbio, dal fatto che in sette anni non ha
avuto figliuoli.

FRANCESCA.

Sì, è vero! Dio mio! Dio mio!

ROMERI.

Bisognerebbe che ella si provasse a farlo intendere alla sua figliuola.

FRANCESCA.

Io?

ROMERI.

Suo genero mi ha detto già esplicitamente, che non potrebbe transigere
a nessun patto.

FRANCESCA.

Ma, e lei, dottore?

ROMERI.

Io.... Sa lei, signora, che sono stato medico militare e che mi sono
dimesso?

FRANCESCA.

Sì, lo so.

ROMERI.

Sa perchè mi sono dimesso?

FRANCESCA.

No.

ROMERI.

Perchè alla nostra professione son fatti doveri, a cui non si fanno
corrispondere uguali diritti.

FRANCESCA.

E che intende dire, dottore?

ROMERI.

Intendo dire, signora, che mi trovai una volta — e mi bastò — davanti
a un caso, in cui l’esercizio del mio dovere sentii che diventava
addirittura mostruoso.

FRANCESCA.

Ma sì, sarebbe difatti mostruoso!

ROMERI.

No, signora, lei non intende in qual senso io lo dica. È proprio
il contrario. Un soldato, in caserma — sono ormai tant’anni — in un
accesso di furore, sparò contro un suo superiore; poi rivolse l’arma
contro se stesso per uccidersi anche lui. Rimase ferito mortalmente.
Ebbene, signora: di fronte a un caso come questo, nessuno pensa al
medico a cui è fatto l’obbligo di curare, di salvare — se può — quel
ferito; come se il medico fosse soltanto uno strumento della scienza
e nient’altro; come se il medico non avesse poi per se stesso, come
uomo, una coscienza per giudicare se — ad esempio — contro al dovere
che gli è imposto di salvare, egli non abbia il diritto di non farlo,
o il diritto almeno di disporre poi della vita che egli ha restituito
a un uomo che se l’era tolta per punirsi da sè con la maggiore delle
punizioni: uccidendosi! Nossignori! Il medico ha il dovere di salvare,
contro la volontà patente, recisa di quell’uomo. E poi? quando, io gli
ho restituita la vita? perchè gliel’ho restituita? Per farlo uccidere,
a freddo, da chi ha imposto a me un dovere che diventa infame,
negandomi ogni diritto di coscienza sull’opera mia stessa? Questo,
signora, per dirle che io ho riconosciuto sempre, e voglio riconoscere,
nei casi della mia professione, di fronte ai doveri che mi sono
imposti, anche i diritti che la mia coscienza reclama.

FRANCESCA.

E allora lei si presterebbe...?

ROMERI.

Sì, signora: senza la minima esitazione. Dato il caso — s’intende — che
la signora volesse consentire.


SCENA II.

DETTI e GIORGIO.


                                Giorgio s’è presentato sull’uscio
                              della sala durante le ultime battute
                              del dialogo ed è stato in ascolto.

GIORGIO

                                facendosi avanti.

E che non vorrebbe forse consentire?

FRANCESCA.

No, no! Non sappiamo ancora, Giorgio!

GIORGIO.

Ma dunque è sicuro?

ROMERI.

Pare di sì.

GIORGIO.

Come, e lei?

                                Allude a Laura.

ROMERI.

Ma non l’ho ancora veduta.

FRANCESCA

                                per calmarlo, quasi supplichevole.

Forse ella crede, Giorgio....

GIORGIO

                                subito, interrompendola.

Crede? Che crede? Se è sicura, come può ancora esitare? Io lo esigo!

ROMERI

                                scrollandosi, seccato, anzi sdegnato.

Ma no, scusi!

GIORGIO

                                con forza, duramente.

Sì, lo esigo! Lo esigo!

ROMERI

                                fiero, reciso.

Lei non può esigerlo così!

GIORGIO.

Come no? Posso ammettere ch’ella esiti?

ROMERI.

Ma deve dirlo lei, spontaneamente. Non mi presterei io, nè si
presterebbe nessuno, altrimenti!

GIORGIO.

Ma il mio stupore è questo, che lei non l’abbia già chiesto, non lo
chieda subito!

FRANCESCA.

Non è mica una cosa da nulla per una donna, Giorgio! A te basta
esigerlo!

GIORGIO.

Come! Ma per se stessa, io dico, dovrebbe chiederlo subito, a qualunque
costo! Dovrebbe esser nulla per lei, di fronte all’orrore d’un simile
fatto! Ma come? Crederebbe forse che io potrei sorpassare ancora,
cedere, chiudere gli occhi, accettare? Ah! perdio! Ma dov’è? Dov’è?

                                Smaniando, fa per andare nella camera
                              di Laura.

FRANCESCA

                                cercando d’impedirglielo.

No, per carità, Giorgio!

ROMERI

                                forte, con fermezza.

Non così! Non così!

GIORGIO

                                alludendo a Laura.

Che dice? Posso sapere almeno che cosa dice? O vorrebbe forse darmi a
intendere che il suo amore....


SCENA III.

LAURA e DETTI.


LAURA

                                entrando dall’uscio a destra.

Che il mio amore?...

                                Al suo apparire, alle sue parole
                              restano tutti sospesi, interdetti.

Di’, di’! Finisci!

GIORGIO.

Laura, io ho bisogno di saper subito che tu non ti opponi.

LAURA.

A che cosa?

FRANCESCA

                                cercando d’interporsi.

Ma se non sa ancor nulla! Non le abbiamo ancora parlato!

GIORGIO.

Lasciatemi allora spiegare con lei, vi prego!

LAURA.

Sì, è meglio!

GIORGIO.

Attenda un po’ di là, dottore.

LAURA

                                subito, severamente.

E anche tu, mamma!

                                La signora Francesca e il dottor
                              Romeri si ritirano per l’uscio in
                              fondo.


SCENA IV.

LAURA e GIORGIO.


LAURA.

Parlavi del mio amore, così, davanti....

GIORGIO

                                subito, compiendo la frase.

Davanti a tua madre e al dottore!

LAURA.

Anche la madre, in questo caso, diventa un’estranea. Non dico
quell’altro. Avevi l’aria di buttarmelo in faccia!

GIORGIO.

Ma sì, perchè non credo, non voglio credere, che tu ora possa, o voglia
avvalertene!

LAURA.

Dio! Giorgio, ma guardami! Tu non puoi più guardarmi?

GIORGIO.

No! Se è vero questo, no! che tu vorresti far questo! Io voglio sapere
— e subito, subito, senza tante parole — quello che tu vuoi fare!

LAURA.

Che debbo fare? Dipende da te, Giorgio. Dal tuo animo.

GIORGIO.

Come! E tu hai bisogno che te lo dica io, qual è il mio animo? Quale
può essere? Non lo comprendi? Non lo vedi? Non lo senti?

LAURA.

Sento che tu mi sei tutt’a un tratto nemico. Come.... come se io....

GIORGIO.

Dunque tu dici di no?

LAURA

                                abbattendosi a sedere,
                              disperatamente, dice quasi tra sè.

Ah Dio! ah Dio! Non è bastato dunque a nulla?

GIORGIO

                                la guarda, come sbalordito, un pezzo;
                              poi:

Che cosa non è bastato? Che dici? Voglio che tu mi risponda!

LAURA.

Tu dunque non hai dimenticato solo una cosa? E dimentichi tutto?

GIORGIO.

Ma che vuoi che pensi io in questo momento?

LAURA.

Non puoi neanche pensare che per me è proprio tutto il contrario?

GIORGIO.

Il contrario? che cosa?

LAURA

                                come assorta lontano, trucemente, con
                              lentezza.

Ch’io non ho memoria, nè immagine: nulla! Io non vidi! io non seppi
nulla! _Nulla_, capisci?

GIORGIO.

Sta bene. E poi?

LAURA.

E poi....

                                S’interrompe in un silenzio opaco.
                              Poi dice:

Niente. Se hai perduto tu, invece, la memoria di tutto.

GIORGIO.

Ah, del tuo amore, è vero? Ma è proprio così, dunque? Tu m’hai
circondato del tuo amore, tu mi hai avviluppato nelle tue carezze,
sperando ch’io credessi?

LAURA

                                con un grido.

No!

                                Poi con nausea:

Ah!

GIORGIO.

E allora?

LAURA.

Non ho ragionato, io: io ho amato; io sono quasi morta d’amore per te;
mi sono fatta tua come nessuna donna mai al mondo è stata d’un uomo; e
tu lo sai; tu non hai certo potuto non sentirlo questo, che ho voluto
averti tutto in me; che mi sono voluta tutta di te....

GIORGIO.

E con questo? con questo?

LAURA

                                gridando.

Non ho ragionato, ti dico!

GIORGIO.

Ma che hai sperato?

LAURA.

Ma d’aver cancellato.... d’aver distrutto....

GIORGIO.

Che cosa? Come?

LAURA.

Niente.

                                Alzandosi.

Tu hai ragione. È stata la mia follia.

GIORGIO.

Ma sì, una follia! Tu lo vedi bene!

LAURA.

Sì. E ne esco, ecco. Ne sono già uscita. Ma bada! Tu non puoi più
parlarmi, ora, come si parla a una folle!

GIORGIO.

Ma io voglio appunto che tu ragioni, Laura!

LAURA

                                freddissimamente.

E poi?

GIORGIO.

Ma che si faccia.... pur troppo....

LAURA.

Solo per un ragionamento, è vero? e dopo che m’hai buttato in faccia
con disprezzo, con orrore, tutto ciò che t’ho dato di me? e che
tu hai potuto stimare un calcolo vile.... un laido inganno.... un
espediente....

GIORGIO.

No, no, Laura! Ma se l’hai chiamata tu stessa una follia?

LAURA.

Ah, una follia, sì! E sperai che t’avessi sollevato con me nell’ardore
di essa, qua, in mezzo alle piante che pure la sanno, questa mia stessa
follia! O che tu almeno me lo chiedessi, come si chiede a una povera
folle un sacrifizio che essa non sa.... della sua stessa vita....
e chi sa! avresti forse ottenuto quello che volevi. Perchè non puoi
credere ch’io volessi salvare in me chi ancora non sento e non conosco.
Io l’amore volevo salvare! cancellare una sventura brutale, non
brutalmente come tu vorresti....

GIORGIO.

Ma come? come, in nome di Dio?

LAURA.

Posso dirti come, se tu non l’intendi?

GIORGIO.

Accettando la tua follia?

LAURA

                                con un grido di tutta l’anima.

Sì! Tutta me stessa! Perchè tu vedessi tutta me stessa _tua_, nel
figlio _tuo_: tuo perchè di tutto il mio amore per te! Ecco questo!
questo volevo!

GIORGIO

                                ritraendosi, quasi inorridito.

Ah, no!

LAURA.

Non è possibile: lo vedo.

GIORGIO.

Come vuoi ch’io possa accettare?

LAURA.

E lascia allora che accetti io, invece, la mia sventura.

GIORGIO.

Tu?

LAURA.

Io sola, sì, tutta intera la mia sventura.

GIORGIO.

Ah, dunque è detto? Tu ti rifiuti?

LAURA.

Perchè lo farei, se dopo tutto quello che ho dato di me, non sono
riuscita a cancellarla?

GIORGIO.

Ah, no perdio! Tu non puoi! tu non devi!

LAURA.

Perchè non posso?

                                Martellato:

  GIORGIO.
  
  Dopo quello che hai fatto?
  
  LAURA.
  
  Che ho fatto?
  
  GIORGIO.
  
  Dopo quello che hai voluto?
  
  LAURA.
  
  Che ho voluto?

GIORGIO

                                con ferocia.

Il mio amore, _dopo_!

LAURA

                                con disprezzo.

Per nascondere, è vero?

GIORGIO.

Ma sai che c’è di mezzo il mio nome?

LAURA.

Ah, non temere. Avrò il coraggio che ebbe la Zena. Peccato ch’io non
possa darlo — dopo l’inganno — al suo padre vero!

GIORGIO.

Ma tu volevi darlo a me! E non è questo un inganno?

LAURA.

Chiamalo inganno! Io so che era amore!

GIORGIO.

Ti dico che tu non puoi!

LAURA.

E che vorresti? Con la violenza.

                                Si fa all’uscio in fondo, e chiama:

Mamma! Mamma!

GIORGIO

                                inveendo.

Anche con la violenza, sì!

                                Accorrono dall’uscio in fondo in
                              grande agitazione la signora Francesca
                              e il dottor Romeri.


SCENA V.

DETTI, LA SIGNORA FRANCESCA, IL DOTTOR ROMERI.


FRANCESCA.

Laura! Che cos’è?

GIORGIO

                                al Romeri che lo trattiene.

Dottore, le dica che essendo mia moglie....

LAURA.

Non sono più tua moglie! Mamma, io vengo con te!

GIORGIO.

Ma non basta che tu te ne vada!

LAURA

                                fieramente.

Perchè? Che ho io di te?

                                Giorgio casca a sedere, come
                              schiantato. Lunghissima pausa.

Mamma, possiamo andare!

                                S’avvia con la madre.

GIORGIO

                                balzando in piedi, con un grido
                              d’esasperazione e di disperazione:

No.... Laura.... Laura....

                                Proferirà così due volte il nome
                              di lei con due diversi sentimenti:
                              d’angoscioso sgomento, prima, poi
                              d’implorazione quasi irosa. Laura
                              s’arresta. Lo guarda. Pausa. Giorgio si
                              copre il volto con le mani e rompe in
                              singhiozzi.

LAURA

                                accorrendo a lui.

Giorgio, tu mi credi?

GIORGIO.

Non posso! Ma non voglio perdere il tuo amore!

LAURA

                                con impeto di passione.

Ma a questo solo tu devi credere!

GIORGIO.

Come credere? A che?

LAURA

                                con impeto di passione.

Ma a ciò che io ho voluto, con tutta me stessa, per te, e che devi
volere anche tu! È mai possibile che tu non ci creda?

                                Lo abbraccia, lo scuote.

GIORGIO.

Sì, sì.... Nel tuo amore, credo.

LAURA

                                quasi delirando.

E dunque, che vuoi di più, se credi nel mio amore? In me non c’è altro!
Sei tu in me, e non c’è altro! Non c’è più altro! Non senti?

GIORGIO.

Sì, sì....

LAURA

                                quasi delirando, al colmo della
                              felicità:

Ah, ecco! il mio amore! Ha vinto! Ha vinto! Il mio amore!


  TELA.



OPERE DI LUIGI PIRANDELLO

(Edizioni Treves).


  _Erma bifronte_, novelle                            L. 7 —
  _La vita nuda_, novelle                                7 —
  _Terzetti_, novelle. Con coperta a colori              7 —
  _La trappola_, novelle                                 7 —
  _E domani, lunedì...._, novelle                        7 —
  _Il turno; Lontano_, novelle                           7 —
  _L’Esclusa_, romanzo                                   7 —
  _Il fu Mattia Pascal_, romanzo. Nuova ediz. riveduta   7 —
  _I vecchi e i giovani_, romanzo. 2 volumi              7 —
  _Si gira...._, romanzo                                 7 —
  _Tu ridi_, novelle                                     7 —
  _Un cavallo nella luna_, novelle                       5 —
  _Quand’ero matto_, novelle                             5 —
  _Bianche e Nere_, novelle                              3 —

  _Maschere nude_, commedie — I                          7 —
      Pensaci, Giacomino! — Così è (se vi pare). — Il
      piacere dell’onestà.
  _Maschere nude_, commedie — II                         7 —
      Il giuoco delle parti. — Ma non è una cosa seria.
  _Maschere nude_, commedie — III                        7 —
      Lumìe di Sicilia. — La patente. — Il berretto a
      sonagli.
  _Maschere nude_. — IV                                  7 —
      L’innesto. — La ragione degli altri (Se non così).



Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
senza annotazione minimi errori tipografici.



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